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ROTTA SU PECHINO: AZZARDO O SCELTA VINCENTE?

I guru della finanza si dividono: per Soros è meglio stare alla larga dalla Cina, ma Larry Fink di BlackRock non è d’accordo. I gestori prendono posizione. Dalla politica della prosperità comune possono emergere opportunità, ma non bisogna trascurare i rischi

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Cinzia Meoni

Investire in Cina, un Paese in profonda trasformazione sociale, significa rischiare di perdere i soldi o scommettere su una delle maggiori economie mondiali? Il dibattito si è infuocato negli ultimi mesi, con il cambio di approccio nella politica economica e la stretta regolatoria su big tech, fintech e società di formazione. Senza considerare il braccio di ferro tra Pechino e Washington, proseguito anche con il cambio di amministrazione negli Usa. Sul tema, negli ultimi tempi, si sono scontrati i maggiori investitori internazionali. George Soros ha tuonato che investendo in Cina si rischia solo di perdere soldi, finanziando per di più il principale antagonista degli Usa. In particolare, Soros ha attaccato Blackrock, primo gruppo straniero autorizzato a lanciare strumenti finanziari sul mercato locale, che ha suggerito a fine agosto ai propri investitori di aumentare fino a tre volte la loro esposizione verso il Dragone. Per l’ad Larry Fink, il mercato cinese “rappresenta una significativa opportunità per incrociare gli obiettivi a lungo termine degli investitori in Cina sui mercati internazionali”. Ma il raider ungherese ha ricordato a Fink le profonde radici della crisi immobiliare che ha travolto Evergrande e altri colossi del Celeste Impero, oltre alla strategia politica del presidente Xi Jinping, abituato, a suo dire, “a utilizzare le società cinesi come strumenti di uno stato monopartitico”. A sua volta, Cathie Wood, numero uno di Ark investment e guru degli investimenti tech, a settembre ha ridotto significativamente la propria esposizione sulla Cina, mantenendo solo “i cavalli vincenti”, ovvero le posizioni chiaramente identificabili con il favore di Pechino e con la sua strategia di aumentare la prosperità comune. In questo scenario, per Didier Saint-Georges, membro del comitato strategico di investimento di Carmignac, la sfida che

Il settore immobiliare incide in modo così consistente sull’attività economica che è probabile l’intervento del governo

Pechino sta cercando di vincere “è quella di ridurre l’indebitamento di un’economia in rallentamento senza scompensi per il sistema finanziario”, e in caso di successo “non solo le azioni della grandi società cinesi avrebbero un motivo in più per apprezzarsi, ma anche il renminbi e le obbligazioni sovrane cinesi ne trarrebbero beneficio”. Per Michael Strobaek, global chief investment officer di Credit Suisse, “l’economia cinese mostra rischi chiaramente elevati, derivanti da sconvolgimenti sul piano normativo, un mercato immobiliare in calo e una normalizzazione dei dati commerciali precedentemente solidi”. Inoltre, “il settore immobiliare incide in modo così consistente sull’attività economica che è probabile l’intervento del governo. Misure di stimolo macroeconomico, tra cui progetti infrastrutturali, tagli alle riserve obbligatorie e persino una svalutazione del tasso di cambio, sono risposte politiche plausibili”. Vanessa Zhao e Shichen Zhao, analisti di Candriam, infine, ricordano che “la decarbonizzazione e l’autosufficienza tecnologica avanzata costituiscono per la Cina obiettivi politici a lungo termine. Privilegiamo i settori che beneficiano del supporto delle policy, come le nuove energie, le tecnologie verdi, i nuovi materiali, la produzione avanzata e i semiconduttori”. Gli esperti invece sono cauti su immobiliare, istruzione e sicurezza dei dati, e si dicono selettivi nel settore sanitario.

> Didier SaintGeorges

Comitato strategico di investimento di Carmignac

> Michael Strobaek

Global cio di Credit Suisse

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