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NOTIZIE DAI RIFUGI
friulane, Antonio Carrara -. Questo edificio è una dimostrazione tangibile del fatto che le comunità di Erto e di Casso non si fermano solo al ricordo della tragedia immane che le ha colpite, ma vogliono progettare il futuro di quest'area». «Sono contento del tema prescelto: per la Regione la rigenerazione urbana e delle aree interne è uno dei punti più importanti - ha commentato l'assessore regionale Graziano Pizzimenti -. Quella del Vajont è un'area con potenzialità enormi che devono essere sfruttate. I ragionamenti ora non si fermano più ai singoli paesi o alle borgate, ma si allargano ad abbracciare intere aree vaste».All'interno del workshop si sono avvicendati rappresentanti del territorio e progettisti, come ha raccontato Gianluca D'Incà Levis, curatore di Dolomiti Contemporanee e del Nuovo spazio di Casso. «Il focus è su cosa significhi progetto nell'area del Vajont, che non deve essere solo terra di commemorazione ma anche di progettazione - ha detto -. L'uomo ha il dovere di guardare avanti. Il progetto si muove attraverso le capacità dell'uomo e del suo spirito, quindi presentiamo progetti d'arte, di architettura e di paesaggio. Componenti che vanno integrate ai molti altri strumenti a disposizione per costruire assennatamente i nostri paesaggi».
Gazzettino | 2 Dicembre 2021
p. 27, edizione Belluno
Nato in rifugio: «Il Mulaz la mia vita»
Ci sono degli incontri nella vita di ogni uomo che rimangono per sempre indelebili. Specialmente quando un bambino incontra una montagna. Ed è allora che questa montagna si ritaglia un piccolo posto nel cuore di questo bambino tanto da divenire una parte di esso. È stato così per Giorgio Adami. Oggi ha 76 anni, ma ricorda sempre con grande affetto e nostalgia quegli anni che trascorse ai piedi delle pareti del Focobon come gestore del Rifugio Giuseppe Volpi al Mulaz la struttura di proprietà del Cai di Venezia, posta a 2571 metri di altitudine nel comune di Falcade.
LE RADICI
«La gestione del vecchio rifugio - inizia a raccontare Adami - l'aveva mio bisnonno Agostino Murer che era anche guida alpina, molto conosciuta e richiesta specialmente nel settore delle Pale di San Martino. Il mio bisnonno si prendeva anche cura di mia mamma Rachele, che era rimasta orfana quando mia nonna appena la diede alla luce morì di Spagnola nel 1918». Inizia così, ancor prima di venire al mondo, il legame col Mulaz per Giorgio Adami. «Agostino si prese cura della sua nipote e ogni estate la portò con sé al Rifugio Mulaz, così mamma man mano che cresceva gli dava anche una mano nella conduzione - prosegue Giorgio -. Poi nel 1944 mio padre Silvio tornò dal fronte russo e con mia mamma decisero fare la stagione del 1945. Salirono nella buona stagione, assieme a mio bisnonno Agostino a gestire il rifugio e intanto nacqui io. La stagione del 1946 fu la prima stagione come gestori del Rifugio Mulaz di mio padre Silvio e di mamma Rachele e fu anche il mio primo incontro con sua maestà Il Focobon».
LA GERLA
Giorgio poi racconta la sua prima esperienza di salita, non proprio entusiasmante: «Avevo un anno e per trasportarmi mio padre ebbe la sciagurata idea di mettermi nella gerla in quanto ero più facile da trasportare. Salimmo in valle del Focobon e alla malga mio padre si fermò a fare scorta di burro che poi ripose con cura nella gerla sopra di me. Quando arrivò al rifugio si accorse che il burro si era completamente sciolto e io ero completamente imburrato». Ma da quel primo anno che Giorgio salì al Mulaz il suo attaccamento a quell'ambiente di alta montagna fu sempre maggiore e mentre lui cresceva le incombenze sue crescevano con l'età.
L'INFANZIA
E il racconto di Adami prosegue così: «Da bambino ricordo passavo spesso le estati a giocare da solo o magari qualche cliente mi prendeva per andare a fare un giro, poi man mano che crescevo papà Silvio, che era divenuto pure lui guida alpina, mi metteva sotto a fare piccoli e grandi lavori e così imparai piano piano a fare questo mestiere. Era ancora il tempo dei portatori: tutto veniva portato dal fondo valle a spalla o con il mulo. Fatiche colossali. Ricordo che quando si ampliò il rifugio nel 1956 si doveva trasportare tutto a mano. Ricordo che ad aiutarci erano venuti Vittorio Zus e Franco Manfroi. Mi ricordo che Franco faceva per tre volte al giorno dal fondo valle al rifugio con un sacco di cemento sulla schiena da cinquanta chili. Penso che quell'allenamento gli sia servito per diventare in seguito uno dei più forti atleti azzurri dello sci nordico di quegli anni».
LA TERZA GENERAZIONE
Nel 1970 Silvio passò la mano e la gestione passò a Giorgio e alla moglie Pia Crepaz che la proseguirono fino al 1994. «Furono anni molto belli - prosegue Giorgio -: al rifugio arrivarono tante persone tra cui molti alpinisti importanti sia valligiani che da fuori. Ricordo Armando Aste, Franco Solina e molti altri intenti a effettuare salite sul Focobon, erano gli anni d'oro dell'alpinismo in Dolomiti».
I SOCCORSI
«Molti furono anche gli incidenti in montagna e ovviamente il primo posto per cercare aiuto era il rifugio - continua a raccontare il rifugista - . E così ero spesso impegnato nell'indirizzare i soccorsi nei luoghi dell'incidente. Una volta, una comitiva di olandesi stava
scendendo dal Passo delle Farangole quanto il capo guida fu raggiunto alla testa da un masso che uno della comitiva gli aveva inconsapevolmente fatto patire dall'alto. Ricordo che mi portai sul posto e gli prestai i primi soccorsi. Fu quello uno dei primi soccorsi in cui intervenne un elicottero dell'Esercito, perché allora non c'era altro. Ricordo che era un vecchio elicottero che molto grande che stentava trovare lo spazio per atterrare, comunque in qualche maniera il ferito fu caricato e trasportato. Poi seppi che però, purtroppo, morì qualche giorno dopo».
IL MUSEO
Nel 1994 Giorgio Adami lasciò la gestione del Mulaz la moglie Pia si ammalò e poco dopo morì. Oggi Giorgio trascorre le giornate tra i ricordi dei suoi trascorsi tra quelle montagne incantate del Focobon e del Mulaz delle quali sono tappezzate le pareti della sua casa di Canale. Le immagini si alternano a quelle di tanti volti, di uomini e donne che con Giorgio hanno condiviso lo stesso amore per queste montagne: sono alle pareti, ma soprattutto nel cuore dello storico rifugista. Dario Fontanive
Corriere delle Alpi | 6 Dicembre 2021
p. 14
Il nodo del patrimonio edilizio Il Cai chiede via libera sui rifugi
le proposte La relazione allegata all'aggiornamento del Piano del Parco elenca gli obiettivi del 2001, ciò che è stato realizzato e le proposte per il futuro. Importante la mole del lavoro fatto finora e vale la pena partire dalle possibili inclusioni di aree esterne. Una revisione dei confini causata di mappe su scala troppo grande c'è già stata, con un ampliamento di circa lo 0,9% della superficie, e per il futuro ci sono due prospettive: gli ampliamenti e la definizione di corridoi ecologici. Per fare qualche esempio, si pensa a: un raccordo con il Parco di Paneveggio; l'estensione del perimetro sud fin quasi alla strada pedemontana, a est fino all'Alemagna, a nord est con un corridoio fino al Parco delle Dolomiti Friulane, a nord fino al Maè e al passo Duran; l'inclusione di piccole frazioni a Rivamonte, Gosaldo, Sangron e infine l'inclusione dei principali corsi d'acqua fino al Piave. Il tutto ovviamente in accordo con i Comuni e le popolazioni locali. A breve termine si pensa all'inclusione nel Parco dei boschi della Valle di San Agapito, della forra dell'Ardo fino all'ex centralina, della gola del Desedan, della forra del Grisol, della forra del Maè, della prima parte della Val Clusa, della riserva naturale della Val Tovanella (attraverso un corridoio ecologico), di aree sommitali del monte Coppolo e dei principali biotopi esterni: il Vincheto di Celarda attraverso un corridoio ecologico lungo il Caorame, gli stagni di Sant'Eustachio, le Masiere e il lago di Vedana. Per quanto riguarda le infrastrutture, gli obiettivi del piano 2001 sono stati quasi interamente realizzati, andando anche oltre o rinunciando ad alcune previsioni che si rivelavano non strategiche. Per quanto riguarda le malghe sono stai investiti 2 milioni di euro che, insieme al lavoro fatto anche dai Comuni, hanno permesso di avere cinque malghe attive: Casera dei Boschi (Pedavena), Vette Grandi (Sovramonte), Erera (Cesiomaggiore), Pramper (Val di Zoldo) e Pian dei Fioch (Belluno). È stato di 330 mila euro l'investimento su rifugi e bivacchi in sintonia con il Cai e con i gestori. Tre i sentieri natura realizzati: Val Falcin, Val Canzoi e Val Pramper; cui si aggiungono i recuperi o miglioramenti di alcuni tracciati escursionistici importanti per raggiungere le strutture: il sentiero di accesso al rifugio Dal Piaz, al Pian de Fontana, alla malga Alvis, sul monte San Mauro, in Val Rui Fret, attorno al monte Pizzocco e tra la Val del Grisol e la Conca di Cajada. I sentieri tematici realizzati sono: i cadini del Brenton, i circhi delle Vette, le chiesette pedemontane, i covoli in val di Lamen, la montagna dimenticata (vie militari e di minatori) la via degli ospizi e la foresta (Cajada), oltre ad altre valorizzazioni. Infine i centri visitatori a Pedavena, a Belluno (ex Caserma dei Vigili del Fuoco) e le ex miniere di Valle Imperina. A questi si aggiungono le aree di sosta attrezzate e gli edifici per la fruizione turistica, come Candaten, la Casa al Frassen e l'Ostello Imperina, il giardino botanico in val del Mis, il Centro di educazione ambientale in Val Canzoi e il punto di osservazione della fauna a Salet.Per il futuro l'obiettivo è di migliorare la gestione delle strutture aumentandone la visibilità e completare alcuni interventi. Se ce ne saranno le risorse si pensa anche a un centro visitatori a Forno di Zoldo (ex scuole elementari), un punto informazioni a Gosaldo, il recupero delle gallerie di Valle Imperina e altri allestimenti. --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Trentino | 9 dicembre 2021
p. 6
«Rifugi, le tariffe vanno riviste È finita ormai l’era dei cameroni» Alimonta lascia la guida dell’associazione: «Con la Sat ci sia condivisione»
Di Dafne Roat
TRENTO Ai piedi della Vedretta degli Sfulmini, uno degli scenari più affascianti e maestosi del Brenta, padre e figlio si guardarono negli occhi e dissero: «Ci vorrebbe un Rifugio quassù». Ezio Alimonta era insieme al papà Gilio, anche lui guida alpina. Ricorda ancora quel momento, era il 1968. Da allora sono trascorsi più di cinquant’anni ed è cambiato il mondo, ma anche il modo di vivere la montagna. Non è solo la tecnologia a segnare il passo del cambiamento, ma sono mutate le idee e le esigenze e, soprattutto, gli escursionisti. Lo storico fondatore del Rifugio Alimonta e presidente dell’Associazione Rifugi lo sa bene e nel giorno del saluto ai Rifugisti, per il passaggio del testimone al nuovo presidente, che sarà eletto nei prossimi giorni, ricorda uno dei temi caldi: le tariffe. «Vanno riviste, non è ammissibile che per dormire si faccia spendere 7 euro, considerate le spese che i Rifugi devono sostenere», afferma. Poi guarda alla Sat: «Vi siano proposte congiunte». Un impegno «a collaborare», che viene rimarcato anche dalla presidente della Società alpinisti tridentini, Anna Facchini: «Serve coordinazione e coordinamento. I gestori sono anche imprenditori e sui nuovi tariffari cercheremo di non avere voci differenti». Alimonta, nel suo discorso di saluto è tornato sul dibattito relativo alle tariffe. Servirebbe una revisione al rialzo o una riflessione più ampia sui costi dei Rifugi? «Per me è inammissibile che un escursionista fino ai 25 anni paghi solo sette euro per dormire, capisco un ragazzino che pesa sulle spalle delle famiglie, ma non un giovane. Vanno bene gli sconti a soci e associati, ma servono nuovi ragionamenti, così come deve esserci un bilanciamento con i gestori privati dei Rifugi, altrimenti non so come potranno restare in piedi. Anche i prezzi vanno ritoccati?» Si riferisce alle bevande? «Si, ma non solo. I Rifugi guadagnano poco con la somministrazione degli alimenti perché devono affrontare costi esorbitanti di trasporto. I rifornimenti vengono portati in quota, a oltre 2.000 metri, con la teleferica e con l’elicottero, i costi sono importanti. Poi ci sono le spese per l’elettricità. Le faccio un esempio: una birra acquistata nel Rifugio costa meno che in paese». Quindi bisogna alzare i prezzi? «Almeno eguagliarli a quelli dei bar e dei locali a valle. Inoltre se si vuole dare un futuro ai Rifugi bisogna cambiare mentalità». A cosa si riferisce? «Bisogna modernizzarsi, essere capace di rinnovarsi per stare al passo con i tempi». Cosa ne pensa del dibattito sull’architettura dei nuovi Rifugi? Sul nuovo progetto del Tonini, ad esempio, ci sono tante perplessità e in Svizzera si fanno addirittura concorsi di architettura alpina. Secondo lei promuovere questo nuovo tipo di design di montagna, più moderno e con volumi superiori rispetto a quelli dei Rifugi storici, è una forzatura o una sperimentazione positiva? «Credo che dal punto di vista architettonico possono restare come sono, ma gli interni vanno cambiati. La gente oggi ha altre esigenze e non possiamo restare indietro. Penso ai Rifugi dell’Alto Adige, le camere sono dotate di doccia e lavandino, sono servizi che i clienti cercano, non possiamo restare l’ultima ruota del carro. Anche la Sat ha capito che i cameroni non servono più a niente, ce lo ha insegnato anche il Covid.È finita l’era dei cameroni, servini stanze più piccole e bisogna modernizzarsi, altrimenti si va a morire. Quando ho costruito il Rifugio per venti clienti mi bastavano 30 litri di acqua calda, si facevano loro il tè e lo mettevano nelle borracce. Oggi me ne servono ottanta, perché vogliono trovare il té e caffè fatti, chiedono più servizi. Non non si può restare fermi a cinquant’anni fa». È cambiato il modo di vivere la montagna? «Assolutamente si, un tempo erano tutti arrampicatori, ora sono famiglie che vogliono fare l’escursione, che camminano. C’è molta più gente che va in montagna rispetto al passato, ma in modo diverso, si muovono senza capire cos’è un Rifugio, spesso conoscono poco anche le regole della montagna». Le restrizioni causate dalla pandemia hanno pesato molto anche sui bilanci dei Rifugi, come si è chiusa la stagione? Quali sono prospettive per il nuovo anno? «La stagione è andata bene, i Rifugi hanno lavorato molto, nonostante le restrizioni. Ma fare previsioni per il prossimo anno sarebbe un azzardo, cambiano le regole ogni dieci giorni, è difficile pensare al futuro».
L’Adige | 18 Dicembre 2021
p. 13
I soci dell'associazione hanno scelto come guida una donna, che gestisce anche il Roda de Vael
Si declina al femminile la nuova presidenza dei Rifugi del Trentino.È infatti Roberta Silva la nuova guida, scelta nel primo incontro del nuovo direttivo, eletto dai soci con l'Assemblea elettiva del 30 novembre scorso. Da questo primo confronto sono usciti i nominativi del nuovo presidente, del vice e dei consiglieri con delega dell'Associazione Gestori Rifugi del Trentino che saranno in carica per il prossimo triennio. La presidente sarà una donna: Roberta Silva, che gestisce il rifugio Roda di Vaèl, in Catinaccio, il suo vice sarà Raffaele Alimonta, dell'omonimo rifugio di famiglia in Brenta. La nuova squadra del Consiglio è forte di quattro giovani rifugisti sotto i quarant'anni ai quali viene affidata voglia di innovare e nuova visione.Per la neo presidente gli obiettivi del nuovo direttivo sono chiari: