7 minute read
INTERVISTE ED EDITORIALI
ha una casa nel Parco non può sfruttare i bonus per la ristrutturazione, l'efficientamento energetico e nemmeno l'antisismico. È necessario far sì che ogni caso si possa valutare singolarmente, aprendo la possibilità di interventi di riqualificazione». A chiederlo, con una delle osservazioni già arrivate, è il Cai, che ha lo stesso problema con i rifugi: «Le norme per i rifugi sono cambiate e gli edifici devono adeguarsi, ma questo comporta un aumento di volumetria. Se viene impedito il rifugio deve chiudere e per il Parco rappresenta una grave perdita», sottolinea il presidente.Vigne cita anche Pian d'Avena, che ha le potenzialità per diventare come Pian Falcina, o Candaten «che possiamo permetterci di completare». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Veneto | 12 Dicembre 2021
p. 15, edizione Treviso – Belluno
Piano del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi Area protetta allargata fino all’Ardo
Belluno Il Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi aggiorna il suo Piano strategico. O meglio sarebbe dire lo completa. Perché pare incredibile ma l’iter di approvazione del Piano attuale, iniziato vent’anni fa esatti, non si è ancora ufficialmente concluso. Di fatto il Piano non è mai entrato completamente in vigore. Un’ordinaria storia di burocrazia pachidermica: basti pensare che, solo a inizio ottobre scorso, è stato approvato dal ministero il regolamento del Parco, datato 2009. Ora sembra finalmente giunto il momento buono. Il 25 novembre sul sito internet del Parco nazionale è stato diffuso l’avviso pubblico per la consultazione dell’aggiornamento del Piano e dei suoi documenti allegati (adottati dal consiglio direttivo lo scorso agosto). Chiunque potrà scaricarli, valutarli ed, entro il prossimo 24 gennaio, presentare le proprie osservazioni. Insomma, alla fine un ritardo potrebbe trasformarsi in un’opportunità. Così almeno la pensa il presidente dell’ente, Ennio Vigne, che ha recentemente affermato come questa sia la possibilità per aggiornare il Piano senza doverlo rifare da capo, eliminando ciò che non è più attuale e cogliendo i nuovi stimoli che arrivano dal territorio. Come, ad esempio, l’idea di allargare i confini dell’area protetta, accogliendo al suo interno il corridoio dell’asta del torrente Ardo, nel capoluogo, come già prevede il nuovo Pat (Piano di assetto territoriale, l’ex Prg) cittadino. La volontà è quella di coinvolgere il più possibile attori e portatori di interesse, attraverso un processo il più possibile partecipato. Ecco perché, per spiegare tutti i passaggi e fornire indicazioni utili alla formulazione delle osservazioni, il Parco ha organizzato un incontro pubblico. Appuntamento domani mattina, dalle 11 alle 13, nella sala conferenze di Villa Patt, a Sedico . (M.G.)
L’Adige | 21 Dicembre 2021
p. 39, segue dalla prima
Autonomie alpine fra passato e futuro di Annibale Salsa
Non so se la data scelta dall'amico Mauro Marcantoni per la pubblicazione sull'Adige (19 dicembre) dell'articolo dal titolo: «Dialogo immaginario sull'Autonomia» sia una fatale coincidenza. Certamente, le riflessioni di Marcantoni - che di autonomia trentina se ne intende - cade proprio nel giorno dell'anniversario della «Carta di Chivasso» (19 dicembre 1943). Si tratta di una data importante per la storia del pensiero autonomistico all'interno delle regioni alpine italiane: un primo tentativo di porre su nuove basi l'assetto istituzionale futuro dell'Italia dopo la caduta del fascismo (8 settembre 1943). Da un punto di vista storico, il tema delle autonomie si pone allorquando la nascita degli Stati nazionali moderni, fondati sull'equazione Stato-Nazione, tende ad assimilare in un unico e indivisibile Stato centralizzato secondo il modello giacobino - un popolo, un ordinamento, un territorio - i piccoli popoli che, negli ordinamenti di «Antico Regime», costituivano il variegato mosaico degli Stati territoriali alpini. Il problema del rapporto fra minoranze e maggioranze in chiave etnico-linguistica non si poneva affatto nei contesti politico-amministrativi pre-moderni. Ognuno parlava la propria lingua e, per comunicare, ricorreva a una lingua franca compresa da tutti. Le comunità di montagna si autogovernavano dal tardo medioevo (secoli XII-XIII-XIV) sulla base di prerogative e privilegi concessi dai Signori territoriali a compensazione per le condizioni estreme di vita e di lavoro richieste in presenza delle grandi trasformazioni agrarie. Queste
trasformazioni si possono riassumere in interventi radicali di esbosco, di de-cespugliamento, di spietramento, destinati a cambiare i paesaggi della montagna e a spingere ad altitudini sempre più elevate gli insediamenti stabili a seguito del riscaldamento climatico medievale. I privilegi riconosciuti ai dissodatori consistevano in quelle «libertà di dissodamento» colonico che in molte regioni alpine verranno a costituire il fondamento delle autonomie (Comunità walser e masi bavaro-tirolesi). In altri casi, sarà la conferma di antiche pratiche di autogoverno dei beni collettivi (pascoli e boschi) che le comunità degli «Antichi originari» («Regole», «Magnifiche Comunità», «Vicinie», «Consortèle», «Consorterie», «Patriziati») tramandavano da tempi lontanissimi - «ab immemorabili» - già in epoca pre-romana. In questo ambito vanno inquadrate le autonomie trentine, valdostane, ampezzane. A partire dal XVIII secolo gli Stati moderni, in primis la Francia e successivamente lo Stato Sabaudo (Vittorio Amedeo II) e l'Impero Asburgico (Giuseppe II), cercheranno di rafforzare il potere centrale a scapito delle autonomie territoriali. Anche il Trentino vedrà rifiutata, nel XIX secolo, la richiesta di autonomia nel quadro della Provincia del Tirolo. Il trionfo dei nazionalismi e degli sciovinismi, nati nell'Ottocento su basi democratiche ma trasformatisi nel successivo secolo XX in totalitarismi, segnerà la fine delle autonomie e il tentativo di assimilare i "popoli diversi" in un'unica compagine nazionale. L'affermarsi degli Stati nazionali porterà le antiche comunità ad auto-percepirsi «minoranze etnico-linguistiche» e ad assumere atteggiamenti conflittuali nei confronti del potere centrale. Questo atteggiamento, indotto dagli eventi, contribuirà a far passare nella pubblica opinione l'idea che il diritto all'autonomia debba riguardare soltanto i piccoli popoli che parlano una lingua diversa da quella nazionale. Ancora oggi molti italiani pensano che il Trentino, per il fatto di essere una Provincia italofona, non meriti il riconoscimento di uno Statuto Speciale che invece spetterebbe - seppur obtorto collo - alla Provincia di Bolzano o alla Valle d'Aosta. Nei dibattiti e nelle riflessioni di molti commentatori rimbalza spesso questa narrazione che trova, in un'opinione pubblica digiuna di queste cose, una conferma del tutto scontata, quasi ovvia. Troppo frequentemente, per carenza di documentazione storico-giuridica, ci si dimentica che le autonomie alpine trovano la loro giustificazione millenaria nella peculiarità dei territori. Quelle forme di autogoverno venivano accordate sulla base di motivazioni economiche e sociali, non etniche e linguistiche.Nella ricorrenza della «Carta di Chivasso», sottoscritta clandestinamente fra esponenti di spicco della comunità valdostana e di quella valdese a tre mesi dalla caduta del regime, riemerge un tema ancora oggi attuale nel dibattito fra regionalisti e federalisti. Nel documento si afferma testualmente: «Il federalismo rappresenta la soluzione del problema delle piccole nazionalità e la definitiva liquidazione del fenomeno degli irredentismi, garantendo nel futuro assetto europeo l'avvento di una pace stabile e duratura. Un regime federale e repubblicano a base regionale e cantonale è l'unica garanzia contro un ritorno della dittatura». E ancora: «Alle valli alpine dovrà essere riconosciuto il diritto di costituirsi in comunità politico-amministrative autonome sul tipo cantonale. Ad esse dovrà comunque essere assicurato, quale che sia la loro entità numerica, almeno un posto nelle assemblee regionali e cantonali». Tema attualissimo anche in Trentino è quello degli accorpamenti fondiari necessari a contrastare la frammentazione dei fondi agricoli, pregiudizievole per l'agricoltura di montagna. Nel documento di Chivasso si sostiene la: «necessità di scambi e compensi di terreni e una legislazione adeguata della proprietà familiare agraria troppo frammentata» al fine di contrastare il fenomeno dello spopolamento. Altro punto fondamentale è la richiesta di una: «totale autonomia in materia scolastico-culturale, economico-agraria, lavori pubblici e ordine pubblico in ambito locale». In quel contesto particolare le tesi regionaliste dello storico valdostano Federico Chabod - fautore della nascita di una Regione autonoma a Statuto speciale (come sarà la Valle d'Aosta e il Trentino-Alto Adige relativamente al primo Statuto) - si confronteranno con quelle federaliste del padre dell'autonomia valdostana Émile Chanoux, fautore di uno Stato italiano su basi federali secondo il modello svizzero dei Cantoni (ossia Repubbliche autonome e non semplici Regioni). Nella Costituzione della Repubblica italiana (1 Gennaio 1948) il modello regionalista, più blando in fatto di autonomia rispetto a quello federale, avrà la sorte migliore. Tuttavia la primogenitura valdostana nel dibattito sulle autonomie alpine, dove il federalismo verrà contrapposto al regionalismo, trova una parziale conferma ancora oggi nelle funzioni accorpate di Presidente regionale e di Prefetto/Commissario di Governo che lo Statuto di quella Regione autonoma prevede, caso unico in Italia. Nell'anno 2030, secondo le previsioni di Mauro Marcantoni, qualche funzionario ministeriale (o qualche politico locale) se ne ricorderà? Annibale SalsaUniversità della Valle d'Aosta