ha una casa nel Parco non può sfruttare i bonus per la ristrutturazione, l'efficientamento energetico e nemmeno l'antisismico. È necessario far sì che ogni caso si possa valutare singolarmente, aprendo la possibilità di interventi di riqualificazione». A chiederlo, con una delle osservazioni già arrivate, è il Cai, che ha lo stesso problema con i rifugi: «Le norme per i rifugi sono cambiate e gli edifici devono adeguarsi, ma questo comporta un aumento di volumetria. Se viene impedito il rifugio deve chiudere e per il Parco rappresenta una grave perdita», sottolinea il presidente.Vigne cita anche Pian d'Avena, che ha le potenzialità per diventare come Pian Falcina, o Candaten «che possiamo permetterci di completare». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Veneto | 12 Dicembre 2021 p. 15, edizione Treviso – Belluno Piano del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi Area protetta allargata fino all’Ardo Belluno Il Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi aggiorna il suo Piano strategico. O meglio sarebbe dire lo completa. Perché pare incredibile ma l’iter di approvazione del Piano attuale, iniziato vent’anni fa esatti, non si è ancora ufficialmente concluso. Di fatto il Piano non è mai entrato completamente in vigore. Un’ordinaria storia di burocrazia pachidermica: basti pensare che, solo a inizio ottobre scorso, è stato approvato dal ministero il regolamento del Parco, datato 2009. Ora sembra finalmente giunto il momento buono. Il 25 novembre sul sito internet del Parco nazionale è stato diffuso l’avviso pubblico per la consultazione dell’aggiornamento del Piano e dei suoi documenti allegati (adottati dal consiglio direttivo lo scorso agosto). Chiunque potrà scaricarli, valutarli ed, entro il prossimo 24 gennaio, presentare le proprie osservazioni. Insomma, alla fine un ritardo potrebbe trasformarsi in un’opportunità. Così almeno la pensa il presidente dell’ente, Ennio Vigne, che ha recentemente affermato come questa sia la possibilità per aggiornare il Piano senza doverlo rifare da capo, eliminando ciò che non è più attuale e cogliendo i nuovi stimoli che arrivano dal territorio. Come, ad esempio, l’idea di allargare i confini dell’area protetta, accogliendo al suo interno il corridoio dell’asta del torrente Ardo, nel capoluogo, come già prevede il nuovo Pat (Piano di assetto territoriale, l’ex Prg) cittadino. La volontà è quella di coinvolgere il più possibile attori e portatori di interesse, attraverso un processo il più possibile partecipato. Ecco perché, per spiegare tutti i passaggi e fornire indicazioni utili alla formulazione delle osservazioni, il Parco ha organizzato un incontro pubblico. Appuntamento domani mattina, dalle 11 alle 13, nella sala conferenze di Villa Patt, a Sedico . (M.G.)
INTERVISTE ED EDITORIALI L’Adige | 21 Dicembre 2021 p. 39, segue dalla prima Autonomie alpine fra passato e futuro di Annibale Salsa Non so se la data scelta dall'amico Mauro Marcantoni per la pubblicazione sull'Adige (19 dicembre) dell'articolo dal titolo: «Dialogo immaginario sull'Autonomia» sia una fatale coincidenza. Certamente, le riflessioni di Marcantoni - che di autonomia trentina se ne intende - cade proprio nel giorno dell'anniversario della «Carta di Chivasso» (19 dicembre 1943). Si tratta di una data importante per la storia del pensiero autonomistico all'interno delle regioni alpine italiane: un primo tentativo di porre su nuove basi l'assetto istituzionale futuro dell'Italia dopo la caduta del fascismo (8 settembre 1943). Da un punto di vista storico, il tema delle autonomie si pone allorquando la nascita degli Stati nazionali moderni, fondati sull'equazione Stato-Nazione, tende ad assimilare in un unico e indivisibile Stato centralizzato secondo il modello giacobino - un popolo, un ordinamento, un territorio - i piccoli popoli che, negli ordinamenti di «Antico Regime», costituivano il variegato mosaico degli Stati territoriali alpini. Il problema del rapporto fra minoranze e maggioranze in chiave etnico-linguistica non si poneva affatto nei contesti politico-amministrativi pre-moderni. Ognuno parlava la propria lingua e, per comunicare, ricorreva a una lingua franca compresa da tutti. Le comunità di montagna si autogovernavano dal tardo medioevo (secoli XII-XIII-XIV) sulla base di prerogative e privilegi concessi dai Signori territoriali a compensazione per le condizioni estreme di vita e di lavoro richieste in presenza delle grandi trasformazioni agrarie. Queste