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NON SOLO SCI

dei servizi, la semplificazione burocratica, ne sono un primo strumento. Solo la densità metropolitana può portare a soluzioni efficaci e sostenibili in questa direzione». «Vale anche la pena ricordare - conclude il Presidente di Assindustria Venetocentro - che per ottenere l’attribuzione delle Olimpiadi Invernali del 2026, che saranno un eccezionale moltiplicatore di attrattività per l’intero Paese, Cortina ha dovuto far fronte comune e saldare l’alleanza con Milano e il suo nodo metropolitano: se giochiamo di squadra, dentro e fuori i confini territoriali, vinciamo. Un modello che dobbiamo fare definitivamente nostro in Veneto, replicare in tutti i contesti delle scelte che ci vedono protagonisti: questa, ne siamo convinti, rappresenta la chiave anche per la ripresa».

Corriere delle Alpi | 9 Gennaio 2020

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Non solo sci: il futuro delle Dolomiti a un bivio

BELLUNO Non solo sci. Come fare? Lunedì 25 gennaio alle 18, con diretta Facebook su @DolomitesUnesco, si parla del futuro della montagna e delle stazioni sciistiche delle Dolomiti.Tre voci, oltre a quella della direttrice della Fondazione Marcella Morandini, si soffermeranno sulla possibile riconversione del turismo montano: Federica Corrado, professoressa associata del Dipartimento Interateneo di Scienze, progetto e politiche del territorio del Politecnico di Torino, il presidente e amministratore delegato de "La Sportiva", Lorenzo Delladio e il direttore di Confindustria Belluno Dolomiti Andrea Ferrazzi. --

Corriere del Trentino | 5 Gennaio 2020

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Non solo sci, in vetta a passo lento tra ciaspole, fondo e camminate. Le Dolomiti si scoprono «slow»

«In montagna bisogna regredire, non c’è spazio per la fretta. Bisogna tornare alla stasi e poi muoversi. In montagna non c’è nulla da conquistare, c’è solo da lasciarsi conquistare». Reinhold Messner può piacere o meno. Ma innegabile resta il suo talento di fotografare con le parole il senso profondo della montagna. C’è qualcosa di universale nel suo modo di raccontarla, un’eco capace di risuonare in ciascuno di noi. Come una montagna inaffrontabile, anche il Covid ha obbligato tutti a rallentare. E anche riscoprire la montagna con kalipè, l’espressione himalayana che augura al prossimo di «camminare sempre a passo corto e lento», è stato necessario per ovviare alla chiusura degli impianti sciistici. La lentezza è il nuovo passo per vivere la montagna. Tra distese innevate scintillanti di sole solcate unicamente da scialpinisti esperti, ma per suggestive passeggiate o ciaspolate o per lo sci da fondo. Una tendenza che, da imposizione malsofferta, sta invece diventando un nuovo modo di vivere l’alta quota. «Storie di montagna» nasce per raccontare questo: persone, luoghi, tendenze che lassù dove l’aria si fa sottile riescono a trasformare la nostra esperienza, svelandoci il potere trasformativo di una montagna «sobria, rispettosa e giusta». Tre parole che sono state scelte poche settimane fa dal movimento Montagna Slow – nato con l’appoggio fra gli altri di Cai e Legambiente - come proprio manifesto programmatico pubblicato su www.slowmedicine.it/montagna-slow. «Sentivamo da tempo il bisogno di un approccio più sano, di mettere in discussione il modello ispirato alla velocità e alla performance», spiega Sandra Vernero, medico anestesista rianimatore valdostano in pensione e vide presidente di Slow Medicine che, insieme al maestro di sci Maurizio Bal – autore di un pionieristico saggio sullo Slow Ski – e all’insegnante Anna Galliano, ha dato origine alla svolta. Nato come spinoff della rete nazionale Slow Medicine - che dal 2011 promuove l’appropriatezza nelle cure e la riscoperta del rapporto umano fra medico e paziente - il movimento Montagna slow condivide con il più famoso movimento «Slow Food» di Carlo Petrini l’approccio.

«Insieme alla Val d’Aosta dove il movimento ha mosso i primi passi, l’Alto Adige e il Trentino sono fra i luoghi più adatti per riscoprire una montagna più sobria, rispettosa e giusta», spiega Paola Zimmermann, referente regionale di Montagna slow. Passeggiate consapevoli nei boschi, respirare a pieni polmoni l’aria d’alta quota, riprendere il contatto con la natura e i suoi ritmi anche grazie a guide come insegnanti di yoga, tai chi e meditazione: sono alcune delle iniziative che Montagna slow ha messo in cantiere e che si apprestano ora a muovere i primi passi. Fra le proposte, la realizzazione di zone dedicate alla salita con pelli di foca o ciaspole, percorsi pianeggianti sulla neve affrontabili a qualsiasi età e in qualsiasi condizione fisica, «piste dello spirito» con luoghi dedicati a simboli di riflessione spirituale, «piste della conoscenza» dove spiegare i fondamentali dell’orienteering e dell’uso della natura, «piste dell’arte» con opere di artisti regionali sul modello di Artesella. «Siamo aperti ai contributi da parte di tutti», è l’invito di Vernero e Zimmermann.

L’Adige | 9 Gennaio 2020

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«Bisogna ripensare lo sci e la montagna»

Fabrizio Torchio Per il Club Alpino Italiano, il futuro della montagna passa anche dal superamento della monocultura dello sci alpino, attraverso la differenziazione: valorizzando forme diverse di turismo, favorendo l'ospitalità diffusa, investendo in servizi che favoriscano la residenza in alto. Evitando di estendere i comprensori sciistici a zone ora intatte e gestendo le stazioni in modo sostenibile. Con il documento intitolato «Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci. Analisi del contesto, prospettive, proposte», il Cai prende posizione sui temi chiave dell'economia invernale di molte vallate delle Alpi dopo aver analizzato i dati relativi all'economia dello sci alpino e i benefici per le comunità locali, nel contesto di un clima che cambia e degli adeguamenti resi necessari dal mercato. «Stagnazione duratura del mercato sciistico, forte concorrenza internazionale, cambiamenti climatici in corso e conflitti con la protezione della biodiversità - si legge nelle conclusioni - impongono un ripensamento dell'economia legata allo sci da discesa e alle aree montane in generale». Il Cai «ritiene che non vi siano le condizioni per ulteriori espansioni dei comprensori sciistici verso zone intatte e tantomeno all'interno delle aree protette a livello europeo o nazionale; sia invece necessario gestire nel modo più razionale e sostenibile le stazioni sciistiche che presentino ancora buone prospettive, al fine di attirare un pubblico che dispone di molte offerte concorrenziali nell'arco alpino europeo, attraverso la necessaria diversificazione e ammodernamento delle attività, ma rigorosamente all'interno degli attuali comprensori e urbanizzazioni». Al presidente generale del Cai, l'avvocato Vincenzo Torti , abbiamo posto qualche domanda su questa analisi, ma anche sulle iniziative della grande «famiglia alpinistica» italiana. Presidente Torti, come è nato il documento? «Già in occasione dell'approvazione del Bidecalogo , adottato dal Cai nel 2013 quale forma di autoregolamentazione e proposta generale, si era posta l'attenzione sulla inopportunità che si realizzassero ampliamenti e nuovi impianti sciistici, ma si erano lasciati spazi prudenziali per valutare anche casi molto particolari. Ma era tempo di dar corso ad una verifica più ampia e approfondita. L'analisi effettuata ha mostrato un quadro con più di trecento impianti di risalita abbandonati in Italia e dinanzi alle proposte di ampliamento di alcune stazioni sciistiche, come la Via Lattea, l'Alpe Devero, le Cime Bianche, il Comelico, o a progetti per zone dove la neve ormai non arriva sempre, ci siamo posti, al di là degli aspetti pur prioritari di tutela ambientale, anche il quesito sulla razionalità e remuneratività di ulteriori investimenti, spesso a carico degli enti territoriali. Da dieci anni il numero di sciatori non aumenta e lo sci è considerato un prodotto maturo e siamo convinti che il futuro della montagna sia nella destagionalizzazione. Le racchette da neve, ad esempio, stanno prendendo piede e in questi mesi stiamo promuovendo itinerari che evitino gli affollamenti». In questo momento il settore dello sci è in sofferenza a causa della pandemia. «Gli impianti esistenti rappresentano un turismo importante e auspichiamo che le stazioni vengano adeguatamente aiutate, ma le risorse che si vorrebbero mettere in nuovi impianti potrebbero essere impiegate per contribuire alla diversificazione dell'offerta turistica in altre attività, distribuite in tutto l'arco dell'anno». Tuttavia, gli ampliamenti talvolta vengono richiesti affinché le società possano rimanere sul mercato internazionale: accade in Italia come negli altri Paesi alpini. «L'esistente va bene, ha portato economia, anche se non dappertutto. La domanda da porsi doverosamente è quale senso abbia pensare di ampliare o, addirittura, realizzare nuovi impianti, a fronte di un numero di fruitori che non cresce da molto tempo e che, semmai, a causa della pandemia e della conseguente crisi economica, subirà un'ulteriore contrazione. Non è un caso che anche i Club alpini di Austria, Germania e Francia abbiano assunto da tempo una posizione analoga di contrarietà motivata». Il Cai come ha sentito gli effetti della pandemia? «Onestamente devo dire che il Cai grazie all'affezione e al senso di appartenenza dei propri soci, gode di buona salute: avevamo toccato nel 2019, in situazione di totale normalità, il picco di 327mila soci e, al 31 ottobre scorso, abbiamo chiuso, in piena pandemia,

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