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NOTIZIE DAI RIFUGI
mancanza di pianificazione e programmazione. Questa volta gli enti locali vogliono dimostrare che tutto ciò che si andrà a realizzare sul nostro territorio fa parte di un tassello ben studiato ed integrato in una visione ben più generale del solo evento olimpico. La volontà politica è che queste Olimpiadi possano essere l'occasione ed il volano per il sostegno alla nostra montagna, che parte dalla nostra Regina delle Dolomiti, Cortina, ma che poi faremo in modo che contagi l'intero territorio». Gli uffici dei tre enti hanno già cominciato informalmente a lavorare, raccogliendo dati ed analisi territoriali, al fine di costruire il disegno di sviluppo, rigenerazione e riqualificazione dei prossimi 30 anni. Ci si metterà a lavorare subito dopo le feste per poter arrivare entro l'estate alla definizione ed approvazione della strategia condivisa. La Regione, intanto, al fine di non perdere tempo prezioso, ha chiesto al MIT, ed ottenuto, già da quest'estate, l'assegnazione dei fondi ad Anas per avviare le progettazioni dei due interventi di variante alla SS 51 a Longarone e Cortina e questo ha permesso da settembre scorso l'avvio delle operazioni di progettazione. --a. s.
L’Adige | 5 Gennaio 2020
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«Il nuovo rifugio? Tempi lunghi» Montagna Pian dei Fiacconi, Trevisan non si illude. Raccolta fondi per le spese di rimozione delle macerie
«Non mi piace illudere le persone. Soprattutto se devo chiedere loro aiuto: prima di rivedere in piedi un nuovo rifugio Pian dei Fiacconi passeranno anni. Nel frattempo, meglio che io mi cerchi un nuovo lavoro». È abbattuto Guido Trevisan. Più che altro, in fondo, semplicemente realista. Ieri il proprietario e gestore della struttura della Marmolada irrimediabilmente danneggiata da una valanga lo scorso 14 dicembre, ha lanciato una nuova raccolta fondi on line, attraverso la piattaforma gofoundme.com . «Dopo il tanto affetto e i generosi interessamenti dei giorni scorsi, quando avevamo dato a tutti la possibilità di contribuire attraverso donazioni su un conto corrente, abbiamo deciso di affidarci alla piattaforma on line, perché più immediata, più semplice e soprattutto in grado di garantire la massima trasparenza ai sottoscrittori. Ma l'ho spiegato chiaramente, sul sito e lo ribadisco: il denaro che verrà raccolto non servirà a ricostruire il rifugio». In realtà sì. Far fronte alle spese per archiviare la dolorosa ma necessaria parentesi della demolizione, è comunque il primo passo per ricominciare. «Sono spese ingenti. Mi sono confrontato con un ingegnere e abbiamo stimato che per la rimozione delle macerie e il trasporto a valle di quel poco che potrà essere salavato tra gli arredi, serviranno all'incirca 120mila euro. E poi, prima di ripartire, dovrò chiudere il mutuo che era ancora attivo per il rifugio che non c'è più: 140mila euro». Tabula rasa. Poi, grazie ai suoi sforzi e alla generosità di chi vorrà contribuire, si potrà pensare alla rinascita. «L'obiettivo è quello. Ma senza illudere nessuno. Le tempistiche saranno lunghe. Una volta passate le festività spero di poter incontrare qualcuno in Provincia. La Marmolada non è mia, devo capire innanzitutto che cosa voglia fare l'ente pubblico e a che cosa si possa pensare ipotizzando un nuovo rifugio». La sua idea è quella di non ricostruirlo là dove sorgeva. «L'ho scritto anche su internet: la Natura è maestra e non si può prescindere dai suoi segnali. L'unica mia certezza è che non ricostruirò più forte, più grande e con più cemento: non ho intenzione di impattare sul delicato sistema del ghiacciaio e di creare nuovi rifiuti per le generazioni che verranno. E poi la zona è a rischio, è evidente. Si dovrà ricostruire in un altro punto, ma non posso individuarlo da solo». Con tempi lunghi, teme. «Lo dicono le vicende di altri rifugi. Pensiamo al Petrarca, in val Passiria: i lavori sono partiti l'anno scorso, cinque anni dopo la valanga che l'aveva distrutto. O, senza andare lontano, al Tonini. Io penso che un nuovo Pian dei Fiacconi lo potremmo rivedere forse tra sei, otto anni». Le. Po.
L’Adige | 7 Gennaio 2020
p. 14
«Ristori anche per i rifugi alpini»
Chiusure L'appello dell'Uncem anche per le circa 150 strutture trentine
I ristori promessi dal governo devono riguardare anche i rifugi alpini di tutta Italia, comprese le circa 150 strutture trentine. A chiederlo ufficialmente è l'Uncem, l'Unione nazionale dei Comuni, delle Comunità e degli enti montani, d'intesa con le Associazioni di rappresentanza di questi fondamentali riferimenti per le zone montane del Paese. «Mentre il Parlamento si appresta a individuare nuove forme di ristoro per le attività economiche chiuse o duramente colpite dall'emergenza Covid-19 - si legge in una nota - chiediamo a Governo e Parlamentari di affrontare con massima urgenza la problematica dei rifugi alpini che finora non hanno beneficiato di alcun intervento di sostegno. Si tratta di un pezzo importante dell'economia montana che chiede delle puntuali azioni politiche». Delle 1.500 strutture nazionali circa 150 sono sul territorio provinciale e rappresentano una risorsa da vari punti di vista: turistico, ovviamente, ma anche ecologico, storico e culturale. «I rifugi non hanno beneficiato di ristori in quanto questi sono stati calcolati sul fatturato dei primi mesi del 2020 quando queste strutture non erano aperte o con flussi turistici fortemente ridotti. In altri casi, non è stato possibile fare richiesta di bonus ristoranti o bar da parte dei gestori a causa di codici ateco primari non rientranti in quelli beneficiari di sovvenzioni legate all'emergenza sanitaria». ha sottolineato Roberto Colombero, Presidente Uncem Piemonte, in rappresentanza di tutto il settore. «I rifugi erano inoltre esclusi dai potenziali beneficiari del "bonus ristoranti", il contributo a fondo perduto per gli acquisti di prodotti di filiere agricole e alimentari locali. Una anomalia grave, stante il fortissimo radicamento territoriale di queste strutture, che per tradizione e cultura utilizzano solo materiali locali nelle loro preparazioni». Uncem ritiene importante si possano avviare iniziative di supporto per tutti i comparti e gli operatori economici delle aree montane, compresi i rifugi alpini gestiti, «perché ciascuna località montana e ciascuna valle ha precise vocazioni che vanno riconosciute e potenziate».
Corriere delle Alpi | 7 Gennaio 2020
p. 9
Chiedono ristori anche i 1.500 rifugi: «Mai visto un euro»
BELLUNO Tutti alla caccia di ristori. Anche i rifugi alpini, «che finora non hanno beneficiato di alcun intervento di sostegno», denuncia l'Uncem, l'unione nazionale dei comuni, delle comunità e degli enti montani. «Chiediamo», spiega Uncem, « di affrontare con la massima urgenza la problematica che riguarda 1500 strutture, rifugi e punti tappa escursionistici gestiti. Si tratta di un pezzo importante dell'economia montana che chiede attraverso Uncem puntuali azioni politiche».I rifugi non hanno beneficiato di ristori in quanto calcolati sul fatturato dei primi mesi del 2020 quando queste strutture non erano aperte o con flussi turistici fortemente ridotti. In altri casi, non è stato possibile fare richiesta di bonus ristoranti o bar da parte dei gestori a causa di codici ateco primari non rientranti in quelli beneficiari di sovvenzioni. I rifugi erano inoltre esclusi dai potenziali beneficiari del bonus ristoranti.«Una anomalia grave stante il fortissimo radicamento territoriale di queste strutture, che per tradizione e cultura utilizzano solo materiali locali nelle loro preparazioni», sottolinea l'Uncem.Il ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà, fa sapere di aver voluto, su questo tema, un incontro con la viceministra al Mef, Laura Castelli, che sta lavorando con estrema attenzione, col sottosegretario Riccardo Fraccaro e il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli.«Il Governo», assicura, « è al lavoro per garantire ristori adeguati alla montagna e, come già annunciato nel mese precedente, all'interno del prossimo decreto ristori saranno messe in campo misure precise per gli operatori del settore che hanno subìto ripercussioni a causa dell'emergenza Covid».D'Incà specifica che il Governo e i parlamentari del Movimento 5 Stelle, che sono portatori delle istanze della montagna, comprendono le difficoltà attraversate dal settore turistico e «continueranno a lavorare giorno dopo giorno per raggiungere la migliore soluzione che possa dare sostegno agli impianti rimasti fermi, ristoranti e bar, senza creare disparità».L'assessore regionale al Turismo, Federico Caner, prende atto di questi impegni.«Vanno nella direzione giusta», riconosce, «purché i tempi di erogazione siano veloci così da evitare che queste attività duramente colpite dalla pandemia chiudano per sempre».Come accade per altre attività stagionali o per alcuni prodotti particolarmente richiesti in alcuni mesi dell'anno, la montagna in quattro mesi si gioca il fatturato di un anno. «Dunque, se per effetto della pandemia queste attività non potranno ripartire», conclude Caner, «allora è corretto intervenire con una risposta che sia adeguata e veloce. Eventuali ritardi nell'erogazione dei ristori rischiano di avere gravi riflessi non solo sulla stagione invernale, ma anche su quella estiva. Scenario da scongiurare» .Non è ancora chiara, in ogni caso, la configurazione che prenderà il nuovo decreto ristori. Tre gli assi di intervento ipotizzati: i ristori perequativi per le attività colpite, le norme per facilitare i piani di ristrutturazione e liquidazione delle imprese e un fronte fiscale. Non solo soldi, quindi. Bisognerà vedere se prevarrà la linea di una rateizzazione soft dei pagamenti dovuti sostenuta dal Pd o la linea del M5S che chiede un intervento straordinario con sconti fiscali per il 2021. --francesco dal mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 13 Gennaio 2021
p. 11
I rifugisti: «Sarà difficile riaprire per l'inverno»
Gianluca De Rosa BELLUNO Tra i rifugisti bellunesi serpeggia il malcontento. Si avverte un clima di tensione in uno dei comparti più colpiti dalla serrata invernale. Per alcuni di loro la chiusura degli impianti sciistici ha rappresentato un'ulteriore mazzata agli incassi, anche nei momenti in cui era possibile muoversi sulle Dolomiti.Il quadro della situazione è presto delineato dal presidente di Agrav Mario Fiorentini che annuncia.«Molti, ormai, pensano di saltare completamente la stagione invernale. Un rifugio, infatti, non è in grado di aprire da un giorno all'altro. Per riavviare l'attività dopo un lungo periodo di stop, come quello che intercorre tra la fine della stagione estiva e l'inizio di quella invernale, servono giorni, ma soprattutto soldi. Qualche esempio? Solo di riscaldamento, durante l'inverno arriviamo a spendere anche trecento euro a settimana. Qualcuno si è munito di impianti più moderni, in grado di raggiungere temperature accettabili in poche ore, ma anche in questo caso non ci si sottrae molto facilmente a bollette salate. C'è poi tutto il discorso dei rifornimenti. Con o senza teleferiche, d'estate è più semplice raggiungere un rifugio per portare su le vivande. Basta una jeep e il gioco è fatto. D'inverno lo scenario cambia radicalmente, se poi pensiamo a quello che sta succedendo proprio in questi giorni col discorso del maltempo, riesce fin troppo facile farsi un'idea della situazione. Aggiungerei che solo per pulire un parcheggio dalla neve, di questi tempi, servono tra i 1.500 e i 2 mila euro. E poi un rifugio non si regge in piedi aprendo un giorno sì e un giiorno no, così come non si regge facendo qualche caffè. La nostra attività deve essere programmata per un periodo lungo e qui si viaggia a vista. Per questo, ma ci sarebbero altri mille motivi, gran parte dei rifugisti potrebbero saltare la stagione».Un discorso a parte lo meritano i rifugi collocati lungo le piste da sci. «Inevitabilmente sono quelli che hanno pagato lo scotto maggiore», spiega Fiorentini, «sono, quelli, infatti, i rifugi che d'inverno restano solitamente aperti quattro mesi in aggiunta ai tre mesi e mezzo estivi. Ci sono molti rifugi, prettamente alpini, che per via della particolare posizione geografica durante l'inverno restano chiusi. La situazione sulle piste è diametralmente opposta. Va anche detto che gran parte dei rifugi situati lungo le piste da sci non hanno più le caratteristiche tipiche del rifugio alpino, ma assomigliano sempre di più ad alberghi, con spa e camere doppie con bagno interno. Sono strutture private, periodicamente oggetto di investimenti, anche importanti, proprio perché il movimento che vi gira attorno è considerevole». «Oggi», insiste, «non esiste più una classificazione che certifica l'origine di un rifugio, ma fino a qualche anno fa quasi tutti i rifugi situati lungo le piste da sci avevano perso le caratteristiche del rifugio alpino diventando rifugio escursionistico. Una catalogazione che ha permesso ai titolari di muoversi con maggior disinvoltura. Attorno a quella classificazione c'è una partita che si sta giocando ormai da troppo tempo. Una partita che ha creato disomogeneità al comparto, ma questa non vuole essere una polemica. Bisogna capire che i rifugi sono molto diversi l'uno dall'altro. Costringerli in un comparto unico, soprattutto in questo momento, non aiuta a trovare una soluzione che metta tutti d'accordo». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 21 Gennaio 2021
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«A Pian dei Fiacconi rischio alto. Dico no ad una nuova cestovia»
il rifugista Guido Trevisan, titolare del rifugio Pian dei Fiacconi, che è stato distrutto recentemente da una valanga di neve sulla Marmolada, dichiara un rotondo no alla nuova cestovia in progettazione. Il motivo? Il pericolo valanghe, la difficoltà di accesso per ragioni di sicurezza, e tutta un'altra serie di ragioni. C'era un impianto di risalita, fino al settembre 2019, una cestovia appunto. Era obsoleta ed è stata chiusa. Verrà sostituita da una nuova struttura. Ma ci sono problemi di sicurezza. «Nell'analisi della sciabilità della zona, affidata all'ingegner Andrea Boghetto, che partecipa all'attuale progettazione del nuovo impianto della ditta Funivia Fedaia Marmolada dei fratelli Mahlkencht, si legge tra le varie cose», spiega Trevisan, «che "ipotizzando per il futuro un ottimistico raddoppiamento dei passaggi a seguito del progetto di sviluppo e che il passaggio degli sciatori si distribuisca in ugual modo su tutti gli impianti, si trova un valore medio di 200 mila passaggi per impianto, valore sostanzialmente inferiore al limite di sopravvivenza e sostenibilità economica dell'iniziativa di realizzazione di impianti pesanti". Non solo, nella stessa relazione si evidenzia che "d'altra parte i vincoli tecnici, normativi e le attuali preferenze della clientela escludono a priori il ricorso ad impianti leggeri"». Replica Trevisan: «Da ingegnere mi chiedo come un tecnico possa firmare la sicurezza di un impianto e ancor di più una pista in un sito per il quale basta sfogliare l'archivio provinciale delle valanghe per rabbrividire». Secondo il rifugista «è sufficiente visionare le carte della pericolosità e la carta di sintesi della pericolosità del territorio provinciale di Trento approvate il 4 settembre 2020 e in vigore dal 2 ottobre 2020, per vedere come tutta 14