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UNIVERSITA’ DELLA MONTAGNA: LA PROPOSTA
Corriere del Veneto | 8 Gennaio 2020
p. 7, segue dalla prima
Montagna, serve un ateneo a 360 gradi Editoriale a cura di Matteo Righetto
Sto seguendo con grande interesse e vivo coinvolgimento la discussione e gli interventi sorti intorno alla proposta di una «Università della Montagna» lanciata dal direttore di questa testata. Si tratta di un’idea tempestiva e di assoluta rilevanza che personalmente ritengo necessaria per rilanciare Cortina d’Ampezzo e il territorio diffuso delle Dolomiti bellunesi come punto di riferimento internazionale sui temi e le grandi sfide che nei prossimi anni attendono la montagna.
Al di là però dei legittimi e condivisibili entusiasmi subito manifestati dal mondo della politica e delle imprese, mi sento in dovere di fare alcune osservazioni personali in merito alla questione. Come accennavo poc’anzi, credo che al di là della indiscutibile vetrina cortinese sarebbe anzitutto opportuno pensare a una istituzione decentralizzata e capillare sul territorio in modo da poter contribuire a risollevare l’intera area dolomitica del Veneto, da anni pesantemente colpita da una durissima crisi economica e demografica ulteriormente accelerate prima da Vaia e poi dalla pandemia di questi mesi. Da più parti è stata citata l’Unimont come modello di riferimento, e credo sia corretto dare il giusto merito a una realtà, come quella di Edolo, che già da diversi anni si distingue in ambito nazionale come polo di didattica e sviluppo specializzato nella complessità geografica del territorio montano. Detto questo, sono convinto che per presentarsi come lungimirante e ambiziosa, l’idea dell’Università della Montagna non debba essere desiderata come mero organismo in grado di formare professionisti capaci di gestire e valorizzare le risorse agro-silvo-pastorali e ambientali del territorio montano, poiché questo di per sé non sarebbe affatto ambizioso. Penso piuttosto a una realtà che si proponga di ripensare concretamente il futuro della montagna a trecentosessanta gradi, attraverso una visione sistemica capace di affrontare i problemi più gravi e urgenti delle Terre Alte a partire proprio dai mali che le affliggono: spopolamento progressivo, crisi economica, abbandono delle valli, difficoltà di accesso alla sanità, solitudine e marginalità di alcune comunità montane a scapito di altre subissate da un turismo di massa non più sostenibile. In tal senso è necessario formare figure professionali in grado di gestire le potenzialità inespresse di un territorio molto complesso con una mission votata alla biodiversità, alla sostenibilità, allo sviluppo sociale e quello culturale tout court. Una vera e propria Accademia, quindi, come giustamente suggerisce il Presidente della Regione Zaia e come la vorrebbe anche l’onorevole De Menech, da istituirsi con lo scopo di curare e promuovere la montagna e la provincia della montagna in una prospettiva interdisciplinare e realmente ecologista, considerando quindi un dialogo aperto e costruttivo tra i diversi saperi, perché ciò che a noi montanari serve oggi è una una sorta di Rinascimento culturale per la Montagna. E io qui lo voglio dire chiaramente. Allo sviluppo di tale progetto dovrebbero pertanto contribuire economisti, storici, letterati, geografi, geologi, climatologi, scienzati, forestali, naturalisti e tutti coloro i quali abbiano capacità, competenze e visioni innovative per rilanciare il territorio in quota conciliando nuove energie sociali, modelli virtuosi di gestione e sviluppo della montagna, istanze climatiche e ambientali, e soprattutto la cultura come volano economico e produttivo possibile. A questo proposito penso al ruolo fondamentale che potrebbe avere la Fondazione Dolomiti Unesco (brillantemente diretta in questi anni da Marcella Morandini) il cui obiettivo è esattamente quello di valorizzare il patrimonio e i valori universali delle Dolomiti promuovendo e svolgendo attività nei campi educativi, culturali e scientifici e ponendo l’accento sulle interrelazioni tra economia, paesaggio montano, umanesimo e scienza. Dunque l’Università della Montagna non dovrebbe offrire soltanto corsi di laurea, post lauream, master, ma realizzarsi concretamente come occasione di confronto e discussione permanente sul futuro della montagna. Un laboratorio di riflessione analisi e proposta, capace di ripensare con coraggio a nuove relazioni tra economia e società montana facendo necessariamente i conti con una nuova e decisiva consapevolezza ecologica e culturale. Solo così tale Università potrà dirsi realmente innovativa ed esemplare .
Corriere del Veneto | 3 Gennaio 2020
p. 30
«L’Università della Montagna motore di rilancio e sviluppo»
Stefano Bensa CORTINA (Belluno)
Un modello da cui trarre spunto esisterebbe già. Ed è l’Unimont di Edolo, il centro di formazione e ricerca sul territorio montano attivato nel Bresciano in collaborazione con l’Università di Milano. Un’esperienza innovativa che potrebbe essere sviluppata anche a Cortina, dando impulso a quella «Università della Montagna» che farebbe della Regina delle Dolomiti un punto di riferimento internazionale. Costituendo anche un antidoto contro lo spopolamento e un propulsore per il rilancio economico. Riscuote consensi l’idea lanciata dal direttore del Corriere del Veneto , Alessandro Russello, nel volume «Cortina 2021, Regina dello Sport. Il libro dei Mondiali di sci alpino» (Morellini editore). A cominciare da un fronte bipartisan rappresentato dal presidente della Regione Luca Zaia e dal deputato bellunese del Pd Roger De Menech, presidente del Comitato paritetico per la gestione dei fondi destinati ai Comuni di confine. «Grazie ai Mondiali 2021 di sci e alle Olimpiadi invernali del 2026 Cortina è già un’accademia dello sport. Per cui non vedo perché non possa diventare un’Accademia della montagna, considerate anche le Dolomiti patrimonio Unesco», afferma Zaia. Il governatore, in questo senso, immagina un modello finanziariamente solido («e che goda di donazioni importanti») sviluppato tramite «interlocuzioni con altre Università». Non una struttura indipendente, insomma, ma il prodotto di accordi con uno o più atenei, beneficiando delle rispettive specializzazioni. Un po’ come la vorrebbe anche De Menech che, non a caso, cita proprio il modello Unimont di Edolo. «Immagino collaborazioni con Padova, Venezia e Verona, ma pure con Trento e Bolzano. Un’esperienza di rete spiega - che tratti ogni aspetto della realtà e delle prospettive della montagna. Vale a dire non solo turismo ma agricoltura, sostenibilità ambientale, rischio idrogeologico, tecnologia e infrastrutture. Qualche esperienza ci appartiene già, come gli investimenti nell’hub digitale post-laurea di Feltre finanziato con i fondi per i Comuni di confine». Quanto alla sede, tuttavia, il parlamentare Dem riterrebbe più favorevole una collocazione a Belluno, «magari recuperando una struttura già esistente». Oppure, come sostiene Fabrizio Dughiero, docente di Ingegneria Industriale all’Università di Padova, «partire da ciò che c’è già». Ossia dal quel Centro Studi sull’Ambiente Alpino attivato dal Bo a San Vito di Cadore, alle porte di Cortina. «Immagino un polo didattico che non guardi al solo turismo: il Bellunese - dice Dughiero - è ricco di importanti aziende manifatturiere e ad alta tecnologia, potremmo avviare un centro per l’innovazione montana. Pensi soltanto alla logistica, agli impianti di risalita, a quelli per l’innevamento. Proprio a Cortina abbiamo portato i corsi del “Contamination Lab”, il progetto di contaminazione multidisciplinare organizzato dall’Università di Padova. La città si presterebbe bene a corsi di alta formazione su ambiente, fonti rinnovabili, produzione... Inoltre Cortina è un brand di richiamo, e che dispone - questione fondamentale - della fibra ottica». Quanto alla sede, si potrebbe sfruttare il villaggio olimpico, o una parte di esso, che verrà allestito per le Olimpiadi. Ne è convinto Dughiero («mi auguro che se ne tenga conto in sede di progettazione») così come Roberta Alverà, presidente dell’Associazione Albergatori della Regina delle Dolomiti. Che si dichiara «assolutamente favorevole» all’Università della Montagna, anche per rilanciare «un’economia troppo fragile». «Nel 2020 - spiega Alverà - il Bellunese ha perso mille residenti. E spesso non riusciamo a trattenere i nostri giovani». Secondo l’imprenditrice - che cita la sede bellunese della Luiss di Milano, focalizzata soprattutto su tematiche turistiche - il nuovo ateneo dovrebbe sì abbracciare competenze legate all’accoglienza, «ma dovrebbe farlo a 360 gradi». «Turismo significa anche architettura, ambiente e infrastrutture. Specie adesso che, con il Covid, una realtà come la nostra potrebbe attrarre le tante persone in fuga dalle grandi città». Secondo l’avvocato ed ex deputato Maurizio Paniz, invece, l’Università dovrebbe puntare tutto sull’industria turistica. «In un mondo che cambia rapidamente è l’unica risorsa non esportabile. Un’azienda può essere trasferita ovunque, le nostre montagne no». Paniz cita l’esempio degli astucci per gli occhiali («erano un nostro patrimonio, oggi si fabbricano in Cina. Persino Luxottica ha aperto stabilimenti in quel Paese») e pensa ad un modello «realizzato in partnership con altre Università», un po’ come successo a Treviso «grazie alla lungimiranza di un uomo illuminato come Dino De Poli». Quanto alla sede, anch’egli è convinto che Belluno sarebbe il luogo ideale. «È una città capoluogo, dispone di ogni servizio e sarebbe facilmente raggiungibile». Ma su questo ci sarà modo di discutere.
Corriere del Veneto | 5 Gennaio 2020
p. 6
Ora atti concreti per l’Università della Montagna Si moltiplicano gli interventi di adesione all’idea lanciata dal Corriere del Veneto per fare di Cortina e delle Dolomiti un alto centro di formazione. Ma ora serve un «soggetto» che trasformi l’idea in realtà
Gentile Direttore, ho letto con interesse il suo intervento su Cortina, sui prossimi grandi eventi sportivi e sulle opportunità da cogliere per favorire un rinascimento della montagna (bellunese), sfatando una volta per tutte miti e stereotipi che per troppo tempo ne hanno frenato lo sviluppo. Come scrive giustamente, abbiamo bisogno di «una visione lunga per una scommessa ambiziosa». Ma è doveroso iniziare da ciò che già esiste, valorizzandolo e mettendolo a sistema. Non partiamo da zero. Concordo, in particolare, con la sua proposta di una Università in Montagna, più che della Montagna. Ne apprezzo soprattutto il principio ispiratore: ovvero rendere le Terre Alte luoghi di cultura, di 7
sostenibilità e di innovazione, capaci di farsi promotori di un linguaggio universale attraverso le proprie bellezze, le proprie diversità, le proprie specificità. La cultura della montagna e la cultura in montagna sono sfide possibili e realizzabili, ma serve determinazione e chiarezza di obiettivi. Bisogna soprattutto rivedere – o quanto meno integrare – un modello di sviluppo esistente e radicato e creare nuove opportunità, fuori da stucchevoli luoghi comuni. L’Associazione che rappresento si è impegnata – anche quando in pochi ci credevano – per portare a Belluno la Luiss Business School, un polo di eccellenza internazionale a servizio dell’intero Nordest per far crescere la qualità del capitale umano: una sfida fondamentale per l’economia del XXI secolo. Alla fine ce l’abbiamo fatta e il nostro capoluogo- è in rete con le altre sedi di Roma, Milano e Amsterdam. Attività specifiche sono previste anche a Cortina e alcune in vista dei prossimi grandi eventi sportivi. Le prime iniziative formative sono partite già in primavera, e nonostante il lockdown hanno avuto grande successo, segno che anche la montagna può essere un luogo di cultura e di alta formazione, anche a servizio delle aree metropolitane e della pianura. La stessa pandemia che stiamo vivendo ci porta a riconsiderare gli spazi e le distanze, a cogliere elementi – proprio come la bellezza dei luoghi e la loro sostenibilità – che prima sembravano sfuggire ai più. Oggi siamo chiamati alla svolta: i Grandi Eventi – Mondiali di Sci e Olimpiadi 2026 nel nostro caso – non devono essere un fine ma un mezzo per lo sviluppo, sostenibile e inclusivo, delle Terre Alte. Per farlo servono innanzitutto infrastrutture materiali e immateriali adeguate: strade, ferrovia e banda larga. Ma anche manutenzione e programmazione del territorio: i recenti eventi metereologici – per non citare sempre Vaia - hanno confermato le nostre fragilità. Con Fondazione Enel stiamo portando avanti un progetto pilota a livello nazionale sulla resilienza ai cambiamenti climatici: ci piacerebbe che da questa esperienza nascesse un’iniziativa strutturale, un centro di ricerca internazionale su queste tematiche sempre più strategiche che potrebbe avere sede proprio a Cortina d’Ampezzo. E’ inoltre fondamentale, per la montagna, sviluppare l’economia della conoscenza e favorire la trasformazione tecnologica, creando ecosistemi dell’innovazione che accrescano l’attrattività del territorio anche per talenti e investimenti. Anche su questo Confindustria Belluno Dolomiti sta lavorando da tempo. Tutto ciò non è incompatibile con il turismo, anzi. Lo stesso turismo, infatti, è cambiato: è più maturo, consapevole e sempre di più proiettato a un’autentica dimensione «culturale». I turisti chiedono di vivere esperienza a 360 gradi, scoprendo tutte le specificità e i patrimoni (anche industriali) dei luoghi che visitano. Concordo quindi con Lei direttore. Anzi la ringrazio di aver lanciato una proposta di questo tipo che considera la nostra montagna come cuore pulsante del territorio, e non come parco divertimenti per gli abitanti della pianura. Ripartire dalla cultura in questo 2021 è necessario, farlo in una montagna fragile e soggetta a spopolamento è imperativo. Per essere viva, la montagna deve innanzitutto vivere. *Presid. Confindustria Belluno Dolomiti
Corriere del Veneto | 6 Gennaio 2020
p. 6
«Da Cortina alla laguna: costruiamo il terzo vertice del nuovo Triangolo» Turismo, ambiente e tecnologia Docenti, politici, imprenditori
«Mondiali di sci del 2021 a Cortina e sfida olimpionica del 2026 rappresentano un’importante occasione per contribuire a dare identità e sostanza progettuale, al terzo vertice del nuovo ‘Triangolo’ dello sviluppo, con Lombardia ed Emilia Romagna. Quel nodo veneto di rango metropolitano, dalle Dolomiti alla laguna, che ancora manca e che gli darebbe la densità e la considerazione necessaria per attrarre persone e investimenti (pubblici e privati) e per essere magliato nella rete di nodi europea. Collegandolo a una tramatura di reti e infrastrutture strategiche in Italia e nel mondo, senza la quale la capacità di ripartire e di performare di quest’area rischia di rimanere inibita. È la veduta lunga a cui dobbiamo lavorare tutti, con lo spirito di costruttori evocato dal Presidente Mattarella». Il Presidente di Assindustria Venetocentro Leopoldo Destro, interviene nel dibattito seguito alla proposta lanciata dal Corriere del Veneto di una Università della Montagna a Cortina, capitale delle Dolomiti e possibile centro focale di un’operazione nella quale potrebbero confluire i contributi scientifici (e non solo) di atenei già esistenti, fondazioni, imprese, categorie. Un’Università vocata ad un’alta formazione legata al turismo, al paesaggio, all’ambiente, alla tecnologia. Il dibattito in atto ha sollevato il coperchio su una realtà spesso frammentata e apparentemente «laterale» e che proprio grazie alla neo centralità di Cortina mondiale e olimpica ha aperto un faro sul futuro per capitalizzare tutto ciò che va oltre gli eventi sportivi. «Ricordate le Olimpiadi invernali di Torino 2006? - si chiede Destro - Le diedero una diversa e più ampia percezione di sè, le fecero conoscere una insospettata vocazione attrattiva, non solo turistica ma culturale, insediativa, tecnologica. Anche grazie a quella esperienza olimpica, Torino intraprese una feconda discontinuità, strutturandosi come area metropolitana, aperta, internazionale ed inclusiva. L’intuizione lanciata dal direttore del Corriere del Veneto Alessandro Russello mi ha riportato alla memoria quell’esperienza. Oltre la proposta di un’Università “della” Montagna e “in” Montagna, da approfondire valorizzando l’esistente e l’auspicabile sinergia degli Atenei del Nordest, essa ripropone a mio avviso con forza la necessità di costruire in Veneto quel polo urbano di rango metropolitano che è in grado di porsi come naturale vertice del ‘nuovo Triangolo’, connesso con l’intero Veneto, includendo tutte le sue componenti e specificità territoriali, con l’Europa e il mondo. Può e deve essere l’occasione per ripensare l’organizzazione del nostro territorio, renderlo più efficiente ed attrattivo. Le infrastrutture e il sistema di trasporto, le reti della conoscenza, la digitalizzazione 8