WSA 2017- 2018 "Partnership. Partecipazione e comunità"

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REALIZZATO GRAZIE AL CONTRIBUTO DI

DOSSIER A CURA DELLA

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Testi e cura redazionale: Miriam Rossi

COMUNE DI TRENTO REGIONE AUTONOMA TRENTINO-ALTO ADIGE AUTONOME REGION TRENTINO-SÜDTIROL REGION AUTONÓMA TRENTIN-SÜDTIROL

COSTRUIRE RELAZIONI DI COMUNITÀ

Un incontro inaspettato in Kenya el 1997 aiutavo un prete nella parrocchia di Nyahururu, in Kenya. Sono andato a benedire una casa e ho incontrato una donna che mi chiedeva di benedire tutto: gli animali, i campi, tutte le stanze della casa… ma ho notato che una porta rimaneva chiusa. Sentivo un rumore dietro alla porta e quando la donna è uscita per andare a preparare il tè, l’ho aperta. Un cattivo odore è la prima cosa che ricordo, una stanza buia. La luce che entrava dalla porta mi ha permesso di vedere un uomo seduto sui suoi escrementi, nudo. Era visibile una grave disabilità.

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Sono rimasto impietrito, incapace di andare verso l’uomo o di chiudere la porta. In quel momento la donna è tornata. Eravamo entrambi imbarazzati. Disse che quell’uomo era suo figlio. Le ho chiesto se voleva che lo benedissi. Era sorpresa. Come potevo benedire una maledizione? Le ho detto che suo figlio non era una maledizione e che potevo anche battezzarlo. Ho proposto di chiamare i vicini per celebrare il battesimo ma ha rifiutato: nessuno sapeva della sua esistenza. Questo incontro inaspettato fu un punto di svolta nella mia vita. L’uomo e io avevamo la stessa età, en-

trambi nati nell’aprile del 1965, ma le nostre vite erano profondamente diverse. Quando sono nato mia madre era fiera di me, la sua si vergognava di lui. Nessuno di noi aveva meriti o colpe per avere due vite così diverse. La mia era piena di esperienze: la formazione in varie scuole, sport e divertimenti in vari luoghi, relazioni con amici, ma la sua era stata vissuta in una piccola stanza buia. Thomas, questo è il nome che ha ricevuto quando lo ho battezzato, è

morto poche settimane dopo il nostro incontro. Ma non è morto invano. Dopo quel giorno un gruppo di volontari si è riunito per andare a trovare Thomas. Non ha detto una parola, non ha neanche mostrato di rendersi conto della loro presenza, ma gli ha cambiato il cuore e li ha spinti a iniziare il Programma Comunitario per le Persone con Disabilità. In questo modo Thomas è uno dei fondatori del Saint Martin. don G. Pipinato Tratto da “L’infinito bambino” Ed. Massaggero Padova

INSERTO al n. 16 DI VITA TRENTINA

22 aprile 2018

L’incontro con Thomas ha dato vita al Saint Martin, spingendo il primo gruppo di volontari a chiedersi quante persone come lui fossero presenti nella parrocchia. La scoperta di 1300 persone con disabilità li ha interrogati: “Come era possibile che tutte queste persone vivessero fra loro senza che nessuno sapesse della loro esistenza?”. Dovevano fare qualcosa per rendere la comunità consapevole della presenza di tanti “Thomas” e assicurare loro una vita dignitosa. Nel 1997 il Kenya si stava preparando per le

elezioni politiche, e questo è sempre un periodo difficile per il Paese. Ci furono molte proteste per cambiare la costituzione e la tensione continuò a salire fino a quando i cittadini, anche a Nyahururu, cominciarono a usare la violenza per essere ascoltati e farsi giustizia da soli, violando spesso i diritti umani, soprattutto dei più vulnerabili.

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di don Gabriele Pipinato *

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Solo con la comunità


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vita trentina

L’EDITORIALE

Solo con la comunità >>>

dalla prima

Poco dopo Grace, una ragazza con disabilità mentali, fu violentata ripetutamente e lasciata morire da un gruppo di uomini. I poliziotti si rifiutarono perfino di aprire un’indagine: non avevano tempo da perdere visto che Grace non era “normale”. Un gruppo di volontari decise di fare qualcosa e organizzò una formazione su diritti umani e non violenza attiva. Molti andarono poi nei villaggi per far capire che c’era un modo alternativo per risolvere i conflitti rispettando i diritti umani. Così è nato il Programma Comunitario per la Non Violenza Attiva e i Diritti Umani. Nel 1999, quando fu chiaro che l’HIV/AIDS poteva cancellare un’intera generazione, provocando molte vittime giovani e lasciando molti bambini orfani, la comunità si rivolse al Saint Martin. Un giorno arrivarono cinque fratelli a chiedere aiuto. Erano affamati e la mamma era morta di AIDS il giorno prima. A quel tempo le cure erano molto costose e i familiari di chi contraeva il virus erano vittime di pregiudizi. Per questo quei bambini non avevano nessuno che si prendesse cura di loro. Nello stesso tempo si comprese che c’era una connessione tra AIDS e abuso di alcool e droga. Un gruppo di volontari si riunì per capire come aiutare gli ammalati e anche i familiari, colpiti indirettamente dalla malattia, e decise di attivarsi per affrontare i due problemi. Nacque quindi il Programma Comunitario per l’AIDS e l’abuso di alcool e droga. Era un momento importante per il Saint Martin perché lo spirito del volontariato stava mettendo radici e tutte le attività venivano realizzate da volontari che stavano acquisendo le competenze necessarie per rendersi utili a favore dei più deboli. Lo stesso anno ci fu una forte siccità e improvvisamente ci furono tanti bambini in cerca di cibo nelle strade di Nyahururu. Dopo una prima azione urgente di sostegno alimentare nelle scuole, si capì che bisognava pensare a una soluzione più duratura, soprattutto per i bambini che non avevano una casa dove ritornare. Nacque così il Programma Comunitario per Bambini di Strada e si costruì un centro di riabilitazione per accogliere almeno i ragazzi. Purtroppo l’anno successivo Rose Wanjiku, una bambina bellissima che viveva in strada e che ci aveva chiesto di essere accolta, fu violentata da tre uomini, strangolata a morte e lasciata sulla strada. La sua morte violenta ci ha spinto ad aprire un altro centro per le bambine che abbiamo chiamato Saint Rose in sua memoria. A quel punto abbiamo anche capito che il nostro impegno non si sarebbe

esaurito con le emergenze, ma che avevamo la possibilità di incidere e trasformare la società intorno a noi. Abbiamo riflettuto sulla nostra identità, su quale fosse il nostro sogno e su come volevamo realizzarlo, definendo la nostra “vision” (la comunità al centro), e la nostra “mission” (l’impegno a costruire comunità e a promuovere solidarietà e amore al suo interno). Gradualmente ci siamo accorti che il nostro target erano più gli “abili” e solo indirettamente i nostri beneficiari. Eravamo chiamati ad aumentare la capacità dei volontari e di tutte le persone all’interno delle comunità che avevano talenti e risorse per condividerle con i vulnerabili. In modo da averlo sempre ben chiaro abbiamo riassunto tutto ciò nel motto “SOLO CON LA COMUNITÀ”. All’inizio di tutto, quando incontrammo Thomas con il primo gruppo di volontari, questo non disse una parola, eppure cambiò il cuore di tutti noi e vi seminò un germe. Quel germe era il desiderio che ci spinse a iniziare a mobilitarci. Morì poco dopo il nostro incontro, ma non prima di avere compiuto la sua missione. È Thomas il fondatore del Saint Martin che adesso si occupa di molte altre fragilità ed è cresciuto con quasi duecento dipendenti e più di mille volontari. L’intuizione è la stessa: non solo “fare del bene ai poveri”, ma cambiare la vita di tutti partendo dalle fragilità più evidenti per giungere a quelle nascoste nel cuore di ognuno di noi. È palese che il povero ha bisogno di aiuto, ma non è altrettanto evidente che anche il ricco ha bisogno del povero. Questo mistero di attivazione è vero anche nelle nostre comunità. Due anni fa ho celebrato il funerale di Lucia, una donna che mi era tanto cara, mamma di tre bambini meravigliosi. I due anni che hanno preceduto la sua morte sono stati un tempo di grande debolezza. Ma da ben prima della sua morte si è creata una catena meravigliosa di affetto e solidarietà attorno a questi bambini e al loro papà. Vedo qui la potenza della comunità che germoglia proprio dall’impotenza e che per me è il segno più vero del Vangelo. Quei tre bambini e quel papà ne avevano immenso bisogno, ma anche Michela, una di coloro che si è fatta prossimo diventando solidale con loro, ne ha avuto un gran bene. Me lo raccontava qualche giorno fa: “Ho iniziato a dare una mano per generosità, ma è stato solo il primo passo: adesso vivo una comunione profonda con ognuno di loro e anche la mia famiglia si è allargata in una condivisione che ci fa tanto bene”. La sfida per tutti noi è trovare delle strade per vivere la bellezza di queste nuove relazioni di comunione anche dove le mamme rimangono vive, grazie a Dio. Ma saranno sempre strade di fragilità, anche se meno evidenti, quelle che ci sono nel cuore di tutti e che hanno bisogno di nuove relazioni di comunione. don Gabriele Pipinato missionario Fidei Donum e fondatore del Saint Martin CSA (Apostolato Sociale Cattolico) in Kenya

Comunità è una seconda casa, nella quale ti devi sentire accolto e aiutato. Infatti in una comunità, che può essere sportiva, scolastica, religiosa..., devi sempre sentirti a tuo agio. Damiano

La comunità è un gruppo di persone che condivide un interesse o uno scopo comune e ogni individuo che la compone è unico e indispensabile. Carlotta Per me comunità significa unione, rispetto e aiuto reciproco, che avviene attraverso i piccoli gesti di vita quotidiana. Ognuno fa la sua parte con lo scopo di raggiungere un obiettivo comune. Eleonora La comunità per me è tutta la gente che incontro e le persone con cui vivo, perché possiamo collaborare e ci possiamo aiutare per il bene di tutti. La nonna di uno studente

Le frasi sono dei ragazzi e delle ragazze del Liceo A. Maffei di Riva del Garda


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IL TEMA VERSO UN VERO PARTENARIATO TRA ISTITUZIONI E CITTADINI

Partecipazione e comunità uardando l’Agenda 2030 e i diciassette obiettivi emerge evidente il tipo di sistema globale che si vuole costruire e la necessaria collaborazione ad essa prestata dalla comunità, in poche parole la sua partecipazione. Già precedentemente l’ONU aveva richiesto l’attivazione della comunità mondiale per il buon raggiungimento degli obiettivi che ci si era posti. Oggi però, in un mondo sempre più globalizzazione e interconnesso, si desidera un ulteriore passo avanti: la stipula di un vero partenariato tra istituzioni, intesi come amministratori del pubblico, e cittadini. Solo lavorando insieme si potranno raggiungere i grandi obiettivi che ci si è posti. E lavorare a braccetto sarà possibile solo se i cittadini prendono

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parte a un processo che li riconosce, li legittima, dà loro il potere di decidere o di influenzare le decisioni. Più potere significa maggiore responsabilità, significa anche comprendere il contesto incerto e complesso nel quale si è immersi, significa assumersi dei rischi che è proprio ciò che il cambiamento del sistema globale impone: diventare cittadini del mondo, prima che esserlo, e farsi carico del bene comune per soddisfare bisogni propri e della comunità tutta. Partecipare presuppone, infatti, relazioni e queste si costruiscono, non sono un dato. Nascono dal bisogno di stare insieme, di sentire di appartenere a un luogo, di trasmettere quei molteplici interessi che quel territorio e quella comunità esprimono. Questo disegno comporta un necessario ripensamento della comunità, che non è solo il contesto dove agiscono individui e gruppi umani, né solo una risorsa, bensì è un soggetto attivo del cambiamento.

Una riunione di gruppo foto L’Archè/Kenya Occorre allora necessariamente individuare quali risorse deve possedere una comunità per poter effettivamente agire in tal senso e da dove attingerle, crescerle o anche costruirle. Una riflessione quanto mai attuale e che in queste pagine sarà affrontata fornendo informazioni, ricostruendo esperienze e sollevando quei tanti

il tema

Wsa: si parla di “partnership” Nel pross i m o quinquennio, World Social Agenda (WSA) svilupperà percorsi legati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile adottati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 2015

e che configurano le linee guida dell’azione globale di sviluppo fino al 2030. I cinque pilastri, sui quali sono innestati i diciassette obiettivi, sono ciascuno espressi attraverso una parola che curiosamente inizia con la lettera P: Partnership (partenariato), Planet (pianeta), People (uma-

quesiti che inducano a lavorare insieme, a livello globale, nei prossimi anni per realizzare i diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile. PER APPROFONDIRE www.worldsocialagenda.org/ wsa-2018-2022

nità), Prosperity (benessere), Peace (pace). Nell’anno scolastico 2017-18 che sta volgendo alla sua conclusione, la WSA ha approfondito il tema della “partnership”, intesa sostanzialmente come partecipazione e comunità. La riflessione nello specifico ha interessato sia il come, ossia il metodo attraverso il quale costruire processi partecipati e condivisi per l’adozione di decisioni comuni (Obiettivo 11), sia il dove questo sistema si realizza, ovvero all’interno dei luoghi di vita delle persone (Obiettivo 17).

SI PARLA DI PARTECIPAZIONE E DI COMUNITÀ

MODIFICARE L’ATTUALE MODELLO DI SVILUPPO

Il percorso culturale 2017/2018

Sviluppo globale sostenibile? Sì, grazie

uest’anno la World Social Agenda, un percorso culturale di educazione, sensibilizzazione e informazione che Fondazione Fontana svolge con cadenza annuale, su temi di carattere sociale e internazionale, ha coinvolto:

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I 17 macro obiettivi delle Nazioni Unite

WSA & SCUOLE Il percorso ha accompagnato gli insegnanti e gli studenti delle scuole superiori del Trentino nell’elaborazione del tema della partecipazione attraverso riflessioni, laboratori ed espressioni video-artistiche. WSA & COOPERAZIONE INTERNAZIONALE La Carta di Trento è un documento scritto a più mani da organizzazioni che a diverso titolo si occupano di cooperazione internazionale, in un tentativo di rilettura della stessa. Nel 2018 la Carta si arricchirà della sezione relativa al rapporto tra la cooperazione internazionale e comunità. WSA & TERRITORIO Il progetto si rivolge alla cittadinanza trentina con incontri pubblici sul tema dei beni comuni, dello sviluppo di comunità, della partecipazione e con il seminario del 18 maggio “Cooperazione internazionale e comunità”. SEGUI LA WORLD SOCIAL AGENDA ANCHE SU FACEBOOK!

no sviluppo sostenibile è possibile? Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite sì, ma occorre modificare completamente l’attuale modello di sviluppo, tanto sul piano ambientale quanto su quello economico e sociale. Sulla base di questa convinzione, nel settembre 2015 i 193 capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’ONU hanno adottato l’Agenda 2030, un piano globale per lo sviluppo sostenibile che include 17 macro-obiettivi, 169 traguardi e 240 indicatori del raggiungimento degli stessi. In sostanza, si è fatto tesoro dell’esperienza della precedente campagna per il raggiungimento degli 8 Obiettivi del millennio (anni 2000-2015) e ne sono stati ampliati alcuni aspetti, o introdotti di nuovi. Oggi tutti gli Stati sono chia-

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mati a compiere uno sforzo comune sul piano della sostenibilità, senza più distinzione tra Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo, anche se evidentemente le problematiche possono essere diverse a seconda del livello di sviluppo conseguito. Termine ultimo per il raggiungimento degli obiettivi? Il 2030, un anno non così tanto lontano... PER APPROFONDIRE consulta il tema “obiettivi per lo sviluppo sostenibile (agenda globale 2030)” sul sito Unimondo.org al link: www.unimondo.org/Guide/Sviluppo/ Obiettivi-per-lo-Sviluppo-Sostenibile-Agenda-Globale-2030


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vita trentina Documentario, 52’, 2017 regia di Marco Zuin e musiche di Bottega Baltazar prodotto da Fondazione Fontana Onlus con FilmWork srl

L’ESPERIENZA

“NIENTE STA SCRITTO” AL TRENTO FILM FESTIVAL

Andare oltre

DEL SERVIZIO DI SALUTE MENTALE DI TRENTO

Fare assieme? Fare in grande!

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iente sta scritto” non vuol dire “possiamo fare tutto”. Questo film vuole narrare l’accettazione di un limite. La consapevolezza di un disagio. La disabilità non è una cosa positiva. Non è neppure una tragedia. È una condizione di difficoltà che però non pregiudica la propria realizzazione. Non cancella, ma può esaltare i propri desideri. Può spingere ad andare “oltre”. La disabilità dipende anche dal contesto. Non riguarda solo la menomazione fisica o la malattia. Coinvolge fattori “esterni”: il territorio in cui si vive, l’efficienza dei servizi (non solo sanitari), le relazioni personali, la coesione sociale; insomma la qualità della vita di una comunità. La relazione sincera con la persona vulnerabile, insieme con il riconoscimento e l’accettazione della vulnerabilità di ognuno, anche della propria, riesce paradossalmente a indurre un processo di miglioramento individuale e comunitario. Questa visione può sconcertare il senso comune, perché fa a pugni con la generale concezione del bene privato di ognuno, con la logica efficientista Verrà proiettato basata sulla corsa a produrre e a consumare sempre alla 66ª edizione del Trento Film Festival. Proiezioni all’interno della sezione ORIZZONTI VICINI

l’appuntamento

30 APRILE 2018 ore 15.15 Cinema Modena, Sala 2

Dare voce a utenti e familiari finisce per dare più sapere e salute a tutti, e più qualità al sistema e alle sue prestazioni

3 MAGGIO 2018 ore 19.15 Cinema Modena, Sala 1

Il protagonista del documentario, Piergiorgio Cattani, e il suo accompagnatore Hicham Idar

di Paola Nardon * l fareassieme è l’approccio nato nel 1999 nel Servizio di salute mentale di Trento, sulla base della convinzione che dare voce a utenti e familiari avrebbe dato più sapere e salute a tutti, più qualità al sistema e alle sue prestazioni. I suoi principi-cardine possono sintetizzarsi in: 1. Credere che tutti possediamo un sapere.Per gli utenti e i familiari il sapere deriva dall’esperienza acquisita convivendo con il disturbo psichico, per gli operatori dagli studi e dalla pratica professionale. Riconoscendo e valorizzando i reciproci saperi diventiamo tutti più sapienti. 2. Credere nel valore della responsabilità personale.Per tutti, anche per la persona che vive le più grandi difficoltà, investire in responsabilità significa investire in salute e benessere. 3. Credere che il cambiamento sia sempre possibile.La sofferenza psichica è un evento della vita che possiamo affrontare e superare. 4. Credere che ognuno abbia delle risorse e non solo dei problemi. Ciascuno dentro di sé troverà le proprie. Sono stati per primi i gruppi di automutuoaiuto a coinvolgere negli anni più di 700 persone in un’ottica di confronto, protagonismo e supporto su bipolarità, depressione, ansia e il sentire le voci.

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Anche i cicli di incontri con i familiari, offerti più volte all’anno come opportunità di ascolto e condivisione con gli operatori, hanno consentito uno scambio di saperi e al contempo una trasformazione di tanti familiari disperati-arrabbiati in protagonisti dei processi (più di 500). Numerose sono poi le iniziative di sensibilizzazione sullo stigma e sui pregiudizi promosse dal Gruppo Giù la Maschera, molto attivo negli Istituti superiori della città di Trento. Inoltre, la disponibilità di cittadini-volontari ha consentito la creazione di un gruppo di supporto e accompagnamento agli utenti che ne gradiscono la presenza: un’amicizia che fa bene ad entrambi, un modo per fare contaminazione. Gli UFE (Utenti e Familiari Esperti) sono indubbiamente il biglietto da visita principale del fareassieme. Si tratta di tutti quegli utenti e quei familiari del Servizio che hanno acquisito consapevolezza del proprio sapere esperienziale e della possibilità di fornirlo agli utenti e ai familiari in carico sotto forma di prestazioni riconosciute, a fianco degli operatori, in tutte le aree di attività. Sono dei professionisti “esperti per esperienza” e sono formalmente riconosciuti dall’Azienda sanitaria e monetizzati per le loro prestazioni, in quanto ritenuti elementi fondamentali per migliorare l’adesione ai trattamenti e per ottimizzare i percorsi di cura. Oltre a queste esperienze, il fareassieme ha pervaso altre aree del Servizio di salute

Gli UFE (Utenti e Familiari Esperti) sono indubbiamente il biglietto da visita principale del fareassieme

Vuoi con o questsacere esperien za?

Partecip al semin a ario

mentale. Ad esempio, a Trento c’è un da parte di volontari competenti Reparto psichiatrico ospedaliero nell’area di lavoro specifica di - vedi p ag. XII “no restraint” (ossia senza quanti non sarebbero in grado di contenzioni fisiche) e con le porte entrare nei percorsi di inserimento aperte (uno dei pochi presenti in Italia). Inoltre, lavorativo ordinario. nell’ottica di far assumere all’utente un ruolo Tante esperienze, quelle del sempre meno passivo, si sta puntando a far vivere fareassieme, tutte belle ma, specialmente all’inizio, insieme gli utenti senza operatori presenti sulle 24 legate tra loro da fili troppo labili per essere visti e ore ma solo per alcune ore alla settimana; o anche riconosciuti. Con gli anni i fili si sono ispessiti alla condivisione di un appartamento con 1 o 2 diventando sistema che ha qualificato le offerte e le rifugiati politici in una esperienza unica in Italia prestazioni del Servizio. L’approccio del fareassieme che in 3 anni ha coinvolto più di 100 utenti, ha scosso il sistema e il suo modo tradizionale di migliorando la qualità della vita per tutti e lavorare, facendo della condivisione con utenti e riducendo drasticamente i costi del servizio. familiari e della creazione di reti comunitarie dei Infine, anche l’ambito lavorativo è stato punti di riferimento imprescindibili per mettere in interessato dal fareassieme con la presa in carico campo sistemi di cura efficaci e di alta qualità. * Area del fareassieme del Servizio di salute mentale

Una UFE parla della sua esperienza con alcuni alunni

attivismo L’attivismo può essere definito come un’attività finalizzata a produrre un cambiamento sociale o politico attraverso l’azione. A volte è inteso come sinonimo di sola protesta o di dissenso, ma è riduttivo fermarsi a queste categorie. Se fino a poco tempo fa parlando di attivismo si pensava subito ai volontari delle organizzazioni ambientaliste e ai movimenti femministi e pacifisti, oggi la diffusione di internet e la facilità di mettersi in rete con altre persone hanno favorito nuove forme di attivismo, accomunate da quello che potremmo chiamare un “dissenso creativo” chiaramente esplicitato nei confronti della società o di alcune sue norme. SCHEDA CONSULTABILE sul sito Unimondo.org al link www.unimondo.org/Guide/Politica/Attivismo


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vita trentina

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I primi arrivi nell’agosto 2015

Qui Roncone

Per le foto si ringrazia l’Associazione culturale More

“E se fossero i miei figli?” ome organizzare la prima accoglienza di persone in fuga da guerre o alla ricerca di una vita migliore? A Roncone, frazione di Sella Giudicarie, agli inizi del 2015 il Consiglio pastorale dell’Unità “Cristo Acqua Viva” (che associa le 4 comunità parrocchiali di Breguzzo, Bondo, Roncone e Lardaro) ha fatto la prima mossa, proponendo alle autorità provinciali di accogliere in paese una famiglia o un gruppo di profughi e costituendo allo scopo un Comitato per l’apertura di una casa inutilizzata dell’Ente Sordomuti. “E se fossero i miei figli?” era la domanda che sorgeva in cuore alla vista delle scene degli sbarchi sulle coste italiane di migliaia di disperati in fuga da condizioni di vita impossibili. La risposta non è stata data a parole ma con i fatti, attraverso il progetto “ApriAMOci” gestito dall’associazione More. Il 24 agosto 2015 sono dunque arrivati a Roncone i primi 12 ospiti: ragazzi nigeriani sbarcati a Lampedusa poche settimane prima. Oltre all’insegnamento intensivo della lingua italiana, molto presto i giovani sono stati coinvolti in un laboratorio di riparazione delle biciclette offerto da una ditta del posto. Al di là delle attività, obiettivo dell’iniziativa era l’apertura della mente e del cuore della cittadinanza alla tragica realtà di una buona fetta del mondo, arrivata a bussare per chiedere aiuto anche ai piccoli paesi di montagna del Trentino. Inizialmente non sono mancate le polemiche, alimentate da correnti xenofobe: al tentativo di impedire l’apertura della casa che ospita i richiedenti asilo è seguito anche un grave atto intimidatorio con danneggiamenti alla stessa. Il modello di accoglienza, però, ha funzionato e la conoscenza dei giovani ospiti in attesa del riconoscimento internazionale ha sollevato tanta ge-

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di più e sempre più velocemente. La vulnerabilità va così scartata, eliminata. Nel film le difficoltà non sono nascoste, ma neppure moltiplicate o presentate come insormontabili. La guarigione dell’individuo e della società passa attraverso la capacità personale di mettersi in gioco ma anche attraverso una comunità accogliente e solidale. dal libretto di “Niente sta scritto” su comunità e disabilità

Qui Ala

ome impedire che il pregiudizio diventi un ostacolo all’incontro con i migranti e rischi di alimentare diffidenza e paura? Su proposta del Cinformi, l’amministrazione di Ala ha scelto di consentire agli 8 giovani richiedenti asilo alloggiati sul territorio di prendersene cura, avviando una attenta azione di verniciatura di panchine e steccati dislocati sul lung’Adige. Tra una chiacchiera dei passanti, un tè di ristoro e un prestito di materiali utili, i cittadini hanno curiosamente iniziato a percepire la presenza di questi stranieri come parte del tessuto locale e il comune ha optato per rinnovare l’esperienza per il 2018 alzando la posta in gioco con una richiesta di maggiore integrazione. Per favorire una conoscenza vera, il Patto di collaborazione prevede di coinvolgere nell’attività di verniciatura anche i volontari del Circolo Anziani di S. Margherita, dell’associazione Peter Pan, del gruppo Scout di Ala, del Gruppo Gestione del Campo Sportivo di S. Margherita e di Avio Solidale, e di qualsiasi altro cittadino abbia intenzione di unirsi al gruppo. Una rete si è dunque creata e, ogni 15 giorni, si incontrerà per lavorare insieme in base alle esigenze del

il bilancio Facendo un bilancio dei due anni e mezzo del progetto: 3 9 dei primi 12 ragazzi accolti oggi lavorano in altrettante aziende giudicariesi; 3 5 di loro hanno una abitazione autonoma da normali inquilini; 3 Alcuni hanno superato il primo livello di apprendimento dell’italiano e frequentano corsi presso la scuola pubblica e la scuola guida; 3 3 famiglie rifugiate hanno messo qui le loro radici contribuendo alla vitalità dei servizi comunali.

I richiedenti asilo con il vescovo Lauro Tisi il 31 agosto 2016 La consegna dei diplomi di saldatore

nerosità e promosso relazioni di reciproco rispetto. Oggi altre case, oltre a quella di Roncone, sono state rese disponibili in Giudicarie per i richiedenti asilo e altri enti e amministrazioni comunali si sono messi in gioco. La Croce Rossa e poi la cooperativa Nircoop si sono succedute nel compito di gestione delle case di accoglienza; la cooperativa Cluster ha inoltre attivato un progetto di inserimento lavorativo dei ragazzi nel settore del recupero dei materiali di scarto. Ritenendo raggiunti gli obiettivi del progetto, a fine febbraio l’associazione More ne ha avviato uno nuovo denominato “Incontro con l’altro”, in risposta ai bisogni ulteriori rispetto alla prima e alla seconda accoglienza. L’intento dichiarato è, infatti, quello di creare occasioni di incontro e di dialogo fra persone di diversa provenienza, coinvolgendo i giudicariesi di lunga data e i “nuovi” giudicariesi, immigrati e richiedenti asilo che, diventati rifugiati, decidono di rimanere nel territorio che li ha accolti. In tal modo si guarda al futuro, nel quale la convivenza di culture e fedi diverse non sarà più emergenza ma normalità. E sarà questa “accoglienza reciproca” la chiave di un nuovo modello di benessere per tutti.

Al lavoro contro il pregiudizio

PER MAGGIORI INFORMAZIONI www.associazionemore.wordpress.com.

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Qui Mori Accoglienza

non è emergenza. Ecco la rete diffusa Il prendersi cura dei beni comuni ha consentito di far collaborare le associazioni del territorio col fine condiviso di integrare i richiedenti asilo nel tessuto sociale cantiere comunale. Un fare che appare più una scusa per conoscersi e creare relazioni effettive, come ci spiega Daniel Lobagueira, l’energico operatore del Cinformi/ Punto d’Approdo che accompagna i richiedenti asilo nel loro percorso. “Proprio il prendersi cura dei beni comuni

ha consentito, infatti, di raggiungere anche l’obiettivo di far collaborare le associazioni del territorio, di fargli fare rete e di ritrovare motivazione, col fine condiviso di integrare i richiedenti asilo nel tessuto sociale. Il lavoro non è affatto il fine del progetto ma il mezzo attraverso il quale si riesce a instaurare un rapporto. Il sapere chi sei, il riconoscersi, il chiamare una persona per nome anziché parlare generalmente di ‘profughi’ è il primo passo per l’integrazione, e soprattutto per annullare i pregiudizi”.

al 2015 a Mori, in Vallagarina, su stimolo dell’amministrazione comunale e di alcuni volontari, si è costituito un Coordinamento delle attività di accoglienza che coinvolge, oltre alle organizzazioni che su incarico di Cinformi favoriscono l’inserimento nelle comunità dei richiedenti asilo, anche molte altre realtà ecclesiali e di impegno sociale. Affrontare la questione della disponibilità di alloggi, della formazione linguistica e professionale, delle attività sociali dei giovani provenienti principalmente da Costa D’Avorio, Mali, Pakistan, Ghana e Nigeria va di pari passo con una informazione corretta sul fenomeno migratorio e con il coinvolgimento della comunità per favorire la conoscenza e dunque una migliore interazione sul territorio. Ecco che proprio la rete diffusa creata fornisce soluzioni ancor prima che il problema diventi effettivamente tale e, di fatto, oggi la gestione moriana costituisce un fiore all’occhiello della Provincia.

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L’ASSOCIAZIONE Il Saint Martin Csa in Kenya l Saint Martin CSA (Catholic Social Apostolate) è un’organizzazione che dal 1997 lavora a Nyahururu, sugli altopiani del nord del Kenya, per offrire un sostegno concreto alle persone più vulnerabili all’interno di quelle comunità. Il lavoro è organizzato in programmi specifici che si occupano di bambine e bambini svantaggiati, vittime di abusi, violenze e ingiustizie, disabili, persone affette da HIV/AIDS o dipendenti da alcol e droghe. Il focus degli interventi sta nella promozione della solidarietà all’interno delle stesse comunità, coinvolgendo e formando persone capaci di prendersi cura direttamente e gratuitamente di coloro che hanno più bisogno. Un lavoro che ha dato buoni frutti in quanto si contano più di 1000 volontari, tutti locali, e oltre 3000 beneficiari dei progetti all’anno.

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i numeri PROGRAMMA PER BAMBINI/BAMBINE IN STATO DI BISOGNO l più di 400 bambini/e vulnerabili sostenuti e accompagnati nel reinserimento sociale; l 103 genitori coinvolti; l 4.000 persone sensibilizzate e coinvolte in campagne di mobilitazione di risorse. PROGRAMMA PER PERSONE CON DISABILITÀ l 1.000 bambini/e con disabilità ricevono un sostegno riabilitativo e un accompagnamento nell’inserimento scolastico; l oltre 300 genitori coinvolti; l oltre 1.000 persone sensibilizzate e coinvolte in campagne di mobilitazione comunitaria di risorse. PROGRAMMA SULLE DIPENDENZE E SU HIV/AIDS l più di 700 orfani a causa dell’Aids seguiti dal programma; l oltre 500 persone sieropositive hanno beneficiato dei servizi di counselling; l più di 1.000 test per l’HIV eseguiti; l quasi 300 persone in trattamento per dipendenze da alcol.

Fondazione Fontana collabora con il Saint Martin CSA sostenendo le sue attività e facilitando lo scambio tra la comunità trentina e quella kenyana

Vuoi conosc questa ere esperienza ?

Partecipa al seminari o - vedi pag . XII -

PROGRAMMA PER LA PACE E LA RICONCILIAZIONE l 266 persone sopravvissute ad atti di violenza; l 400 studenti formati per individuare le violenze e le violazioni dei diritti umani; l 6.000 persone sensibilizzate e coinvolte in campagne di mobilitazione comunitaria di risorse.

Provincia Autonoma di Trento, la Regione Trentino Alto Adige e il Comune di Trento sostengono questa realtà virtuosa del Kenya.

SVILUPPO DI COMUNITÀ IN ECUADOR

I campesinos della Valle di Manduriacos Ecuador si trova la Corporación Talleres del Gran L’Ecuador è un Paese “mega-diverso”, con circa 46 – Manduriacos, una cooperativa di contadini ecosistemi vegetali differenti e concentrazione di IchenValle promuove attività di sviluppo a favore di 14 comu- corsi d’acqua. Nonostante le leggi tutelino la bionità, dove 600 famiglie meticce e afro-ecuadoriane coltivano a 1200 metri di altitudine. Fu fondata nel 1998 da un gruppo di contadini intenzionati a liberare la popolazione dal dominio di latifondisti e intermediari, mediante lo sviluppo di un’economia comunitaria fondata sulla valorizzazione delle risorse locali. Attraverso una resistenza lenta, pacifica e orgogliosa, nel tempo sono state sviluppate piccole cooperative per la produzione e vendita a livello locale di cereali, frutta, latticini e di tre varietà di legumi, i fagioli bayo, neri e allegri (una “anomalia” botanica perché crescono di vari colori sulla pianta), introdotti in Italia nel circuito del commercio equo e solidale da Altromercato. È grazie a un progetto di cooperazione allo sviluppo finanziato dalla Provincia autonoma di Trento che Mandacarù onlus ha potuto sostenere i contadini di Manduriacos, mediante la realizzazione di essiccatori per i legumi e di attività di formazione per il rafforzamento delle loro capacità produttive.

diversità, la sovranità alimentare e l’agricoltura familiare, interessi economici potenti e la presenza di minerali e petrolio nel sottosuolo hanno spinto il governo centrale a favorire accordi con multinazionali. Proprio nella valle di Manduriacos, dagli anni ’90 hanno tentato di insediarsi l’impresa giapponese Bishimetals, la canadese Ascendant Copper e la cilena Codelco, tentativi a cui la comunità locale ha opposto una strenua resistenza per le conseguenze ambientali, economiche e sociali catastrofiche, in particolare per la deforestazione massiva e la desertificazione. Un’opposizione “costruttiva” basata sulla creazione di alternative allo sfruttamento minerario, tra cui la produzione di caffè e legumi, e lo sviluppo di artigianato e turismo comunitario. Un’alternativa del tutto sostenibile e, soprattutto, vincente. Beatrice De Blasi responsabile educazione Mandacarù Onlus

L’ESPERIENZA/1

JACKSON MUTO SI RACCONTA

“Il mio percorso come volontario nella comunità” i chiamo Jackson Muto e ho 27 anni. Sono diventato volontario da giovanissimo, subito dopo aver completato la scuola media. Alcuni membri dello staff del Saint Martin erano venuti a presentare l’associazione e i suoi progetti ai fedeli della mia chiesa e in quell’occasione ho sentito l’impulso di mettermi a disposizione dei più vulnerabili: ho quindi dato la mia disponibilità. Ho però iniziato a dubitare della mia scelta già quando stavo partecipando alla prima formazione. Tutti gli altri volontari erano ben più grandi di me, avevano esperienze e sembravano più adatti a ruoli di responsabilità. Col passare del tempo, mi sono reso conto che mi piaceva la compagnia degli altri volontari nelle riunioni e ascoltare le loro esperienze; però, ogni volta che tornavo a casa e cercavo di andare in visita ai beneficiari, esitavo. È stato solo dopo diversi tentativi che ho acquisito un po’ di coraggio e ho iniziato ad avvicinarmi ai bisognosi del mio villaggio. Alcuni di loro mi hanno accolto e hanno accettato il mio aiuto, altri invece hanno esitato forse per la mia giovane età o forse per altre ragioni che non ho ben identificato. Ho conti-

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nuato a riportare i miei successi e insuccessi nelle riunioni periodiche del Saint Martin e a ricevere incoraggiamenti da parte degli altri volontari e dallo staff. Col tempo sempre più persone hanno iniziato ad apprezzare la mia azione e a richiedere il mio supporto; chiaramente questo mi ha dato coraggio nel proseguire la mia azione. Presto ho capito una cosa fondamentale: erano i beneficiari che mi stavano aiutando. Stavo condividendo con loro la mia vita, raccontavo i miei sogni e le aspirazioni e ricevevo un amorevole ascolto, incoraggiamenti e anche le promesse di pregare per me. Senza rendermene conto, mi sono trovato profondamente coinvolto in quasi tutte le attività del villaggio. Gli anziani e il capo villaggio hanno iniziato a delegarmi alcune responsabilità sociali, definendomi “dotato”, il che mi sembrava incredibile dato che non mi ero mai considerato una persona speciale. A cinque anni di distanza da questi fatti, lavoravo per il Dipartimento giovanile del Ministero. Anche se non possiedo una formazione

Attività di gruppo al Saint Martin Csa a Nyahururu, Kenya formale, l’esperienza come volontario al Saint Martin mi ha fatto ottenere un lavoro interessante e che amo svolgere. I vari corsi di formazione per volontari che ho seguito nel programma si sono rivelati molto utili per acquisire le abilità che utilizzo oggi nel mio lavoro. Per questa ragione, anche se oggi ho un mucchio di impegni, ho scelto di continuare come volontario in modo da poter mantenere le capacità e l’attitudine a mettermi al servizio degli altri.


VII

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vita trentina

IL DOCUMENTARIO DI MARCO ZUIN E LUCA RAMIGNI

Me, we - Only through Community 11 aprile è stato proiettato al cinema Vittoria di Trento, per gli studenti e i docenti del percorso di formazione di Fondazione Fontana, il documentario Me, We - Only through community, alla presenza del regista Marco Zuin e del co-sceneggiatore Luca Ramigni. L’occasione è stata ghiotta per porre loro alcune domande.

L’

Partecipazione nelle scuole a Nyahururu

Cosa rappresentano il Me e il We del titolo? Il documentario racconta 11 personaggi e le loro storie di cambiamento, che partono da singole esperienze personali per raggiungere un carattere universale. Me (Io) rappresenta ciascuno di essi (bambini di strada, persone con disabilità, ex dipendenti da alcool o droghe, i più di mille volontari), e ogni storia è parte di un We (Noi), la comunità che ha intrapreso un percorso straordinario verso il cambiamento.

Proiezione del documentario al cinema Vittoria di Trento

Un cambiamento quindi indotto dalla comunità. Se doveste descrivere in poche parole l’approccio di comunità che avete documentato? “Nessuno è così povero da non poter donare, nessuno è così ricco da non poter ricevere”, è il principio fondatore del St. Martin e che ne regola le attività. Un principio che è davvero proficuo far proprio per eliminare quella frattura fra chi dà e chi riceve, e comprendendo che esiste uno scambio continuo tra beneficiario e operatore, che arricchisce di continuo entrambi.

All’interno del documentario si vede, infatti, che è la comunità stessa a farsi carico dei bisogni dei suoi membri attraverso i mezzi (anche miseri) di cui dispone. Ci potete dire qualcosa in più? È stato davvero interessante poter raccontare queste storie di scambio

comunità Il termine “comunità” appartiene al linguaggio corrente ma anche al linguaggio di molte discipline, con significati tecnici e complessi. Comunità è un ponte interpretativo, perno per concetti chiave che ne costituiscono anche i principi di funzionamento, che riaccendono l’attenzione sull’importanza delle relazioni comunitarie nella società contemporanea. Anche se il termine rimane critico nella sua capacità analitica, le discussioni che evoca continuano a essere importanti e difficili da circoscrivere. Staff dell’impianto di essiccazione e confezionamento di Manduriacos foto ©Beatrice De Blasi

SCHEDA CONSULTABILE SUL SITO UNIMONDO.ORG AL LINK www.unimondo.org/Guide/Politica/Comunità

tra l’unicità del singolo (con le sue competenze e fragilità) e le risorse della comunità ben più grande di appartenenza (con la sua ricchezza e i suoi problemi). Potremmo dire che questa esigenza di coinvolgimento dell’altro è emersa anche dal crowdfunding attivato per la realizzazione del documentario: 145 tra uomini e donne del Saint Martin ma anche loro parenti, amici e simpatizzanti, hanno messo a disposizione circa 600 euro per le spese di realizzazione di Me We, pari al 10% dell’intero importo. Il documentario è stato girato nel 2013. Oggi la riflessione che voleva portare è ancora valida? Senza dubbio Me We continua a veicolare un messaggio fondamentale: “Io sono disposto a mettermi in gioco? Tu sei disposto a che gli altri si prendano cura di te?”. l

Una comunità nelle baraccopoli di Nairobi Nairobi tutto concorre a dividere la gente e a creare conflitti, specie nelle baraccopoli: la lotta per le scarse risorse accessibili, la politica basata sulle identità e appartenenze etniche, il modello neo-liberista a cui fa comodo avere un eccesso di manodopera disponibile a basso costo, la violenza e la corruzione diffusa. Può esistere allora uno spazio di partecipazione per una trasformazione verso condizioni più umane? L’esperienza del movimento dei residenti delle baraccopoli ci mostra che è possibile, anche se molto difficile. Dalla seconda metà degli anni ‘90 si è andato consolidando, organizzandosi per resistere agli sgomberi forzati, rivendicare il diritto ad una dimora decente per ogni famiglia e poi realizzare la riqualificazione delle baraccopoli. Si tratta di persone semplici che ogni giorno si occupano di cose concrete, sul territorio, nel loro vicinato. Esperienze che crescono dal basso, a partire da piccoli gruppi che si collegano, hanno degli scambi, intessono reti di solidarietà, includendo partenariati con istituzioni, società civile, organizzazioni internazionali. Così negli anni sono sorte alcune esperienze di riqualificazione delle baraccopoli. Cominciano dal basso, con un esercizio di mappatura fisica e sociale degli insediamenti fatta dagli stessi residenti. Oltre a documentare lo stato di fatto,

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Kibera, baraccopoli di Nairobi questo esercizio li aiuta a varcare i tanti confini che li separano – sociali, culturali, politici, religiosi – e ad incontrarsi, scoprendo quello che hanno in comune e che può aiutarli a sviluppare relazioni costruttive. Lo scoglio più arduo è forse quello del conflitto tra proprietari delle baracche e inquilini (80% dei residenti). Dove sono riusciti a sostenere un dialogo, a sentire che le difficoltà e le aspirazioni erano comuni, e soprattutto che o si vinceva assieme, o si perdeva tutti, lì è avve-

nuta una grande trasformazione. I proprietari si sono resi conto che anche loro erano molto precari per la mancanza di garanzie che proteggessero il loro investimento abusivo; hanno ridotto le loro pretese per poter ottenere il titolo legale di proprietà e il valore aggiunto che sarebbe venuto dalla riqualificazione. È la solidarietà tra vicini che porta a pensare e agire in termini di comunità e a dare la priorità alla vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. Nei momenti più difficili, di

tensione e paura di perdere il proprio tornaconto, di reazioni violente o prepotenti, i gesti di solidarietà, di cura della fragilità dell’altro, di condivisione aiutano a mantenere viva la propria umanità e a ricercarla nell’altro. Costruendo fiducia, le comunità riescono ad organizzarsi, a negoziare con le autorità pubbliche e ottenere spazi e servizi di urbanizzazione. Il sostegno di vari organismi della società civile è fondamentale per la progettazione partecipata della riqualificazione e per sostenere il sistema di micro-credito con il quale la gente finanzia l’auto-costruzione delle case. Non è stato facile per i residenti convincersi a lottare per la propria dignità. Perché c’è il rischio di indebitarsi nello sforzo di auto-costruzione, o che l’aiuto reciproco non basti. La democrazia diretta nell’insediamento può essere manipolata o creare conflitti, così come la corruzione e la tentazione di far soldi rapidamente possono rovinare tutto. Ma il sogno in cui credono ha dato loro determinazione, creato nuove relazioni, fiducia, autostima e capitale sociale per provarci. È bello vedere che diversi ci siano riusciti. Frate Alberto Parise missionario comboniano in Kenya

L’ESPERIENZA/2

IL MOVIMENTO DEI RESIDENTI CI MOSTRA CHE È POSSIBILE


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I NUMERI DELLE ATTIVITÀ

L’OPINIONE

La Wsa entra nelle scuole del Trentino

LA CLASSE: PICCOLA COMUNITÀ, CON PREGI E DIFETTI

“A scuola si costruisce comunità?”

La WSA quest’anno ha coinvolto: l l l l

6 scuole in 21 incontri: Liceo Rosmini di Rovereto, Liceo Da Vinci di Trento, Liceo Maffei di Riva del Garda, Enaip di Tione, Liceo Bonporti di Trento, Liceo Vittoria di Trento; 18 classi, per un totale di 327 studenti partecipanti; Più di 30 insegnanti coinvolti sul percorso e nelle attività annuali; 8 esperti per la formazione agli insegnanti e agli studenti: Mauro Milanaccio, psicanalista, sul tema “Comunità e partecipazione: identità, alterità, investimenti di responsabilità verso se stessi e verso i gruppi di riferimento”. Vincenzo Passerini, presidente del CNCA, sul tema “Comunità e partecipazione nella realtà trentina”. Marianella Sclavi, sociologa, sul tema “Ascolto attivo, mediazione creativa, umorismo: gli ingredienti che trasformano la scuola in occasione di crescita, conoscenza e costruzione di leadership che promuovono l’intelligenza collettiva”. Federico Zappini, project manager all’interno di Impact Hub Trentino, ha parlato di “Comunità e territori: vicinato, social street, città e periferie, relazioni, reti, mobilitazioni, senso civico”. Luca Cometti, Marta Nuresi, Claudia Giglioli e Bruna Feller, educatori di Laboratori di Educazione al Dialogo (LED), hanno lavorato sulle dinamiche dello stare con se stessi e in un gruppo perché “senza relazione non sei niente”, come predica il fondatore dell’associazione, padre Livio Passalacqua.

chiesto ai formatori: “Secondo voi, a scuola si costruisce comunità? E che rapporto esiste con il territorio?”. A bbiamo BRUNA FELLER (Laboratori di Educazione al Dialogo-LED) “Il famoso detto di Confucio ‘se faccio, capisco’ ci aiuta a comprendere che proprio dalla scuola si inizia a costruire comunità. Infatti, una comunità nasce e cresce partendo dalle piccole cose, nel momento in cui si lavora ad un progetto comune, nel quale tutti possono portare il loro contributo e dove ognuno si sente accolto e vede valorizzate le proprie competenze. Questo accresce il legame tra i suoi membri, attivando un circolo virtuoso che pone le basi per un concreto miglioramento delle relazioni all’interno della società.” FEDERICO ZAPPINI (Impact Hub Trentino) “Ho avuto il piacere di poter incontrare scuole e territori tra loro molto diversi. Non esistono motivi per giudicarne le differenze, le potenzialità o i limiti. Quelle differenze sono parte della loro ricchezza. Ogni classe è una piccola comunità - con pregi e difetti, generativa e conflittuale allo stesso tempo - che si confronta con le mille altre comunità che compongono la realtà, dalla prossimità fino al Mondo intero, che la circonda. Una comunità che - dove trova relazioni e linguaggi adeguati - si dota di strumenti utili per confrontarsi con la diversità, per comprendere la complessità, per condividere sogni e pratiche. Una comunità che diventa capace di disegnare il futuro.” CLAUDIA GIGLIOLI (Laboratori di Educazione al Dialogo-LED) “A scuola sicuramente si costruisce comunità: ci passiamo tutti, vi passiamo molti anni e le interazioni avvengono tra più soggetti ed a più livelli. È una comunità dinamica e generativa in cui gli studenti mi hanno trasmesso una sensazione di grande disponibilità a stare nel confronto: sguardi timidi ma incuriositi, gestualità impacciata ma relazionale, voglia di esserci e di condividere anche aspetti di sé molto profondi. Una comunità in cui favorire la trasmissione di valori come so-

lidarietà, responsabilità individuale e partecipazione ed in cui valorizzare anche gli apprendimenti non formali in modo da rendere la dinamica con il territorio più intensa e generativa. Auspicabile favorire occasioni di incontro e confronto trasversali in modo da accorciare le distanze, per favorire la nascita di una comunità territoriali più solidale, nell’interesse di tutti e di ciascuno.” (Laboratori di Educazione al Dialogo-LED)

LUCA COMETTI

“Credo che la possibilità per la scuola di costruire comunità sia legata alla possibilità che sia la comunità a poter costruire la scuola. Mi piace pensare alla scuola come un luogo abitato da persone che si prendono cura di altre persone, da adulti che scelgono di prendersi carico della crescita professionale e personale di ‘adulti in formazione’ promuovendo un apprendimento che sappia trovare un giusto equilibrio tra raggiungimento di obiettivi e qualità del percorso. Credo fortemente che se la comunità costruisce scuola favorendo l’espressione individuale in contesti di riflessione collettiva aperti al dialogo e al confronto e promuovendo modalità di apprendimento centrate sulle capacità dei singoli, getta le basi perché gli ‘adulti in formazione’ possano contribuire poi alla costruzione di una comunità sempre più in grado di potersi prendere cura dell’altro.” MARTA NURESI (Laboratori di Educazione al Dialogo-LED) “Ognuno di noi prende parte a diversi gruppi nella propria vita, a vari livelli. Qualche volta non ci pensiamo, ma uno di questi è la comunità. All’interno dei gruppi che frequentiamo, ognuno di noi porta bisogni, aspettative, risorse ed energie e ciò influenza i delicati equilibri che determinano il clima e le dinamiche relazionali nel gruppo. Questo significa che ognuno di noi ne è, almeno in parte, responsabile. Cambiando il nostro approccio al gruppo abbiamo il potere di produrre piccoli cambiamenti all’interno di esso. Possiamo allora, prendendo coscienza di ciò, sperimentare a scuola il cambiamento che desideriamo nella comunità”. l

Se la comunità fosse un colore... Sarebbe giallo, perché è il colore del sole e trasmette calore e accoglienza.

Sarebbe il verde, perché lo associo a molti filetti d’erba che insieme formano un prato. Le frasi sono dei ragazzi e delle ragazze del Liceo A. Maffei di Riva del Garda

Sarebbe il blu perché mi ricorda tante piccole goccia d’acqua, ognuna indispensabile per formare un mare. Sarebbe il viola. Il viola è l’insieme del blu, colore della pace e dell’unione, e del rosso, colore della passione e della cultura. Quindi la comunità è uguale all’unione armoniosa di persone che condividono cultura e passione.


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IX

L’ANALISI IL GIUSTO ATTEGGIAMENTO PER DISEGNARE IL FUTURO

Condividere il presente di Federico Zappini QUI E ALTROVE Nel 2000 - appena dopo il passaggio (innocuo ma iper-raccontato) del Millenium Bug, il difetto informatico che avrebbe dovuto portare al collasso del sistema della gestione mondiale dei dati virtuali - Tiscali in un suo famoso spot faceva sfoggio di tutto il repertorio dell’immaginario collegato alla prima fase, quella davvero espansiva, dell’era della rete. Una fase in cui il mito di

Aiutare e chiedere aiuto. Condividere piuttosto che possedere. Collaborare piuttosto che competere

internet sembrava capace di recuperare tutto quello che la cultura classica aveva fino a quel punto prodotto mettendola a disposizione di ogni singolo abitante di un Mondo nuovo, senza confini e senza limiti, aperto e interconnesso. “Ho visto me stesso in migliaia di mondi e più cose ho visto, più cose sono diventato”. Sono passati quasi vent’anni da quello spot e molto diversi sono oggi i sentimenti che proviamo nei confronti degli effetti di quella

stessa spinta globalizzatrice. Viviamo contemporaneamente qui e altrove e dentro questo binomio geografico/politico è in atto uno scontro tra sostenitori della società aperta e della società chiusa, con sullo sfondo un senso crescente di incertezza e fragilità dello scenario dentro il quale fino ad oggi ci siamo mossi e che - pur pieno di contraddizioni - sembrava metterci al riparo dalle turbolenze globali.Pochi pensatori, e ancor meno personalità politiche, provano ad abitare posizioni intermedie dentro questo dualismo secco, apparentemente inconciliabile. Mauro Magatti – autore tra l’altro di “Cambio di paradigma” - fa parte di questa ristretta minoranza. Offre uno sguardo altro, orientato alla definizione di confini non rigidi, ma porosi - “limes che delimitano e allo stesso tempo limen che permettono e impongono relazioni”

- come membrane cellulari che si lasciano attraversare. Abbiamo bisogno di sentirci di nuovo parte della prossimità, dei luoghi che abitiamo, delle comunità di cui siamo protagonisti quotidianamente e allo stesso tempo dobbiamo continuare a essere curiosi nel nostro continuo perderci nel mondo. Un mondo il cui instabile e fragile equilibrio siamo chiamati responsabilmente a tenere in dovuta considerazione e contribuire a gestire collettivamente. LIMITI E FUTURO Un anno prima il dj inglese FatBoy Slim (e, fin dagli anni ‘70, antropologi, climatologi, sociologi ed economisti, ovviamente con altri linguaggi e diverse profondità di ragionamento) provava a rappresentare le difficoltà della società occidentale contemporanea. Affaticata, al punto di rischiare di interrompere bruscamente e fatalmente la sua parabola evolutiva. Lo faceva nel suo video “Right here, right now”, raccontando il percorso evolutivo del pianeta e della specie umana - che si tramuta in corsa, in scatto senza limiti – e mostrando la figura di un giovane uomo in evidente sovrappeso che, dopo aver ingurgitato l’ennesima porzione di cibospazzatura, si siede spossato su una panchina di una grande città americana. Quel ragazzo, almeno in parte, siamo noi. L’arte contemporanea, la musica, ci aiutano a porci le domande giuste, mettendoci di fronte ai nostri errori, all’evidente insostenibilità del nostro modello di sviluppo.

PREMIO AL PROGETTO PAESAGGIO

Classi in concorso l

Comunità senza età, progetto di animazione intergenerazionale presso la Fondazione Comunità di Arco (classe 2A Scientifico del liceo A. Maffei di Riva del Garda);

l

Giovane-mente, progetto di dialogo interscolastico su temi di interesse culturale (classe 2A Scienze Applicate del liceo A. Maffei di Riva del Garda);

l

Paesaggio, progetto di collezione fotografica online di luoghi da visitare, condividere e di cui prendersi cura (classe 1IS del liceo A. Rosmini di Rovereto); #Cultura Bene Comune, progetto di divulgazione della cultura scientifica all’interno della scuola (classe 2EM Scienze Applicate del liceo A. Rosmini di Rovereto).

Classe 1IS del liceo A. Rosmini di Rovereto, vincitrice del concorso l

ra le proposte dalla WSA di quest’anno alle classi, anche un piccolo concorso interno: ideare e realizzare una piccola azione, di cui se ne prevedesse la sostenibilità, per attivare dinamiche di rete, partecipazione e comunità in un gruppo circoscritto (classe, scuola o quartiere). Quattro le proposte pervenute, ideate da ragazzi e ragazze delle scuole superiori della Provincia:

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Lo staff di Fondazione Fontana e la redazione di Unimondo hanno ritenuto di premiare, tra queste, la proposta “Paesaggio”, per la completezza del lavoro svolto e per le prospettive di sviluppo futuro che l’idea contiene.

Serve un salto di qualità nel nostro approccio al cambiamento, che tanto spesso evochiamo ma difficilmente pratichiamo. Dobbiamo guardare con curiosità a quella che Ulrich Beck definisce “metamorfosi del mondo” (sia che la si guardi dall’alto della globalizzazione che dal basso dei territori), costruendo forme di design civico di tipo collettivo, praticando la resilienza per saper adattarci continuamente a ciò che ci succede intorno, sviluppando forme cooperative di vita sempre più diffuse e efficaci. L’EGOISMO È FINITO Scriveva qualche anno fa Antonio Galdo, descrivendo fenomeni di collaborazione che - dentro le prime fasi della crisi economica del 2008 sempre con maggiore frequenza fiorivano in città e piccoli borghi, dentro condomini e associazioni, sotto la spinta di amministrazioni locali o gruppi informali di cittadini. Il fenomeno della sharing economy ma su base locale - o localissima - e dal forte contenuto solidale e mutualistico. Aiutare e chiedere aiuto. Condividere piuttosto che possedere. Collaborare piuttosto che competere. Si possono intravedere quindi i tratti di un movimento affatto marginale che sta prendendo forma in Italia - e non solo - negli ultimi anni. Proviene dal basso – dalla determinazione e dal desiderio di relazioni di uomini e donne – e riesce sempre più spesso a contaminare le scelte delle governance politiche e amministrative, costruendo piano piano profondi processi di collaborazione e trasformazione. Ha come parole d’ordine la condivisione, la responsabilità e si traduce in esperienze sempre più numerose di gestione di quelli che sono riconosciuti come beni comuni. Palazzi, parchi, spazi pubblici che diventano luoghi della comunità e per la comunità, di nuovo protagonista della cura e dello sviluppo di strutture che altrimenti rischierebbero l’abbandono e il degrado. Tornano di moda strumenti non nuovi – usi civici, regole, cooperative di comunità – che proprio sulla collaborazione e sulla valorizzazione delle competenze e delle proprietà collettive descrivono immaginari futuri alternativi per comunità capaci di riconoscersi e attivarsi. Fino a qui le buone pratiche. Servirà però fare un salto analitico ulteriore, tentando di mettere al centro la necessità di mettere in comune, di sviluppare relazioni significative e generative. Meccanismi che superano l’individualismo e riconoscono nella dimensione collettiva - di comunità di destino tutte da scoprire, da attivare, da verificare la necessaria condizione per immaginare, insieme, il futuro del nostro pianeta e dei suoi abitanti. l


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L’IDEA

Perché occuparsi di beni comuni? elle città italiane il numero delle Nelle città italiane persone che intendono prendersi cura di spazi o utilità di interesse cresce il numero generale è in costante aumento. Talvolta si di chi si prende tratta semplicemente di farsi avanti per contribuire alla manutenzione del parco cura di spazi pubblico sotto casa o alla verniciatura delle pareti o degli infissi di una scuola; talaldi interesse generale tra si sente l’esigenza di dare una mano nel recupero e nella gestione di un luogo o di un edificio pubblico rimasto abbandonato sono più di 150, al Nord come al Sud; e ale percepito come idoneo a ospitare nuove tri 50 stanno approvando discipline del occasioni di socializzazione. In ogni caso, tutto analoghe. Dal Rapporto Labsus l’individuazione di ciò che può fungere da 2017 sull’amministrazione condivisa dei bene comune spinge i cittadini a rendersi beni comuni si apprende che in buona particolarmente propositivi e a cercare nel- parte (43%) i patti finora conclusi non le amministrazioni locali un riconoscimen- hanno ad oggetto semplici operazioni di to specifico e un supporto logistico e ope- conservazione di “cose” di proprietà pubrativo. Perché questa alleanza si possa rea- blica. L’ambizione esplicita è rigenerare lizzare servono, tuttavia, delle regole: che quelle cose, ricollocandole in un disegno permettano alle istituzioni di qualificare e più ampio, nel quale potenziare o rendere promuovere le iniziative migliori e più so- ancor più efficaci i risultati conseguibili stenibili, nel rispetto dei principi di legali- per effetto di altre politiche pubbliche (ad tà, imparzialità e buon andamento; e che esempio, di tutela dei beni culturali o delconsentano alle comunità di essere real- l’ambiente; o di inclusione sociale di anmente protagoniste consapevoli di questa ziani, disabili o altre categorie svantagdiffusa attività di sperimentazione dal bas- giate). so delle opportunità e dei vantaggi di Da ciò si comprende che l’interesse per i un’amministrazione più partecipata e con- beni comuni è potenzialmente alto anche divisa. per gli organi e gli ufPer questa ragione, nel fici dell’amministrafebbraio 2014, l’associa- L’associazione zione, che possono zione Labsus-Laboratorio avvalersi di risorse coper la sussidiarietà e il Co- Labsus-Laboratorio noscitive e umane di mune di Bologna hanno per la sussidiarietà cui altrimenti non podato vita ad un regolatrebbero disporre, e mento-tipo, ad un testo e il Comune di che, operando in quenormativo che ogni Costo modo, possono mune – nell’autonomia Bologna hanno rendere il proprio inche gli è costituzionaltervento più efficace mente riconosciuta – può dato vita ad un e, al contempo, più leadottare allo scopo di di- regolamento-tipo gittimato e riconosciplinare sia le modalità sciuto da parte della di definizione, caso per che ogni Comune collettività politica di caso, dei “beni comuni urriferimento. In una bani”, sia gli strumenti può adottare tale prospettiva, ocpratici con cui i cittadini, cuparsi di beni comuni anche singoli, e l’ammininon significa soltanto strazione locale possono dialogare per co- creare le occasioni per l’applicazione efstruire insieme modelli di relazione e di ge- fettiva del principio di sussidiarietà orizstione concretamente adeguati. In propo- zontale (art. 118 della Costituzione); con sito, il regolamento ha previsto un istituto i beni comuni si coltiva senso di apparteparticolare, quello dei patti: accordi forma- nenza e si stimola una cittadinanza semlizzati che cittadini attivi e amministrazioni pre più delusa dalle dinamiche del puro possono stipulare allo scopo di vincolarsi circuito rappresentativo a riscoprire l’inreciprocamente alla realizzazione di uno dispensabilità e la continuità del proprio specifico progetto, stabilendo rispettivi im- ruolo. pegni e responsabilità. Ad oggi, dopo quatFulvio Cortese tro anni, i Comuni, grandi e piccoli, che si professore di Diritto amministrativo sono dotati di regolamenti di questo tipo, dell’Università di Trento, è socio di Labsus

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La stazione: Qui Rovereto officina di comunità e stazioni dei treni rappresentano ineL vitabilmente un punto di snodo importante per chi parte e per chi arriva in città, ma nonostante la loro centralità restano spesso luoghi poco vissuti, dove solo per qualche attimo - ma ininterrottamente - le traiettorie e le storie dei viaggiatori si incrociano con quelle di chi ci lavora o per necessità vi cerca rifugio. Se è vero che da qualche anno ormai diverse Grandi Stazioni (Milano, Roma, Bologna…) hanno ripensato la loro identità, al momento questo processo non si è ancora esteso a realtà medio-piccole. Un tentativo in questa direzione arriva adesso da una rete di associazioni e persone che hanno chiesto all’amministrazione comunale di Rovereto di poter gestire un edificio adiacente alla stazione per dare vita a un luogo dove coltivare relazioni in modo sostenibile, solidale e aperto. Il progetto si chiama Accademia di Comunità e dallo scorso agosto è al lavoro per dare forma a uno spazio (al momento ancora in attesa di ristrutturazione) dove cercare nuove risposte alle domande centrali dei nostri giorni: l’incontro con l’altro, il rapporto con l’ambiente, la condivisione di una cultura viva. Grazie alla vittoria del bando Intrecci Possibili di CSV Trentino e Fondazione Trentina per il Volontariato Sociale, è partito in queste settimane un percorso di co-progettazione di un anno per sperimentare forme di gestione e attività partecipate. Sarà un’occasione importante per avvicinarsi a questa neonata realtà e portare il proprio contributo a un progetto che si propone di dare forma a un nuovo modello di socialità nel segno dell’apertura e dell’inclusione. Accademia di Comunità

Tu cosa ci metti?

Qui Arco

a comunità di Arco ha deciso di metterci il Parco delle Braile – Nelson Mandela. E tra un pomeriggio informativo sulle pratiche locali di agricoltura sostenibile, una raccolta comunitaria di cachi, un corso di agricoltura naturale, un’attività di creazione di un’aiuola a spirale con erbe aromatiche, la progettazione partecipata dei 2 ettari di parco comunale avviata dal 2015 ha preso più concretamente vita. La garanzia di un bosco edibile pubblico coltivato dai cittadini per raccogliere frutti e fiori, e godere chiaramente del parco, si è unita alla volontà di assegnare ben 50 orti individuali ad anziani e famiglie, orti collettivi per le associazioni e un orto sociale accessibile e pronto ad accogliere le scuole: l’obiettivo è quello di mettere insieme generazioni diverse e modi differenti di lavorare affinché il territorio diventi un luogo di incontro e di inclusione. La co-progettazione e co-gestione del parco tra differenti realtà associative, enti pubblici e privati non appare, infatti, che un pretesto per avviare un processo di sviluppo di comunità secondo formule che vanno provate, riviste e riadattate di continuo e che Ginetta Santoni, presidente dell’associazione AnDROmeda, capofila del progetto, definisce “un laboratorio innovativo di agricoltura urbana per crescere comunità consapevoli, inclusive e generative”.

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Qui Riva Il “Luogo Comune” l progetto Welfare a Km 0, promosso da Fondazione Caritro, punta a sostenere la sperimentazione di azioni di welfare generativo nel territorio trentino. Tra queste, c’è stata l’attivazione di “Luogo Comune” a Riva del Garda (via I. Marchi 13). La creazione di questo spazio di comunità, utilizzato ad esempio per attività di sartoria, workshop di falegnameria, spazio gioco, è frutto di un lungo e proficuo processo di co-progettazione tra diversi enti, pubblici e privati, che per la prima volta si sono posti l’obiettivo dell’autogeneratività. Una scommessa che potrebbe definirsi azzardata perché deve tentare di dare soluzioni a tre questioni determinanti: la ricerca e la formazione di volontari permanenti, il reperimento di risorse economiche all’interno del tessuto socio economico delle zone coinvolte e, fondamentale, la presa in carico da parte dei cittadini del progetto vero e proprio. A pochi mesi dall’attivazione, la speranza è che la progettazione comunitaria diventi un metodo di lavoro e che il mettere a disposizione luoghi condivisi costituisca un “incubatore” di comunità, atto a rispondere a bisogni e a generare responsabilità del singolo nei confronti dell’intera comunità.

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“Luogo Comune” con il progetto Welfare a Km 0 promosso da Fondazione Caritro


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vita trentina

BENI COMUNI PARLA L’ASSESSORA CHIARA MAULE

La scommessa del Comune di Trento “Ribaltiamo la logica tradizionale secondo cui i cittadini sono destinatari passivi di decisioni prese dall’alto”

di Miriam Rossi chi non è successo di imbattersi in uno spazio urbano degradato e di pensare che occorrerebbe fare qualcosa? Per evitare lo stato di abbandono e far rivivere uno spazio della città, senz’altro. Per non sprecare terreni e possibili risorse vitali per l’aggregazione o lo sviluppo di servizi per una comunità, anche. Da poco più di due anni, l’amministrazione del Comune di Trento ha intrapreso un percorso per consentire ai singoli cittadini di attivarsi in prima persona e di contribuire così direttamente al bene comune. Come? Stipulando un accordo sulla base del “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”. Fiducia reciproca, responsabilità e trasparenza diventano allora le parole d’ordine di questa nuova forma di amministrazione condivisa a cui in molti hanno già aderito (vedi box sotto).

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beni comuni

Scheda consultabile sul sito Unimondo.org al link: www.unimondo.org/Guide/ Economia/Beni-comuni.

SIBEC? COS’È COSTEI? È la Scuola Italiana Beni Comuni (www.sibec.eu), la prima a livello nazionale per la formazione alla gestione condivisa dei beni comuni. Promossa da Euricse, Labsus e Università di Trento, la Scuola offre più percorsi formativi, di diversa durata e argomento, che mirano a rendere la comunità locale in grado di assumersi la responsabilità del recupero e della gestione di quelle aree, spazi pubblici ed edifici in stato di abbandono o sottoutilizzo prima che costituiscano unicamente fonti di degrado e speculazione.

pieno norme e regolamenti (in materia di sicurezza sul lavoro ad esempio). La stipula di un patto di collaborazione permette di ricostruire legami che tengono unita la comunità attraverso un rapporto di reciproca fiducia tra cittadini e amministrazione. Il patto fra cittadini e amministrazione per i beni comuni rilancia l’idea quanto mai necessaria che fra ‘cosa pubblica’ e cittadini è possibile un rapporto paritario di reciproca

patti di collaborazione

I beni comuni possono essere definiti come l’insieme dei principi, delle istituzioni, delle risorse, dei mezzi e delle pratiche che permettono a un gruppo di individui di costituire una comunità umana capace di assicurare a tutti il diritto a una vita degna, tenendo conto delle generazioni future e avendo cura della sostenibilità globale del Pianeta.

la scuola

È l’assessora comunale alla partecipazione, innovazione formazione e progetti europei, Chiara Maule, a spiegare le ragioni di questa politica. “La forza reale di questo processo sta nel rimettere al centro la persona, non solo parte di una associazione o di un gruppo di interesse. Ribaltando la logica tradizionale secondo cui i cittadini sono destinatari passivi di decisioni prese dall’alto si passa a quella innovativa dell’amministrazione condivisa in cui i cittadini diventano protagonisti. Di fatto si lavora a fianco a fianco dell’amministrazione pubblica e si apprende così come rispettare a

collaborazione, in cui ci si sente ‘complici’ per custodire la bellezza della convivenza, condividendo responsabilità e risorse.” In questo atto, da una parte il cittadino può riscoprire il buono che c’è nell’amministrazione e nella politica, e dall’altra parte l’amministratore può individuare nel cittadino un potenziale solutore di un problema su cui non solo presenta le sue istanze. Una collaborazione da cui entrambi troveranno vantaggio perché, di fatto, dalla qualità dei beni comuni dipende la qualità della vita della comunità. È dunque la fine di un immaginario sempre più diffuso che vede i buoni cittadini vessati dai cattivi amministratori? Può darsi, ma non così a breve termine, dato che il processo è faticoso e sinora ha toccato solo alcune fasce di cittadini più sensibili. In un futuro prossimo, però, queste soluzioni non potranno che essere la strada maestra per consentire agli amministratori di arrivare a gestire una società sempre più fluida, con variegate esigenze abitative, culturali e lavorative. l

TRA CITTADINI E COMUNE DI TRENTO Ecco alcuni dei Patti di collaborazione attivati: l “Fare storie in biblioteca” a Madonna Bianca. La gestione del punto prestiti è stata affidata al Tavolo Torri del quartiere che si occupa anche di organizzare incontri di animazione del territorio. l “Casa del Cane” di San Pio X. L’accordo stretto tra comune e Social street prevede la cura e la pulizia dell’area cani del quartiere, oltre all’installazione di una bacheca informativa per temi di comune interesse. l “Aspettando lo scuolabus” in via delle Piaz-

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ze a Sopramonte. La collaborazione è stata stipulata con la signora Alessia Agostini per la realizzazione di una panchina per gli alunni in attesa dello scuolabus. “Area skate park di Maso Smalz” in Clarina. La gestione e la cura dello spazio dello skatepark è stato affidato al gruppo FAT.ONE Bmx Crew and Friends e a Uisp. “I Nuvola hanno a cuore il Dos Trento”. Il Nucleo Volontari Alpini si prenderà cura di alcuni sentieri e spazi verdi del Dos Trento. “Sistemazione del Cippo a ricordo del gemellaggio Mattarello Ergolding” a cura

Qui Rovereto Comun’Orto,

una palestra di socialità

omun’Orto è presto diventata una istituzione al quartiere Brione di Rovereto. L’orto comunitario accoglie chiunque abbia voglia di lavorare insieme la terra ed è, soprattutto, veicolo di conoscenza di nuove persone (dal vicino di casa al giovane studente e al richiedente asilo), nonché occasione di confrontarsi con culture diverse e di scambiare competenze ed esperienze. Dalla fine del 2015 una rete di associazioni del territorio, quali gruppi di acquisto solidale od organizzazioni di cooperazione internazionale, dunque con visioni e obiettivi ben differenti, aveva voluto costruire di comune accordo uno strumento di animazione e di creazione di comunità nel quartiere Brione. Detto, fatto! Nei primi mesi del 2016 il Comune di Rovereto ha messo a disposizione due aree coltivabili e il Centro Servizi per il Volontariato-CSV ha finanziato l’iniziativa. Con la guida di Carlo Bettinelli, coordinatore agriculturale chiamato a Rovereto proprio a gestire il progetto, comun’Orto ha preso il volto che in molti oggi conoscono. L’assenza di divisione in appezzamenti assegnati è stata volutamente scelta per fare comunità, in

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quanto chiunque può accedere agli orti, piantare e cogliere in piena libertà. L’unica regola vigente è che può raccogliere i prodotti dell’orto solo chi aiuta a coltivare o contribuisce alle attività collettive: fiducia e rispetto reciproco sono dunque determinanti per il suo funzionamento. Le occasioni informali di incontro sono moltiplicate con l’offerta di corsi di formazione in orticultura e agro-ecologia, sulla fermentazione delle verdure e sulla loro conservazione, sull’essiccazione e sulla realizzazione di sciroppi (con tanto di attestato di partecipazione); a questi si sono affiancati percorsi di cittadinanza globale nelle scuole, veicolo per avvicinare bambini e ragazzi di ogni età ai temi di cittadinanza attiva, cura del bene comune e sviluppo sostenibile. In comun’Orto tutto ciò è riassunto con lo slogan “coltivare insieme le diversità”, agricoltura collettiva che unisce le persone. Per seguire le attività di Comun’Orto: www.comunorto.org; www.facebook.com/comunorto.

dell’Associazione Amici di Ergolding e ne curerà la manutenzione nel tempo. l “Piccole piante crescono” in Fersina. L’accordo con l’Istituto comprensivo Trento 3 riguarda la realizzazione di una aiuola lungo il giardino del Fersina e di un orto nell’area della scuola. Sono inoltre numerose le adesioni alle proposte dell’amministrazione “Adotta un’aiuola”, “Ritocchi urbani”, “Al mio quartiere ci penso anch’io”; per conoscerle tutte, consulta la pagina www.comune.trento.it/Aree-tematiche/Benicomuni/Patti-di-collaborazione-e-adesioni.

i libri R. Petrella,Nel nome dell’umanità. Un patto sociale mondiale tra tutti gli abitanti della terra, Il Margine, 2017, 304 p. Una delle voci internazionali più autorevoli sui beni comuni chiama l’umanità a stringere un nuovo patto sociale mondiale, fondato sulla fine della globalizzazione guerriera, sulla cessazione di una economia predatrice della vita sulla Terra, sullo sradicamento delle cause strutturali dell’ineguaglianza e dell’impoverimento dei più. Come? Il libro è ricco di fatti, di analisi e di proposte di soluzioni realizzabili da una umanità utopica, cioè costruttrice. N. Chomsky e M. Manganelli, Tre lezioni sull’uomo. Linguaggio, conoscenza, bene comune, Ponte alle Grazie, 2017, 128 p. “Che cos’è il linguaggio? Quali sono i limiti dell’intelletto umano (se esistono)? E qual è il bene comune per il quale dovremmo lottare?” Ecco i tre quesiti che Chomsky affronta nelle lezioni raccolte in questo volume, elementi essenziali della domanda delle domande: “Che genere di creature siamo?” Senza avere mai la pretesa di offrire soluzioni definitive, il volume offre uno spaccato per comprendere ciò che l’uomo è nella sua natura più profonda. L. Bruni e S. Zamagni, L’economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, 2015, 135 p. Un bimbo che oggi nasce in Congo, o una bambina che nascerà in Europa tra vent’anni, hanno il diritto di porre domande sul nostro modello di sviluppo e sui nostri stili di vita, perché le nostre scelte di oggi stanno già modificando la loro vita, a volte in meglio ma altre in peggio. L’economia civile cerca di costruire un mercato diverso, dove felicità, onore, virtù, bene comune dettano una prospettiva etica, e non puramente individualistica, dell’economia.


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22 aprile 2018

COSÌ IN EUROPA

vita trentina

“CUSCUS” SI PRESENTA

Il progetto è servito osa collega la preparazione di un buon piatto all’uso di un computer o all’elaborazione di un’idea originale d’impresa? La risposta è “servita” da CusCus, un progetto nato per favorire i processi di integrazione, socializzazione e valorizzazione delle competenze di italiani e migranti (e in particolare delle donne) attraverso un potente mezzo culturale e comunitario: il cibo. Non solo: la ricetta di “CusCus” guarda alle tecnologie digitali e all’imprenditorialità creativa come strumenti altrettanto importanti per la creazione di opportunità e connessioni. Mistura quindi tra tematiche diverse ma sinergiche. Le tecnologie digitali danno spazio a un mondo sommerso, quello delle minoranze culturali e culinarie, che può esprimersi attraverso di esse. Inoltre, la creatività tipica di chi si mette ai fornelli per passione potrebbe dar luce a idee imprenditoriali originali. Attraverso labo-

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ratori di informatica, workshop culinari e corsi di imprenditorialità, i partecipanti sperimentano forme di attiva collaborazione, condivisione e gestione di risorse comuni; inoltre, acquisiscono competenze che applicano nel corso del progetto stesso: le ricette di cibo redatte durante i corsi vengono utilizzate per i laboratori culinari, il blog sulle storie legate al cibo (tuttora in via di sviluppo) viene mostrato e il cibo offerto durante manifestazioni pubbliche, computer rigenerati vengono utilizzati per gli eventi o donati a chi partecipa all’iniziativa e non dispone dello strumento. Avviata nell’ottobre 2017, l’iniziativa conta oggi 111 richieste di partecipazione da parte di italiani (45.9%) e stranieri (54.1%) di 23 nazionalità diverse, una presenza femminile del 58.6% e giovanile del 63%. Del progetto, realizzato con il supporto dell’Università degli Studi di Trento, fanno parte diversi partner, tra cui: Docenti Senza Frontiere, Atas, Food Connects People, Impact Hub Trentino, CoderDolomiti e collettivo PickMeUp. Gaia Trecarichi coordinatrice progetto CusCus

le giornate GIORNATA INTERNAZIONALE della giustizia sociale (20 febbraio) La giustizia sociale è un principio fondamentale per la prosperità e la coesistenza pacifica interna e tra gli Stati. Si sostengono i principi della giustizia sociale quando si promuovono l’uguaglianza di genere, i diritti delle popolazioni indigene e dei migranti. Si rafforzano la giustizia sociale quando si rimuovono le barriere che le persone affrontano a causa del genere, dell’età, della razza, dell’appartenenza etnica, della religione, della cultura o della disabilità. GIORNATA MONDIALE della popolazione (11 luglio) L’11 luglio 1987 la popolazione mondiale raggiunse i 5 miliardi: fu allora che ilProgramma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) decise di indire una ricorrenza annuale di riflessione sulle problematiche riguardanti la popolazione mondiale. Da allora tematiche legate alla demografia, come l’importanza della pianificazione familiare, la parità tra i sessi, la povertà, la salute durante la maternità e i diritti umani, sono al centro della Giornata mondiale della popolazione specialmente nel momento in cui oggi gli abitanti della terra ammontano a più di 7 miliardi e mezzo e continuno a risultare in crescit.

GIORNATA MONDIALE dell’habitat (primo lunedì di ottobre) La giornata reitera la responsabilità condivisa nel modellare il presente e il futuro degli insediamenti umani sul pianeta. La necessità di ambienti sicuri e sani, e di servizi adeguati per i cittadini che li abitano va di pari passo con la garanzia di trasporti ed energia sostenibili, nonché con la promozione, la protezione e il ripristino degli spazi verdi, dell’acqua potabile, della salubrità dell’aria. GIORNATA INTERNAZIONALE del volontariato (5 dicembre) Il 5 dicembre di ogni anno ricorre la Giornata Mondiale del Volontariato, con ampio riconoscimento del lavoro, del tempo e delle capacità dei volontari di tutto il mondo nel promuovere sviluppo e benessere. Celebrata su indicazione dell’Assemblea Generale dell’ONU dal 1985, la ricorrenza intende aumentare la consapevolezza generale sull’importante contributo reso dal volontario e stimolare la disponibilità al servizio delle persone.

Donne in lotta per i beni comuni BOSNIA ERZEGOVINA A Krušica, un villaggio nei pressi del fiume Vitez, dalla scorsa estate un gruppo di donne si oppone alla costruzione di due impianti idroelettrici, presidiando il corso d’acqua di cruciale importanza per l’approvvigionamento idrico del territorio. Lo scontro con le forze speciali bosniache è ora passato anche sul piano legale, supportato dall’associazione Crvena che si è schierata a fianco delle manifestanti dichiarando che “queste donne sono le custodi del fiume e non sono disposte a consegnare le risorse naturali di questo luogo nelle mani di coloro che sistematicamente distruggono la Bosnia ed Erzegovina da decenni”. TURCHIA A Çerkezköy, nel nord della Turchia al confine con la Grecia, il governo vuole costruire una nuova centrale termoelettrica a carbone. Ad alzare la testa contro lo sviluppo dell’impianto sono le donne: anziane, contadine, povere ma determinate, spalleggiate nella lotta da Greenpeace che calcola l’impatto negativo sull’inquinamento atmosferico e sulla salute umana in 11mila morti premature. Le manifestanti sostengono che occorre puntare sulle energie rinnovabili anziché sul fossile, decise a vincere la battaglia perché “quando minacciano quello che ti dà da vivere e soprattutto il futuro di chi ti è caro, tutto diventa possibile”.

SVILUPPO LOCALE TRA AMERICA LATINA E TRENTINO Oggi, più che mai, è diventato chiaro che quella dello sviluppo locale è una sfida interminabile. Il benessere di una comunità non è mai garantito, non si può mai dare per scontato. Al contrario, esso è continuamente messo alla prova dalle sfide e dalle opportunità imposte da contesti in perenne mutamento. Questo fatto è diventato ancora più stringente nel contesto della globalizzazione. Se fino a ieri, le variabili da tenere in considerazione nel pensare il proprio sviluppo riguardavano le comunità limitrofe, tuttalpiù il contesto nazionale, oggi, l’interconnessione fra ogni regione del pianeta le ha moltiplicate. Di fronte a tali complessità, la risorsa più preziosa per ogni comunità diventa la sua capacità di interrogare continuamente il proprio modello di sviluppo, di rinnovarlo. La sua capacità di leggere e rileggere il mutare tanto delle proprie caratteristiche come quello delle dinamiche esterne, e, sulla base di questa duplice lettura, di costruire ipotesi di adattamento che permettano benessere e sostenibilità. La sfida aperta dalla Summer School “Comunidad y Desarrollo Local”, organizzata da Centro per la Cooperazione Internazionale, OCSE LEED e Università colombiana EAFIT, arrivata quest’anno alla sua nona edizione, è proprio quella di costruire un metodo che permetta ai partecipanti di pensare il territorio da cui provengono in rapporto al mondo che cambia. I 35 partecipanti che giungono da tutta l’America Latina incontrano l’esperienza di sviluppo trentina, la sua storia e le sue peculiarità, dall’autonomia al cooperativismo, dalla montagna alla solidarietà internazionale, e la mettono a confronto con quella propria. Un laboratorio di due settimane in cui le differenze diventano uno stimolo a pensare obiettivi comuni e strategie diversificate. Un dialogo fra pari in cui anche il Trentino si misura con il mondo che cambia e il futuro che verrà. Centro per la Cooperazione Internazionale

IL SEMINARIO

Cooperazione internazionale e comunità a cooperazione internazionale si trova ad operare in un contesto globale sempre più complesso, Lframmentato e in trasformazione. Occorre quindi appropriarsi di nuovi immaginari in cui ogni territorio, per quanto impoverito, è portatore di saperi, tradizioni, culture. È importante passare dalla logica dell’aiuto alla logica dei diritti per accrescere il senso di responsabilità e di appartenenza alla comunità. Comprendere l’importanza dell’investire nell’empowerment del capitale umano e sociale per generare un cambiamento duraturo nelle comunità e creare luoghi dove nessuno sia escluso. Questi gli interventi e i relatori previsti: Lo sviluppo di comunità: paradigmi, evoluzioni e pratiche (Ennio Ripamonti); ll ruolo delle comunità e dei territori nella cooperazione internazionale: una mappa degli approcci e delle sfide (Jenny Capuano); Formarsi all’empowerment di comunità nella cooperazione internazionale. L’esperienza di una ONG (Alessandra Crimi); Comunità in difesa dei beni comuni: esperienze di partecipazione e autogoverno in America Latina (Francesca Caprini); Il fareassieme trentino: un approccio alla salute mentale di comunità (Renzo De Stefani, Roberto Cuni e Andrea Puecher); Cooperazione di comunità e partenariato territoriale nei Balcani (Maurizio Camin); Quando la comunità è la risorsa. L’esperienza del Saint Martin CSA in Kenya (Gathoni Njenga). Modera Silvia Nejrotti - Fondazione Fontana onlus. Il seminario del 18 maggio è rivolto agli operatori della cooperazione internazionale, agli insegnanti, agli studenti e ai ricercatori interessati alle questioni sociali internazionali, indipendentemente dagli ambiti d’intervento o di specializzazione. “Cooperazione internazionale e comunità” 18 maggio 2018 dalle 9 alle 17 Centro per la Cooperazione Internazionale vicolo S. Marco, 1 – Trento INFO & ISCRIZIONI Fondazione Fontana: Federica Detassis tel. e fax 0461/390092 e-mail: federica.detassis@fondazionefontana.org web: www.cartaditrento.wordpress.com

I nostri progetti in Italia La WSA è un percorso culturale di educazione, sensibilizzazione e informazioni su temi di carattere sociale e internazionale. www.worldsocialagenda.org Unimondo è una testata giornalistica online di informazione qualificata e pluralista su diritti umani, pace, democrazie e ambiente con News, Guide, Almanacco e Atlante. www.unimondo.org Impresa Solidale è una rete di solidarietà con il profit per promuovere una cultura di impresa orientata a un maggiore coinvolgimento sociale. www.impresasolidale.it

Simona Atzori, testimonial di Fondazione Fontana, al St. Martin Csa

www.fondazionefontana.org info@fondazionefontana.org Trento – Via Herrsching, 24 Ravina tel. 0461.390092 Padova – Via Orologio, 3 tel. 049.8079391


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