WORLD SOCIAL AGENDA 2010 6° OBIETTIVO DI SVILUPPO DEL MILLENNIO ONU:
“L’ACCESSO ALLA SALUTE: combattere l’HIV/AIDS, la malaria e le altre malattie”
CHI È FONDAZIONE FONTANA? Fondazione Fontana opera dal 1998 per realizzare progetti di pace, cooperazione, solidarietà internazionale e educazione alla mondialità. Promuove la cultura della solidarietà sia a livello nazionale che internazionale, con un approccio dal basso, che parte dalla comunità. Ciò comporta un coinvolgimento della comunità sin dall’ideazione dei progetti/processi, con l’obiettivo di valorizzare le risorse del territorio, creando e promuovendo reti e collaborazioni tra i diversi attori locali. Il modello organizzativo è quello della rete che sostiene, favorisce e gestisce forme di coordinamento tra soggetti diversi che operano nel campo della promozione umana. Ha la sua sede principale in Veneto, a Padova e una sede distaccata in Trentino Alto Adige, a Trento. I principali campi di attività sono: • LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, attraverso il sostegno ai progetti in Africa, Ecuador, Bosnia www.impresasolidale.org; • L’EDUCAZIONE IN ITALIA, sviluppata nelle tre dimensioni dell’educazione allo sviluppo, della didattica e della formazione - www.worldsocialagenda.org; • L’INFORMAZIONE, con il portale Unimondo - www.unimondo.org - e le piattaforme ad esso collegate (News, Guide, Oggi, Atlante) • Il MICROCREDITO e la MICROFINANZA, per cui investe per statuto almeno un terzo del suo patrimonio in associazioni terze, in programmi di microcredito e finanza solidale.
PADOVA | Via F.S. Orologio, 3 35129 - Padova - Tel. e fax: 049-807.93.91 TRENTO | Via Herrsching, 24 int.3 - 38123 Ravina - Trento - Tel. 0461-39.00.92 - Fax 0461-39.87.53 info@fondazionefontana.org - www.fondazionefontana.org
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“L’ACCESSO ALLA SALUTE: combattere l’HIV/AIDS, la malaria e le altre malattie”
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CONTRIBUTO
PATROCINIO
COLLABORAZIONE ASSOCIAZIONE AMICI DEI POPOLI, ASSOCIAZIONE ANGOLI DI MONDO, CARITAS DIOCESANA DI PADOVA, CENTRO SERVIZIO VOLONTARIATO DI PADOVA, COOPERATIVA SOCIALE I D.A.D.I, FONDAZIONE IVO DE CARNERI ONLUS, MEDICI CON L’AFRICA CUAMM, MPX, PROGETTO GIOVANI - PUNTO VIDEO TOSELLI, SAINT MARTIN CSA
I TESTI DI QUESTA PUBBLICAZIONE SONO A CURA DI LAURA BENETTON e GIULIO MOZZI
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE: OUTLINE SAS - STAMPA: GRAFICHE LEONE SAS FINITO DI STAMPARE MAGGIO 2010
L’ACCESSO ALLA SALUTE. IL PROGETTO DI WSA La World Social Agenda (Wsa) è un percorso culturale che all’interno della programmazione pluriennale 20082015 della Fondazione Fontana onlus è dedicato agli “Obiettivi di sviluppo del millennio” fissati dall’ Onu. Si sviluppa nei territori padovano e trentino, con particolare attenzione ai giovani, che ne sono al tempo stesso i destinatari e i protagonisti. I gruppi giovanili, gli insegnanti e gli educatori, in stretto collegamento con il mondo della scuola, l’associazionismo, il mondo profit e gli enti locali sono infatti i principali beneficiari del percorso. Esso nel corso degli anni si è ampliato e diversificato, riuscendo a coniugare mondi di diversa provenienza e a innescare un lavoro di rete stabile e costruttivo con numerosi soggetti sui temi dei diritti umani, dell’ambiente e dello sviluppo. Nell’ottica del conto alla rovescia (giustificata dalla scelta iniziale di partire dall’ottavo e ultimo obiettivo, “Creare un partenariato globale per lo sviluppo”, che dà un metodo di azione per il raggiungimento degli altri sette), e in continuità con quanto realizzato lo scorso anno (settimo obiettivo: “Assicurare la sostenibilità ambientale”), il 2010 si è concentrato sul sesto obiettivo del millennio, “L’accesso alla salute. Combattere l’Hiv/Aids, la malaria e le altre malattie”. Il focus si è incentrato sui legami che intercorrono tra la salute, lo sviluppo, l’economia, la società, con un’enfasi specifica sulla relazione tra la salute e i diritti umani, in particolare dell’infanzia, delle donne e dei gruppi marginali, in un’ottica di confronto tra la situazione dei Nord e dei Sud del mondo. Il tema dell’accesso alla salute è stato affrontato quale aspetto fondamentale della qualità della vita degli individui, ma anche come bene essenziale per lo sviluppo sociale ed economico. Si è parlato di diritto alla salute non fissando l’attenzione solo sul settore sanitario ma concentrandosi su fattori politici, economici, sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici. L’approccio “intersettoriale” adottato ha integrato questi ambiti diversi per promuovere un lavoro di riflessione sullo stato di salute locale e globale con uno sguardo attento alla lotta alle grandi malattie che colpiscono il nostro pianeta. In questa pubblicazione si offrono una breve guida alla mostra “Come stai?” realizzata dalle studentesse e dagli studenti di alcune scuole medie superiori di Padova, e la sintesi dei risultati di un’inchiesta sui punti critici dell’accesso alla salute in Padova, realizzata anch’essa da studentesse e studenti di alcune scuole medie superiori. Fondazione Fontana onlus
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LE CLASSI COINVOLTE
I.T.C.S. “P.F. Calvi” (Padova)
Classe 4 BG _ Prof. Paolo Gobbi
Liceo Scientifico “A. Cornaro” (Padova)
Classe 3 E _ Prof.ssa Laura Lippi e prof.ssa Marlene Salmaso Classe 4 F _ Prof.ssa Caterina Pascolini
Liceo Scientifico “E. Curiel” (Padova)
Classe 1 E _ Prof.ssa Viviana Benetazzo Classe 1 D _ Prof.ssa Maria Casella Classe 1 C _ Prof.ssa Maria Casella
I.T.I “L. Da Vinci” (Padova)
Classe 2 SD _ Prof.ssa Maria Teresa Ognibene
Liceo Scientifico “G. Galilei” (Selvazzano Dentro – PD)
I.I.S. “E. Mattei” (Conselve – PD)
Classe 3 D _ Prof.ssa Paola Montagner Classe 3 F _ Prof.ssa Laura Roverato e prof. Anacleto Della Valle Classe 2 ATC _ Prof.ssa Rosetta Curti
Liceo Artistico “A. Modigliani” (Padova)
Classe 2 B _ Prof.ssa Leila Giacon, prof.ssa Sandra Taschetti e prof.ssa Renata Bizzotto Classe 4 A _ Prof.ssa Annarita Donadei Classe 4 E _ Prof. Antonio Candido Classe 5 G _ Prof. Antonio Candido
I.T.A.S “P. Scalcerle” (Padova)
Classe 2 A _ Prof.ssa Marchetti Classe 2 D _ Prof. Giacomo Chilesotti
Istituto Statale d’Arte “P. Selvatico” (Padova)
Classe 4 E _ Prof.ssa Federica Tavian
DICHIARAZIONE DI ALMA ATA La Dichiarazione di Alma Ata fu approvata al termine della Conferenza internazionale sull’assistenza sanitaria primaria svoltasi nel 1978 Alma Ata (oggi Kazakistan, allora Unione sovietica). La conferenza, organizzata dall’Organizzazione mondiale per la sanità, dall’Organizzazione panamericana della sanità e dall’Unicef, vide la partecipazione di 134 stati (con l’assenza importante della Cina) e 67 organizzazioni internazionali. La Dichiarazione di Alma Ata è tutt’ora il documento di riferimento mondiale per la definizione del diritto dell’accesso alla salute. Ne riportiamo il preambolo e i primi tre articoli. La Conferenza internazionale sull’assistenza sanitaria primaria, riunita ad Alma Ata il 12 settembre 1978, esprime la necessità di un’azione urgente dei governi, della comunità internazionale e di tutti coloro che lavorano per la salute e lo sviluppo con l’intento di proteggere e promuovere la salute di ogni uomo, formula la seguente Dichiarazione: 1. La Conferenza ribadisce con forza che la salute, stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità, è un diritto umano fondamentale e riafferma che il raggiungimento del maggior livello di salute possibile è un risultato sociale estremamente importante in tutto il mondo, la cui realizzazione richiede il contributo di molti altri settori economici e sociali in aggiunta a quello sanitario. 2. L’enorme disparità esistente nello stato di salute delle persone, in modo particolare tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo ma anche all’interno delle nazioni, è inaccettabile dal punto di vista politico, economico, sociale e rappresenta una preoccupazione comune a tutti i paesi. 3. Lo sviluppo economico e sociale, basato su un Nuovo Ordine Economico Internazionale, è di importanza fondamentale per raggiungere appieno la salute per tutti e per ridurre il divario tra lo stato di salute dei paesi in via di sviluppo e quello dei paesi sviluppati. La promozione e la tutela della salute delle persone è indispensabile per un intenso sviluppo economico e sociale e contribuisce a una miglior qualità della vita e alla pace mondiale.
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ACCEDERE AI SERVIZI SANITARI, OGGI, QUI UN’INCHIESTA SVOLTA IN PADOVA DA STUDENTESSE E STUDENTI DELLE SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO
1. QUESTA INCHIESTA Le interviste sono state realizzate da studenti delle classi: 3E e 4F del liceo scientifico “Cornaro” di Padova, 1E del liceo scientifico “Curiel” di Padova, 2SD dell’istituto tecnico industriale “Leonardo da Vinci” di Padova, 3D e 3F del liceo scientifico “Galilei” di Caselle di Selvazzano, 2B del liceo artistico “Modigliani” di Padova, partecipanti all’edizione 2010 di World social agenda (Wsa). L’edizione 2010 di Wsa ha avuto come focus il sesto obiettivo del millennio fissato dall’Onu: “Combattere l’Hiv/Aids, la malaria e le altre malattie”. All’interno di tale programma, il lavoro d’inchiesta proposto alle classi delle scuole secondarie di secondo grado si è integrato con altri interventi: lettura di opere narrative e saggistiche; visione di documentari, proposte di particolari realizzazioni per gli istituti ad orientamento artistico; lezioni di esperti rivolte al personale docente; fornitura di documentazione. Lo scopo specifico del lavoro d’inchiesta è: provocare gli studenti a osservare come l’accesso ai servizi sanitari non sia un fatto banale nemmeno qui, in Italia, nel nostro territorio. L’informazione mediata su situazioni diverse da quella italiana – anche smisuratamente diverse – può più agevolmente generare una vera e propria consapevolezza solo se si accompagna a una conoscenza senza mediazioni, cioè prodotta dagli studenti stessi, della situazione nella quale essi sono immersi. Oltre centocinquanta ragazzi hanno realizzato altrettante interviste a persone adulte – individuate nell’ambito della famiglia e degli amici di famiglia – sul tema dell’accesso ai servizi sanitari. Ogni intervista era composta da due sole domande. Questa la prima: “L’ultima volta che ha avuto bisogno di fare ricorso a un qualunque servizio sanitario, com’è andata?” La seconda domanda variava a seconda del giudizio complessivo espresso dall’intervistato sull’esperienza raccontata in risposta alla prima domanda. Se l’esperienza era giudicata complessivamente “positiva”, la seconda domanda era: “Mi può raccontare, invece, un’altra sua esperienza di ricorso a un servizio sanitario, sulla quale ha
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un giudizio negativo?”; se la prima esperienza raccontata era invece giudicata complessivamente “negativa”, la seconda domanda era: “Mi può raccontare, invece, un’altra sua esperienza di ricorso a un servizio sanitario, sulla quale ha un giudizio positivo?”. Gli intervistatori hanno cercato di ottenere narrazioni il più possibile dettagliate, sollecitando la memoria dell’intervistato su alcuni aspetti: i tempi di accesso al servizio (tempi per raggiungere il luogo della prestazione; tempi di attesa per ottenere la prestazione; tempi nel corso delle eventuali successive cure); le spese sostenute; il trattamento da parte del personale medico (sollecitudine, attenzione, cortesia, professionalità, informazione); la qualità degli ambienti nei quali la prestazione si è svolta; l’efficacia dell’intervento; la natura pubblica o privata del servizio; ecc. Lo scopo dell’inchiesta non era quello di raccogliere opinioni attorno alla facilità/difficoltà d’accesso ai servizi sanitari, bensì quello di raccogliere racconti. Inoltre, lo scopo dell’inchiesta non era quello di realizzare una statistica della soddisfazione/insoddisfazione degli utenti (si sono infatti raccolti tanti racconti di esperienze giudicate positive quanti racconti di esperienze giudicate negative), bensì quello di descrivere alcuni punti critici dell’accesso ai servizi sanitari: quei punti dai quali può dipendere l’impressione di soddisfazione o insoddisfazione degli utenti. Infine, va ricordato che la soddisfazione/insoddisfazione degli utenti non è di per sé indicativa della qualità del servizio dal punto di vista strettamente sanitario. Il valore dell’inchiesta è dunque puramente suggestivo.
2. DALLE INTERVISTE Nei paragrafi seguenti sono riportati alcuni estratti dalle trascrizioni delle interviste, così come prodotte dagli studenti. Come si noterà, alcune di esse sono sintesi in prima persona; altre in terza persona; altre un misto di racconto e di citazioni precise, segnalate con le virgolette, di frasi della persona intervistata. Si tratta in ogni caso di testi che riportano l’esperienza della persona intervistata. Gli estratti sono ordinati tematicamente; le sottolineature permettono di individuare, nel flusso delle narrazioni, le parole chiave relative al tema. TEMPI PER RAGGIUNGERE IL LUOGO DELLA PRESTAZIONE A Padova non veniva eseguito un intervento del genere. La paziente deve essere accompagnata a Bologna dalla figlia, dipendente pubblico che secondo la legge 104 ha diritto a tre giorni di permesso al mese per accudire un familiare invalido. [...] Dopo circa un’ora e un quarto di autostrada la paziente riesce a trovare il padiglione dell’ospedale S. Orsola dove deve eseguire l’esame, avendo ricevuto dettagliate istruzioni dai medici curanti. (donna, 69 anni) L’intervistato dice quindi che per riuscire a farsi fare questa risonanza ha dovuto pagare la cifra di circa 300 Euro e recarsi in una clinica privata a oltre 50 km di distanza dalla città di Padova, perdendo quindi ulteriore tempo per il trasporto fino al luogo dell’esame. (uomo, 53 anni) TEMPI DI ATTESA PER OTTENERE LA PRESTAZIONE Per un anno la signora ha avuto problemi al ginocchio destro ed ha deciso di sottoporsi all’intervento. Grazie all’aiuto di un suo conoscente che lavorava nell’ambito ospedaliero, è riuscita ad abbreviare i tempi di attesa da un anno e mezzo a circa ottonove mesi. (donna, 52 anni) Allora ho deciso di farmi accompagnare al pronto soccorso di Padova e dopo quindici minuti di strada siamo arrivati e dopo essere passati per l’accettazione dove mi hanno dato il codice verde, mi sono seduta nella sala d’aspetto colma di gente, circa una cinquantina di persone sempre con il mio codice. Dall’una alle cinque del pomeriggio circa sono rimasta ad aspettare in quel poco accogliente corridoio chiamata stanza di attesa. Finalmente un me-
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dico mi chiamò e dopo avermi visitato mi sgridò dicendomi come mai non fossi arrivata prima. Mi pose in un lettino con la flebo e per altre due ore sono stata dimenticata, però la mia vista migliorava. Alle dieci di sera il medico mi ha liquidato dicendomi che potrebbe essersi trattato di un virus e di essermi fatta visitare la mattina seguente dal mio medico di base, ma non si è dimenticato di dirmi di andare a pagare il ticket di 36 euro. Nonostante le ore ad aspettare la mia vista era guarita del tutto. In conclusione l’esperienza è stata negativa perché i tempi d’attesa sono stati lunghissimi e i medici di fronte alla mia disperazione parlavano di calcio sbagliando perfino il mio nome nel foglio della visita. Quello che però è fondamentale è che sono comunque tornata a casa con la mia vista e tutto è ritornato normale. (donna, 44 anni)
Quando sono arrivata ho aspettato pochissimo e dei medici competenti mi hanno fatto una radiografia alla testa per assicurarsi che non avessi avuto un trauma cranico. Dopo avermi tenuto sotto controllo per qualche ora mi hanno dimesso, prescrivendomi degli antidolorifici. (uomo, 49 anni) Ho chiesto informazioni su di un medico che fosse competente del settore e ottenuto il nominativo ho chiamato lo specialista. Purtroppo i tempi di attesa si prospettavano troppo lunghi, ovvero otto-nove mesi per una visita di livello semiurgente. Saputo ciò ho richiamato il Cup (centro unico di prenotazione) chiedendo se questo medico ricevesse anche a livello privato. Mi è stato dato l’indirizzo privato e quando ho chiamato mi è stato detto che l’attesa era di circa una ventina di giorni. Ho fissato l’appuntamento, ma due giorni prima sono stata chiamata dalla segretaria la quale mi ha avvertito che per il dottore era impossibile visitarmi il giorno stabilito e mi ha posto due opzioni: fare la visita un giorno in cui io già la prima volta avevo detto essere impegnata oppure di fissare un’altra visita che sarebbe slittata a oltre un mese dopo. E quindi mi trovo ora nella situazione di attendere un altro mese per fare questa visita. (donna, 43 anni) TEMPI NEL CORSO DELLE EVENTUALI SUCCESSIVE CURE I sanitari erano disperati, non sapevano proprio come agire e cosa fare. Allora si consultarono con un professore esperto di medicina, e in particolare dell’apparato respiratorio che consigliò loro di farmi seguire una terapia specifica; nonostante ciò la febbre persisteva e andai avanti così per molti giorni. Vedendo che questa terapia non ave-
va alcun effetto, cominciarono a farmi seguire una terapia più forte che consisteva in antibiotici, flebo per via orale e per via intramuscolare, e dovevo sottopormi a tutto ciò per tutta la durata del giorno. Continuai con quest’ultima per circa dieci giorni e la febbre cominciò ad abbassarsi e io iniziavo a stare un po’ meglio. Stetti comunque in ospedale per altri diciassette giorni, e poi fui dimessa e potei tornare a casa. In ogni modo anche a casa dovetti continuare ad assumere diversi tipi di medicinali per un altro mese e soltanto dopo quattro-cinque mesi cominciai a stare davvero bene ed a non avvertire più dolori e faticare per respirare. (…) Il servizio è stato totalmente gratuito, anche se la mia degenza durò per circa un mese. (donna, 41 anni) Oramai, dopo due anni, sono capace di mettermi in piedi, con una protesi, e ho cessato ogni medicazione. (uomo, 46 anni) LE SPESE SOSTENUTE Ogni anno devono essere ripetuti degli esami di routine come la risonanza magnetica (120 euro ), la TAC (120 euro) e gli esami del sangue (2/3 ricette da 70 euro l’una). Il servizio sanitario paga il costo del medicinale per la cura che è circa di 800 euro a flebo e nel nostro caso ne sono usate cinque a seduta. L’esperienza è risultata complessivamente positiva per l’alta specializzazione riscontrata nel reparto e nel personale. (donna, 44 anni) Oggi sono tornato alla mia vita di sempre. L’inconveniente più importante al momento è il fatto di non poter guidare un’auto normale. Tutte le spese che ho dovuto affrontare: di medicazione a domicilio, di trasporto in ambulanza, di visite private al Centro Protesi, e, non ultimo, l’enorme costo della protesi sono state significative. L’Ulss concede soltanto le spese sufficienti a garantire la minima ambulazione. (uomo, 46 anni) La donna rimase altri tre giorni all’ospedale dopo il parto, dove le vennero dati dei consigli sull’allattamento e sulla cura della bambina, quindi fu dimessa dall’ospedale e tornò a casa con la bambina. L’unica spesa da lei sostenuta fu l’acquisto di alcuni integratori per l’alimentazione. (donna, 48 anni) FACILITÀ E DIFFICOLTÀ DELL’ACCESSO Non ha dovuto aspettare molto per l’operazione grazie all’aiuto del fratello che conosceva il dottore. (donna, 78 anni)
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La prontezza con cui è stato sottoposto agli accertamenti è dovuta soprattutto al fatto che il figlio [medico a sua volta] conosceva il “capo del pronto soccorso”. (uomo, 86 anni) Nella sua stanza era ricoverata la madre di un’infermiera ed ha così potuto constatare come il personale rivolgesse una particolare attenzione a questa signora, magari a scapito di qualche altro paziente. (donna, 18 anni) Padova comunque è diventata come una catena di montaggio poi però, appoggiandosi alle persone che si conoscono nell’ambito della patologia sei seguita come persona abbastanza bene. (donna, 49 anni) Io arrivo direttamente in reparto dove devo fare la terapia e lì c’è l’infermiera; l’infermiera mi dà una ricetta, che me la fa il mio medico che mi cura, il mio neurologo che mi cura di volta in volta; per cui ogni volta che io devo andare a fare terapia vado di sopra, vado dal caporeparto, mi dà una ricetta, vado giù allo sportello dell’accettazione dove ci sono tutte le persone che devono fare qualsiasi tipo di esame o terapia, lì aprono la mia cartella a livello di inserimento dei miei dati al computer, mi danno un foglietto di carta con il quale devo andare a pagare il ticket, prendo il mio foglietto di carta mi reco alla macchinetta per pagare il ticket che è in un’altra stanza per cui farò quindici metri per cui mi sposto da quel luogo là e vado alla macchinetta, pago il ticket, la macchinetta mi dà due foglietti di ritorno (le ricevute), ritorno allo sportello, una la devo dare a loro che è l’attestazione che ho pagato, l’altra la tengo io perché potrei anche detrarla, con quel ticket loro inseriscono che ho pagato pertanto mi danno un foglio vidimato che è in pratica la ricetta con cui io sono andata allo sportello vidimata con l’atto di pagamento e la devo portare in reparto per cominciare la terapia. (donna, 44 anni) Una volta ritornata a casa dei terapisti sono venuti a domicilio per aiutarmi a riprendere a camminare e questo è un servizio molto utile organizzato dall’Ulss 16. Infatti se non fossero venuti i fisioterapisti non avrei ripreso a camminare in poche settimane ma avrei rischiato di stare per sempre seduta in una carrozzella. Inoltre muovendomi poco avrei anche rischiato di avere problemi di circolazione e di infezioni. (donna, 82 anni)
SOLLECITUDINE L’accettazione è mediocre. Durante il travaglio (particolarmente lungo, sta circa ventiquattr’ore in ospedale) non è quasi assistita, essendo il primo figlio avrebbe preferito molta più assistenza, o “semplicemente un’accoglienza migliore”. La stanza in cui alloggia ospita all’incirca altre otto donne, è sempre affollata e rumorosa (è difficile, quasi impossibile dormirvi) per le visite dei parenti, “mai per presenza di medici o di gente che pulisce”, i bagni sono lontani, e in comune, “dovevo passare tutti i bagni, e aspettare che il più pulito, o meglio l’unico decente, fosse libero”. I tirocinanti sono onnipresenti, tanto che la loro presenza, in parecchi momenti prima, dopo, e durante il parto, è “imbarazzante” (“Uno stuolo di tirocinanti che si rende quasi un pubblico nei momenti più imbarazzanti”). L’infermiera che la prepara al parto è brusca, “sbrigativa come tutti”, burbera, non disponibile; gli infermieri, anche nei momenti in cui si ha reale necessità del loro aiuto, si rivelano assenti, o in ritardo. Il problema di in definitiva tutto il personale non è solo la mancanza di tatto, sensibilità e disponibilità, ma l’incompetenza. (donna, 47 anni) Per l’operazione è stata ricoverata quattro giorni in ospedale ed è stata seguita per intero dal professor S., dottore di cinquant’anni circa, molto preparato e umano. A. è rimasta molto colpita dal rapporto che questo creava con i pazienti e dal suo interesse verso questi ultimi. [...] Dopo l’operazione è stata trattenuta qualche giorno in ospedale dove si è trovata benissimo e dove passavano ogni giorno a controllare come stava e cosa mangiava. (donna, 78 anni) Un altro episodio negativo è stato quando il paziente si è dovuto rivolgere ad un altro reparto per una particolare terapia (che consisteva nell’ “immobilizzazione delle cellule staminali”) perché la struttura che lo seguiva non disponeva delle attrezzature necessarie. In questo nuovo reparto il servizio è stato poco mirato e ha dato al paziente l’impressione di sentirsi solo. Infatti si sono verificati ripetuti ritardi, il personale medico che seguiva l’intervistato era sempre diverso (e bisognava quindi esporre ad ogni nuovo dottore il proprio percorso clinico, con il rischio di saltare particolari importanti) e lo stesso paziente riceveva poche informazioni riguardo la sua cura. (uomo, 47 anni) CORTESIA La mia è stata una esperienza piena di sofferenza, in cui ho incontrato diversi medici, infermiere e dipendenti ospedalieri ciascuno dei quali aveva un rapporto umano diverso. (uomo, 25 anni)
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Le persone che avevano preso in cura la signora erano giovani specializzandi, ma molto competenti, disponibili, gentili e rispettosi. (donna, 48 anni) In conclusione, D. è stata molto rassicurata sia dall’attenzione e dalla premura di tutti i suoi medici, che si sono occupati di lei con “efficienza e impegno, quasi con troppa premura”, sia dell’intero ospedale che le è sembrato fornito dei necessari strumenti e con tempi accettabili. (donna, 35 anni) Il chirurgo mi guardò e capii che ormai non c’era più niente da fare. Da lì a poco mio padre entrò in coma e fu trasferito in sala rianimazione. Il chirurgo venne spesso a visitarlo e nel suo sguardo vedevo che era dispiaciuto. (donna, dati mancanti)
Visita al pronto soccorso, preceduta da visita al medico di base, per colpo alla mano finché taglia la legna. [...] Il medico è gentile, conosciuto e professionale, decisamente competente; preferisce mandarlo al pronto soccorso, attuate alcune verifiche e domandata anche l’opinione del paziente. Per quanto riguarda l’accettazione ospedaliera, F. non si ritiene assolutamente soddisfatto: chi lo accoglie è impegnato, va e viene dallo sportello, si dimostra antipatico ed estremamente aperto alla conversazione con una sola famiglia, di un paziente appena arrivato, “perdendovi tempo”. Gli viene assegnato un codice bianco, nonostante la mano sembri continuare a gonfiarsi, e il dolore non sia sottovalutabile. La pulizia dei locali non è sufficiente, non sono né spaziosi, né confortevoli, ma ci si può stare. I medici da cui è stato successivamente curato si sono, al contrario del personale dell’accettazione, dimostrati gentili e decisamente professionali: F. non ne saprebbe valutare la competenza, dal momento che le cure erano tutto sommato semplici, a suo avviso (una radiografia ed una fasciatura “con stecche”). [...] La sua opinione è che con poco l’accettazione può migliorare di molto, quanto a gentilezza, disponibilità ed impegno, e la pulizia dei locali è “qualcosa di risaputo”, a cui ci si “rassegna anche, ed ultimamente è migliorata... si fa per dire”, a patto che i tempi di attesa non siano lunghi. (uomo, 53 anni) PROFESSIONALITÀ Ci hanno spiegato in seguito, che la complicazione di mia figlia era un caso molto raro, a loro non era mai capitato prima, ma l’avevano letto nei libri. Per me sono stati bravissimi. (dati mancanti)
Una mattina, mi sono svegliata e scendendo dal letto sono caduta; fortunatamente mio figlio mi ha sentito chiamare aiuto ed è venuto ad aiutarmi. Dopo essere andata al pronto soccorso, mi hanno mandata in radiologia, dove hanno detto che mi ero rotta un legamento del ginocchio. In ospedale, mi hanno fasciata appunto il ginocchio, anche se io continuavo a protestare perché in realtà mi faceva male il femore. Fortunatamente, l’assistente del medico che mi fasciava ha voluto darmi ascolto e mi ha fatto tornare in radiologia dove dopo avermi fatto un’altra serie di raggi, si sono accorti che oltre il ginocchio, c’era anche il femore, che come supponevo io, era rotto. Io ritengo questa esperienza negativa principalmente per due motivi, il primo perché in radiologia non hanno svolto il loro lavoro con cura, ed il secondo perché il medico che mi ha fasciato il ginocchio mi ha trattato male, mi considerava come una “vecchia” insistente e lamentosa. (donna, 81 anni) La persona intervistata ha avuto bisogno di accedere al servizio sanitario per curare una “neoplasia (tumore) maligna” (“linfoma”). La terapia è durata circa tre anni. L’inizio è stato nell’aprile 2002, mentre la fine a marzo 2005; inoltre la persona si sottopone tutt’oggi a controlli periodici. Durante i cicli di terapia, tenuti presso la struttura ospedaliera day hospital, in generale la persona intervistata è venuta a contatto con personale medico e infermieristico estremamente cortese e preparato che prestava particolare attenzione ai pazienti; inoltre la terapia è stata caratterizzata dalla puntualità e dalla precisione nelle cure e negli esami da svolgere (controlli periodici e urgenti del sangue, Tac, analisi dell’intestino tenue, ecografie addominali), a tal punto che quando il paziente era in ritardo per la cura, il personale provvedeva a contattarlo per conoscere eventuali problemi. Un episodio particolarmente positivo è stata la prima seduta di chemioterapia. Questa seduta è stata lungamente preparata dal personale con un colloquio preventivo, al quale ha potuto assistere anche la moglie dell’intervistato, che è servito anche per informare il paziente sui rischi e sugli effetti collaterali che la terapia stessa poteva comportare. [...] La cura alla quale l’intervistato è stato sottoposto si è rivelata efficace e i protocolli di terapia eseguiti hanno comportato la remissione completa del male. [...] (uomo, 47 anni) INFORMAZIONE Prima dell’intervento è stata adeguatamente informata di come questo si sarebbe svolto. (donna, 18 anni) Dopo alcune ore di visite ed esami i dottori mi hanno chiamata e mi hanno esposto la situazione in modo chiaro e dettagliato, spiegandomi i loro dubbi e le loro perplessità e chiedendomi il consenso per il ricovero di mia madre. (donna, 43 anni)
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Così la mattina del 21 dicembre due infermiere hanno l’ordine di spostare S. in una camera in isolamento; S. protesta, vuole sapere le motivazioni, le infermiere chiamano la caposala e si apre un dibattito conclusosi con un: “Non faccia il bambino viziato, noi sappiamo quello che facciamo”. Punto. (uomo, 40 anni) Il problema riguardava prevalentemente l’atteggiamento dei chirurghi nei confronti del paziente poiché hanno dimostrato uno scarso interesse della salute dello stesso e una mancanza di volontà nell’informare il paziente delle procedure che intendevano intraprendere; infatti l’intervento era stato descritto come molto leggero e si è rivelato invece molto più problematico e impegnativo. Scarso interesse è stato dimostrato nel post-operatorio nel quale l’intervistato ha ricevuto poche attenzioni. (uomo, 49 anni)
LA QUALITÀ DEGLI AMBIENTI La struttura era molto bella e pulita, munita di ogni freccia e di ogni indicazione per orientarsi al meglio, la sala d’attesa era accogliente e comoda e un personale capace l’ha fatta attendere solo quindici minuti. (donna, 45 anni) Il locale non è il massimo, ma dignitoso, certo, dice M., “quando ci sono malattie in giro lì se le devono prendere tutti, il posto è piccolissimo, tanto che se un paziente tossisce dall’altro lato della stanza, ti ammali sicuro”. Sorprendentemente puliti i bagni. (donna, 47 anni) Le poltrone erano imbottite, c’erano i quotidiani, i bagni pulitissimi, sufficienti in numero. Salviette di ogni tipo, “il livello di comfort davvero alto” quindi, il posto luminosissimo e gli spazi ampi. (donna, 47 anni) La stanza in cui alloggia ospita all’incirca altre 8 donne, è sempre affollata e rumorosa (è difficile, quasi impossibile dormirvi) per le visite dei parenti, “mai per presenza di medici o di gente che pulisce”, i bagni sono lontani, e in comune, “dovevo passare tutti i bagni, e aspettare che il più pulito, o meglio l’unico decente, fosse libero”. (donna, 47 anni) Dopo la trafila burocratica, il reparto costruito recentemente ha delle camere di circa sedici metri quadri, pulite, tenute in ordine, arieggiate, ben riscaldate, ogni sedia con il suo pulsante di allarme, con un bagno per camera. In ogni camera ci sono circa tre letti per i pazienti che hanno un ciclo di terapia più lungo (circa cinque o sei ore) e
due posti seduti per i pazienti che non sono debilitati al punto di affrontare una terapia lunga. Mi viene fatto notare che le sedie non sono molto comode anche se sono imbottite. (donna, 44 anni) L’ambiente [l’ambulatorio del medico di base] devo dire che era proprio pessimo e poco curato. Non tanto per la pulizia, perché era tutto molto pulito. Più che altro per il fatto che c’era un disordine tremendo. Era tutto buttato sopra alla scrivania, traboccava di carte. C’era un piccolo lavandino sulla sinistra e qualche strumento medico buttato qua e là poiché non vi era nessun armadietto. C’era il lettino su cui bisognava sdraiarsi e basta. Davvero mi è sembrato di stare in una stanza di un ragazzino con tutto quel disordine che c’era! (donna, 42 anni) L’EFFICACIA DELL’INTERVENTO L’operazione era stata una prima volta compromessa e rinviata per malfunzionamento delle attrezzature, ed assenti sono invece le strumentazioni per le cure riabilitative, addirittura alcuni periodi presenti in determinati posti, per altri periodi in altri (a volte a distanze considerevoli). A parte tutti i disagi, le cure di recupero sono comunque attuate in modo eccessivamente sbrigativo e non rigoroso. Non si capacita del fatto che medici bravi come quelli che l’hanno seguito non abbiano strumentazioni efficienti, o almeno funzionanti; ed invece il personale collaterale ai medici curanti (inservienti, infermieri...) non svolgano bene il loro lavoro, lasciando l’ospedale sporco (“pulizia a dir poco inesistente, quella volta...”) e disorganizzato. (uomo, 53 anni) La visita era finalizzata a cicatrizzare la narice sinistra. Il dottore che operava in quel momento ha sbagliato narice ed ha cicatrizzato la narice destra. (donna, 85 anni) “La visita, la chiamo così anche se penso sia una parola troppo grande per definire un occhiata di cinque secondi, è stata brevissima. Il medico mi ha fatto sedere su una sedia, mi ha fatto togliere le scarpe e i calzini e mi ha guardato stando in piedi senza nemmeno toccare per capire com’era la situazione. Mi ha prescritto un antibiotico e una pomata, soliti unguenti, e se non mi passava mi ha consigliato di provare ad andare dall’estetista. In pratica ho dovuto aspettare due ore e mezza per fare una visita che è durata al massimo 5 minuti”. [...] “Sono andata dal farmacista. Ho preso tutto. Ho pagato venti euro. Ho cominciato la cura, sinceramente non è che pensavo che con quel metodo sarei guarita e difatti dopo una settimana, il tempo della cura prescritta dal dottore, la situazione era sempre la stessa: dolore e gonfiore”. (donna, 42 anni)
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Inoltre la terapia è stata caratterizzata dalla puntualità e dalla precisione nelle cure e negli esami da svolgere (controlli periodici e urgenti del sangue, TAC, analisi dell’intestino tenue, ecografie addominali), a tal punto che quando il paziente era in ritardo per la cura, il personale provvedeva a contattarlo per conoscere eventuali problemi. La cura alla quale l’intervistato è stato sottoposto si è rivelata efficace e i protocolli di terapia eseguiti hanno comportato la remissione completa del male. (uomo, 47 anni) In confronto a dieci anni fa a mio parere l’ospedale è migliorato tantissimo: le condizioni igieniche, gli strumenti, il modo in cui si viene trattati dai medici... (uomo, 84 anni) SERVIZIO PUBBLICO, SERVIZIO PRIVATO Presso ***, studio medico padovano privato e “convenzionato”, lontano all’incirca cinque km da casa, “tutto funziona come un orologio”: non si aspetta o quasi, e comunque “sarebbe stato piacevole aspettare lì. Le poltrone erano imbottite, c’erano i quotidiani, i bagni pulitissimi, sufficienti in numero. Salviette di ogni tipo”, il livello di comfort davvero alto quindi, il posto luminosissimo e gli spazi ampi. Il personale è gentile ma non perde tempo, molto professionale, giovane, sotto i quarant’anni, l’accettazione è quasi “impercettibile”. Il medico è più anziano, molto competente, rapido e distaccato quanto basta: le strumentazioni sembrano nuovissime. Il miglior aspetto di questo centro medico, secondo M. sono i soldi a spendersi, tutto compreso (anche l’ecografia mammaria) sono 37 euro, “due soli euro in più di quanto si pagherebbe in ospedale... io ne spenderei dieci anche solo per [come succede in tale centro] potermi scegliere l’orario dell’esame e non aver la data fissata ad un anno di distanza. Ma qui voglio dire, se la mammografia dovesse disgraziatamente andar male, hanno addirittura pronto in sede uno psicologo addetto...”. (donna, 47 anni) Dopo aver speso molti soldi, avendo preso contatti con quasi tutti i fisioterapisti della mia zona (Padova) per oltre due mesi e non trovando soluzione al problema ho deciso di aspettare che il ginocchio guarisse da solo. Il mio problema non si è risolto ed è stato deludente vedere come specialisti che richiedono molti soldi per una visita di pochi minuti non riescano ad aiutarti. (uomo, 53 anni)
La reputo un’esperienza negativa in quanto un individuo realmente malato con un reddito basso o medio basso che non può permettersi una visita a livello privato ma non può contemporaneamente permettersi di aspettare un mese o anche una ventina di giorni. (donna, 43 anni) Sono tornata a casa, non pagando niente, ma [i dolori] sono ricominciati più dolorosi di prima. Arrabbiatissima, sono andata da un otorinolaringoiatra di Piove di Sacco e ho speso sui 130 euro. (donna, 40 anni)
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3. I PUNTI CRITICI DELL’ACCESSO AI SERVIZI SANITARI Le interviste restituiscono il punto di vista del paziente e la sua percezione dei fatti. Non sono descrizioni oggettive, non danno informazioni reali sull’accessibilità dei servizi sanitari, ma possono suggerire sia quali sono i punti critici dell’accesso ai servizi sanitari, sia come i cittadini si rappresentano tali punti critici. Un caso interessante è quello della descrizione del buon trattamento / cattivo trattamento da parte del personale. Il cattivo trattamento è quasi sempre riferito meticolosamente, con il riferimento a episodi specifici, addirittura con la citazione di battute di dialogo. Il buon trattamento è per lo più segnalato con termini generici (“erano gentili, cortesi, disponibili”) e raramente accompagnato dal riferimento a episodi specifici. Analogamente, i racconti delle “odissee ospedaliere” tendono a essere più vividi e particolareggiati di quelli delle esperienze felici. Il confronto tra servizio pubblico e servizio privato è per lo più a favore del secondo, nonostante qualche delusione (“specialisti che richiedono molti soldi per una visita di pochi minuti e non riescono ad aiutarti”). Il costo della sanità privata non viene quasi mai valutato in termini di congruità: è accettato come un dato di fatto. Mentre la sostanziale gratuità della sanità pubblica è rilevata, e con molta soddisfazione, solo dalle persone più anziane (che ovviamente sono in grado di confrontare la situazione presente con quella di quaranta o sessant’anni fa). Ma mentre viene data generalmente per scontata la sostanziale gratuità dei servizi pubblici, ugualmente viene dato per scontato che essi siano di qualità scarsa o cattiva. Come si vede dalle frequenti dichiarazioni di stupore e meraviglia per essere stati curati come si deve, da personale professionale e cortese, velocemente e quasi senza spese: “Non me lo sarei mai aspettato!”. I punti critici per l’accesso ai servizi evidenziati dagli intervistati, a parte le cose minime come la disponibilità o scarsità di parcheggi nelle vicinanze degli ospedali, sono sostanzialmente questi: - accesso a servizi di qualità certa. Si entra in contatto con i servizi sanitari senza la certezza che si sarà trattati come si deve, e anzi col pregiudizio che si sarà trattati male. Da molte interviste si percepisce un vissuto da roulette russa. Peraltro, i racconti nei quali il personale medico e infermieristico è presentato come eccellente sono parecchi; le strutture in cui le persone sono state accolte sono per lo più linde e moderne; nessuno degli intervistati ha mancato di fornire un racconto di esperienza positiva, alcuni non sono stati in grado di fornire un racconto di esperienza negativa.
- accesso in quanto persone. Ci sono persone di serie B, la maggioranza, e persone di serie A: quelle che hanno un parente o un conoscente medico. Che l’accesso a un servizio di qualità (in particolare per quanto concerne i tempi) sia garantito soprattutto dalle “conoscenze”, e sia quindi un privilegio e non un diritto, sembra cosa scontata. Colpisce il fatto che in nessuna intervista la constatazione del proprio privilegio sia accompagnata dalla consapevolezza di aver tolto un diritto a un’altra persona (in uno dei racconti il privilegiato è un altro; e, ovviamente, la consapevolezza del tradimento del proprio diritto è acuta). - accesso alle informazioni. Non solo le strutture ospedaliere sono spesso raccontate come labirintiche e burocratizzate, ma vi sono racconti precisi di informazioni importanti negate al paziente, talvolta esplicitamente infantilizzato: “Non faccia il bambino!”. Mentre è raro che il racconto evidenzi una completezza di informazione resa alla persona da parte dei sanitari. - accesso a un punto di riferimento. Ovvero: i medici e gli infermieri che vanno e vengono, le “frotte” di specializzandi che si “godono lo spettacolo”, le scarse informazioni, le ore di abbandono (cioè: percepite come abbandono) in sala d’attesa, in corridoio, nella stanza: dalla lettura delle interviste si ha l’impressione che i servizi sanitari stentino a dare alla persona la “sensazione di essere presa in carico”. E infatti quando questa sensazione c’è, è molto evidenziata nei racconti: che la attribuiscono però spesso alla sensibilità della persona (il medico curante, l’infermiere), mentre quando si scopre che esiste una vera e propria organizzazione della presa in carico (“è stata oltretutto inserita in una specie di schedario, attraverso il quale i medici stessi chiamano il paziente per fare accertamenti”) ciò desta una certa meraviglia.
I testi integrali delle interviste si possono leggere sul sito www.worldsocialagenda.org
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COME STAI? La mostra “Come stai?”, allestita presso il Centro culturale San Gaetano di via Altinate, a Padova, è un viaggio nell’accesso alla salute, un percorso educativo e creativo al quale hanno preso parte gli studenti delle scuole superiori di Padova e provincia e i loro docenti, accompagnati da esperti sul tema, artisti e professionisti. Partendo dal sesto obiettivo di sviluppo del Millennio, “L’accesso alla salute. Combattere l’Hiv/Aids, la malaria e le altre malattie”, ci si è addentrati nel tema della salute e della possibilità o impossibilità per ogni cittadino della Terra di ottenere le cure delle quali ha bisogno, sia a livello globale, in relazione alla lotta alle grandi patologie, sia localmente, per noi abitanti di Padova e provincia. Il percorso culturale e di ricerca che ha accompagnato i ragazzi delle scuole nel corso dell’intero anno scolastico e il lavoro di indagine che hanno svolto nel periodo di dicembre-gennaio 2009 ci ha portati a individuare quattro fattori fondamentali che sono costantemente in relazione con i temi della salute e della lotta alle grandi malattie: l’economia, l’ambiente, la società e i diritti. La mostra è pertanto divisa in quattro “stanze” autonome, ciascuna dedicata a uno di questi fattori e identificata da un colore. All’interno di ogni stanza il visitatore incontra le riflessioni, le idee, le critiche e gli “ammonimenti” dei ragazzi, sotto forma di opere d’arte di varia natura. La stanza Economia e salute, caratterizzata dal colore azzurro, ci parla di centri e periferie, di relazione tra malattie e povertà, di disparità tra sanità pubblica e privata, di problemi lontani come la malaria e di realtà vicine come l’armadietto dei farmaci di casa nostra. La stanza Ambiente e salute, colore verde, ci provoca con paure recenti, ci interroga sulle grandi problematiche ambientali sempre attuali e ci fa ancora volare lontano in paesi sconosciuti o osservare più attentamente la sala d’aspetto del nostro medico di base. La stanza Società e salute, colore rosso, lascia ampio spazio al visitatore perché proprio ognuno di noi, coi nostri stili di vita, con il nostro essere o non essere informati, con le nostre scelte, siamo fautori del nostro stato di benessere fisico, psichico e sociale. La stanza Diritti e salute, infine, colore giallo, ci parla di privilegi, di qualità del servizio, di presa in carico, di possibilità, di tutela; attira la nostra attenzione sulla grandezza dei principi, ci invita a conoscere e ricordare gli articoli
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di legge che tutelano la nostra salute, e a volgere lo sguardo verso l’esterno. Il percorso della mostra è libero: non c’è una stanza da visitare prima e una da visitare poi. Ciascun visitatore potrà seguire la propria curiosità e addentrarsi anche con un proprio filo logico nei meandri di un tema così complesso; restando libero di interagire, esprimersi, sporcarsi o di osservare senza implicarsi. Per realizzare i contenuti della mostra, ragazzi e professori hanno accolto nelle loro classi alcuni esperti, artisti e professionisti che collaborano con la Fondazione Fontana nella realizzazione del progetto World social agenda. Hanno accompagnato gli studenti nell’espressione artistica, attraverso diversi linguaggi, Silvia Ferri per l’arte visiva, concettuale e plastica, e Marco Zuin per le produzioni video. La realizzazione della mostra è stata curata da: Silvia Ferri, Enrico Bossan e Laura Benetton.
Nel 2000, adottando la Dichiarazione del Millennio, 189 leader mondiali si sono impegnati ad eliminare la povertà estrema. Lo hanno fatto impegnando i propri governi a raggiungere 8 Obiettivi concreti entro il 2015: dimezzare la povertà estrema e la fame; raggiungere l’istruzione primaria universale, promuovere l’uguaglianza di genere, diminuire la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l’HIV/ AIDS, la malaria e le altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo.