23 aprile 2017
III
Quell’Africa che viaggia verso l’Europa
IV
VI
Uno speed date a scuola...
Arrivederci mondo vecchio, benvenuto mondo nuovo
Ci si muove. Camminando o altro. Partendo. Verso una meta non sempre nota. Si arriva, anche se non sempre. Si riparte, non sempre. Si resta. Si vive il presente sognando il futuro. Questo accade tante volte nella vita o una sola: quella in cui viene voglia di andare. Questo accade a molti di noi o può accadere. È una storia che ci accomuna, da sempre. La storia dell’umanità è una storia fatta di andate e di ritorni, discontinua nel tempo e nello spazio, comunque una storia di spostamenti.
>>>
Il mondo ricco è vecchio, il mondo povero è giovane. America del Nord, Europa benestante, Russia, Giappone, ma anche la Cina hanno sempre più anziani e sempre meno bambini. America del Sud, Africa, Asia meridionale, Europa non benestante hanno tanti bambini e tanti giovani, ma anche tanta povertà. E allora succede quello che è sempre successo nella storia del mondo: le persone si spostano, i poveri vanno nei Paesi più benestanti a cercare futuro e a portare futuro. Già: la chiave di tutto è qui. I migranti vanno a cercare futuro e a portare futuro. Portano futuro a società vecchie e stanche.
di Vincenzo Passerini*
INSERTO al n. 16 DI VITA TRENTINA
Migrare: perchè?
>>>
II
>>>
La migrazione, motore dell’umanità
Testi e cura redazionale: Miriam Rossi e Sara Bin
COMUNE DI TRENTO
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
>>>
REALIZZATO GRAZIE AL CONTRIBUTO DI
>>>
DOSSIER A CURA DELLA
II
L’immagine adottata per la World Social Agenda 2016-2017
>>> II - VIII
II
MIGRAZIONI E DIRITTO AL FUTURO
23 aprile 2017
vita trentina
LA LIBERTÀ DI SPOSTARSI È NELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI
Il “diritto” al futuro, per tutti gni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ciascuno Stato, ma ha anche il diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio e di ritornarci; è sancito dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 firmata da tutti gli Stati aderenti alle Nazioni Unite. Spostarsi è un diritto fondamentale perché fa parte del diritto a esistere e ad abitare la grande casa comune che è la terra, il mondo. Spostarsi, essere liberi di andare e tornare è sinonimo di possibilità di sviluppare il proprio futuro, per agganciare uno scopo che dia senso alla vita, per sopravvivere con maggiore dignità. Poterlo fare deve essere un diritto per tutte le persone senza discriminazioni di genere, razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinioni politiche. Significa anche essere messi nelle condizioni di poterlo fare, cioè poter ottenere i documenti per viaggiare, per accedere a un Paese straniero. Ci si sposta
O
Il viaggiatore di Bruno Catalano
liberamente o forzatamente perché desiderosi di futuro. Se il futuro fosse un diritto, e formalmente non lo è, chi se ne farebbe carico? Un’ipotesi percorribile è che lo si includa nel diritto alla vita. Vivere infatti significa non solo stare nel qui ed ora, ma anche essere proiettati in avanti. La vita è già un progetto di futuro, si lancia e ci lancia in avanti, include una necessaria presa in carico per essere mantenuta; necessita di libertà, di sicurezza e di pace. Costruire futuro è costruire capacità di aspirare, cioè opportunità di partecipazione delle persone a tutte quelle occasioni in cui una società dà forma e significato al suo progetto. Muoversi, spostarsi diventa viatico per raggiungere luoghi entro cui poter trovare spazi di aspirazione. Sara Bin Fondazione Fontana e Unimondo
POCO SI CONOSCE SULLE RAGIONI CHE SPINGONO A PARTIRE
La migrazione, motore dell’umanità di Miriam Rossi * un vero e proprio bombardamento comunicativo quello che oggi tocca la questione migratoria. Eppure essa è relegata, tanto a livello mediatico quanto politico e sociale, a una informazione che riporta ben poco altro che il numero dei morti nell’ennesima tragica traversata del Mediterraneo, le nuove norme in materia di sicurezza e i recenti accordi per l’accoglienza o il respingimento dei migranti. Poco si conosce sulle ragioni di questa ipotetica “invasione” e ancor meno si sa dei contesti statuali di provenienza di questi uomini, donne e bambini, al di là di una generale povertà diffusa, dello scoppio di conflitti armati o anche della presenza di gruppi terroristici su questi territori “lontani”, nonché di possibili persecuzioni dirette perché dissidenti politici, fedeli di una religione di minoranza all’interno del Paese o anche di un gruppo discriminato. Ancor meno si condivide pubblicamente una percezione di naturalità verso le migrazioni
È
di Vincenzo Passerini *
umane, tenendo conto che dal Pleistocene alle soglie della modernità la mobilità degli uomini è sempre stata una condicio humana determinante. Che le migrazioni contemporanee siano differenti da quelle antiche, dovute le prime a necessità materiali immediate e per spinte naturali e invece le seconde per ragioni culturali o economiche? Non sono in pochi a ritenere questa distinzione come il frutto di un pregiudizio: tali fenomeni di mobilità ricorrenti nella storia dell’umanità sono stati semplicemente e a mano a mano attualizzati dallo sviluppo delle tecnologie della mobilità e dalla crescita demografica globale in cui fattori concomitanti legati al clima e all’ambiente, ma anche ragioni culturali, economiche e sociali, oggi come nella preistoria, hanno indotto l’uomo alla
mobilità. Occorre forse abbandonare l’immagine di una trasposizione “vettoriale” di una popolazione ben costituita, con la sua lingua, la sua cultura, la sua ideologia e tecnologia, da un luogo ad un altro. La verità storica racconta invece di un movimento accompagnato alla continua trasformazione, all’adattamento e all’autocostruzione di detto gruppo di uomini, di popolazioni, all’incontro con l’altro, o anche allo scontro qualora le false teorie su popoli e razze hanno alimentato e “autorizzato” scempi, etnocidi e genocidi. Dinanzi alla migrazione, ancora una volta le popolazioni sono chiamate a rinegoziare la propria identità, adattandola, integrandola, incontrandosi o scontrandosi, perché proprio attraverso questo scambio si sono costruite forme di sapere, sono viaggiate le scoperte e le grandi innovazioni, anche attraverso i piedi, sulle spalle o nella mente di persone provenienti da terre lontane e percepiti come differenti. Niente di nuovo se questo processo ricrea quell’inquietudine
Le migrazioni dei popoli sono una costante nella storia del genere umano. In ogni epoca processi migratori di varia natura ed entità hanno interessato tutte le aree del mondo a partire dalla preistoria fino al medioevo. Nell’età moderna e contemporanea i flussi migratori, guidati prima dal colonialismo e successivamente dagli sviluppi della rivoluzione industriale, si sono intensificati in direzione Nord-Sud del mondo e verso l’occidente. Negli ultimi decenni del secolo scorso questo movimento ha assunto nuove dimensioni e prospettive, invertendo la propria direzione e interessando in particolare le aree del Nord del pianeta, trasformate da Paesi di emigrazione in mete di destinazione per milioni di persone appartenenti alle aree più povere della terra e attratte da prospettive di cambiamento. Guida consultabile sul sito Unimondo.org
Vignetta di Bruno Murer (da L’immigrato immaginario. Istantanee dalla realtà migratoria)
che è stata il motore della storia dell’umanità, scrive il professor Guido Chelazzi nel suo recente volume edito da Carocci editore Inquietudine migratoria. Le radici
profonde della mobilità umana. Rassicurazioni e analisi che molti taccerebbero come puro buonismo intellettuale, secondo uno schema manicheo che sempre più divide in tifoserie politiche i favorevoli o i contrari all’arrivo di migranti, richiedenti asilo, profughi in Italia. Come se con una scelta di fondo si potesse porre fine al movimento di persone, insito da millenni nel DNA del genere umano. * Unimondo
Arrivederci mondo vecchio, benvenuto mondo nuovo
Portano vita nuova là dove la vita nuova diminuisce. Questa è la verità fondamentale delle migrazioni, da sempre. Ce lo insegna anche la storia degli emigranti italiani. Una storia dolorosa e gloriosa. Sono andati in tutto il mondo a cercare futuro perché non ce n’era qui, ma hanno anche donato futuro all’America, all’Australia, alla Germania, alla Svizzera, alla Francia, all’Inghilterra, … Gli italiani avevano tanti figli e tanta povertà. Hanno portato figli e futuro là dove mancavano. Hanno ricevuto tanto dai Paesi che li hanno accolti, ma hanno anche dato tanto a quei Paesi e a quei popoli. Il lavoro degli italiani all’estero ha lasciato segni profondi. La ricchezza e la forza di quei continenti e di quelle nazioni è stata costruita anche grazie al lavoro degli italiani. Italiani che non erano sempre visti bene all’inizio, spesso erano trattati male. Spesso erano bollati dai pregiudizi. Spesso erano tenuti in disparte. Poi col tempo le cose sono cambiate. Gli italiani si sono integrati in quelle società, fino a diventarne parte fondamentale. La storia dell’emigrazione italiana è dolorosa e gloriosa insieme. Così è la storia di ogni migrazione. Anche l’Italia adesso, negli ultimi decenni, sperimenta cosa vuol dire accogliere immigrati. Perché è un Paese invecchiato, dove sono arrivati tanti giovani dai Paesi più poveri. In Italia,
ce lo ricordano anche gli ultimi dati statistici, non sono nati mai così pochi bambini. Il calo demografico iniziato negli anni ’70 del secolo scorso continua e solo la presenza dei figli degli immigrati lo rende meno drammatico. Nelle scuole italiane ci sono 800mila figli di stranieri. Nelle scuole del Trentino sono 10mila. Senza questi nuovi scolari e studenti moltissime scuole dovrebbero chiudere. Non solo. Come sempre è accaduto, gli immigrati fanno per lo più i lavori che i residenti non vogliono più fare. I lavori più duri, più precari, meno pagati, i lavori stagionali. Li troviamo a fare le badanti, le pulizie, le consegne a domicilio, li troviamo a raccogliere mele e uva, li troviamo a lavorare negli alberghi e nei ristoranti. Gli stranieri non rubano il lavoro agli italiani. Tutti i dati lo confermano. I giovani italiani preferiscono andare a lavorare all’estero piuttosto di accontentarsi qui da noi di certi lavori. Anche in anni di crisi economica. Tanti giovani italiani e anche trentini tornano ad emigrare, piuttosto di rimanere qui e accontentarsi dei lavori che trovano. E questi lavori li fanno gli immigrati. Cosa ne sarebbe del nostro sistema di assistenza agli anziani e alle persone non autosufficienti se le cinquemila assistenti familiari, o badanti, straniere se ne andassero? Il sistema di assistenza crollerebbe, questa è la verità. La nostra agricoltura (mele ed uva) si regge
col 70% di lavoratori stranieri, per la quasi totalità stagionali. Nelle ditte di pulizia senza i lavoratori stranieri cosa accadrebbe? Ma gli stranieri li troviamo in tanti altri ambiti. Il migrante porta vita nuova e futuro dove va. Certo, anche problemi nuovi. Problemi di convivenza, di accettazione reciproca perché l’incontro tra diversità genera anche problemi. Lingue diverse, culture e religioni diverse, modi di pensare e di vivere diversi. Ma questa diversità non è solo un problema. Essa esprime la ricchezza e la varietà inesauribili dell’umanità. Nessuno basta a se stesso. Noi non siamo tutta l’umanità. Ciascun popolo ha tesori di umanità che gli altri non hanno. Tesori anche di cultura e di spiritualità. Tesori che magari noi abbiamo perduto. Dall’incontro di questi tesori diversi ne nascono di nuovi. È la storia dell’umanità. Dobbiamo guardare alla realtà dell’immigrazione con sguardo meno annebbiato dalle paure. Guardare con fiducia a quello che sta accadendo. Ai timori di un mondo vecchio che sta morendo dobbiamo sostituire la speranza per un mondo nuovo che nasce. E questo mondo nuovo che nasce ha bisogno non delle nostre maledizioni e dei nostri timori, ma del meglio di noi stessi. Di tutto quanto di positivo possiamo dare. * Presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA)
EDITORIALE
>>>
Le popolazioni sono chiamate a rinegoziare la propria identità, adattandola, integrandola, incontrandosi o scontrandosi
la guida: migrazioni
MIGRAZIONI E DIRITTO AL FUTURO
23 aprile 2017
vita trentina
III
CIÒ CHE SPINGE A SPOSTARSI NON È MAI UN FATTORE ISOLATO
di Sara Bin erché si emigra? Perché vengono qui? Da cosa scappano? Cosa cercano? Domande consuete, apparentemente semplici le cui risposte, quando si riesce a darle, non lo sono altrettanto. Ciò che spinge a spostarsi non è mai un fattore isolato: le cause sono tra loro concatenate. Come pure ciò che attira: i fattori di attrazione sono sempre più di uno. Economia, politica, ambiente, società possono essere dei contenitori significativi, fattori di spinta e di attrazione, all’interno dei quali raccogliere le sfide delle migrazioni, senza sottovalutare che altri elementi come il genere e l’età incidono nelle scelte e nei progetti migratori. La questione è complessa. Per questo, lungi dal voler presentare verità date, cerchiamo di tenerci lontani dalle semplificazioni, anche se già scrivere riduce la realtà. Proviamo a dare un’occhiata dentro alcune questioni. Migrazioni economiche, migrazioni per lavoro, migrazioni di manodopera definiscono il movimento di persone da un Paese a un altro a scopo lavorativo. Si parte per un lavoro migliore o semplicemente per l’opportunità di trovarne uno. Nel 2015 erano 150 milioni, su un totale di circa 244 milioni di migranti in situazione regolare, le persone che lavoravano in un Paese differente da quello in cui sono nate: rappresentano elementi chiave dell’economia globale. In Italia, vivono oltre cinque milioni di cittadini di origine
P
Le cause più evidenti della migrazione restano dittature, persecuzioni, guerre, genocidi, “pulizie etniche” e violenze straniera. Circa la metà sono lavoratori, l’87% dei quali svolge un lavoro dipendente: essi rappresentano il 10,8% dei lavoratori totali, producono l’8,8% della ricchezza nazionale, per una cifra complessiva di oltre 123 miliardi di euro e nel 2015 hanno pagato la pensione a 620 mila italiani. Inoltre, gli immigrati non rubano il lavoro agli “autoctoni”. Essi sono complementari, più che concorrenti perché vanno a occupare settori lavorativi che gli italiani hanno abbandonato da tempo perché considerati umilianti, poco remunerativi, sporchi. La presenza degli immigrati sul lungo periodo ha consentito, almeno in Italia, un aumento dei salari dei nazionali; il lavoro domestico delle immigrate ha favorito l’inserimento o il rientro nel mercato del lavoro delle italiane; la disponibilità del lavoro degli immigrati ha mantenuto bassi i prezzi di alcuni servizi non solo in ambito domestico; e non ha abbassato la produttività i cui risultati negativi,
forse non tutti sanno che Non tutti i termini per indicare genericamente gli stranieri hanno uguale significato. Ecco dunque un glossario specifico in materia: MIGRANTE Termine generico che indica chi sceglie di lasciare il proprio Paese per stabilirsi, temporaneamente o definitivamente, in un altro Stato. Tale decisione, che ha carattere volontario anche se spesso è indotta da misere condizioni di vita, dipende generalmente da ragioni economiche ed avviene cioè quando una persona cerca in un altro Paese un lavoro e migliori condizioni di vita. PROFUGO Termine generico che indica chi lascia il proprio Paese a causa di guerre, persecuzioni o catastrofi naturali. RICHIEDENTE ASILO Colui che è fuori dal proprio Paese e inoltra, in un altro Stato, una domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato. La sua domanda viene poi esaminata dalle autorità di quel Paese; fino al momento della decisione in merito alla domanda, egli è un richiedente asilo.
Definizioni riportate nell’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, curato dall’Associazione 46° parallelo e giunto quest’anno alla sua settima edizione, sulla base dei codici giuridici internazionali in materia.
chi siamo
I nostri progetti in Italia sono La WSA è un percorso culturale di educazione, sensibilizzazione e informazioni su temi di carattere sociale e internazionale. www.worldsocialagenda.org Unimondo è una testata giornalistica online di informazione qualificata e pluralista su diritti umani, pace, democrazie e ambiente con News, Guide, Almanacco e Atlante. www.unimondo.org Impresa Solidale è una rete di solidarietà con il profit per promuovere una cultura di impresa orientata a un maggiore coinvolgimento sociale. www.impresasolidale.it www.fondazionefontana.org info@fondazionefontana.org Trento, Via Herrsching, 24 - Ravina tel. 0461.390092 Padova, Via Orologio, 3 tel. 049.8079391.
verso la necessità di progetti e interventi di gestione e tutela dell’ambiente. Anche nella Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune di papa Francesco viene evidenziata la tragicità “dell’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa”. Le cause più evidenti della migrazione, però, restano dittature, persecuzioni, guerre, genocidi, “pulizie etniche” e violenze. La storia ce ne ha mostrati tanti di esodi causati dal potere politico e continua a farlo. Se la combinazione di fattori economici, politici, ambientali e sociali può essere un fattore di spinta delle migrazioni, anche il grado di libertà entro il quale avviene lo spostamento ha un ruolo. Ci sono infatti movimenti migratori che si esplicano dentro una cornice di libertà di scelta, altri dove questa libertà è negata: sono le migrazioni forzate dove le cause della forza si ritrovano negli stessi motivi per cui si parte. l
I MURI SONO BESTIE ODIOSE, MA NE FACCIAMO SORGERE OVUNQUE
Oltre il confine? onfine è uno dei tanti modi per definire un elemento di separazione che serve a distinguere ciò che sta da una parte e ciò che sta dall’altra, a controllare. Il confine non è dato, non esiste alcun confine naturale: ogni confine nasce da un progetto sociale, anche quando di mezzo c’è la natura. Il confine è uno spazio sul quale si è fissata una razionalità sociale: il muro la sua manifestazione più visibile. Cosa significa andare oltre il confine? Considerato che il confine non può essere eluso dal nostro vissuto, esso è parte di noi, andare “oltre” per non vederlo più è solo un vano esercizio. Quindi forse non è tanto “oltre il confine”, quanto “sul confine” la dimensione spaziale da educare: essa ci obbligherebbe a imparare a sostare sul limite come condizione esistenziale, a saltarlo d’accordo, quando serve, ma con la consapevolezza che superarne uno significa incontrarne altri. I saltatori di muri di oggi lo sanno bene. A volte il confine è dato dalla traiettoria di una pallottola sparata dalla polizia di frontiera, a volte da chilometri di filo spinato, cemento e acciaio, altre volte da chilometri di deserto o di mare. Vivere il confine qui significa anche morire sul confine. Quando si va oltre, quando anche si ha la fortuna o la grazia di arrivare, se ne presenta subito un altro. I muri sono bestie odiose, ma ne facciamo sorgere ovunque. Esistono però per essere superati, valicati, anche abbattuti. La geografia dei muri non è una prerogativa della nostra epoca, lo è stata fin da quando l’uomo ha sentito la necessità di difendersi, dividere, controllare con il risultato che non ci è stato consegnato un mondo meno problematico. Il muro non risolve, il muro complica le relazioni, è insostenibile economicamente e inefficace. Lo stiamo vedendo in questo ultimo periodo contraddistinto dalla volontà di proteggerci dallo straniero, che diventa nemico, costruendo macchine di separazione. Ma il muro non basta a contenere il flusso di energia che lo investe, può essere contenitivo, ma non dissuasivo: la voglia di futuro di chi migra è più forte e resistente di ogni barriera. S.B.
C
Muro a Betlemme
il Salone Oltre il confine è il titolo della 30ª edizione del Salone Internazionale del Libro che si svolgerà a Torino dal 18 al 22 maggio 2017. Un tema scelto per dare l’idea del mondo attuale in cui, fino a qualche decennio fa, molti confini sembravano sul punto di svanire e oggi invece si moltiplicano. Un mondo in cui fino a qualche tempo fa i muri sembravano voler cadere giù, e oggi si torna a volerli costruire.
DIBATTITO
RIFUGIATO Il rifugiato è colui che è costretto a lasciare il proprio Paese a causa di conflitti armati o di persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. A differenza del migrante, egli non ha scelta: non può tornare nel proprio Paese perché teme di subire persecuzioni o per la sua stessa vita. Sfollate in un campo SFOLLATO profughi in Sudan È colui che abbandona la foto UN/Tim Mckulka propria abitazione per gli stessi motivi del rifugiato, ma non oltrepassa un confine internazionale, restando dunque all’interno del proprio Paese.
almeno in Italia, non dipendono dagli stranieri, ma dalle rigidità del mercato e dallo scarso rendimento del capitale umano. Ci sono anche i cambiamenti climatici e ambientali a esercitare pressioni sulla società e sull’economia, come pure viceversa: l’interazione societàambiente dà vita a un processo di trasformazione territoriale che genera milioni di spostamenti. Eventi improvvisi come terremoti, cicloni, tsunami, frane, alluvioni, eruzioni vulcaniche o di lungo periodo come siccità, innalzamenti del livello del mare o eventi più “prevedibili” quali diboscamento, salinizzazione di terre e/o acque dolci sono cause di migrazione. Tra queste, gli eventi improvvisi obbligano a un esodo repentino, che in alcuni casi è solo temporaneo perché dipendente dal processo di ricostruzione; gli eventi più prevedibili, invece, danno o darebbero il tempo di programmare politiche di intervento ed eventuali strategie di spostamento delle popolazioni, ma questa possibilità varia da Paese a Paese a seconda delle differenti capacità economiche, politiche e culturali dei singoli Stati. Nel 2014, erano 19,3 milioni le persone che erano state costrette a lasciare le proprie case a causa di disastri o rischi ambientali. Il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) prevede che il continente africano produca 50 milioni di “migranti climatici” entro il 2060 e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) presume che i profughi ambientali possano essere tra 200 e 250 milioni nel 2050. Una visione quasi apocalittica che spinge politicamente
foto UN Women/Ryan Brown
Migrare: perché?
IV
MIGRAZIONI E DIRITTO AL FUTURO
23 aprile 2017
vita trentina
L’INTERVISTA PARLA IL GIORNALISTA E VIDEOREPORTER GIACOMO ZANDONINI
Quell’Africa che viaggia verso l’Europa di Miriam Rossi iacomo Zandonini, classe 1981, origini trentine, di professione giornalista e video reporter free lance, è esperto sul tema dell’emigrazione. Ecco come ha risposto alle nostre domande. Traversata dei migranti africani per mare e per terra verso l’Europa. Le ha seguite entrambe: quali sogni, timori e speranze le raccontavano i suoi compagni di viaggio? Il viaggio ha valenze molto personali, come per ognuno di noi: viaggiamo per evadere, per scoprire posti nuovi, per conoscere il mondo, per crescere nel lavoro, per confrontarci con noi stessi. Questa è la storia di chi arriva in Europa per strade pericolose, rocambolesche, spesso drammatiche, perché l’Europa si sta chiudendo sempre di più. Per i giovani dell’Africa occidentale che ho incontrato, potrei dire generalizzando che c’è un grande desiderio di viaggiare, di scoprire. La “back way”, come la chiamano i gambiani, è un rito di passaggio, oltre che spesso una scelta forzata, da condizioni di vita senza prospettive, regimi autoritari, cambiamenti climatici. In un continente come l’Africa, fatto da Stati di origine coloniale, con confini tracciati a tavolino da noi europei, viaggiare è ancora più normale e essenziale per la sopravvivenza rispetto all’Europa. E non a caso la maggior parte delle migrazioni avviene all’interno dell’Africa... Chi cerca di attraversare il Mediterraneo è una minoranza esigua. Ci spaventano forse perché attraverso di loro riviviamo quello che volevamo dimenticare, il trauma originario dell’Europa: la guerra, la fame, i grandi spostamenti di persone. Sulla nave Aquarius che tipo di persone ha conosciuto? Sulla Aquarius, fra oltre 700 persone tratte in salvo in ore e ore di operazioni dalla Ong Sos Méditerranée, che gestisce la nave, uno dei primi a salutarmi è stato un ragazzo eritreo, che ha iniziato a parlarmi in italiano. Aveva lavorato come volontario con una piccola ong italiana ad Asmara, dentro un ospedale, e aveva poi fatto un corso di italiano. Ci siamo poi divertiti, con altri, eritrei e somali, a elencare le parole italiane presenti nelle loro lingue. Persone con un livello di istruzione buono, che avevano terminato le superiori o anche l’università, per quanto possibile in un Paese in guerra come la Somalia. Ma tutte consapevoli, più di molti italiani, del legame fra i nostri Paesi, di quella storia coloniale che in Italia abbiamo rimosso e che loro, attraverso la lingua e le storie familiari, portano con sé. Anche questo ha un grande peso nelle migrazioni, che la nostra società non riesce ancora a cogliere. Più in generale, fra chi viaggia le motivazioni sono così tante e le scelte diverse, che anche i livelli di istruzione lo sono. Molti giovani sperano però di trovare anche questo in Europa: la possibilità di studiare per aprirsi al mondo e contribuire al futuro del loro paese. Cosa sapevano i suoi compagni di
il documentario
foto Giacomo Zandonini
G
Dopo il viaggio da Gaza alla Libia, questa donna di 52 anni è rimasta su una barca di legno a largo delle coste a est di Tripoli con altre 720 persone. Qui è sulla nave Aquarius viaggio di quelli “passati” prima di loro? La comunicazione è una parte fondamentale di questi viaggi. Ci sono immagini dell’Europa che inevitabilmente attraggono, in un mondo globale in cui tutto sembra raggiungibile. Le foto caricate su Facebook da amici che sono arrivati, le immagini viste via internet... spesso questa visione idilliaca oscura la parte più dolorosa e dura,
cioè quel viaggio in cui forse metà dei viaggiatori non sopravvive. Gli stessi trafficanti utilizzano i social media e le fotografie, per attirare nuovi clienti in alcuni casi. Ma poi, ripetendomi, posso dire che la conoscenza del viaggio cambia da persona a persona: c’è chi ha la mappa stampata in testa e chi non sa che prima della costa libica c’è il Sahara. E i trafficanti ne approfittano: dalle coste libiche indicano le luci delle piattaforme petrolifere, a sole 20 miglia, dicendo che quella è l’Italia. Come giornalista, quale ruolo attribuisce al giornalismo nella costruzione dell’opinione pubblica sul tema dei migranti? Il giornalismo ha un ruolo centrale, enorme. Spesso ha disatteso il suo dovere di racconto della realtà, di
civile nel suo Paese d’origine, la Costa d’Avorio. Fino ad allora la sua vita scorreva normalmente: viveva in famiglia, aveva un fidanzato e si era diplomata nel settore turistico. A seguito della guerra, la sua famiglia si è trasferita in altre città del Paese; la sua amica del cuore, Lory, è andata in Tunisia, mentre lei è riuscita a trovare rifugio in un campo profughi in Ghana. Dopo 4 anni di quell’inferno ha deciso di raggiungere Lory e, insieme, sono partite per la Libia. Là le due ragazze hanno vissuto con il costante timore di essere incarcerate fino alla decisione di imbarcarsi in un “viaggio della speranza” verso l’Europa con la speranza di ricostruirsi una vita. gambiano, è l’unico dipenLdenteamin, di un’autofficina di Canezza, frazione di Pergine Valsugana. Il giovane racconta con relativa serenità del proprio passato: rimasto orfano, a 16 anni dopo la scomparsa anche dello zio che lo accudiva è scappato dal Senegal per non rischiare di fare la stessa fine dei suoi cari. Ha viaggiato verso nord attraversando Mali, Burkina Faso, Nigeria e infine Libia, dove è rimasto 4 anni tra il timore di essere minacciato per strada e i maltrattamenti subiti in carcere finché un giorno, come tante altre persone, ha pagato uno scafista ed è salito su un barcone per raggiungere l’Europa. Cinformi - Centro informativo per l’immigrazione della Provincia autonoma di Trento
TESTIMONIANZE
I “viaggi della speranza” uth aveva 24 anni quando è R scoppiata la guerra
“È Dio che mi ha portato fin qui da Niamey. Se Dio vuole, mi porterà fino a Lampedusa. Io vado in Italia, te lo giuro”. Si apre con un giuramento e si chiude con un giuramento, il documentario Wallah Je te jure prodotto nel 2016 dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) che parla della rotta migratoria che dall’Africa Occidentale passa per il Niger e la Libia, fino a raggiungere l’Italia. Attraverso 25 storie di migranti, il regista Marcello Merletto e la sua troupe, con assistenti di produzione Elisabetta Jankovic e Giacomo Zandonini, hanno raccontato storie di uomini e donne che partono, che restano, che sono tornati indietro.
servizio pubblico a tutti i cittadini. Lo ha fatto accodandosi a un clima politico centrato sulla sicurezza, sull’idea di invasione... termini come “ondata”, “esodo”, dicono tutto su questo approccio. È un giornalismo che sta nelle redazioni, si basa su comunicati, notizie di agenzia... e va poco sul campo, non incontra le persone, i protagonisti di questa storia. Per fortuna le eccezioni ci sono, ottimi colleghi che preferiscono - citando l’ex
Giacomo Zandonini
(Dalla recensione di Angela Tognolini su The Bottom Up)
IL PRIMO NEL 2016 GRAZIE A UN’ATTIVA COLLABORAZIONE E
Corridoi umanitari. Un’alternativa valida siste una alternativa ai viaggi della speranza attraverso il Mediterraneo o per terra, lungo la cosiddetta rotta balcanica o altre analoghe create verso il continente europeo? Esiste. Sono i cosiddetti corridoi umanitari che dal febbraio 2016 sono stati attivati da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche, Chiese valdesi e metodiste in un’inedita collaborazione ecumenica fra cristiani cattolici e protestanti che hanno scelto di unire le loro forze per un progetto, autofinanziato, di alto profilo umanitario. La consegna di un visto e il pagamento di un volo aereo consentono alle persone in fuga di evitare i viaggi con i barconi nel Mediterraneo, che hanno già provocato e continuano a determinare un numero altissimo di morti, di essere merce dei trafficanti di uomini oltre che di accedere illegalmente sul territorio italiano. Tutte ragioni che, unite al grado di successo dei voli già realizzati e al conseguente processo di integrazione attivato, indicano che a buon ragione occorre proseguire su questa strada. Nei prossimi due anni si prevede l’arri-
E
vo in Italia attraverso i corridoi umanitari, secondo un protocollo stipulato col Ministero degli Affari Esteri, di mille profughi provenienti dal Libano (per lo più siriani fuggiti dalla guerra), dal Marocco (dove approda gran parte di chi proviene dai Paesi sub-sahariani interessati da guerre civili e violenza diffusa) e dall’Etiopia (eritrei, somali e sudanesi). È il recente libro del consigliere provinciale Mattia Civico “Badheea. Dalla Siria in Italia con il corridoio umanitario”, pubblicato dalla casa editrice Il Margine, a riportare l’attenzione su questa alternativa all’inevitabile attesa delle tragedie dei migranti in mari che da anni raccontano i nostri telegiornali. La storia della fuga di questa
MIGRAZIONI E DIRITTO AL FUTURO
23 aprile 2017
vita trentina
V
APPUNTI DI VIAGGI DEGLI EMIGRATI TRENTINI
L’umanità in movimento bastimenti utilizzati dagli emigranti per compiere le traversate oceaniche alla fine dell’Ottocento erano vaporetti malconci, spesso misti (a vapore e a vela) poco più che delle odierne cosiddette carrette del mare. Nessuno a tutt’oggi ha potuto accertare quanti di quei bastimenti non arrivarono mai, né quanti furono esattamente i morti”: è quanto si può leggere a pagina 87 del “Dizionario enciclopedico delle migrazioni italiane nel mondo” (a cura di Tiziana Grassi, Enzo Caffarelli, Mina Cappussi, Delfina Licata, Gian Carlo Perego, edito da Società Editrice Romana nel 2014). Sulla stessa pagina si precisa che “un’inchiesta parlamentare mise in evidenza che i bastimenti imbarcavano molti più passeggeri di quanto fosse consentito dalle disposizioni in vigore. Si parlò addirittura di ‘tonnellate umane’,
“I
Emigranti: guardando a un nuovo mondo. Per cortese concessione del Galata Museo del Mare - Padiglione Memoria & Migrazioni, Genova inviato Rai Ennio Remondino, con cui avevo fatto un corso - il marciapiede alla scrivania. Che piani ha per il futuro immediato: continuerà a lavorare sul tema? Al momento sono sulla nave Golfo Azzurro, della ong Proactiva. In futuro ho diversi progetti, sempre sul tema... con alcuni colleghi stiamo parlando di realizzare dei documentari, al momento lavoriamo a tre idee, vedremo se troveremo finanziamenti adeguati per iniziare. Mi piacerebbe da tempo scrivere un libro, fare un lavoro di più lungo periodo. E poi, nei prossimi mesi, tornare in Africa occidentale, alle origini dei viaggi, per raccontare anche questo, e una parte di quello che avviene in questi paesi, che trova troppo poco spazio sui media nostrani. Insomma, le idee non mancano, ora avrò ancora alcune presentazioni del documentario “Wallah - Je te jure” e proverò a riordinarle per buttarmi in nuove avventure. l
Il libro sulla storia di Badheea, siriana, dal Libano in Italia grazie ai corridoi umanitari
donna, Badheea, dalla città martire di Homs, la sua vita nelle tendopoli del Libano, l’arrivo in Trentino in sicurezza e senza trafficanti, e la vita oggi alla periferia di Trento, a Ravina: una storia significativa, testimonianza che c’è un altro modo di accogliere chi fugge da una guerra o dalla povertà estrema, preludio comunque di un’esistenza non dignitosa. M.R.
L’ALTERNATIVA
ECUMENICA
Vignetta di Bruno Murer (da L’immigrato immaginario. Istantanee dalla realtà migratoria) riferendosi a persone caricate secondo criteri di peso e non di numero”. Allora come adesso il viaggio, sia per mare che via terra, l’intrapresa che fa diventare “emigrante” colui che la affronta, l’angosciante momento che segna il distacco definitivo da ciò che si conosce, è sinonimo di fatica, disagio, sofferenza, paura, abbandono, incertezza. Tutte sensazioni che anche gli emigrati trentini hanno provato sulla loro pelle. Alcune significative testimonianze si possono trovare nella trilogia “Tanti volti, un’unica comunità” (pubblicata dall’Associazione Trentini nel mondo in occasione del suo cinquantesimo di fondazione). Vitorio Veneri, nato a Nova Trento (Santa Catarina – Brasile) nel 1924, riferisce ad esempio quanto le aveva raccontato la bisnonna, che era emigrata con il marito quando era incinta di sei mesi: la figlia venne alla luce sulla nave e fu chiamata Marina. “Gli emigranti rimasero una settimana ad aspettare che la nave fosse pronta e pensavano che sarebbero arrivati in Brasile prima di tre mesi – si può leggere nel volume dedicato ai Circoli trentini di Brasile ed Argentina - ma la navigazione
era incostante: un giorno facevano un tratto di mare in una direzione e il giorno dopo navigavano in un’altra direzione. I marinai spiegavano le vele quando il vento soffiava nella giusta direzione e quando soffiava al contrario chiudevano una vela che stava su un albero alto sedici metri e così il vento spingeva molto meno. C’era solo acqua e cielo e nessuna terra. La vita sulla nave era una cosa da non credere”. Era incinta anche Virginia, la moglie di Giuseppe Ferdinando María Dalceggio, che si imbarcò a Genova nel 1879 per raggiungere l’Argentina. Durante i ventisei giorni di navigazione la coppia dovette affrontare l’immenso dolore della perdita dei loro due gemelli, nati morti e gettati in mare. Angela Zanoni, originaria di Massone di Arco, insieme con i figli Maria, Josefa e Remo, nell’aprile del 1924 partì, con destinazione l’Uruguay dove già si trovava il marito Marco, a bordo della “Principessa Mafalda”, un’imbarcazione “non molto grande, che col brutto tempo beccheggiava molto, facendo star male quasi tutti i passeggeri. Si può immaginare come viaggiò la mia povera nonna, in terza classe, sola con tre bambini di quattro, tre e due anni, per nulla abituati a vedere gente estranea”, racconta la nipote Maria Mattei nel libro. Una volta sbarcati, spesso l’odissea non era ancora finita. Giorgio Berloffa aveva sette anni quando nel 1952 con il papà Carlo, la mamma, Afra Nicolini, e i fratelli, Marcella, Annamaria e Alberto, partì per il Cile. La maggior parte degli emigranti che fecero quel viaggio scese al porto di Coquimbo, vicino a La Serena: il gruppo di cui faceva parte la famiglia di Giorgio Berloffa proseguì fino Valparaìso, nel sud del paese. “Da qui - ricorda Giorgio - con il treno, siamo andati a Parral, e da lì ci hanno portati con dei camion fino alla nostra destinazione, la Colonia San Manuel, a una quarantina di chilometri verso l’interno. Pioveva e, quando siamo scesi dai camion, sprofondavamo nel fango fino alle ginocchia; la mamma si è messa a piangere, chiedendosi dove mai fossimo capitati”. Più meno negli stessi anni Giuseppe Valentini partiva in treno da Milano per andare a lavorare nelle miniere di carbone in Belgio. Un viaggio che racconta così. “A Basilea ci eravamo fermati, potevamo scendere ma solo in fila per la distribuzione di pane, formaggio e salame. Il treno era tutto chiuso. Quando siamo arrivati alla stazione ‘Guillemins’ di Liegi abbiamo visto, sopra un ponte, una muraglia piena di italiani e tutti gridavano ‘Andate via, tornate indietro, qua sotto si sta male, si muore, il carbone è brutto e sotto c’è il fuoco’. Su un camioncino sporco di carbone ci hanno portato verso l’ultima destinazione: la miniera. Eravamo già tutti neri, la prima polvere l’avevamo già mangiata lì”. Maurizio Tomasi Associazione Trentini nel Mondo
NEL DIBATTITO SUL FENOMENO MIGRATORIO SI TRASCURA IL TEMA DEL LAVORO E DELL’IMPRESA
Immigrazione fa rima con sviluppo? I n Italia si contano 656mila imprenditori immigrati e 550mila imprese a conduzione straniera, pari al 9,1% del totale. In Trentino le imprese con titolare straniero sono circa 2.500. Secondo la Fondazione Leone Moressa di Mestre, che studia da tempo l’impatto economico del fenomeno migratorio, le imprese dei migranti contribuiscono con 96 miliardi di euro alla creazione del 6,7% del valore aggiunto nazionale. Corrispondentemente in Trentino il valore aggiunto delle imprese migranti si può stimare in oltre 400 milioni di euro. Se poi, oltre alle imprese, consideriamo il lavoro dei migranti, il loro contributo al prodotto interno lordo, dice sempre la Fondazione Moressa, arriva a 127 miliardi. In Trentino gli immigrati producono 1,6 miliardi di Pil. Nonostante queste cifre, l’esclusione finanziaria dei migranti è ancora elevata, anche se in lento miglioramento. L’Osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti, a cui collabora l’Abi, Associazione Bancaria Italiana, segnala come i migranti bancarizzati, cioè con un conto in banca o alle Poste, alla fine del 2013 fossero il 74,2%, rispetto al 61,2% di tre anni prima. Il progresso è innegabile, tuttavia c’è ancora più di un quarto dei migranti che non accede ai servizi finanziari o magari ne utilizza solo di informali, ad
“Trasformare il problema rifugiato nella risorsa rifugiato è il centro della sfida”
esempio per inviare le rimesse al Paese di origine. Inoltre, la quota di immigrati che non riceve prestiti è ancora superiore. Va ricordato, peraltro, che in Italia l’esclusione finanziaria è più elevata in generale che negli altri Paesi ricchi. In questo contesto, nell’affrontare l’emergenza profughi e rifugiati il tema del lavoro e dell’impresa è ancora in secondo piano. “Sul bagnasciuga, di qua dal confine, il primo atto dovuto è il soccorso: un pasto caldo, una coperta, un ricovero. Ma se poi i giorni si fanno tutti uguali e la condizione di assistito si
fa permanente, ecco che la condizione di naufrago può lasciare il posto a quella di vinto, a quello stato delle cose cioè in cui la persona che ha trovato rifugio non ha più nulla da chiedere a se stesso. Al contrario, rimettere in moto le energie, tante, impiegate nella fuga, e che sembrano sopite nel luogo dell’assistenza, è uno dei pensieri che percorrono la mente dei protagonisti delle storie che abbiamo qui raccontato” scrive Giampietro Pizzo, dell’Associazione Microfinanza e Sviluppo, nel libro “Come un sasso o come un fiore. Storie di rifugiati e progetti di vita” (Edizioni Sinopia, Venezia 2016). I potenziali imprenditivi dei profughi e in generale dei migranti sono un bacino molto più grande di quello che appare. Il progetto “Startup your busines”, promosso da una coalizione di associazioni tra le quali la trentina
forse non tutti sanno che... Le rimesse dei migranti non solo costituiscono un importantissimo apporto finanziario per le famiglie di provenienza degli espatriati, ma stanno diventando per i Sud del mondo una fonte primaria per la crescita delle economie locali. A livello macroeconomico, l’afflusso delle rimesse rafforza la bilancia nazionale dei pagamenti dei Paesi più poveri riducendo il loro debito nei confronti di quelli più ricchi. Guida consultabile sul sito Unimondo.org
Microfinanza e Sviluppo, ha fornito formazione imprenditoriale a 98 rifugiati e sostenuto la nascita di 14 microimprese in Trentino e in altre regioni: tre sartorie, un’officina di riparazione di biciclette, due servizi di assistenza informatica, un’impresa di comunicazione, una società di consulenza per imprese che vogliono investire in Africa, un negozio di vendita di prodotti alimentari e accessori etnici, un’attività di vendita di forniture per parrucchieri. “Trasformare il problema rifugiato nella risorsa rifugiato è il centro della sfida” sottolinea Pizzo. “Serve una nuova generazione di progetti in grado di promuovere l’autonomia economica dei rifugiati e dei migranti e di combattere l’esclusione finanziaria anche di tanti italiani”. Associazione Microfinanza e Sviluppo
VI
23 aprile 2017
vita trentina
MIGRAZIONI E DIRITTO AL FUTURO
Lo speed date è uno strumento per favorire la conoscenza di persone nuove, applicato soprattutto alla sfera affettiva. Si pone una persona di fronte all’altra così da consentire a ciascuno di parlare in un limite di tempo prestabilito. In rapida successione poi le persone andranno scorrendo nel posto accanto così da permettere, a rotazione, di conoscere tutti gli intervenuti.
di Anna Molinari * ell’ambito del percorso promosso quest’anno nelle scuole da Fondazione Fontana su migrazioni e diritto al futuro, si sono tenuti anche degli inediti speed date. L’attività proposta ha previsto a ogni appuntamento con gli studenti delle classi aderenti al percorso la presenza di 5 richiedenti asilo di diverse provenienze, studenti di italiano come lingua straniera (L2) accompagnati da un facilitatore linguistico (insegnante o volontario) dell’associazione F.I.L.I. (Facilitazione e Intercultura per la Lingua Italiana) che ha condotto l’incontro. Come in uno speed date tradizionale ma ovviamente con finalità diverse, nel poco tempo a
N
Un modo diverso per promuovere il diritto al futuro disposizione cadenzato in forma di gioco da una clessidra si è favorita la possibilità di incontri brevi e multipli con persone diverse attraverso la condivisione di domande rapide e semplici che miravano a far emergere passioni in comune, abitudini, desideri. L’intento è stato specificamente quello di favorire da un lato la conoscenza di coetanei provenienti da altre parti del mondo, con aspirazioni spesso però molto simili, e dall’altro quello di incentivare la pratica della lingua italiana tra i giovani richiedenti asilo, che spesso hanno rare occasioni di parlare italiano fuori dall’aula delle lezioni. I 263 ragazzi e ragazze delle classi trentine
che hanno scelto di avvalersi di questa proposta hanno apprezzato l’idea, manifestando curiosità, spontaneità e interesse e a volte proponendo di continuare la conoscenza reciproca in contesti diversi, per esempio attraverso pomeriggi di sport o cucina. Allo stesso modo i 27 studenti stranieri dei corsi di lingua italiana L2, di età compresa tra i 18 e i 25 anni, di provenienze diverse (Mali, Senegal, Gambia, Pakistan, Nigeria, Costa d’Avorio) e spesso legati a contesti di analfabetismo totale o parziale, si sono prestati all’attività con entusiasmo e impegno, cimentandosi nella sfida di conversare in italiano di argomenti comuni. La sfida più difficile era però evidente: superando i reciproci pregiudizi, conoscere altri giovani che appaiono così differenti per i percorsi di vita compiuti. *Fondazione Fontana e Unimondo
LIBRI SULLA TEMATICA DELLE MIGRAZIONI
Consigli di lettura Waris Dirie, Cathleen Miller, Fiore del deserto. storia di una donna, Garzanti 2000 Quella di Waris Dirie è una testimonianza straordinaria. Nata in Somalia, in mezzo al deserto, la sua vita l’ha condotta all’esclusivo mondo delle top model. Quando aveva più o meno cinque anni, suo padre decise che era giunto il tempo di infibularla: le pagine in cui Waris ricorda oggi quella mutilazione atroce sono assolutamente strazianti. Aveva tredici anni quando fuggì da una zia a Mogadiscio, e poi a Londra, nella residenza di uno zio ambasciatore, come cameriera, a lavorare 18 ore al giorno 7 giorni su 7. Così, quando lo zio, concluso il suo mandato, fu richiamato in Somalia, decise di restare in Inghilterra. Sola, iniziò a guadagnarsi da vivere lavando i pavimenti da McDonald’s. Analfabeta, si iscrisse a una scuola serale. Alidad Shiri, Via dalla pazza guerra: un ragazzo in fuga dall’Afghanistan, Il Margine 2007 “Mi chiamo Alidad Shiri. Il mio nome vuol dire “dono di Alì”. Il mio cognome, Shiri, indica l’abbondanza e la bontà del cibo. Sono cresciuto in Afghanistan ma quando avevo nove anni i talebani hanno ucciso il mio papà. Pochi mesi dopo mia mamma, mia sorella più piccola e mia nonna sono morte sotto un bombardamento. Allora, con i miei zii, mio fratello e mia sorella più grandi siamo emigrati in Pakistan perché per noi era pericoloso rimanere. Ma lì non c’era futuro per me. Con un amico sono emigrato clandestinamente in Iran dove ho lavorato per due anni in una fabbrica di Teheran finché ho guadagnato abbastanza soldi per fuggire in Europa. Sono arrivato in Alto Adige legandomi sotto un tir che partiva dalla Grecia. Adesso ho sedici anni e vivo a Merano. Con l’aiuto della mia insegnante di italiano, Gina Abbate, vi racconto la mia storia”. Daniele Biella, Nawal. L’angelo dei profughi, Paoline 2015 Nawal è l’angelo dei siriani in fuga dalla guerra. Ha 27 anni, di origini marocchine, è arrivata a Catania da piccola: da lì aiuta in modo volontario migliaia di migranti a sopravvivere al viaggio della disperazione nel Mediterraneo e a non cedere al racket degli “scafisti di terra”. Vive con il cellulare sempre all’orecchio. Anche per le autorità e per Mare nostrum è un punto di riferimento, anche se non l’hanno mai incontrata ufficialmente. Se le persone che viaggiano con i barconi della morte nel Mediterraneo hanno un angelo, il suo nome è Nawal. Se i funzionari dell’Operazione Mare nostrum e le Capitanerie di porto di tutto il Sud Ita-
lia devono ringraziare qualcuno per facilitare il loro compito, ovvero il salvare più vite possibili, devono dire grazie a Nawal. Melania G. Mazzucco, Io sono con te. Storia di Brigitte, Einaudi 2016 Due donne si incontrano per mesi, imparano a conoscersi, a capirsi, a fidarsi l’una dell’altra. Una si chiama Brigitte, arriva dal Congo, ha perso tutto e comincia a raccontare; l’altra si chiama Melania, l’ascolta a lungo e poi quella storia decide di scriverla. Brigitte arriva alla stazione Termini un giorno di fine gennaio. Addosso ha dei vestiti leggeri, ha freddo, fame, non sa nemmeno bene in che Paese si trova. È fuggita precipitosamente dal Congo, scaricata poi come un pacco ingombrante. Eppure era un’infermiera, madre di quattro figli che ora non sa nemmeno se sono ancora vivi. Quando è ormai totalmente alla deriva l’avvicina un uomo: è un nuovo inizio, ma è anche l’inizio di una nuova odissea. Christina Lamb, Nujeen Mustafa, Lo straordinario viaggio di Nujeen. Dalla Siria alla Germania in sedia a rotelle per fuggire dalla guerra, HarperCollins 2016 Nujeen Mustafa ha sedici anni e soffre di una grave forma di paralisi cerebrale che l’ha costretta su una sedia a rotelle e le ha impedito di frequentare la scuola pubblica. Ma questo non l’ha fermata: ha imparato l’inglese guardando le soap opera americane trasmesse dalla tv del suo Paese e nello stesso modo ha studiato storia, letteratura, scienze. Dimostrando di avere un coraggio da leone, questa adolescente ha seguito la rotta dei migranti, oltre 6000 chilometri dalla Siria fino al confine con l’Ungheria e poi in Germania.
l’iniziativa DUE FRAGILITÀ, UN PROGETTO VINCENTE n’accoppiata su cui ben in pochi avrebbero potuto scommettere in avvio sulla sua riuscita, quella tra richiedente asilo e malato U psichico. E invece il progetto sperimentale avviato dall’autunno 2012 a Trento con la regia retta da Apss, Comune del capoluogo e Centro di Salute Mentale, forte dei risultati positivi raggiunti, va avanti e viene potenziato. In sintesi, il progetto “Amici per casa” prevede che anche i richiedenti asilo o profughi (oltre ai cittadini italiani segnalati dai poli sociali) assistano i malati psichici così da dare agli uni alloggio e
IN PILLOLE
la parola
LA “SFIDA” DELLE SECONDE GENERAZIONI Di fronte al fenomeno migratorio, è necessario avere anche uno sguardo di prospettiva, ponendo le basi per una positiva convivenza fra le prossime generazioni. In particolare, la stabilizzazione dei migranti, in Trentino ma anche nel più generale contesto italiano, ci spinge a creare oggi le condizioni affinché domani siano accessibili alle cosiddette “seconde generazioni” le stesse opportunità che verranno offerte alle persone di origine it aliana. Accanto alle iniziative messe in campo dal Cinformi come, ad esempio, la valorizzazione del tessuto associativo migrante e i laboratori teatrali interculturali che portano sul palco ragazzi “2G” e autoctoni, un ruolo fondamentale è svolto dalla scuola. Due recenti esempi sono i progetti “Almeno una stella” (Pergine Valsugana) e “Compagni di viaggio” (Trento e Rovereto) del Servizio infanzia e istruzione primo grado della Provincia autonoma di Trento - Centro Interculturale Millevoci. I progetti coinvolgono anche le famiglie, valorizzano in qualità di tutor studenti italiani e stranieri dell’università e della scuola secondaria di secondo grado. Destinatari sono invece adolescenti stranieri di recente e remota immigrazione o di seconda generazione, valorizzandoli come “ponti fra culture”, evitando al contempo il rischio della cosiddetta “doppia assenza”. a cura del Cinformi L’ITALIA SONO ANCH’IO? Da tempo in Italia si attende una riforma della legge di cittadinanza per sanare una situazione che vede i bambini figli di stranieri, nati oppure diventati adulti nel Paese, non ottenere automaticamente la cittadinanza italiana neanche al compimento della maggiore età. Le conseguenze? Un piccolo esercito di “fantasmi” cresciuto nelle città italiane. La norma sulla cittadinanza giace al Senato dall’ottobre 2015. Da mesi si assiste a continui rimandi nella presentazione (e approvazione) alla Camera, giustificati sulla base di questioni di più impellente soluzione ma che celano malamente anche la scarsa volontà di alcuni partiti di introdurre il cosiddetto “ius soli”. Una inerzia della politica che sembra non affatto rispondere alla percezione dell’opinione pubblica che si tratti di una norma corretta, anche atta a snellire l’apparato burocratico connesso alla gestione dei cittadini stranieri. Una consapevolezza resa più evidente dalla campagna “L’Italia sono anch’io”, che cerca di sensibilizzare e di dare impulso all’approvazione della legge di cittadinanza, in piazza o mediante i social network, attivando quelle forze della società civile a supporto dei diritti dei “senza cittadinanza” ma comunque italiani. M.R.
opportunità lavorative e agli altri l’accoglienza e l’assistenza necessari tra le tranquille mura domestiche, evitando loro una istituzionalizzazione in una struttura ad hoc. Due soggetti fragili della società che, uniti, costituiscono una risorsa l’uno per l’altro come le diverse esperienze di convivenza stanno dimostrando. E anche il territorio ci guadagna, non solo in termini di pratica di welfare ben riuscita ma, economicamente parlando, dato il forte risparmio registrato dalle istituzioni con questa soluzione per l’assistenza dei pazienti segnalati al Servizio di salute mentale, che altrimenti sarebbero dovuti essere stati ospitati nelle comunità. Integrazione e benessere si uniscono quindi con un progetto che può costituire il seme per costruire un futuro migliore per la nostra comunità che eviti l’emarginazione di alcun individuo ma piuttosto ne valorizzi le qualità. M.R.
MIGRAZIONI E DIRITTO AL FUTURO
E
PARLANO ELENA RINALDI E MOUSSA DIA, IMPEGNATI NELL’ACCOGLIENZA MIGRANTI
La parola agli operatori dell’accoglienza
Elena Rinaldi
ER: Un operatore deve avere la capacità di mettersi in relazione con i migranti, capacità di adattamento, ma al contempo fermezza. MD: È necessario avere un’ottima capacità di ascolto ed elasticità, per saper interpretare ogni situazione approntando le opportune risposte. E il profilo del richiedente asilo? ER: I richiedenti asilo sono prevalentemente maschi sotto i trent’anni, non particolarmente scolarizzati, quasi sempre con un vissuto di violenza/sofferenza alle spalle. Talvolta hanno aspettative molto alte rispetto a quanto è possibile fare per loro. Fondamentalmente sono persone bisognose di essere guidate con fermezza e sensibilità affinché possano orientarsi nel contesto europeo. MD: Il migrante richiedente asilo è una persona spesso psicologicamente fragile, per certi versi disorientata; è
Moussa Dia
importante aiutarla invece ad assumere consapevolezza del “mondo” che la circonda adesso. Spesso il migrante costituisce un capro espiatorio: cosa si sente di dire al riguardo? ER: I migranti accolti sono persone che hanno un vissuto completamente diverso dal nostro e che vengono da contesti molto differenti; realtà dove spesso non c’è un sistema di regole e garanzie come da noi. A volte, i migranti si esprimono con modalità che noi non comprendiamo e che ci sembrano inadeguate. Bisogna capire bene chi sono queste persone e cosa hanno alle spalle per saper interpretare il loro modo di esprimersi. MD: Dobbiamo avere pazienza, capire a fondo la questione, andare oltre la superficie per capire la storia di ogni singolo migrante e l’origine del fenomeno delle migrazioni forzate.
Piccoli episodi di contrarietà o violenza verso l’accoglienza ai richiedenti asilo si sono verificati anche qui in Trentino. Vi sembra che la tradizione di accoglienza trentina sia in crisi? ER: Non penso che sia cambiata la tradizione trentina di accoglienza e solidarietà. Il fatto è che la presenza dei profughi rappresenta un nuovo banco di prova per il nostro spirito di accoglienza e solidarietà. Stavolta non si tratta di aiutare persone lontane, bensì persone che “bussano alla nostra porta”. MD: Il Trentino è ancora un territorio che accoglie. Gli episodi di intolleranza appartengono a una minoranza che non esprime l’identità dell’intera comunità. Un messaggio che vuole lanciare? ER: Nel nostro piccolo non possiamo intervenire sulle dinamiche che generano le migrazioni forzate o sulla risposta dello Stato a questo fenomeno. Quello che noi possiamo fare è accompagnare le persone accolte in una fase della loro vita e cercare di metterle nelle condizioni di camminare con le proprie gambe. Se riusciamo a valorizzare il tempo che i profughi trascorrono da noi, abbiamo fatto molto. Fatto questo, il futuro dei migranti è nelle loro stesse mani. MD: A volte, quando sproniamo i migranti a tessere relazioni con la comunità, le persone accolte ci dicono di avere timore a prendere contatto con i trentini. Allora io dico: provino anche i trentini a fermare i ragazzi, a instaurare un semplice dialogo e a fare il primo passo per superare le paure reciproche. M.R.
FRA LE TANTE ESPERIENZE DI VOLONTARIATO, ANCHE L’IMPEGNO NEL “PROGETTONE”
Profughi al servizio della comunità brahima mostra con orgoglio l’attestato che ha rice- sieme profughi e anziani si raccontano reciprocamente passato, presenal termine del corso di volontario che ha affron- te e futuro e nascono rapporti di amicizia. Tutti si sentono ascoltati e vaItatovuto con entusiasmo con la Croce Rossa Italiana. Origi- lorizzati. Un profugo inserito nel cosiddetto “Progettone”
vita trentina
VII
nario del Gambia, circa due anni fa è arrivato in Trentino con un “viaggio della speranza” a bordo di un barcone. Qui ha ottenuto la protezione umanitaria e nel proprio percorso si è impegnato accogliendo con entusiasmo le proposte di valorizzazione del tempo libero che gli sono arrivate dalle rete dell’accoglienza. Accanto all’impegno presso la Croce Rossa a Folgaria, ha iniziato un tirocinio presso la locale Casa di Riposo. Anche l’azienda pubblica di servizi alla persona Margherita Grazioli di Povo di Trento ha aperto recentemente le porte ad alcuni volontari richiedenti asilo. Tre di loro frequentano il corso di volontariato organizzato presso la casa di riposo, quattro svolgono attività di animazione con gli anziani e altri due li assistono ogni mercoledì pomeriggio per qualche ora in lavori di creazione di piccoli manufatti. Fode, senegalese, e Mohamed, maliano, sono i due richiedenti asilo che aiutano alcune signore anziane a realizzare cesti in vimini. Nel tempo trascorso in-
Luciano (Mamudou ama farsi chiamare così) in Trentino è stato accolto più di un anno fa nel progetto profughi dopo un lungo viaggio partito dal Gambia. Qui ha manifestato il desiderio di svolgere attività di volontariato, fino ad essere selezionato per il Servizio civile presso il servizio a sostegno delle famiglie con disabilità “Prove di Volo” a Gardolo di Trento, organizzato dalla cooperativa La Rete. Luciano ha anche fatto parte della squadra di pulizie della città “Noi siamo Trento” e ha accompagnato i bambini a giocare presso il Muretto a Gardolo attraverso la cooperativa Progetto 92. Oltre al Servizio civile, frequenta anche la terza media presso il centro Eda a Trento. Fra le tante esperienze di volontariato, anche l’impegno di quaranta profughi nel “Progettone”. Fra luglio e novembre 2016, i migranti hanno prestato la propria opera gratuitamente presso alcuni cantieri di manutenzione di aree verdi nelle zone di Trento, Rovereto e in Valsugana. a cura del Cinformi
“Rawda ha mostrato Rawda, 29 anni, etiope, uccisa da un treno sulla linea del Brennero il meglio della nostra comunità” sera del 16 novembre scorso il treno diretto a Verona investe e uccide rimpatriare il feretro. La solidarietà si unisce alla giovane donna all’altezza di Borghetto. Una “profuga” si direbbe. rabbia per una morte avvenuta lungo la rotta ferroLUna auna “clandestina” che probabilmente cercava di orientarsi seguendo la li- viaria Verona-Austria, dove altre 4 persone, migranAntenne migranti
LA STORIA
nea ferroviaria. Si riesce a darle un’identità: si chiamava Rawda, aveva ti, hanno perso la vita negli ultimi anni. È soprattut29enne ed era etiope, una dei fortunati riusciti ad attraversare incolume il to il gruppo di volontari di Antenne Migranti a essersi attivato presso la comunità di Mediterraneo. Avio e a portare ancora una volta Una morte che turba l’attenzione sulla necessità che le profondamente la istituzioni e le comunità tutte si comunità della bassa aprano alle istanze di accoglienza Vallagarina che, oldei profughi. La realtà dell’immitre a identificare la “Antenne migranti” è un gruppo informale di persone che cerca di grazione, con la storia tragica di donna, si mette in fornire supporto, soprattutto informativo, a persone migranti in Rawda, ha portato a ritrovare quelcontatto con la famitransito lungo la linea del Brennero. Ciò perché si ritiene che la l’umanità che talvolta appare canglia in Etiopia e, atgestione del fenomeno migratorio debba prendere in considerazione cellata da preconcetti e falsi protraverso una generoi migranti, i loro progetti, obiettivi e aspirazioni. blemi. sa colletta di ben Per informazioni: email: antennemigranti@gmail.com; M.R. 11mila euro, riesce a facebook: Antenne Migranti - Monitoraggio lungo la rotta del Brennero.
Immigrazione e devianza, una chiave di lettura ccade spesso che l’immigrazione sia associata, nelA l’opinione pubblica dei Paesi riceventi, a una percezione di crescente, a volte “incontrollabile” criminalità. L’incremento dei flussi si può effettivamente accompagnare alla crescita di alcuni comportamenti criminosi nell’ambito di alcuni gruppi di connazionali, specie se connotati da status giuridico irregolare. Non sorprende che il dibattito sul tema sia sovente bloccato tra pressioni ideologiche contrapposte e spesso da una certa mancanza di dati. Se la sovraesposizione degli stranieri (come categoria complessiva) tra gli autori di reati e i detenuti è un dato difficile da confutare, è sulle cause del fenomeno che le interpretazioni si moltiplicano, così come sul peso relativo di determinanti diverse (età, genere, status legale, marginalità sociale, visibilità pubblica, criminalizzazione, ecc.). Guardando al quadro locale, nel carcere di Trento gli stranieri rappresentano la maggioranza dei detenuti, ma va precisato che il dato può riflettere le caratteristiche specifiche delle diverse strutture carcerarie, senza alcuna correlazione automatica con i livelli di criminalità nelle aree territoriali corrispondenti. In chiave di posizione giuridica, almeno per quanto riguarda il caso trentino, gli stranieri sono relativamente più numerosi tra i detenuti in attesa di primo giudizio e gli appellanti. Anche nel contesto locale trova quindi conferma, in qualche misura, la tendenza a “un utilizzo della custodia cautelare molto più frequente per i detenuti stranieri rispetto a quelli italiani” (Dossier IDOS, 2016, p. 182). Nel dibattito sull’esposizione degli stranieri alla criminalità e sul loro trattamento carcerario, un tema che ha assunto crescente attenzione è il loro effettivo accesso alle misure alternative; una possibilità tutt’altro che scontata, specie per stranieri irregolari e/o senza fissa dimora, che può contribuire a spiegare la sovra-concentrazione della popolazione straniera tra i detenuti (Dossier IDOS, 2016). In questo ambito, al 2015 le misure alternative alla detenzione riguardano gli stranieri nel 27% dei casi in Trentino, nel 25% dei casi nel Nordest e in meno del 15% dei casi come valore medio nazionale. Allo stesso modo, e sempre in riferimento al 2015, il peso relativo dei detenuti stranieri tra i “lavoranti” è molto più elevato in provincia di Trento che nella media del Nordest, a sua volta sensibilmente più alta del dato medio nazionale. È possibile quindi intravedere, nel caso trentino, alcuni segnali favorevoli a percorsi di reintegrazione sociale. a cura del Cinformi
IL DIBATTITO
lena Rinaldi, 53 anni, coniugata, nata a Borgo Valsugana, residente a Castel Ivano, già responsabile della prima accoglienza presso il Campo della Protezione Civile di Marco di Rovereto, per conto della cooperativa Nircoop è referente della pronta accoglienza in Trentino nell’ambito del progetto coordinato dalla Pat. Moussa Dia, 28 anni, celibe, nato a Dakar e in Italia dal 1997 (in Trentino dal 2011), vive a Trento. È impegnato per conto della cooperativa Kaleidoscopio nella gestione della residenza Fersina a Trento. Quali criticità emergono nel rapporto con i richiedenti asilo oggi? ER: Provo la frustrazione di poter arrivare a occuparmi fino a un certo punto del percorso dei migranti accolti e di non poter intervenire sull’intero loro vissuto. MD: La criticità è imparare a capirsi a fondo con le persone accolte, cosa chiedono e come lo chiedono, andando oltre la forma; ogni persona ha il proprio vissuto e non è sempre facile arrivare a comprendere a fondo le esigenze individuali. E quali le soddisfazioni? ER: La più grande è vedere la fiducia che le persone accolte ripongono in me, soprattutto nei momenti di dialogo diretto e individuale. MD: Senz’altro vedere ottimi esempi di integrazione, percorsi che vanno a buon fine. Esistono delle specificità del sistema di accoglienza trentino? ER: Anche le strutture più grandi del progetto di accoglienza hanno comunque numeri esigui rispetto a strutture operative in altre parti d’Italia. Questo consente di avere una relazione diretta con ognuna delle persone accolte. MD: Tutta Italia invidia la nostra struttura organizzativa, il fatto che vi siano una pronta, una prima e una seconda accoglienza diffusa sul territorio; il tutto coordinato da una regia unica. Quale potrebbe essere il profilo dell’operatore della rete di accoglienza?
23 aprile 2017
WSA 2016-2017
seminario
Migrazioni e diritto al futuro
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E MIGRAZIONI Sguardi e prospettive della cooperazione nella promozione del diritto al futuro
uest’anno la World Social Agenda, un Q percorso culturale di educazione, sensibilizzazione e informazione che Fondazione Fontana svolge con cadenza annuale, su temi di carattere sociale e internazionale, ha coinvolto:
Interverranno: BARBARA PINELLI: Pratiche e immaginari delle migrazioni e dei rifugiati: falsi miti, evoluzioni, rischi e potenzialità Antropologa e ricercatrice presso l’Università Bicocca di Milano. Si occupa di migrazioni forzate e per asilo politico con un accento rivolto alla questione della violenza, della sofferenza e alle prospettive di genere. AUGUSTO GOIO: Corridoi umanitari: un’alternativa ai pericoli della migrazione. L’esperienza del Trentino Giornalista, redattore di Vita Trentina e direttore responsabile di Unimondo.org . Ha accompagnato il primo corridoio umanitario che ha portato un centinaio di profughi siriani dal Libano in Italia nel febbraio 2016. ANDREA STOCCHIERO: Politiche migratorie e cooperazione internazionale: quali orientamenti e quali prospettive per il futuro? Ricercatore del Cespi e responsabile policy di Focsiv. Coordina per il Centro studi di politica internazionale programmi di ricerca sui temi della cooperazione decentrata e delle politiche di cooperazione per la gestione dei flussi migratori. ROBERTO GARAFFA: Il ruolo delle nuove tecnologie e della comunicazione nella promozione di informazione nelle migrazioni Collabora con Ong2.0 ed è web developer. Ha seguito lo sviluppo e l’implementazione di una piattaforma digitale per l’informazione dei migranti in Africa Occidentale all’interno del progetto “Migrathon”. MODOU GUEYE: Ruoli, aspettative e possibili forme di collaborazione con i migranti in percorsi di co-sviluppo Attore, musicista e regista, vive in Italia dal 1990 ed è presidente di Sunugal, associazione che sostiene azioni di co-sviluppo con il Senegal e paesi limitrofi e promuove progetti interculturali in Italia.
WSA & SCUOLE Il percorso ha accompagnato gli insegnanti e gli studenti delle scuole superiori del Trentino nell’elaborazione del tema attraverso riflessioni, laboratori ed espressioni video-artistiche. WSA & COOPERAZIONE INTERNAZIONALE La Carta di Trento è un documento scritto a più mani da organizzazioni che a diverso titolo si occupano di cooperazione internazionale, in un tentativo di rilettura della stessa. Nel 2017 la Carta si arricchirà della sezione relativa al rapporto tra la cooperazione internazionale e le migrazioni.
Trento 12 maggio 2017 9.00-16.30
MODERA SILVIA NEJROTTI - Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale.
DESTINATARI Il seminario è rivolto agli operatori della cooperazione internazionale, agli insegnanti, agli studenti, ai ricercatori e a coloro interessati alle questioni sociali internazionali, indipendentemente dagli ambiti d’intervento o di specializzazione
WSA & TERRITORIO Il progetto si rivolge alla cittadinanza con l’appuntamento a Trento del 12 maggio per il seminario tematico.
DOVE Presso il Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale in Vicolo San Marco 1, a Trento
Approfondimenti su www.worldsocialagenda.org Segui la World Social Agenda anche su Facebook!
Focus/1
ADESIONI La partecipazione al seminario è gratuita. È necessaria l’iscrizione entro il 10 maggio compilando il modulo online all’indirizzo cartaditrento.wordpress.com oppure scrivendo alla segreteria organizzativa. A chi ne farà richiesta verrà rilasciato un attestato di partecipazione
INFORMAZIONI Segreteria organizzativa: Federica Detassis tel. e fax 0461/390092 e-mail: federica.detassis@ fondazionefontana.org web: www.cartaditrento. wordpress.com
Focus/2 Le giornate
L’Unione Europea dinanzi ai migranti
Non far di tutta la stampa un fascio
a questione migratoria è un problema spinoso a cui l’UE deve trovare risposte efficaci e urgenti, non solo per garantire la sicurezza dei confini o per realizzare politiche di integrazione efficaci, ma soprattutto per recuperare coerenza e credibilità. L’afflusso consistente e continuo di migranti che provengono da aree in guerra o da zone molto povere è ormai un fenomeno strutturale, che non si può risolvere in tempi brevi: l’approccio emergenLampedusa, la Porta d’Europa ziale adottato finora non è quindi sostenibile nel lungo periodo. Come mostrato da alcuni eventi tragici che hanno scosso l’opinione pubblica, per i migranti che cercano di arrivare in Europa i rischi sono enormi. Salvare vite umane, perciò, è una delle priorità della politica migratoria europea. Dopo le polemiche sui costi che hanno segnato la fine della missione Mare Nostrum – che per un anno ha consentito il pattugliamento delle coste libiche, italiane e maltesi da parte di forze aeronavali italiane – nel 2014 la regia delle operazioni di salvataggio in mare è passata all’Agenzia europea di controllo delle frontiere (Frontex), con il programma Triton. Da circa un anno sono inoltre operativi due nuovi strumenti che dovrebbero aiutare gli Stati membri a gestire meglio la pressione sui confini esterni dell’Unione: l’Agenzia per la guardia costiera e di frontiera europea e il Centro europeo contro il traffico dei migranti di Europol. Dalla primavera del 2015, i Paesi dell’UE hanno dovuto far fronte a un’ondata massiccia di migranti irregolari provenienti da molte zone dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia. Innanzitutto, con l’Agenda europea sull’immigrazione pubblicata dalla Commissione europea nel maggio 2015 si è cercato di definire nuove linee guida per rispondere all’emergenza ai confini e per riorganizzare la politica di asilo, introducendo misure di uniformazione e coordinamento delle politiche degli Stati membri. Tra queste, la più contestata è quella che riguarda le azioni di ricollocazione, reinsediamento e rimpatrio: fortemente voluta da Italia e Grecia per alleggerire la pressione migratoria sui Paesi di accesso all’Unione, la ricollocazione non piace ad alcuni governi – per esempio, quelli di Polonia e Ungheria – i quali, tra le altre cose, lamentano il costo eccessivo di questi programmi sul loro sistema socio-assistenziale. La crisi del 2015 ha mandato in tilt il sistema di asilo che era stato definito nel 1990 – dai dodici Stati membri di allora – con il Trattato di Dublino, che dava ai Paesi di primo accesso all’Unione la responsabilità dell’asilo. Oggi, la Commissione lavora per definire una politica di asilo comune condivisa dagli Stati membri e sostenibile. Inoltre, per prevenire i rischi legati all’immigrazione clandestina, nell’ultimo anno si è lavorato ad accordi di partenariato con i Paesi di origine e di transito dei migranti: tali accordi prevedono il trasferimento di risorse finanziarie e l’avvio di forme di cooperazione rafforzata nel settore della difesa per quei Paesi che accolgono i migranti in attesa di una decisione sulle loro richieste di asilo. Tra i Paesi che beneficiano di tali accordi, oltre alla Turchia, ci sono Giordania, Libano, Tunisia, Libia, Niger, Nigeria, Senegal, Mali ed Etiopia. Elisa Piras Docente di Politica Internazionale presso UTETD - Fondazione Franco Demarchi
L
15 GENNAIO Giornata mondiale del migrante e del rifugiato Istituita da papa S. Pio X nel 1914 per rendere solidale la Chiesa con le migliaia di persone che lasciavano l’Italia, inizialmente si è configurata come un appuntamento limitato ai confini nazionali. Con il mutare della società italiana, l’attenzione si è spostata verso le persone “in mobilità” e dal 2005 la giornata è diventata effettivamente mondiale e riguarda la Chiesa cattolica in tutto il mondo. 20 GIUGNO Giornata mondiale del rifugiato Appuntamento annuale sancito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a partire dal 2001, la Giornata ha come obiettivo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla condizione, spesso sconosciuta ai più, di questa particolare categoria di migranti. 3 OTTOBRE Giornata nazionale delle vittime dell’immigrazione Istituita dal Parlamento italiano nel 2016 con l’auspicio che l’iniziativa faccia prendere coscienza sulla tutela della dignità di ogni persona, sulla giustizia sociale, sulla cooperazione e condivisione dei beni, la Giornata trae spunto dalla data del tragico naufragio avvenuto a largo delle coste dell’isola di Lampedusa del 3 ottobre 2013, costato la vita a 366 migranti.
a stampa contribuisce a creare opinione pubblica. Ma non c’è niente di più arduo che dibattere oggi sul ruolo e sulle responsabilità della comunicazione, in particolare sul tema delle migrazioni che occupa lo spazio tanto in tv quanto sui social network. Se vi è un ampio assenso sulla responsabilità che tocca i giornalisti, altrettanta è la consapevolezza che la comunicazione possa oggi più che mai favorire la corretta comprensione dei fatti, oppure possa distorcerli o addirittura inventarli. Ipotesi di complotto, bufale o fraintendimenti palesi, inaffidabilità della stampa ogni giorno si contrappongono a una deontologia a cui i giornalisti dovrebbero obbligatoriamente trarre indicazioni nel compimento del proprio lavoro. Tuttavia troppo spesso la realtà dei media ci mostra titoli a tutta pagina con un linguaggio espressamente razzista che non risultano più l’eccezione, ma un nuovo “stile” di giornalismo che non tiene conto degli strumenti a cui obbliga l’appartenenza a un ordine professionale. In particolare la Carta di Roma, elaborata nel 2008 e nel 2016 integrata nel “Testo unico dei doveri del giornalista”, invita i giornalisti a “osservare la massima attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti nel territorio della Repubblica Italiana ed altrove”. Il richiamo ad adottare termini giuridicamente appropriati e a eviAlle Canarie, il primo tare la diffusione di inmuseo sottomarino formazioni imprecise, sulle migrazioni sommarie o distorte, sono purtroppo tra i principali obblighi disattesi ogni giorno nella comunicazione in tema di migrazioni. I discorsi di odio, di promozione della violenza e dell’intolleranza verso lo straniero restano al centro del dibattito odierno del giornalismo. Ci si domanda, infatti, se la libertà di espressione, amplificata attraverso i media e i social network, possa trovare un limite nell’incitamento all’odio o in pratiche esplicitamente razziste. La garanzia del pluralismo e della democrazia deve sempre prevalere sulla disponibilità dei giornali a ospitare i discorsi di chi il più delle volte la spara semplicemente più grossa degli altri? Non si tratta affatto di una questione di lana caprina in quanto quello che si cerca di comprendere è anche il ruolo del giornalista, che non può essere affatto quello di semplice contatto con l’intervistato o di “reggitore” di microfono. Sono proprio la scorrettezza, la disinformazione e l’istigazione all’odio elementi per “togliere” quel microfono all’intervistato e non rendere la stampa complice dell’uso distorto di un’arma tanto potente. È anche contro questo errato modo di fare informazione che il portale giornalistico online Unimondo, promosso da Fondazione Fontana onlus e giunto al suo diciottesimo anno di vita, cerca quotidianamente di fornire un esempio diverso di giornalismo, sperando che i lettori sappiano apprezzarne le scelte redazionali. Buona lettura su www.unimondo.org! M.R.
L