80 ORE CON L'AUTORE - GABRIELE BASILICO

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80

ore con

l’autore

Giornale gratuito redatto in occasione della manifestazione 80 ore con l’autore.

Fondazione FORMA per la Fotografia

A cura degli studenti del Master in Photography and Visual Design di Forma e NABA.

Gabriele Basilico

Fondazione FORMA per la Fotografia • Piazza Tito Lucrezio Caro 1 • 20136 Milano • tel. 02.58118067 - 02.89075419 • tel. 02.89075420 - www.formafoto.it


NOTE BIOGRAFICHE

Gabriele Basilico Gabriele Basilico (Milano, 1944) inizia la sua carriera di fotografo nei primi anni ‘70, durante gli studi di architettura. La città e il paesaggio urbano sono da sempre il suo campo d’indagine: il primo lavoro importante, “Milano, ritratti di fabbriche” (in mostra al PAC nel 1983), sancisce l’inizio di una lunga ricerca, che assume ben presto rilievo internazionale. Tra l’84 e l’85, Basilico partecipa alla Mission Photographique de la DATAR, voluta dal governo francese per documentare le trasformazioni del paesaggio; simili ricerche si susseguono in molti paesi europei, portandolo a vincere, nel 1990, il “Grand Prix International du Mois de la Photo”, a Parigi, con “Porti di Mare”. Nel 1991, viene invitato a partecipare a un progetto d’indagine su Beirut, devastata dalla guerra. Dopo ampie retrospettive e riconoscimenti in tutta Europa, il 2003 vede il ritorno di Basilico nei luoghi fotografati per la DATAR e a Beirut, di cui propone una nuova visione. Successivamente, e incessantemente, Basilico diventa il protagonista di importanti e numerose mostre e pubblicazioni portando avanti il suo percorso di ricerca nelle città di tutto il mondo.

Gabriele Basilico nel suo studio, Milano 2012

Faccia a faccia con

Gabriele Basilico

D: A partire da Milano, la sua città, lei ha poi indagato nell’arco di trent’anni le metropoli di tutto il mondo. Ritiene possibile individuare delle analogie, comuni ai territori rappresentati, al di là delle specifiche differenze culturali? R: In primo luogo, ritengo vi sia una grande difficoltà nel riconoscere affinità tra le città se non attraverso un approccio scientifico. Lo sguardo del fotografo, però, caratterizzato da una sensibilità artistica e letteraria, coglie con la sua poetica un particolare punto di vista, degli aspetti che emergono grazie a una specularità d’interessi risultante dal precedente vissuto. Quando mi approccio a una città, le mie fotografie sono il risultato della curiosità nei confronti di aspetti ben precisi, ma sicuramente anche dell’esperienza stratificata della mia memoria visiva rispetto a luoghi già incontrati. Si tratta di un continuo rimettere in gioco, un ri-alimentare

“Contact”, 1984

ciò che vedo, in cui recupero nozioni estetiche passate, inconsapevolmente o in maniera progettuale. Ciò che deriva da questo processo si può definire un mosaico di città. D: Come lavora in un contesto urbano? R: In una città, a causa delle sue enormi dimensioni, le opzioni da considerare sono troppe. Si può portare avanti solo un lavoro parziale, all’interno del quale è fondamentale porsi dei limiti: solitamente seguo percorsi lineari o suddivido le zone per tipologia, infine mi consulto con professionisti di varie discipline, come scrittori, antropologi, architetti, urbanisti. Mi posso definire un misuratore di spazi: grazie all’esperienza accumulata negli anni trovo facilmente il punto da cui guardare, quindi prendo le distanze, inquadro, ricavo prospettive e proporzioni, decidendo così dove chiudere il quadro e cosa lasciare fuori. Ad esempio, è impossibile rappresentare Milano trascurando il flusso


delle vetture, si potrebbe dire che questo flusso disegni la città stessa. Il fotografo deve sapersi muovere considerando gli ostacoli che si frappongono, come nel caso di Guido Guidi, che li include volontariamente nell’inquadratura. La città è questo: è insieme sacro e profano, ordine e disordine. Il paradosso è che il disordine può avere un ordine e viceversa. In questo si gioca il ruolo del fotografo. Una delle conseguenze di accettare il caos è renderlo oggetto di rappresentazione della contemporaneità. D: Ha mai pensato di focalizzarsi sui dettagli? R: Il dettaglio è parte della mia visione, ma non la monopolizza. Stare a distanza significa salvaguardare una misura che impedisce di estetizzare le immagini, formalizzandone il soggetto. Lavoro su un ambiente carico di segni, sono quindi un fotografo di luoghi, spazi che vivono di relazioni tra ciò che vedo e quello che decido di non mostrare, di cui faccio però intuire la presenza, ad esempio attraverso l’uso dell’ombra. Qualcosa che si basa su una dialettica complessa, vitale. Non mi avvicino eccessivamente ai dettagli perché trovo nella distanza la giusta misura, la misurazione stessa è il mio linguaggio: da troppo vicino si perde il senso dello spazio. D: Quali riferimenti sono stati decisivi nello sviluppo del suo linguaggio? R: Le mie prime fotografie risentivano del contesto sociopolitico della fine degli anni ‘60. Inevitabilmente i miei modelli erano da ricercarsi nel mondo del fotogiornalismo,

“Milano, ritratti di fabbriche”, 1978-1980

nutrivo una forte ammirazione nei confronti di Henri Cartier-Bresson e Gianni Berengo Gardin. Non è certo per disamore che mi sono concentrato su un altro tipo di fotografia, in questo senso è stato decisivo il fascino per il lavoro dei coniugi Becher. La loro opera è stata per me di forte impatto: la scoperta di un metodo, l’adozione di un modello forte in cui potessi riconoscermi. Non condivido le polemiche che ancora oggi tendono a decretare la crisi irreversibile del reportage. Mi sento un reporter dal metodo lento, impegnato a raccontare frammenti del mondo reale. D: Ha mai sentito l’esigenza di lavorare anche sul paesaggio naturale? R: Da quando mi occupo di tessuto urbano, dagli anni ‘80, ho lavorato sul paesaggio naturale solo su commissione, ricordo l’esperienza di documentazione del Parco Naturale di Migliarino San Rossore, nelle vicinanze di Pisa. Si tratta di un luogo selvaggio affacciato sul mare, colmo di pini marittimi, ninfee e cinghiali. Mi ritrovai in crisi,

non godevo di nessun riferimento comparabile a quelli dei miei precedenti lavori: gli elementi geometrici erano totalmente dissimili da quelli urbani. Necessitavo di un modello che già padroneggiavo, volevo disporre gli elementi su un piano ben determinato. Per questo abbandonai la mia Linhof 10x12 e procedetti con una 6x12, che favorisse l’orizzontalità della composizione, sfruttando la linea di terra. Per me cielo, mare e terra costituivano punti cardinali imprescindibili. D: Ha avuto altre occasioni in cui si è misurato con un contesto diverso da quello relativo al paesaggio urbano? R: Nel 1977 il Comune di Lodi commissionò ad alcuni architetti e designer, insieme a me e il fotografo di still life più noto dell’epoca Aldo Ballo, un lavoro sul design, nello specifico sul tema della sedia. Volevo evitare di scadere nel banale così, ragionando sul design come punto di contatto tra uomo e oggetto, mi venne in mente di affrontare il lavoro in chiave ironica: mi procurai presso la rivista Interni, per

la quale all’epoca lavoravo, delle sedie che presentassero una trama in rilievo. Fotografai in studio la modella che, dopo essere stata seduta per mezz’ora con dei pesi sulle gambe, riportava sul corpo nudo il segno delle sedute. Così nacque “Contact”. D: Per concludere, ci vuole raccontare qualcosa sui suoi attuali progetti? R: Da tempo sono impegnato in un progetto sulle chiese del ‘900, soprattutto quelle costruite nel Dopoguerra, la cui estetica è tutto fuorché tradizionale. Sono molto incuriosito dal kitsch, in un certo senso ne sono attratto. Nel frattempo, mi vorrei dedicare a un progetto retrospettivo: ho individuato nel mio archivio una serie di immagini di porte urbane che potrebbero costituire un progetto autonomo. Si è aperta infine la possibilità di un nuovo lavoro in Scozia, nella città di Edimburgo. Una curiosa coincidenza: le prime fotografie per me davvero significative furono realizzate non lontano, nella periferia di Glasgow.


Su Gabriele

Basilico

Lo sguardo che si inaugura con i ritratti delle fabbriche milanesi è generato da un movimento del fotografo nell’immenso corpo della città, che richiede un grande lavoro preliminare, di selezione e confronto. E che a sua volta utilizza l’obiettivo come un sensore mobile per intercettare le variazioni della materia urbana. Stefano Boeri Con le sue immagini, dalla controllata, consapevole tensione metafisica, egli ha efficacemente collaborato a presentare in questi ultimi anni il gusto post moderno, rilevando visivamente alcune dimenticate architetture industriali e di periferia, rivalutate come reperti archeologici e fissate con un chiaroscuro intenso e una prospettiva sfuggente e basculata, nello stile sofisticato anni ’30. Italo Zannier Il racconto che Basilico ha realizzato nel 1991 si colloca in un momento particolare della storia della città, dopo più di quindici anni in guerra e in attesa della rinascita e della ricostruzione urbanistica, un momento di mezzo molto drammatico, una stasi irrisolta. Basilico a Beirut ha coniugato l’analisi ravvicinata del corpo stesso della città alla veduta, riassumendo tutte le misure fino a quel momento adottate dalla sua visione. Con questa ampiezza ha affrontato il pericolo della bellezza suprema del disastro e della decadenza, del disordine degli uomini e della storia. Beirut è un presente di rovina che simbolizza il futuro. Beirut rappresentata da Basilico, fotografo dal paesaggio industriale dell’occidente e del nord, è forse ciò che ci aspetta: una ristrutturazione del

mondo che non sarà più solo occidentale, il trauma dell’incontro necessario e improrogabile fra civiltà diverse, fra il sud e il nord. Roberta Valtorta Le immagini esasperate di Basilico sono l’espressione di un’immensa speranza, di comprensione e tolleranza convinte. Possiamo parlare di fede, fede nella costruzione dell’uomo. […] Basilico è un architetto che non esercita? È un architetto della visione che va oltre il pessimismo. Sa riconoscere, sa comprendere, e ci aiuta a vedere. I suoi strumenti sono l’ombra e la luce. Le ombre disegnano lo spazio. Dipendono dalla luce. Non c’è spazio né architettura senza luce. L’accettazione è creazione. Luce. Alvaro Siza Attraverso le suggestive fotografie di Gabriele Basilico, non si tratta solo di confrontare storia e topografia ma, con un viaggio all’interno dello spazio metropolitano, di consentire allo sguardo di cogliere, tramite la mediazione poetica e creativa del processo fotografico, i nuovi scenari di questa sorprendente evoluzione. Umberto Zanetti Una Istanbul di Basilico dal di fuori con la stessa intensità dell’analogo tentativo dal di dentro che lo scrittore Orhan Pamuk sta conducendo in quella città, proprio in una delle vecchie vie della città, con una Casa-ricordo per non cancellare la memoria di come è ed è stata la vita di una persona, di una famiglia di Istanbul, percorsa da antiche e recenti diversità che si sono incontrate e non sempre hanno lasciato spazio l’una all’altra. […] La fotografia nota che la città-Istanbul è viva nelle case, abitata, accesa, ma per la quotidianità, di lavoro e casalinga, quasi a indurci a capire cosa ne sarà di questa Turchia, quale rapporto tra la trama di vita dei singoli e il risultato, tra la persona e il Potere, come quello com-

Immagine tratta dai quaderni di Gabriele Basilico contenenti tutti gli scatti della Mission Photographique de la DATAR


plessivo della luce che svapora dalle strade illuminate, quali percorsi prenderà. Grazie Basilico che da Milano guardi il mondo e non lo appiattisci. Camillo Fornasieri Che sia Milano, Beirut, Istanbul, un antico porto o una periferia neanche adolescente, l’avventura è la stessa. Quella del guardare per poi smettere di farlo. Del decantare nel ritmo di una fotografia – che è volutamente verifica Appunti di Basilico sulle lezioni di fotografia scritte per la rivista Abitare, 2009 e presa di coscienza prima che atto – un luogo nelle sue frizioni. Lasciando poi ancora silico come il migliore degli amanti sa sedurla perché nel suo allo sguardo il compito di realizzarla pienamente tra le mura sguardo abbraccia anche le altre. Quelle che ancora dobbiamo di questo prezioso spazio di silenzio che è proprio la fotogra- conoscere e forse anche quelle che ancora devono sorgere. Luisa Castellini fia. Così se ogni città è tale nel e oltre il proprio carattere, Ba-

Intorno a una foto

Le Tréport, 1985

Questa immagine fa parte di un ampio progetto di documentazione sul territorio francese commissionato a Gabriele Basilico dalla DATAR, nel 1985. Siamo sul bordo dell’oceano, nel Nord della Francia, dove sfocia il fiume Somme, sul confine tra Normandia e Piccardia. L’autore definisce questo paesaggio come fondamentale per la sua ricerca artistica: qui, infatti, si rende veramente conto che un luogo, se osservato con attenzione, può diventare qualcosa di più. In questo senso la contemplazione del paesaggio di Le Tréport è essenziale sia per il fruitore dell’immagine, sia per il fotografo stesso. Solamente con la lentezza dello sguardo si possono infatti cogliere tutti quei dettagli che altrimenti passerebbero inosservati: dalle panchine in primo piano l’occhio si perde verso l’infinito che diviene oggetto, spazio osservato e rappresentato. Come in un dipinto fiammingo tutto diventa visibile. Il porto in lontananza, il mare burrascoso, le nuvole da cui filtrano i raggi del sole, il vento, sono tutti elementi che contribuiscono a definire la complessità e la profondità del paesaggio. Il gesto stesso di fotografare con il cavalletto e il banco ot-

tico impone al fotografo un ritmo rallentato che permette una visione del luogo più profonda nella sua interezza e globalità, volta a definire la relazione tra l’uomo e lo spazio. Carlo Reviglio


Intorno a una foto

Beirut, 1991

Nel momento in cui si trova davanti una Beirut devastata dalla recente guerra, camminando tra la polvere e i palazzi distrutti, Gabriele Basilico si ferma, non sapendo come approcciarsi a una realtà così drammatica. Spostandosi in alto, sui tetti, l’autore riesce a riconoscere che la città non è morta bensì malata: i palazzi sono ancora in piedi, forti della loro struttura, persiste la vita. Beirut si presenta come uno scheletro cristallizzato, ma dove ancora corrono suoni, movimenti, voci. Questa chiave di lettura permette a Basilico di trovare una possibilità di rappresentazione non drammatica, che guardi invece al futuro della città. A differenza della maggior parte delle fotografie di Basilico, in questa immagine compare una presenza umana al centro: l’uomo, al confine tra luce e ombra, non significa desolazione e solitudine, comunica invece la fiducia nella possibi-

lità di una ricostruzione. Rispetto a questa presenza, la strada ferita dalla guerra si perde in lontananza. Carolina Lòpez Bohòrquez

Intorno a una foto

Milano, 1996

La fotografia di Piazza Missori a Milano, scattata nel 1996, è emblematica di un nuovo importante lavoro d’indagine affrontato dall’autore sulla propria città, a diversi anni di distanza da “Milano, ritratti di fabbriche”. Attraverso un percorso di ricerca sui cantieri aperti in quel periodo, in particolare nella zona di Porta Nuova, Basilico si trova ad affrontare una Milano sempre più faticosa e inaccessibile. La necessità di ritrovarvi un’identità spinge l’autore a ricercare dei luoghi della città caratterizzati non tanto da belle architetture, quanto punti in cui lo spazio ritrovi un senso, una personalità. I luoghi che fotografa in quest’occasione sono modelli da cui partire per riflettere sulle possibilità di una città nuova: Basilico, ragionando sulla piazza come elemento emblematico di ogni contesto cittadino, la rappresenta in un momento di tangibile silenzio e, astraendo la presenza del traffico, riesce a riportare questo luogo a una dimensione urbana sostenibile. Ancora una volta, l’occhio misuratore del fotografo, che cammina alla ricerca di un’armonia invisibile all’occhio distratto di

chi passa senza soffermarsi, consente di ritrovare dei luoghi che abbiamo eliminato, dimenticato, e che non siamo più in grado di guardare. Ilaria Speri


Intorno a una foto

San Francisco, 2007

È il 2007 quando Gabriele Basilico, su invito del Dipartimento di Fotografia del San Francisco Museum of Modern Art, realizza la sua prima campagna fotografica negli Stati Uniti. Dopo quel nutritissimo stuolo di città e cittadine di tutto il mondo passate al vaglio dal suo obiettivo, Basilico è chiamato questa volta a confrontare il suo occhio con la vastità dei paesaggi americani e con l’incessante processo di trasformazione che da sempre li caratterizza. Cinquemila chilometri scanditi da oltre 600 riprese fotografiche 10x12, per sua stessa ammissione, non senza difficoltà: l’immagine in questione nasce nei pressi delle Twin Peaks, il punto collinare più alto di San Francisco, dove Basilico, ponendosi lungo una sorta di confine simbolico, si volta quasi a dare un addio alla città prima di raggiungere la Silicon Valley, setacciata e interrogata in ogni direzione, ricercando dei segni industriali e un’omogeneità tipologica al fine di ottenere una coerenza che è quasi un’ossessione. L’ombra gli consente di leggere una doppia città, fatta di ragnatele, cavi elettrici e sopraelevate, geometrie di ponti e segnaletiche stradali, slanci di grattacieli, angoli e curve, come quella che

qui si pone in primo piano come reale soggetto dell’inquadratura, a ben vedere un po’ inaspettatamente rispetto al classico incedere di Basilico nei confronti del tessuto urbano. Alessandro Calabrese

Intorno a una foto

Mosca, 2008

Percorrendo le vie di Mosca, Gabriele Basilico rimase impressionato dal rigore urbanistico della capitale russa. Osservando le celebri Torri di Stalin, oggi rinominate Sette Sorelle, avvertì il peso di un forte controllo. La necessità di reinterpretare l’ordine urbano lo indusse a modificare il suo stile compositivo. Basilico scelse un punto d’osservazione rialzato, dal quale fosse possibile includere l’imponente circonvallazione che attraversa il cuore della città. Realizzò questa fotografia da una delle Sette Sorelle, sporgendosi in maniera rischiosa da un affaccio poco protetto: inclinò l’inquadratura, protendendosi in modo che il punto di vista risultasse accelerato. Basilico spiega di essersi ispirato alle opere di Rodčenko, di aver tentato di sovvertire un immaginario che tendeva a irretire la sua visione. L’esito è vertiginoso e induce a riflettere sull’enorme potenziale dell’immagine fotografica. Normalmente, una prolungata osservazione dall’alto può comportare un forte senso di disorientamento, il cui culmine coincide spesso con una

vertigine: la nostra ambizione di concentrarci sui particolari viene così ridimensionata. La fotografia di Basilico, grazie a questa tecnica di ripresa, permette l’inclusione di ogni dettaglio, consentendo, al contempo, di godere a posteriori di una visione completa, meditata, approfondita. Solo in un caso simile è possibile parlare di “vertigine stabilizzata”. Eric Caffi


Bibliografia essenziale Gabriele Basilico nel suo studio con Giovanna Calvenzi, Milano 2012

Milano, ritratti di fabbriche - Sugarco, Milano 1981 (Motta, Milano 2009); Italia & France - Jaca Book, Milano 1986; Bord de Mer - AR-GE Kunst, Bolzano 1990 (Baldini&Castoldi, Milano 2003); Porti di mare - Art&, Udine 1990; L’esperienza dei luoghi. Fotografie di Gabriele Basilico 19781993 - Fondazione Galleria Gottardo, Lugano 1994, (ristampa Art&, Udine 1995); Basilico Beirut – Art&, Udine 1994 (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2003); Paesaggi di viaggio – Art&, Modena 1994; Sezioni del paesaggio italiano – Art&, Udine 1997; Interrupted city – Actar, Barcellona 1999; Cityscapes – Baldini&Castoldi, Milano 1999; Milan, Berlin, Valencia – Actar, Barcellona 2001; Berlino – Baldini&Castoldi, Milano 2001; Scattered City – Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005; Gabriele Basilico Photobooks 1978-2005, Corraini, Mantova 2006; Oltre il paesaggio – Fondazione Ludovico Ragghianti, Lucca 2007; Architetture, città, visioni – Mondadori, Milano 2007; Palermo andata e ritorno – Edizioni di passaggio, Palermo 2007; Bari 0607 – Motta, Milano 2007; Silicon Valley 07 – Skira, Milano 2008; Intercity – La Fabrica, Madrid 2008; Mosca Verticale - Motta, Milano 2008; Roma – Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008; Istanbul 05 010 – Corraini, Mantova 2010; Sesto Falck – Silvana, Milano 2011.

• 1978, “Milano, Ambiente Urbano”, Galleria Il Diaframma, Milano • 1982, “Precursors of Post Modernism”, The Architecture League, New York • 1983, “Milano, Ritratti di Fabbriche”, Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano • 1984, “Noir sur Blanc”, Galerie Viviane Esders, Parigi • 1987, “Italia & France”, XVIII Rencontres de la Photographie, Arles • 1988, “Portrait of a Landscape”, Philippe Daverio Gallery, New York • 1990, “Bord de Mer”, AR/GE Kunst Galerie Museum, Bolzano • 1992, “Porti di Mare”, Musée de l’Elysée, Losanna • 1994, “Paesaggi Diversi 19841993”, Studio Trisorio, Napoli • 1994, “Beyrouth”, La Chambre Claire, Parigi • 1996, “Sezioni del Paesaggio Italiano”, Padiglione Italia, VI Mostra Internazionale di

Architettura/Biennale di Venezia • 1997, “Gabriele Basilico” Berggruen & Zevi, Londra • 1998, “La città del porto. Fotografie e scritti sul porto di Genova, con Jean-Louis Schoellkopf”, Palazzo San Giorgio, Genova • 1999, “La ciudad interrumpida”, Galeria Ras/Actar, Barcellona • 2000, “Urban Views”, Stedelijk Museum, Amsterdam • 2001, “Cityscapes”, M.A.R.T., Rovereto • 2001, “Berlin,Milano,Valencia”, I.V.A.M.,Istituto Valenciano de Arte Moderno, Valenzia • 2001, “Cityscapes”, MAMBA, Museo d’arte moderna di Buenos Aires, Buenos Aires • 2002, “Gabriele Basilico”, G.A.M., Torino • 2003, “Desenho nas Cidades”, Bienal de São Paulo, Pavilhao Cecilio Matarazzo, Parque de Ibirapuera, São Paulo

La Fondazione FORMA per la Fotografia e NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, organizzano il Master in Photography and Visual Design. Giunto alla sesta edizione, si tratta del primo e unico master accademico di settore legalmente riconosciuto offerto in Italia. Costruito con l’obiettivo di sviluppare competenze teoriche, tecniche e pratiche, questo programma di durata annuale è orientato alla formazione di fotografi, curatori, photoeditor e altre figure professionali specializzate nello studio e nel trattamento delle immagini fotografiche.

Gabriele Basilico, Valencia 1998

Principali mostre personali e collettive

• 2004, “Beirut”, Crown Gallery, Bruxelles M.I.T. Museum, Cambridge, MS • 2006, “Photographs 19802005”, Maison Européenne de la Photographie Ville de Paris, Parigi • 2007, “Gabriele Basilico”, Palazzo della Ragione, Mantova • 2008, “From San Francisco to

Silicon Valley” - SFMOMA, San Francisco • 2009, “Milano ritratti di fabbriche 1978-1980 / Mosca verticale 20072008”, Spazio Oberdan Milano • 2010, “Istanbul”, Fondazione Stelline, Milano • 2011, “Cantieri d’Autore”, MAXXI, Roma

Progetto a cura di Forma Fondazione FORMA per la Fotografia

Le prossime uscite

Piazza Tito Lucrezio Caro 1 – 20136 Milano tel. 02.58118067 - 02.89075419 www.formafoto.it

Piergiorgio Branzi

Redazione: Eric Caffi , Alessandro Calabrese, Carolina Lòpez Bohòrquez , Carlo Reviglio, Ilaria Speri Progetto grafico: Daniele Papalini Foto di copertina: Gabriele Basilico nel suo studio, Milano 2012 Finito di stampare nel mese di giugno 2012, presso EBS, Verona

Franco Fontana Nino Migliori Ferdinando Scianna


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