80 ORE CON L'AUTORE NINO MIGLIORI

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80

ore con

l’autore

Giornale gratuito redatto in occasione della manifestazione 80 ore con l’autore. A cura degli studenti del Master in Photography and Visual Design di Forma e NABA.

Fondazione FORMA per la Fotografia

Nino Migliori

Fondazione FORMA per la Fotografia • Piazza Tito Lucrezio Caro 1 • 20136 Milano • tel. 02.58118067 - www.formafoto.it


Faccia a faccia

NOTE BIOGRAFICHE

Nino Migliori Antonio (Nino) Migliori nasce nel 1926 a Bologna, dove vive e lavora. La sua fotografia, dal 1948, svolge uno dei percorsi più diramati e interessanti della cultura d’immagine europea. La sua carriera inizia tra le vie della sua città quando, intorno ai vent’anni, si interessa alla fotografia. In breve, si trova a proseguire, con Veronesi, Grignani, Munari, la ricerca delle avanguardie – quella di Man Ray, Moholy-Nagy, Schad, Schwitters. Nel 1975 presenta a Parigi “Trois photographes italiens”. Nel 2002 espone a Torino “Le Avanguardie e il Realismo”, “Ombre di Luce. 50 anni di ricerca sul potere della visione” e “Materie e memorie nelle scritture fotografiche”. Nel 2005 è a New York con “Signs”, nel 2007 a Winterthur, dove espone all’interno della mostra “Neorealismo: Die neue Fotografie in Italien, 1932-1960” e nel 2008 con “Terra Incognita” reinterpreta lo Zooforo del Battistero di Parma. Due grandi mostre retrospettive, a Milano (Fondazione Forma per la Fotografia) e a Bologna (Palazzo Fava – Genus Bononiae) nel 2012 e 2013 ne celebrano il lavoro. Oggi Migliori è considerato un vero architetto della visione. Ogni sua produzione è frutto di un progetto preciso sul potere della visione, tema, questo, che ha caratterizzato tutta la sua produzione.

Nino Migliori nel suo studio, Bologna 2012 - © Carolina Lòpez Bohòrquez

Su Nino

Migliori

Nino Migliori testimonia con un lavoro di mezzo secolo l’inspiegabilità del suo proprio talento. Vive la libertà del diletto, lo stimolo di chi si può permettere la ricerca di frontiera, l’impegno disimpegnato. È la sua voglia di sperimentare l’impossibile con il mezzo complesso che non è solo lo scatto fotografico, ma la fotografia tutta, nel suo senso puramente etimologico, quello di disegnare con la luce e dell’impressionare così le pellicole e le carte. Tenta il rischio d’una indagine negli organismi della natura, presa dal vivo e dal morto, anzi dal vivo al morto, e dove non comanda più l’ottica ma solo la magia alchemica della stampa. Philippe Daverio

Il settore più noto della fotografia realista di Migliori ha, infatti, inizio in contemporaneità, se non addirittura con lieve ritardo, rispetto alla produzione esperimentale. Le Ossidazioni, i Pirogrammi, ecc. hanno la loro data d’inizio qualche anno prima del ’50 e sono testimoni di uno sperimentalismo privato che fa da contrappunto alla veste pubblica realista del lavoro di Nino. Al di là della considerazione delle singole tipologie tecniche come Ossidazioni, Pirogrammi, Cliché-verres, Idrogrammi e gli stessi Muri, occorre mettere in luce la

ragione e l’intento comune di questo sperimentalismo, che lo stesso Migliori identifica nella volontà di reazione al ristagno della situazione culturale italiana e al ruolo tradizionale assegnato alla fotografia. Carlo Gentile

Nino Migliori, conosce l’esperienza delle avanguardie storiche e non è difficile trovare nei suoi lavori lo spirito che le caratterizza, ma anche le aperte dichiarazioni di contiguità con gli aspetti gioiosi del Dadaismo, quelli ironici e profondi del Surrealismo e soprattutto quelli del Futurismo: dando vita a un nuovo gruppo. Il fotografo bolognese scelse, infatti, il nome Abrecal che altro non è che Lacerba (la celebre rivista futurista) letto al contrario. Da questo punto di vista, le Ossidazioni, i Pirogrammi, i Cliché-verres, gli Idrogrammi sono lavori assolutamente rappresentativi perché si rapportano con tutta la storia della fotografia off-camera – dai fotogrammi di Man Ray, Moholy-Nagy e Veronesi ai chimogrammi di Pierre Cordier – ma poi vengono riletti alla luce delle esperienze della pittura d’avanguardia, dell’Espressionismo Astratto, dei dripping di Jackson Pollok, dell’Informale di Emilio Vedova e Tancredi, dei décol-


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© Marco Scotuzzi

lages di Mimmo Rotella, delle bruciature di Alberto Burri. Si tratta, insomma, di una riflessione di ampio respiro sul linguaggio artistico in generale che Migliori continua a rielaborare, come dimostrano le Carte Ossidate. […] Se è vero che esistono forti differenze fra l’Action Painting, che punta al gesto unico e irrepetibile, e l’uso che Migliori fa di materiali fotografici pesanti all’interno della logica della riproducibilità dell’opera d’arte, non vanno dimenticati gli elementi comuni che fanno della materia il luogo privilegiato di indagine che per chi intende andare oltre l’immagine intesa come documento realistico di una presunta realtà oggettiva. Nell’ambito di tale riflessione va considera-

ta la volontà sempre coerentementa espressa da Migliori di non numerare le sue opere, del non realizzare tirature chiuse che, in quanto tali, sembrano smentire l’assunto di riproducibilità che la fotografia ha implicita nella sua stessa essenza. Accettando semmai – ma ciò non è certo in contraddizione col principio enunciato – di realizzare pezzi unici disegnati dalla chimica o dalla casualità della reazione di una pellicola così fluida e spesso imprevedibile come la Polaroid a sviluppo immediato. Roberto Mutti

Nel momento in cui le immagini della mente, o se voglia-

mo dello shopping mentale, entrano nei circuiti e nei laboratori della creatività inverano la loro essenza, tessendo un’orditura che assomma immagini oniriche e proponimenti del “fare”, tra squarci di desiderio e frammenti di realtà proiettati sul domani. I progetti del fare e del comunicare di Migliori, del rappresentare e del produrre, ci dicono che, in ogni caso l’io entra sempre in comunicazione con l’altro. Ma se ci avviciniamo ulteriormente, guardandolo nell’ottica della sua riflessione sull’universonatura, lo troviamo anche in compagnia di alcuni numi tutelari che vale la pena nominare. Il momento di partenza sono le Metamorfosi di Ovidio, un poema enciclopedico

(scritto una cinquantina di anni dopo il De rerum natura di Lucrezio). È interessante notare come per Ovidio tutto l’esistente può trasformarsi in una nuova forma, mentre la conoscenza del mondo è dissoluzione della sua densità. Il mondo di Ovidio è fatto di forme che definiscono la diversità di ogni cosa: pianta, animale, persona, che comunque possono sempre mutarsi in qualcosa di diverso, si prospetta sempre un passaggio metamorfico e magari mitico. Rimane fermo che, sia per Lucrezio, quanto per Ovidio – e per Migliori – la leggerezza è un modo di vedere il mondo che si fonda sul pensiero e sul linguaggio. Marisa Vescovo


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Faccia a faccia con

Nino Migliori

D: Al centro della tua ricerca fotografica c’è sempre stata la sperimentazione linguistica e spesso hai cercato di andare oltre i limiti imposti dal mezzo fotografico. Qual è stato il punto di partenza nel tuo percorso di sperimentazione? R: Fin dai primi anni ‘50 sono sempre stato affascinato dalla fotografia astratta. In quel periodo stava prendendo piede l’arte informale,

legata a figure come Tancredi, Vedova e Peggy Guggenheim, amici con cui c’era uno stretto confronto, grazie ai quali mi sono avvicinato al movimento artistico. Mi ha sempre interessato una fotografia legata al caso, o meglio legata al suo controllo. Il caso deve essere solo la fonte di partenza: dopo diverse prove la componente casuale si assottiglia sempre più, arrivando infine a essere

parte marginale del processo creativo. Per esempio, nelle ossidazioni, se si mette una mano bagnata nello sviluppo e la si appoggia sulla carta fotosensibile, si nota che lascia una traccia nera. Se si prova a fare l’operazione diverse volte, si capisce come è possibile controllare in maniera sempre più accurata processi che apparentemente sembrano legati solo alla casualità (come il tempo e i movimenti delle mani), fino ad arrivare all’immagine che si aveva in mente. L’anno scorso ho scoperto che lasciando per tre mesi al sole una foglia poggiata su carta fotosensibile, avviene un processo di solarizzazione con cui si può ottenere una traccia direttamente in positivo senza dover passare da negativi, pellicole e altre forme di supporto. Si ottiene insomma un’immagine per contatto in cui la figura ha un bordino nero di contorno. Questo lo trovo stupefacente. D: Oltre alle persone già nominate, quali sono state nel corso degli anni le tue figure artistiche di riferimento? R: All’epoca c’erano sostanzialmente tre punti di riferimento culturali: Donzelli, Monti e Cavalli, legati a circoli come la Bussola di Milano e la Gondola di Venezia. Da loro ho appreso che il soggetto scelto non ha nessuna importanza, ciò che conta veramente è il modo di rappresentarlo. E questo modo non deve mai essere legato a una “maniera” estetizzante, ma a una progettualità, a un pensiero. In campo fotografico i miti

della mia generazione erano quelli che avevano avuto più visibilità a livello internazionale, come Cartier-Bresson, Bischof e Capa. Tra i punti di riferimento extra fotografici, prendevo ispirazione da diverse figure, da quelle più legate a un’arte accademica, come Morandi e Romagnoni fino agli esponenti dell’arte informale. Mi servivo della macchina come fosse un grimaldello per entrare nell’accettazione da parte dell’artista (che fosse scrittore, pittore o letterato) per capire qual era la cosa che lo animava, la sua poiesis. Visto che non ero considerato un loro competitor (tra i pittori la competizione era terribile) mi facevano avvicinare alla loro arte. Mi hanno aiutato molto a incontrare la direzione della ricerca che ho seguito per tutta la vita. D: Accanto alla sperimentazione linguistica, hai anche frequentato la fotografia cosiddetta realista. Che tipo di ricerca ti interessa nella fotografia legata in modo più stretto alla rappresentazione del reale? R: Negli anni ’50 il realismo era la rottura, era l’avanguardia, era l’opposizione a ciò che era la cultura fotografica dell’epoca; e bisogna ricordare che ci sono stati mille neorealismi diversi, uno per ogni autore che l’ha creato. All’epoca neanche conoscevo i film neorealisti, quelli non mi hanno influenzato. Il mio realismo consisteva in una fotografia partecipativa, non mi interessava l’esasperazione di certe situazioni per attirare l’attenzione,


Faccia a faccia per creare l’avvenimento. I soggetti che fotografavo li consideravo amici, provavo per loro affetto e in questo senso, infatti, la mia fotografia era partecipativa. Dopo aver vinto concorsi internazionali con alcuni di questi scatti, decisi un giorno di andare da Cartier-Bresson a mostrargli le mie fotografie. Gli piacquero molto e mi chiese di collaborare con l’agenzia Magnum. Purtroppo la mia condizione economica non era delle più favorevoli e quindi ho dovuto rinunciare al lavoro. Rimasi davvero amareggiato ma pensandoci ora, è andata meglio così. Pensa la rottura di andare a fotografare il matrimonio

della regina o di altre persone importanti… D: Pensando al futuro, come ti immagini la direzione della ricerca fotografica? R: Il digitale lo teorizzavo ancora quando insegnavo all’Università di Parma negli anni Settanta. Dicevo ai miei studenti che la fotografia analogica ormai era finita, e così li facevo lavorare con i singoli frame da video. Io credo che la fotografia non sia nata per uno specifico supporto, altrimenti ora useremmo ancora i dagherrotipi. Sono convinto che stiamo andando nella direzione di una comunicazione cerebrale, in cui in futuro il fotografo non avrà neanche più bisogno della

macchina fotografica ma basterà pensare a un’immagine perché il fruitore possa recepirla come l’artista l’ha immaginata. D: Qual è il progetto su cui stai lavorando in questo momento? R: Nelle ultime settimane sto realizzando un nuovo progetto con Ferdinando Scianna e sotto la guida di Denis Curti. Si tratta di una serie di immagini, rilavorate in digitale per un’azienda alimentare leader nel settore delle conserve, Polli, per i 170 anni di attività. Ho cercato di lavorare sulle trasfigurazioni delle immagini trasformando dei semplici barattoli di sottaceti. È un lavoro che ho

cominciato con le Polaroid: quando lavoravo sulle sinopie, in passato, ne esasperavo i cromatismi e risultavano immagini molto vicine all’arte informale. Ora scansiono le Polaroid, le importo in Photoshop e poi mi diverto a trasfigurarle alterandone i toni, lavorando sui livelli e sulle curve, fino al punto di farle diventare come le ho in mente. Dalla banale fotografia di un unico vasetto di vetro, sono riuscito a tirar fuori 50 immagini trascendentali: alcuni particolari di queste immagini richiamano figure e volti di diverse culture mondiali e di epoche passate. Mi diverto davvero molto nel mio lavoro.

Intorno a una foto

Muri

Un frammento strappato dal suo contesto specifico e immediatamente inserito in uno più vasto e impalpabile, perché comune a ogni luogo urbano. I muri sono la pelle delle nostre città, luoghi di espressione prediletti in cui, parafrasando le parole dello stesso Migliori, l’individuo tende a liberare la gestualità e l’inconscio e a esprimere più liberamente se stesso. Sono fotografie che si articolano su un doppio livello: da una parte c’è l’indagine sui legami, i rapporti e i dialoghi più o meno volontari delle stratificazioni di segni sovrapposte nel tempo, come le scritte a penna, i graffiti, i dettagli di manifesti pubblicitari strappati, i graffi e le incisioni; dall’altra c’è un’indagine più astratta sui colori, le forme e la gestualità, in cui risuona forte l’eco dell’arte informale. Forse non è azzardato pensare alla serie i Muri come a un lavoro ibrido, a metà strada tra due principali aree di ricerca, quella più legata alla rappresentazione del reale e quella più vicina al concettualismo astratto. Due anime speculari che hanno sempre convissuto parallelamente nell’attività artistica di Nino Migliori e che ne testimoniano la poliedricità della ricerca. Non a caso, infatti, le foto ai muri delle città sono un lavoro cresciuto di decen-

nio in decennio, che ha accompagnato l’indagine fotografica dell’artista bolognese fin dall’inizio, dalla fine degli anni ’40, quando la gente si divideva ancora sull’opinione circa Stalin. Marco Scotuzzi


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Intorno a una foto

Frati volanti, 1956 Il saio gonfio e pieno d’aria per il balzo rende i frati un po’ goffi ma proprio per questo, per la spontaneità del loro gesto e per l’immediatezza della situazione, trasmettono una sensazione di simpatia e di grande sintonia con lo spettatore. Anche Mario Giacomelli aveva fotografato degli ecclesiastici, nel suo caso giovani seminaristi, alle prese con un momento di inaspettato, fugace divertimento: una nevicata che, nel cortile del seminario, interrompe la routine quotidiana e libera nel gioco i gesti dei ragazzi. Pur se in qualche modo assimilabile, l’effetto qui è completamente diverso. La forza di questa immagine è proprio nella capacità di ribaltare il senso di rispetto e di lontananza, distante ieraticità, che in genere accompagna la figura del frate fino forse a farne anche uno stereotipo. Nello scatto di Migliori tutto appare fresco, immediato, divertente e lieve. Nel 2011 Nanni Moretti riprende a rallentatore dei cardinali che si sfidano in un torneo di pallavolo per il film Habemus Papam. Le inquadrature del regista romano, molto strette sui corpi e sui visi, indugiano sui movimenti lenti e impacciati degli ecclesiastici e ricordano questa immagine di Nino Migliori. Jingjie Wang


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Cancellazione, 1954

Questa immagine, realizzata nel 1954, è parte di una serie denominata “Cancellazioni”. La ragione di tale titolo è da attribuirsi alla tecnica utilizzata per la sua realizzazione. Questo perché, come in questo esempio, si interviene sulla fotografia, o meglio sul negativo per eliminare elementi che per diversi motivi o ragioni vanno cancellati. La fotografia, nella sua forma originale, è stata trovata dal fotografo in un mercatino: si trattava di un’immagine di nudo integrale, realizzata da un autore francese, su cui Migliori è intervenuto modificando e cancellando alcuni elementi.

Nel suo percorso lavorativo Migliori ha utilizzato diverse tecniche di “cancellazione” di elementi dalle immagini: dall’intervento diretto sulle lastre vergini al bagno delle pellicole, modificando la loro composizione chimica, all’uso del temperino. La cancellazione è legata al significato dell’immagine (in questo caso gli occhi della donna, probabilmente una prostituta, sono simbolo di vita) e al gesto dell’autore, che dà all’oggetto fotografico un nuovo significato, pur cancellandone l’immagine. Carolina Lòpez Bohòrquez

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Crossroads

La via Emilia, costruita nel 200 a.C., è l’unica strada consolare che non si collega direttamente a Roma e unisce in longitudine Rimini con Piacenza. Dopo più di duemila anni è ancora oggi un’arteria fondamentale per l’economia della regione, supera piccoli e grandi centri, unisce e allo stesso tempo divide un intero territorio. Proprio sul dualismo tra unione e divisione, caratteristica di ogni strada, Nino Migliori pone il concetto centrale del progetto “Crossroads Emilia”. Decide di fotografare tutti gli incroci presenti sulla via, intesi come snodi di comunicazione tra viaggiatori e abitanti. Fotografa 43 incroci, ripresi da un punto di vista centrato rispetto al corso della strada, per un totale di 86 immagini. L’autore si focalizza su una doppia documentazione: sulla sinistra una di tipo razionale, pensata e calibrata; sulla destra troviamo invece un’immagine frutto del

caso, scattata nello stesso istante della precedente ma senza vedere direttamente nel mirino della fotocamera. L’immagine ottenuta non sarà quindi legata a una finalità puramente estetica quanto a una di tipo concettuale, volta a rafforzare l’idea del progetto. “L’occhio bifronte” di Nino Migliori mette in mostra non soltanto una documentazione attenta alle trasformazioni del paesaggio emiliano, ma ci fa anche riflettere su un altro aspetto: l’attraversamento di un incrocio costituisce simbolicamente una caratteristica della vita di tutti noi. Ogni momento della nostra crescita è direttamente legato a un confronto interiore tra ciò che lasciamo e ciò cui andiamo incontro, tra passato e futuro, tra razionale e irrazionale. Carlo Reviglio


Bibliografia essenziale © Carolina Lòpez Bohòrquez. Studio di Nino Migliori, Bologna

Segnificazione - Grafis Edizioni, Bologna, 1978; Fotografia gestuale di Nino Migliori - Quaderni del Verri, n°2, Bologna, 1979; Nino Migliori - Gruppo Editoriale Fabbri, Milano, 1982; Instant - Galleria d’Arte Contemporanea, Pavullo, 1999; Gente-Anni Cinquanta - L’Artiere Edizionitalia, Bologna, 1999; Trasfigurazioni - Edizioni Caleidoscopio, Lucca, 2000; Nino Migliori - Fondazione Guglielmo Marconi, Bologna, 2000; Neorealismo – Scenes of life in post-war Italy - Keith de Lellis Gallery, New York, 2001; Ombre di Luce-50 anni di ricerca sul potere della visione - F.I.F., Torino, 2002; Pop up. Tesi off camera - Ken Damy - Edizioni del Museo, Brescia, 2003; Checked- One year under control Ken Damy - Edizioni del Museo, Brescia; Muri - Damiani Editore, Bologna, 2004; Segni - Damiani Editore, Bologna, 2004; La ricerca infinita Edizioni della Meridiana, Firenze, 2005; Edenflowers - Damiani Editore, Bologna, 2005; Crossroads-Via Emilia - Damiani Editore, Bologna, 2006; Terra Incognita, Lo zooforo del Battistero di Parma - MUP Editore, Parma, 2008; Paesaggi Infedeli - Damiani Editore, Bologna, 2008; Nature Inconsapevoli - Editrice Quinlan, Bologna, 2009; Peggy in Venice photographed by Nino Migliori - Editrice Quinlan, Bologna, 2010.

• 1977, “Nino Migliori”, Palazzo della Pilotta”, CSAC, Università di Parma. • 1978, “Metafisica del quotidiano”, Galleria d’Arte Moderna, Bologna. • 1979, “Venezia ‘79. La fotografia, Magazzini del Sale”, Biennale di Venezia, Venezia. • 1981, “Linee della ricerca artistica in Italia 1960-1980”, Palazzo delle Esposizioni, Roma. • 1983, “Fotogramme”, Fotokunst Museum im Munchner Stadtmuseum, Monaco. • 1985, “The European Iceberg”, The Art Gallery of Ontario, Toronto. • 1989, “L’insistenza dello sguardo”, Palazzo Fortuny, Venezia. • 1990, “Photogramme und die Kunst”, Kunsthaus, Zurigo. • 1994, “The Italian Metamorphosis”, Solomon R. Guggenheim Museum, New York. • 1995, “Europa de postguerra 19451965”, Sala Catalunya, “La Caixa”, Barcellona. • 1997, “Un paese unico-Italia,

fotografia 1900-2000”, Palazzo Medici-Riccardi, Firenze. • 1999, “Instant”, Palazzo Ducale, Galleria d’Arte Contemporanea, Pavullo. • 2001, “Italian Neorealism”, Fotofest, Houston. • 2002, “Nino Migliori, Materie e memorie nelle scritture fotografiche”, GAM, Torino. • 2004, “Muri”, Rocca Sforzesca, Dozza. • 2005, “Signs”, Keith de Lellis Gallery, New York. • 2005, “Nino Migliori. La ricerca infinita”, Galleria BelVedere, Milano. • 2006, “Mirades paralleles”, MNAC, Barcellona. • 2008, “Terra incognita”, Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano Traversetolo. • 2008, “Paesaggi Infedeli”, Accademia di Belle Arti, Bologna. • 2009, “Fotografia astratta dalle avanguardie al digitale”, Museo

La Fondazione FORMA per la Fotografia e NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, organizzano il Master in Photography and Visual Design. Giunto alla sesta edizione, si tratta del primo e unico master accademico di settore legalmente riconosciuto offerto in Italia. Costruito con l’obiettivo di sviluppare competenze teoriche, tecniche e pratiche, questo programma di durata annuale è orientato alla formazione di fotografi, curatori, photoeditor e altre figure professionali specializzate nello studio e nel trattamento delle immagini fotografiche.

© Marco Scotuzzi. Studio di Nino Migliori, Bologna

Principali mostre personali e collettive

di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo. • 2009, “Nature inconsapevoli”, Villa Seghetti Panichi, Castel di Lama. • 2010, “Peggy in Venice photographed by Nino Migliori”,

Peggy Guggenheim Collection, Venezia. • 2010, “Nino Migliori - Il passato è un mosaico da incontrare”, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, Roma.

Progetto a cura di Forma Fondazione FORMA per la Fotografia

Le prossime uscite

Piazza Tito Lucrezio Caro 1 – 20136 Milano tel. 02.58118067 www.formafoto.it

Piergiorgio Branzi

Redazione: Carolina Lòpez Bohòrquez, Carlo Reviglio, Marco Scotuzzi, Jingjie Wang Progetto grafico: Daniele Papalini Foto di copertina: © Marco Scotuzzi Finito di stampare nel mese di ottobre 2012, presso EBS, Verona

Franco Fontana


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