La memoria della fotografia Convegno di studi Milano, Frigoriferi Milanesi
Fondazione FORMA per la Fotografia
La memoria della fotografia Convegno di studi Milano, Frigoriferi Milanesi 5 – 6 aprile 2014
Fondazione FORMA per la Fotografia
Indice
Introduzione agli atti del convegno. Elisabetta Galasso ............................... 7 Gli archivi fotografici. L’impegno di Forma. Roberto Koch ......................11 Storie di fotografia: il Civico Archivio Fotografico di Milano. Silvia Paoli ............................................................................................................. 15 La fotografia all’interno dell’archvio storico della Presidenza della Repubblica. Laura Curti .................................................................................... 21
© 2015 Fondazione Forma per la Fotografia via G.B. Piranesi, 12 Milano
Le collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea. Roberta Valtorta ................................................................................................... 27
Per i testi © gli autori
Il punto dell’archivio. I fondi industriali degli Archivi Alinari. Emanuela Sesti ..................................................................................................... 35
Redazione Laura Bianconi e Valeria Moreschi
Camera e gli archivi fotografici. Lorenza Bravetta ..................................... 43
Grafica Tania Russo
Tempo ritrovato – Fotografie da non perdere. Lucia Miodini ................. 45
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, interamente o in parte, memorizzata o inserita in un sistema di ricerca delle informazioni o trasmessa in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo (elettronico o meccanico, in fotocopia o altro), senza il previo consenso scritto dell’editore.
Profili giurici relativi alla costituzione di archivi fotografici. In Italia e negli Stati Uniti d’America. Gianluca Morretta ....................... 53 La fotografia: un affare di stato. L’esempio della Francia. Un promemoria per nuove riflessioni. Alessandra Mauro ........................ 65
Introduzione agli atti del convegno Elisabetta Galasso Amministratore Delegato Open Care Servizi per l’Arte
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Questa pubblicazione raccoglie i contributi dei relatori al Convegno La Memoria della Fotografia, promosso da Fondazione Forma per la Fotografia e Open Care Servizi per l’arte il 5 e 6 aprile del 2014 e organizzato ai Frigoriferi Milanesi di Milano. Il Convegno era volto a approfondire le problematiche relative alla gestione e valorizzazione degli archivi fotografici, grazie al contributo dei responsabili di alcuni dei più significativi archivi fotografici italiani. Il Convegno ha contribuito a evidenziare la grande attualità della questione degli archivi, non solo sul fronte tecnico e specialistico, ma in quanto processo di produzione e trasmissione della memoria collettiva. Un processo reso palese proprio dall’attuale eccesso di memoria fotografica, conseguente al proliferare di immagini digitali autoprodotte e distribuite via web, fenomeno che ha contribuito ad avvicinare anche il grande pubblico alla nozione stessa di archivio quale contenitore ordinato in base a precise scelte valoriali. Su questa accezione di archivio come progetto, “dispositivo storicamente determinato di produzione di memoria” si sono soffermati alcuni relatori, riflettendo una visione molto presente nelle pratiche artistiche contemporanee e nella riflessione critica di matrice decostruzionista. Altri contribuiti hanno approfondito, invece, l’accezione di fotografia come bene culturale, esaminando gli strumenti disponibili e le grandi sfide poste dall’esigenza di tutelare fondi eterogenei e dispersi sul territorio nazionale. Si è segnalata in particolare l’esigenza di continuare a mappare la presenza di fondi conservati da fondazioni e soggetti privati, che rischiano altrimenti di andare dispersi. Alcuni tra i più significativi progetti in corso o realizzati sono stati oggetto di approfondimento e condivisione. Il nesso tra fotografia come documento e fotografia quale espressione artistica si è evidenziato come centrale, sia per quanto concerne le strategie di conservazione e i processi di valorizzazione dei fondi fotografici, sia in relazione alla complessa questione dei diritti di riproduzione, complice una normativa lacunosa e di arbitraria interpretazione. La normativa statunitense in questo ambito è stata esaminata in parallelo a quella
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italiana, mentre l’esperienza francese è stata proposta quale esempio di un approccio organico e coordinato alla valorizzazione del patrimonio fotografico, in Italia ancora assente. Per questioni tecniche e per la forma di tavola rotonda di alcune sezioni, non è stato possibile documentare tutti. Gli interventi, gli organizzatori sono disponibili a integrare questa prima versione con i testi forniti dagli altri partecipanti al Convegno.
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Gli archivi fotografici L’impegno di Forma Roberto Koch Presidente della Fondazione Forma per la Fotografia
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La Fondazione Forma per la Fotografia nel 2014 annuncia un ampliamento della propria attività nel settore degli archivi e un cambio di sede. I cambiamenti veri sono sempre portatori di novità. E, ovviamente, di aperture. Forma rinasce e si rifonda. La nuova attività della Fondazione Forma si rivolge a una parte della propria mission ancora non del tutto messa in pratica e che sarà costitutiva del lavoro dei prossimi anni: la valorizzazione, conservazione, studio e divulgazione dei grandi archivi dei maestri della fotografia italiana. La nostra mostra di apertura nel 2005 a Piazza Tito Lucrezio Caro, dedicata a Gianni Berengo Gardin, era una chiara dichiarazione di intenti: la Casa della Fotografia Italiana iniziava il proprio programma con una mostra dedicata a un grande autore italiano. Ora, il primo archivio verso cui rivolgeremo la nostra attenzione è proprio quello di Gianni Berengo Gardin , il nostro GBG. Siamo molto lieti di annunciare che abbiamo concluso un accordo quadro con Gianni Berengo Gardin e la famiglia nel quale la Fondazione sarà depositaria e gestionaria dell’intero suo archivio, compresi i negativi, i provini, le stampe, i documenti, alcune delle macchine fotografiche. Il secondo accordo, dello stesso tipo, e che siamo lieti di annunciare qui, è quello sottoscritto con Piergiorgio Branzi che ci ha anche lui affidato l’intera sua produzione fotografica. E inoltre l’archivio di Walter Bonatti, di cui abbiamo assunto la gestione, sarà protagonista di una grande mostra prossimamente a Milano. Altri accordi con altrettanti maestri italiani seguiranno e colloqui sono già in corso in questa direzione. Questo progetto, che per la prima volta si realizza in Italia con una dimensione ampia e completa, impegnerà la attività di Forma per i prossimi 10 anni, mettendo a frutto tutte le capacità che abbiamo e che comprendono la catalogazione e valorizzazione delle opere e del lavoro dei fotografi, vero e proprio patrimonio visuale della fotografia italiana. Il progetto è di importanza assoluta e costituisce una iniziativa pilota che non ha precedenti nel nostro paese e pochissimi all’estero. La fotografia deve assumere nel nostro paese, come le altre discipline artistiche, piena dignità e valo-
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re; questo impegno parte proprio dalla valorizzazione di quanto fatto dai grandi fotografi italiani. Saremo attenti e collaborativi con tutte le altre istituzioni e realtà che si occupano di archivi fotografici, di cui molte presenti a questo convegno, e altre che stanno per allargare o iniziare la loro attività in questo senso. C’è bisogno di molto lavoro comune e di una affermazione collettiva dell’importanza degli archivi fotografici. Noi abbiamo scelto di occuparci dei fotografi di riferimento, di catalogare tutto il loro lavoro e di offrire alla consultazione nel futuro l’intera produzione di alcuni dei principali maestri della fotografia italiana. Questo lavoro ben si accoppia e si integra con il grande lavoro che già viene svolto su collezioni pubbliche e private, archivi d’impresa, e altro. Tutti insieme possiamo costituire un sistema della fotografia italiana, che affondi le radici nella memoria e la offra alla consultazione e alla visione per gli utenti di tutti i tipi, da photo editor a studenti, professori, ricercatori, studiosi.
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Storie di fotografia: il Civico Archivio Fotografico di Milano Silvia Paoli Civico Archivio Fotografico del Comune di Milano
Il Civico Archivio Fotografico del Comune di Milano fa parte del sistema dei Musei Civici del Castello Sforzesco; inaugurato ufficialmente nel 1933, sebbene la sua storia dati dal 10 maggio 1900, anno in cui i Musei furono aperti al Castello mentre i lavori del cantiere di ricostruzione del grande complesso edilizio erano ancora in corso. Fu Luca Beltrami (1854-1933), artefice del nuovo Castello, storico dell’arte e architetto, oltre che uomo politico, a dare valore alla fotografia inserendola in tutti campi della propria attività e promuovendo anche le prime raccolte di fotografia poi confluite nell’Istituto. Fino a poco meno di dieci anni fa, il patrimonio fotografico civico era conosciuto in minima parte e soltanto in due ambiti: la storia dell’arte e la storia della “vecchia Milano”. Se gli storici dell’arte si erano accostati all’Archivio solo per la parte dedicata alle opere d’arte, il pubblico generico vi accedeva solo per cercare immagini della Milano scomparsa, secondo una visione fortemente stereotipata e nostalgica. Non si conosceva la storia dell’Archivio, luogo di sedimentazioni progressive di materiali (fondi, collezioni, raccolte, donazioni, acquisti), accumulatisi senza un progetto organico di sviluppo e per lungo tempo completamente dimenticati, né tantomeno si guardava alla fotografia in sé e non in senso meramente documentario. È stato quindi primario operare per avviare programmi di conservazione (inventariazione, catalogazione, restauri, acquisizioni digitali) e di valorizzazione, volti a cambiare il ruolo e la percezione dell’Archivio Fotografico all’interno dei musei ma soprattutto nella considerazione del pubblico, degli studiosi e dei cittadini tutti. Il patrimonio fotografico doveva assumere uno status diverso, non più in funzione subordinata al patrimonio storico-artistico ma valorizzato come ambito di espressione specifico, in relazione alla creazione di sguardi sulla realtà, la storia dell’arte, la storia della città e molto altro. Per fare questo è stato necessario studiare la storia dell’Archivio come organismo complesso in sé e interrogarsi sul suo ruolo nella contemporaneità, comprendere come inscriverlo in una storia culturale più ampia,
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nella filiera degli studi e della ricerca, quindi sia nella storia della fotografia sia nella storia della città e delle sue istituzioni. Le modalità storiche e critiche adottate, affinate nel tempo, non hanno trascurato poi di considerare i processi storici più generali in cui anch’esse sono inserite, come frutto di modalità e attitudini personali, ma anche di un gusto e di un orientamento legato a un periodo storico e a un ambiente di provenienza che non possono non condizionare la comprensione dei processi storici in cui è inserita la produzione dell’oggetto fisico, la fotografia, e la produzione e costituzione nel tempo dello stesso archivio; processi storici che coinvolgono, quindi, anche la produzione dei sistemi di comunicazione del patrimonio di un archivio fotografico nel suo insieme – inventari, cataloghi, album, pubblicazioni, mostre, conferenze, siti web – e la produzione dei sistemi di rappresentazione delle fotografie e dell’Archivio in cui sono inserite, tramite la produzione di immagini, sulle riviste, sui libri, sul web. Se l’Archivio è “raccolta ordinata e sistematica di atti e documenti la cui conservazione sia ritenuta di interesse pubblico o privato” – come recita un qualsiasi dizionario – il primo problema è stato quello dell’ordinamento sistematico del patrimonio conservato, e quindi dell’indagine sugli inventari e i cataloghi esistenti. Poiché il catalogo, e prima l’inventario, altro non sono che un meta-discorso sull’Archivio, una modalità con cui, nel corso degli anni, attraverso scelte più o meno consapevoli, è stata mediata verso il pubblico la conoscenza di alcune parti dell’Archivio, di alcuni fotografi, di alcuni fondi, di alcuni temi. L’inventario è uno strumento interno che ha la funzione di quantificare il patrimonio; il catalogo è invece la prima forma di comunicazione dell’archivio verso il pubblico e richiede forti competenze storico-critiche. Ogni momento storico ha visto attuarsi scelte diverse in ordine alla catalogazione (si pensi alla storia delle nozioni, o categorie, di “autore” e di “soggetto”), spesso ha visto “non” scelte, accantonamenti, dimenticanze, rifiuti, oblii. Ciò che è stato e sarà catalogato verrà ammesso alla conoscenza; ciò che non lo è sarà destinato probabilmente a essere dimenticato. In Italia, con la pubblicazione a cura dell’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, 1999) degli standard catalografici per la scheda “F”, la fotografia è stata finalmente considerata bene culturale da tutelare e catalogare, secondo quanto stabilito dal D. Lgv. 490/ 1999 (in seguito Codice dei Beni Culturali del 2004). Il nuovo sistema di catalogazione, poi tradotto in software da diverse regioni italiane – tra cui la Lombar-
dia, col sistema SIRBEC (Sistema Informativo Regionale Beni Culturali) – ha permesso di affrontare la complessità dell’“oggetto fotografia” e dell’“oggetto archivio” con un nuovo e più articolato strumento. È stato così possibile strutturare secondo una precisa architettura logica (data dal software per la scheda “F”) le diverse operazioni critiche volte a conoscere l’archivio, recuperando agli studi e alla memoria, parti della sua storia interamente dimenticate. Gli stessi processi di selezione – inevitabili – messi in atto nello studiare, catalogare, restaurare e conservare, hanno trovato nuove modalità di attuazione nel dare avvio a processi interpretativi rispettosi dell’identità dei fondi e delle raccolte, senza riferimenti aprioristici a categorie e gerarchie estetico-autoriali che, meramente sovrapposte agli “oggetti”, non ne avrebbero se non offuscato la comprensione e la giusta collocazione in una prospettiva storica. In questo complesso e delicato processo è indubbiamente centrale il ruolo del conservatore, “mediatore culturale” del patrimonio storico (sul cui ruolo va citata La carta nazionale delle professioni museali di ICOM Italia, pubblicata nel 2005) e responsabile della sua comunicazione verso il pubblico. Attraverso tutte le attività dell’Archivio, di conservazione e di valorizzazione, promosse nell’ambito di una visione complessiva della sua storia, l’archivio stesso e il suo patrimonio comunicano con il pubblico e in tal modo attivano processi di interpretazione, nel pubblico, negli studiosi, che poi ritornano, in modo circolare, sull’Archivio e ne contribuiscono a determinare la fisionomia e il ruolo all’interno del più generale panorama culturale. Le attività di conservazione e di valorizzazione della fotografia e dell’archivio non possono quindi essere intese se non in senso dinamico, come attività che individuano nel rapporto tra diacronia (la storia) e sincronia (il tempo presente) ciò che può contrastare l’idea dell’archivio come circuito chiuso in se stesso e non aperto, invece, agli stimoli culturali più diversi, inserito nella filiera della ricerca e degli studi e dei continui scambi con la riflessione e l’esperienza contemporanea. Solo in tal modo il patrimonio conservato nell’Archivio assume valore per la costruzione della memoria e dell’identità individuale e collettiva. In rapporto al passato, al presente e al futuro, aprendo costantemente nuovi fronti di ricerca, possibilità interpretative e di riflessione, in rapporto al pubblico cui si rivolge ma anche ai più diversi ambiti di studio. Da tutto ciò nasce anche la consapevolezza di un “fare” storia della fotografia che può essere declinato in tante “storie”, di fotografia, legate ai contesti geografici,
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sociali e culturali. Se lo storico tout court è inevitabilmente assillato dalla necessità di raccontare tutto ciò con cui la fotografia si mette in rapporto (scienza, arte, società ecc.), preoccupandosi di un fare storia per mezzo della fotografia, lo storico della fotografia oggi è colui che costruisce storie di fotografia, avendone ben presente la natura complessa, la sua caratteristica di sguardo “altro” e i rapporti con “le” storie culturali in cui si inscrive. Il Civico Archivio Fotografico di Milano, che conserva un patrimonio di 850.000 fotografie, datate dal 1840 ai giorni nostri (tra cui si segnalano le collezioni di Luca Beltrami e di Lamberto Vitali, quelle dedicate al patrimonio storico-artistico lombardo e milanese, alla storia di Milano, ma anche d’Europa e d’Oriente, i fondi contemporanei, tra cui l’archivio di Paolo Monti), ha oggi recuperato, alle soglie del terzo millennio, una fisionomia e un’identità proprie all’interno del sistema museale cittadino e del contesto italiano. Oltre alle attività interne, sul fronte della conservazione e dei restauri, sono stati attuati diversi progetti di ricerca e di studio, anche in collaborazione con enti nazionali e internazionali. Tra questi, le grandi mostre e pubblicazioni dedicate a Lamberto Vitali (2004), alla fotografia dell’Ottocento a Milano (2010), a Luca Beltrami (2014), la collaborazione a progetti di studio sul territorio nazionale (L’Italia d’argento, una storia della dagherrotipia italiana, con mostra e catalogo, a cura dell’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e della Fondazione Fratelli Alinari, 2003; Éloge du négatif, una storia della calotipia italiana, con mostra e catalogo, con Istituto Nazionale per la Grafica di Roma, Fondazione Fratelli Alinari, Atelier de Restauration et Conservation de la Ville de Paris, tenutasi al Petit Palais di Parigi nel 2010); la collaborazione con l’Università degli Studi di Milano per i cicli di conferenze Storie di fotografia, tra il 2007 e il 2011, poi pubblicati nel volume monografico della rivista L’Uomo Nero, n. 9, 2012.
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La fotografia all’interno dell’archvio storico della Presidenza della Repubblica Laura Curti Archivio storico della Presidenza della Repubblica Responsabile dell’Archivio fotografico
La considerazione della fotografia come bene culturale è iniziata a partire dagli anni Settanta, quindi è un fenomeno relativamente recente in Italia, mentre la percezione del suo valore documentario e storico è antecedente. Oggi si riconosce alla fotografia anche un valore artistico che esula dalla sua funzione di documento. L’archivio fotografico conservato presso l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica più che un valore artistico ha un ruolo documentario di notevole importanza, con preziose immagini da tutelare nel tempo, risalenti al capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola e, una piccola sezione, alla Real Casa. Le fotografie vengono realizzate ancora oggi internamente da fotografi facenti parte del personale di ruolo del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica. Fu durante il settennato Gronchi, in relazione all’esigenza di documentare il più largamente possibile l’attività del Capo dello Stato con immagini relative alle cerimonie e agli incontri pubblici, sia ufficiali che privati, che si incoraggiò il formarsi di un vero e proprio laboratorio fotografico. Da tale laboratorio veniva fornito materiale fotografico destinato a soddisfare le numerose richieste di giornali e riviste in Italia e all’estero, di ospiti del Presidente della Repubblica e degli Uffici del Segretariato. Il laboratorio fece capo all’Ufficio Stampa, ufficio che non esisteva nell’Amministrazione della Real Casa e che fu istituito dal Presidente Einaudi. Il servizio fotografico fu, ed è tuttora, assicurato dall’Ufficio Stampa con proprio personale: vennero addestrati elementi che mostravano predisposizione per questo genere di lavoro, e che privatamente realizzavano servizi fotografici all’interno, per eventi tipo comunioni, matrimoni o anche incidenti di macchine, ecc. (di cui conserviamo ancora esemplari). All’epoca dei primi Presidenti il personale del Segretariato generale abitava all’interno del Palazzo del Quirinale. Per manifestazioni di rilevante importanza si continuò a convocare anche i fotografi delle principali agenzie fotografiche.
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L’archivio fotografico, relativamente al periodo repubblicano, conserva scarsissime fotografie dell’epoca di De Nicola e Einaudi (di Einaudi non sono giunte all’Archivio storico perché portate via precedentemente), mentre ha un corposo nucleo di fotografie degli altri Presidenti. La conservazione di questo materiale fotografico, prima del versamento all’Archivio storico, si presenta in maniera molto diversificata. In particolare le fotografie relative ai Presidente Leone e Pertini sono giunte a noi in totale disordine, spesso prive dell’indicazione degli eventi, con alcuni negativi anche molto rovinati, creando non pochi problemi di identificazione e di schedatura. Del Presidente Scalfaro sono giunti solo i provini e non i negativi. Per gli altri Presidenti abbiamo servizi fotografici ordinati e schedati. Sono conservati per lo più negativi, dal formato 35 mm in strisce e negativi 6x6 cm, poi stampe fotografiche (sciolte o raccolte in album), provini di stampa e diapositive. Un certo numero di fotografie è, invece, reperibile all’interno dei fondi, evidenziate, negli inventari analitici, come presenza, ma non come descrizione specifica degli eventi cui si riferiscono. L’archivio fotografico comprende anche un piccolo nucleo di fotografie e altro materiale iconografico del periodo regio, di cui è stato iniziato il restauro: rimasto al Quirinale insieme alla parte dell’archivio del Ministero della Real Casa che si è deciso di non versare all’Archivio centrale dello Stato perché di interesse corrente. Si tratta di foto dei componenti della famiglia Savoia, delle residenze reali in Italia, della Tenuta di San Rossore, di esterni vari, di oggetti artistici, di ritratti di uomini politici del secolo XIX. Tutto questo materiale, prima della formazione dell’Archivio storico, era conservato nella biblioteca del Quirinale. Nell’ambito della politica dell’Archivio storico che mira a recuperare in copia la documentazione riguardante i Presidenti della Repubblica conservata presso Fondazioni e altre Istituzioni culturali, sono state acquisite, in formato digitale, oltre alla carte, le fotografie di Luigi Einaudi (circa 6.000) relative al periodo della sua Presidenza, che sono conservate presso la Fondazione Einaudi di Torino e sono inventariate e schedate; le fotografie del Presidente Gronchi, conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato, con elenco (mentre parte delle carte Gronchi si trovano presso la Fondazione Sturzo); le fotografie di Sandro Pertini,
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conservate presso l’Associazione nazionale Sandro Pertini di Firenze, oltre alla documentazione. Sempre a Firenze, presso la Fondazione Turati, è stata acquisita la documentazione della Presidenza Saragat, prevalentemente fotografie. È in corso la pratica per ottenere la riproduzione delle carte Leone, conservate presso l’Archivio storico del Senato, foto e documenti, mentre del Presidente Segni sono in corso di riproduzione le carte (ma non esistono fotografie) che si trovano alla Fondazione Segni presso l’Università di Sassari. Si conserva inoltre la riproduzione del patrimonio fotografico acquisito per la Mostra per i 150 anni dell’Unità d’Italia, tenutasi al Quirinale dal novembre 2011 all’aprile 2012. Per il periodo repubblicano il materiale è quasi tutto conservato presso l’ASPR, mentre per il periodo regio le fotografie sono articolate per istituzione di provenienza per la salvaguardia dei diritti dei soggetti conservatori, nell’ipotesi che debbano essere usate. Un ulteriore nucleo di 170 foto, facenti parte dell’Archivio Alinari, è stato acquistato dall’Ufficio Stampa. Si tratta di fotografie relative in gran parte al periodo regio e in parte minore al periodo repubblicano. Un album di foto dei Reali, infine, è stato donato da un attuale dipendente il cui bisnonno faceva parte del personale del cerimoniale del Re. Per consentire la consultazione e lo studio sono stati stilati degli elenchi che riportano la data, il luogo e la descrizione dell’evento e i nomi di alcuni personaggi ritratti. Finora si è proceduto alla scannerizzazione e conservazione in digitale delle fotografie utilizzate per ricerche, pubblicazioni, mostre, senza un criterio organico ma solo di funzionalità. Ora è in corso la digitalizzazione integrale dell’Archivio fotografico. È difficile quantificare il numero delle fotografie conservate, ma tra positivi, negativi e diapositive siamo nell’ordine di oltre un milione di esemplari (fino a oggi sono state scannerizzate circa 15.000 immagini, relative alla Presidenza Gronchi, alla Presidenza Segni e una parte della Presidenza Saragat). Gli originali da pellicola vengono acquisiti con scanner professionali Nikon Super Coolscan specifici per queste tipologie di supporto: fotogrammi da supporto fino al formato 35 mm sono acquisiti con risoluzione
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di 4.000 ppi, mentre per formati superiori e fino a 6x6 cm sono acquisiti con risoluzione di 2.000 ppi, a colori RGB o in scala di grigio in considerazione del supporto originale. Le immagini provenienti da stampa fotografica sono invece acquisite con scanner planetario professionale Minolta, con risoluzione tra i 300 e i 600 ppi e sempre a colori RGB o in scala di grigio in accordo al tipo di originale. Lo scanner planetario Minolta è inoltre dotato di piani di appoggio basculanti e vetro “pressore” per la riproduzione delle fotografie conservate in album fotografici. Le immagini prodotte in acquisizione, sia da pellicola che da stampa fotografica, sono salvate in formato TIFF non compresso, all’interno di una directory (cartella) per ciascuna Presidenza. Queste immagini costituiscono le copie master di sicurezza, sostitutive degli originali, dalle quali saranno successivamente prodotte ulteriori due versioni, in formato Jpeg di alta e media qualità, destinate alla consultazione in rete locale o alla eventuale pubblicazione online. Preventivamente alla fase di riproduzione digitale, per ogni Presidenza è inoltre prodotta una tabella digitale di riferimento (in formato Excel), basata sugli inventari già esistenti e prodotti dall’Archivio stesso. In questi file sono riportati in maniera strutturata tutti i dati relativi ai fotogrammi di ogni singolo fascicolo, ovvero indicazione della Presidenza, il numero di fascicolo, l’evento e il riferimento temporale. I dati così predisposti potranno in seguito essere agevolmente importati in un database e/o applicativo di gestione dell’archivio digitale, consentendo così una più facile attività di ricerca e consultazione delle immagini prodotte. Per questa gestione successiva, si sta valutando la possibilità di utilizzare, riadattandolo per le fotografie, un sistema di ricerca informatica già realizzato per l’Archivio del Servizio patrimonio. Obiettivo dell’ASPR, dal momento che dal 2002 le fotografie giungono già in formato digitale, è di cercare un sistema gestionale che abbia gli stessi criteri sia per l’Ufficio stampa, produttore del materiale, sia per l’Archivio storico che lo riceverà.
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Le collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea Roberta Valtorta Direttore scientifico Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo-Milano
Fin da quando, nel 1996, fu avviato il progetto che nel 2004 avrebbe portato alla sua inaugurazione nella sede di Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo, il Museo di Fotografia Contemporanea conserva, studia, promuove la fotografia non come “documento” ma come opera d’arte e come oggetto teorico complesso. Data al 1998 la legge dello stato italiano che accoglie la fotografia tra i beni culturali e al 1999 quella che la comprende tra le cose aventi carattere di rarità e di pregio artistico e storico1: anche su questa base, oltre che a partire dalla forte convinzione di chi scrive e che si trovò allora nella posizione di responsabilità di disegnare, insieme a un comitato scientifico europeo2, le linee del progetto del futuro museo, si scelse la strada di quella che spesso viene definita “fotografia autoriale”. È la fotografia degli “autori”, considerati tali in quanto capaci di apportare elementi innovativi ai codici della fotografia, facendo progredire nel tempo i suoi linguaggi rispetto alle diverse epoche della società e della storia. Verso questo tipo di fotografia si sono orientati, tra gli anni Sessanta e Novanta del Novecento, i musei di fotografia e i dipartimenti di fotografia nati all’interno dei musei di arte moderna e contemporanea in Europa e non solo3. In Italia questa idea di fotografia è entrata nel processo di organizzazione del patrimonio fotografico molto tardi, solo alla fine del millennio. 1 Gabriella Guerci, Passo dopo passo, mattone dopo mattone, in Roberta Valtorta (a cura di), Il museo, le collezioni, Giovanni Tranchida Editore, Milano 2004, p. 10. 2 Dopo alcuni primi incontri nella primavera 1996 di un gruppo formato da Gabriele Basilico, Carlo Bertelli, Cesare Colombo Achille Sacconi e da me, fui incaricata dalla Provincia di Milano di scrivere una prima bozza di progetto. Sulla base di questa bozza lavorò, nel 1998-99 un comitato scientifico da me coordinato e composto da: Silvia Berselli, Carlo Bertelli, Pierre Devin, Ute Eskildsen, Vittorio Fagone, Marina Miraglia, Diego Mormorio, Achille Sacconi, Hripsimé Visser. Per una informazione sulla storia del museo cfr. Roberta Valtorta, Un progetto delicato, in Idem, ibidem, pp. 32-47. 3 Cfr. Marina Miraglia, Il patrimonio fotografico italiano: stato di conservazione e progetti di tutela, in: Uliano Lucas (a cura), L’immagine fotografica 1945-2000, Storia d’Italia – Annali 20, Einaudi Editore, Torino 2004. Vi sono casi anche più antichi di raccolte fotografiche nate presso importanti musei, per esempio presso il Victoria and Albert Museum di Londra, o, negli USA, il Museum of Modern Art di New York.
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Il Paese infatti disponeva e dispone di un patrimonio molto importante ma debole è stata ed è la capacità di ordinarlo, capirne le diverse declinazioni e soprattutto renderlo presente alla cultura italiana, che ne ha a lungo ignorato l’esistenza stessa. La grande dispersione sul territorio nazionale di questo patrimonio ne ha anche reso ardua la conoscenza, impedendo lo sviluppo di strategie culturali diversificate nella valorizzazione della fotografia da parte delle istituzioni. Vi sono stati due momenti nel secondo Novecento nei quali le istituzioni italiane hanno manifestato l’esigenza di raccogliere e storicizzare il patrimonio fotografico: gli anni Settanta, gli anni della diffusione del mezzo televisivo, e gli anni Novanta, periodo nel quale si assiste al progressivo radicamento dell’immagine digitale4. Le nuove tecnologie hanno dunque reso improvvisamente importante la fotografia, rendendola al tempo stesso “antica”. Questo significa ancora una volta che la cultura italiana per consentire a un’arte di accedere agli spazi istituzionali deve considerarla del tutto compiuta, così che essa sia storicizzabile, e non contemporanea e in fieri. Il ritardo italiano risiede anche in questo: nella paura di ciò che è “solo” contemporaneo, e come tale “insufficiente”. È accaduto così che la fotografia, un’arte meccanica giovane e breve, la cui parabola si compie tra gli anni Trenta dell’Ottocento e gli anni Novanta del Novecento, momento in cui essa cede il posto all’immagine digitale, si sia svolta completamente senza ricevere in Italia quella attenzione istituzionale che ha avuto in altri paesi. E anche il mercato dell’arte, più dinamico delle istituzioni, dopo primi entusiasmi negli anni Settanta ha a sua volta esitato ad accettare il nuovo oggetto artistico, caratterizzato da alcune “debolezze” (che sono invece i suoi originali punti di forza) quali la riproducibilità, la deperibilità, la meccanicità. Nel nostro paese il mercato è arrivato prima delle istituzioni, ma, mancando la fondamentale garanzia culturale di queste nei riguardi della fotografia, esso è giunto comunque in ritardo. Il tema dell’autorialità della fotografia inizia dunque a prendere significato in Italia solo verso la fine degli anni Ottanta, quando più elementi rendono credibile la figura del fotografo autore: un più adeguato lavoro storico e teorico; una più consistente attività editoriale; un crescente numero di eventi espositivi in spazi pubblici e privati, anche aiutati dalla spinta delle neoavanguardie nel cui clima, tra anni Sessanta e Settanta,
la fotografia era diventata un innovativo strumento di lavoro; il timido nascere dell’idea di fotografia come bene culturale, affacciatasi in un convegno tenutosi a Modena nel 1979 e maturata poi ben vent’anni dopo, nel 1999, come si diceva più sopra. Ma se la fotografia in Italia inizia finalmente a essere percepita come produzione di tipo autoriale, questo si deve anche e soprattutto agli autori, cioè ai fotografi stessi (i più colti e coscienti di loro) i quali hanno spesso operato nel ruolo di artisti ma anche di teorici, docenti, promotori, curatori di iniziative culturali. Al momento della nascita del Museo di Fotografia Contemporanea, in ogni caso, l’idea di autorialità stava alla base del progetto, così come l’idea, alla quale il Museo è sempre rimasto fedele, di continuare a costruire le collezioni anche a partire da progetti di committenza affidati a fotografi contemporanei. La committenza come pratica per la promozione della progettualità sta infatti alle origini stesse del Museo: come è noto, proprio dal grande progetto di committenza pubblica Archivio dello spazio (1987-1997), nato in seno al progetto Beni Architettonici e Ambientali della Provincia di Milano, era sorta l’idea stessa di dar vita a un museo di fotografia contemporanea5, e il Fondo Archivio dello spazio, composto da quasi 8.000 fotografie, è il primo importante nucleo di fotografie intorno al quale sono nate le collezioni. Promosso dalla Provincia di Milano e dal Comune di Cinisello Balsamo, con la collaborazione istituzionale, nella fase di start up, di Regione Lombardia e Ministero per i Beni e le Attività culturali, il Museo di Fotografia Contemporanea è dedicato alla fotografia contemporanea italiana e internazionale. Le sue collezioni, che contano oggi quasi 2 milioni di immagini organizzate in 33 fondi fotografici (mentre la biblioteca, una delle più grandi d’Europa, conta circa 20.000 volumi), datano dal secondo dopoguerra a oggi (pur con la presenza di nuclei di fotografie più antiche), con uno specifico accento sulle trasformazioni della fotografia nella stretta contemporaneità. Sul suo nome, che contiene le tre parole “museo”, “fotografia”, “contemporanea”, abbiamo voluto riflettere fin dai primi momenti di vita del Museo, per indicare intenzionalmente alcune fondamentali questioni tra loro collegate: che cosa è oggi un museo, che cosa è e sta diventando la fotografia, che cosa significa il termine contemporaneo riferito sia alla fotografia sia a un museo. 5 Cfr. Achille Sacconi, Roberta Valtorta (a cura di), 1987-1997 Archivio dello spazio. Dieci anni di fotografia italiana sul territorio della Provincia di Milano, Art&, Udine 1997.
4 Cfr. Idem, ibidem, p. 702.
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Un’operazione di apertura critica che abbiamo condotto attraverso tre seminari (È contemporanea la fotografia?, Fotografia e post-fotografia, Presente e futuro della fotografia) ai quali ha fatto seguito, proprio nel 2004, la pubblicazione È contemporanea la fotografia?, contenente i punti di vista di venticinque studiosi italiani ed europei6. Analogamente, di recente il Museo ha cercato di lavorare nel vivo dei temi dell’arte contemporanea proponendo nel 2012 la mostra Joachim Schmid e le fotografie degli altri7 : una duplice riflessione, da un lato sulla tendenza, oggi, all’azzeramento della figura dell’artista come produttore a favore di un’idea di artista come collezionista, organizzatore, curatore; dall’altro sull’eccesso di immagini nella comunicazione mediale e nell’arte e sulla eventuale necessità di riciclare le immagini già esistenti, senza più produrne di nuove – come l’artista tedesco dagli anni Ottanta coerentemente propone. La fotografia è diventata infatti un oggetto molto articolato e sofisticato in senso teorico, passando velocemente attraverso i concetti di ready made, traccia, esperienza relazionale, struttura discorsiva, e la sua complessità è aumentata con il passaggio dalla produzione analogica al sistema di produzione-scambio-condivisione digitale (c’è chi parla di morte della fotografia, chi invece di sostanziale continuità tra i due mondi8). Molto forte è, in questo momento di trasformazione, anche il tema della virtualizzazione dell’immagine e della sua progressiva perdita di fisicità, che tocca questioni teoriche, di produzione, di conservazione. Anche su questo il Museo ha voluto riflettere attraverso una mostra proposta al pubblico nel 2006, Alterazioni. Le materie della fotografia tra analogico e digitale9 . 6 Roberta Valtorta (a cura di), È contemporanea la fotografia?, Museo di Fotografia Contemporanea/Lupetti Editori di Comunicazione, Milano 2004. 7 Roberta Valtorta (a cura di), Joachim Schmid e le fotografie degli altri, Joahn & Levi, Monza 2012. 8 Sulla questione cfr. Hubertus von Amelunxen et alii, Photography after Photography. Memory and Representation in the Digital Age, G+B Arts, Münich 1996; Claudio Marra, Forse in una fotografia. Teorie e poetiche fino al digitale, Clueb, Bologna 2002; Quentin Bajac, Après la photographie. De l’argentique à la révolution numérique, Gallimard, Paris 2010, ed. it. Dopo la fotografia. Dall’immagine analogica alla rivoluzione digitale, Contrasto, Roma 2011; Chantal Pontbriand (a cura di), Mutations. Perspectives sur la photographie, Steidl, Göttingen 2011.
Un altro tema sul quale il Museo lavora è l’utilizzo dell’immagine fotografica come strumento dialettico per aprire l’istituzione al territorio nel quale si trova collocata (Cinisello Balsamo è una città situata nel difficile hinterland deindustrializzato del Nord Milano). Se l’idea di museo con gli anni Sessanta è cambiata profondamente con uno spostamento di accento da luogo della conservazione a luogo della produzione, dello scambio e del coinvolgimento del pubblico (si usa considerare la formula del Centre Pompidou lo spartiacque tra la concezione classica del museo e quella contemporanea), essa oggi si è fatta ancora più complessa, con forti interazioni con i pubblici in processi di condivisione e partecipazione. In questa chiave il Museo di Fotografia Contemporanea ha realizzato, fin dal 2005, una serie di progetti di arte pubblica, il più importante dei quali è stato Salviamo la luna, condotto da Jochen Gerz con la partecipazione di quasi tremila cittadini, al quale sono seguiti altri progetti come The Mobile City, con il coinvolgimento di giovani di aree socialmente difficili delle periferie milanesi e dell’hinterland, Ricordami per sempre, consistente nella produzione di un fotoromanzo con sceneggiatura dello scrittore Giulio Mozzi e fotografia di Marco Signorini e la partecipazione dei cittadini come attori, Art Around, una serie di otto progetti site specific realizzati da giovani artisti italiani in otto luoghi di cultura del Nord Milano10, l’attuale Vetrinetta, ideato da Paolo Riolzi e dedicato agli oggetti custoditi nelle case dei cittadini. Rispetto al contesto internazionale il Museo di Fotografia Contemporanea è nato tardi, cioè agli inizi del XXI secolo, quando la fotografia analogica era finita, l’immagine digitale si era affermata, la fotografia aveva conquistato del tutto il suo status di arte, l’idea di museo, come si diceva, era radicalmente mutata. Era dunque necessario problematizzare l’idea di fotografia, aprirla a tutti gli aspetti della sua trasformazione, cercare nessi critici con l’arte contemporanea. Il Museo è inoltre collocato, si diceva, in un territorio non facile: il Nord Milano, oggi luogo di fabbriche dismesse, centri commerciali e grandi infrastrutture, frammentato, popolato da immigrati prima italiani poi
9 Cfr. Roberta Valtorta (a cura di), Alterazioni. Le materie della fotografia tra analogico e digitale, Museo di Fotografia Contemporanea/Lupetti Editori di Comunicazione, Milano 2006.
10 Matteo Balduzzi (a cura di), Salviamo la luna, Electa, Milano 2009; Matteo Balduzzi (a cura di), The Mobile City, Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo 2008; Matteo Balduzzi, Fiorenza Melani, Diego Ronzio (a cura di), Ricordami per sempre, sceneggiatura di Giulio Mozzi, fotografia di Marco Signorini, Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo 2011; Matteo Balduzzi e Chiara Buzzi (a cura di), Art Around, Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo 2013.
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stranieri in cerca di radici, che potrebbe muoversi verso una riqualificazione sociale grazie alla spinta della cultura. Verso questo territorio il Museo ha compiuto e compie un grande sforzo di radicamento. L’attenzione al tema del territorio non si esprime solo nei progetti di arte pubblica volti a coinvolgere i cittadini ma anche nelle sue collezioni, in misura importante dedicate al paesaggio contemporaneo, e in particolare ai mutamenti della città: tra i fondi più importanti abbiamo Archivio dello spazio (1987-1997), Milano senza confini (1998-1999), Idea di metropoli (1997-2002), Città di Cinisello Balsamo (1988-2002), Osserve.Te.R (1998-2004), Gabriele Basilico/Milano. Ritratti di fabbriche (1978-1980), Storie immaginate in luoghi reali (2007), Achille Sacconi (1960-2005), Paolo Monti/S. Arcangelo di Romagna (1972), Il racconto del nostro presente (1989), Viaggio in Italia (1974-1983), Francesco Radino/Metrotranvia (2005-2008), Giovanni Chiaramonte/ Attraverso la pianura (2000-2004), Toni Nicolini/Architetture del Milanese (1993-1994). D’altro canto, poiché il Museo è nato nel momento storico della deindustrializzazione e della globalizzazione, e conserva opere che datano dal secondo dopoguerra a oggi, le collezioni rispecchiano fortemente la progressiva internazionalizzazione dei linguaggi della fotografia. È possibile dunque conoscere i codici del reportage classico nella sua declinazione italiana attraverso il grande fondo Federico Patellani (1935-1977), il fondo Federico Patellani/America pagana (1956), il fondo Mario Cattaneo (1950-2004), il vasto fondo Grazia Neri, che raccoglie gran parte dell’archivio analogico della grande agenzia (19602000), mentre nei fondi Enzo Nocera (1966-1993) e Attilio Del Comune (anni Sessanta-2000) si osserva lo stabilizzarsi ma anche l’attualizzarsi nella seconda metà del Novecento dei canoni del ritratto storico. Punte molto alte di sperimentazione dei codici della fotografia sono presenti nel prezioso fondo Paolo Gioli (1977-1995), nelle opere che sono parte della Raccolta antologica (anni Sessanta-2007) e del fondo Premio Riccardo Pezza (2006-2008), oltre che del fondo Salviamo la luna (2006-2008), peraltro conservato nelle case dei cittadini, e il fondo Arno Hammacher/ Scritture dalla battigia (1992-1997). Un’excursus delle tendenze più varie della fotografia del Novecento nelle sue diverse declinazioni è presente nelle immagini dell’importante fondo Lanfranco Colombo (anni Ventianni Novanta), un vero osservatorio sulle trasformazioni dei linguaggi. Ma anche la più piccola Collezione FINE (1974 al 2000), va nella stessa direzione, così come il fondo Paola Mattioli/Fabbrico (2006) che mostra
uno stratificarsi di linguaggi a partire dal reportage, ma anche il fondo Klaus Zaugg (1955-1994), dedicato alla fotografia di moda e pubblicità. Infine, il fondo Gianni Siviero (1880-1950), composto da un rilevante insieme di antichi ritratti di studio risponde a un’esigenza che si è fatta in anni recenti sempre più pressante: quella di far conoscere ai giovani e ai giovanissimi la fotografia analogica, divenuta ormai sconosciuta11.
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11 Per una conoscenza dei fondi fotografici del Museo si veda: Roberta Valtorta (a cura di), Il museo, le collezioni n.2, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2009; Roberta Valtorta (a cura di), 2004-2014 Opere e progetti del Museo di Fotografia Contemporanea, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2014, e www.mufoco.org/collezioni/.
Il punto dell’archivio I fondi industriali degli Archivi Alinari Emanuela Sesti
L’archivio non è mai un punto fermo, un approdo storicizzato a cui pervenire senza rinnovarsi. La continua rilettura dei materiali non ha praticamente mai fine, in quanto l’archivio diventa sempre più nel tempo l’attivatore di un ritorno della memoria verso il futuro. L’archivio diventa cioè il medium per l’arte contemporanea, la fonte di una riflessione creativa. Nel dibattito critico si è parlato di fotografia come di registrazione della memoria e di come quindi archiviarla, ordinarla e valorizzarla, avendo a che fare non con semplici documenti, ma con oggetti artistici che richiedono in primis la conservazione per garantirne una maggiore durata nel tempo, mentre le ricerche e gli approfondimenti in archivio conducono a una elaborazione dei dati e dei contenuti costituenti l’archivio stesso. L’archivio è diventato quindi il deposito creativo di memorie, deposito sottoposto però a interventi complessi che ne mutano continuamente il profilo. Interventi che riguardano sia gli ordinamenti archivistici necessari, sia semplici ma fondamentali inventari e verifiche, riscontri con cataloghi precedenti e con nuove archiviazioni informatizzate, puliture e interventi conservativi, acquisizioni digitali, esposizioni in mostre. Nella sola pratica di digitalizzazione viene operato un intervento “riscopritore” degli elementi costituenti l’archivio: il negativo, estratto dalla sua busta e dalla sua collocazione, viene visualizzato nella sua interezza di oggetto, il laser lo decodifica e ne trasferisce la lettura su un monitor attraverso il quale si procede anche a un ingrandimento e a un immersione in esso. La banca dati creata rigenera le opere schedate in una nuova riflessione contenutistica. Ernst Van Alphen parla di potere dell’archivio che si costituisce come contenitore attivo (e non passivo) di memoria, dove “social power is negotiated”: la memoria non è collezionata nell’archivio ma è prodotta dall’archivio stesso e continuamente “remade”.1 Tina Campt scopre invece la lirica dell’archivio: “the complex music of the photography are thus a sound that is not conteined
Fratelli Alinari
1 E. Van Alphen, Staging the archive: art and photography in the age of new media, Reaktion Book, London 2014, pp. 15-16.
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within the image, but one that precedes the images as its constitutive and enunciating force”2. L’archivio e la fotografia come potere e poesia, l’archivio come progetto poetico e politico3, la fotografia tra poesia e politica in quanto medium 4. La ri-lettura dell’archivio Alinari, dalle sue origini fino all’ingresso delle nuove collezioni con l’accumulo di nuove stratificazioni, ha significato un grande lavoro di ricerca e di riordino, che ha visto fasi diverse di intervento e di rielaborazione collettiva in chiave moderna dei contenuti costituenti l’archivio. In primis è stato operato l’inventario generale di tutte le collezioni e di tutti gli archivi, sia di negativi che di stampe fotografiche e di oggetti, riorganizzando i materiali per la conservazione a secondo delle tipologie (negativi pellicola-vetro, colore, stampe su carta, oggetti in astuccio, apparecchi fotografici, documenti, oggettistica) e delle condizioni di eventuale degrado, procedendo a una valutazione patrimoniale di tutte le collezioni. Nel contempo, già dagli anni Novanta si è proceduto all’allestimento delle nuove sale di conservazione dei positivi e dei negativi, secondo le più attuali norme di conservazione. Sempre negli stessi anni è stato messo a punto il sistema catalografico informatizzato, realizzato in collaborazione con l’Università di Firenze per la classificazione iconografica e con l’Università di Venezia per la scheda catalografica, il tutto verificato dall’allora direttore dell’ICCD, l’architetto Polichetti. L’esperienza e la cultura fotografica, ultracentenaria, di Alinari ha consentito di possedere una profonda conoscenza dei materiali fotografici e di come organizzarli, conservarli, restaurarli, digitalizzarli e catalogarli, grazie alle attività di ricerca del Museo Nazionale Alinari della Fotografia, la Biblioteca e la produzione editoriale di Alinari, nonché il programma formativo dei laboratori didattici e dei corsi, questi ultimi organizzati in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze con cui Alinari ha istituito nel 1998 il Laboratorio di restauro della fotografia. 2 T. Campt, Image Matters: Archive, Photograpy, and the African Diaspora in Europe, Duke University Press, Durham 2012, p. 135. 3 The Archive as Project – the Poetics and Politics of the (Photo) Archive, a cura di K. Pijarski, atti del convegno Archiwum jako projekt – poetyka i polityka (foto)archiwum, Varsavia, 13-14 Maggio 2011, Archeologia fotografii, Varsavia 2011. 4 H. Van Gelder-H.Westgeest, Photography between poetry and politics: the critical position of the photographic medium in contemporary art, Leuven University Press, Leuven 2008.
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Tutte queste attività e il lavoro di ordinamento, classificazione e catalogazione hanno consentito di scoprire nel tempo nuove potenzialità dell’archivio, dai fondi storici alle acquisizioni più recenti, formulando attraverso le immagini di Alinari una nuova lettura della nostra memoria storica proiettata nel contemporaneo5. Potenzialità che ha avuto espressione in pubblicazioni scientifiche e mostre fotografiche, progetti multimediali e siti web, come quello sulla storia d’Italia realizzato nel 2011 in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, in collaborazione con IULM e Università degli Studi di Milano e con il contributo della Fondazione Cariplo. Il lavoro di ricerca e di catalogo ha consentito di poter illustrare attraverso le fotografie degli archivi custoditi da Alinari la storia del nostro Paese nella politica, nel paesaggio, nell’architettura, nella vita quotidiana, nell’arte e nella scienza6. Tra il 2013 e il 2014 è stata portata avanti una ricerca sull’identificazione dei fondi con fotografie industriali. La ricerca, curata da Sara Romano, ha prodotto un censimento, continuamente in progress, che ha verificato la presenza e la consistenza di fotografie industriali in archivi diversi, soprattutto nel periodo tra i primi del Novecento e gli anni Sessanta. Le fotografie di argomento industriale interessano soggetti diversi, ritratti, gruppi di lavoratori, impiegati, industriali, famiglie, scuole, fasi della lavorazione e ambienti di lavoro, macchine, prodotti, pubblicità, still-life. Già Alinari aveva prodotto fin dalla fine Ottocento campagne fotografiche di grande formato (con negativi su lastra di vetro 21x27) sulle aziende italiane come la distilleria Ingham a Marsala 1897, la Manifattura Tabacchi (1901), la Richard Ginori (1902-1930), l’officina automobilistica 5 Sull’argomento si veda la bibliografia citata in E. Sesti, L’archivio, la fotografia, le immagini, in Di chi sono le immagini nel mondo delle immagini?, a cura di Gloria Bianchino, “Nuovi quaderni dello CSAC”, Skira, Milano 2013, pp.121-126; ID., La Fotografia e l’Archivio, in Fotografia d’Architettura 1893-1940. I monumenti della Valtellina nelle fotografie storiche dell’Archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano, a cura di L. Papa e L. Corrieri, Atti del Convegno Teglio 29 settembre 2012, Reprofoto, Milano 2013, pp. 11-16; ID., Photoarchive: Photography, Memory and Creative Impulse for Art, in Uncommon Culture, vol. 5, 1/2, “Photography”, a cura di M. Siwinska, Graffitibc, Torun (Polonia) 2015, pp. 13-19. 6 www.150storiaditalia.it
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Florentia (1905), la Luxardo (1910-1912), le Officine Galileo (1917), la Conceria Pedani (1920), la Società Elettrica Valdarno (1928), la Buitoni e la Perugina (1928-1929), lo Stabilimento farmaceutico Molteni (1929), Ferragamo (1937).7 Tra le 8.000 immagini dell’archivio di Vincenzo Aragozzini (Milano 1891-1975), compaiono i nomi della Montecatini, la Snia Viscosa, la G.C.S. di Monza, la Campari Soda di Milano. Lo studio Betti Borra di Livorno (Luigi Betti 1881-1941, Giuseppe Borra 1905-1987) annovera i Cantieri navali di Livorno, mentre i Pozzar (Ruggero, Arduino, Geri, attivi a Trieste dai primi del Novecento fino agli anni Ottanta) registrano i cantieri di Trieste (i CRDA, Cantieri Riuniti dell’Adriatico), Ferruzzi (presente a Venezia tra il 1920 e il 1980) i cantieri di Venezia. Anche i Wulz di Trieste (Giuseppe, Carlo, Wanda e Marion) 8 nel loro repertorio annoverano fotografie di industria come la Compagnia Generale di Elettricità, gli Oleifici e la fabbrica di automobili Alba di Zaule, la fabbrica di saponi Francesco Giarini, le officine Cosovel. Le Distillerie Stock di Trieste saranno invece ben fotografate da Pozzar negli anni ’60-’70 con tutto il campionario di prodotti e oggetti9 ; sempre nell’archivio Pozzar compaiono lo Stabilimento della Raffineria Aquila (poi Total), gli Stabilimenti Dreher, Fissan, Variola, le imprese Rostirolla, l’A.C.E.G.A.T, le Case Popolari. Un altro interessante fondo di soggetto industriale è rappresentato dall’archivio fotografico della Ferrobeton SpA, impresa edile italiana fondata nel 1908 dal marchese Carlo Feltrinelli, padre di Giangiacomo Feltrinelli, tra le più importanti società di progettazione e di costruzione italiane, che ha realizzato la prima Metropolitana di Milano, i bacini di carenaggio dei porti di Napoli e di Genova, la Torre Velasca di Milano, il Grattacielo dei Mille a Catania. Tra le varie aziende liguri fotografate
sono la Piaggio di Genova Sestri, l’Ilva, l’Impianto siderurgico Cokeria (S.I.A.C. Genova). La maggior parte delle fotografie sono state realizzate, a opera di fotografi diversi, tra il 1930 e il 1960. L’industria dei trasporti si trova ancora ben rappresentata nella collezione Giuseppe Moriondo (anni ’30-’60) e in particolare Fiat, Lancia, Alfa Romeo, Isotta, Bianchi, Ansaldo, Caproni. Non trascurabile è l’archivio Fernando Pasta, fotografo milanese operante tra gli anni ’30-’50 con interessanti lavori industriali, tra cui le Cartiere Burgo a San Mauro Torinese, l’industria Farmaceutica Roche di Monza, il Caseificio Invernizzi di Melzo, le lavorazioni artigianali delle vetrerie di Murano, i cantieri veneziani. Anche il fiorentino Vincenzo Balocchi, direttore allo Stabilimento Alinari ed esponente del gruppo “La Bussola” e della fotografia italiana modernista, nel suo archivio di fotografo amatoriale ha ripreso situazioni industriali come le ciminiere e gli impianti della centrale geotermica di Larderello, i porti e i cantieri navali, i tralicci della corrente elettrica, i telai delle officine: il soggetto industriale diventa con Balocchi un pretesto per soluzioni moderniste, dettagli, ricerche formali e astratte. L’archivio di Italo Zannier fotografo, presente negli Archivi Alinari, ha indagato, tra la metà degli anni Cinquanta e tutti gli anni Sessanta, la Rex di Pordenone e di Padova, le cave di Trieste e in Sicilia, l’Alfa Romeo di Arese, i mobilifici friulani, le vetrerie di Murano.
9 Pozzar. Una dinastia di fotografi a Trieste, a cura di I. Zannier e S. Weber, Alinari, Firenze 1996.
Il maggior bacino di fotografie di industrie è rappresentato dall’Archivio Villani, il più grande archivio fotografico industriale in Italia operante tra gli anni Venti e Ottanta e il cui ingresso negli Archivi Alinari risale al 1988: la committenza industriale era infatti prevalente per Achille e Vittorio Villani ma non l’unica, in considerazione del fatto che i Villani sono stati anche affermati fotografi di ritratti, opere d’arte, pubblicità, vedute e cronaca. Il censimento delle industrie italiane prodotto dai Villani durante il Novecento è veramente impressionante, si possono contare almeno 7.000 aziende fotografate, dalle piccolissime alle medie e alle grandi industrie bolognesi, emiliane e italiane. Nel caso di Villani, come peraltro nella maggior parte degli archivi fotografici organizzati, i negativi risultano essere divisi per supporti (vetro e pellicola) e formati, pertanto la ricerca ha inteso dover scandagliare tutte le sezioni dell’archivio e scoprire quindi servizi fotografici non solo di periodi diversi ma anche di soggetti
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7 Alinari ha trattato di fotografia d’industria in diverse pubblicazioni a partire da Industrie fiorentine tra ’800 e ’900, Alinari, Firenze 1982; La fabbrica delle immagini. L’industria italiana nelle fotografie d’autore, a cura di Cesare Colombo, Firenze, Alinari 1988. Dolce Italia. Storia, immagine, protagonisti dell’industria dolciaria italiana, a cura di M. Schiaffino, Alinari, Firenze 2006; Cento anni di imprese per l’Italia, a cura di C. Colombo, G. Calvenzi, L. Pratesi, Alinari24Ore, Firenze 2010. 8 La Trieste dei Wulz. Volti di una storia. Fotografia 1860-1980, a cura di E. Guagnini e I. Zannier, Alinari, Firenze 1989.
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diversi, talvolta riferiti alla produzione industriale (i settori di produzione, gli ambienti, le fasi di lavoro, le attrezzature, l’uomo al lavoro, i prodotti e i campionari) talvolta alle attività di cronaca come le inaugurazioni, le visite ufficiali, le mostre, le fiere. Il lavoro di ricerca operato negli Archivi ha prodotto a Bologna, alla fine del 2014, una mostra retrospettiva del lavoro dei Villani, con particolare riferimento alla produzione industriale10. La ricostruzione dell’archivio e del lavoro dei Villani è di fatto stata complessa, considerando che l’archivio si trova conservato tra gli Archivi Alinari (si tratta della maggior parte dell’archivio, fra l’altro notificato dal Ministero dei Beni Culturali), il Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma, l’Archivio Fotografico della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna, la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Dal lavoro di ricerca portato avanti sia da un punto di vista della storia della fotografia sia della storia dell’industria italiana, è emersa una documentazione inesauribile sull’industria, sia bolognese-emiliana, che italiana, dalle piccole e medie imprese alle grandi aziende di tutti i settori, alimentare (Alemagna, Motta), distillerie (Fabbri, Buton), metallurgica (Società Metallurgica Italiana), meccanica (Compagnia Generale di Elettromeccanica, Weber, Sabiem, SAMP, SIMA, Farmomac G. D Gruppo Coesia), dei trasporti (Caproni, Piaggio, Ferrari, Innocenti, Ducati), ILVA, SNIA Viscosa, arredamento (Permaflex, Anonima Castelli), abbigliamento (Omsa), editoriale (Il Resto del Carlino, l’Avvenire, Zanichelli). Il lavoro di ricerca in archivio continua, con nuove sorprese e nuove scoperte che apriranno nuovi orizzonti.
10 Lo Studio Villani di Bologna. Il più grande atelier fotografico italiano del XX secolo tra industria, arte e storia, a cura di T. Menzani, S. Romano, E. Sesti, V. Zamagni, Bologna, Il Resto del Carlino 2014. La mostra è stata presentata al Museo del Patrimonio Industriale di Bologna promotore dell’iniziativa assieme ad Alinari e Unindustria.
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Camera e gli archivi fotografici Lorenza Bravetta Direttore di Camera. Centro italiano per la fotografia
Camera si impegnerà nella valorizzazione del patrimonio archivistico fotografico italiano attraverso diverse attività, fra cui lo studio inventariale, il riordino, la catalogazione, il condizionamento, il restauro, la digitalizzazione, la metadatazione e la realizzazione di mostre e pubblicazioni su materiali provenienti da fondi pubblici e privati. Ambito principale di intervento di Camera sarà la ricerca e la valorizzazione degli archivi fotografici dei professionisti che hanno fatto la storia della fotografia italiana fino dalle sue origini, documentando i cambiamenti sociali ed economici del paese. L’attività dei professionisti della fotografia non è ancora stata oggetto di sistematico censimento in Italia. Camera intende quindi farsi carico di questo compito, con l’obiettivo di individuare fondi di valore sia storico che documentale e di censire gli archivi sulla base di criteri scientifici. Camera promuoverà inoltre la diffusione del software ontologico Abacvm, modello concettuale e catalografico di avanzata impronta tecnologica e semantica, al fine di realizzare una piattaforma condivisa da tutti i soggetti che vorranno aderire per costituire un database della fotografia italiana.
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Tempo ritrovato – Fotografie da non perdere Lucia Miodini Centro Studi e Archivio della Comunicazione Università degli Studi di Parma
Il premio Tempo ritrovato – Fotografie da non perdere è un progetto che intende valorizzare e salvaguardare gli archivi fotografici privati, dando un’adeguata fruibilità a questo prezioso patrimonio, spesso esposto a rischi di dispersione e smembramento. I promotori e il comitato scientifico del premio, inaugurato nel 2013 e di durata triennale, hanno puntato l’attenzione sulla fotografia dal dopoguerra a oggi, dividendo idealmente le edizioni in tre decenni1. L’esperienza di questi primi due anni ha evidenziato la complessa situazione degli archivi privati, il numero rilevante e l’ampia diffusione geografica sul territorio nazionale; il materiale raccolto può essere considerato il primo nucleo di un’auspicabile opera di censimento e schedatura dei fondi conservati negli archivi privati a integrazione del repertorio di quelli pubblici. Il problema della tutela delle opere fotografiche, ma anche della loro gestione e diffusione, è particolarmente sentito dalle istituzioni pubbliche, come musei, archivi e biblioteche, ma andrebbe integrato con una mappatura degli archivi fotografici privati presenti nel nostro paese. L’esigenza di raccordo e comunicazione tra le varie realtà territoriali, pubbliche e private, che conservano o gestiscono patrimoni, è una necessità sentita alla quale varie iniziative cercano di dare risposta. “Conservare i frammenti della nostra vita consegnandoli alla storia”, 1 Il Premio Tempo ritrovato – Fotografie da non perdere ideato nel 2013 da Io donna, il femminile del Corriere della Sera con il supporto di Eberhard & C, è organizzato in collaborazione con MIA Fair e patrocinato dalla Regione Lombardia in collaborazione con il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e consiste in un fondo vincolato a supportare i costi degli interventi necessari all’inventariazione, catalogazione, digitalizzazione, conservazione e restauro dell’archivio vincitore. Il Comitato Scientifico è composto da Fabio Castelli (MIA Fair), Renata Ferri (Io donna-Corriere della Sera), Laura Gasparini (Fototeca della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia), Lucia Miodini (Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Università degli Studi di Parma), Roberta Valtorta (Museo di fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo). La prima edizione, riservata agli anni Cinquanta, ha visto il riconoscimento assegnato all’archivio Federico Garolla (Napoli 1925-Milano, 2012). Il premio della seconda edizione, riservata agli archivi con lavori realizzati durante gli anni ’60, è stato assegnato a Tranquillo Casiraghi (Sesto San Giovanni, 1923-2005).
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leggiamo nella comunicazione del Premio. L’accento è posto, dunque, sulla funzione della fotografia come efficace e potente strumento per la formazione della nostra memoria collettiva, e anche il convegno La Memoria della Fotografia, organizzato da Fondazione Forma per la Fotografia, in cui il presente intervento è stato presentato, va in questa direzione2. La fotografia è uno strumento d’indagine e conoscenza del paesaggio, dei luoghi, delle persone, indispensabile per interrogarsi sugli aspetti del contemporaneo, connessi intrinsecamente alla rapidità dei processi di trasformazione politica, sociale, economica, culturale che viviamo. Alla fotografia va riconosciuta la capacità di rilevare relazioni inattese, dotare il nostro sguardo di maggior consapevolezza. Il Premio è un’occasione per riflettere sulla funzione che il nostro patrimonio fotografico ha nella formazione della coscienza critica delle nuove generazione e nella trasmissione della memoria culturale a tutti i livelli. Nel nostro Paese si comincia a parlare di fotografia come bene culturale, e quindi come materiale da conservare, nel 19793; dagli anni Ottanta, poi, si affermano parallelamente l’esigenza di conservare le immagini del territorio in rapida trasformazione e la necessità di salvare interi archivi fotografici privati e pubblici dalla distruzione; è nello stesso decennio che l’IBC intraprende una vasta attività di ricerca sulle metodologie di conservazione e restauro dei materiali fotografici4. Andrea Emiliani in un saggio del 1992 intitolato L’archivio totale della città avverte: “L’enorme avvolgente sapore dell’archivio totale, del vissuto collettivo che emana 2 Vorrei ricordare anche la tavola rotonda Costruire, comunicare, interpretare l’archivio, a cura di Lucia Miodini, SI FEST 21, Savignano sul Rubicone, 16 settembre 2012, interventi di Leonardo Sonnoli, docente e grafico; Leonardo Romei, semiologo e docente; Patrizia Piccini, Elena Piccini, Fabrizio Urettini della Fototeca Storica Ando Gilardi; Paola Sobrero dell’Archivio Savignano immagini; Giuseppina Benassati dell’IBC, Istituto Beni Culturali; Antonio Maraldi del Centro Cinema di Cesena. 3 La fotografia come bene culturale è il convegno organizzato dall’IBC nel 1979 in collaborazione con il comune di Modena. Come sottolineano Riccardo Vlahov e Luisa Masetti Bitelli la fotografia considerata come strumento operativo è parte costituente le radici dell’IBC, vedi A proposito di conservazione al convegno Conservare il Novecento. La fotografia specchio del secolo, atti del Convegno nazionale, Ferrara, Salone internazionale dell’arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 4 aprile 2003, a cura di Giuliana Zagra, Roma 2004.
dalla fotografia storica, non è ancora riuscito a invadere adeguatamente la nozione di memoria positiva, e sembra piuttosto limitarsi, ogni volta, al ricordo di costume e alla citazione personale. La grande divulgazione della fotografia, insomma, anziché imporsi come il primo, gigantesco archivio della società moderna, ha finito per agevolare l’uso personale e intimistico dell’informazione. Questo grande strumento non possiede ancora la potenza evocativa del documento archivistico e storico tradizionale”5. Quelli ricordati sono momenti di un dibattito intenso, ancora in corso, limitato tuttavia agli specialisti (archivisti, curatori e studiosi di fotografia). Da allora molte cose sono cambiate. Vi è maggiore consapevolezza dell’importanza che “la memoria della fotografia” ha nella formazione della nostra coscienza critica. Per comprendere l’ambito entro il quale il Premio è nato credo si debbano interrogare in primo luogo le nuove pratiche di archiviazione e distribuzione delle immagini. La centralità che il tema dell’archivio ha assunto nell’ultimo decennio, interessando un pubblico e un ambito più vasto, merita di essere interpretata. La prima domanda da porsi è: quanto muta la forma e la nozione di archivio con l’avvento delle tecnologie digitali e della rete? E, soprattutto, quanto diversa è la fruizione delle immagini distribuite attraverso la rete? Si parla sempre più di archivio, spesso in modo superficiale. Se ne parla quando gli autori utilizzano materiale trovato, pescando immagini nella rete o recuperando fotografie da vecchi archivi, dimenticando che questa pratica affonda le sue radici nella produzione fotografica delle avanguardie storiche, dai dadaisti berlinesi ai fotomonteur costruttivisti. Qual è, però, la caratteristica della nostra epoca? Molti fotografi contemporanei si avvalgono per i loro progetti di materiale esistente trovato in archivi privati o pubblici, come pure prelevato da siti internet e social network. Dal nuovo secolo, inoltre, l’interesse per il tema dell’archivio non resta più confinato nell’ambito della ricerca artistica. Da un lato assistiamo alla centralità del fotografico nella vita quotidiana e alla diffusione della fotografia autoprodotta con diversi apparecchi di ripresa dallo smartphone all’iPad6, dall’altro alla diffusione di pratiche di condivisione delle 5 Si veda A. Emiliani, L’archivio totale della città, in Fotografia & Fotografi a Bologna 18391900, a cura di Giuseppina Benassati, Angela Tromellini, Grafis, Casalecchio di Reno 1992.
4 Si veda La fotografia. Tecniche di conservazione e problemi di restauro, a cura di Luisa Masetti Bitelli e Riccardo Vlahov, Analisi, Bologna 1987.
6 Sul processo di diffusione della fotografia 2.0 nella vita quotidiana si sofferma Luigi Gariglio, Fotografia 2.0? Uno sguardo sociologico, in Gli archivi fotografici delle fondazioni: gestione e valorizzazione, atti del workshop, 25-26 febbraio 2011, Città Studi - Biella, pp. 26-30.
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immagini in rete che hanno reso popolare il tema dell’archivio presso un vasto pubblico. I progetti di archiviazione e i database, vere e proprie forme culturali di organizzazione della conoscenza, hanno avuto senza dubbio un peso decisivo nell’affermarsi di questo interesse generalizzato. I sistemi e dispositivi per l’immagazzinamento delle immagini nel Personal Computer e nello smartphone e, contemporaneamente, la popolarizzazione della fotografia hanno avuto come conseguenza la diffusione delle pratiche di archiviazione. La differenza sta proprio qui: nella diffusione del trattamento delle raccolte fotografiche che non riguarda più soltanto l’ambito specialistico degli archivisti ma interessa il pubblico dei nuovi media che acquisisce l’abitudine alla memoria informatica. L’utente dell’archivio ha cambiato fisionomia, nella vita quotidiana si confronta con sistemi più complessi di distribuzione e fruizione delle immagini. È questo il pubblico che partecipa a convegni come questo: a muovere l’interesse degli appassionati di fotografia è l’archiviazione come modello di gestione e produzione della memoria. Se pensiamo all’archivio nella sua accezione storica, evidentemente esso mostra il suo legame originario con le diverse pratiche di ordinamento del potere politico. Centrale è dunque il tema della memoria, da cui consegue il rapporto, non sempre armonico, tra selezione e oblio. L’archivio, come rileva Arturo Carlo Quintavalle, è tanto il luogo della memoria quanto il luogo dell’oblio7, mettendo l’accento sull’importanza delle metodologie di archiviazione dei dati e della struttura degli archivi rispetto alla questione della memoria e dell’oblio. Interconnessioni che stanno assumendo una diversa fisionomia. I nuovi media, rileva Bettetini, sono più instabili nella capacità di mantenere i ricordi: dimenticano, ma a caso8. Tempo ritrovato – Fotografie da non perdere è un progetto che deve molto alla riflessione dei promotori sui nuovi media. Perché preoccuparsi di tutelare un archivio fotografico privato e non accontentarsi invece delle immagini a portata di click, disponibili sulla rete? Perché il documento archivistico è un sistema di fonti di cui possiamo ricostruire la storia e, salvando un archivio dalla dispersione, è la materialità di questo complesso sistema che manteniamo vivo. Ecco, una prima risposta. L’archi7 Si veda Arturo Carlo Quintavalle, Tempo dell’archivio, archivio del tempo, in Messa a fuoco. Studi sulla fotografia, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 25-52.
vio non è, infatti, un’entità astratta, bensì un dispositivo storicamente determinato9, indispensabile per comprenderne la costruzione e la metodologia della comunicazione per immagini; è uno strumento critico di cui dobbiamo capire i modelli di selezione e lo spessore temporale. Questa nozione di archivio deve molto agli storici francesi della scuola de Les Annales e alla speculazione filosofica avviata dagli studi culturali di Michel Foucault10. Per Jacques Derrida l’archivio culturale è uno spazio che ospita il rimosso di una cultura, il luogo in cui i suoi traumi di sono andati a depositare11. L’archivio è un modello culturale, storicamente determinato, che svolge un ruolo essenziale nelle dinamiche di attualizzazione e di latenza del sapere di un’epoca. Ne consegue che il patrimonio iconografico è attualizzato dalla nostra capacità di interpretare la fotografia come prodotto culturale e materiale della contemporaneità, avvalendoci di nuove metodologie di lettura. Salvare un archivio privato è un lavoro di riattualizzazione, interpretazione, trasformazione, recupero del senso sotteso ai quadri della memoria collettiva. Per questo parliamo di “tempo ritrovato” e forse per la stessa ragione il convegno di studi organizzato da Fondazione Forma per la Fotografia s’intitola La memoria della fotografia. Vorrei, pertanto, richiamare l’attenzione sulla nozione di memoria, interrogata, come pochi altri concetti in questi ultimi decenni, da studiosi di vari ambiti, contrastando però la tentazione di restituire forzate sintesi di quest’intenso dibattito critico, per soffermarmi invece sulla dialettica tra memoria vivente e la memoria-deposito. L’archivio è un deposito di memoria culturale, dove possiamo ritrovare strutture narrative, storie e personaggi rimasti in ombra12. La valorizzazione e tutela di questi depositi di memoria nella loro configurazione storica può altresì 9 Sulla nozione di archivio come dispositivo rimando a Leonardo Romei, La forma culturale dell’archivio nell’era digitale, Dottorato in Scienze della Comunicazione, XXI Ciclo, a.a. 2008-2009, Università La Sapienza Roma; sulla nozione di dispositivo si veda: Gilles Deleuze, Che cos’è un dispositivo, traduzione italiana della conferenza Paris 1988 di Antonella Moscati, Cronopio, Napoli 2007; Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo, Nottetempo, Roma 2006. 10 Mi riferisco in particolare a Michel Foucault, Archéologie du savoir (1969), trad. it. Archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971. 11 Vedi Jacques Derrida, Mal d’Archive. Une Impression Freudienne, Galilee, Paris 1995.
8 Vedi G. Bettetini, L’audiovisivo: dal cinema ai nuovi media, Bompiani, Milano 1996; anche Id. L’ulisse semiotico e le sirene informatiche, Bompiani, Milano 2007.
12 Si veda in particolare Alida Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, (1999) trad. it. Il Mulino, Bologna 2002.
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aiutarci a dirimere questioni nodali del nostro tempo. Interpretando il materiale delle raccolte fotografiche potremo meglio comprendere il ruolo del fotografico nei processi di costruzione e produzione del nostro immaginario e della nostra memoria collettiva13.
13  Aspetti sui quali richiama la nostra attenzione Tiziana Serena, Il posto della fotografia (e dei calzini) nel villaggio della memoria iconica totale. Uno sguardo sulle raccolte fotografiche oggi, in Archivi fotografici italiani on-line, atti del seminario, a cura di Gabriella Guerci, organizzato dal Museo della Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo in collaborazione con il Ministero per i Beni e le AttivitĂ Culturali/Archivio Fotografico della Soprintendenza PSAE di Bologna, maggio 2006.
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Profili giurici relativi alla costituzione di archivi fotografici. In Italia e negli Stati Uniti d’America Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti. (Jorge Luis Borges)
Gianluca Morretta Avvocato
Cogliere l’attimo e conservarlo, per sempre. Imprimerlo su un supporto, perché divenga parte di una memoria collettiva. Questo, è forse il fine ultimo della fotografia. Ma se, per dirla con Adorno, “il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine”, altrettanto importante è che l’ordine organizzi il caos, l’arte, una vita spesa per la fotografia, al fine di creare una memoria che sia davvero collettiva. A tale scopo un archivio fotografico. Certo, bilanciando i rispettivi diritti: da una parte quelli del fotografo, dall’altra quelli del costitutore dell’archivio. Questo è appunto lo scopo del presente contributo, cercare di mappare le rispettive prerogative per poi tentare una sintesi, non sempre facile, ma certamente necessaria. Con un’ottica che vada oltre i confini nazionali, e anzi europei, e getti uno sguardo anche oltreoceano per evidenziare similarità e differenze tra le diverse normative. A tale scopo, sarà innanzitutto importante capire i diversi regimi di tutela delle fotografie, quali possono dirsi arte e quali invece “normali scatti”. Altrettanto utile sarà la comprensione di cosa giuridicamente si intenda per archivio fotografico, per scoprire che è assimilabile a una banca dati e proteggibile come tale. Infine, possibili soluzioni e proposte di sintesi per evitare che i diversi diritti del fotografo e del costitutore dell’archivio diventino motivo di scontro, di vertenze spesso inutili e scongiurabili. Questo il senso del presente contributo, che spero aiuti a far luce dal punto di vista giuridico sulle diverse questioni legate alla creazione di un archivio fotografico, con l’obbiettivo ultimo di alimentare la memoria collettiva.
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Inquadramento
Tutela della banca dati – La doppia tutela
Archiviazione
Tutela banca dati – Tutela c.d. “sui generis” – Tutela secondo il diritto d’autore
Scelta, raccolta e organizzazione di dati, informazioni ed elementi che possono anche costituire opere dell’ingegno
Tutela della banca dati c.d. “sui generis”
Banca dati Definizione Banca dati – Direttiva Comunitaria 96/9 (Art. 1.2) – Legge Diritto d’Autore (Art. 2.9): “raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo” Tipologie di banche dati Banca Dati che raccoglie e organizza dati e informazioni di per sé sprovvisti autonoma tutela – Tutela relativa alla creazione/costituzione della banca dati Banca Dati che raccoglie e organizza elementi che costituiscono opere dell’ingegno – Tutela relativa alla creazione/costituzione della banca dati – Tutela delle opere dell’ingegno organizzate nella banca dati Tutela banche dati in Italia (Contesto Normativo) DIRETTIVA COMUNITARIA 96/6/CE In Italia attuata attraverso il D.L. 169/99 Disciplina introdotta allinterno della Legge sul Diritto dAutore (Legge n. 633 del 22.4.1942) Disciplina sostanzialmente uguale in tutti gli Stati Membri
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Tutela accordata al costitutore della banca dati indipendentemente dalla “creatività” della banca dati – Costitutore è “chi effettua investimenti rilevanti per la costituzione della banca dati o per la sua verifica o la sua presentazione, impegnando, a tal fine, mezzi finanziari, tempo o lavoro” (art. 102 bis l.d.a.) Tutelato l’investimento relativo alla raccolta, verifica e presentazione dei dati e degli elementi che compongono la banca dati Diritti conferiti al costitutore della banca (15 anni dal suo completamento o dalla sua messa a disposizione del pubblico) vietare l’estrazione o il reimpiego della totalità o di una parte sostanziale della banca dati da parte di terzi a) Estrazione: trasferimento della totalità o di una parte sostanziale della banca dati su un altro supporto b) Reimpiego: qualsivoglia forma di messa a disposizione del pubblico della totalità o di una parte sostanziale della banca dati Tutela della banca dati secondo il diritto d’autore Tutela accordata alla struttura della banca dati Art.1.2 l.d.a. “Sono altresì protetti […] le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore” È necessario che la banca dati sia “creativa” ossia originale per quanto riguarda l’attività di selezione e/o organizzazione e/o coordinamento dei dati
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Diritti conferiti all’autore (70 anni dalla morte dell’autore) – Riproduzione totale o parziale – Traduzione, adattamento e modifica – Distribuzione – Presentazione, dimostrazione o comunicazione al pubblico Tutela della fotografia “C’è una grande differenza tra lo scattare una foto e fare una fotografia.” Robert Heinecken
– Trib. di Catania 24.11.2004 in AIDA 2006, 411 – Il Tribunale di Milano 9.11.2000 in AIDA 2002, 578 Il diritto dell’autore dell’opera fotografica dura 70 anni dalla morte dell’autore ed è duplice – Diritto morale: ossia di essere riconosciuto quale autore dell’opera inalienabile Diritti di sfruttamento economico: riproduzione, distribuzione, modificazione, trasmissione… alienabili Tutela della fotografia semplice
Tutela varia a seconda del tipo di fotografia – Opera fotografica – Fotografia semplice – Fotografie di scritti, documenti, carte d’affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili (Nessuna tutela) Tutela dell’opera fotografica “Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare: tre concetti che riassumono l’arte della fotografia.” Helmut Newton Tutela accordata dal diritto d’autore a “le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della fotografia sempre che non si tratti di una semplice fotografia” (art. 2.7 l.d.a.) “Opere fotografiche” = fotografie “artistiche” livello di creatività particolarmente elevato ovvero fotografie che per l’originalità dell’inquadratura, della prospettiva, della scelta dei colori, o per un particolare gioco di luci ed ombre vanno oltre la semplice riproduzione di un soggetto/oggetto o di un evento Non è semplice per un Giudice distinguere tra “opera fotografica” e “fotografia semplice” dato che, in mancanza di criteri di valutazione oggettivi e assoluti, si deve addentrare in considerazioni di carattere estetico
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Tutela accordata a “le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche” (art. 87 l.d.a.) Non è necessaria nessuna creatività La tutela accordata alle c.d. “fotografie semplici” dura vent’anni dalla data di produzione della fotografia. È quindi necessario indicare sulla fotografia stessa: a) Il nome del fotografo b) La data dell’anno di produzione della fotografia fotografia digitale speciali tecniche (es. watermarking) La tutela dura 20 anni dalla data di produzione della fotografia ed include: Diritti di sfruttamento economico: riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia (Art. 88 l.d.a.) Possibili contrasti tra i diritti del creatore/costitutore dell’archivio e quelli del fotografo Diritti del fotografo Diritti del creatore/ costitutore dell’archivio
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Si rendono necessari specifici accordi scritti che regolamentino il loro rapporto in modo tale da prevenire qualsiasi contrasto Contenuti dell’accordo
– Il creatore/costitutore dell’Archivio si può inoltre impegnare a promuovere la conoscenza del Fotografo tramite, ad esempio, la pubblicazione di monografie e/o l’organizzazione di mostre ed eventi Licenza dei diritti di sfruttamento economico (3)
Diritto morale Rimane in ogni caso di titolarità dell’autore Diritti di sfruttamento economico Possono essere concessi in licenza al creatore/costitutore dell’archivio Licenza dei diritti di sfruttamento economico (1) Fotografo Creatore / Costitutore dellArchivio – Il Fotografo concede al creatore/costitutore dell’Archivio i diritti di sfruttamento delle proprie opere (riproduzione, pubblicazione, distribuzione, commercializzazione, diffusione, ecc…) – Il Fotografo può scegliere di concedere in licenza tutte o solamente una parte delle proprie opere fotografiche – La licenza concessa al creatore/costitutore dell’Archivio ha generalmente una durata Licenza dei diritti di sfruttamento economico (2) Creatore / costitutore dell’Archivio Fotografo – Il creatore/costitutore dell’Archivio versa un corrispettivo al Fotografo che può essere (i) pre-determinato o (ii) corrispondente ad una percentuale dei proventi dello sfruttamento economico delle opere – Il creatore/costitutore dell’Archivio si impegna a costituire l’archivio, mettendo a disposizione spazi e competenze, nonché garantendo di custodire le opere e di stipulare un’adeguata polizza assicurativa
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Ulteriori possibili clausole – Al Fotografo può essere garantito il diritto di utilizzare le proprie opere per mostre personali – Al Fotografo può essere garantito il diritto di utilizzare le proprie opere per la pubblicazione di monografie e/o opere autobiografiche – Alcuni diritti di sfruttamento economico delle opere fotografiche (es. utilizzo a fini pubblicitari) possono essere esclusi dalla licenza e fatti oggetto di una separata contrattazione – Al Fotografo può essere garantito il diritto ad esprimere un parere vincolante e preventivo sulle iniziative del creatore/costitutore dell’Archivio relative allo sfruttamento delle sue opere Panoramica sul diritto degli Stati Uniti d’America Il Diritto U.S.A. si differenzia – Sotto il profilo del diritto del creatore dell’Archivio – Sotto il profilo dei diritti del Fotografo Le banche dati negli Stati Uniti d’America (1) Tutela secondo il Diritto d’Autore a 70 anni dalla morte del creatore Art. 17 US Code 101 “a collection and assembling of preexisting materials or of data that are selected in such a way that the resulting work as a whole constitutes an original work of authorship”
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È quindi necessario che la raccolta degli elementi che formano la Banca Dati sia connotata da un livello, anche minimo, di originalità Il “leading case” è Feist Publications, Inc. v. Rural Telephone Service (S.C. 1991) che nega la tutela del diritto d’autore a un elenco telefonico in quanto considerato come una raccolta di dati priva di alcuna originalità Non esiste nessuna tutela “sui generis” Vari tentativi di introdurre una tutela degli investimenti finalizzati alla costituzione di Banche Dati non proteggibili con il Diritto d’Autore (es. elenco telefonico) sono naufragati (da ultimo, Intellectual Property Antiopiracy Act del 1996) Le banche dati negli Stati Uniti d’America (2)
La tutela accordata dal Diritto d’Autore dura 70 dalla morte dell’autore e garantisce al Fotografo i seguenti diritti – Diritti di sfruttamento economico: riproduzione, distribuzione, pubblicazione, modificazione alienabile – Diritto morale: essere riconosciuto quale autore dell’opera inalienabile La tutela del fotografo negli Stati Uniti d’America (2) Caratteristiche diritto U.S.A. – Non esiste nessuna differenziazione tra “opera fotografica” e “fotografia semplice” – Molto importante la registrazione della fotografia presso lo U.S. Copyright Office (anche on-line) e l’apposizione del simbolo © utile per ottenere un risarcimento danni maggiore in caso di contenzioso
Comparazione U.S.A. / Italia USA ITALIA Diritto d’Autore SI SI Tutela “sui generis”
NO
SI
La tutela del fotografo negli Stati Uniti d’America (1) Tutela secondo il Diritto d’Autore 17 U.S. Code “original works of authorship fixed in any tangible medium of expression, now known or later developed, from which they can be perceived, reproduced, or otherwise communicated, either directly or with the aid of a machine or device.” Le fotografie sono incluse nei c.d. works of autorship Negli Stati Uniti è quindi necessario che le fotografie, per essere tutelate dal Diritto d’Autore, debbano avere un minimo livello di creatività Il livello di creatività richiesto è molto più basso rispetto a quello richiesto in Italia
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– Durata della protezione (ora di 70 anni dalla morte dell’autore) dipende tuttavia da quando è stata scattata/pubblicata/registrata la fotografia La tutela del fotografo negli Stati Uniti d’America (3) Periodo opere
Modalità di accesso alla protezione
Durata protezione
1978- oggi
Creazione di “original work fixed in a tangible medium of expression”
– 70 anni dalla morte dell’autore – 95 anni da pubblicazione (o 120 anni da creazione) per lavori anonimi, sotto pseudonimi, o in esecuzione di contratti
1964-1977
Pubblicazione con indicazione © o registrazione (se non pubblicata)
28 anni dalla pubblicazione + 67 di rinnovo (automatico)
1923-1963
Pubblicazione con indicazione © o registrazione (se non pubblicata)
28 anni dalla pubblicazione + 67 di rinnovo (non automatico se non c’è rinnovo cadono nel pubblico dominio)
Prima 1923
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No protezione pubblico dominio
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Archivio come tutela della memoria “Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia.” Robert Doisneau
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La fotografia: un affare di stato. L’esempio della Francia Un promemoria per nuove riflessioni Alessandra Mauro Direttore editoriale di Contrasto e direttore artistico di Fondazione Forma per la Fotografia
L’assenza di un Centro Nazionale dedicato alla fotografia è una lacuna specifica dell’Italia da sempre, soprattutto se comparata alla esperienza di altri paesi europei. Questa scarsa attenzione per la fotografia deriva storicamente nel nostro Paese dalla presenza di un patrimonio artistico storico che non ha paragoni in altre nazioni del mondo. Ma anche da un atteggiamento di limitata attenzione intellettuale verso questo linguaggio che non solo ha cambiato radicalmente la storia dell’arte degli ultimi due secoli, ma detiene tuttora il privilegio di un rapporto inscindibile con la realtà che lo rende il linguaggio contemporaneo più amato dalle giovani generazioni. Il divario culturale da colmare, quindi, è importante e profondo e richiede un’azione urgente, anche a salvaguardia del lavoro dei più grandi maestri della fotografia, su cui ci si dovrebbe impegnare in un’opera di divulgazione internazionale più marcata e i cui archivi dovrebbero avere un luogo adeguato per la conservazione. Al tempo stesso, bisognerebbe adoperarsi per conservare e collezionare ciò che è stato realizzato in Italia dai grandi fotografi di tutto il mondo; i grandi nomi che hanno scelto il nostro Paese come luogo privilegiato per le loro creazioni fotografiche. In questo senso è molto utile far riferimento all’esperienza francese, dove – a livello statale – coesistono varie realtà, tra un Centro Nazionale della Fotografia e il Patrimonio, che dialogano e collaborano. In sintesi, è negli anni Settanta che, in Francia, avviene un cambiamento importante e cruciale, quando il nome di alcuni fotografi fa crescere il valore della fotografia, considerata da ora in poi parte del patrimonio culturale generale. Fino a quel momento, la fotografia era solo un oggetto di consumo, a volte con una funzione quasi di illustrazione o poco più e, del resto, anche Malraux, nonostante usasse la fotografia nel suo Museo Immaginario, non la elevò mai al rango delle altre arti. Michel Guy, segretario di Stato, annuncia nel 1975 la creazione, prevista
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per il primo gennaio 1976, di un Centre National de la Photographie che deve riconoscere la pratica individuale degli amatori, il valore artistico proprio del mezzo e la sua influenza sulle arti plastiche. Il progetto si concretizza nel settembre 1978 quando a Lione, nel castello Lumière, sotto la presidenza di Raymond Barre come primo ministro, viene creata la Fondation Nationale de la Photographie, un luogo di incontri e di azione intorno alla fotografia. Questa creazione non corrisponde affatto alle esigenze e alle ambizioni che nel 1975 erano state espresse e che, in effetti, avevano portato solo alla creazione dei Rencontres d’Arles. In ogni caso, quindi, è in questo periodo che si delinea una politica culturale in materia fotografica, pur senza una linea direttrice chiara. Certo, nel passato, la fotografia era già stata collezionata, anche se ufficialmente in modo centralizzato solo dalla Bibliothèque Nationale, mentre due istituzioni cominciano, ora, a occuparsene: Il Musée d’Orsay (creato nel 1978) e il Musée National d’Art Moderne collocato all’interno del Centre Pompidou: entrambe le istituzioni avranno un dipartimento di fotografia. In entrambi i casi, si tratta di raccogliere e valorizzare le fotografie non solo come testimonianze e documenti ma in quanto opere. Nel 1976, e per la prima volta in Francia, una parte del fondo destinato al cinema viene spostato sulla fotografia per organizzare un servizio fotografico che poi nel 1980 si scinderà in due parti amministrative: una sezione più votata alla conservazione del patrimonio e un’altra alla creazione artistica. In questi stessi anni, si comincia anche a ragionare sulle collezioni fotografiche e sulla loro valorizzazione: nel 1979 viene fondata l’Association J-H Lartigue e lo Stato deve quindi trovare modi e strumenti per affrontare questa parte del suo patrimonio. Nel 1975, una missione di studi aveva cercato di tracciare le soluzioni di una gestione delle collezioni fotografiche proprie di tutti i servizi del ministero della Cultura. Nel frattempo, venivano condotte una serie di azioni patrimoniali, convergenti verso il riconoscimento della qualità dei fondi fotografici. La mostra Une invention du XIX siècle, realizzata alla Bibliothèque Nationale con i fondi della Société Française de Photographie (1976), poi la mostra Regards sur la photographie en France au XIX siècle (Petit Palais, 1980), segnano la consapevolezza del patrimonio fotografico della Bibliothèque Nationale all’interno del dispositivo patrimoniale francese.
Parallelamente, nel 1978 nasce Paris Audiovisuel, a opera del Comune di Parigi, che si impegna anche a creare un festival, le Mois de la Photo (prima edizione 1980), con l’intento di raggruppare tutte le istituzioni, le gallerie, i singoli, ecc., che nella città si occupano di fotografia.
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Nel 1981 la sinistra va al governo: è chiara la volontà del Ministero di investire sulla fotografia come uno dei nuovi linguaggi da mettere in campo e su cui lavorare e far lavorare la parte giovane della società. Viene inaugurata una sezione del ministero ribattezzata Mission du Patrimoine Photographique. La Mission è incaricata anche di seguire le questioni professionali e giuridiche dei fotografi, così come tutte le possibili azioni in favore della fotografia. Per il Ministero, la legittimazione di una Missione fotografica deve passare per la creazione di un’istituzione. Così, nel 1982 nasce il Centre National de la Photographie (CNP), principale organismo fotografico della politica del Ministero. Il CNP nasce sull’idea, o meglio su modello dell’International Center of Photography di New York, anche se l’ICP è in realtà privato. Robert Delpire viene chiamato da Jack Lang (il Ministro a cui si deve il grande impulso dato alla fotografia dallo stato francese) a dirigere il CNP che svolge una triplice azione: – esposizioni; – aiuto alla nuova creazione e alla produzione di audiovisivi; – attività editoriale dinamica, rappresentata soprattutto dalla creazione della collezione Photo Poche, poi tradotta in tutto il mondo a cominciare dall’Italia. La vocazione del CNP è di rivolgersi al grande pubblico con azioni culturali ad ampio raggio e di spiccato valore pedagogico per far comprendere, conoscere e amare la fotografia come linguaggio della contemporaneità. Lo sforzo è quello di valorizzare tutti gli aspetti della fotografia, compreso il reportage. Il CNP viene dotato di un grande spazio espositivo al Palais de Tokyo (1984), di cui approfitta anche la Mission du Patrimoine Photographique (1985) che ha un’impronta, invece, diretta alla conservazione dei patrimoni dei grandi autori, cominciando da Jacques-Henri Lartigue.
La memoria della fotografia
Convegno di studi Milano, Frigoriferi Milanesi
Le due principali istituzioni che per lo Stato lavorano nella fotografia, quindi, si ritrovano in uno stesso luogo che, a quel tempo, viene presentato come il più grande al mondo consacrato alla fotografia e che testimonia una politica tesa al riconoscimento generale del medium fotografico. Nel 1983, la prima manifestazione organizzata dal CNP consiste nell’esporre i vincitori del premio Moins Trente, per mostrare l’attività dei giovani fotografi. Una sorta d’istituzionalizzazione, da un lato, di aiuto alla creazione e alla diffusione dall’altro, che consolida il lavoro del CNP e testimonia il rapporto stretto tra fotoreporter-autore e artista-autore che questo Centro propone come uno dei percorsi guida. Al punto che, la prima mostra del CNP nel 1984 si intitolerà Contiguïtés, de la photographie à la peinture e, in un luogo spazioso e bello come il Palais de Tokyo, intende mostrare un “panorama des diverses modalités d’intervention de la photographie dans les arts plastiques depuis une vingtaine d’années”. Bisogna considerare, ancora, che a partire dal 1984 il CNP produce anche la serie di film Contacts: cortometraggi (13 minuti) nati da una idea di William Klein in cui i fotografi mostrano e commentano i propri provini a contatto. Sono gli anni della Mission de la Datar, lanciata nel 1984 e in parte è finanziata dal Ministero della Cultura. In questo modo, la politica del Ministero afferma la legittimazione artistica del mezzo stesso. Non solo, si modifica anche la legge sul diritto d’autore e assimila ufficialmente la fotografia alle opere d’arte: i fotografi possono avere accesso a una serie di possibili aiuti concessi fino a quel momento agli artisti plastici (fine anni Ottanta e Novanta). Una seconda ondata, nel 1989, epoca del secondo ministero Lang, doveva legarsi alle celebrazioni del 150enario della creazione della fotografia. Nel 1989 una conferenza stampa diventa l’occasione per un bilancio di quanto fatto fino a quel momento e di quanto ancora da fare e soprattutto, rende evidente la grande centralità parigina in questo settore. Quattro mostre celebrano l’anniversario senza avere uno spirito commemorativo: 1839 – la photographie révélée, agli Archives Nationales, Histoire de voir al Centre National de la Photographie, L’invention du regard al Musée d’Orsay e L’invention d’un art al Musée National d’Art Moderne. Si tratta di un movimento anche mediatico, che cerca di mettere sempre in primo piano la fotografia, spostando l’attenzione dal fotogiornalismo a un rapporto più stretto con le arti plastiche.
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Nel 1991, Jack Lang presenta il progetto di trasformare il Palais de Tokyo in Palais des Arts de l’Image. Per permettere i lavori, il CNP lascia il Palais de Tokyo per l’Hotel Salomon de Roschild. Un luogo con molti possibili inconvenienti, per quanto riguarda lo spazio espositivo, la dislocazione non così centrale e di passaggio (e d’altra parte, il budget a disposizione non cambia, anzi). Anche la Mission lascia il Palais de Tokyo per l’Hotel de Sully. La Fondation de Lyon chiude le porte per intensificare invece il lavoro sul cinema dell’Institut Lumière. Nel 1996, Delpire lascia il CNP e la collezione Photo Poche viene presa da Nathan. Régis Durand prende il posto di Delpire e il progetto si ricolloca verso una direzione meno generalista ma più diretta alla creazione artistica. Nello stesso tempo, il comune di Parigi apre nel Marais la Maison Européenne de la Photographie (1996), sulle ceneri di Paris Audiovisuel. Il budget è importante, più di quanto abbiano le due istituzioni che per lo Stato si occupano di fotografia, e l’intenzione è di creare un luogo polivalente, con tanto di atelier di restauro. La Maison Européenne de la Photographie (MEP) diventa un modello di riferimento forte, al quale il Ministero della Cultura oppone il lancio di un piano a favore della fotografia. Questo progetto prevede tra le altre cose il lancio del mercato fotografico attraverso la creazione di un salone annuale. Anche se il progetto da parte del Ministero non vedrà la luce, nel 1997 si apre la prima edizione di Paris Photo senza alcun rapporto con il Pubblico (lo Stato). Di fronte al dinamismo del Comune di Parigi, il Ministero deve controbattere cercando di ridisegnare in modo forte il proprio intervento a favore della fotografia, pensando a un luogo che possa essere di divulgazione generalista ma anche di apertura verso la creazione dei giovani autori. Viene così trovato, come luogo, il Jeu de Paume, a Place de la Concorde. In sintesi, la politica culturale in materia di fotografia ha conosciuto una crescita considerevole dal 1980, segnata dalla moltiplicazione degli spazi pubblici consacrati ad attività fotografiche e dal riconoscimento, conservazione e crescita, del patrimonio fotografico a lungo ignorato. Gli investimenti importanti nella fotografia giustificano sempre di più, inoltre, la consacrazione di grandi spazi museali a questo linguaggio.
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Appare quindi in questi anni, e soprattutto dalla Francia, la figura del cosiddetto “fotografo-autore” che, anche quando la sua vocazione è eminentemente di documentare la realtà, per il suo ruolo, per il suo lavoro e per il consenso che riscuote intorno a sé anche a livello istituzionale, può ambire a uno spazio espositivo, e quindi a uno status profondo di autore-interprete-artista del suo tempo.
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La Fondazione Forma per la Fotografia è attiva a Milano dal 2005, su iniziativa di Contrasto, casa editrice specializzata in fotografia, con la creazione da subito della Casa della Fotografia in Italia. Dalla didattica all’organizzazione di mostre in Italia e all’estero, Forma si dedica da sempre alla diffusione e alla promozione della fotografia secondo tutti gli aspetti correlati al linguaggio visivo. Nell’ultimo anno ha aggiunto alla sua mission la gestione degli archivi fotografici dei grandi maestri italiani partendo da quelli di Gianni Berengo Gardin e Piergiorgio Branzi. www.formafoto.it
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Open Care offre servizi integrati per la valorizzazione e conservazione di opere d’arte. Opera nei seguenti settori: Art consulting: valutazione di singole opere e di intere proprietà, valorizzazione di collezioni aziendali e private, inventari, catalogazione scientifica, gestione pratiche di archiviazione e autentica, art advisory. Conservazione e Restauro: 5 laboratori specializzati nella manutenzione e nel restauro di dipinti, affreschi, opere d’arte antica, moderna e contemporanea, arredi lignei, arazzi, tessili antichi, tappeti e antichi strumenti scientifici, supportati da un laboratorio di analisi fisiche e chimiche. Logistica per l’arte: 8 mila metri quadrati di caveau sicuri e climatizzati per il ricovero di opere d’arte e oggetti preziosi. Movimentazione e trasporto in Italia e all’estero di opere d’arte, gestione di pratiche doganali e ministeriali, assicurazione, allestimenti, attività di registrar, disaster recovery. Open Care è inoltre attiva nella promozione della giovane arte contemporanea, grazie ad un progetto di residenze per artisti, e supporta il network artinresidence.it, un progetto dell’Associazione FARE. Promuove, insieme all’Associazione per Filippo De Pisis e il Centro Studi Morandi, le Giornate degli archivi d’artista, dedicate al confronto tra gli enti che tutelano l’opera degli artisti italiani. Ha sede nello storico complesso dei Frigoriferi Milanesi (1899) che ospita numerose realtà che operano nel settore dell’arte e della cultura. www.opencare.it
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