80 ORE CON L'AUTORE PIERGIORGIO BRANZI

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80

ore con

l’autore

Giornale gratuito redatto in occasione della manifestazione 80 ore con l’autore.

A cura degli studenti del Master in Photography and Visual Design di Forma e NABA.

Piergiorgio Branzi

Fondazione FORMA per la Fotografia • Piazza Tito Lucrezio Caro 1 • 20136 Milano • tel. 02.58118067 - www.formafoto.it


Su Piergiorgio Branzi

NOTE BIOGRAFICHE

Piergiorgio Branzi Piergiorgio Branzi nasce a Signa, Firenze, nel 1928. La sua attività di fotografo comincia nei primi anni ’50, periodo in cui conosce Vincenzo Balocchi, uno dei membri del gruppo La Bussola, un’associazione di fotografi creata nel 1947 con l’obiettivo di promuovere la fotografia come arte dal punto di vista professionale e non solo documentario. Nel maggio del 1953, Branzi espone per la prima volta alla “Mostra della Fotografia Italiana”, presso la Galleria della Vigna Nuova a Firenze, e a partire dall’autunno di quello stesso anno si dedica sempre più alla fotografia, partecipando alle principali mostre e vincendo numerosi concorsi tra il 1955 e il 1957. Intraprende lunghi viaggi in motocicletta attraverso l’Italia e la Spagna, paese, quest’ultimo, nel quale realizza il suo primo vero reportage, rielaborando in modo originale la lezione di Henri Cartier-Bresson. Dopo una collaborazione con Il Mondo di Mario Pannunzio, nel 1960 viene assunto alla Rai e intraprende una carriera di giornalista che però, di fatto, rallenta la sua produzione fotografica. Come inviato della Rai, e su incarico di Enzo Biagi, si trasferisce a Mosca per circa cinque anni e diventa il primo corrispondente occidentale nella Russia di oltrecortina. Dagli anni Settanta, Branzi espone in diverse città italiane, tra cui Torino nel 1997, dove gli viene conferito il titolo di Fotografo Fiaf dell’anno. Le sue fotografie sono state esposte nelle maggiori mostre collettive dedicate alla fotografia italiana del Novecento (tra queste anche l’importante “Italian Metamorphosis” al Guggenheim Museum di New York), di cui è considerato uno degli indiscussi maestri.

Su Piergiorgio

Branzi

Il più europeo tra i fotografi italiani del dopoguerra, è stato Piergiorgio Branzi, fino dalle prime esperienze negli anni Cinquanta. Si sottrasse rapidamente al provinciale dibattito tra “realisti” e “formalisti”, allora ripreso e vivacizzato però, sia nelle pagine delle pubblicazioni specializzate (Ferrania di Bezzola, Fotografia di Croci, Diorama di Genovesi...) che nell’ambito dopolavoristico dei Circoli e dei Gruppi amatoriali, che furono comunque gli unici organismi ad avviare in Italia una specifica Cultura della Fotografia, estranea finalmente al pittorialismo. […] Piergiorgio Branzi trovò subito, spontaneamente, una sua, soggettiva, linea operativa, al di là delle correnti che stavano formandosi, con un talento che in sintesi lo portò a filtrare, appassionatamente e con curiosità, le ansie più avanzate e più colte della fotografia internazionale, che finalmente era possibile conoscere e studiare anche da noi, in più fertile scambio pubblicistico ed espositivo.

© Giulia Signorotto

Italo Zannier

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La sua ricerca non è mai ossessionata dall’inseguimento affannoso di riconoscimenti e scoop giornalistici. Straordinaria capacità di congelare i volti, strade e oggetti in lunghi istanti senza

tempo, come se tutto attendesse solo il suo obiettivo per mettersi in posa e concedere a chi osserva la pace di brani silenziosi della propria esistenza. Uno sguardo, quello di Branzi, al tempo stesso rapido e paziente nel cogliere la perfezione formale e poetica della realtà. Fotografia Italiana. Visioni d’arte, Giart 2009

Le immagini di Branzi, in certi casi, sono “solo fotografia” come le avrebbero definite Alfred Stieglitz e Gertrude Stein, senza stereotipi superficiali, senza sentire il dovere di affascinare o sublimare l’esperienza quotidiana. Manfredo Manfroi

Un carattere costante nelle sue opere: la riuscita rappresentazione dell’uomo nella natura. Per lui la natura è un po’ il coro che commenta e amplifica e definisce il personaggio e della natura ha un sentimento oggettivo ed esaltato. Ricordo la sua Ischia, fortemente costruita in poche e calme linee, e in una sottile gradazione di luci; o paesaggi della Puglia svolgentisi come affreschi. Pur tecnicamente preferendo un linguaggio contrastato, il suo bruciare in stampa il dettaglio (a volte superfluo), Branzi è sensibi-


Su Piergiorgio Branzi lissimo alla particolarità luministica che definisce l’oggetto quando gli si rivela. Berto Morucchio

Piergiorgio Branzi ha il dono di una curiosità discreta, di un meraviglioso senso dell’umorismo, di una particolare gentilezza e di una modestia, con la quale avvicina i personaggi che incrociano il suo cammino ed entrano nel suo obiettivo. Sandra S. Phillips

S’è detto come questa attenzione per l’espressività dei volti e dei gesti, Branzi l’avesse appresa alla mostra di Cartier-Bresson: ma, mentre per il Francese la

poetica dell’instant décisif era strettamente legata al misterioso arbitrio del caso, all’estetica della stupefazione, al potere di rivelazione del gesto involontario e, in una parola, discendeva dal suo apprendistato, a Parigi, in un ambiente che, più o meno organicamente, orbitava nel campo di gravitazione del surrealismo, per Branzi, quegli sguardi, quelle smorfie, quei volti, accentuati fino al grottesco e al caricaturale, erano spesso il frutto di una costruzione: ossia di un rapporto consapevole tra il fotografo e il suo modello. Per Branzi, cioè, non era tanto importante l’inviolabilità del soggetto, quanto il risultato finale. Paolo Morello Ritratto di Giovanni Salani © Piergiorgio Branzi

Fotografare è disegnare Piergiorgio Branzi Storia dello scatto fotografico “Salotto Buono” realizzato nel 1995 a Casarsa della Delizia, in Friuli, durante la rivisitazione dei luoghi pasoliniani, su richiesta di Italo Zannier. “A me toccò Casarsa della Delizia, un piccolo paese friulano dove le case contadine, dopo il terremoto, erano state ricostruite tutte in orgoglioso stile ‘chalet svizzero’. Questa, per fortuna, era una delle poche rimaste in piedi, ma un parente diretto aveva dato disposizione che non venisse fotografata. Era in ristrutturazione per essere trasformata in luogo pubblico. Approfittai della pausa pranzo (dell’accompagnatore) per farmi ‘dimenticare dentro’. Ebbi così tempo e modo di spostare adeguatamente il divano, trovare un chiodo e conficcarlo nel muro col tacco della scarpa, appendervi la foto di Pier Paolo in divisa, che avevo intravisto appoggiata sul pavimento nella camera da letto, e attendere che la leggera brezza animasse la tenda. Dopo sette o otto svolazzi finalmente si gonfiò nel ‘giusto spirito’. Il negativo di questa immagine lo conservo con particolare attenzione, non lo perdo certo di vista. Se andasse perduto sa-

Salotto Buono ©Piergiorgio Branzi

rebbe un fatto estremamente riprovevole, ma poco o niente di più: quello che ha detto – o ha voluto dire per chi ha voluto leggere – lo ha già detto. L’unica conseguenza sicura è che non potrei certo evitare di venir cacciato all’inferno per accidia”.


Faccia a faccia

Faccia a faccia con

Piergiorgio Branzi

Ci troviamo a Busto Arsizio, presso l’Hotel Hortensia che ospita Piergiorgio Branzi, in occasione dell’inaugurazione di una rassegna fotografica, tenuta presso Villa Pomini. D: Piergiorgio Branzi, come si è avvicinato alla fotografia e come ha sviluppato un suo linguaggio fotografico? R: Devo premettere una cosa: non sono riuscito nella mia vita a diventare un fotografo professionista e questa apparente sfortuna in realtà è stata la mia salvezza. Ho avuto la possibilità di fotografare sempre quello che mi piace e nel modo in cui mi piace. Provenendo da una realtà come quella fiorentina degli anni Cinquanta, ho impostato il mio lavoro partendo da una ricerca del formalismo. Ricordo un episodio, giusto per dare un’idea di come fosse

la realtà di Firenze: una volta andai da un corniciaio e gli chiesi di riparare un lato di una cornice che si era quasi completamente staccato, raccomandandogli di fare attenzione affinché tutti e quattro gli angoli fossero uguali. Lui mi rispose ”se sbaglio un angolo, cade l’Occidente!” Questa frase, nella sua semplicità, racchiude in sé molto bene il senso del pensiero fiorentino dell’epoca. Come molti hanno detto e scritto, la scintilla che diede inizio a tutto fu imbattersi nella mostra di CartierBresson, organizzata a Palazzo Strozzi dal notissimo critico Carlo Ludovico Ragghianti. D: Poi come ha proseguito? R: Cominciai a partecipare a vari concorsi fotografici, dato che all’epoca non esistevano tante opportunità nell’editoria per quanto riguardava l’immagine. Mi resi conto, alla fine, che era arrivato il momento di cercare una via lavorativa seria (avendo famiglia dovevo affrontare anche questo aspetto) per cui mi presentai a Roma – era il periodo delle Olimpiadi del 1960 – e fui selezionato come reporter per la Rai. Iniziò in questo modo la mia carriera trentennale di giornalista televisivo. D: Oltre al fotografare, cosa le interessava? R: Compresi immediatamente, da subito, che oltre allo scatto, dovevo stampare. Non sono un tecnico, non lo

sono mai stato, per cui in camera oscura procedevo per tentativi. Approfittai di un evento meteorologico insolito per Firenze: una improvvisa nevicata. Dato il mio interesse e fascino per il disegno, realizzai in quell’occasione una serie di fotografie che racchiudevano in sé uno stile molto grafico. Mi ha sempre appassionato il nero fondo, assoluto. Non solo. Seguendo un buon consiglio, cominciai ad adottare un tipo di carta e un t ipo di sviluppo particolari che mi permettevano di ottenere dei risultati precisi, in linea con quel che volevo esprimere: rispecchiavano il modo in cui io vedevo la realtà. D: Ha accennato prima alla sua carriera in Rai: come ha influito il suo lavoro di giornalista sulla pratica fotografica? R: Grazie al mio lavoro di giornalista, cominciai a viaggiare. Sono sempre stato affascinato dal figurativo e aver avuto la possibilità di vedere e conoscere tante realtà differenti dalla mia, è stato magnifico. Molte le città che ho esplorato con gusto e fascinazione continua. Prima di tutte Parigi – io adoro Parigi, anche oggi – e poi Mosca, dove ho trascorso per lavoro alcuni anni. Questa città soprattutto mi ha dato la possibilità di riprendere veramente la macchina fotografica in mano e di esercitarmi, sempre con il figurativo, a raccontare il modo in cui io la vedevo. All’inizio la fotogra-

fia a Mosca è stata quasi un espediente, che mi ha aiutato nel mio lavoro. Pensai infatti che proprio le immagini che scattavo potessero arricchire il programma e le corrispondenze che trasmettevo come inviato per la Rai. Ma poi divenne sempre più una passione. Ovviamente sto parlando degli anni della Russia sovietica – una dimensione molto diversa da quel che è oggi e un luogo in cui non era neanche facile poter scattare fotografie. D: Una volta in un’intervista ha dichiarato: “Non è sempre l’uomo a fare la città, ma la città che fa l’uomo”. Può spiegare meglio cosa intende? R: Credo che tutto nasca da un fondamento architettonico che penso di aver assimilato tramite mio fratello architetto. Un fondamento, insomma, che faccio mio completamente. Io ho senz’altro dedicato molta parte della mia produzione fotografica al ritratto, ma non a un tipo di ritratto asettico, semmai un ritratto in grado di dialogare con l’ambiente, in cui l’ambiente circostante riesce a raccontare la persona in una forma di osmosi continua. Una composizione dove l’ambiente racconta in che modo quell’uomo o quella donna in primo piano vivono e in che modo sono stati influenzati. Del resto, sono i luoghi a marchiare le persone, anche antropologicamente.


Faccia a faccia Il mio sforzo continuo nella fotografia è di produrre immagini che abbiano un equilibrio tra gli elementi. Insomma, un’immagine può essere anche mossa, ma non deve essere scomposta. D: Nella realizzazione dei ritratti quanto interviene nella costruzione del “setting”, la posa, l’atteggiamento? R: Sì, quando mi è possibile, costruisco. Due miei ritratti sono, a mio giudizio, ben costruiti: uno è un ritratto di Alfredo Camisa e l’altro di Giovanni Salani. Con Salani, figlio dell’editore Salani, se ricordo bene eravamo a Cortona. Lui era un uomo molto alto, di una particolare magrezza, con un volto gotico. Pensai allora di ritrarlo in una chiesa, contornato da affreschi. Camisa invece era un chimico farmacista, e lo fotografai alla fiera di Milano, accomodan-

dolo, mettendogli vicino un telefono. Questa foto, a parer suo, dava quasi un’impressione caricaturale. D: Com’è cambiato negli anni il suo rapporto col mezzo fotografico? R: Prima di tutto, credo sia importante sottolineare come siamo noi, per primi, a cambiare. Quando ho cominciato a fotografare, utilizzavo quasi unicamente la biottica, la Rollei. Successivamente sono passato al 35mm, con apparecchi che ho adottato sempre dalla Russia in poi. Come spesso mi accade, un altro cambiamento molto forte è avvenuto durante uno dei miei viaggi. Mi trovavo in Portogallo e passeggiando mi ritrovai davanti ad una vetrina di una pescheria dove erano esposte delle teste di tonno. Quelle teste di pesce mi hanno attratto profondamente.

Volevo riprenderle a purtroppo avevo finito la pellicola. Presi allora il piccolo apparecchio digitale compatto di mia moglie e scattai. Il risultato fu sorprendente! Dettagli incredibili, una nitidezza che con la pellicola non avrei mai potuto ottenere. Da quel momento in poi, da quella “scoperta”, ho cominciato a sperimentare questo nuovo mezzo soprattutto nella fotografia a colori. Ma certo, per il bianco e nero rimango ancora legato alla pellicola. D: Un’ultima domanda, per concludere il nostro incontro: che consiglio darebbe ai giovani che vogliono intraprendere questa strada? R: Sicuramente di avere passione e intraprendenza. Noi fotografi utilizziamo la macchina fotografica come espediente per creare un’immagine. Ma quell’immagine deve

Ritratto di Alfredo Camisa ©Piergiorgio Branzi

essere già presente dentro noi stessi; possiamo quasi dire che c’è bisogno che quell’immagine divenga icona. L’icona ha un valore universale, deve essere di comprensione comune. Un’altra cosa importante è la scelta del momento dello scatto. Se volete, la scelta della foto. Non serve scattarne tante; se è quella giusta, una sola può essere sufficiente.

Intorno a una foto

Testa di pesce, 2007

Nel 2007 Piergiorgio Branzi incontra casualmente la fotografia digitale. Ma è un incontro fatale e la nuova tecnologia apre all’autore delle possibilità compositive e linguistiche inaspettate che gli permetteranno di rivedere il suo materiale e in qualche modo scoprirlo, rinnovarlo. Con curiosità e entusiasmo, il suo approccio verso questa nuova tecnica e le sue possibilità diventa una pratica quotidiana, usuale ma anche un cambio di prospettiva profonda. Rispetto alle opere precedenti, nelle immagini realizzate con la digitale, si nota un allontanamento dall’attualità del mondo e un profondo bisogno di una riflessione diversa attraverso il frammento “ritagliato” dalla macchina fotografica. Le “teste di pesce” sono il frutto di una curiosità ravvicinata sulla natura, resa possibile dal digitale che esalta il dettaglio accurato ora facilmente raggiungibile rispetto all’obiettivo della sua Leica. Un’occasione che induce l’autore a percorrere una nuova avventura affascinante senza cadere in un’anonima documentazione zoologica. Il tratto dominante è rappresentato senza dubbio dall’occhio vivido eppure morto del pesce che ben evoca il mistero che l’animale custodisce. Maria Barkova


Intorno a una foto

Intorno a una foto

L’arena sotto la neve, 1954

Piergiorgio Branzi non si è sottratto all’intrigo delle possibilità grafiche della fotografia. Già nel 1952 con “Novembre in periferia”, volge il suo interesse verso l’esercizio tonale, ma quanto diversa appare quella scena nebbiosa rispetto a questo nuovo paesaggio invernale. Firenze innevata viene ripresa in un bianco pieno, che induce a lasciare un tratto calligrafico. La ripresa fotografica effettuata dall’alto racchiude un perfetto accordo di tratti minuti, neri, con la netta sagoma dell’uomo che sfugge dalla piazza.

Una resa molto forte e nuova del bianco e nero, l’eliminazione quasi totale dei grigi, un disegno perfetto delle figure: in un certo senso, insieme a immagini come “Il giardino incantato”, possiamo dire che questo lavoro inaugura in Italia la stagione della foto “nera”, drammatica, contrastata, piuttosto che quella dai toni morbidi, grigi che fino a quel momento imperversava. Roberta dal Verme

Intorno a una foto

Pasqua a Tricarico, 1955 Nel 1955 Branzi parte per un nuovo viaggio fotografico nel sud Italia, mete principali la Puglia e la Basilicata. È un periodo vicino al secondo dopoguerra, in cui l’Italia deve ancora (o deve di nuovo) essere scoperta. Pochi conoscono il Mezzogiorno e in tanti sono affascinati dal suo ricco patrimonio umano, attratti da quel mondo quasi diverso. Nasce anche in questo modo l’impegno culturale e la fotografia intesa come valore sociale. “Pasqua a Tricarico” è una delle immagini più rappresentative del viaggio di Branzi in Lucania. In questo

caso, l’autore è colpito dalla vetrina di un negozio di alimentari nella quale, protette da un velo che allontana le mosche, sono esposte solo due uova. Viene attratto da quella desolazione ma anche dall’atmosfera surreale (vicina a tanta pittura metafisica del Novecento) e per questo le fotografa. Solo dopo entra nel negozio dove coglie la presenza di una bambina, scura di carnagione e dai capelli neri, che l’autore invita a posare dietro il bancone di legno sul quale dispone nuovamente le due uova.


Intorno a una foto In questa immagine ritroviamo ancora la sapiente capacità compositiva di Branzi nell’accordo di forme e toni evidenziato da quelle uova bianchissime che richiamano gli occhi della bambina e le curve del suo colletto. Ma anche gli altri elementi sembrano disporsi in un equilibrio perfetto di forme: la geometria del foglio chiaro appeso sul muro nero in relazione con i fogli di carta distesi, il rubinetto dell’acqua in equilibrio con la bilancia. Martina Orsini

Intorno a una foto

Muro nero, 1954

“Muro Nero” è un chiaro esempio dell’eredità rinascimentale dell’autore, dovuta alle sue origini fiorentine. L’eleganza dell’immagine deriva dall’armonia delle proporzioni, dall’analisi accurata degli elementi compositivi e dall’attenzione nei confronti dello spazio con cui i soggetti si relazionano. In generale, infatti, nel lavoro di Branzi è frequente la presenza di stipiti, davanzali, riquadri e geometrie che indicano la sua attitudine a porre le figure all’interno di cornici. Ma in questo caso a palesarsi sono anche le sue esercitazioni tonali. In questi anni per l’autore rendere sempre più manifeste le possibilità espressive della tecnica fotografica e della stampa esaltandone gli estremi, diventa la sua linea poetica. Opporre i bianchi a un gioco di neri profondi resterà una nota costante nella sua intera carriera. Questa fotografia, infatti, non si comprenderebbe del tutto senza tener conto che fu sempre esposta in coppia con “Muro Bianco”. Teresa Giannico


Bibliografia essenziale

Mykonos, 1957 © Piergiorgio Branzi

AA. VV., 26 Fotografi Italiani, IV Mostra di fotografia Città di Spilimbergo, Tipografia Ciussi, Udine, 1957; Piergiorgio Branzi: cinque anni di fotografie 19541959, testo di Piero Berengo Gardin, Libreria-Galleria Pan, Roma, 1981; Piergiorgio Branzi, E. Carli, P. Racanicchi, I. Zannier, Monografie F.I.A.F., Alinari, Firenze,1997; Forme di Luce, I. Zannier e S. Weber, Alinari, Firenze, 1997; Diario Moscovita 1962-1967, il Ramo d’Oro editore, Trieste, 2001; Piergiorgio Branzi, Sandra S. Phillips e Paolo Morello, Istituto Superiore Storia della Fotografia, Palermo, 2003; Piergiorgio Branzi, Boggiano e Castellini, Joyce & Co, Genova, 2006.

Principali mostre personali e collettive • 2001, Diario moscovita, Pinna e Volcic, Il Ramo d’Oro, Trieste • 2001, Diario moscovita, Museo di Roma in Trastevere, Roma • 2002, Diario moscovita, Galleria comunale de Il Cassero, Prato • 2006, Piergiogio Branzi, Joyce & Co, Genova • 2006, Incanti e altri ritratti, Fondazione FORMA per la fotografia, Milano • 2008, Piergiorgio Branzi / Paul Harbutt / Yvem&Marief / Luca Romano - Contemporary Photo Crossroad, ICIPICI FINE ART PRINT, Roma • 2010, La Fotografia in Italia 1945­1975: Capolavori dalla collezione Paolo Morello, Fondazione FORMA per la fotografia, Milano • 2011, Italian Realism: Masterpieces from the Collection of Paolo Morello, Big Manezh, Moscoa

Progetto a cura di Forma Fondazione FORMA per la Fotografia

La Fondazione FORMA per la Fotografia e NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, organizzano il Master in Photography and Visual Design. Giunto alla sesta edizione, si tratta del primo e unico master accademico di settore legalmente riconosciuto offerto in Italia. Costruito con l’obiettivo di sviluppare competenze teoriche, tecniche e pratiche, questo programma di durata annuale è orientato alla formazione di fotografi, curatori, photoeditor e altre figure professionali specializzate nello studio e nel trattamento delle immagini fotografiche.

Piazza Tito Lucrezio Caro 1 – 20136 Milano tel. 02.58118067 - www.formafoto.it Redazione: Roberta dal Verme, Teresa Giannico, Maria Barkova, Martina Orsini, Giulia Signorotto Progetto grafico: Daniele Papalini Foto di copertina: Vicolo del bazar, Firenze, 1954 © Piergiorgio Branzi Finito di stampare nel mese di novembre 2012, presso EBS, Verona

Ischia, 1953 © Piergiorgio Branzi

• 1957, IV Mostra di fotografia Città di Spilimbergo, Tipografia Ciussi, Udine • 1957, International Exhibition of Modern Photography, Varmlans Museum, Karlstad • 1977, Gabinetto Viesseux, Firenze • 1981, Piergiorgio Branzi: cinque anni di fotografie, 1954-1959, Galleria Pan, Roma • 1982, Galleria Photo-grafis, Bologna • 1991, Galleria Il Diaframma, Milano • 1994, Italian Metamorphosis, Guggenheim Museum, New York • 1995, Cento anni del ritratto italiano, Biennale di Venezia, Venezia • 1997, Alinari/FIAF, Firenze • 1998, Mois de la Photographie, Carrousel Du Louvre, Parigi • 2000, Rassegna antologica, Istituto Italiano di Cultura, Colonia

La prossima uscita Franco Fontana

Le uscite precedenti Mario De Biasi Mimmo Jodice Gianni Berengo Gardin Gabriele Basilico Fedinando Scianna Nino Migliori


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