80 ore con l'autore GIANNI BERENGO GARDIN

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80

ore con

l’autore

Giornale gratuito redatto in occasione della manifestazione 80 ore con l’autore. A cura degli studenti del Master in Photography and Visual Design di Forma e NABA.

Fondazione FORMA per la Fotografia

Fondazione FORMA per la Fotografia • Piazza Tito Lucrezio Caro 1 • 20136 Milano • tel. 02.58118067 - 02.89075419 • tel. 02.89075420 - www.formafoto.it

Gianni Berengo Gardin


NOTE BIOGRAFICHE

Gianni Berengo Gardin Gianni Berengo Gardin nasce a Santa Margherita Ligure nel 1930 e inizia ad occuparsi di fotografia a partire dal 1954. Dopo un lungo periodo a Venezia, si stabilisce a Milano dove comincia la sua professione di fotografo. Collabora con numerose riviste tra cui Il Mondo di Mario Pannunzio e le maggiori testate giornalistiche italiane e straniere quali Epoca e Time. Principalmente si dedica alla realizzazione di libri fotografici, pubblicando oltre duecento volumi dai quali emerge soprattutto il suo interesse per l’indagine sociale. Dal 1966 al 1983, in collaborazione con il Touring Club Italiano, realizza un’ampia serie di volumi sull’Italia e sui paesi europei. Ha lavorato assiduamente con grandi industrie, tra cui la Olivetti, realizzando reportage e monografie aziendali. Nel 1979 inizia la collaborazione con Renzo Piano, per il quale documenta le fasi di realizzazione dei progetti architettonici. Ha tenuto circa duecento mostre personali, sia in Italia che all’estero, tra cui le grandi antologiche di Arles (1987), di Milano (1990), di Losanna (1991), di Parigi (1990) e di New York alla Leica Gallery (1999). Nel 1972 la rivista Modern Photography lo ha inserito nella lista dei 32 maggiori fotografi al mondo. Oltre ai numerosi premi vinti, nel 2008, quale riconoscimento alla carriera, gli viene dedicato il prestigioso Lucie Award.

Gianni Berengo Gardin con il Lucie Award

Faccia a faccia con

Gianni Berengo Gardin

D: Lei è ligure per nascita, ha vissuto in numerose città, tra cui Roma e Parigi. Tuttavia si può dire che è Venezia quella che lo ha vista nascere come fotografo... R: È più o meno corretto. Fu mia madre a regalarmi la mia prima macchina fotografica. Così cominciò tutto; a quel tempo vivevo ancora a Roma. Ma la vera passione per la fotografia iniziò proprio a Venezia, negli anni Cinquanta. Io fotografavo già perché mi interessavo molto di aviazione e scrivevo su questo argomento per un paio di giornali. Poiché dovevo illustrare i miei articoli, ho cominciato a scattare fotografie. Tuttavia, il mio vero lavoro era il negozio di vetri di Murano e di orologi che apparteneva alla famiglia di mio padre. Proprio vicino al negozio, si trovava “La Gondola”, il circolo che riuniva i fotoamatori veneti. Il contatto con loro fu la mia prima “palestra ideale”. D: Quindi lei cominciò a livello amatoriale. Quando decise di far diventare la fotografia la sua vera e propria professione? R: Decisivo in questo senso fu l’incontro con Romeo Martinez, il direttore del periodico svizzero Camera. All’epoca era già stato pubblicato il mio primo libro fotografico, Venise des Saisons, e

collaboravo con la rivista Il Mondo. Martinez allora mi chiese come mai non volevo diventare un fotografo professionista; io gli risposi che sarei stato pazzo ad abbandonare un lavoro sicuro come il negozio veneziano per buttarmi in qualcosa di incerto. Avevo una famiglia da mantenere. Eppure, durante quella chiacchierata, che andò avanti fino alle quattro del mattino, Martinez riuscì ad abbattere tutte le mie resistenze in proposito. Dopo qualche tempo, cedetti la gestione del negozio e mi trasferii a Milano. D: È curioso l’aneddoto sulla pubblicazione di Venise des Saisons... R: Presentai le foto di Venise des Saisons a otto editori italiani che mi chiusero la porta in faccia dicendo che il mio lavoro su Venezia era troppo malinconico. Loro cercavano qualcosa di più “turistico” mentre io offrivo una visione di Venezia più interiore, intimista. Fu Albert Mermoud, il fondatore della Guilde Du Livre di Losanna, a notare questa mia visione un po’ diversa di Venezia. E la notò per caso, mentre esponevo le mie foto all’Istituto di Architettura di Londra. Volle subito i miei scatti e ventidue giorni dopo uscì il libro con due importanti testi di Mario Soldati e di Giorgio Bassani.


D: Quali sono state le fonti di ispirazione per il suo modo di fare e pensare la fotografia? R: Una vera e propria svolta nel mio modo di fotografare l’ho avuto grazie a a un mio zio, trasferitosi in America e diventato consigliere dell’International Center of Photography di New York. Mio zio sapeva della mia passione per la fotografia e chiese a Cornell Capa, fondatore e allora direttore dell’ICP (nonché fratello del famoso Robert Capa), quali libri mi avrebbe consigliato di consultare. Lui propose i grandi nomi della fotografia americana, da Eugene Smith a Dorothea Lange e ai grandi fotografi della Farm Security Administration. Quando ricevetti questi libri e le riviste con le immagini di questi grandi autori, il mio modo di fotografare cambiò radicalmente in soli tre giorni! D: E in che cosa cambiò? R: Cambiò negli interessi e nei soggetti. Cominciai a interessarmi di sociale. E per “sociale” non intendo solo i cosiddetti “morti di fame”, come la maggior parte delle persone potrebbe erroneamente pensare. Per me “sociale” è tutto: dai più poveri ai più ricchi; anche i principi! Nel mio caso, infatti, si tratta di foto di costume in un certo senso; quello che a me interessa è far vedere il mondo che ci circonda, come viviamo, come siamo... D: Lei ha avuto modo non solo di conoscere ma anche di lavorare con Henri Cartier-Bresson. Che influenza ha avuto su di lei come fotografo?

R: Nei mei anni a Parigi ho conosciuto tanti celebri fotografi, come Doisneau e Willy Ronis. Già allora Cartier-Bresson era un mito. Il suo Images à la Sauvette era per noi una bibbia; da questo libro appresi tantissimo. D: Il lavoro fotografico di Cartier-Bresson era caratterizzato dalla ricerca del cosiddetto “momento decisivo”. Che interpretazione ne dà lei? R: Il “momento decisivo” di Cartier-Bresson è sempre stato interpretato come se davvero ci fosse una situazione particolare che dovesse essere ripresa; ma in realtà tale situazione particolare non esiste. Il vero “momento decisivo” lo decide chi scatta. Se voglio scattare una foto a un pugile, sono io fotografo che decido quale sarà il mio momento decisivo: l’istante in cui il pugile sta per sferrare il pugno o l’istante in cui questo colpisce la guancia dell’avversario. Senza dubbio, il fotografo deve anche avere una buona intuizione per poter scattare, ma il “momento decisivo” non è una regola fissa. D: In tutta la sua vita lei ha ricevuto numerosi premi, tra cui il prestigioso Lucie Award nel 2008, e assegnato ad altri grandi nomi della fotografia internazionale, come Elliott Erwitt, William Klein e lo stesso Cartier-Bresson.. R: Il giorno in cui sono venuto a sapere che mi avevano assegnato questo riconoscimento alla carriera, ho pensato si trattasse di uno scherzo. Ricordo di aver letto la mail e di averla lasciata lì, tra le altre

Zingari. Palermo, 1995

carte, senza occuparmene più di tanto. Dieci giorni dopo ho chiesto alla mia assistente di controllare sul sito del Lucie Award, e lei mi ha confermato che era tutto vero. Non era uno scherzo: avevo davvero ricevuto quel premio così importante. D: Osservando i suoi lavori più recenti, come L’Aquila: prima e dopo, si nota che sono stati realizzati usando ancora la pellicola: non è mai stato attirato dall’idea di adeguarsi ai mezzi che la moderna tecnologia mette a disposizione dei fotografi al giorno d’oggi? R: Il fatto che utilizzi ancora la pellicola non vuol dire che io sia contrario al digitale. Sono contrario però ai pro-

grammi che consentono un foto-ritocco pesante che invece penso dovrebbero essere usati solo come una camera oscura. Il digitale cambia la mentalità del fotografo: noi abituati a fare 36 fotografie per pellicola, eravamo molto più attenti prima di scattare. Il digitale invece, permette di realizzare oltre 500 foto alla volta, di rivederle immediatamente, di scartare quelle venute male e di ritoccare poi col computer quelle accettabili. Ho notato che tutto ciò produce nel fotografo un “tic” nervoso: quello di scattare e poi guardare immediatamente nello schermo della macchina. Quando comprerò una digitale la prima cosa che farò sarà oscurarne lo schermo!

Foto di Donatella Pollini, Campobasso, Processione dei Misteri, 2008


Su Gianni

Berengo Gardin

Berengo Gardin, pur non essendo un parlatore, ha delle parole improv vise, dei sorrisi ispirati e propone dei dialoghi ironici e formalmente diversi. Sembra si occupi d’altro fuorché di scelte, ma il suo occhio ha già messo incinta quel che c’è (noterete che siamo sempre nel linguaggio del creare), e infatti andrà poi a festeggiare il par to nella camera oscura con i suoi albori aurorali. Secondo me questo quasi distratto personaggio ha sempre nascosto tra le ali le trombe di un suo proprio giudizio universale, forse lontanamente un po’ dolente però subitamente morale. Credo succeda con un uomo alla medesima maniera che con un paesaggio o un bicchiere. Quindi non sbagliate molto a considerare il nostro Gianni Berengo Gardin come un nemico quando vi ronza intorno, se condividete la mia idea che chiunque voglia conoscere più seriamente la cosiddetta realtà - e la realtà significa in sostanza proprio noi - non è un amico. Cesare Zavattini Ci sono anche aspetti formali che fanno par te della sua personalità e che mi hanno influenzato: i luoghi in cui vive e lavora sono molto spar tani, le librerie sono piene da scoppiare, ma tutto è per fettamente classificato. Gianni è una sor ta di computer. Noi scherzavamo dicendo che si vedeva che era svizzero. Queste regole e quest ’ordine fanno par te del suo Dna e si ritrovano nella progettazione del lavoro. Ogni fotografia ha un posto preciso nel suo archivio mentale e questo è lo zoccolo duro dal quale gestisce il suo raggio d’azione: lui sa che questi scatti ser viranno a comporre il racconto, il libro… e questo gli dà una regola. Gabriele Basilico Gianni è un osser vatore raffinato, permeato un po’ di timidezza, un po’ di aggressività. Per esempio, dice: “Io non so parlare in pubblico”, ma poi parla per un’ora e mezza negando tuttavia di saper parlare. Sono contraddizioni che fanno par te del suo fascino umano. Ma il risvolto della medaglia è interessante: pur essendo orgoglioso dei premi che ha ricevuto, non è mutato per nulla né sul lavoro né nel compor tamento. Accetta con pari piacere l’invito del Foto Club Marchigiano che gli dà una medaglia o il Lucie Awards che riceve dagli Stati Uniti, fotografa per la pro-loco del paesino con la stessa dedizione con la quale lo farebbe per il MoMA. La fotografia è più impor tante di qualsiasi cosa: pre-

mio, gratificazione, riconoscimento pubblico. E questo è bellissimo… A lui interessa solo avere una macchina sulla spalla, magari un’altra in tasca e andare in giro. Impor ta solo il fatto di essere in strada. Lo capisci anche dal modo con cui vive le malattie: per lui sono degli incidenti di percorso fotografico. Dopo le rarissime volte in cui gli è capitato di ammalarsi, non dice “sto meglio” o “sono guarito” ma “ho già lavorato tre giorni. Giovanna Calvenzi Lui, come tutti i grandi autori, sa benissimo chi è e che cosa ha fatto, ed è una coscienza che è andato acquisendo sempre di più nel tempo. Lui ti dice “non fotografo l’anima ma le facce”, così come potrebbe dire “non fotografo il senso del paesaggio ma il paesaggio”. Da fotografo ha il senso dell’ orgoglio del valore documentario delle foto che ha fatto; ma quello che non


dice è che quel valore documentario esiste perché lui gli ha fornito il suo sguardo. Non è che le sue fotografie sono impor tanti perché fanno vedere una cosa che non c’è più; ma perché quella cosa che non c’è più prende il suo valore storico, politico, cer to, più che documentario, per come lui l’ha fotografata. Ci sono tanti tipi di scrittura; gli ar ticoli di Hemingway sulla guerra di Spagna li leggi ancora oggi perché la sua scrittura, come la fotografia di Gianni, ha lo sguardo lungo. Se invece leggi una cronaca qualsiasi ci incar ti il pesce. Gianni ha lo sguardo lungo. Ferdinando Scianna

Intorno a una foto

Sul Vaporetto, Venezia 1960

La quotidianità rappresenta uno dei temi principali della narrazione fotografica di Gianni Berengo Gardin. Nella sua fotografia, è stata sottolineata la capacità di rappresentazione diretta di un paesaggio di presenze umane, colte nell’ordinario dispiegarsi dell’esistenza, nelle relazioni con le consuetudini di vita e di lavoro, nella essenzialità dei segni comportamentali. Per lui si è parlato di “neorealismo fotografico”, cui non è estranea la lezione del realismo americano, riscattato tuttavia, soprattutto dopo le sue esperienze all’estero, dalla capacità di cogliere in profondità l’evoluzione, le contraddizioni e le trasformazioni della realtà, ma anche di interpretare e approfondire gli aspetti più intimi ed etici delle situazioni. Su tutto, sta la sua incredibile cifra artistica, capace di raggiungere vertici assoluti di poesia e di forza espressiva. Resta anche questa la chiave di lettura della celebre immagine Venezia, sul vaporetto, del 1960. Una mattina come le altre, con gente smarrita nei propri pensieri, diretta probabilmente alle faccende della propria esistenza quotidiana; un papà con un bambino in braccio, un uomo che legge un giornale, l’addetto alla navigazione. Non è la Venezia dei turisti, ma quella quotidiana fatta di abitudini e gesti semplici. Eppure, il taglio dell’immagine e il portentoso gioco compositivo di riflessi, che moltiplica spazi e piani narrativi, attribuisce alla foto suggestioni surreali, fondendo con sorprendente efficacia arte e documento. Francesco Di Summa


Intorno a una foto

Ex mondine nel vecchio dormitorio Vercelli, 2011

Ci troviamo nel vercellese, in una cascina dove si coltiva il riso. In questo luogo si è voluto fermare il tempo, conservando la casa identica al periodo in cui le mondine vivevano qui. L’immagine, che fa parte di un lavoro lungo e in parte ancora in corso, è stata inserita nella recente raccolta Inediti (o quasi). Per catturare quest’immagine d’altri tempi, il fotografo ha richiamato le stesse donne che un tempo avevano lavorato quei campi e lavorato con molta fatica nelle risaie. Le ex mondine sono ora delle donne anziane, che dimostrano nel viso, nelle rughe, nella pesantezza dei corpi, nei capelli bianchi, il tempo passato, l’esperienza maturata e la malinconia del ricordo. Due mondi lontanissimi sembrano toccarsi nell’immagine: quello della fatica dei campi, della cultura delle mondine, e quello di oggi, della nostra contemporaneità. Laura Naranjo

Intorno a una foto

Lucca, 2005

È lo stesso Gianni Berengo Gardin a definire questa fotografia, realizzata nella città di Lucca, come “viva”. Sono l’azione del ciclista, intento a pedalare, e la sua posizione leggeremente inclinata ad accompagnare la curva della strada, a dare l’impressione di trovarsi di fronte a un evento che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, ancora in movimento. È una fotografia nella quale si può trovare quello che Cartier-Bresson avrebbe chiamato il “momento decisivo”. Wang Jingjie


Intorno a una foto

Venezia, 1963

Questa immagine appartiene al ciclo dedicato a Venezia e realizzato da Berengo Gardin negli anni Cinquanta. Si tratta di uno scatto che non è mai stato utilizzato prima – solo di recente è stato pubblicato nel volume Inediti (o quasi) – e appartiene alla serie “Venise des Saisons”. Vediamo una Venezia invernale, una Venezia di tutti i giorni, molto distante dall’immaginario classico di questa città: nessun monumento, nessuna piazza famosa, nessun “luogo comune” ma un tempo sospeso, accentuato dalla nevicata in Laguna. Tutto nella composizione esprime la visione interiore che Gianni Berengo Gardin ha voluto dare alla sua Venezia ai tempi della pubblicazione del libro che fece innamorare Albert Mermoud, il fondatore della Guilde Du Livre di Losanna. Poter pubblicare una simile fotografia molti anni dopo la sua realizzazione, è un segno di quanto sia importante e prezioso un archivio fotografico e quanto, riguardare a distanza di tempo i provini e le stampe, comporti spesso incontri inaspettatie sorprese felici. Nel suo studio di

Intorno a una foto

Milano, Gianni Berengo Gardin ha conservato più di un milione di fotografie. Afferma che le foto sono come il vino: più passa il tempo e più diventano buone. Martina Orsini

Giappone, 1963

Questa fotografia è stata scattata in Giappone e rappresenta uno dei molti cantieri di Renzo Piano. Berengo Gardin fu molto affascinato dal lavoro dell’ architetto, tanto che fotografò i suoi cantieri per svariati anni. La particolarità di questa immagine risiede nella sua essenza grafica, caratteristica che la rende molto differente dalle fotografie che in genere Berengo Gardin realizza. Lo stesso autore afferma di apprezzarla soprattutto per la presenza umana: un elemento necessario e anzi immancabile in ogni suo scatto. Valentina Ghiringhelli


Bibliografia essenziale Venise des Saisons - Editions Clairefontaine, Losanna, 1965; Morire di classe - Einaudi, Torino, 1969, con Carla Cerati; Olivetti Pozzuoli - Edizioni Olivetti, Milano, 1969, con Henri CartierBresson; Friuli Venezia Giulia - Touring Club Italiano, Milano, 1971; Un paese vent’anni dopo - Einaudi, Torino, 1976, con (riedizione: Milano 2002); Dentro le case - Electa, Milano, 1977, con Luciano D’Alessandro; Dentro il lavoro - Electa, Milano, 1977, con Luciano D’Alessandro; Case contadine - Touring Club Italiano, Milano, 1979; India dei villaggi - Edizioni Fotoselex, Veniano, 1980; Archeologia industriale - Touring Club Italiano, Milano, 1983; Toscana - Arnoldo Mondadori, Milano, 1986; Donne - Edizioni Janssen, Roma, 1986; Gianni Berengo Gardin : fotografo 19531988 - Art&, Udine, 1988; Comunque Italia - Peliti Associati, Roma, 1990; Zingari a Palermo - Peliti Associati, Roma, 1997; Les italiens 1953-1997 - Editions Autrement, Parigi, 1998; Parco Agricolo Sud Milano - Prometheus Editrice, Milano, 1999, con Gabriele Basilico; © Copyright Gianni Berengo Gardin, Peliti Associati, Roma, 2001; Gianni Berengo Gardin - Contrasto, Roma, 2005; Inediti (o quasi) - Contrasto, Roma, 2012; L’Aquila prima e dopo - Contrasto, Roma, 2012

Gianni Berengo Gardin - Calabria, 1966

Principali mostre personali • 1956, “Gianni Berengo Gardin”, Circolo Fotografico Padovano, Padova • 1965, “Gianni Berengo Gardin”, La Guilde du Livre, Losanna • 1975, “Twentieth Century Landscape Photographs”, Victoria and Albert Museum, Londra • 1985, “Il mondo”, Palazzo Dugnani, Milano • 1987, “Gianni Berengo Gardin”, Arles • 1991, “Gianni Berengo Gardin”, Musée de l’Elysée, Losanna • 1994, “The Italian Metamorphosis, 1943-1968”, Guggenheim Museum, New York • 1999, “Gianni Berengo Gardin”, Leica Gallery, New York • 1999, “Gianni Berengo Gardin”, Galerie Georg Eichinger, Berlino

• 2001, “Copyright”, Palazzo delle Esposizioni, Roma • 2003, “Les choix d’Henri CartierBresson”, Fondazione Henri CartierBresson, Parigi • 2005, “Gianni Berengo Gardin”, Maison Européenne de la photographie, Parigi • 2005, “Gianni Berengo Gardin”, Fondazione Forma per la Fotografia, Milano • 2006, “Parigi anni ‘50”, Galleria Fiaf, Torino • 2009, “La fotografia”, Ikona Gallery, Venezia • 2011 “Gianni Berengo Gardin: 19542010”, Wave Photogallery, Brescia

Gianni Berengo Gardin - Venezia, 1958

La Fondazione FORMA per la Fotografia e NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, organizzano il Master in Photography and Visual Design. Giunto alla sesta edizione, si tratta del primo e unico master accademico di settore legalmente riconosciuto offerto in Italia. Costruito con l’obiettivo di sviluppare competenze teoriche, tecniche e pratiche, questo programma di durata annuale è orientato alla formazione di fotografi, curatori, photoeditor e altre figure professionali specializzate nello studio e nel trattamento delle immagini fotografiche.

Progetto a cura di Forma Fondazione FORMA per la Fotografia

Le prossime uscite

Piazza Tito Lucrezio Caro 1 – 20136 Milano tel. 02.58118067 - 02.89075419 www.formafoto.it

Piergiorgio Branzi

Redazione: Francesco Di Summa, Valentina Ghiringhelli, Wang Jingjie, Laura Naranjo, Martina Orsini Impaginazione grafica: Filippo Koch Foto di copertina: Macchine fotografiche di Gianni Berengo Gardin Finito di stampare nel mese di maggio 2012 presso EBS, Verona

Franco Fontana Nino Migliori Ferdinando Scianna


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