80 ore con l'autore MARIO DE BIASI

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80

ore con

l’autore

Giornale gratuito redatto in occasione della manifestazione 80 ore con l’autore. A cura degli studenti del Master in Photography and visual design di Forma.

Fondazione FORMA per la Fotografia • Piazza Tito Lucrezio Caro 1 • 20136 Milano • tel. 02.58118067 - 02.89075419 • tel. 02.89075420 www.formafoto.it

Fondazione FORMA per la Fotografia

Mario De Biasi


NOTE BIOGRAFICHE

Mario De Biasi Nato a Sois (Belluno) nel 1923, Mario De Biasi si trasferisce a Milano nel 1938. Deportato in Germania nel 1944, inizia a fotografare con un apparecchio fotografico rinvenuto sotto le macerie a Norimberga. Rientrato in Italia frequenta il Circolo Fotografico Milanese dove nel 1948 organizza la sua prima personale. Alle Cascate Victoria Fotoreporter professionista dal 1953, nell’arco di un trentennio realizza per la rivista Epoca oltre cento copertine e numerosi reportage in ogni parte del mondo, come quelli sulla rivolta di Budapest (1956), sull’eruzione dell’Etna (1964), sugli astronauti dell’Apollo 11 (1969), sul Giappone (1970), sulla fame in Etiopia e sulla guerra in Israele (1973). Espone le sue fotografie in tutto il mondo e pubblica oltre 90 libri fotografici. Nel 1994 una sua foto, “Gli Italiani si voltano”, diventa il manifesto ufficiale della mostra “The Italian Metamorphosis” al Guggenheim Museum di New York. È vincitore di numerosi premi, tra cui l’Erich Salomon Preis a Colonia (1974), il Premio Saint-Vincent per il Giornalismo (1982), il Premio Festival di Arles (1994). Nel 2003 la FIAF lo insignisce del titolo di “Maestro della fotografia italiana”. Nel 2006 riceve dalla Città di Milano l’Ambrogino d’Oro.

Su Mario

De Biasi

Ha fotografato rivoluzioni, uomini famosi, paesi sconosciuti. Ha fotografato vulcani in eruzione e distese bianche di neve al Polo, a sessantacinque gradi sottozero. La macchina fotografica fa parte ormai della sua anatomia, come il naso e gli occhi. Bruno Munari Se si vuole davvero riconoscere Mario De Biasi, bisogna immaginarlo in azione, quando fotografa una cancellata, un numero civico, un portone, un tombino, un’insegna. Spinto da un forte senso estetico ma anche dell’antica saggezza contadina di chi non perde nulla, raccoglie “cose” che potrebbero venire buone e le inserisce non solo nel suo archivio ma anche nel database della sua formidabile memoria. Perché De Biasi è quello che parla in terza persona e ti aggiorna sempre, con sincero orgoglio, su quanto sta facendo; che non parla quasi mai d’arte e poi ti sorprende con una mostra di disegni, molti dei quali dedicati a grandi pittori di cui cita con efficacia lo stile; che non si risparmia

e racconta tutti i segreti al suo giovane assistente perché non teorizza che la fotografia è democratica ma lo dimostra sul campo; che frequenta tutte le mostre, dove si informa e parla con gli autori, anche quelli esordienti, non con la spocchia dell’uomo arrivato ma con quella del personaggio sempre curioso; che è dotato di una memoria ferrea e non perdona gli errori sulla sua storia perché trasmettono informazioni sbagliate “che solo finché sono ancora in vita si possono correggere”. Ma soprattutto, Mario De Biasi è quel fotografo che anche a ottanta anni, se gli chiedono di fare un calendario sulla frutta, non cerca le immagini nel suo immenso archivio, ma va al mercato, sceglie le mele e le pere migliori, allestisce un accuratissimo set sul balcone di casa utilizzando la luce naturale del mattino e scatta ancora con la stessa passione di quando, giovanissimo, cominciava ad osservare la vita dal mirino della sua Welta 6x6 senza telemetro. Roberto Mutti

“Il fotoreportage è soprattutto vita, non esercizio accademico; se la vita non interessa, conviene cambiare mestiere” MDB


Il poeta lavora quando sogna, ma Mario De Biasi è un poeta che sogna ben sveglio e poco sfugge alla sua sensibilità. Il suo obiettivo è una luce di cristallo che come la lente di un entomologo scava nel vero con impietosa minuzia e lo rielabora per riproporlo in immagini plagiate dalla memoria in ipertrofica enfatizzazione del reale. Di fotografia, Mario De Biasi davvero non ne ha mai abbastanza e a chi lo osserva dona la sensazione che egli si senta libero unicamente mentre fotografa, in intimo soliloquio con la propria fantasia. Alberto Piovani Mario De Biasi è uno dei pochi fotografi italiani qualificati nel fotogiornalismo internazionale, oltre a essere un protagonista della storia della nostra giovane fotografia, che egli ha percorso dal dopoguerra ad oggi con estrema coerenza, è un fotografo senza mezze misure, senza inibizioni estetiche e remore intellettualistiche; giornalista “tout-court”, per lui contano fatti, avvenimenti, situazioni. Il lavoro di fotografo è la sua ragione di vita e

ne coltiva il significato con un entusiasmo che rasenta la nevrosi, tale è la costante fertilità della sua produzione, sempre stimolante, mai inutile e gratuita. De Biasi possiede quasi un insopprimibile istinto fisiologico che lo conduce a fotografare, a fissare sul piccolo rettangolo fotosensibile gli attimi di vita selezionati acutamente dal suo occhio stroboscopico. Italo Zannier Mario De Biasi ha scelto e accettato la parte di narratore del nostro tempo. Viaggia il mondo a raccogliere volti, fatti, luoghi, avvenimenti, guerre, storie, storia, per raccontare a chi resta in casa e, seduto in comoda poltrona, si domanda come mai riesca – quest’uomo – a cogliere l’essenza di tutto quanto vede, in così poche e icastiche fotografie. Noi non sappiamo se – frapponendo l’obbiettivo tra sé e il soggetto – De Biasi resti coinvolto da protagonista nei fatti che descrive, o assuma il volto distaccato, disincantato, e a volte impietoso, del narratore puro. Noi optiamo per la prima ipotesi: per due ragioni. Prima, perché non si rischia la

“Non è necessario viaggiare per fare belle foto, basta guardarsi attorno. La bellezza è fuori l’uscio, in un campo di fiori di loto, in un bosco, nelle foglie bagnate di pioggia. Basta saperla vedere”. MDB

“Se uno fa questo mestiere sa che deve correre dei rischi. Io ho il vantaggio di non aver paura, il pericolo non lo considero. E pur essendo consapevole di quello a cui potrei andare incontro, mi preoccupo solo di fotografare. Pazienza, tanto un giorno o l’altro bisogna pur morire. Vede, se uno cerca una vita tranquilla, sicura, ci sono tanti tipi di lavori tra cui scegliere...” MDB

vita – come spesso ha fatto De Biasi – solo per il desiderio di “arrivare primo sul posto”, se non scatta dall’interno, la molla dell’entusiasmo. Secondo, perché, dopo certi stressanti “servizi” in capo al mondo, De Biasi sente la necessità di lavorare ancora fuori la porta di casa, a ritrovare il sapore delle piccole cose: e se le studia,

se le taglia, se le cuce, se le cura, per dare alla luce le serie de “L’alfabeto degli alberi”, “Gli innamorati”, “La maternità del mondo”, “La donnina di Milano”, e mille altre storie. Questa è passione, è partecipazione, è coinvolgimento totale, è coscienza. Carlo Geminiani


Faccia a faccia con

Mario De Biasi

Mario De Biasi intervista se stesso M. Come ben saprai, siamo qui per parlare di te e conoscerti un po’ meglio. DB. Sono a tua disposizione. M. Partiamo subito con l’intervista. Sappiamo dei tuoi infiniti interessi e anche della tua attrazione per qualunque cosa popoli il mondo, ma se proprio dovessi optare per un soggetto, su cosa ricadrebbe la tua scelta? DB. Su niente in particolare perché a me interessa tutto, è ovvio. Per esempio, qualche anno fa mi è stato chiesto di selezionare le dodici migliori foto di Mario De Biasi per un calendario e non sapevo proprio quali scegliere, perché per me sono tutte belle. Per quel che mi riguarda, il fatto in sé di fotografare una foglia, un personaggio di spicco oppure un evento, ha la stessa identica importanza. Ho molti interessi, non sono monocromo. M. Quindi, quando lavori e ti capita di vedere qualcosa che non stai cercando specificamente ma che comunque ti interessa, lo fotografi ugualmente? DB. Sì. Inoltre, ho un quaderno con tutte le idee che annoto (un quaderno che peraltro non mi serve a niente perché le idee le tengo tutte a mente. Ed è stato così tutta la mia vita). Persino quando ero a Epoca mi capitava di prendere l’iniziativa e creare dei servizi senza che nessuno me lo chiedesse. È capitato per esempio di essere a Londra per un servizio su Sean Connery, quando a un tratto, passeggiando per Hyde Park, ho visto una scena interessante: un gruppo di persone che banchettava e si rilassava nel parco. A quel punto, ho semplicemente cominciato a documentare il tutto. Una volta tornato in redazione, ho mostrato anche questo servizio al direttore che ha deciso

di pubblicarlo in dieci pagine col titolo “Vacanze a Hyde Park”. M. Nei tuoi lavori hai sempre usato la pellicola 35mm? DB. In linea di massima, sì. Una volta sola, in occasione dell’expo di Osaka del 1970, ho usato una Hasselblad. Per il resto, ho sempre utilizzato la fidata 35mm. Un po’ per comodità ma anche perché, se la pellicola è incisa, si possono fare ingrandimenti considerevoli e utili per mostre come per libri e cataloghi. Per esempio, per una mostra a Mestre abbiamo collocato in ogni sala ingrandimenti da negativo di 4 x 6 metri di grandezza. M. Hai mai pensato di provare il digitale? DB. Mai. M. Per un motivo in particolare? DB. Non mi interessa e non credo di averne bisogno visto che la pellicola funziona sempre così bene. M. È fuori discussione però, che qualcosa sia cambiato con l’avvento del digitale e in genere della tecnologia al servizio della fotografia. Come muta il mestiere del reporter in questo senso? DB. Cambia molto: adesso tutti si sentono fotografi solo perché andando in vacanza riescono a tornare con quattro belle foto. Essere fotografo però è ben altra cosa. Soprattutto lavorare per un giornale. Non è sufficiente realizzare delle belle foto ma è necessario spesso venire incontro alle diverse esigenze editoriali, anche solo avendo sempre a disposizione, ad esempio, una foto orizzontale e una verticale per ogni soggetto. M. Immagino però che questa capacità duttile, di potere fornire immagini per ogni esigenza editoriale, tu l’abbia

in Tanganica durante l’East African Safari

sviluppata col tempo e soprattutto con l’esperienza – probabilmente vissuta sulla tua pelle – di tante foto non pubblicate. DB. Certo. L’esperienza è importante. Così come lo è stato osservare i colleghi che non pubblicavano una prima pagina o una doppia perché non avevano la foto giusta, quella orientata nel verso esatto. Ricordo un collega, fotografo sportivo, che molto spesso non arrivava a pubblicare perché non riusciva, nelle situazioni di lavoro, ad avere sufficiente spazio di manovra. Quando devi seguire la concitazione dell’azione, infatti, non sempre puoi permetterti di ruotare la macchina e scattare nell’altro verso. M. A proposito di reportage, quanto è importante documentarsi prima di partire per un lavoro? DB. Ritengo sia di fondamentale importanza per poter portare a casa un lavoro di qualità. Durante la mia carriera a Epoca mi è spesso capitato di dover viaggiare verso luoghi sconosciuti di cui avevo una minima conoscenza. In questi casi, per prima cosa mi documentavo comprando libri o riviste. La preparazione è il fattore determinante che consente di portare a casa un lavoro mai banale. Per citare un caso, ricordo quando mi fu assegnato un servizio sul Sud Africa, che conoscevo poco. Grazie alla do-


cumentazione meticolosa che ho saputo raccogliere prima di partire, sono riuscito a fotografare anche elementi apparentemente banali ma rivelatori, come il fiore tipico di questa nazione, la Tropea Gigante. Questo fiore era ignoto al direttore che infatti sulle prime non voleva neanche pubblicarlo (in fondo, era solo un fiore). Ma quando poi gli feci presente che si trattava del simbolo del Sud Africa, acconsentì a inserire l’immagine nel servizio. In pratica, lo studio e la preparazione pagano sempre. M. Un altro consiglio che ti senti di dare ai giovani che si avvicinano alla professione? DB. Cerco sempre di insistere su quanto è importante imparare le lingue. Quante più possibili, perché saranno sempre di aiuto all’estero. In determinati contesti,

se viene meno la comunicazione non è possibile penetrare le storie e i fatti che vale la pena raccontare. E questo, inevitabilmente influenza la qualità del lavoro. Una situazione che non ci si può assolutamente permettere. M. Restiamo in tema reportage. Paolo Morello ti ha definito “il Robert Capa italiano”; altri invece ti hanno affibbiato il soprannome di “Italiano pazzo” dopo le vicende di Budapest del 1959. Credi che questi appellativi calzino oppure no? DB. Ho rischiato molto durante la mia carriera, è vero, e credo che tutto calzi a pennello. Ma questo rischio non ho mai voluto metterlo in mostra. In fin dei conti, svolgevo il mio mestiere e come tutti i mestieri al mondo anche il mio comportava dei rischi, che non necessaria-

Intorno a una foto

mente sono peggiori di chi, ad esempio, lavora per strada e rischia di essere investito quotidianamente. Per quanto riguarda l’epiteto di “Italiano pazzo”, le cose a Budapest sono andate in modo lievemente diverso da come sono state raccontate. Fu infatti un mio amico reporter, Jean-Pierre Pedrazzini, a essere colpito da un pezzo di granata. Era un bravo ragazzo, per di più giovane e la notizia mi colpì nel profondo. La sera stessa del ferimento, andai a trovarlo all’ospedale, ma nonostante il trasporto d’urgenza a Parigi per ricevere cure, non sopravvisse all’incidente. A Budapest credo di aver visto veramente fino a che punto possa arrivare la ferocia e l’odio umano ed è un ricordo pesante che mi sono sempre portato dietro durante tutta la mia carriera.

Sophia Loren allo specchio

Mario De Biasi è stato senza dubbio un maestro nei ritratti; quando infatti li si guardano con attenzione, si legge un forte legame tra il fotografo e il soggetto ritratto, pur non sentendo la presenza stessa dell’autore. Possessore di una spiccata capacità di persuasione, De Biasi riesce a gestire la posa, la luce e l’ambiente che sta intorno per ottenere la massima bellezza dei gesti più naturali. In questo ritratto di Sophia Loren, realizzato attraverso uno specchio, De Biasi gioca con riflessioni e texture, lavorando su linee parallele in contrapposizione alla forma arrotondata dello specchio. Questa foto è ricca di costruzioni grafiche, che senza dubbio sono state molto attentamente preparate dall’autore. Il mantello utilizzato da Sophia Loren, la sua espressione, combinate con il lavoro grafico del fotografo, danno vita all’immagine. Da notare anche l’allineamento delle righe riflesse nello specchio con la linea verticale della parete. Questa composizione fotografica dimostra l’abilità, non solo dal punto di vista grafico ma anche di complicità con l’attrice, dote indispensabile per poter realizzare immagini di questa forza. Alexandre Abi-Ackel Torres


Intorno a una foto

Milano città imprevista

Mario De Biasi racconta come dietro questa foto, che è la copertina del suo libro Milano Città Imprevista, ci sia una storia molto curiosa che è interessante narrare vista l’entità delle recenti nevicate su Milano e sull’Italia. Era l’inverno del 1985 e cominciò a nevicare per diversi giorni consecutivamente. Nessuno aveva memoria, tanto meno De Biasi, di aver mai visto tanta neve tutta assieme. All’epoca, l’unico fotografo autorizzato dal Comune di Milano a salire sul tetto del Duomo era proprio lui. Data la nevicata senza precedenti e visto l’interesse del fotografo per l’osservazione delle cose dall’alto, quella mattina De Biasi decise che sarebbe andato lassù, vicino alla Madonnina per capire cosa si vedeva. Una volta salito in cima, trovò un ammasso di neve tra le guglie che ostruiva la visuale e impediva di scattare la foto che lui aveva pensato. Lasciati quindi cavalletto e fotocamera, De Biasi prese a costruire con le mani l’immagine come l’aveva progettata. Nel suo lavoro resta peraltro un po’ di neve ai bordi dell’inquadratura, che appare molto interessante perché potrebbe sembrare parte di una nuvola, quasi come se lo scatto fosse stato fatto dal cielo. Questa doppia interpretazione della neve rende

l’immagine un’altra perla compositiva dell’infinita carriera fotografica di Mario De Biasi. Roberto Cortese

Intorno a una foto

Balletto

Mario De Biasi scatta questa fotografia nel 1953 a Rimini; l’idea iniziale era quella di fotografare delle ballerine in azione durante una performance. Incontrato il loro insegnante, subito De Biasi chiede l’autorizzazione a realizzare lo scatto che già aveva in mente. Tuttavia le ballerine non erano disponibili quella sera, dunque fu necessario rimandare. Il giorno successivo è lui stesso che si reca di prima mattina al Grand Hotel dove albergavano tutti gli artisti. Trovata una location adatta all’immagine progettata, senza dare ai ballerini la benché minima indicazione sulle direzioni da seguire, De Biasi sale su un balcone del primo piano per ottenere un punto di vista interessante. Una volta preparati nel dettaglio tutti gli elementi compositivi dell’immagine, non resta che effettuare lo scatto, unico come peraltro ricorda lui stesso. La splendida giornata di sole che arricchisce l’inquadratura delle ombre delle ballerine, la disposizione dei tavoli, fa di questo scatto un modello compositivo di assoluta bellezza. Un capolavoro impensabile al giorno d’oggi, come riferisce lo stesso De Biasi, ovvero nell’epoca della tecnologia che consente di fare dozzine di immagini tra cui scegliere la migliore. Maria Cristina Travaglio


Intorno a una foto

Gli italiani si voltano

12 settembre 1954. La rivista Bolero Film pubblica, sul numero 383, una immagine fotografica che farà storia. L’immagine ritrae di spalle la modella Moira Orfei in un vestito bianco che ne mette in evidenza le forme prorompenti e sensuali, che si accinge ad entrare con passo deciso nella Galleria di Milano. Di fronte, numerosi uomini, ammutoliti e immobilizzati, guardano la donna, soggiogati da quello che sembra una sfida al loro ruolo maschile. Si volta l’uomo con il quotidiano La Notte nella tasca della giacca, si blocca il giovane sulla Lambretta: nessuno dei presenti si sottrae all’omaggio alla bellezza sfrontata che gli si pone avanti agli occhi. “Gli Italiani si voltano” sarà il titolo della foto. De Biasi, che aveva personalmente scelto il vestito di Moria Orfei perché fosse esso stesso protagonista del reportage, aveva iniziato a scattare fin dal primo mattino in piazza San Babila, per poi proseguire lungo tutto corso Vittorio Emanuele e piazza del Duomo. Proprio qui il fotoreporter disse a Moira Orfei di dirigersi verso la Galleria e nacque lo scatto che ha scritto una delle pagine più famose della fotografia italiana. Con la forza simbolica della metafora e il realismo dell’indagine

di costume, l’immagine diventa il manifesto dell’Italia alla vigilia del boom economico, il ritratto di un Paese che ormai sta per cambiare valori e stili di vita e si accinge a diventare l’Italia della moda, del cinema, della bella vita, della televisione. Infatti la fotografia nel 1994 diventerà il manifesto ufficiale della mostra “The Italian Metamorphosis, 1943 – 1968” al Guggenheim Museum di New York. Francesco Di Summa

Intorno a una foto

Sophia Loren a Roma

Anche per realizzare questo splendido ritratto di Sofia Loren, Mario De Biasi cerca una soluzione innovativa per ricreare il set ideale per la riuscita del servizio. Il suo incarico prevedeva di realizzare un ritratto a Roma della Loren, da riprendere immersa in un insieme floreale. Arrivato nella capitale, De Biasi comprese che stava a lui trovare la soluzione migliore per il set, perché la location che gli avevano indicato non soddisfaceva le sue esigenze. La notte portò consiglio a Mario che, il mattino seguente, partì con la macchina alla ricerca di un rigattiere dove trovò una rete da letto sulla quale, con molta parsimonia e creatività, inserì tanti piccoli vasi di fiori, da utilizzare come sfondo per il ritratto. In questo modo, riuscì a creare una scenografia all’altezza della situazione. Come dimostra questa immagine, Mario De Biasi è un fotografo che non si rassegna mai a quel che trova, non si ferma davanti a niente ma crea, compone, mette in scena, si accorda con i modelli, trova sempre un valido escamotage per rendere i suoi servizi unici e personali. Giulia Signorotto


Bibliografia essenziale La Brianza, Lea, Roma, 1966; Finlandia, Tammi, Helsinki, 1969; Mamme, favole e bambini, Einaudi, Torino, 1972; Invito a Milano, Magnus, Udine, 1984 (con Luigi Barzini Jr); Milano città imprevista, Cordani, Milano, 1985; Il Romanzo del Legno, Magnus, Udine, 1987; Invito a Torino, Magnus, Udine, 1988; I Cortili di Milano, CELIP, Milano, 1990 (con Guido Lopez); Neorealismo e Realtà, Photology, Milano, 1994; New York 1955, Motta, Milano, 1995 (con Guido Gerosa); Budapest millenovecentocinquantasei, CRAF, Spilimbergo, 1995; Mario de Biasi. Fotografia professione e passione, Motta, Milano, 1999 (con Attilio Colombo); Il Mondo a Tavola, Motta, Milano, 2001; Cinque continenti in bici, Motta, Milano, 2001 (Claudio Gregori,); Viaggio dentro l’Isola, Ilisso, Nuoro, 2002; Mario De Biasi, Palermo, Istituto Superiore per la Storia della Fotografia, 2003; Frammenti della Natura, Indena, Sansepolcro, 2004; People, Damiani, Bologna, 2005; Budapest 1956, Palermo, Istituto Superiore per la Storia della Fotografia, 2006; Fotografie 1948-1978, Istituto Superiore per la Storia della Fotografia, 2006; Racconti d’acqua e di vita, Fotografie dal 1948 al 2006, Contrasto, Roma, 2007; Dal Fotogiornalismo alla Fotografia Astratta, Marsilio, Venezia, 2010.

Budapest 1956

Principali mostre personali e collettive • Le madre nel mondo, Santuario di

Brigitte Bardot a Venezia, 1957 • Mario De Biasi, Circolo Fotografico Milanese, Milano, 1948 • Istantanee di New York, Teatro della Ribalta, Bologna, 1957 • Hong Kong, Circolo Fotografico

Milanese, Milano, 1962 • Mostra fotografica di Mario De Biasi, capo dei servizi fotografici di Epoca, Museo civico, Biella, 1965

Giornale gratuito redatto in occasione della manifestazione 80 ore con l’autore. A cura degli studenti del Master in Photography and visual design di Forma.

Progetto a cura di Forma Fondazione FORMA per la Fotografia Piazza Tito Lucrezio Caro 1 – 20136 Milano tel. 02.58118067 - 02.89075419 www.formafoto.it

Oropa, Biella, 1971 • Giro nel mondo con Mario De biasi, capo dei servizi fotografici di Epoca, Sala Tizzoni, Vercelli, 1974 • Vent’anni di fotogiornalismo, Galleria Sagittaria, Pordenone, 1974 • Mario De Biasi, Photographers Gallery, London, 1976 • Mario De Biasi. 35 anni di fotografia (1947 – 1982), Palazzo della Crepadona, Belluno, 1982 • Contrasti giaponesi, Galleria Il Quadrangolo, Milano, 1985 • Italian Metamorphosis – Guggenheim Museum -New York – 1994 • Mario De Biasi. Neorealism and reality: Vintage photographs of New York and Italy, 1947 – 1960, Galleria Howard Schickler, New York, 1995 • “Il mondo a tavola” nell’arco di

Redazione Roberto Cortese Francesco Rocco Di Summa Giulia Signorotto Alexandre Abi-Ackel Torres Maria Cristina Travaglio Progetto grafico Daniele Papalini Foto di copertina: Omaggio dell’amico artista Roberto Rossi per l’ottantottesimo compleanno di Mario De Biasi, 2 giugno 2011 Finito di stampare nel mese di febbraio 2012 presso EBS, Verona

oltre 30 anni. Mostra in bianco e Nero di Mario De Biasi, Circolo Filologico Milanese, Milano, 1995 • Mario De Biasi, Istituto italiano di cultura, Los Angeles, 2004 • Budapest 1956, Parlamento europeo, Strasburgo, 2006 • Kaleidoscope d’itale, Centre d’art Dominique Lang, Dudelange, Luxemburg, 2009 • Dal fotogiornalismo alla forografia astratta, Centro Culturale Candiani, Mestre, 2010 • Ombre di guerra, Rotonda della Besana, Milano, 2011 • Fotografie realizzate in Giappone tra gli inizi degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’80 - Japan Câmera Museum, Tokyo, 2011 • Un mondo di baci, Espace Porta Decumana, Aosta, 2012

Le prossime uscite Mimmo Jodice Gabriele Basilico Gianni Berengo Gardin Piergiorgio Branzi Franco Fontana Nino Migliori Ferdinando Scianna


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