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Occhi che ridono e connessioni che piangono
- Grazie, prof. Al termine di una giornata lunga e faticosa, dedicata allo svolgimento dei colloqui dell’Esame di Stato, il mio telefono cellulare riceve questo messaggio Whatsapp. Dopo averlo aperto, mi rendo conto che esso mi è stato inviato da una studentessa che ha sostenuto la prova orale poche ore prima, superandola brillantemente. Non riesco a cogliere immediatamente il signifcato di quel ringraziamento, visto che le ho rivolto alcune domande relative a un testo letterario che abbiamo afrontato in classe nel corso della prima metà di questo sfortunato anno scolastico, esattamente come ho fatto con tutti gli altri suoi compagni, senza alcuna eccezionalità. Dapprima, mi sento un po’ imbarazzato nell’intraprendere una conversazione privata (non mi era mai capitato, infatti, così come non avevo nemmeno acconsentito a dare l’avvio ai cosiddetti “gruppi Whatsapp di classe”, ritenendo che ciò che dovrebbe essere utilizzato per fnalità didattiche sia destinato, rapidamente ed inevitabilmente, a degenerare nel ben noto cazzeggio… Tuttavia, dato l’inizio del lockdown, esperienza inedita e traumatica per ognuno di noi, e vista la sintonia instauratasi con la classe quinta, composta da ragazzi maturi e responsabili, ho deciso di accettare, fducioso, la loro proposta! Dopo ben due giorni d’attesa, ça va sans dire, il gruppo ha iniziato a pendere verso il previsto trastullo...), dopodiché ho pensato che la ragazza, oramai, ha concluso il proprio percorso scolastico e quindi, per lei, a questo punto, rappresento solamente un ricordo (sebbene molto recente, e si spera gradito). Le chiedo il motivo della sua gratitudine, avendole riservato un trattamen-
STEFANO MARTINI Docente di Lettere
Lockdown: zaini lasciati dagli studenti che non sono potuti rientrare a scuola
to del tutto identico a quello dei propri sodali, ricevendo questa bizzarra risposta: - perché quando ho commesso un errore, Lei mi ha guardato e io mi sono subito corretta. Va ricordato che tutti i commissari d’esame, nel corso del colloquio, hanno dovuto indossare la mascherina, per cui l’unica parte scoperta del viso dei professori era quella degli occhi, che la studentessa deve avere osservato con attenzione. - Davvero?, rispondo piuttosto incredulo e sbigottito. - Sì, quando dicevo cose giuste, Lei aveva i suoi soliti occhi, mentre quando ho sbagliato li ha socchiusi, come in un gesto di soferenza, e ho capito di dovermi immediatamente correggere. Dopo il mio ripensamento, infatti, sono tornati sorridenti. Resto imbambolato per all’incirca un minuto, concentrato sull’enigmatico passaggio legato ai “soliti occhi”. Scusandomi per l’ingenuità, domando chiarimenti su questa espressione che non riesco a decifrare con le mie sole forze intellettuali, largamente compromesse da mesi di quarantena e di videolezioni selvagge... - Quando Lei è contento e/o soddisfatto, ha gli occhi che ridono. Li tiene completamente aperti per diversi secondi, luminosi e grandi. Rimango strabiliato, dopo aver letto queste parole. Mai, nel corso della mia vita, mi è stato rivelato o fatto notare nulla di simile. Rifetto su ciò che la ragazza ha riferito, e penso che ciò che mi ha detto possiede delle basi di verità, sebbene, in precedenza, io non ci avessi mai fatto caso. Mi stupisco di come una studentessa possa essere rimasta colpita da un dettaglio come questo, tra tutti quelli che ha avuto la possibilità di osservare nel corso di un esame lungo, impegnativo e senz’altro intimorente. Spesso, gli insegnanti sono portati a credere che i propri studenti siano costantemente distratti, immersi nelle proprie faccende personali, con la testa posizionata al polo opposto rispetto a quello in cui si trova la scuola, e invece essi possono dimostrarsi in grado di notare e di dare peso a particolari che a noi adulti, sovente, sfuggono… Medito ancora per qualche istante e penso che “occhi che ridono” è un’espressione che mi piace molto, e che farò mia (la ragazza accetterà, in seguito, di concedermi i diritti di sfruttamento della sua tagline). Un pochino imbarazzato, ma senz’altro contento, le rispondo che sono felice di essere riuscito a comunicarle i miei pensieri attraverso gli occhi, avendola potuta, in tal modo, aiutare, pur senza accorgermene, e che vi presterò attenzione, nel mio prossimo futuro. Vedendomi interessato ad approfondimenti in materia, la studentessa aggiunge: - anche in classe, quando ci guarda fsso negli occhi, dalla cattedra, capiamo subito cosa pensa e se è felice oppure scontento. Data la sua disponibilità, decido di immergermi completamente nella questione. - Davvero? - Sì, lo notiamo immediatamente. Non riesce a fngere, anche se a volte ci prova... La sgamiamo subito! Sono troppo curioso di proseguire il dialogo per sofermarmi sull’inopportunità dell’ultima voce verbale (sebbene, valutando usi e costumi del linguaggio social, questo sia puro “dolce stil novo”), e ribatto, sconsolato: - Quello che mi dici è estremamente preoccupante per la mia intera esistenza! - No, è bello. - Dici? - Certo! Ottimo, in pochi minuti ho scoperto che i miei occhi ridono quando gli studenti rispondono correttamente, o semplicemente compiono il proprio dovere, e che non sono in grado di essere altro da ciò che sono, pena l’essere prontamente stanato dagli arguti fanciulli. La ragazza mi ha venduto tale informazione come se si trattasse di un aspetto inequivocabilmente positivo, tuttavia conservo il dubbio che ciò costituisca, in realtà, un limite.
Ad ogni modo, giungo alla conclusione che essere sempre sé stessi di fronte ai ragazzi, senza infngimenti, non sia poi questa gran tragedia. Forse… La conversazione continua con un vivace scambio di impressioni su questo scalognato anno scolastico, funestato dalla propagazione pandemica del Covid-19, che ha visto il nostro Paese tra i maggiormente colpiti a livello mondiale. A causa di ciò, la seconda parte di esso, dal mese di marzo in avanti, ha visto l’avvio della cosiddetta “didattica a distanza” (DaD), resa possibile attraverso l’utilizzo dell’applicazione Google Meet, che ha consentito a studenti e insegnanti di collegarsi tra loro in diretta audio/video, al fne di proseguire e concludere lo svolgimento del programma scolastico, compresa la preparazione al colloquio orale dell’Esame di Stato (le due prove scritte canoniche non hanno, infatti, potuto avere luogo, per evidenti motivazioni legate alla sicurezza sanitaria). Ricordo molto bene il primo esperimento di hangout con i ragazzi di quinta, quando sono entrato nella videoconferenza, fssata precedentemente, con la classe già schierata nella sua interezza, e ho “abbandonato la riunione” (vanno utilizzate le terminologie corrette!) immediatamente, dovendomi, pertanto, riconnettere, con somma ilarità dei pargoli. La seconda volta, non avrei mai potuto commettere il medesimo errore, pena la totale perdita di credibilità (sperando di non averla, magari, già smarrita da tempo, senza essermene accorto...) e, infatti, ciò non è accaduto. Ho, tuttavia, semplicemente, iniziato la lezione con il microfono spento, parlando da solo per due minuti buoni (peccato, mi ero piaciuto!). Quando un ragazzo ha osato chiedere prof., c’è?, ho compreso il problema e ho rimediato, biasimando le mie
Lockdown: viale d’accesso all’edificio scolastico, tutti assenti. 20 marzo 2020 ore 12:40
dubbie competenze informatiche e ottenendo la loro clemenza (interessata, ovviamente! Hai visto mai che non si possa ottenere qualcosa, solidarizzando con il tapino...). Anche loro, tuttavia, pur essendo tutti dei giovanotti sgarzuli, hanno mostrato qualche vistoso segno di cedimento. Più di una volta, infatti, qualcuno ha lamentato di non sentire bene la mia voce, oppure quella di un compagno, chiedendo, con sempre opportuna e squisita cortesia, di ripetere il concetto, con sommo disappunto del malcapitato (il sottoscritto, nel 90% dei casi), per non parlare di fastidiosi, per quanto prevedibili ed inevitabili, incidenti domestici (una mamma che passa un’aspirapolvere pronta per decollare verso Marte, l’abbaiare incessante e ad altissimo volume di un simpatico cagnolone di taglia equina, un neonato che non può esimersi dall’esprimere platealmente - e assai lungamente - il proprio dolore o disappunto, inquietanti sagome umane che appaiono e scompaiono dietro la postazione dello studente, un fratellino che fa cadere inavvertitamente qualche oggetto di vetro sul pavimento, con relativa imprecazione purtroppo non bippabile, un’ambulanza che sta correndo a sirene spiegate per soccorrere qualche ragazzo ferito a causa di sgradevoli eccessi legati a ferine colluttazioni volte alla presa di possesso dell’unico laptop disponibile in casa… Simpatici episodi che, quasi sempre, hanno trovato la propria degna conclusione nell’urlo belluino di un compagno stizzito: spegni il microfonooooo!!!! Va aggiunto che ciò vale unicamente per gli studenti più rafnati, altri optano per dedicare all’incolpevole apparecchio degli epiteti particolarmente salaci ed espliciti, qui irriferibili, ma solamente dopo il terzo invito ad eseguire la semplice operazione, mai prima!), conditi da qualche curiosa distorsione trap nell’audio (un concerto di Ghali, parlando di D’Annunzio… magari il Vate lo avrebbe anche gradito, con tutte quelle ragazze in adorazione!), oppure dall’avvento di situazioni alienanti e distopiche quali non mi funziona il microfono, uso la chat, per non riferire di vedo, ma non sento o di sento, ma non vedo... Benvenuti in corsia, siamo in attesa del primario! Non si contano, infne, gli abbandoni (giurano involontari) nel bel mezzo della videoconferenza, seguiti da (quasi) subitanei rientri, con annesse giustifcazioni (non mi regge la connessione, la Sua lezione richiede più banda di Fifa 2020... nella speranza che i piccini mi vogliano, perlomeno, mantenere in serie A, senza volermi cedere di buon grado a qualche sgangherata squadra della Terza Categoria, sostituendomi con una di quelle graziose e giovanissime professoresse alle quali gli ormonosi adolescenti in questione sono soliti mandare decine di cuoricini su Instagram, e con le quali non potrei davvero competere...). La ragazza mi rivela di essersi alquanto divertita, nel corso di queste nostre intrepide videoconferenze, visto che i momenti di ironia e di alleggerimento non sono certo venuti a mancare (tutt’altro, ci sono stati persino sporadici momenti di lezione al loro interno!), anche in prossimità del temuto esame di Stato, fortunatamente svoltosi in presenza, pur con la dovuta osservanza di un rigido protocollo di sicurezza. Con sincerità, la studentessa mi rivela di essere contenta di non dover tornare in aula il prossimo anno scolastico, date le numerose e faticose misure di contenimento del contagio che dovranno essere attivate e scrupolosamente rispettate. - Io, però, dovrò tornare a scuola!, replico con dolore... - Bocciato, prof. - Come come? - L’anno prossimo, per penitenza, dovrà ancora insegnare a distanza, indossare sempre la mascherina, senza poter parlare, utilizzando unicamente gli occhi! - Quelli che ridono? - Esatto. - E se non dovessero più ridere, a causa del possibile ritorno della pandemia? - Non succederà... - Come fai ad esserne così sicura? - Li abbiamo visti ridere sempre