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La nascita dell’Istituto Tecnico Agrario
ANDREA SEGNANA Docente di Materie letterarie
Prima di raccontare le vicende che hanno portato alla decisione di istituire un Istituto Tecnico Agrario a San Michele, innovando con tempismo e lungimiranza la tradizionale scuola agraria esistente, è opportuno ricordare le caratteristiche della situazione economica trentina, e in particolare dell’agricoltura negli anni ‘50, che costituiscono la cornice di riferimento della nascita dell’Istituto Tecnico Agrario. La scelta, infatti, derivò dalla constatazione che stava cambiando rapidamente il quadro di riferimento dell’agricoltura trentina e occorreva preparare una nuova generazione di tecnici che potessero raccogliere le sfide del dopoguerra e rispondere alle nuove esigenze. All’inizio degli anni ‘50, la Provincia di Trento possedeva ancora una struttura economica arretrata, per la scarsità delle risorse naturali, per la grande differenza esistente tra le aree in cui era diffuso un certo benessere e le zone depresse periferiche, e per la notevole disoccupazione che determinava un costante e considerevole fenomeno migratorio. L’economia trentina si basava ancora prevalentemente sull’attività agricola e su quella forestale nelle quali era impiegato circa il 40 per cento degli occupati. La Democrazia Cristiana trentina, che governava la Provincia e la Regione, non era molto incline all’industrializzazione, perché temeva la formazione di un proletariato politicizzato e la rottura dei tradizionali equilibri legati al mondo contadino, per cui puntò prevalentemente ancora sull’agricoltura, almeno fino alla fine del decennio. Molto presente su tutto il territorio provinciale era il movimento cooperativo cattolico, con il SAIT che a quel tempo era il più importante ente economico-commerciale della Provincia. L’agricoltura trentina era caratterizzata da una redditività scarsa e una bassa competitività sui mercati. La sua arretratezza derivava anche da un modesto livello di meccanizzazione, da una scarsa specializzazione delle colture, dalla parcellizzazione della proprietà privata e dalla perdita degli sbocchi commerciali tradizionali dell’Europa centro-orientale a causa della Guerra fredda. Le aziende erano quasi tutte piccole e dedite alla coltivazione promiscua e si verificava un progressivo abbandono della terra che stava portando al graduale spopolamento delle zone di montagna. Dalla metà degli anni ‘50, però, fu avvertita l’esigenza di imprimere una svolta all’agricoltura locale, nella direzione di una sua razionalizzazione e modernizzazione, per aumentarne la competitività. Anche perché, con la firma del Trattato di Roma che prevedeva la nascita della Comunità Economica Europea nel ‘57, divenne urgente mettersi in grado di sostenere le sfide all’interno del futuro mercato
comune europeo. L’Istituto Agrario fu uno degli strumenti usati per dare impulso alle trasformazioni in atto, che videro negli anni ‘50 in Trentino la diminuzione consistente della superficie dedicata ai seminativi (soprattutto alla patata) e un incremento della coltivazione specializzata di melo e vite. In realtà, nel dopoguerra l’Istituto aveva vissuto un periodo molto difficile e la sua situazione economica era stata sull’orlo del baratro, tanto che nel ‘47 erano mancati per un po’ i soldi per pagare gli stipendi ai dipendenti e il CdA era arrivato a discutere la sospensione dell’attività per l’anno scolastico ‘47-’48. Il Presidente Giulio Catoni si era recato a Roma da De Gasperi, con il “cappello in mano”, come si usava dire a quei tempi, per chiedergli di trovare una soluzione. Per quanto riguarda la scuola, la nascita della Regione autonoma aveva già nel ‘49 suggerito al CdA di studiare dei provvedimenti per dare all’esistente Scuola Tecnica Agraria un nuovo assestamento e proporre delle alternative alla questione del finanziamento statale, visto che l’Istituto era gestito dal 1926 da un Consorzio tra Stato e Regione, con lo Stato spes-
so riluttante a fare la sua parte. Catoni riteneva che occorresse puntare ad elevare la scuola a Istituto Agrario Statale, sia per risolvere il problema dei finanziamenti sia per permettere il conseguimento del titolo di Perito Agrario al posto di quello di Agente rurale che non era riconosciuto dallo Stato nei concorsi e non consentiva alcuna abilitazione e iscrizione all’albo professionale. Per Catoni, si doveva far nascere un Istituto Tecnico specializzato in viticoltura, frutticoltura e zootecnia. In quest’ultimo settore, non vi erano esempi in Italia, per cui sarebbe stato il primo ad avere tale specializzazione. L’assessore provinciale all’agricoltura Italo Tranquillini, esponente della Democrazia cristiana, era d’accordo e così venne dato l’incarico a Enrico Avanzi, ex Direttore dell’Istituto e professore universitario ben introdotto nel Ministero, di interloquire direttamente con il Governo per sostenere la riforma. Quando poi Tranquillini venne nominato Presidente dell’Istituto Agrario al posto di Catoni dimissionario, nel suo programma il primo punto fu dedicato proprio al potenziamento della scuola. Il CdA decise di studiare a fondo la questione per individuare il tipo di scuola da mettere in piedi e nella seduta del 5 aprile 1951 incaricò il direttore Bonetti e il consigliere Guglielmo Banal, assessore provinciale democristiano alla pubblica istruzione (Democrazia cristiana) di studiare la possibilità di dar vita a un Istituto Tecnico Agrario. I due visitarono assieme i principali istituti del Nord Italia per comprendere le peculiarità di tale indirizzo scolastico, ma alla fine non se ne fece nulla. I tempi non erano ancora maturi. Il 24 agosto 1953 si insediò un nuovo CdA e la presidenza dell’Istituto passò all’assessore provinciale democristiano all’agricoltura Luigi Della Rosa che affermò di voler “continuare la via dell’ascesa dell’Istituto Agrario”, sviluppando l’idea di Tranquillini. Ma mancavano i fondi per poter investire, i conti della scuola erano ancora in rosso e lo Stato nicchiava e non contribuiva a ripianare le perdite. Si arrivò così, come extrema ratio, ad aumentare considerevolmente il costo della retta per il convitto. Gli ex studenti di San Michele nel ‘46 avevano costituito l’UDIAS (Unione Diplomati Istituto Agrario di San Michele) e negli anni successivi avevano manifestato, a nome del mondo agricolo trentino, una duplice esigenza: lo sviluppo di un nuovo e più avanzato modello di formazione e una più puntuale attività di ricerca e sperimentazione agraria. Alla fine del ‘55 un gruppo di ex licenziati tra il ‘30-’31 e il ‘35-’36, con il titolo di Agente rurale, chiesero ufficialmente al Ministero della Pubblica Istruzione il riconoscimento del titolo di Perito agrario, naturalmente previo superamento de-
A: Fine anni ‘50: stalla in costruzione B: Vista dell’azienda agricola nei primi anni ‘60
A B
Laboratorio scolastico alla fine degli anni ‘50
gli esami integrativi necessari. Il CdA sostenne questa iniziativa e chiese ancora ad Enrico Avanzi di perorare tale causa a Roma. Ma solo nel 1968 gli Agenti rurali poterono iscriversi all’albo dei Periti agrari. Nell’assemblea del 30 dicembre 1956 la stessa UDIAS, allora presieduta da Bepi Andreaus e grazie anche all’impulso di Cornelio Galvagnini e Ferdinando Tonon, votò un OdG che invocava sia l’istituzione dell’Istituto Tecnico Agrario sia l’adeguamento della scuola alle attese dell’agricoltura locale, e che fu inviato all’avvocato Della Rosa, presidente dell’Istituto Agrario. L’UDIAS nei mesi successivi fece pressione sulla Giunta provinciale affinché si decidesse ad attivarsi. Per poter diventare tecnici, molti licenziati dell’Istituto dovevano sostenere le spese di un percorso scolastico fuori regione. Le accennate trasformazioni dell’agricoltura trentina richiedevano un numero sempre maggiore di tecnici di settore. Erano gli anni in cui si manifestava un aumento abnorme dei consorzi ortofrutticoli, anche grazie ai contributi della Regione, con la costruzione di numerosi magazzini, e cresceva il ruolo delle cantine sociali che, a differenza dei singoli produttori o commercianti, disponevano delle risorse necessarie per modernizzare le proprie attrezzature, assicurare ai propri soci un costante aggiornamento tecnico ed effettuare un monitoraggio dei mercati. Nascevano i primi consorzi di secondo grado: nel campo frutticolo il Consorzio delle Cooperative dei Produttori Agricoli (CCPA) e in quello vitivinicolo il Consorzio delle cantine sociali del Trentino, con la Grande cantina viticoltori di Trento che fungeva da centrale. In questo modo, aumentò la richiesta dei tecnici di settore e si crearono anche delle opportunità nel campo della consulenza agricola. Insomma, in Trentino c’era una domanda di profili di tecnico agrario che non si riusciva a soddisfare a pieno. Il cambio di passo e la determinazione a realizzare l’Istituto Tecnico si palesarono finalmente, e con forza, nel maggio del ‘57 in seguito alla nomina alla Presidenza dell’Istituto Agrario dell’avvocato Bruno Kessler, allora Assessore provinciale alle Finanze. Subito, il nuovo Presidente chiese di poter visitare tutti gli altri Istituti Agrari per poter rendersi conto di quali fossero le realtà esistenti e poter poi proporre un piano di sviluppo. Nei mesi successivi sondò il terreno a Roma e il 14 aprile 1958 fece approvare dal CdA la richiesta formale al Ministero della Pubblica Istruzione di autorizzare l’apertura di un Istituto Tecnico Agrario non statale a indirizzo ordinario, dicendosi determinato a seguire la pratica fino in fondo. La motivazione a sostegno era che “la necessità di dar vita in Regione a una scuola del genere si rende quanto mai evidente, essendo un tale ordine di studi più confacente per una nuova preparazione tecnica e professio-
nale quale è richiesta dal progresso tecnico attuale dell’agricoltura”. Si decise di far partire la prima classe con l’anno scolastico successivo, cioè il ‘58-’59, sempre che il Ministero della Pubblica Istruzione fosse d’accordo. Ma ci fu un intoppo. A Roma si decise in un primo momento di istituire a San Michele un Istituto Tecnico Statale, non cioè regionale, come richiesto. Era la vecchia idea di Catoni, che però non era più attuale perché a Trento e a San Michele ci si era resi conto che la gestione in autonomia avrebbe potuto permettere una maggiore libertà di decidere nel merito e, soprattutto, un maggior potere di indirizzo da parte della Giunta provinciale. Kessler riuscì a far sospendere un decreto ministeriale che era già stato emanato in tal senso e ricevette le assicurazioni dal Direttore generale dell’istruzione che la pratica relativa all’istituzione di un istituto non statale sarebbe andata presto in porto. Per l’assessore provinciale all’istruzione Banal si sarebbe dovuto distinguere nettamente il nuovo Istituto Tecnico, destinato a formare professionisti che avrebbero dovuto ricoprire ruoli direttivi, dalla vecchia scuola tecnica adatta a preparare operai agricoli altamente qualificati e che si sarebbe dovuta trasformare in un centro di istruzione professionale, come stava avvenendo in tutta Italia secondo gli indirizzi ministeriali di allora. Per la parte finanziaria, la Provincia assicurò contestualmente il pieno appoggio alla nuova iniziativa, impegnandosi a sostenerla anche se lo Stato avesse deciso di non contribuire limitando il suo apporto alla vecchia scuola. I principi sui quali si sarebbe dovuto basare il nuovo indirizzo di tecnico agrario erano per Kessler l’estrema serietà degli studi, il massimo impulso alla parte pratica e l’insegnamento praticamente obbligatorio della lingua tedesca, soprattutto per facilitare l’assorbimento dei diplomati nel mondo del lavoro. Al momento, in quell’estate del ‘58, si ritenne prematuro affrontare la questione della specializzazione da attivare, quantunque l’Istituto Tecnico fosse attrezzato specialmente per l’enologia, la viticoltura e la frutticoltura, mentre si scartò la proposta di formare tecnici in economia montana, perché i quadri del reparto forestale erano carenti di operai più che di personale direttivo. A differenza che nella proposta di Catoni del ‘49, non si prese nemmeno in considerazione l’ipotesi della zootecnia. Il rappresentante del Consiglio degli insegnanti, il dott. Aldo Baruchelli, insegnante di Educazione fisica, intervenendo in CdA ricordò come gli insegnanti avessero espresso inizialmente dei dubbi sull’istituzione dell’Istituto Tecnico, ma che le motivazioni addotte da Kessler e Banal avevano contribuito a fare chiarezza e a risolvere
Foto di fine corso fine anni ‘50: il direttore Silvio Bonetti (in prima fila il quinto da sinistra) e il Presidente Italo Tranquillini (in prima fila il settimo da sinistra)
C: Il presidente Kessler in mensa con suor Fabiola (a sinistra) D: 1956 foto di gruppo in occasione della rifondazione dell’UDIAS tutti i dubbi. Purtroppo, la mancanza della lettera degli insegnanti al CdA nell’Archivio della FEM non ha permesso di conoscere nel merito quali fossero le perplessità degli insegnanti. Kessler in quell’estate lavorò alacremente. Pensando a una scuola d’eccellenza, chiese al professor Luigi Manzoni, insigne agronomo e Preside della Scuola enologica di Conegliano, di accettare l’incarico di Preside a San Michele, ma l’inventore del vitigno Incrocio Manzoni declinò l’offerta a causa delle sue condizioni di salute e propose di designare suo figlio Giovanni, professore di viticoltura ed enologia sempre a Conegliano. Manzoni junior (così veniva indicato nei verbali del CdA) consegnò una relazione su come si sarebbe potuto sviluppare il nuovo Istituto Tecnico e, dopo aver ottenuto l’autorizzazione da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, accettò la proposta. Sandra Tafner, nel volume da lei dedicato alla storia dell’Istituto, scrive che Manzoni disse a Kessler che sarebbe venuto in Trentino solo se ci fosse stata l’intenzione di costruire un istituto migliore di quello di Conegliano e il politico solandro accettò senza esitazioni la sfida. Prima che nell’autunno del ‘58 iniziassero le lezioni della nuova e unica classe prima di 36 studenti, ci si pose il problema che il nuovo Istituto avrebbe avuto bisogno di una nuova sede, visto che aule e convitto già riempivano l’edificio del monastero. La Provincia stanziò subito 60 milioni per il nuovo edificio, sollecitata anche dall’Ispettore ministeriale che aveva constatato la carenza di spazi durante la sua visita di controllo. Nella seduta del CdA del 13 maggio 1959, Kessler comunicò che la costruzione, nella quale avrebbero trovato uno spazio idoneo anche i nuovi laboratori di chimica, non sarebbe stata ultimata prima dell’autunno 1961, per cui nel frattempo sarebbe stato necessario ricavare quattro nuove aule nell’edificio “Casa nuova”, per le classi degli anni successivi, e ampliare il convitto. In realtà, per realizzare la nuova scuola ce ne vollero molti di più e l’inaugurazione avverrà all’inizio dell’anno scolastico 67’-’68. Si possono ricondurre quindi i meriti della scelta di istituire l’Istituto Tecnico a un insieme di fattori concomitanti di carattere politico, economico e professionale. Certamente l’attivismo e la determinazione di Bruno Kessler furono decisivi, ma egli operò sulla base delle sollecitazioni sempre più forti che provenivano dagli stake holders di allora: la parte più avanzata e innovativa del settore agricolo, il mondo della cooperazione e l’UDIAS. Una convergenza sinergica che permise di poter dare una risposta alle attese di un mondo contadino che stava per affrontare un periodo di grandi cambiamenti. Una scommessa vinta da Kessler che negli anni successivi come Presidente della Giunta provinciale porterà avanti altre riforme che trasformeranno il Trentino.
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