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Franco De Francesco
Un “grande” che ha fatto grande S. Michele
Ho conosciuto ed ho avuto modo di apprezzare le sue pressoché inimitabili capacità didattiche nell’aprile del 1969. Allora De Francesco era direttore del laboratorio di analisi e ricerca, che proprio lui aveva fatto ampliare e poi portato a livello europeo se non addirittura mondiale, superando di gran lunga altri consimili in quanto a fama e reputazione scientifica: frequentavo il sesto anno dell’ITA (specializzazione viticoltura ed enologia) e il prof. Romano Janeselli (docente di chimica viticolo-enologica), alla cui cattedra, tra l’altro sarei subentrato nel 1981, in vista dei “rinnovati” Esami di Stato, chiamò De Francesco per farci un “approfondimento”sul PH (in particolare del vino). Rimasi letteralmente folgorato dal modo in cui De Francesco sapeva trasmettere ai discenti le sue profonde conoscenze scientifiche, e, soprattutto dalla capacità di farle capire come se altro non fossero che le cose più semplici e banali del mondo: le differenze tra attività degli ioni H+ e concentrazione idrogenionica delle soluzioni acquose (diluite) le ho imparate proprio in quell’occasione e me le sono portate appresso, senza dimenticarle quindi, fino ad oggi. Ma facciamo un passo indietro; De Francesco (classe 1926, quindi coetaneo del suo e mio grande amico Luigi Veronelli) è stato chiamato a S. Michele (era nel reparto del laboratorio d’igiene di Trento) dal neo-presidente dell’Istituto Agrario, Bruno Kessler, nel 1958, con il preciso incarico di “riordinare, ampliare e potenziare (anche sul piano della credibilità internazionale) il laboratorio chimico (allora annesso alla Stazione Sperimentale) per farne un “gioiello” dell’Istituto Agrario e quindi della Provincia. Ma Kessler conosceva molto bene le capacità diplomatiche di De Francesco, tanto che quando si presentò la necessità di “andare a pescare” un preside per il neonato Istituto Tecnico Agrario che subentrava (anche su pressioni UDIAS) alla Scuola Tecnica, alla fine di agosto 1958, lo incaricò, assieme al direttore Bonetti di contattare quel professor Luigi Manzoni che tanta fama si era guadagnato all’Enologica di Conegliano (ITAS G.B. Cerletti). Nonostante le sue innate doti di organizzatore ed abile stratega ed i supporti di convincimento dal punto di vista economico (garantiti da Kessler), l’ambasciata nella “città d’arte e
FRANCESCO SPAGNOLLI Già Dirigente del Centro Istruzione e Formazione
Inizio visita. Da sinistra a destra, il Sindaco Zeni, Autorità provinciale, Prof. Franco De Francesco, Ministro Gui, Prof. Giovanni Manzoni, Presidente Bruno Kessler
Brochure del XXXI convegno enotecnico nazionale del vino” si concluse con l’accordo di portare al C. di A. di S. Michele la proposta di assumere con l’incarico (inizialmente part time) non “El Bauco” (soprannome rifilato dagli studenti dell’Enotria al preside Luigi) quanto piuttosto “El Baùchet”, cioè il figlio. Dalle indiscrezioni trapelate (riferitemi personalmente da De Francesco) il “professore” avrebbe proferito proprio in quell’occasione “mi son vècio, però gàvaria me fio…” La sua ammirazione per il vino era tanta e tale da farlo risultare tra i soci fondatori della Confraternita della vite e del vino di Trento, ancora nell’aprile del 1958. Fu in quel periodo (era da poco approdato a S. Michele) che si dedicò anche a mettere a punto la tecnica di preparazione della versione trentina dell’uvaggio bordolese, quella stessa che di lì a poco avrebbe portato alla concretizzazione del mitico Castel S. Michele, supportato nelle sperimentazioni dal neo-direttore della cantina Riccardo Zanetti e soprattutto (per l’aspetto degustativo dal neo-preside Manzoni: tre “neo” ma tutt’altro che neo sotto il profilo enologico! Con Manzoni, De Francesco “legò” subito, tanto che, vista la sua innata dote di docente, e l’ammirazione da parte del direttore Bonetti, ebbe l’incarico di insegnare chimica generale agli alunni del nascente ITA, oltre che quello di vice-preside, quasi a tempo pieno visto il part-time con cui il preside Manzoni doveva condividere l’insegnamento di viticoltura ed enologia nella “statale” di Conegliano. Dal lavoro sul Castel s. Michele, ed in maniera scientifica, come solo lui sapeva fare, diede un ampio resoconto in occasione degli incontri-dibattito sui vini trentini organizzati dalla CCIAA di Trento nella primavera del 1974: “dieci anni di esperienze sull’uvaggio Cabernet-Merlot” fu il titolo della relazione nella quale descrisse, anche con una poderosa dose di dati analitici, tutte le esperienze, annata dopo annata, realizzate presso la cantina dell’Istituto. anche questo dimostra come, a S. Michele, De Francesco abbia rappresentato quanto mai una figura “trasversale” da scienziato della chimica, potenziando e portando ai massimi livelli il “suo” laboratorio, alla scuola, insegnando la “sua” materia presso il neo-nato ITA, sperimentando in cantina e pubblicando una numerosa serie di lavori di notevole spessore scientifico che contribuirono in maniera decisiva ad attirare su S. Michele l’attenzione dei più conclamati centri di ricerca europei operanti nel comparto della viticoltura e dell’enologia. Non solo, ma De Francesco fu anche un uomo di grande carisma e mediazione diplomatica, al punto di riuscire ad ottenere dal Ministero dell’agricoltura quella fiducia che gli consentì di
far affidare a S. Michele il Servizio repressione frodi (oggi ICRF), di cui fu direttore per diversi anni. Intorno agli anni sessanta la fama di De Francesco era all’apice (che comunque fu tutt’altro che effimero), tanto che l’editore Dino Fossi lo contattò per coordinare un gruppo di lavoro che avrebbe dovuto predisporre il materiale per dar luce all’Enciclopedia dell’agricoltura: nell’accettare il prestigioso quanto non agevole incarico, De Francesco coinvolse un gruppo di giovani entusiasti professori dell’ITA ed altri “personaggi” di S. Michele (Tarcisio Corradini, Giovanni De Stanchina, Sergio Ferrari, Livio Marchesoni) cui poi si sarebbe aggiunto anche Mario Bauer; il supporto organizzativo e logistico era stato affidato (dallo stesso Editore) a Paolo Magagnotti, il quale, ovviamente, si era tutt’altro che dimenticato il suo professore di chimica. A questo punto voglio, però, raccontare un fatto personale che di interseca profondamente con l’esperienza sanmichelotta di De Francesco:nell’autunno del 1971, il sottoscritto, studente di biologia a Padova, appena entrato in internato all’istituto di botanica, concordò con il prof. Curti di svolgere la tesi di laurea sul “marciume nobile dell’uva” e del suo determinante contributo ai grandi vini provenienti dagli acini infavati (Sauternes, Beerenauslese e Trockenbeerenauslese, Tokai, etc..). Contattai De Francesco, il quale si dimostrò subito entusiasta di potermi dare una mano: concordammo schema e modalità operative per fare il lavoro (botanico e chimico) che secondo lui avrebbe dovuto “far impallidire francesi e tedeschi”. Purtroppo qualche mese dopo mi chiamò urgentemente a S. Michele per riferirmi laconicamente: “cancella tutto e fatti cambiare tesi”! Lì per lì non mi fornì nessuna spiegazione, ma, dopo un po’ di tempo, continuando comunque a frequentarci, capii perfettamente il motivo della sua decisione: si stava, infatti, predisponendo il Regolamento organico dell’Istituto (dopo un non facile iter burocratico sarebbe stato approvato nel 1974), e, dai colloqui avuti con Kessler, De Francesco intuì ben presto che il “direttore” (anche su forti pressioni sindacali) doveva essere un laureato in agraria: vistosi tagliato fuori dalla corsa a quel posto di prestigio (candidato unico rimarrà Manzoni), abbandonò S. Michele per rientrare nel laboratorio d’igiene, portandosi appresso però alcuni fidati collaboratori come Casagranda (che poi gli succederà alla direzione), Giacomelli, Malfer, Sperandio, con i quali continuò la sua attività di ricerca sia sul vino che sugli spumanti in via Piave, 5 a Trento. La sua libera docenza universitaria in chimica bromatologica gli permise di continuare a godere di grande fama nel mondo accademico consolidando la sua personalità di “grande”, primeggiando come relatore in svariati convegni a livello internazionale. Non a caso, anche lui riteneva che uno dei “suggelli” più prestigiosi alla sua ricerca scientifica, era rappresentato dal conferimento, da parte dell’Associazione Enotecnici Italiani, del “grappolo d’oro”, avvenuto in occasione del XXXI Congresso AEI (Riva del Garda, 1976). Ed era con giusto orgoglio che quel “grappolino” scintillante, che Ezio Rivella gli aveva appuntato all’occhiello della giacca, ebbe modo di esporlo in più occasioni quando doveva relazionare (scientificamente e dottamente) sul vino. La sua scomparsa nel 2008, tra l’altro quasi contemporaneamente a quella dell’ex Preside Manzoni e del suo successore, dopo Margheri ed Avancini, alla direzione del Laboratorio, cioè Giuseppe Versini, lasciò un vuoto enorme in chi lo aveva conosciuto e stimato: fu anche per questo che mi misi a scrivere un accorato ricordo di tutti e tre che di lì a poco venne pubblicato sull’Enologo, probabilmente il posto più adatto per non dimenticare quanto De Francesco è riuscito a fare per migliorare e diffondere le conoscenze sul vino, per trasferirle ai suoi studenti ed a tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo.