Il notiziario del FAI n. 157

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dicembre

/ 2020 -

gennaio

-

febbr aio

/ 2021

POSTE ITALIANE SPA Sped.in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1, comma 1/CN/BO.

n.

Podere Case Lovara a Punta Mesco

Quella volta che Giulia Maria…

Ultime notizie dal mondo del FAI

Un modello sperimentale

Un ritratto della nostra fondatrice

Le nostre attività si modificano

per la sostenibilità

nei ricordi di alcuni amici

adattandosi alla nuova normalità


Un caro, affettuoso ricordo dell’amica Giulia Maria Crespi della quale ammiravo e amavo il coraggio, l’indomabile energia e la sapienza con le quali ha

sempre agito portando a compimento tutte le sue opere. E, ancora, il suo antico, profondo rispetto per ciò che Lei definiva il «Nobile Piemonte».

Ernesto Galli della Loggia, nel suo ricordo che tra poco leggerete, scrive «non ti invitava, ti convocava». Una cosa simile succedeva ogni anno il 6 giugno quando festeggiava con la sua famiglia e gli amici più cari il suo compleanno: non solo non era ammesso («ammissibile» come diceva lei) non esserci ma si era sempre, appunto, convocati con l’ordine perentorio di non farle regali «ma...»; il «ma» introduceva il compito, ogni anno diverso e sfidante (da molti temuto) di scrivere e recitare una poesia, scegliere e leggere un pensiero, cantare una canzone o suonare una musica, preparare una scenetta, organizzare un gioco... e via dicendo. Io sono abbastanza creativo e mi divertiva stare al gioco (per i suoi 90 anni scrissi una novella che ebbe un certo successo...) ma per alcuni invitati era un vero tormento. Il risultato era però un evento sempre molto divertente anche perché i luoghi scelti come «teatro» erano ogni volta sorprendenti: il più memorabile fu quello per i suoi 70 anni con una cena su un’isoletta di sabbia in mezzo al Ticino... con azzardato ritorno in barca al buio! Perché dico questo? Perché questo Notiziario a lei dedicato si apre e si chiude con due veri regali che questa volta è... obbligata ad accettare senza, purtroppo, dire la sua: quello di Maria Franca Ferrero che ha voluto perso-

nalmente donare la stampa di questo numero perché – a differenza dei due precedenti inviati solo e tristemente in formato digitale per ovvi motivi di tagli dei costi – le oltre centomila copie possano fisicamente rimanere nelle case di chi la ammirò e la stimò e, in chiusura, quello straordinario di Federico Forquet che, qui per la prima volta annunciato ufficialmente, l’avrebbe fatta felice come lui stesso ci racconta tra poche pagine. Tra i due regali le istantanee di alcuni amici – con molta difficoltà scelti tra tanti – che ornati degli arabeschi immaginifici disegnati e donati da Jean Blanchaert ci appaiono un po’ come un «tema con variazioni» tanto nitido e definito esce il suo ritratto pur con le diverse sfumature di ognuno di loro. Tutti la subirono, tutti la stimarono, molti le vollero molto bene.

INDICE

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Quella volta che Giulia Maria…

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Salvatore Veca

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Rubrica Ambiente quell a volta che giulia maria …

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Il saluto di Angelo Maramai

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Passiamo le feste insieme!

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Ultime notizie dal FAI 2

UN GRAZIE SPECIALE Questo Notiziario è stato stampato grazie al generoso contributo di Maria Franca Ferrero a cui va la nostra più sentita riconoscenza.


Negli anni delle mie presidenze del FAI ho avuto la fortuna di conoscere Giulia Maria Crespi in due contrastanti aspetti: la «pastorella» che lei mi aveva confessato di voler essere (e sperare di essere in una vita successiva) e che in parte già era nelle sue case in Lombardia, Toscana e Sardegna; la «regina» come appariva nelle sontuose e musicali cene a Corso Venezia, dove la migliore Italia veniva accolta. Non esistono aspiranti regine, perché con un tale destino soltanto si può nascere, per cui la sovranità è un obbligo e la pastorizia uno scelto hameau, che del palazzo è il vagheggiato contrappunto. Poi vi era il Presidente Onorario del FAI che lei aveva fondato, ruolo nel quale il contrasto suddetto si manifestava: il FAI nel suo aspetto «ambientale» e il FAI «storico». Prima di lasciare la presidenza della Fondazione ai successori, lei si era conservata una delega di indirizzo per l’Ambiente lasciando le altre a Marco Magnifico, che ora accoglie anche questa, rimanendo l’aspetto manageriale per intero al Direttore Generale Angelo Maramai. Per sviluppare l’aspetto dell’ambiente Giulia Maria si è battuta fino alla fine, facendo rivivere in sé l’originaria passione, antecedente il FAI: donare a Milano un grande bosco per tutti. Un progetto che Renato Bazzoni aveva respinto, persuadendola a creare insieme a lui un FAI che si occupasse sia dei monumenti della storia, sia di quelli della natura. Mai avevo conosciuto una figura dell’alta borghesia come lei. Infatti discendo da una borghesia, quella di Luigi Albertini, che aveva perso con il Fascismo potere e corte, mentre lei sempre una regina è stata, dalla nascita alla sua morte, circondata dalla sua corte. Avrei mille racconti da fare e che farò, ma quando scompare la fondatrice del FAI, oltre agli episodi sempre molto significativi, serve andare alla ricerca dell’essenza, cosa particolarmente difficile con la pastorella e Maria Teresa (più che la Zarina) dei nostri giorni, che spetta all’attuale presidente.

Periodico del FAI Sede legale: La Cavallerizza via Carlo Foldi, 2 - 20135 Milano Direzione e uffici La Cavallerizza, via Carlo Foldi, 2 20135 Milano tel. 02467615.1 Registrazione del Tribunale di Milano del 9.8.1980 n. 314 quell a volta che giulia maria …

Giordano Bruno era tra i pochi, con Macchiavelli, che in Europa pensavano «per contrari» (M. Ciliberto, Prologo a Pensare per contrari, 2005). Scrive Bruno nei Dialoghi filosofici italiani: «Tanto che la mediazione a un estremo a l’altro per gli suoi principii, il moto da un contrario all’altro per gli stessi mezzi viene a soddisfare: et infine veggiamo tanta familiarità di un contrario con l’altro, che uno più conviene con l’altro che il simile con il simile». E ancora: «Se non fusse l’amaro nelle cose, non sarebbe la dilettazione, atteso che la fatica fa che troviamo dilettazione nel riposo; la separazione è causa che troviamo piacere nella congiunzione: e generalmente essaminando, si troverà sempre che un contrario è cagione dell’altro contrario sia bramato e piaccia». Anche Giulia Maria Crespi pensava «per contrari» e con un eroico furore simile a quello di Bruno. Pastorella e regina a parte, la fondatrice del FAI ammirava la crescita notevole del FAI degli ultimi anni. Sentiva però anche che la cosa migliore che poteva regalare alla sua creatura, lasciata peraltro libera di crescere e maturarsi e sempre difesa, era conservare il furor della contraddizione. Solo un seguace di Giulia Maria insufficientemente attento potrebbe fraintendere la sua ultima azione, immaginando una guerra della pastorella alla regina, della natura contro la storia e l’arte. Infatti ove l’ambiente avesse prevalso separandosi dal patrimonio, il pensare per contrari sarebbe morto lungo binari paralleli che non si scontrano. Come Bruno pensava, la separazione non andava disgiunta dalla connessione. Finché sarò presidente del FAI garantirò che il furore dei due fondatori perduri. Per questo l’Ufficio ambiente e sostenibilità è nel FAI disgiunto dall’ufficio Paesaggio e patrimonio, ma sono entrambi ricompresi negli Affari culturali. Il segue nella pagina successiva

Direttore responsabile Maurizio Vento Direttore editoriale Marco Magnifico Coordinamento editoriale Isabella Dôthel Progetto grafico Studio Pitis

Lavorazione grafica Carlo Dante Hanno collaborato Daniele Meregalli, Benedetta Colombo In copertina e nelle prime pagine Illustrazioni di Jean Blanchaert, Coloring Angelica Gerosa

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segue dalla pagina precedente

virus Covid-19 potrà ritardare il potenziamento dell’ufficio Ambiente, che senz’altro deve proseguire. Infatti oggi dobbiamo resistere e durare, cosa che tante aziende grandi e medie in Italia non sono purtroppo riuscite a fare. Ma appena la cultura scientifica vincerà il virus l’eroico furore di Giulia Maria, che sempre arde, riprenderà con la giusta fiammata. La terra, la vita e l’uomo sono un tutt’uno: dall’humus e dall’albero con la sua chioma alla colonna con il suo capitello: simul stabunt vel simul cadent. «Veggiamo tanta familiarità di un contrario con l’altro, che uno più conviene con l’altro che il simile con il simile»… «Si troverà sempre che un contrario è cagio-

ne dell’altro contrario sia bramato e piaccia». Così abbiamo pensato nel Rinascimento quando eravamo grandi, così hanno pensato i fondatori del FAI, e così stiamo pensando anche noi per arrivare al più presto a risorgere. Al furor tra «ambiente» e «storia», se ne accompagnano altri nel FAI, tutti da mantener vivi e sviluppare: il furor tra la «cultura» (intesa nel senso più ampio, scientifico e umanistico) e il «management» e quello tra i «Beni» di proprietà o gestiti dalla struttura (in cui lavorano 275 persone) e la Rete Territoriale (composta da 348 presìdi e migliaia di persone). Quella del furor è insomma un modo ardente di sentire, pensare e fare, che né dimentica il diverso, né l’uno, l’holon dei greci.

Il karma: era questo il tema che quella volta Giulia Maria mi invitò a discutere con lei. Mi aveva spedito a casa un libro di Rudolf Steiner, Le manifestazioni del karma, accompagnato da un biglietto in cui mi scriveva: «Avrei voluto darLe personalmente questo libro ma data la Sua impossibilità di raggiungermi in Sardegna glielo mando con l’invito di leggerlo», per poi concludere: «Ne parleremo assieme quando ci vedremo». Il concetto di karma è uno dei più antichi del pensiero umano, condiviso soprattutto in oriente dove è professato da hinduismo, buddhismo, jainismo, taoismo, sikhismo, e presente anche in Occidente già a partire dall’antica Grecia nella quale era conosciuto da Pitagora, Empedocle, Platone. La radice kr origina in latino i verbi creo e cresco, invariati in italiano, e anche il nome della dea Cerere, la dea della crescita, da cui cereali. La legge del karma, sulla quale Giulia Maria voleva discutere con me, rappresenta una visione perfettamente etica del mondo e della vita secondo cui nulla viene dimenticato, ma al contrario tutto viene registrato producendo infallibilmente i suoi effetti. Se con una tua azione semini un seme buono, mangerai un frutto buono; se invece semini un seme cattivo, mangerai un frutto cattivo. Tutto molto semplice, lineare, equo. In realtà quell’estate nella sua tenuta in Sardegna

finii per andarci, trascorrendovi una settimana bellissima insieme a mia moglie e altre persone. Giulia Maria passò presto al tu chiamandomi «Mancusino» e penso fosse felice di quelle chiacchierate. Lo scenario del resto era ideale per parlare del karma, sia per la concentrazione indotta dal silenzio e dalla bellezza della natura, sia perché durante la giornata si aveva la possibilità di incontrare tipi umani così diversi, alcuni esemplari, altri meno, rinfocolando così la domanda sull’imponderabile varietà del genere umano. Dipende dal lavoro personale, da un misterioso destino, da qualcos’altro? E noi siamo del tutto riconducibili al singolo individuo che siamo ora, oppure in ognuno rivivono esistenze precedenti e ne scaturiranno di ulteriori? Giulia Maria mi aveva già detto nella sua casa milanese di non sentirsi più cristiana ormai da molti anni. Tuttavia era chiaro che l’abbandono del cristianesimo non l’aveva portata a una visione materialista della vita, ma anzi aveva incrementato ancora di più in lei il desiderio di spiritualità. Giulia Maria è stata un’autentica ricercatrice spirituale, e non tanto per curiosità intellettuale, quanto piuttosto per un’intima esigenza di appartenere a un più ampio disegno di senso. Per lei tale senso più ampio si chiamava karma. Penso che gran parte della sua opera si spieghi sulla base di questa sua fede in un ordine divino del mondo, ordine cosmico, giusto e infallibile, che dà a ognuno la porzione di verità e di bellezza che deriva in proporzione al lavoro compiuto. E in Giulia Maria verità e bellezza splendevano in radiosa armonia.

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Sono stato molto fortunato a conoscere Giulia Maria Crespi in occasione di una battaglia che ci ha visti combattere sullo stesso fronte. Quando infatti l’ho conosciuta, e studiata un po’ meglio, ho capito che imporsi a lei era semplicemente impossibile. Sono stato quindi molto fortunato a condividere con lei lo stesso obiettivo. Era la metà degli anni ottanta quando Giulia Maria entrò come un fulmine nel mio ufficio di Presidente dell’IRI comunicandomi che una delle società del gruppo stava per alienare un antichissimo territorio minerario dismesso che si trovava in uno dei più bei posti del mondo. Sarebbe quindi stato un delitto contro l’umanità se quel paradiso si fosse trasformato in un’area fabbricabile. Naturalmente non sapevo nulla né di Pun-

ta Campanella né della Baia di Jeranto, anche se p ot rebb ero essere davvero la sede del Paradiso. Trasferirlo gratuitamente al FAI non fu facile perché, per la Finsider, significava davvero rinunciare a vendere il Paradiso, e Dio solo sa quanto avesse bisogno di soldi. Infine ci siamo riusciti ed è nato fra me e Giulia Maria un rapporto di fiducia e amicizia. Debbo però confessare che, ogni volta che la incontravo, cominciava sempre il colloquio elencandomi le colpe e i misfatti delle strutture pubbliche e private nei confronti del nostro territorio e del nostro patrimonio artistico. Oggi mi rendo conto che, senza la sua determinazione, i nostri figli e i nostri nipoti riceverebbero in eredità un’Italia ancora più povera e strapazzata.

Ho avuto l’occasione di incontrare numerose volte Giulia Maria Crespi negli ultimi anni della mia direzione musicale alla Scala. Ero stato cortesemente invitato a pranzo per scambiare idee, visioni, speranze sul futuro della vita artistica e sull’importanza sociale del grande teatro milanese. Non si trattava di fastidiosa ingerenza da parte della «potente» Signora, protettrice delle Arti e della «Bellezza», ma di una accorta, appassionata difesa di ciò che una società, sempre più incline alla barbarie, stava abbandonando o, addirittura, distruggendo. La trovai sempre gentile, ma ferma e determinata. Ad alcuni incuteva timore reverenziale; a me parve sempre splendida nel suo essere «donna-domina». Ricordi, tanti! Tra questi una sua visita, in occasione di un concerto nella Cattedrale di Trani per il FAI, nel mio piccolo

terreno ai piedi di Castel del Monte, dove lodò la cura e l’attenzione nel non alterare ciò che i secoli avevano preservato in quella terra dell’alta Murgia. Da non dimenticare i numerosi incontri dopo gli spettacoli scaligeri con discussioni, talvolta accese, su ciò che approvava e ciò che contestava duramente, sempre in difesa della vera Arte. L‘ultima immagine: nella Cattedrale di Pavia dopo una esecuzione della Missa defunctorum di Paisello con l’Orchestra «Cherubini» e il Coro della Radio Bavarese. Vidi Giulia Maria seduta in prima fila, gli occhi penetranti e malinconici. Lasciai il podio, le strinsi la mano. Aveva tanto amato quella Musica! poi l’ultimo, appena sussurrato, appello in difesa dell’Arte, dei tesori della nostra impareggiabile Cultura, della nostra meravigliosa terra! Giulia Maria ci mancherà tanto.

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Chiunque abbia conosciuto Giulia Maria Crespi ne ha avvertito la personalità forte, determinata e anche difficile e lei ne era ben consapevole. Ogni tanto quando ero Presidente Regionale FAI per il Veneto mi chiamava e in una occasione , a una mia considerazione, rispose che avevo ragione, «perché sei una gran rompiballe, come me». Possiamo considerare questa frase come testimonianza di quella sua consapevolezza di essere a volte (spesso) scomoda, ma talmente convinta di essere nel giusto nella sua tenacia nel perseguire l’ideale che la «infiammava» da non badare a certe convenzioni sociali e politiche. Il FAI fu un’iniziativa che, al principio, poté apparire come un gesto da «intellettuali della buona società», ma che in realtà colse un sentimento inespresso, ma diffuso, in un’Italia che stava iniziando a prendere coscienza del suo Patrimonio di Storia e di Arte, messo a rischio dalla frenesia di un indiscriminato sviluppo. In seguito il FAI diventò un effettivo centro di riferimento nella vita italiana per la forte impronta incisa dalla sua personalità nel quotidiano «fare» del FAI; ci fu una identificazione quasi fisica tra la Presidente Crespi e il FAI, e questo fu una sorta di volano per la sua crescita grazie al rispetto e alla considerazione che il mondo politico e della comunicazione hanno sempre manifestato nei confronti dei suoi pareri e delle sue opinioni sui grandi temi legati al patrimonio e all’am-

biente. La formula del FAI è molto originale: una struttura centrale, e al tempo stesso le Delegazioni formate da volontari che, diffuse in tutto il territorio italiano, hanno consentito e consentono la percezione immediata di temi che a volte impongono interventi tempestivi necessari alla tutela del patrimonio e dell’ambiente ma anche alla formazione di una coscienza del dovere, anche etico, di salvare la nostra Tradizione per le generazioni future. Giulia Maria Crespi ha fatto altre cose importanti nella sua vita, ma il «fondare il FAI» è sufficiente per riconoscerla come uno dei personaggi di grande spessore nel panorama socio-politico italiano.

La prima volta che l’incontrai fu intorno al 2000, nella hall di un albergo dove scendeva quando veniva a Roma. Aveva chiesto a una comune amica di incontrarmi perché voleva conoscermi. Quanto a lei si fece conoscere subito: fu diretta, inquisitiva, fin quasi ad apparire sospettosa: come del resto era spesso nel primo approccio con le persone, e che forse era l’effetto di una celata timidezza che le veniva da molto lontano. Evidentemente superai l’esame, e così divenni «Gallino», il nomignolo con cui da allora in poi mi ha sempre chiamato. Si faceva viva puntualmente ogni volta che leggeva una cosa che le era piaciuta o – più raramente – con cui non era d’accordo, e il suo tono era sempre perentorio: per-

ché Giulia Maria non disapprovava, deprecava; né lodava mai: incitava a fare di più e ancora di più, così come quando ti voleva vedere non t’invitava, ti convocava. Con lei non si poteva patteggiare. Bisognava arrendersi o litigare, e infatti quasi ogni volta che ci vedevamo un litigio, diciamo meglio un’animata discussione, finiva sempre per scapparci. Ma se avevi ragione sia pure a mezza bocca finiva per dartela: e anche per questo non volerle bene era impossibile. Lo hanno detto in tanti: Giulia Maria era generosa, entusiasta, affettuosa, intelligente, combattiva. Io so solo questo: che se l’ambiente sociale che l’ha vista nascere annoverasse tre persone, solo tre persone, come lei, l’Italia diventerebbe un Paese irriconoscibile.

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Era l’estate del 2001, ero stato invitato a Romazzino, a casa di un amico. Una cena con pochi invitati, oltre me, un importante imprenditore e Giulia Maria. Molto presto la conversazione cadde sui temi della natura e dell’ambiente. A un certo punto l’imprenditore iniziò a raccontare del suo amore per la natura e la sua passione per la caccia. Io ascoltavo perplesso quando Giulia Maria lo fulminò: «Lei dimostra il suo amore per gli animali sparandogli addosso?» Cadde il gelo e io le volli subito bene. Mi invitò ad andarla a trovare a Cala di Trana e mi anticipò che non avrei trovato «pratini verdi» ma un bel tratto di Sardegna autentica. Ci andai e fu una vera scoperta, una vecchia azienda

agricola tra la speculazione edilizia di Porto Rafael ed un’altra, più terribile, che si affaccia su Porto Pollo. Davanti l’isola di Spargi e l’arcipelago maddalenino. Un tratto di costa bellissimo e vasto, con un solo stazzo, che aveva acquistato a fine anni ’50 e, a distanza di quarant’anni, conservato del tutto intatto. Nessun altro si era comportato in quel modo. Negli anni successivi mi è capitato di avere in Sardegna delle responsabilità politiche. Di quel periodo rimane una legge a tutela delle coste sarde, che all’epoca parve piuttosto radicale. In quella legge c’è molto del pensiero e della testimonianza concreta di Giulia Maria Crespi che diceva di amare la Sardegna, ed era profondamente vero.

Non potrei dire quando ho conosciuto Giulia Maria. Oserei dire da quando nel 1963 ho fatto la scelta di occuparmi di conservazione della natura dopo aver incontrato un’orsa con tre cuccioli in una foresta dell’Anatolia. I miei articoli sulla «Voce Repubblicana» in favore del Parco Nazionale d’Abruzzo e la mia militanza in Italia Nostra fecero sì che Giulia Maria che già conoscevo come membro del Comitato d’onore del neonato WWF, mi introdusse al «Corriere della Sera» col quale ancora collaboro. Ricordo gli incontri a Cala di Trana con Arturo Osio, primo Segretario Generale del WWF, le discussioni sui problemi della Sardegna, le battaglie comuni per un’agricoltura più vicina alla natura fatti a Lucignano e alla Zelata, i disegni che mi chiedeva per le prime oasi

del FAI, come quella di Casalbeltrame, le manifestazioni per salvare ecosistemi, la firma per salvare dalla vendita l’Isola di Budelli o, nel maggio 2012, la marcia a Lonate contro la terza pista di Malpensa nella quale lei correva più di me! E poi i dibattiti sulla collaborazione (a volte concorrenza feconda) tra il WWF e il FAI che portarono a collaborazioni come il Maso Fratton in difesa dell’orso delle Alpi. Insomma un reciproco dialogo sempre affettuoso su tanti temi di comune passione in difesa del paesaggio contro le continue aggressioni, da lei sempre perseguiti con disinteressato e generoso impegno civile. Il contagio ha fatto sì che io e Fabrizia, anche lei amica di Giulia Maria e militante nelle sue battaglie come quella contro gli OGM, disertammo con grande dispiacere la cena e il concerto di Natale 2019.

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«Sono Giulia Maria, la rompiballe…». Iniziavano sempre così, con questa sua autopresentazione, le sue telefonate. Con l’ironia di una donna che era un vulcano di idee e di questioni che voleva fossero affrontate dai giornali. Più di un singolo episodio è questo filo continuo, fatto di conversazioni e di richieste, di rimbrotti e di giudizi qualche volta feroci, che voglio ricordare. Perché c’era sempre un bene da salvare, una battaglia da combattere, un paesaggio da tutelare. O una concezione diversa dello sfruttamento delle risorse ambientali e della terra in agricoltura da promuovere. Con il suo tono e le sue argomentazioni, che qualche volta non ammettevano repliche, Giulia Maria ha accompagnato il mio lavoro al «Corriere» negli ultimi venti anni. Per lei ero

«Fontanino», non so perché continuava a considerarmi un giovane vicedirettore e direttore nonostante i miei 60 anni. Il «Corriere della Sera» era una parte fondamentale della sua vita. Abbiamo discusso per anni della possibilità che lei raccontasse in un libro la sua avventura. Lo desiderava e ne aveva timore. Mi chiedeva consiglio e poi si preoccupava perché «devo dire tutta la verità su quello che ha fatto Gianni Agnelli». Alla fine il libro, molto bello, l’ha scritto, con la passione, l’onestà intellettuale e il carattere autentico di sempre. E sono stato felice di averla incoraggiata. Le telefonate di «Giulia Maria, la rompiballe» mi mancano, così come mancherà sempre all’Italia l’energia con cui ha promosso tantissime battaglie ambientali che sono ora patrimonio diffuso.

Nel lontano 1996, nemmeno 24 ore dopo esser stato nominato Capo Delegazione Portofino/Tigullio, una telefonata mi annunciò il primo di tanti incontri con Giulia Maria Crespi. Il suo esordio fu altrettanto immediato: «Fustinoni, lei va a camminare sul monte di Portofino? Ne conosce i sentieri?». Rimasi spiazzato ma presto cominciai a conoscere, e più tardi ad apprezzare, quello stile che la portava ad andare dritta al problema. Era una donna dalla personalità forte ed era a volte difficile smuoverla dalle sue convinzioni ma aveva una visione a 360 gradi su quelli che erano i suoi obiettivi, favorendo anche l’incontro e la commistione tra pensieri e culture diverse. Aveva anche un suo humour; un anno, prima del termine di una riunione, avendo un impegno, andai a salutarla: «Ma come, se ne va ora che stiamo per discutere il bilancio?» e quando le risposi «Ma io mi fido di lei», un sorriso divertito comparve sul suo volto dicendomi «Fa male perché ero pessima in matematica». Un’altra volta venne ospite nel mio albergo. Tempo dopo rice-

vetti una sua lettera dove, ringraziandomi, commentava un mio progetto di ampliamento: «Ma perché Lei vuole impiegare così tanti soldi per operare un intervento comunque distruttivo della montagna e poi che importa avere un po’ più di verde per persone che non muovono un passo? Caro Fustinoni, questi sono i miei pensieri che ovviamente e giustamente Lei scarterà». Oggi un giardino all’italiana sorge al posto del progetto iniziale, considerato alla fine troppo invasivo e mi piace pensare che, nella sua visione di uno sviluppo rispettoso dell’ambiente circostante, lei mi abbia portato a questa scelta.

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Mi fissava quasi sempre con occhi di rimprovero perché, superficiale di natura, sono piuttosto indifferente a quelle che erano le sue passioni, tipo la salvezza della terra e il riso biologico. Perciò cercavo di occultar-

mi nella folla dei suoi invitati, cioè dei promossi nel suo regno tra i due immensi Canaletto e il suo mirabile patè (che era anche una delle ragioni della corsa ai suoi concerti natalizi). Ci si rivedeva di anno in anno, sempre più ingobbiti, e ogni anno qualcuno in meno, un piccolo mondo che si stava estinguendo: lei sempre uguale, un giunco di intoccata grazia, forse l’ultima milanese dalla suprema eleganza da sartoria, severamente impegnata a rincuorarci, zittirci, spronarci. Dopo il concerto, sempre di rara raffinatezza, la cena e la corsa dei privilegiati per sedersi al suo tavolo, e una volta, distrattamente avvicinata a una delle sedie dei cortigiani, mi toccò una furibonda sgridata del grande scrittore ormai purtroppo defunto. Una sola volta però Giulia Maria mi rimproverò duramente e senza scampo: avevo recensito un libro che approfondiva il feroce antisemitismo di Wagner, il suo idolo musicale, che anche io amo molto, appunto musicalmente. Non riuscii a spiegarmi, ero mortificata dalle sue parole, ma poi, senza perdonarmi al momento, mi sorrise, e ce ne voleva perché lei sorridesse.

Conoscete qualcuno che non sia stato rimproverato, richiamato, rimbrottato da Giulia Maria Crespi? Più ti stimava, più ti maltrattava. Ogni incontro con lei era un piacere e una sofferenza, insieme. Un piacere perchè era una donna fantastica. Era piena, davvero piena, di idee, di proposte con le quali rendeva concreto anche il più aereo dei discorsi. E poi aveva una passione civile autentica. Non di quelle posticce, appiccicate a una dichiarazione dei redditi per salvare anima e coscienza. No, in lei c’era qualcosa di profondo, un’ inquietudine che sfiorava la sofferenza. La sua difesa del patrimonio artistico e della bellezza italiana era una magnifica ossessione. E, si può dire senza tema di smentita, ha fatto più lei di tanti roboanti produttori di arabeschi verbali. La vita e le attività, che magnificamente proseguono, del FAI stanno lì a dimostrarlo, ogni giorno. Ma sarei omissivo se mettessi tra parentesi l’aspetto di calvario che ogni incontro con Giulia Maria Crespi riservava. Era inevitabile che a un certo punto – non

sapevi quando, ma sapevi che sarebbe arrivato – lei cominciava a rimproverarti. Dovevi certamente aver fatto qualcosa di sbagliato o non aver fatto qualcosa di giusto. E lei, affilata come uno stiletto, ti pugnalava. E, con una punta di sadismo, non smetteva di affondare il colpo. Qualsiasi tua giustificazione, spiegazione, misero tentativo di discolparti finiva sempre per avere il peso di una comparsa in una scena di massa dell’Aida. Lei era impietosa, ballava attorno al tuo stordimento come Muhammad Alì di fronte a un avversario suonato. «Pungi come un’ape, vola come una farfalla». Il motto di Alì era quello di Giulia Maria. Lei mi voleva bene e mi stimava. Era molto contenta quando ero al Ministero. Lavoravamo bene, insieme. Negli anni successivi ricordo una gigantesca lavata di capo quando mi dimisi da segretario del PD. Quel giorno non mi mollò, come sempre. Ma della sua meravigliosa testardaggine e della luce della sua passione culturale e civile ho, ancora più oggi, una grande nostalgia.

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È stato lungo, e non sempre facile, il mio rapporto con Giulia Maria. Prima freddo, distante, polemico e a volte addirittura tempestoso. Poi affabile, amichevole, quasi tenero. Era nato in anni lontani e tormentati, Lei «la Zarina» del «Corriere», io giovane direttore di un giornale romano impegnato sul fronte di quelli che contestavano i cambiamenti – qualcuno diceva «la rivoluzione» – in atto, per Sua volontà e sotto il Suo impulso, nel primo giornale italiano. Inevitabile scontrarsi: dichiarazioni dure e lettere di fuoco. Poi, in anni più vicini, quando anch’io avevo cambiato mestiere, la ritrovai, ormai pacificata, all’opera con il FAI per la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico e naturalistico. E, come tanti, fui conquistato dal Suo «impegno missionario» e dalle Sue capacità organizzative. La determinazione e la tenacia erano rimaste quelle di allora, ma la passione per l’arte e l’amore per la natura, il culto della bellezza l’avevano per così dire addolcita, portandola ad un attivismo operoso e amorevole ispirato più alla devozione che alla passione. Difficile rimanere insensibili di fronte a tanto entusiasmo e alla convinzione con cui conduceva le sue battaglie. La sua passione civile era così forte e contagiosa da coinvolgere tutti quelli ai quali si rivolgeva per le sue iniziative. Tutti felici di poterla accompagnare e sostenere in una battaglia così nobile e di così grande importanza per la cultura. Come sono diverse le lettere di allora da quelle di un tempo. Egualmente schiette, brillanti e ironiche, ma estremamente concrete e tutte univocamente orientate al perseguimento degli obiettivi che lei si assegnava. Anche i più ardui. Anche quelli che ai più sembravano impossibili. «Vado però oltre, gentile Amico, perché lei conosce bene la Giulia Maria che, con le sue perorazioni noiose, non si smentisce mai e continua a scocciare! Le chiedo dunque se potesse….» Così mi scriveva sovente negli anni di Palazzo Chigi. Come una volta a ferragosto: «ma oso rivolgerle una seconda preghiera che riguarda… Si ricorda che

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in luglio ne avevamo parlato? Ora settembre sta giungendo, certamente per lei un settembre “caldo” e “faticoso”… Ma ho fiducia che in mezzo a tante angosce Talleyrand riuscirà a dedicare parte delle sue energie per controllare e contrastare questa vergogna nazionale. Sarà possibile? Sì, ci voglio credere!» A novembre del 2010 voleva in qualche modo premiare i benemeriti sostenitori della Fondazione, «I 200 del FAI» e organizzò per loro un incontro a Roma, in Vaticano, nel grande Salone di Raffaello, nella Pinacoteca Vaticana. Scelse quel luogo perché – così scrisse – voleva «risvegliare la Consapevolezza e l’Amore verso il Divino da cui tutto: Arte, Bellezza, e Natura provengono…» Fu un evento memorabile e, in quell’ambiente solenne dove tutto parlava di storia e di arte, di fronte alla Maestà di Raffaello, Lei sintetizzò con accenti poetici la Sua filosofia e quella del FAI. «Se noi continuiamo a pensare – disse – che l’Italia abbia il suo patrimonio e non sia il suo patrimonio, la considerazione che abbiamo di quest’ultimo è e sarà sempre non adeguata. L’Italia non ha le sue chiese e le sue abbazie, l’Italia è le sue chiese e le sue abbazie. L’Italia è nei suoi palazzi e nei suoi monumenti, come nella sua scultura, nella sua pittura, nei suoi paesaggi. l’Italia dei laghi, dei ruscelli, dei fiumi. L’Italia dei villaggi abbarbicati alle pendici scoscese dei boschi dove ancora cantano gli usignoli... Se queste realtà non ci fossero, l’Italia non ci sarebbe più. Il suo patrimonio non è il suo passato. Il suo patrimonio è il suo presente e rappresenta una certezza per il suo futuro. Perché l’Italia si identifica nel suo patrimonio.» Una «lezione» da non dimenticare. Ringraziamo per le affettuose testimonianze: Maria Franca Ferrero, imprenditrice Vito Mancuso, teologo e professore Romano Prodi, politico ed economista Riccardo Muti, direttore d’orchestra Maria Camilla Bianchini, ex Presidente FAI Veneto Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista Renato Soru, imprenditore e politico Fulco Pratesi, ambientalista e giornalista Luciano Fontana, giornalista, Direttore del «Corriere della Sera» Andrea Fustinoni, ex Capo Delegazione FAI Portofino/Tigullio Natalia Aspesi, giornalista e scrittrice Walter Veltroni, politico e scrittore Gianni Letta, politico e giornalista Carlo Triarico, Presidente Associazione per l’Agricoltura Biodinamica Carlo De Benedetti, imprenditore ed editore Federico Forquet, stilista, decoratore d’interni e progettista di giardini

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Mario Monti era seduto a pranzo con me e lei a Corso Venezia, dove lo aveva chiamato una battagliera Giulia Maria, per conoscere il vero portato delle pressioni contro la biodinamica. Erano iniziate col primo convegno a Milano su Expo 2015, organizzato alla Bocconi, su sua intuizione, dall’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica, con la Fondazione Feltrinelli e il FAI e il sostegno dello stesso Monti. Dalle parole del presidente ne compresi la gravità. La guerra di reazione contro l’agricoltura ecologica e soprattutto contro la biodinamica, la sua forma originaria, per lei fu una sfida, l’ennesima, con la serie di convegni che avrebbe fatto la storia dell’Agroecologia in Italia. Al Politecnico di Milano, nel 2018, quando si vo-

leva impedire agli scienziati di 8 università europee e di 3 agenzie internazionali di parlare, riuscì a salvare il convegno in extremis e non solo. Su un documento a prima firma Claudia Sorlini, la storica preside di Agraria della Statale, riunì oltre 250 scienziati italiani a sostegno dell’agricoltura biologica e biodinamica. Venne così a costituirsi quel fronte di ricercatori, che all’Italia mancava e che oggi costituisce la punta più avanzata per l’ingresso nel Green Deal europeo. Un successo? «Sì, ma… e poi sono già stufa, c’è un’altra cosa da fare»: quando vinse il Gran Prix della Commissione UE destinò il fondo a una borsa di ricerca in biodinamica, borsa per una nuova generazione di ricercatori, che oggi porta il suo nome.

È noto a tutti che Giulia Maria era nata con la passione dei giornali e in particolare è nota la sofferenza, direi quasi fisica, cui andò incontro dopo il tradimento di Gianni Agnelli che vendette a Cefis (sotto il suo naso) la sua quota di controllo del «Corriere» dopo che lo aveva invitato ad entrare per difendersi proprio da Cefis. Quando si svolse la cosiddetta «guerra di Segrate» e io, attraverso la Cir, acquistai il controllo del Gruppo Espresso-Repubblica, Giulia Maria mi chiese di poter entrare nell’azionariato per avere nuovamente la sensazione di avere a che fare con un quotidiano; accolsi con molto favore questa sua richiesta, il figlio Luca entrò nel consiglio e andò avanti così per molti anni. Ad un certo punto i suoi figli decisero di vendere la partecipazione detenuta nel Gruppo perché giustamente (dal loro punto di vista) vedevano in prospettiva il

declino dell’editoria: Giulia mi convocò insieme ai figli per chiedere la mia opinione, io stesso le consigliai di vendere, ma lei d’improvviso con uno scatto tipico dei suoi disse: «Io non vendo!». Un altro episodio che ricordo relativo ai giornali mi capitò durante una telefonata: Giulia mi chiamò dicendomi quanti errori stessero facendo a «Repubblica» e quanto fosse invece bello il «Corriere», che era rimasto il suo «pallino». Dopo 10 minuti di torrentizia arringa contro la linea editoriale di «Repubblica», persi la pazienza e le dissi: «Senti, fammi una cortesia: vendi le azioni di “Repubblica” e comprati azioni RCS in borsa!». Detto questo, io non ho mai conosciuto una persona più appassionata e allo stesso tempo più sregolata di lei nelle passioni e negli odi, persino nei confronti di giornalisti del «Corriere»: alla storia la cacciata di Spadolini e l’innamoramento per Piero Ottone.

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Non mi è facile scrivere di Giulia Maria al passato, misteriosi intrecci del destino hanno voluto che la sua presenza sia rimasta tra le fioriture e le siepi del luogo che ho scelto per trascorrere la maggior parte del mio tempo, quello che oggi è diventato il mio luogo del cuore. Nulla di tutto ciò avrebbe potuto essere immaginato all’inizio degli anni ’50. Risale a quel tempo il primo incontro tra una giovane Giulia Maria e quel quasi ancora ragazzo che ero in quell’epoca. Ci incontrammo nei salotti dei palazzi romani nella girandola di feste e balli in un tempo nel quale ancora c’era il desiderio di dimenticare le privazioni di una guerra che non aveva risparmiato nessuna generazione, nella quale i civili di ogni età temevano di poter scomparire sotto un cumulo di macerie a causa dei continui bombardamenti. Il paese intero era una prima linea di battaglia. In quel periodo l’amicizia tra noi vide la luce. Lei veniva da Milano, io da Napoli. Allora, e mi auguro che sia veramente solo un ricordo del passato, sembrava quasi come se si provenisse da continenti diversi. E molto diverse erano le nostre nature, i nostri caratteri. In lei vedevi svettare le algide, marmoree e distanti guglie del suo Duomo, in me – credo – si sentissero i colori caldi del Golfo di Napoli. Passò qualche anno in cui la vita cambiò inesorabilmente per entrambi. Giulia Maria si sposò e io mi trasferii a Parigi per iniziare la mia carriera nella moda ed ognuno si dedicò a sé e alle cose a sé care. Finché arrivò la fine del 1973 quando una sera alla Scala di Milano ci ritrovammo inaspettatamente. Paolo Grassi mi aveva affidato la creazione dei costumi del balletto «Il lago dei cigni». A entrambi il nostro incontro rivelò una corrente di simpatia non provata precedentemente; e in seguito fui sorpreso da un invito a colazione con l’aggiunta di una frase che poco aveva a che vedere con i rapporti del passato: «tranquillamente saremo in famiglia». Recandomi verso Corso Venezia il giorno stabilito mi chiedevo quale Giulia Maria avrei trovato a ricevermi, la persona di un passato remoto un po’ altezzosa che appariva alquanto distante e distratta oppure l’altra, più affettuosa e calorosa, incontrata per caso qualche giorno prima? L’incertezza continuò per tutta la colazione fin quando verso la fine – per caso – incominciai a parlare di quanto la mia vita fosse cambiata da quando avevo deciso di passare più tempo in una casa in Toscana. Il piacere di creare un giardino semplice, facile da coltivare e che rispecchiasse la bellezza della campagna che mi circondava era ciò che allora mi appassionava maggiormente. Con grande e reciproca eccitazione scoprimmo che il luogo che avevo scelto non era distante da una sua proprietà, a cui teneva molto. Lei iniziò a parlare dei suoi interessi per l’agricoltura, per la qualità delle produzioni, per il ri-

spetto della natura e per l’armonia del creato. Quando ci salutammo si era creato un contatto genuino che permise di apprezzarci a vicenda. Poche settimane dopo ci vedemmo nuovamente. Mi telefonò dalla sua casa in Toscana e propose di andarla a trovare. Andai e con il senno di poi posso dire che feci bene. Mi parlò del suo desiderio di coinvolgersi direttamente in qualcosa che potesse arginare la distruzione dell’ambiente del nostro paese che impietosamente veniva devastato e non più rispettato. Sentiva il dovere di impegnarsi affinché le nuove generazioni si appassionassero e provassero amore per quanto la nostra civiltà aveva creato nei secoli. Fu così che in un paio di anni Giulia Maria, con poche persone e molta passione, creò il FAI. Da quel momento in poi l’amicizia che si era creata diventò in me una profonda ammirazione. Vidi la metamorfosi di Giulia Maria in personaggio pubblico la cui attenzione era ormai unicamente volta alla tutela della bellezza pubblica. Voglio concludere questo mio ricordo con un avvenimento che mi riguarda. Nel 1999 il FAI organizzò un concerto memorabile. Dopo parecchi anni di assenza invitò il maestro Muti a tornare a Roma per dirigere un concerto che entusiasmò tutti e che rimase indimenticabile. Quella sera ci incontrammo e avvicinandomi a lei le sussurrai nell’orecchio un ermetico «Ho deciso, lo farò» non aggiungendo una parola di più. Lei capì e sorrise. Mi riferivo a una visita che fece da me in campagna a Cetona, qualche tempo prima. Quel pomeriggio passeggiamo a lungo nel giardino creato da me in tanti anni e con tanto cuore, in cui avevo messo tanto di me, affetto, passione, tempo e sacrifici. Lei ascoltava attentamente e guardava ogni dettaglio. Al cancello, andando via, le sue parole quasi mi commossero: «Raramente ho incontrato una sensibilità che disegnando un giardino ha creato un luogo dove l’intervento dell’uomo si fonde con grande armonia con la natura creata dal Signore». Mi disse di aver vissuto momenti di speciale serenità e aggiunse di non dimenticare che questo è quanto le persone cercano e di cui hanno bisogno. Questa osservazione rimase impressa in me. L’affetto per il luogo tanto amato aumentava con il tempo mentre «il mio tempo» diminuiva. Dovevo decidere la sua sopravvivenza. E non ci furono dubbi. Sapevo quanto dovevo fare e ricordavo bene le parole di Giulia Maria che erano forse un’indicazione, una discreta richiesta non espressa. Mi resi così conto che anni dopo era germogliato quel piccolo seme che lei aveva piantato, senza che me ne accorgessi, nel giardino del mio inconscio. Credo profondamente che il modo migliore per onorare e celebrare la vita di Giulia Maria sia sostenendo e incrementando quanto lei ha creato per tutti noi, continuando quel sogno che ci ha regalato. Così...

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Salvatore Veca, nuovo Presidente del Comitato dei Garanti del FAI Il Presidente Andrea Carandini saluta con gioia l’elezione del filosofo e accademico che succede a Giulia Maria Crespi alla guida del Comitato

Andrea Carandini PRESIDENTE FAI

Quando ai primi d’ottobre l’autorevole decano del Comitato dei Garanti del FAI, Giovanni Bazoli, mi ha chiesto, a nome dei Colleghi, la disponibilità ad assumere la presidenza del Comitato, ho accettato con incauto entusiasmo, solo velato dalla percezione di un senso di impegnativa responsabilità. Devo confessare sinceramente che a un tratto mi devo esser detto fra me e me qualcosa del tipo: tanto c’è sempre Giulia Maria che può darmi una mano con la sua coerenza e il suo rigore nelle situazioni difficili, in cui c’è qualche intoppo. Capisco che la cosa può sembrare bizzarra, ma essa rende semplicemente conto dell’importanza di Giulia Maria Crespi nella vita del FAI. L’importanza derivava dalla sua moralità che aveva carattere esemplare. E la moralità di Giulia Maria era debitrice, al tempo stesso, di un’etica della convinzione e di un’etica della responsabilità, per riprendere la celebre formulazione novecentesca di Max Weber. Se l’etica della convinzione ti chiede di «stare ai princìpi», quella della responsabilità ti chiede di prendere sul serio le conseguenze delle tue scelte e delle tue azioni.

Quando nelle riunioni del Comitato dei Garanti si trattava di formulare un giudizio imparziale sul profilo di una persona in rapporto allo spirito del FAI o su una scelta particolare, Giulia Maria era certo intransigente nel suo stare ai princìpi, ma era disposta a valutare eticamente le conseguenze di una linea d’azione e a farsi carico di quanto dettava il principio responsabilità. In ciò mi sembra consistesse propriamente la moralità esigente di Giulia Maria Crespi. Del resto, quando penso alla realtà del FAI e al suo ruolo, alla varietà delle sue funzioni nella società italiana, mi viene in mente una sorta di estensione impersonale e istituzionale della moralità personale della fondatrice. E mi sembra importante sottolineare l’impegno peculiare del FAI nei confronti dell’etica della responsabilità nei confronti del tempo. Nei confronti del passato e del suo senso per noi, così come del futuro in cui hanno effetti le conseguenze delle scelte nel presente. Il principio responsabilità declinato al futuro chiama in causa direttamente gli impegni nei confronti della sostenibilità nelle sue dimensioni plurali: ambientale, culturale, etica. Giulia Maria era profondamente convinta che il FAI, con la sua storia, con i suoi princìpi e la sua azione nel tempo, svolgesse un ruolo cruciale nella costruzione di un senso civico e di una condivisione democratica delle sfide dello sviluppo sostenibile. Con l’idea semplice e soggiacente di un legame profondo fra bellezza, verità e giustizia. Salvatore Veca PRESIDENTE DEL COMITATO DEI GARANTI FAI

UN REGALO SPECIALE E UN GRAZIE DI CUORE! La copertina e le pagine precedenti sono state illustrate dalla mano di un grande amico, Jean Blanchaert, calligrafo, illustratore, critico d’arte e gallerista. Generosamente e con grande maestria ha messo a disposizione creatività, intelligenza, pennino e inchiostro e ha reso ancora più speciale il ricordo della nostra Fondatrice Giulia Maria Crespi.

organi del fai

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Foto © Tommaso Riva

Trovo entusiasmante poter avere al fianco del FAI un uomo di pensiero, un grande pensatore con il quale in passato ho dialogato a distanza sull’opera di Isaiah Berlin. È una nomina di grande spessore ed enorme prestigio per la Fondazione. Mi allieta che una competenza filosofica di prim’ordine possa arricchire la nostra esperienza.


Foto Davide Marcesini © FAI

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Podere Case Lovara a Punta Mesco: un modello sperimentale Affacciato sul Mar Ligure e immerso nel Parco Nazionale delle Cinque Terre, Podere Case Lovara è un luogo unico, isolato, raggiungibile solo a piedi con un sentiero panoramico che collega Levanto a Monterosso. Stiamo parlando di un’azienda agricola di 45 ettari, con tre case rurali, attorniate dai tipici terrazzamenti in pietra a secco, su cui dopo anni di abbandono, grazie all’intervento del FAI e al sostegno della Fondazione Zegna, sono tornati di nuovo a crescere vigne, ulivi e alberi da frutto. Podere Case Lovara è diventato un modello sperimentale. Un progetto nato grazie alla collaborazione tra il FAI e le amministrazioni pubbliche: il Parco Nazionale delle Cinque Terre, la Regione Liguria e i Comuni di Levanto e di Monterosso al Mare. Tutti uniti dalla volontà comune di reagire all’abbandono del paesaggio rurale e di agire concretamente con il recupero delle colture agricole tradizionali di queste terre: il più efficace strumento per la cura del territorio e la prevenzione dal dissesto idrogeologico, per incentivare il turismo sostenibile e consapevole e favorire un sistema economico incentrato sulle risorse locali. Per far tornare a vivere concretamente questi luoghi e offrire in futuro la possibilità ai visitatori di soggiornare nel podere, è stato fondamentale intervenire per garantire l’approvvigionamento energetico e idrico, con un sistema integrato di generazione ed efficientamento delle risorse. Ora il Podere, completamente isolato dalla rete elettrica e dall’acquedotto, sfrutta tutte le risorse naturali a sua disposizione: l’energia solare e l’acqua piovana raccolta dai tetti e dai rivi. L’energia elettrica è prodotta da 46 pannelli fotovoltaici, nascosti sulla copertura di uno degli edifici rurali e su di una tradizionale tettoia in legno e garantita anche in caso di maltempo grazie a 48 batterie di ambiente

Foto Enrico Cilli © FAI

Progetti e scelte concrete a sostegno dell’efficientamento energetico, dell’uso sostenibile dell’acqua e della tutela della biodiversità

— L’autonomia energetica del Podere è assicurata da 46 pannelli fotovoltaici

accumulo. L’acqua calda e il riscaldamento sono forniti da 4 pannelli solari termici e da una termocucina, alimentata con i resti delle potature. Dalle coperture delle case rurali e dai corsi d’acqua naturali è raccolta l’acqua piovana, una risorsa preziosa che viene convogliata in un sistema circolare virtuoso di riuso e ricircolo. Gli interventi di recupero del podere sono realizzati grazie anche al contributo del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 di Regione Liguria. IL CICLO DELL’ACQUA

Uno degli obiettivi dell’intervento del FAI al Podere è stato quello di controllare il corso dell’acqua e mitigare il rischio idrogeologico. Per questo è stato fondamentale il recupero di tutti i muretti a secco a sostegno dei tipici terrazzamenti, ricostruiti per difendere il suolo dall’erosione e ospitare nuovamente ulivi, vigne e orti, le coltivazioni tipiche di queste zone. Da causa di crolli e dissesti, l’acqua al Podere è tornata a essere un elemento fondamentale di crescita e sostegno. 14


Illustrazione di Enrico Cilli

— Raccolta,

depurazione e ricircolo delle acque, garantiscono il fabbisogno idrico del Bene

LA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ

Al Podere Case Lovara la biodiversità è cresciuta con gli interventi agronomici. I restauri e i lavori di manutenzione ci permettono di intervenire anche con progetti specifici che contribuiscono a proteggere la biodiversità degli ecosistemi, oggi sempre più a rischio. Nel Parco Nazionale delle Cinque Terre, gli ambienti acquatici naturali sono costituiti dalle sorgenti e dai corsi d’acqua, e tra questi i rii, come il rio Gatta, stretti e di breve corso, incassati tra le rocce. Qui, tra le diverse specie di anfibi presenti, è possibile trovare il tritone alpestre, una bellissima salamandra dalla coda appiattita lateralmente ed il ventre giallo o arancione, lunga non più di 12 cm. Come tutti gli anfibi, è una specie protetta dalla Direttiva «Habitat» dell’Unione Europea e la ambiente

sua principale minaccia è data dalla trasformazione degli ambienti acquatici in cui vive, o peggio dalla loro riduzione o scomparsa. Proprio per questo motivo al Podere Case Lovara siamo stati molto attenti durante l’intervento di recupero dell’alveo del rio: le nuove briglie sono state costruite per aggiungere dei potenziali habitat riproduttivi per questa specie anfibia e per le altre presenti nel Parco. L’altezza dei gradini, la ruvidità delle pareti su cui crescono facilmente i muschi, e la presenza di vasche di risalita, sono infatti habitat adeguati alle popolazioni anfibie, che consentono a questi piccoli animali di entrare e uscire agevolmente. Ma non solo, oggi finalmente sui terrazzamenti di Podere Case Lovara, vicino ai corbezzoli, ronzano anche delle colonie di api, grazie alla presenza di 14 arnie curate dal personale del FAI. Un altro gesto concreto a supporto e protezione dell’agrobiodiversità di questi luoghi. Foto © Richard Bartz, Munich aka Makro Freak

Un efficiente sistema di raccolta, depurazione e ricircolo delle acque consente il massimo risparmio idrico e il minore spreco possibile di questa preziosa risorsa. L’acqua al Podere deriva da due fonti principali: il rio Gatta e l’acqua piovana proveniente dalle coperture. Meticolosi lavori di recupero dell’alveo del ruscello, con l’inserimento di apposite sponde e di un reticolo di tubazioni nascoste nei muri a secco, hanno permesso di captare e convogliare l’acqua per poi raccoglierla in dodici cisterne, interrate con una capienza complessiva di 80.000 litri. L’acqua immagazzinata è utilizzata durante i periodi di maggiore siccità sia per irrigare le coltivazioni, sia per gli usi quotidiani, dopo essere stata depurata e resa potabile. Una volta utilizzata l’acqua è nuovamente recuperata: le acque grigie sono riutilizzate negli sciacquoni dei bagni, mentre le acque nere sono depurate con un sofisticato sistema di microfiltrazione che consente di ottenere ancora acqua utilizzabile a fini irrigui.

— Il tritone alpestre è una specie protetta dell’Unione Europea il

cui habitat è fortemente minacciato

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Undici anni irresistibili! Foto Gabriele Basilico © FAI

Angelo Maramai ripercorre successi, sfide e passioni e lascia il testimone a Davide Usai Con il chiudersi di questo incredibile e pazzesco 2020 si conclude anche la mia esperienza di Direttore Generale del FAI. Ci tengo a dire subito che il motivo di questa decisione è la mia condizione di salute che oramai non mi consente più di avere il carico di un ruolo di responsabilità così importante e complesso; se non fosse stato per questo problema non mi sarei certo fermato. Il FAI è una organizzazione straordinaria che rappresenta, e che potrà rappresentare sempre di più, uno dei punti di riferimento per il nostro Paese. La nostra identità di italiani è strettamente legata al nostro patrimonio storico, artistico, paesaggistico e lavorare al FAI consente di impegnarsi in una missione straordinaria dedicata proprio alla cura, alla promozione e alla vigilanza di questi valori fondanti della nostra nazione. UN’ESPERIENZA INDIMENTICABILE

Il mio lavoro, nel corso di questi undici anni, è stato quello di consentire la crescita e la transizione di una organizzazione ancora molto legata a dimensioni limitate e legate ad alcune aree del nord del nostro Paese, a una realtà davvero nazionale, di grandi dimensioni che coinvolgesse nelle proprie iniziative milioni di italiani, centinaia di migliaia di iscritti. Grazie a uno straordinario lavoro di squadra che ha coinvolto tutti, dai vertici dell’organizzazione, ai volontari, a tutto lo staff è stato possibile formulare un piano strategico e alcuni piani pluriennali che hanno permesso, attraverso un percorso condiviso, di sognare e attuare obiettivi di successo che, in larghissima parte, abbiamo visto realizzati. Poi si è abbattuto su di noi il 2020 con il mostro del Coronavirus che ha rovesciato tutti i criteri di prevedibilità e di pianificazione e che continuerà a influenzare le nostre vite per ancora un bel po’ di tempo; anche in questo frangente il FAI ha saputo reagire con dinamicità e flessibilità e si avvia a concludere l’anno con perdite che non comprometteranno il futuro della Fondazione. Ne siamo tutti davvero molto soddisfatti (anche se stremati!) e fieri perché significa essere riusciti a consolidare una struttura matura e forte, in grado di adeguarsi alle sfide più difficili. Nel corso di questi undici anni posso dire di avere maturato un’esperienza straordinaria che mi ha portato a collaborare con persone eccellenti che mi hanno arricchito e aiutato a crescere. Non posso non cogliere quest’occasione per fare i ringraziamenti che ho nel cuore. organi del fai

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Ringrazio tutti i nostri Consiglieri di Amministrazione, e i membri di tutti gli organi istituzionali, che hanno sostenuto i progetti e i piani che hanno permesso al FAI di diventare ciò che è oggi. Ringrazio Ilaria Borletti Buitoni, Presidente FAI dal 2010 al 2013, assieme alla quale ho iniziato questa straordinaria esperienza; ringrazio Andrea Carandini e Marco Magnifico coi quali negli ultimi otto anni ho lavorato gomito a gomito formulando tanti progetti e ottenendo straordinari risultati. Un pensiero speciale e grato per Giulia Maria Crespi che mi ha voluto al FAI in un momento in cui già aveva deciso di ritirarsi dai suoi poteri operativi, ma che ci ha sempre stimolato e «pungolato» perché non ci fermassimo mai nel leggere i bisogni della società e non rallentassimo mai nel processo di innovazione. Ringrazio tutto lo staff del FAI che nel corso di questi anni ho contribuito a organizzare e a far crescere professionalmente: la loro forza e motivazione ha prodotto i progetti e gli obiettivi concretamente conseguiti che sono sotto gli occhi di tutti. Ringrazio in modo particolarmente commosso e ammirato tutta la straordinaria rete dei Volontari del FAI: grazie ai nostri Presidenti Regionali, a tutti i nostri Delegati e a tutti i Volontari che sul territorio nazionale testimoniano quotidianamente la passione civile e l’impegno sociale a favore della nostra missione. Nel difficilissimo 2020 hanno dimostrato un grande coraggio e una eccezionale determinazione organizzando, in condizioni di sicurezza, eventi territoriali (in particolare le Giornate FAI all’aperto e le Giornate FAI d’Autunno) che hanno fatto letteralmente lo «slalom» tra i lockdown locali e nazionali. LA SFIDA CONTINUA...

I miei più sentiti auguri a chi prenderà il mio posto, a Davide Usai, che già da alcuni mesi ha cominciato la sua esperienza in questa straordinaria organizzazione che merita di essere gestita a livelli di grande eccellenza. Infine un saluto a tutti gli iscritti e sostenitori del FAI siano essi privati o aziende: il vostro numero è molto cresciuto nel corso di questi anni e la vostra importanza è centrale per il sostegno alla missione nella quale tutti crediamo. Siateci vicini e i nostri risultati saranno i vostri risultati che permetteranno di progredire verso una società migliore. Angelo Maramai DIRETTORE GENERALE FAI


I PRODOTTI FAI

Foto Maria Pia Giarré © FAI

Anche se al momento i nostri Beni sono chiusi, appena sarà possibile non dimenticatevi di visitare i nostri negozi, vi aspetta un’accurata selezione di libri, oggettistica e merchandising ispirata ai nostri Beni e ai territori che li ospitano. Troverete un coloratissimo assortimento di oggettistica FAI e i prodotti alimentari realizzati con le materie prime dei nostri Beni: oltre alle marmellate dagli antichi agrumi e alla confettura extra dei fichi d’India del Giardino della Kolymbethra, l’olio extravergine di oliva dagli ulivi del Bosco di San Francesco, il miele dalle arnie del Monastero di Torba, il sale integrale delle Saline Conti Vecchi e i cioccolatini del Castello di Avio. natale con il fai

Tutti gli iscritti hanno il 10% di sconto sui prodotti in vendita! Scopri di più su www.prodottifai.it. FAR RINASCERE L’ITALIA: IL DONO PIÙ GRANDE

A Natale regalare l’iscrizione al FAI è regalare all’Italia un 2021 di tutela, salvaguardia e valorizzazione della sua straordinaria bellezza. Foto Maria Pia Giarré © FAI

È inutile nasconderselo, questo sarà un Natale diverso da tutti gli altri. Quanto è accaduto e continua ad accadere intorno a noi ci sta mettendo a dura prova, ma ci sta anche aiutando a diventare più consapevoli di ciò che davvero conta. Ci ha spinto a riscoprire il valore reale delle cose. Il FAI esiste, da sempre, per preservare un dono straordinario che abbiamo ricevuto in eredità dal passato: il nostro patrimonio di arte e natura. Mai come oggi siamo consapevoli di quanto questo patrimonio abbia bisogno dell’amore e della cura di tutti noi. Sono molti i modi per sostenere la nostra missione, uno di questi è scegliere i nostri regali solidali.

Foto Gabriele Basilico © FAI

Passiamo le feste insieme! Regali speciali per un Natale speciale

Scegli la quota giusta da regalare su: www.fainatale.it Con la tua tessera FAI puoi scoprire l’Italia più bella: • Entrare gratis in tutti i Beni del FAI; • Beneficiare dell’ingresso ridotto ai 300 eventi nei Beni FAI; • Avere ingressi riservati e prioritari durante le Giornate FAI con visite dedicate per scoprire luoghi solitamente non aperti al pubblico o poco conosciuti; • Godere di oltre 1.600 convenzioni con realtà culturali in tutta Italia; • Beneficiare dell’ingresso ridotto agli eventi delle Delegazioni sul territorio. 17


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Ultime notizie dal mondo FAI

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Tra risultati sorprendenti, nuove donazioni e Grand Tour in poltrona le nostre attività continuano adattandosi alla nuova normalità — Un grazie particolare ai nostri

Foto © FAI

volontari per la passione e l’entusiasmo dimostrati durante le Giornate FAI d’Autunno

Un ottobre diverso dal solito Per la prima volta dall’origine dell’evento, le Giornate FAI d’Autunno sono raddoppiate: per due fine settimana consecutivi sono stati aperti al pubblico 1.000 luoghi in 400 città d’Italia. Questi due weekend, nonostante le difficoltà legate alla situazione, sono andati oltre le aspettative: i visitatori, in totale sicurezza, nel rispetto delle normative anti Covid-19, hanno scoperto luoghi normalmente inaccessibili, poco noti o poco valorizzati; un caleidoscopio di meraviglie nella proposta del FAI e dei suoi volontari che hanno reagito con ancor più energia, impegno ed entusiasmo al periodo difficile che l’Italia sta attraversando. Promotori e protagonisti dell’evento sono stati i Gruppi FAI Giovani, ideali eredi e testimoni dei valori che hanno guidato la Fondatrice e Presidente Onorario del FAI, Giulia Maria Crespi, scomparsa a luglio e alla quale erano dedicate le giornate: l’inesauribile curiosità, la voglia di cambiare il mondo e l’instancabile operosità per un futuro migliore per tutti. Il grande evento di piazza delle Giornate FAI d’Autunno si inserisce all’interno della campagna di raccolta fondi di ottobre «Ricordiamoci di Salvare l’Italia», supportata da RAI attraverso una Main Media Partenship, che ha visto il FAI protagonista all’interno dei principali programmi nella settimana dal 12 al 18 ottobre. Questo ci ha permesso non solo di raccogliere contributi tramite sms ma anche di promuovere la missione della Fondazione. Le donazioni e le moltissime iscrizioni raccolte durante questo mese hanno portato un aiuto economico concreto in questo momento di difficoltà da destinare ai lavonews

ri in corso e ai progetti futuri del FAI. Le Giornate FAI sono state rese possibili grazie a Ferrarelle, acqua ufficiale del FAI e Partner degli eventi istituzionali, al Main Sponsor FinecoBank, realtà leader nel trading online e nel private banking, e Rekeep, principale gruppo italiano attivo nel facility management e amico del FAI dal 2018. Grazie anche a Edison, Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine, System Professional e Ippodromo Snai San Siro. La campagna «Ricordiamoci di salvare l’Italia» è stata possibile anche grazie alle preziose collaborazioni strette con importanti aziende che hanno sostenuto il progetto in qualità di partner: gli ipermercati Iper La grande i, i supermercati Unes, i punti vendita il Viaggiator Goloso®, i quattro centri commerciali Porta di Roma, Le Gru, Campania, Nave de Vero appartenenti al Gruppo Klépierre, l’olio extra vergine d’oliva Zucchi, e lo zafferano selezionato a cura di Citrus-l’orto italiano. Si sono svolte con il Patrocinio del MiBACT, di tutte le Regioni e le Province Autonome italiane. Si ringrazia per la collaborazione la Commissione Europea in Italia, da alcuni anni partner delle Giornate FAI attraverso l’Ufficio di Rappresentanza a Milano. Si ringraziano, inoltre, Regione Campania, Regione Lazio, Regione Lombardia, Regione Toscana e Provincia Autonoma di Trento per il contributo concesso. Anche per questa edizione la Rai ha confermato l’impegno del Servizio Pubblico radiotelevisivo alla cura e tutela del patrimonio culturale, artistico e paesaggistico italiano. Rai è Main Media Partner del FAI e supporta in particolare le Giornate FAI d’Autunno 2020 anche attraverso la collaborazione di Rai per il Sociale.

GRAND TOUR IN POLTRONA! DA GENNAIO 2021! I docenti che di norma accompagnano i viaggi degli Iscritti FAI vi faranno viaggiare con la mente e vi racconteranno tutto quello che bisogna sapere quando si potrà riprendere a viaggiare, spaziando tra molti argomenti: dall’Atene di Pericle ai capolavori della Land Art americana, dalla Firenze agli albori del Rinascimento alla rocambolesca fuga di Caravaggio… 18 appuntamenti on line, tutti i lunedì alle 18.00 a partire dal 18 gennaio. Mettevi comodi e… partite! Per informazioni e per il calendario consulta il sito: www.faigrandtourinpoltrona.it oppure scrivi a viaggi@fondoambiente.it

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Foto arenaimmagini.it © FAI

Foto arenaimmagini.it © FAI

— Casa e Tenuta Perego immersa nelle lanche del Ticino, in provincia di Pavia

I Beni del FAI crescono! Marco Magnifico introduce le nuove acquisizioni.

alle visite del pubblico. Assieme a lui stiamo già lavorando al progetto: un grandissimo, comune divertimento.

CASA E TENUTA PEREGO

Filippo Perego è uno degli uomini più ottimisti, generosi e positivi che io conosca; anche oggi che con superba lievità ha compiuto 90 anni. Da circa 20 anni regala una/due/tre/ cento mani al FAI nel rimettere all’onor del mondo gli interni di molti dei Beni della Fondazione; a lui si deve l’aspetto attuale di Villa Della Porta Bozzolo, di Casa Carbone, di Villa dei Vescovi e di molti ambienti del Castello di Masino, di Villa del Balbianello e del Castello della Manta. «Filippo ciao, avremmo bisogno…»; «Che gioia! Quando vuoi!». Sempre pronto, di buon umore, creativo, audace seppur nel pieno rispetto della tradizione delle grandi case di una volta dove è venuto al mondo e ha poi lavorato tutta la vita diventando uno dei più celebri e corteggiati architetti d’interni del ’900: «sue» molte delle più belle case italiane e non solo. Lavorare con lui è sempre stato un regalo; ore indimenticabili per creatività, divertimento e concretezza grazie al suo occhio formidabile e al suo modo immediato di prendere decisioni seppur sempre aperto al contributo altrui. Un giorno mi telefona: «Senti Marco, forse è una follia… perché, sai, non è certo all’altezza delle case del FAI; ma pensavo che se al FAI interessasse la mia casa di Villareale…; ma forse non la vorrete, non è poi granché…». Tipico understatement da gran signore. Trenta ettari di risaie in un paesaggio intatto sull’argine del Ticino in un paesaggio magico; al centro, in un minuscolo abitato rurale, la grande cascina Perego il cui edificio principale (1.500 mq) è stato da lui trasformato negli anni in residenza di grande prestigio, con collezioni di ogni tipo che raccontano la storia del gusto dell’abitare nel secolo scorso con una dovizia di particolari assolutamente strepitosa; solo per farvi capire di che si tratta, ci sono 46 servizi di piatti, decine e decine di tovaglie, servizi di posate e centri tavola in modo che ogni dettaglio sia coordinato. Il contesto ambientale e paesaggistico è superbo e consentirà al pubblico di scoprire la meraviglia delle lanche del Ticino... Cosa sono le lanche? Lo scoprirete passeggiandovi in mezzo... Nelle zone rustiche allestiremo ogni possibile intrattenimento per un vasto pubblico assetato di aria aperta e di natura e perché no, anche un ristorante che servirà quasi solo riso! La donazione della nuda proprietà (il conte Perego ne manterrà l’usufrutto vita natural durante) è stata firmata il 29 ottobre ed è accompagnata da una generosa dotazione che ci consentirà un giorno di adattare il complesso news

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VILLA REZZOLA A LERICI

Pupa Miniati era e resterà per me la sua risata. Era una bellissima donna, alta e con il portamento che una volta si insegnava alle ragazze della «buona società» al collegio del Poggio Imperiale; elegante ma mai overdressed (elegante, appunto!), teneva i capelli immancabilmente raccolti in un foulard di Hermès annodato sulla nuca che esaltava il magnifico ovale del volto e i grandi occhi che non so se ricordare più verdi o più espressivi. Da gran signora qual era metteva immediatamente a proprio agio l’ospite e – altro retaggio di un certo tipo di educazione – sapeva immediatamente adattare la sua vivace, colta e intelligente conversazione agli interessi e al carattere di chi aveva di fronte. La sua squillante risata, che arrivava tanto inaspettata quanto sonora, sovrastava ogni chiacchiera ed era più un artificio lessicale che manifestazione di divertimento; era come uno di quegli «abbellimenti» della Callas che provocavano un fremito rallegrando lo spirito; era il suo modo per condire, arricchire e dare vita alla conversazione che, comunque vivace, assumeva una rara vitalità. La prima volta che, con l’allora Capo Delegazione del FAI di La Spezia Mayda Bucchioni, andai a colazione da lei nella splendida casa di Lerici che oggi, per sua decisione è del FAI, (le chiesi la ricetta della sublime torta di pere che arrivò alla fine e che nessuno in casa mia è mai riuscito a far eguale) non mi fece quasi entrare in casa ma, calzati due stivalacci e senza aspettare una risposta alla domanda «vuol fare un giro in giardino?», mi condusse per la lunghissima pergola coperta di glicini che affonda nel verde del parco da lei curato con amore e passione e che, oltre alla vista impagabile sul Golfo dei Poeti, è il vero tesoro della proprietà. Mi fece promettere che avrei voluto bene al suo giardino: lo feci e mi credette. La memoria di Pupa è una gioia per il cuore di chi ebbe la fortuna di conoscerla. — Villa Rezzola a

Pugliola, Lerici, in un acquerello di Helen Lavinia Cochrain


Ti amo, perciò ti lascio. LA GENEROSITÀ È L’EREDITÀ PIÙ GRANDE. Un lascito al FAI è per l’arte e per la natura. È per sempre.

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