1969... 2019 di Maurizio Rebuzzini (Franti)
SUL FILO DELLA MEMORIA
D
nello Spazio [nostra più recente rievocazione, in FOTOgraphia, dello scorso luglio]. Nessun rimpianto, sia chiaro. Casomai, un compiacimento intimo: la futura assenza delle istituzioni da un momento e ricordo che appartiene soltanto a Noi, non a loro. Infatti, senza entrare in analisi politiche che non ci competono, né interessano, soprattutto qui, da queste pagine altrimenti promesse, ancora oggi, come cinquant’anni fa, non pensiamo che quella bomba -quella strage- sia stata orchestrata dai “sevizi deviati” dello Stato, ma, molto più concretamente e tangibilmente, dai Servizi in quanto tali: che hanno risposto da par loro (e dello Stato) al clima di richieste sociali del Lavoratori del tempo (e, in subordine, degli studenti). Ricordiamolo una volta per tutte: governo Rumor I (Democrazia Cristiana), dal 13 dicembre 1968 al 6 agosto 1969; governo Ru-
CARLO CERCHIOLI
Dodici dicembre Millenovecentosessantanove... duemiladiciannove: cinquant’anni. È e sarà l’ultima volta che ricorderemo in solennità la bomba/strage alla Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano. La cifra tonda dei cinquant’anni è l’ultima possibile. Poi, il ricordo tornerà a essere intimo e sentito: dopo il cinquantenario, finalmente, le “istituzioni” si faranno da parte, e si defileranno dalle successive/prossime rievocazioni “tonte”: cinquantunesimo, cinquantaduesimo, cinquantratreesimo, cinquantaquattresimo... Al Centenario, tutti noi assenti, non ci arriveremo di certo, perché la vicenda -piaccia o meno- si conclude nel localismo italiano. Se proprio qualcosa del presente/passato approderà al Centenario (1969-2069), non possiamo che prevedere solenni celebrazioni per il primo allunaggio, di Apollo 11, il venti luglio, magari in tempi di sostanziosa esplorazione
Ammissione dovuta: non sono anarchico, e non lo sono mai stato. Considerazione necessaria: in effetti, non so neppure dove schierarmi politicamente, ammesso e non concesso che sia doveroso farlo... soprattutto oggi. Se proprio debbo disegnarmi qualcosa addosso, sono essenzialmente libertario. Ovvero, attento al mio esterno e rispettoso degli Altri. Niente di più. Per mille motivi, vivo essenzialmente con cadenza solitaria, consapevole del fatto di risultare sgradito e intenzionato a non diventare sgradevole. Per cui, penso di conoscere persone e che persone conoscano me. Amicizia è altro. Con tutto, sono stato amico di Pietro Valpreda, ingiustamente accusato e carcerato per la bomba / la strage di piazza Fontana, prima di essere riconosciuto innocente e totalmente estraneo ai fatti. Tanto che, per le sue esequie, all’indomani della morte prematura, il 6 luglio 2002, a sessantanove anni, sono stato l’unico non anarchico a portare la sua bara a spalla, nel breve corteo di estremo saluto.
10
mor II, dal 6 agosto 1969 al 28 marzo 1970; presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat (Partito Socialista Democratico Italiano [papà, quanto avrai sofferto per questo, in quei giorni?], dal 29 dicembre 1964 al 29 dicembre 1971 (e, poi, Giovanni Leone!). Ribadiamolo: non esistono i “servizi deviati”, ma soltanto i Servizi. Ed è legittimo che così sia, in una interpretazione dello Stato che appartiene a menti deragliate e traviate (questo, sì). Nei prossimi giorni di dicembre si manifesteranno e moltiplicheranno ricostruzioni e rievocazioni, ma nulla di tutto questo cancellerà un’infamia del nostro paese, che tante altre ne ha poi messe in atto (rapimento e assassinio di Aldo Moro, vicenda Roberto Calvi, assassinio di Peppino Impastato, scuola Diaz, a Genova, caso Cucchi, mafie, connivenze, coperture...). Nulla ridarà la vita a Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della Questura di Milano, il quindici/sedici dicembre, a quarantuno anni; nulla cancellerà le responsabilità dello Stato; nulla restituirà a Pietro Valpreda gli anni di carcerazione ingiusta. Punto. Ma anche noi, coprotagonisti quotidiani di quel capitolo della Nouvelle Histoire [da e con Lello Piazza, su questo numero, da pagina ventisei], dobbiamo fare clamorosa ammenda: al minimo, abbiamo declinato i nostri Sogni, la nostra Utopia con non celata maleducazione. La stagione avviata alla fine degli anni Sessanta, volente o nolente, decennio di grande Rivoluzione sociale, è stata eccezionale e meravigliosa... nonostante noi, nonostante il nostro analfabetismo. Confondendo tra loro i complementi oggetto con i soggetti -e ancora molti, al giorno d’oggi, continuano a frequentare la stessa ingenuità colpevole, anche in Fotografia-, ci siamo elevati a censori. Magari io non l’ho fatto,
quantomeno non ricordo di averlo fatto, ma così è stato: abbiamo preteso che ognuno non svolgesse il proprio ruolo, ma lo interpretasse soltanto per dibattere tesi o sostenere teorie. Attori, musicisti, registi, scrittori, fotografi... che non si attenevano a questo venivano bollati come “borghesi”, e per questo perseguiti. Dalla legittimità originaria, si è presto slittati verso comportamenti identici a quelli combattuti, per quanto -magaridi segno algebrico opposto... ma non conta nulla. Di fatto, abbiamo giudicato, invece di osservare e creduto, piuttosto di pensare. Non avevamo capito che il contributo di ciascuno a una società meno ingiusta, magari più giusta, sarebbe dovuto essere soprattutto in relazione al proprio ruolo. Personalmente, l’ho intuito presto: giusto, in quel Sessantotto di origine, grazie alla personalità rigorosa, disciplinata e determinata di Arturo Cannetta, insegnante
Una storia quasi soltanto mia. La breve vita di Giuseppe Pinelli, anarchico, di Licia Pinelli e Piero Scaramucci; Feltrinelli Universale Economica, 2009; 224 pagine 12,5x19,5cm; 9,50 euro. In copertina: Pino Pinelli a Genova, in viaggio di nozze, nel 1955, fotografato da Licia Pinelli.