PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura - Estate 2013
Pordenone Piancavallo tel. 0434 520524
Photo: Epperson G. Š Patagonia 2013
Foto Terrazzani
PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura n.14 Supplemento n.1 al n.65 La Città (Aprile 2013)
Editrice: Associazione “La Voce”, Piazza XX Settembre, 8 33170 Pordenone Tel. 0434 240000 Fax 0434 208445 info@domenicasport.org www.domenicasport.org Direttore Responsabile: Flavio Mariuzzo Testi e foto di: Omar Cescut, Carlo Favot, Giulio Ferretti, Mauro Fracas, Piergiorgio Grizzo, Cristina Pasin, Giulia Pelosi, Federico Stelé, Ferdi Terrazzani, Mario Tomadini, Margherita Venturelli, Michela Zin ProgETTO grafico: Francesca Salvalajo IMPIANTI Stampa: Visual Studio Pordenone Stampa: Tipografia Sartor Pordenone
SOMMARIO SOMMARIO 5. Editoriale 6
Piancavallo continua il suo cammino con il passo da montanaro
9.
Turismo verde e “slow”, l’abito estivo di Piancavallo
10. “Il turismo è la vetrina dei valori di una comunità” 13. Downhill, per molti e ora anche per tutti! 16. La Sicurezza su Pista diventa una risorsa anche in estate 18. Cooperativa 1265, la vacanza sportiva è servita 22. Asinando, Piancavallo rispolvera le atmosfere del grande “Gelo” 26. Corsa in montagna, Pordenone ha uno stadio a cielo aperto 29. Rifugio Semenza, da 50 anni uno degli approdi più amati 35. “Regina” delle nevi, da 40 anni sulla cresta 36. Il rifugio Policreti riemerge dalle nebbie della storia
Si ringraziano per la collaborazione: Mario Sandrin, Carlo e Anna Sartor, Nicola e Matteo della Visual Studio, Maurizio, Vanessa, Elena e Sofia dell’Ufficio Turismo Fvg di Pordenone, Elio Eberle, Flavia e Monica dello Studio Bortoluzzi e le collaboratrici dello Studio Sandrin di Viale Trieste a Pordenone: Alessia, Clarissa, Cristina, Marta, Monica, Nicoletta, Sonia “uno” e Sonia “due”.
38. In prima linea per un’architettura sostenibile e rispettosa dell’ambiente 43. La salita del Pirata 49. L’onda lunga del Vajont. Mezzo secolo di ingiustizie e umiliazioni 57. La Foresta degli uomini “robusti, puliti e parchi di movimenti e di parole” 60. Nuovo Campus per i ricercatori al Centro Oncologico di Aviano 63. Figomoro, un distillato della dolcezza pedemontana 65. Highland, la mucca pelosa che non teme il freddo 66. L’operetta concede il bis! 69. Masterchef targati Alto Livenza 73. Barcis tra acqua e fuoco 77. La lettera
Foto di copertina: Ferdi Terrazzani
EDITORIALE
Sport, natura e benessere Il fascino delle cose semplici Anche quest’anno Piancavallo si presenta ai suoi ospiti con una veste estiva ricca di novità e di voglia di stare insieme. La copertina di questo numero rivela fin da subito una delle iniziative più simpatiche e allo stesso tempo più semplici proposte dalla nuova associazione Orizzonte Sportivo: la passeggiata con gli asini. Divertimento assicurato per i bambini invitati fare trekking in compagnia di uno degli animali da sempre amico dell’uomo. Ma anche un bel passatempo per i genitori che potranno accompagnarli praticando il nordic walking con le racchette fornite dall’associazione. Insomma, coerentemente con lo spirito del periodo, Piancavallo riparte dalle cose semplici, quelle valide in ogni tempo, perché costruite sui rapporti umani e su una corretta relazione con l’ambiente. Certo, la stagione estiva di Piancavallo offre anche molto altro. A partire dallo sport, che in quota trova ormai un vero e proprio villaggio attrezzato e all’avanguardia. Da tempi non sospetti andiamo affermando che in tale ambito va individuata la principale vocazione della località. Un grande centro sportivo in quota, ottimamente collegato alla pianura, dotato di ogni comfort e capace di soddisfare le esigenze di diverse discipline sportive sia d’estate sia d’inverno. Ed è sull’estate e sulle due stagioni di mezzo che Piancavallo ha ancora parecchie carte da giocare. Prova ne sia il successo di discipline come la corsa in montagna o la mountain bike, la cui crescita di anno in anno è un fattore da studiare e da coltivare con passione. Su questo punto esiste già una certa convergenza da parte delle istituzioni e degli operatori locali, che dall’anno scorso hanno dimostrato di “crederci” dando vita alla Cooperativa 1265. Un notevole impulso è stato impresso anche dalla Regione, attraverso Promotur, con la realizzazione del nuovo albergo e attraverso il potenziamento dei servizi per sciatori e snowboarders d’inverno e per i bikers e gli escursionisti d’estate. Oggi molte speranze sono riposte sui nuovi vertici regionali, in primis sulla presidente con delega alla Montagna Debora Serracchiani e sul vicepresidente con delega alle Attività Produttive e Turismo Sergio Bolzonello, che da ex sindaco di Pordenone conosce e ama Piancavallo. Ancorché con le limitate risorse a disposizione, da loro è lecito attendersi un cambio di marcia per quel che riguarda il posizionamento e lo sviluppo di Piancavallo. Flavio Mariuzzo
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IL PUNTO DEL SINDACO DI AVIANO
Piancavallo continua il suo cammino con il passo da montanaro
Il
passo del montanaro è lento ma costante. Non corre quando il sentiero è agevole e non si ferma quando il sentiero si fa difficile. Misura le sue forze e rispetta la montagna. Così facendo supera le difficoltà più impervie e con costanza raggiunge l’obiettivo del suo cammino. L’immagine del montanaro è anche la metafora del Piancavallo: negli anni di congiuntura economica favorevole altri luoghi nelle Alpi hanno corso guadagnando terreno mentre Piancavallo camminava tranquillo, poi è arrivata la salita della crisi e chi aveva corso troppo è rimasto con fiatone mentre il nostro, con passo misurato ma costante, riappare sul sentiero, si riprende il terreno e continua il suo cammino. La stagione invernale appena trascorsa ci ha donato molta neve che, assieme alla tenacia di tanti imprenditori, ha consentito ancora una volta di guardare con relativa serenità all’immediato futuro. Entriamo quindi nella nuova stagione estiva con il misurato ottimismo del montanaro che conosce la fatica che lo attende ma sa pure che la tenacia e la perseveranza gli consentirà di proseguire con fiducia verso gli obiettivi che si è prefissato. In questi mesi il Piancavallo ha visto un arricchimento dell’offerta ricettiva con l’avviamento della nuova prestigiosa struttura presso il complesso sportivo dei due palazzetti mentre un’altra struttura storica, l’hotel Regina, è in procinto di un importante rinnovamento. Sul piano imprenditoriale si è sviluppata una importante collaborazione tra parecchi operatori che ha portato a nuove e più efficaci forme di gestione dell’impiantistica
sportiva. Continua, con passo misurato ma costante, il processo di miglioramento del patrimonio immobiliare ed è proprio su questo versante che lo scorso marzo si è celebrato un momento importante per l’intera località: il Politecnico di Torino, con l’architetto Stefano Puiatti, ha scelto proprio Piancavallo per una sessione di studio sul tema dell’architettura di montagna. Un appuntamento importante per proporre Piancavallo non solo come luogo di sport e svago ma anche come laboratorio di idee, luogo fertile per una nuova creatività nel rispetto dell’ambiente e della natura. Ed è soprattutto nell’integrazione tra paese di montagna e natura che l’amministrazione vuole leggere il futuro di Piancavallo, luogo in cui praticare sport a 360°, dedicare tempo allo svago, trascorrere il tempo con gli amici ma, soprattutto, immergersi una natura ogni giorno più splendida con le faggete che crescono silenziose e portano con sé nuovi ed insospettati abitanti: cervi, camosci ed ora anche l’orso e la lince, vicini di casa straordinari la cui presenza è il miglior attestato della qualità dell’ambiente. Rivolgo, quindi, a tutti un caloroso ed affettuoso augurio per la nuova stagione estiva. A tutti l’augurio che ci si possa incontrare in Piancavallo, magari degustando in malga i formaggi del pascolo e assaporando un calice del buon vino della nostra terra. E un augurio di cuore a Piancavallo, che continui il suo passo di montanaro, tutti noi continueremo convintamente a sostenerlo come testimone prezioso del turismo friulano. Stefano Del Cont Bernard (Sindaco di Aviano)
Momenti di divertimento, aggregazione e spensieratezza in piazza a Piancavallo. (Foto Terrazzani)
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Tullio Crali, Omaggio a Boccioni, 1995 - olio su tela, 100 x 80 cm Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Con il sostegno di
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DAL 22 MAGGIO AL 16 GIUGNO da martedì a venerdì 15:00 | 20:00 Sabato e domenica 10:00 | 13:00 - 15:00 | 20:00
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INGRESSO LIBERO
Turismo verde e “slow”, l’abito estivo di Piancavallo
Se
pensiamo specificatamente a Piancavallo possiamo considerarla una località con una sua precisa identità nella stagione invernale. Piste da sci, pattinaggio, nuove strutture e numerose iniziative delineano un utilizzo della montagna chiaro e preciso. Quello a cui si deve piuttosto puntare è ad implementare il ruolo di Piancavallo e della zona pedemontana nella stagione primaverile ed estiva. Per questo la Provincia di Pordenone ha avviato molteplici progetti che si ispirano principalmente al concetto di “turismo verde” o “slow tourism”. La nostra è una piccola provincia, che non ha una vocazione turistica netta e delineata. Finora è sempre stata identificata con l’economia manifatturiera e industriale e con un fervente dinamismo commerciale. Eppure il nostro territorio è ricco di bellezze naturali e paesaggistiche che sono un “canto delle sirene” per gli amanti della natura e che ben si adattano alle linee guida della nostra proposta di marketing territoriale. Per questo abbiamo adottato come obiettivo quello di richiamare il turista offrendogli una proposta integrata di bellezze naturali, storico-culturali, enogastronomia e ricettività, compiendo un’azione di collegamento tra tutti gli enti, le associazioni e le imprese coinvolte per unificarne progetti e calendari. Abbiamo inoltre avviato progetti per aumentare il numero delle piste ciclabili e pedonali, ma anche dei sentieri e delle vie d’acqua navigabili. Il turista a cui ci rivolgiamo è quello che ama l’ambiente e le passeggiate, mangia tipico e sano e desidera una ospitalità unica e famigliare. Da qui l’obiettivo di spingere i produttori e i ristoratori a proporre prodotti a
km zero e biologici tipici (abbiamo convogliato dei contributi ad hoc alle fiere e alle aziende agricole certificate), ma anche la ricerca di valorizzazione degli alberghi diffusi e degli agriturismi. Nel corso degli anni, inoltre, come Provincia abbiamo sostenuto il Comune di Aviano da un lato nella realizzazione di molteplici manifestazioni ed eventi, dall’altro coordinandoci con la Cooperativa 1265 che ha realizzato iniziative per nostro conto con notevole professionalità e, in futuro, amplificherà la vocazione di Piancavallo ad ospitare ritiri di squadre sportive, soprattutto giovanili. Da ultimo, ci muoviamo costantemente per intercettare fondi relativi a progetti europei che possano far crescere la nostra zona montana. Un progetto europeo a cui stiamo lavorando, in particolare, prevede la valorizzazione di territori turistici non stereotipati e lontani dal turismo di massa, proprio come il nostro, e insieme il potenziamento di iniziative legate alle valorizzazione delle Dolomiti Friulane patrimonio dell’Unesco tramite la realizzazione di eventi musicali, sportivi, culturali e di approfondimento ambientale che calamitino visitatori in luoghi ameni e ricchi di biodiversità. Michele Boria Assessore provinciale al Turismo
Foto Terrazzani
PROVINCIA DI PORDENONE
REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA
“Il
turismo
è la vetrina dei valori di una comunità”
Da poche settimane alla guida del Turismo regionale, l’ex sindaco di Pordenone e ora vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello promette di prendere di petto la “vertenza” Piancavallo. “La località deve sposare un’idea forte” di Flavio Mariuzzo
Il
turismo deve essere una priorità per l’economia regionale ma deve, prima di ogni altra cosa, essere inserito in un progetto complessivo di sviluppo del territorio, altrimenti diventa fatto effimero e destinato a collocarsi in una situazione di passività rispetto alla concorrenza. Questo, in sintesi, il messaggio forte della neo insediata giunta guidata da Debora Serracchiani che, proprio nell’ottica di istituire una regia complessiva, ha riunito le deleghe per le attività produttive, attività agricole, commercio e turismo nelle mani dell’ex sindaco di Pordenone e ora vicepresidente della Regione Friuli Venezia Giulia Sergio Bolzonello. Assessore Bolzonello, qual è la visione della nuova amministrazione regionale rispetto al tema della promozione turistica? Il turismo deve divenire il risultato di una coesione
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territoriale dell’intero Friuli Venezia Giulia e del comparto produttivo, quello che spazia dall’artigianato all’agricoltura. Il turismo deve essere la vetrina di un pensiero coerente dove si riflettono i nostri valori, le nostre peculiarità, le nostre eccellenze. Sono queste le potenzialità che dobbiamo offrire al turista per fidelizzarlo. Al turista non dobbiamo offrire solo un pernottamento bensì un’esperienza complessiva che permetta di avvicinarlo ai meravigliosi prodotti della nostra terra e al pensiero che li ha prodotti. Quali le potenzialità della montagna pordenonese e quali, a suo avviso, le priorità d’intervento? La montagna pordenonese possiede una straordinaria potenzialità che è rappresentata dall’accessibilità attraverso facili collegamenti alle più importanti infrastrutture della regione. Essa offre una variegata offerta che spazia dagli sport invernali, all’escursionismo a piedi o in
bicicletta, alle arrampicate e ad una sentieristica adatta a tutti i livelli di capacità. Questa montagna è terra di piccole comunità, di tradizioni antiche, di generosità, di franchezza. Dobbiamo però offrire strumenti e servizi per fermare lo spopolamento della nostra montagna e favorire la manutenzione del territorio montano. Con queste premesse vogliamo proporre al turista nazionale ed internazionale pacchetti turistici “all inclusive” che possano soddisfare le esigenze di coloro che frequentano la montagna per avvicinarsi alla dimensione naturale ma anche quelli che prediligono la vacanza attiva nel segno dello sport e dell’attività fisica. Un turismo consapevole, a stretto contatto con la comunità del luogo ma in grado di interfacciarsi alle esigenze del presente. Non credo alle insegne ai neon e ai parchi giochi in montagna ma ad un luogo in cui natura e servizi convivano armonicamente assieme. Dopo i fasti degli anni 70-80 con la Coppa del Mondo di sci alpino e il Rally internazionale, oggi su cosa deve puntare Piancavallo? Piancavallo in questi anni ha vissuto una progressiva fase di declino; naturalmente le trasformazioni degli ultimi anni, anche metereologiche, sono state molto significative ma emerge, a monte di tutto, una chiara mancanza di visione. Piancavallo si raggiunge velocemente e può
essere il punto di partenza per l’esplorazione di tutto il territorio montano interno. Rispetto a Piancavallo dovremo pensare e realizzare nuove iniziative che siano in grado di sposare le nuove esigenze indirizzate alla pratica sportiva estiva ed invernale, al turismo intelligente, diffuso, ecocompatibile e culturale. Basti solo per fare un esempio, l’iniziativa “Suoni delle Dolomiti”, che porta grandi musicisti a suonare nelle vette delle Dolomiti. Cosa può fare la Regione per Piancavallo? La Regione, deve, in un tavolo di confronto aperto a tutte le rappresentanze del territorio montano, agricoltura compresa, realizzare un piano di sviluppo sul medio periodo. Mettere in piedi una strategia che abbia un’idea forte e che dia poi tutte le direttive per coordinare tutte le iniziative. Non possiamo permetterci di disperdere risorse perchè amministrare significa andare oltre gli interessi di categoria e lavorare per un bene comune, in questo caso la montagna. Da pordenonese, cosa rappresenta per lei Piancavallo? Quali i suoi ricordi più belli legati alla località? E’ la montagna che ho sempre visto e vissuto fin da quando ero piccolo. Ci sono due sagome del nostro territorio che rimangono sempre nel mio cuore, quella del campanile del Duomo di Pordenone e quella del Monte Cavallo. Il ristoro in rifugio a base di prelibatezze locali, tappa immancabile di ogni escursione nella montagna pordenonese. (Foto Terrazzani)
IL SALUTO DELLA PRESIDENTE
Ambiente, cultura ed enogastronomia i tre “magneti” delle nostre Terre Alte
La montagna pordenonese rappresenta uno dei tesori del Friuli Venezia Giulia e un volano di possibile sviluppo per l’intero territorio, anche in chiave turistica. Uno sviluppo di cui Piancavallo e le Dolomiti Friulane debbono essere parte attiva, anche per riceverne le positive ricadute, proponendo e illustrando ai propri turisti nuove potenzialità e rinnovati progetti. Crediamo che la montagna pordenonese, al pari delle altre aree montane del Friuli Venezia Giulia, sia in grado di presentare anche per l’estate 2013 un’offerta interessante, coniugando alla bellezza dei suoi scenari e dei suoi panorami le scelte manifestazioni della nostra cultura locale e il pregio dei prodotti agrolimentari “made in FVG”, di eccellenza per tutti i palati. I paesaggi e i luoghi della nostra montagna, la cultura del territorio e sul territorio, le qualità della nostra enogastronomia rappresentano i tre “magneti” su cui articolare una vacanza nelle Terre Alte del Friuli Venezia Giulia. Ai turisti della montagna pordenonese giunga il nostro benvenuto, nella consapevolezza e con la speranza che questa nostra terra saprà appagare ciascuno della scelta fatta. Buon soggiorno a tutti! Debora Serracchiani Presidente Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia 11
QUI PROMOTUR
Downhill, per molti e ora anche per tutti!
Foto Terrazzani
di GIULIA PELOSI
Una delle novità più significative della stagione estiva 2013 è l’adeguamento dei percorsi di discesa in mountain bike alle esigenze dei principianti con soluzioni meno tecniche, senza nulla togliere all’offerta per gli esperti della disciplina
D
opo l’annus horribilis della stagione invernale 2011-12, un incremento di presenze nella stagione successiva era statisticamente quasi sicuro. E così è stato, soprattutto per quel che riguarda il cliente pendolare che è aumentato di quasi il 20%. Ciò malgrado inizio e fine stagione non siano stati dei migliori dal punto di vista climatico. Con il direttore di Promotur Enzo Sima facciamo come sempre il punto della situazione. Quali sono stati l’inverno scorso i motivi di maggior soddisfazione per Piancavallo e quali le iniziative da
proporre o riproporre il prossimo anno? Il riconoscimento che nonostante le difficoltà climatologiche, la qualità delle piste sia stata mediamente molto buona, come peraltro risulta da un’indagine affidata ad una società esterna, e l’ancora migliorata collaborazione con gli sci club locali, sia nella gestione degli allenamenti, attività che deve trovare un giusto equilibrio con le esigenze dei turisti non agonistici, che in quella dell’attività organizzativa agonistica che continua ad ottenere riconoscimenti in campo nazionale ed internazionale. >>
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>> Quali le cose che non hanno funzionato e da migliorare? Più che un non funzionamento, parlerei di una tendenza che è statisticamente indiscutibile, ovvero del calo progressivo negli ultimi anni delle presenze stanziali, cioè di coloro che si fermano più giorni nella nostra località, che sono scese del 35%. Questo dato è sicuramente stato condizionato dalla chiusura del Park Hotel e da un forte calo, generalizzato in italia, del turismo scolastico nostro tradizionale cliente, ma il dato appare sicuramente preoccupante in quanto incide non solo sui bilanci di Promotur ma anche su quelli di tutta la filiera turistica, scuole di sci e noleggi in particolare. Quali novità riserva la stagione estiva? Non si tratta propriamente di una novità, ma più esattamente di un miglioramento di un prodotto lanciato due stagioni fa, ovvero i percorsi per la pratica del Downhill con le biciclette; abbiamo messo a punto la nostra offerta tecnica, un po’ troppo sbilanciata verso la clientela già esperta, proponendo una serie di soluzioni anche per i principianti che fino ad ora abbiamo fatto fatica a coinvolgere.
L’APPUNTAMENTO
, e k i B a k n Pia La
prima edizione della Pianka Bike, manifestazione non agonistica di MTB in programma il 14 luglio a Piancavallo, nasce dal desiderio dell’associazione Montanaia Racing di organizzare il terzo evento sportivo a completamento delle attività che già vedono protagonista il sodalizio del presidente Michele Livotti. Già organizzatrice della Skyrace del Montecavallo (anche quest’anno finale di campionato Italiano di skyrunning) e della Piancavallo Express (gara di sci alpinismo in notturna), Montanaia Racing intende dar vita sull’altopiano a un grande appuntamento per i biker. L’iniziativa è inserita nel trofeo Livenza Bike, le cui “tappe” sono prevalentemente di pianura e che troverà, quindi, nei 1250 mt di altezza di Piancavallo e nel percorso tecnico i principali motivi di attrazione. Ciò nell’ottica di iniziare un percorso che porti gli appassionati della bicicletta a tornare con costanza in Piancavallo, sia per i propri allenamenti in altura che per semplici tour di interesse paesaggistico. Il percorso si svilupperà nel contesto del meraviglioso faggeto
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A chi si rivolge l’offerta Downhill? Il target è soprattutto quello dei giovani che d’inverno praticano lo snowboard e, in generale, hanno una visione dello sport come divertimento. Diciamo che ci si colloca nel versante delle discipline alternative, come le ciaspole e lo scialpinismo. Continua il matrimonio di Piancavallo con lo sport? Con quali strutture e iniziative? Credo che quello dello sport sia un “rapporto” da tenere ben stretto e che può costituire la vera opportunità per proporci ad un mercato che sicuramente è in linea con le nostre strutture e con il nostro territorio. In questo logica si inserisce anche l’attività della Cooperativa 1265, che gestendo le nostre strutture del Palaghiaccio e del Polifunzionale, garantisce che queste stesse strutture possano essere elemento di richiamo del citato “cliente sportivo”. Nella stessa logica anche l’attività del Comune che sta lavorando per dotare la località di un nuovo campo di calcio così come il ruolo svolto da molte società sportive che oltre a effettuare qui le loro iniziative, rappresentano elementi fondamentali nell’organizzare eventi sportivi che richiamano presenze turistiche.
Le spettacolari evoluzioni acrobatiche dei bikers al centro della stagione estiva 2013 di Piancavallo. Quest’anno, però, maggiori opportunità anche per i meno esperti. (Foto Terrazzani)
i l a d e p i u s a n g la monta
one non agonistica zi sta ife an m a ov nu lla de io lugl Prima edizione domenica 14 naia R acing, già ideatrice ta on M e on zi cia so as ll’ da a at di mountain bike organizz tizione prevede due giri pe m co a L ss. re sp E llo va ca della Skyrace e della Pian ripetuto in zona Roncjade io gg ssa pa n co no l’u km di circa 12 della piana del Piancavallo, sfruttando quasi per intero le piste di fondo utilizzate nella stagione invernale. Due emozionanti giri da circa 12 km ed un dislivello totale di 500 mt positivi renderanno la competizione impegnativa per i più agonisti ma nello stesso tempo sicura ed avvincente per tutti gli amatori che si vorranno cimentare tra le numerose forestali che verranno percorse. È previsto anche il percorso “short” di un solo giro per chi vuole semplicemente conoscere il territorio unendo una sana attività fisica. Montanaia Racing, oltre ad essere impegnata nella valorizzazione del territorio che ha abbracciato per
le proprie competizioni sportive, ha sempre avuto dentro di sé quello spirito votato all’avvicinamento dei giovani alla montagna. Ricordiamo la Skyrace “dei ragazzi”, che attrae sempre più giovani alla pratica dello sport in ambiente. L’associazione ha, infatti, nel suo organico, istruttori/guide di mtb, di sci alpinismo e di roccia che vorrebbero trasferire il proprio bagaglio di esperienze ai più giovani con uscite ed esperienze didattico/tecniche. Da qui il desiderio di creare una sorta di “campo scuola” permanente per la pratica della MTB ai più giovani. Info: www.montanaiaracing.it
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SICUREZZA
La Sicurezza su Pista diventa una risorsa anche in estate A partire dall’anno scorso è stata richiesta la disponibilità dei professionisti Fisps anche per la stagione estiva di Downhill lungo i tracciati di Piancavallo di FEDERICO STELÉ
In ogni organizzazione che opera in un ambiente dinamico è naturale che si generi un processo di rinnovamento, che nasce dall’esigenza di possedere uno strumento sempre adeguato ai compiti ed alle situazioni operative in cui siamo chiamati ad operare. A partire dall’anno scorso è stata richiesta la disponibilità delle nostre figure professionali anche per la stagione estiva di Downhill, discese mozzafiato in mountain bike praticate da appassionati e professionisti di questa specialità lungo gli impegnativi e divertenti tracciati di Piancavallo. Certamente una nuova sfida che la Federazione La squadra di soccorso su pista Italiana Sicurezza Piste Sci ha deciso di intraprendere supportando l’Agenzia Regionale Promotur e tutti gli sforzi svolti dal proprio direttore di polo Enzo Sima, per favorire una maggiore integrazione tra natura, sport e turismo che si aggiunge alle offerte già esistenti nel contesto estivo. Le nostre aree di intervento presentano situazioni complesse ed in rapida evoluzione, essenzialmente per la presenza di traumatizzati con un quadro clinico a volte incerto, ma non solo, l’intervento viene svolto normalmente in una pista con il passaggio continuo di bikers dove bisogna coordinare il personale della squadra di intervento. Da questo punto di vista non differisce molto la logica dell’intervento rispetto ad un tracciato invernale. Le procedure invece differiscono in modo sostanziale, in primis per il semplice fatto che manca il fattore neve e quindi il trasporto non è possibile effettuarlo con la tradizionale “akja”. Il fattore fondamentale per fare un intervento corretto è quello di attenersi alle procedure operative “anticipando” eventuali problematiche che potrebbero compromettere le operazioni di soccorso. C’è la necessità di sistemi di controllo, equipaggiamenti,
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procedure da affidare a persone che siano in grado di comprendere appieno le caratteristiche dell’ambiente in cui stanno operando. Ecco che dalle considerazioni appena fatte si comprende come si deve porre la massima attenzione alle due componenti che ritengo fondamentali, quella operativa e quella formativa. La selezione dei soccorritori, la formazione e l’aggiornamento sono gli elementi che contribuiscono a rendere la nostra Associazione un’eccellenza nelle attività svolte. Non dimentichiamo che la vera forza di FISPS-Fvg, al di là degli equipaggiamenti e delle procedure, si fonda sull’uomo e rimarrà l’elemento indispensabile di ogni nostra attività. Le 3 figure previste dalla legge regionale n.2/2002 (soccorritore, pattugliatore, coordinatore di stazione) se ben supportate permettono al nostro Gruppo di operare sempre al meglio e di accrescere ulteriormente le proprie competenze. La preparazione e la formazione rappresentano dei veri valori professionali che, coniugati con senso del dovere, senso di responsabilità nelle attività da compiere, costituiscono una combinazione vincente. L’approccio e le esperienze maturate in tutti questi anni hanno sicuramente avuto una ricaduta benefica sul giudizio del nostro operato. Il Gruppo è ampiamente accettato ed integrato nelle realtà locali in cui opera riuscendo ad operare al meglio con il supporto incondizionato degli operatori locali. Vi aspettiamo in molti a Piancavallo anche questa estate e qualora incontraste uno di noi lungo le piste, indifferentemente che sia estate od inverno, ricordate che siamo lì per tutelare la vostra sicurezza!
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L’INTERVISTA
Sport e Piancavallo, un binomio inscindibile per giovani, studenti, società sportive e semplici appassionati delle discipline outdoor. (Foto Terrazzani)
Cooperativa 1265, la vacanza sportiva è servita
Funziona il gioco di squadra tra i nove operatori storici di Piancavallo che un anno fa hanno dato vita alla Cooperativa per garantire una regia unica alle strutture della località. Piero Toffoli: “Siamo attrezzati per ospitare al meglio gruppi sportivi e camp per ragazzi”
Il
bilancio del primo anno di vita della Cooperativa 1265 è positivo. Attualmente i soci sono nove, nove attività storiche della località che coprono tutti i servizi, dall’albergo al noleggio sci, dal ristorante alla parafarmacia. Tra le principali attività la Cooperativa gestisce il Palasport ed il Palaghiaccio “Pala Predieri” due strutture decisamente indispensabili per Piancavallo. Da dicembre 2012 ha preso in gestione anche il nuovissimo albergo 1301INN che sta riscuotendo molti apprezzamenti. Facciamo il punto con il presidente della 1265 Piero Toffoli.
di Giulia Pelosi
Alcuni momenti dell’inaugurazione del nuovo albergo 1301INN avvenuta lo scorso dicembre. (Foto Terrazzani)
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Quale la visione e gli obiettivi a medio-lungo termine? Abbiamo intrapreso questa strada della cooperazione tra diverse entità per poter valorizzare la nostra località gestendo direttamente quelle che sono le strutture basilari per un turismo rivolto allo sport. Piancavallo è per tradizione e per la sua stessa posizione e morfologia l’ideale per svolgere camp e ritiri di società sportive. È infatti come un “mega-stadio” all’aperto con all’interno delle strutture “coperte” all’avanguardia. Quali i consigli ai nuovi amministratori regionali sulla valorizzazione di Piancavallo, quali le opere più urgenti? Beh, a questi amministratori, come a quelli che li hanno preceduti
chiediamo semplicemente di essere ascoltati. Spesso, si considera il “pubblico” come colui che dovrebbe dare di default. Noi invece pensiamo che, ascoltando chi ha interessi veri e ci mette del proprio, si riesca a spendere meno conseguendo obiettivi più sostanziali. Detto questo, ormai, dal punto di vista delle infrastrutture Piancavallo è a posto. Certo, tutto è perfettibile. Il gap della nostra località ora sta nella difficoltà che incontriamo nello “scontro” con realtà molto più blasonate che, a causa della crisi, hanno abbassato i prezzi a livello delle nostre realtà. Per poter competere con queste realtà quindi abbiamo bisogno di incentivi da dare ai clienti. Un esempio potrebbe essere l’abbattimento del
costo del trasporto per i gruppi che soggiornano, oppure agevolazioni “sensibili” sul prezzo degli ski pass. La prima stagione invernale del nuovo albergo com’è andata e a chi si rivolge questa struttura d’estate. Considerando che abbiamo inserito le chiavi nella toppa il 22 dicembre direi che è andata bene. Siamo riusciti a riempire il nuovo 1301INN per quasi tutto l’inverno con gruppi di stranieri -ungheresi e cechi- durante la settimana, mentre nei week end i clienti erano prevalentemente italiani, anche della zona. C’è da dire che tra i nostri meriti va senz’altro ricordato che tutti i gruppi che hanno soggiornato nella struttura sono nuovi clienti per il Piancavallo e che quindi non abbiamo intaccato la torta >>
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>> delle presenze acquisite dalle altre strutture. Per l’estate cerchiamo di seguire la strada maestra di “ospitare” clienti nuovi. Al momento abbiamo già prenotazioni di camp e ritiri di allenamento di squadre del Triveneto. Quali saranno i principali appuntamenti estivi che vedranno il coinvolgimento della Cooperativa e che tipo di supporto date? Come al solito le iniziative per l’estate sono molteplici e soddisano varie esigenze. Si va dalla gara in MTB, alla serata sotto le stelle, dallo spettacolo con l’operetta, alle competizioni di corsa in montagna, dal musical, alle escursioni per scoprire le varie erbe che poi finiscono nei piatti tipici friulani, fino al concerto “Futureria ‘13” che chiuderà la stagione estiva ed il cui ricavato andrà, come da tradizione, in beneficenza, per non
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Tutte le discipline sono di casa a Piancavallo grazie ai nuovi impianti sportivi. (Foto Terrazzani)
dimenticare i vari appuntamenti con le Cimevisioni ed il Fantalibro organizzate dal Comune di Aviano. Alcune di queste manifestazioni sono organizzate direttamente dalla 1265, ad altre invece diamo il supporto logistico. Finalmente, quindi, Piancavallo è riuscito a darsi una fisionomia adatta al periodo estivo. La località si addice perfettamente ad ospitare gruppi sportivi ed a dare spazio ai camp per ragazzi. La struttura della cooperativa, che come detto comprende tutto quanto possa essere necessario a dare il
massimo supporto queste tipologie di clientela, è la base per lo sviluppo futuro della località. I responsabili di vari gruppi sportivi a cui abbiamo mostrato le nostre strutture sono rimasti entusiasti e ci hanno chiesto immediatamente di poterli ospitare. Non dimentichiamo che anche per l’organizzazione di eventi non saremo secondi a nessuno: uno dei primi in ordine temporale è il Baloon Fest, torneo di pallavolo e calcio a ritmo di musica – in calendario per il 30 giugno - che ha già riscontrato l’interesse di appassionati da tutto il Friuli.
RIDUZIONI: bambini sotto i 12 anni & gruppi di almeno 15 persone accompagnate
Piancavallo
NOVITÀ
Asinando, Piancavallo rispolvera le atmosfere del
grande “Gelo”
Foto Terrazzani
Il mulo Gelo era la mascotte della comunità dell’altopiano ai suoi albori. Oggi su iniziativa di Claudio Pasqualin e della nuova associazione Orizzonte Sportivo la passeggiata con gli asini si propone come l’iniziativa di richiamo dell’estate 2013: bambini sugli asini mentre i genitori li seguono praticando il nordic walking 22
testo e foto di FERDI TERRAZZANI
A
sinando: Pierina e Perla accompagnano i bimbi. Asinordic walking: mentre i bimbi camminano in compagnia degli asini i loro genitori praticano uno sport completo: il nordic walking. La famiglia che si muove in gruppo, in sintonia con la natura alla scoperta della Piana è la novità dell’estate 2013, l’innovativa proposta arriva dall’ex direttore della scuola di sci di Piancavallo Claudio Pasqualin. Sin dai tempi più remoti l’asino ha condiviso le sorti di vita delle genti di montagna e non solo. Utilizzato come mezzo di trasporto, di lavoro, era per molte famiglie un valore aggiunto che in tempi di miseria e fatica poteva fare la differenza. Sono bastati alcuni decenni di benessere, o pseudo tale, per farci dimenticare tutti i servigi che quella umile bestia nel corso dei secoli ci aveva donato. Il prezioso e umile animale è rimasto per troppo tempo vittima della sua stessa ponderatezza confusa per testardaggine. Nel Medioevo i bestiari lo descrivevano come: testardo, ottuso e indolente. Con pazienza e caparbietà, doti che all’asino non mancano, questo simpatico e mansueto quadrupede ha saputo rimettersi in gioco in chiave moderna riproponendosi in un ruolo originale, simpatico e coinvolgente. Apparentemente il vantaggio più immediato per il camminatore è che all’asino viene riservato il compito
Chi è Claudio Pasqualin, dopo essere stato per 23 anni direttore e maestro della scuola di sci, conduce con la moglie il locale “La Genzianella” ed è istruttore di nordic walking. Da 2 anni è socio della Cooperativa 1265 che ha preso in gestione prima gli impianti sportivi e, dall’anno scorso, anche il “1301 Inn”. In estate è responsabile delle attività sportive legate alla Cooperativa.
di trasportare i bagagli durante il cammino, tuttavia relegare il ruolo dell’asino a portatore di pesi per tutti noi amanti degli animali è profondamente ingiusto e sbagliato. Forse è meglio identificarlo come un orecchiuto e bizzarro compagno di viaggio, dolce, affettuoso, intelligente e, sì, anche ostinato. Gli asinelli sono i compagni ideali per le escursioni dei bambini, il contatto con i più piccoli sfocia in reciproca simpatia, si comprendono a vicenda. L’asino è buffo e simpatico, mette buonumore nel gruppo, è impossibile stargli vicino senza accarezzarlo. Con gli atteggiamenti a volte imprevedibili contribuiscono a creare un’atmosfera di allegria a cui grandi e piccini non possono sottrarsi. Il trekking con gli asini è un modo di viaggiare con lentezza che permette di ammirare
con il giusto interesse le bellezze naturali che ci circondano. Un cammino fatto anche di pause e riflessioni all’aria aperta, circondati da quinte lussureggianti contribuisce a scrollarci di dosso, magari solo
per un giorno, la frenesia che la vita contemporanea ci ha cucito addosso. La prossima estate le passeggiate con l’asinello saranno organizzate tutti i pomeriggi di venerdì, sabato e domenica.
vo
nuo Nell’altopiano si apre un vo Sporti Orizzonte
Orizzonte sportivo: sport, tempo libero e accoglienza, una nuova realtà in Piancavallo. L’iniziativa rientra nelle attività della Cooperativa 1265. In un momento non facile dal punto di vista economico e sociale ben vengano le iniziative dinamiche che rendono sempre più allettante e competitivo il soggiorno nella piana. Dopo il turismo dei pionieri arrivano per questa estate le proposte di un gruppo di tecnici che mettono a disposizione le proprie competenze per una esclusiva vacanza nella località montana. Tra le idee da segnalare ci sono i camp per i ragazzi, ai quali viene offerta, a prezzo decisamente interessante, una “valanga” di attività che trasformeranno ogni giornata trascorsa in Piancavallo in una giornata indimenticabile. Ma il pensiero dei tecnici di questa organizzazione non si ferma ai soli giovani: ci sono proposte anche per coloro che, nella terza età, vogliono godere di una vacanza attiva, ma non stressante, alternando lo sport a piccole dosi al relax dei massaggi, il ritmo delle lezioni di ballo al laboratorio artistico. Tra le proposte a cui Orizzonte Sportivo darà vita, merita segnalare per la sua originalità Baloon Fest; incontri di calcetto e pallavolo a ritmo di musica. E che musica!
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Benefici del Nordic Walkin
ti di ni nel bosco e nei pra A spasso con gli asi i) zan raz Ter (Foto oppure con le bici!
Piancavallo...
Neve, una scommessa di alto livello! Pasqualin aveva lanciato una scommessa tra gli habitué della Genzianella: quanta neve sarebbe scesa a Piancavallo nel corso dell’inverno? Ebbene, al 31 marzo, data indicata come termine utile, sono stati raggiunti ragguardevoli 489 cm (secondo risultato dal 1973). Il pronostico della signora Eliana Mestriner, unica vera ottimista tra le tante previsioni, si è maggiormente avvicinato a tale cifra: ora è giunto il momento di onorare l’impegno e per i meritati festeggiamenti è attesa col marito in Genzianella!
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Il Nordic Walking può essere a ragione considerato una delle attività sportive, alla portata di tutti, più complete in assoluto che contribuisce a dare enormi benefici per la propria salute. Permette un consumo energetico superiore del 20-30% rispetto alla camminata senza bastoncini. Si ottiene un coinvolgimento di circa il 90% della nostra muscolatura (oltre 600 muscoli). Mantiene in esercizio quattro delle cinque forme principali di sollecitazione motoria: resistenza, forza, mobilità, coordinazione. Scioglie le contrazioni nella zona delle spalle e della nuca (zona cervicale). Stimola l’eliminazione degli ormoni originati dallo stress . Migliora la postura e favorisce la mobilizzazione della colonna vertebrale. Migliora il tono dell’umore perché il nostro corpo libera delle sostanze, le endorfine e le serotonine, capaci di contrastare l’ansia e la depressione. Stabilizzazione dei valori della pressione, livelli dei trigliceridi e colesterolo: si consumano i grassi. Diminuiscono i valori glicemici nelle patologie diabetiche.
UNA MONTAGNA DI IDEE
Skyrace Monte Cavallo domenica 8 settembre Pronti per la nuova stagione, per una nuova, grande Skyrace Monte Cavallo arrivata alla sua 6^ edizione e per la seconda volta in 3 anni Finale di Campionato Italiano di Skyrace. Tutti i dettagli (occhio alla spettacolare variazione di percorso) nel sito: http://www. skyracemontecavallo. it/Complimenti agli organizzatori per questo risultato straordinario che porta ancora una volta alla ribalta nazionale Piancavallo e tutto il mondo dello sport.
Corsa in montagna, Pordenone ha uno stadio a cielo aperto
La zona montana e pedemontana della provincia presenta a distanza ravvicinata una straordinaria varietà di percorsi e paesaggi. Mettendo in rete, sotto un’unica regia, le associazioni che già organizzano la “propria” gara si potrebbe promuovere in modo più efficace questa peculiarità ambientale in chiave turistica. E inoltre: perché non avvalersi dei runner per le attività di soccorso alpino? di OMAR CESCUT
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opo aver corso per diletto in quasi tutte le manifestazioni della montagna pordenonese – da Maniago a Cordenons fino a Mezzomonte e oltre verso la Foresta del Cansiglio, come ad esempio Marcia dei Funghi, Marchia delle Malghe, Sky Race Montecavallo, Magredi Trail, Magraid, Circolare di Madonna del Monte, 10 Miglia Aviano - Piancavallo, Marcia di San Giacomo, Corsa della Base Usa, e poi molte altre ancora e aver corso nel circuito della Ciclabile, nel
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percorso dell’Artugna e diversi km nella campagna o nei percorsi del libro “PERCORRERE 30 itinerari per la corsa, il trail running, il Nordic Walking e l’escursionismo a Vittorio Veneto e dintorni” a cura della “Scuola di Maratona Vittorio Veneto” mi sono fatto l’idea e la convinzione che la montagna pordenonese nel suo insieme sia un ideale “stadio a cielo aperto per la corsa in montagna”. Il nostro è un contenitore ideale per tutte le attività in mezzo alla natura, bastano pochi km per esser immersi in un mondo inesplorato e poter
liberare la passione di correre di qualunque natura questa sia. In breve e senza grossissime difficoltà – ma non senza un’adeguata e dedicata preparazione ed attrezzatura tecnica – possiamo passare dalla pianura dei magredi, alla campagna, alla collina, fin su a Piancavallo e da lì alle sue cime. Pochi territori possono avere l’attitudine a una così completa
Tre manifestazioni di corsa in altura: la Marcia delle Malghe, la 10 Miglia Aviano-Piancavallo e la Sky Race Monte Cavallo. (Foto Terrazzani)
proposta di itinerari, semplici e complessi, corti lunghi e lunghissimi da poter attrarre molti appassionati. Sicuramente il runner o trailer non rappresenta un turista “ricco” a cui sfilare il portafoglio ma è in primis per tutti noi un protagonista per poter far vivere le nostre montagne anche se nello spazio e per il tempo di una corsa. E sicuramente porta con sé, quando non lascia traccia con le sue barrette energetiche, valori di rispetto e tutela dell’ambiente e della natura. Sempre di più nelle mie corse nelle nostre montagne ho la fortuna di incontrare altri appassionati e molti bikers che scelgono il movimento in natura quale contesto per la loro attività sportiva. I punti di partenza e di approdo sono moltissimi così come le possibilità
di interconnessioni di sentieri e percorsi mulattieri e single track ma è evidente che oggi un minimo coordinamento tra tutte le associazioni che con fatica promuovono le “loro” gare e sfide possa contribuire ancor di più a far diventare le nostre montagne un ambiente frequentato e esplorato nei 12 mesi e in tutte le ore del giorno e della notte. Sì, perché ultimamente hanno preso il via anche le corse in notturna. Molti degli appassionati sono poi dei veri e propri atleti che si cimentano in “competizioni” davvero incredibili dando risalto alle loro doti atletiche e di performance. Mi sono trovato nei mesi scorsi a correre un trail in cui un trailer si era perso nella notte, sbagliando l’ingresso ad un sentiero per non aver visto la balise; verso l’alba sono scattati i soccorsi e la ricerca ha coinvolto molti atleti che sono partiti appunto di corsa nella ricerca. Nel giro di poco tutti i percorsi erano stati perlustrati e
il Soccorso Alpino ha potuto avere subito un quadro generale della situazione. L’atleta poi è stato intercettato proprio da uno dei trailer… tutto si è risolto nel migliore dei modi e velocemente. Questo fatto mi ha suggerito che anche noi qui in provincia di Pordenone potremmo organizzare una sorta di squadra runner e trailer per il Soccorso Alpino, con la possibilità di poter metter a verifica l’opzione di utilizzo dei runner/trailer di corsa in montagna per il primo intervento esplorativo dei percorsi/sentieri in caso di incidente/perdita e di allarme. Certamente le distanze coperte dai runner/trailer potrebbero essere “un vantaggio” per la risoluzione più rapida dell’emergenza e del ritrovamento. Runner e trailer il cui obiettivo sia solo quello di esplorazione, perlustrazione e lancio del “ritrovamento”. Sempre nell’auspicio che tutto questo non debba mai servire.
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ESCURSIONISMO
Rifugio Semenza, da 50 anni uno degli approdi più amati
Prende il nome dall’ingegnere milanese che progettò la diga del Vajont. Muovendo da Piancavallo è raggiungibile da due sentieri molto panoramici. Una suggestiva fioritura naturale lo circonda all’inizio dell’estate. Vi si possono gustare piatti tipici di montagna come i “casunziei”: ravioli a forma di mezzaluna, ripieni di un impasto a base di rape rosse. Domenica 25 agosto i festeggiamenti per i 50 anni
Alessia Peruccon, gestore del Rifugio Semenza
testo e foto di FERDI TERRAZZANI
Il
2013 rappresenta un traguardo importante per il Rifugio Semenza che festeggia i suoi 50 anni assieme a tutti gli amanti della montagna. Raccontare la storia del nostro territorio alpino senza menzionare il Rifugio Semenza è un po’ come escludere dal vocabolario le parole giorno o notte, sole o pioggia, estate inverno. Il Rifugio Carlo e Massimo Semenza spunta tra le aspre rocce dell’alta Val de Piera a quota 2020 slm. nei pressi di Forcella Lastè, gruppo del Col Nudo Cavallo. Prende il nome dall’ingegner Carlo Semenza, nato a Milano nel 1893, ricordato come progettista della diga del Vajont ma, anche come appassionato di montagna. Nel 1925 fondò la sezione del Club Alpino Italiano di Vittorio Veneto. Il 13 novembre 1961 a due settimane dalla sua morte il consiglio del Club deliberò la costruzione di un rifugio in sua memoria. I lavori >>
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Il bivacco invernale nei pressi del Rifugio Semenza. (Foto Terrazzani)
>> di realizzazione iniziarono nel 1962, in quel periodo era presidente della sezione CAI di Vittorio Veneto il figlio Massimo. L’inaugurazione ufficiale avvenne nel 1963, successivamente nel 1983 venne realizzato anche il bivacco invernale di 9 posti letto e cambiato il nome del rifugio in Carlo e Massimo Semenza. Nel 1984, il bivacco invernale, venne spostato nell’attuale posizione a Forcella Lastè. Le escursioni alpinistiche sui monti che si affacciano sulla pianura pordenonese risalgono al lontano 1726 quando nella prima risalita al Cimon del Cavallo
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Ultimi passi verso la vetta del Monte Tremol, una delle cime più amate dagli escursionisti. (Foto Terrazzani)
il farmacista Pietro Stefanelli ed il botanico Giovanni Zanichelli partirono da Aviano e in groppa a dei muli si avvicinarono alla montagna. Lo scopo dell’esplorazione era incentrato sulle conoscenze botaniche in loro possesso che li portava a credere che su quelle cime si trovasse un leggendario erbario ricco di piante sconosciute, dalle proprietà miracolose conosciuto come: “Il giardino della Madonna”. Piancavallo è un ottimo punto di partenza per salire sui balconi panoramici del gruppo del Col Nudo Cavallo, >>
Lo splendido punto di osservazione sulla cima del Monte Lasté. (Foto Terrazzani)
MONTAGNA CHE PASSIONE enti Il calendario degli evio proposti dal rifug per l’estate 2013
Grazie a Dio è venerdì! Un gruppo di amici che conosce la montagna pordenonese come le proprie tasche e ne assapora ogni settimana le meraviglie
Domenica 30 giugno ore 6 Incontro musicale con i “Cameristi”, una proposta di amici musicisti provenienti da varie località del Veneto con esperienza concertistica, sia come solisti che in orchestre in ambito internazionale. Il concerto sarà riproposto anche alle ore 11. Domenica 7 luglio Giornata con il soccorso alpino dell’Alpago che inaugurerà la nuova via s.a. 13 lungo la cresta nord est della cima Lastè. Domenica 21 luglio Semenza Smile Festival-Rifugiati in un sorriso. Passeggiate, animazioni per tutti accompagnate da musica e favole da Pian delle Lastre al rifugio. Domenica 25 agosto Festeggiamenti per il 50° del rifugio; per i dettagli della giornata consultare i siti internet www.rifugiosemenza.it e www.caivv.it. Domenica 8 settembre Cala il sipario sugli eventi con il passaggio della 6° Sky Race Monte Cavallo
Il simpatico barometro in bella vista al Rifugio Semenza. (Foto Terrazzani)
Da sinistra, Enea Sellan, Giovanni Zani, Gianni Fuligno, Eugenio Mariuzzo, Franco Addeo, Mario Moschella, Giuseppe Savorgnan
E
ra il 4 ottobre 2004 alla cena del mio pensionamento, quanto Mario e Franco mi si sono avvicinati e mi hanno chiesto: “Tu domani che fai? Noi andiamo per sentieri di montagna”. Sono trascorsi ormai nove anni da quel giorno e al mattino di ogni venerdì, basta che non piova, muniti di pedule, bastoncini e zaino montiamo in auto diretti verso la pedemontana: Mezzomonte, Collalto, Dardago, Marsure, Grizzo, Glera, Maniago, Montereale, Barcis, Claut, Andreis, Cimolais …sono le nostre mete. Lungo gli anni si sono uniti a noi i due Gianni, Enea ed Eugenio, un po’ più avanti nell’età, ma anche il più esperto e agile. L’ultimo arrivato è l’ex pompiere Ivo Zandonà. Lasciamo le auto e ci avviamo lungo il sentiero delle Risine, della Memoria, Gerometta, e verso Casera Friz, del Medico, ViatLuonc, Monte Pala, Campanile, Frate De sora, Pradut …scaricando il tossico dei nostri problemi, mentre i polmoni si riempiono di ossigeno e gli animi si rasserenano. Nel forzato silenzio della salita solo Mario sbuffa e talvolta impreca contro il peso del corpo, ma la mente di ognuno sembra librarsi sempre più leggera nell’aria.
La natura si sveglia lentamente dal torpore del mattino, si scrolla di dosso le gocce di rugiada e ci scruta tranquilla e mutevole ad ogni tornante. Lungo le stagioni, solo per noi, si ammanta di gemme, di foglie, di fiori dagli intensi colori, di stelle alpine; profuma di sambuco, di ciclamino, di pino silvestre, di muschio, poi si spoglia lentamente per stendersi placida sotto una candida coltre di neve. Nella solitudine dei boschi si mostra nella sua verginale bellezza che sempre suscita in noi attonito stupore. Verso i 1000 metri pranziamo seduti su un prato al balcone della pianura friulana. L’occhio scende lungo il greto del CellinaMeduna, le dita toccano i palazzi di Lignano e Grado, mentre la mano sfiora l’acqua del mare dal golfo di Trieste sino alla laguna di Venezia. Il sole spalanca le porte sull’infinito, tant’è che spesso insieme al poeta vien da dire: “e naufragar m’è dolce in questo mare”. Noi non vogliamo andare in paradiso, perché in paradiso siamo già. A malincuore scendiamo dal cielo verso le brume della realtà quotidiana, intonando vecchie canzoni degli anni ’60, ma già caricati e pronti per l’appuntamento del prossimo venerdì. Giuseppe Savorgnan 31
Il Sasson della Madonna a 1640 metri di altitudine sulla sentiero che porta al Rifugio Semenza. (Foto Terrazzani)
>> a disposizione degli escursionisti vi sono due sentieri ben segnalati che con la solita prudenza e la giusta fatica conducono al Rifugio Semenza. La prima sfida proposta è la più impegnativa. Partenza da Pian delle More (1193 mt.), una sorta di riscaldamento condurrà alla fonte del Tornidor prima di entrare puntando decisamente a destra attraverso disusi pascoli sul sentiero n° 925. Dopo leggeri saliscendi il sentiero sale ripido inoltrandosi nella vegetazione. A quota 1437 il bosco diventa rado e la vista di un ghiaione presenta il primo conto di fatica. Da qui in avanti lo sforzo richiesto sarà pari alla visione degli straordinari scenari che la natura nel corso dei secoli ha saputo forgiare. La valle tende ad aprirsi, i ghiaioni si susseguono punteggiati da solatii Larici e sulla sinistra si innalzano imponenti le pareti di Cima Lastè e Cima Val Piccola. La pendenza molla leggermente, rocce affioranti e prati erbosi preparano l’escursionista all’ultimo strappo prima di arrivare a quota 1926 di Forcella Val Grande. Quassù il colpo d’occhio è davvero notevole quasi ipnotico ma, dopo una doverosa breve sosta bisogna proseguire. Il sentiero n° 925, sulla sinistra, indica la strada che attraverso un percorso “lunare”, ricco di crateri e inghiottitoi, la Val Sperlonga, porterà in 30 minuti al Rifugio Semenza. Con minor sforzo fisico si può raggiungere il Rifugio Semenza partendo dal Palaghiaccio direzione Rifugio Arneri posizionato a 1630 metri. Rimanendo alla stessa quota del rifugio si prosegue verso la pista Nazionale e la si attraversa puntando il segnavia n° 933. Si oltrepassa tenendo la mano destra l’incrocio con il Col Cornier e si imbocca il segnavia che conduce a Casera Palantina. 32
Proseguire poi sul sentiero 922 con indicazione Sassòn della Madonna, da li è possibile raggiungere il rifugio attraverso il segnavia n°926. Il rifugio è in funzione dal 15 giugno al 15 settembre. Dal 15 settembre alla fine di ottobre rimane in uso solo nei fine settimana, situazione meteo e neve permettendo. Il ricovero è dotato di 18 posti letto, servizi igienici e telefono utilizzabile in caso di emergenza. L’energia elettrica viene fornita grazie ad un sistema di pannelli fotovoltaici. Il rifugio è raggiungibile solo a piedi, i rifornimenti arrivano con la teleferica o occasionalmente portati dall’elicottero. La struttura è dotata di una piccola biblioteca. Di particolare suggestione all’inizio dell’estate è l’abbondante fioritura naturale che cresce nei pressi, una composizione di colori e forme talmente belle da essere identificata col nome di “giardino della Madonna”. A fianco prospera anche un altra oasi di fioriture creata dall’uomo: Il giardino botanico alpino Giangio Lorenzoni. Durante la stagione vengono organizzate delle giornate a tema con la partecipazione di guide botaniche. Il compito dell’accoglienza in rifugio è affidato ad Alessia Peruccon. È lei che “spignatta” piatti tipici di montagna come: i canederli, gulasch, i casunziei: ravioli a forma di mezzaluna, ripieni di un impasto a base di rape rosse, conditi con burro fuso, semi di papavero e ricotta affumicata e la zuppa di fagioli, seguono irresistibili dolci; il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino. Nel periodo d’apertura allietano le serate degli ospiti gli incontri musicali e le presentazioni di libri.
Elephant chair
Design Neuland. Paster & Geldmacher
www.kristalia.it
SOTTO LA LENTE
“Regina” delle nevi, da 40 anni sulla cresta Uno degli storici alberghi di Piancavallo ha tagliato il traguardo dei 40 anni di attività e si è rifatto il look per soddisfare le nuove esigenze dei turisti, ma con lo spirito e il calore di sempre. Il titolare Galliano Mazzega è una delle “colonne” della località di MAURO FRACAS
“
Iniziai la storia dell’Hotel Regina come si comincia un’avventura, con una buona dose di speranza, un po’ di incoscienza e tanta passione”, afferma Galliano Mazzega, che, insieme al fratello Claudio, nel 1971 ha costruito l’omonimo albergo. “Passione per una località dai tratti aspri eppure affascinante come il Piancavallo, una stazione sciistica che, quando è nata l’idea di realizzare il “Regina” (eravamo verso la fine degli anni ’60), era già frequentata, eppure ancora capace di esprimere molte potenzialità. Di qui l’idea di dar vita ad una struttura alberghiera in grado di ospitare chi, come noi, voleva bene al Piancavallo”. In che modo è nata l’idea di realizzare questo albergo? “Ero stato a Cortina ed avevo visto come fosse funzionale ed apprezzato lo stretto connubio che sussisteva tra strutture ricettive ed impianti sportivi mi sono riproposto di riproporre lo stesso approccio al Piancavallo con il Regina”. Piancavallo come la piccola Cortina del Friuli, dunque? “In un certo senso, sì, e senza troppi sentimenti di inferiorità. Abbiamo sempre cercato di pensare le cose in grande al Piancavallo. Così, per avere da quel grande protagonista della storia di questa località che è stato il dottor Sartori, l’appezzamento di terreno dove costruire il Regina, ho dovuto promettere che l’albergo avrebbe avuto almeno 20 camere, che oggi sono aumentate a 47”. Come è stata accolta la vostra iniziativa dagli operatori già presenti in zona? Forse come l’arrivo di nuovi concorrenti?
“No. Sapevamo che arricchire l’offerta alberghiera locale avrebbe allargato la schiera dei potenziali clienti, cosa che di fatto avvenne. Come operatori turistici, ci siamo sempre tenuti lontani da logiche spartitorie, e, soprattutto sotto la guida del compianto Predieri, ci sentivamo tutti facenti parte di un progetto comune finalizzato allo sviluppo della località”. Come ha visto la evoluzione della storia del Piancavallo dal punto di vista dell’Hotel Regina? “Con il tempo, è andata diversificandosi sia la tipologia di frequentatori del Piancavallo che l’offerta turistica della località. Se prima la gente veniva soprattutto il fine settimana da Pordenone e zone limitrofe, ora abbiamo clienti che provengono dalle più svariate parti dell’Europa in tutte le stagioni per praticare vari tipi di sport e godersi le risorse del territorio”. Si sta sviluppando il turismo estivo? “Al Piancavallo il turismo estivo è una realtà già affermata, sia a causa della diffusione di sport emergenti, quali il Nordic Walking, sia perché viene apprezzato dagli anziani, viste le temperature miti che caratterizzano d’estate questa località, sia anche perché viene frequentato da squadre sportive in occasione dei loro ritiri di allenamento. Oltre a ciò, sta muovendo i primi passi un turismo che potremmo chiamare naturalistico, vista la varietà floro-faunistica che caratterizza queste località”. Come vede il futuro della località? “Al futuro del Piancavallo io ci credo, ed è per questo che di recente ho proceduto al completo rinnovo della struttura. Ma sono convinto anche che quella sul futuro del Piancavallo sia una scommessa da vincere assieme”. 35
SUL FILO DEI RICORDI La prima luce in quota si accende nel 1965 Fu come l’avvento della ferrovia nel Far West americano. L’arrivo dell’energia elettrica a Piancavallo nell’estate del 1965 fu un evento decisivo per lo sviluppo della nascitura stazione turistica avianese. All’epoca il pianoro all’ombra della cima Manera ospitava ancora solo lo storico rifugio Policreti e qualche malga, ma la lottizzazione era già iniziata. Fu proprio la società che l’aveva avviata a chiedere un preventivo all’Enel per la creazione di una linea elettrica, che portasse la corrente in quota e illuminasse finalmente le notti sul pianoro. La stessa Enel, che all’inizio del 1963 aveva iniziato la nazionalizzazione di tutte le società di erogazione private, inoltrò la domanda per ottenere l’autorizzazione a costruire la nuova linea al Ministero dell’Industria, attraverso il Genio Civile di Udine, nell’ottobre di quello stesso anno, mentre l’intera nazione era sotto choc per il disastro del Vajont. I lavori iniziarono nella primavera del 1964 e terminarono a fine giugno dell’anno successivo. L’Enel appaltò i lavori alla Rodolfo De Franceschi Impianti Elettrici, una ditta di Pordenone. Il capo cantiere era Silvio Romanin, geometra, anch’egli pordenonese, alla guida di una squadra di una decina di operai, che passarono un anno come dei camosci tra rocce e prati verticali. “Fu un’opera che ci riempì d’orgoglio e che fu portata a termine nei tempi previsti e senza incidenti. La linea partiva dal colle San Giorgio di Aviano, arrivava alla cabina della località Bornass e quindi da lì, attraverso il Col Alto a quella di Piancavallo. Un dislivello di oltre mille metri e 7400 metri complessivi di cavo tirato”. A giugno del 1965, dunque, a Piancavallo fu accesa la luce e con essa arrivò quell’energia elettrica indispensabile per far funzionare una decina di anni dopo i primi impianti di risalita. Piergiorgio Grizzo 36
STORIA
IL RIFUGIO POLICRETI RIEMERGE DALLE NEBBIE DELLA STORIA Ricostruita la storia del primo ricovero alpino del Piano del Cavallo
Il Rifugio Policreti al Piano del Cavallo (1925-1944); il ricovero insisteva in zona Collalto nei pressi dell’area oggi compresa tra il Condominio Policreti e la Chiesa degli Alpini. (Collezione Mario Tomadini)
di Mario Tomadini*
Q
uando mi sono messo alla ricerca di quello che rimaneva del primo rifugio della montagna pordenonese pensavo che non avrei dovuto faticare molto; ero certo che la storia del Rifugio Policreti potesse occupare al massimo un centinaio di pagine visto che di quel ricovero rimanevano labili tracce solo in paio di pubblicazioni che non solo davano informazioni abbastanza generiche ma che, ma questo l’ho scoperto cammin facendo, addirittura errate. Il Rifugio Policreti sembrava essersi dissolto nei campi carsici di un Pian Cavallo trasformato in una moderna stazione turistica e ormai irriconoscibile rispetto agli anni (1925-1944) nei quali il ricovero aveva esercitato una forte attrazione negli alpinisti e negli sciatori del Mandamento di Pordenone e non solo. È davvero difficile credere che domenica 2 agosto 1925 al Col delle Lastre (l’odierno Collalto) sia stato inaugurato un rifugio che avrebbe favorito la prima attività turistica nell’altopiano avianese. Tra l’altro il Rifugio Policreti è facilmente confuso con il Rifugio
Piancavallo alla Busa di Villotta, erroneamente considerato come il primo ricovero degno di tal nome nel Pian Cavallo. La storia del rifugio ma anche quella del nobile casato Policreti di Ornedo che ha avuto una parte decisiva nella realizzazione di quel… sogno da tempo accarezzato, corre parallela alle vicende delle Sezioni di Pordenone e di Sacile del Club Alpino Italiano ma è anche una serie di racconti che hanno visto protagonisti migliaia di appassionati di montagna che dalla pedemontana salivano i ripidi sentieri che permettevano di raggiungere un rifugio… immerso in un prato di stelle alpine e ambito per i suoi…magnifici campi di neve. Per farla breve, il volume edito dall’Associazione La Voce di Pordenone che sarà presentato nel mese di settembre nel Palazzo Menegozzi nel centro di Aviano, sarà costituito da oltre trecento pagine e più di cento tra immagini d’epoca e documenti d’archivio e inoltre sarà inserito tra gli eventi chiamati a far da corollario alle celebrazioni per il 150° di costituzione del Club Alpino Italiano.
In anteprima esclusiva per Piancavallo Magazine un estratto del nuovo libro di Mario Tomadini sul Rifugio Policreti edito dall’Associazione La Voce che verrà presentato il prossimo autunno
“l’inaugurazione del rifugio” L’ing. Giovanni Bearzi ben noto Dopo tutto quell’affannarsi sportivo alpinistico, Presidente attorno a quella che era stata la dell’Associazione alpinistica casera del signor dottor Alessandro friulana che tutt’ora malgrado Policreti era giunto il giorno la sua avanzata età è vegeto dell’inaugurazione del nuovo ed arzillo e prende parte ad rifugio. importanti gite, ha inviato un Le aspettative di chi aveva dispaccio gentile e deferentissimo creduto in quel ricovero alpino al presidente Polon, esaltando si erano realizzate ed era una l’iniziativa e formando i più realtà bellissima che andava fervidi voti per la cerimonia. a merito del Presidente e dei Nella sua lettera, il Bearzi Soci della Sezione pordenonese scrive: del Club Alpino Italiano, della “Al signor Presidente della Sottosezione di Sacile, della Sezione di Pordenone del C.A.I. famiglia Policreti di Ornedo ma nel giorno dell’inaugurazione anche di tutti quelli che avevano del Rifugio Policreti sul Monte profuso il loro impegno per Cavallo. dare una nuova dignità a quel La prima pagina della locandina stampata Domenica 2 agosto Ella con i manufatto. dalla Sezione C.A.I. di Pordenone suoi fidi salirà il Monte Cavallo Quella prima domenica di agosto per l’inaugurazione del Rifugio Policreti. (Cortesia Italo Paties Montagner) per la nota inaugurazione del del 1925 non si sarebbe potuta Rifugio Policreti. Io sarò in definire una radiosa giornata marcia pel Campeggio della sotto il profilo meteorologico ma del resto l’altopiano del Cavallo era ben conosciuto per Società Alpina Friulana nell’alto Zoldano. Tale coincidenza segna per me una dolorosa rinuncia i suoi capricci legati al tempo. di partecipare alla sua festa. Lassù il mio spirito Nuvole basse e cariche di pioggia stavano facendo da sarà tutto con Lei e con i suoi prodi tutto pervaso cornice a una giornata che era troppo importante per dall’importante funzione patriottica. Le idee feconde, essere sminuita dalle condizioni atmosferiche. Circa 300 persone avevano raggiunto di buon mattino come le piante vivaci germinano dove le guida il sole. Il pensiero di creare un nuovo Rifugio al Piano del l’altopiano; la maggior parte di loro avevano percorso i sentieri che partivano da Dardago o da Aviano e solo Cavallo, accarezzato da me prima della guerra, era stato cortesemente accolto dal presidente della sezione chi era partito dalla Val Cellina aveva risalito la Val di Venezia del C.A.I. ma venne la guerra e per fatalità Caltea. delle cose travolse il nostro sogno ma quel seme caduto La Patria del Friuli aveva annunciato l’apertura in terra feconda germinò facilmente. ufficiale del Rifugio nell’edizione di sabato 1 Spettava a Lei, signor Presidente, il merito e la fortuna agosto 1925 titolando L’INAUGURAZIONE DEL singolare di portare a compimento la bella impresa. RIFUGIO POLICRETI. Altra volta questi monti coperti da selve, oggetto di Il giornale aveva continuato promettendo che ripulsioni e di terrore, sono divenuti nei giorni nostri quello... che seguirà domani al Pian Cavallo riuscirà una sana sorgente d’amore, una viva attrazione quale una solenne cerimonia. Sono attese numerose comitive soggetto di studio, un potente mezzo di rigenerazione alpinistiche. La Presidenza del Club Pordenonese in linea sociale. sotto la guida dell’instancabile Rino Polon sta L’appuntamento è quindi per la fine dell’estate tutto disponendo per un’ottima organizzazione. Parteciperanno oltreché organizzazioni, rappresentanze quando anche l’ultimo mistero del Piano del Cavallo troverà la sua soluzione. di Comuni, personalità tra queste il cav. uff. Porro (allora Presidente Nazionale del Club Alpino * G.I.S.M. - Gruppo Italiano Scrittori di Montagna Italiano, N.d.A.), il cav. uff. Nagel e molte altre.
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ARCHITETTURA DI MONTAGNA
In prima linea per
un’architettura sostenibile e rispettosa
dell’ambiente Un gruppo di studenti universitari del Politecnico di Torino ospite per un mese a Piancavallo ha osservato criticamente l’architettura della località e presto produrrà uno studio. Le realizzazioni più recenti denotano tuttavia una ritrovata sensibilità ambientale
di GIULIO FERRETTI
Ha
avuto buon successo, lo scorso 22 marzo, il convegno svoltosi al Golf Club di Castel d’Aviano sul tema della progettazione architettonica in montagna, con particolare riferimento all’area del Piancavallo. All’incontro hanno partecipato amministratori, progettisti e delegati di associazioni come il Cai. Presente anche il sindaco Stefano Del Cont Bernard che, oltre a portare il saluto dell’Amministrazione comunale avianese, si è soffermato sulla necessità di rilanciare la stazione di Piancavallo, soprattutto al fine di renderla più suggestiva durante tutto l’anno come luogo di vacanza e di escursioni naturalistiche e di attività sportive. Filo conduttore dell’incontro, moderato dall’architetto Stefano Puiatti, la modalità di progettazione in ambiente montano secondo metodologie
Casa bifamiliare nei pressi del monumento al Partigiano disegnata dall’architetto Michelis. Sopra i prospetti del progetto e, nella pagina accanto, alcuni particolari della struttura
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Il bacino paranaturale a 1.600 metri in prossimità del Rifugio Arneri
sostenibili. Sul tema si sono espressi vari architetti giunti ad Aviano per l’occasione: Gianpaolo Mar, il primo ad aver operato in Piancavallo, il veneto Giovanni Corbellini, lo svizzero Pier Alain Croset e Carlo
Calderan, capo redattore della rivista dell’Ordine degli architetti di Bolzano “Turrisbabel”. Proprio Mar, ricordando l’esperienza maturata a Cortina d’Ampezzo, ha sottolineato la necessità di un piano paesistico per evitare incongruenze ambientali che possono incidere negativamente nel panorama e, di conseguenza, nell’appetibilità turistica del luogo. Croset ha
presentato diverse realizzazioni di qualità in quota, in varie nazioni confinanti con l’Italia, con varie destinazioni d’uso, mettendo in evidenza la necessità di libertà di proposte nell’uso delle forme e materiali. In questo senso, qualcosa si sta muovendo anche in Piancavallo grazie ad alcune recenti realizzazioni su iniziativa di tecnici del Friuli occidentale. Adiacente al Palaghiaccio è stato realizzato il nuovo albergo 1301INN capace di cento posti letto, una struttura importante di ospitalità, progettata da Stefano Puiatti e Alberto Del Maschio dello studio Elasticospa *3 di Budoia. Un altro edificio bifamiliare, interessante dal punto di vista architettonico dell’inserimento nell’ambiente, è quello da poco terminato, nei pressi monumento al partigiano, opera dell’architetto di Pordenone Francesco Michelis, progetto che risponde ai criteri promossi nell’incontro. Sempre a Piancavallo, per quanto riguarda interventi recenti di progettazione sull’ambiente va segnalato il serbatoio di acqua per l’impianto di neve artificiale, realizzato a 1600 metri
L’albergo 1301INN si distingue per le scelte architettoniche innovative
di quota in località Arneri, con i criteri elaborati dallo studio di ingegneria STP Tedeschi-Piva di Pordenone, perfettamente integrato e panoramico, in tutto simile a un laghetto con caratteristiche naturali. Da parte dei vari relatori, inoltre, si è osservata la differenza rispetto a quanto avviene nelle regioni e nazioni confinanti con il Friuli, dove l’architettura moderna ha trovato spazio anche in montagna, con realizzazioni di buona qualità, che hanno partecipato a caratterizzare le stazioni turistiche dove sono state edificate, senza contrasti con l’ambiente. Le conclusioni del convegno sono state affidate allo stesso Stefano Puiatti, professionista di Budoia e professore al Politecnico di Torino, patrocinatore della manifestazione insieme al comune di Aviano, alla Provincia di Pordenone e all’Ordine degli Architetti e Paesaggisti del Friuli Occidentale. L’iniziativa ha visto la diretta partecipazione del Politecnico di Torino, con l’accoglienza per alcuni giorni a Piancavallo di un gruppo di 35 studenti universitari, di varia nazionalità, allo scopo di analizzare la situazione nell’altopiano, studiarla e divulgarla. All’inizio di luglio verranno consegnati i risultati del loro studio sulla stazione sciistica. Elaborati prevalentemente grafici che potranno fornire un nuovo punto di riferimento per attività da incrementare sul posto, sia per quanto riguarda la pianificazione che per l’organizzazione di iniziative di carattere turistico, specialmente in un’ottica di destagionalizzazione. Successivamente è previsto di raccogliere tutto il materiale di ricerca in una pubblicazione. 39
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IL RICORDO
La salita del Pirata Il 30 maggio 1998 è una data che gli appassionati di ciclismo italiani non dimenticheranno facilmente. Quel giorno infatti si è corsa la quattordicesima tappa del Giro d’Italia, la Schio-Piancavallo di 165 chilometri, una tappa storica di CARLO FAVOT
La
strada che porta a Piancavallo viene chiusa al traffico automobilistico fin dal mattino, ma prima del blocco totale una marea di ciclisti, giunti alla spicciolata e in piccoli gruppi, l’affrontano salendola a denti stretti per andare a conquistare un posto a bordo strada e sui pendii da dove poter veder passare i propri beniamini con la miglior visuale possibile. Le curve dei tornanti sono ovviamente i luoghi privilegiati, dove poter vedere i ciclisti che arrivano da lontano, per seguirli poi, una volta passati, mentre s’involano verso l’alto. Anche nei rettilinei però i ciclisti vanno piano e li si può osservare con relativa calma, nulla a che vedere con quelle schegge che schizzano via come il vento lungo i grandi stradoni della bassa pianura, un improvviso soffio di vento, un brusio assordante, uno sfarzo di colori, un mucchio di facce indistinguibili, poi più nulla. No, qui è tutta un’altra storia, è nelle salite che si costruiscono le imprese del Giro e di tutte le corse ciclistiche del mondo, è in salita che i campioni trionfano, è lungo le salite verso le montagne che gli animi dei tifosi si infiammano, e le nuvole basse e il clima da autunnale tanto diverso da quello che sarebbe lecito attendersi a maggio inoltrato, non li possono certo fermare. Col passare delle ore a tutti gli appassionati accalcati lungo la strada aumenta la tensione dell’attesa e la radio e le televisioni di quelli saliti coi camper i giorni precedenti iniziano a dare le prime notizie: la tappa parte come dovesse essere una volata con una media della prima ora di gara che sfiora i 48 km/h. Un’andatura che lascia poco spazio ad iniziative personali e >> Il cippo che ricorda l’impresa di Pantani a Piancavallo
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L’arrivo trionfale di Marco Pantani a Piancavallo nel maggio 1998 (foto Missinato)
>> già si respira nell’aria che tutto accadrà lì, nell’ultimo tratto da Pedemonte al Piazzale della Puppa in Piancavallo, lì dove migliaia di tifosi stanno aspettando da ore, lì dove già s’intuisce che si tratterà di una tappa storica. I tifosi fremono, sale la febbre dell’attesa, ciclisticamente parlando un momento così importante al Piancavallo non s’era mai visto. Quando il serpentone rosa arriva sulla pedemontana sono ancora tutti in gruppo con le squadre compatte della Mapei, della Festina e della Mercatone a far da traino ai loro capitani, ma alla base della salita scatta la bagarre che catapulta in avanti i prim’attori. È qui, come si suol dire, che “si fanno i giochi”, ma bastano poco più di 3 chilometri perché a Marco Pantani passi la voglia di giocare. Sì, proprio a lui, il più amato, il più atteso, il più acclamato. Dopo soli 3 chilometri di salita il Pirata inarca la schiena e parte con impeto spingendo sui pedali con i muscoli che lanciano bagliori da sotto al velo di sudore di cui sono già ricoperti. Uno scatto secco, un attacco imperioso, una dimostrazione di forza. Dalle radio si levano le voci degli esperti e dei commentatori televisivi che però ammoniscono: “Azione intempestiva la sua”. Sono parole che, dette da chi di ciclismo se ne intende, suonano come macigni, delle sentenze alle quali nessuno ha il coraggio di controbatte. Ma neppure tra i corridori in gara c’è qualcuno che il coraggio o la forza di controbattere agli scatti ripetuti di Pantani. 44
Il primo ad andare in crisi è Gotti mentre provano a tenere il passo solo Tonkov, Zuelle, Guerini, Leblanc e NoÈ. Uno alla volta però si sfilano anche loro perché quel tratto è il più duro di tutta la salita, le pendenze arrivano al 15% e in gara o sei un mostro o puoi sperare solo di andare con la tua andatura. Per un po’ si vedono solo Pantani davanti e Tonkov che cerca di stargli a ruota, di resistergli, altro non può sperare di riuscire a fare, ma è affare di poco perché all’ennesimo scatto del Pirata il russo molla. Da qui in poi è una salita solitaria, un trionfo della classe cristallina, un’immagine d’altri tempi, “un uomo solo al comando” che esalta le folle. Il passaggio del campione sui tornanti che salgono a Piancavallo viene scandito dalle urla di incitamento dei tifosi, un boato che sale lungo le pendici della montagna e che si sposta ritmicamente come l’andamento delle curve della strada, un eco che rimbomba e che mette i brividi più del freddo di un maggio anomalo. Nonostante il passaggio di Pantani si ascolti nell’aria, i tifosi hanno tutti l’orecchio alle radio ad ascoltare lo scandire della sua scalata, ma soprattutto a tener controllato il distacco con gli altri. E dagli altoparlanti gracchiano le voci che scandiscono tempi e distanze. A 9 chilometri dall’arrivo ha 20” su Tonkov che comincia a dare segni di difficoltà, 26” su Zuelle e Guerini che invece stanno tenendo molto bene, 36” su Noè che appare il più affranto degl’immediati inseguitori. Bisogna >>
Marco Pantani sul podio allestito in piazza Della Puppa (foto Missinato)
>> aspettare 1’20” poi per veder transitare un gruppetto che comprende Gotti, Savoldelli, Tiepoli e Bartoli. A 8 chilometri dall’arrivo v’è un tratto dove la pendenza allenta un po’ i suoi morsi e qui Tonkov pare riprendersi, ma non solo, dietro a lui allungano anche Zuelle e Guerini. Più che una corsa ciclistica pare una gara ad inseguimento, i tifosi trepidano. A 7 chilometri dalla fine Tonkov ha recuperato e si trova a soli 10”, la coppia Zuelle-Guerini a 24”. La salita è lunga, il tempo per recuperare c’è ancora, le voci che risuonano nelle radioline ricordano che lo scatto è stato prematuro, che non ha saputo scegliere i tempi giusti, c’è il rischio che possa mollare. Ma Marco tiene duro, tiene eccome, si alza sui pedali, guadagna metri. Il romagnolo avanza in agilità, dove gli altri soffrono lui pare volare. È lui il campione, l’abbiamo sempre saputo e vederlo davanti a tutti infiamma gli animi degli appassionati assiepati a bordo strada. È in vista della curva della Bornass quando getta a terra il suo berrettino giallo, quello è l’urlo di battaglia del guerriero, per tutti quello è il segnale che ce la farà. Dalle radio continuano i balletti dei numeri. A 4 chilometri dalla conclusione il battistrada ha 16” su Tonkov, 26” su Zuelle e Guerini. Quando mancano 2 chilometri all’arrivo c’è perfino un tratto in discesa ed è qui che Zuelle scatta ed assieme a Tonkov stacca Guerini. Ma Marco è ormai lontano, è già in vista
dell’arrivo. È tutto per lui il boato delle due ali di folla che lo accompagnano al traguardo. Sotto allo striscione dell’arrivo Pantani alza le mani al cielo, la pelata che lo rende inconfondibile riflette sotto i lampi di migliaia di flash. Sorride Pantani, ha il volto da buono, orecchie sventola che lo rendono umano, ne fanno uno di noi, uno che piace alla gente. A Piancavallo vince Pantani, Zuelle torna a rivestire la maglia rosa, ma quell’anno sarà il Pirata a vincere per la prima volta il Giro d’Italia. Il Piancavallo l’ha lanciato nella storia, i tifosi ne hanno già fatto un mito. Andando a scorrere gli annali del ciclismo alla pagina dedicata alla 14ª Tappa del Giro d’Italia, Schio-Piancavallo di km 165, si legge il seguente ordine d’arrivo: 1) Marco Pantani (ITA) in 4h 22’ 11” alla media oraria di km 37,760, 2) Pavel Tonkov (RUS) a 13”, 3) Alex Zuelle (SVI) s.t. Ma quello che rimarrà sempre nel cuore dei tifosi non è la freddezza delle cifre, ma l’entusiasmo di una giornata indimenticabile e il calore delle parole del campione che, intervistato all’arrivo, dice: “È stata una vittoria sofferta fino alla fine, ma ho confermato di avere coraggio. Sono uno dei pochi che scopre le carte senza paura. Credo che questo piaccia alla gente” Altroché, se piace. Gli sportivi friulani non dimenticheremo mai quella sua salita a Piancavallo, gli sportivi di tutto il mondo non dimenticheremo mai Marco Pantani. 47
L’ANNIVERSARIO
L’onda lunga del Vajont Mezzo secolo di ingiustizie e umiliazioni testo e foto di PIERGIORGIO GRIZZO
Alle 22.39 del 9 ottobre 1963 la mannaia del Monte Toc cala sulle vite di quasi 2 mila persone cancellando interi paesi e borgate. La più grande tragedia italiana di sempre dopo il terremoto di Messina. Negli anni successivi l’onda lunga del Vajont fu un autentico calvario giudiziario per i superstiti. Tutti i risvolti di questa incredibile e inquietante vicenda raccontati in esclusiva al nostro giornale da uno dei sopravvissuti, Italo Filippin, classe 1944, già sindaco di Erto nel periodo della ricostruzione ed in seguito studioso e ricercatore 49
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Foto Terrazzani
La
realtà supera qualsiasi immaginazione. Neppure i giganti della tragedia greca, né Eschilo, né Sofocle, né Euripide, avrebbero saputo immaginare una storia così fosca, così drammatica, così inquietante come il disastro del Vajont. Una storia, per usare le parole di Giampaolo Pansa nella postfazione del libro di Tina Merlin, Sulla pelle viva, “sul potere e sui mostri che può generare. Sull’arroganza di troppi poteri forti. L’assenza di controlli. La ricerca del profitto a tutti i costi. La complicità di tanti organi dello Stato. I silenzi della stampa. L’umiliazione dei semplici. La ricerca vana di una giustizia. Il crollo della fiducia in una repubblica dei giusti”. La tragedia del Vajont raggiunge il suo acme drammatico la notte del 9 ottobre 1963, alle 22.39, ma la storia parte da molto prima, come un temporale che si annuncia in lontananza, e prosegue per molti anni dopo, con una teoria di infamie inimmaginabili, che rivelano il peggio della natura umana e mostrano un sistema così marcio e così corrotto da fare ribrezzo. La maggior parte dell’opinione pubblica ha nozione solo del
Nelle foto di questa pagina Italo Filippin in prossimità della diga, con il giornalista Piergiorgio Grizzo e con l’attore Marco Paolini. Nella pagina accanto l’abitato di Erto
disastro, il fatto più eclatante con quasi duemila morti; ha una certa consapevolezza di come maturò, anche e soprattutto grazie allo splendido monologo teatrale di Marco Paolini “Vajont, un’orazione civile” (messo in onda da Rai 2 nel 1997, ebbe il merito di riportare l’attenzione nazionale su una vicenda che ormai stava già cadendo nell’oblio), ma ignora ciò che accadde dopo. In tutti i casi il disastro fu una sorta di spartiacque, non solo a Longarone e ad Erto (Mauro Corona dice sempre: “qui da noi non si dice prima o dopo di
Cristo, ma prima o dopo il Vajont”), ma anche nella storia italiana. Ha rappresentato la fine dell’età dell’illusione e dell’innocenza, quella parentesi felice che iniziò nell’Italia del dopoguerra e della ricostruzione, fatta di una spinta morale e ideale, di un entusiasmo, di una coesione di popolo senza precedenti, di una immedesimazione del popolo stesso nello Stato che resero possibile la rinascita di un Paese devastato. Il disastro del Vajont fu il segnale che l’Italia non era cambiata: il potere dei soldi, nel nostro Paese come ovunque,
Filippin con Gervasia Mazzucco, un’altra sopravvissuta al disastro
ha sempre e comunque il sopravvento sulla sovranità popolare. Per molti rappresenta anche la prima delle cosiddette “stragi di Stato”, bagni di sangue di diversa matrice, ma con un comune denominatore, quello di essere rimaste di fatto senza colpevoli. Scrisse Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera nel 2003, per il quarantennale: “La diga del Vajont, la più alta al mondo, rappresentò uno dei simboli della modernità, che altrove si chiamò sviluppo e in Italia miracolo. La catastrofe del Vajont, la più grave dal terremoto di Messina, ne segnò la fine, o almeno ne concluse la fase più impetuosa, rivoluzionaria, creatrice. Mancava ancora qualche anno alla crisi, giunta prima con la rivolta sociale, poi con lo choc petrolifero. Ma già in quell’autunno del ‘63 si celebravano, nella grande fossa in cui gli alpini calavano bare semivuote, le esequie dell’Italia arcaica, contadina, solidale”. Perché oggi a cinquanta anni di distanza è ancora così importante continuare a ricordare con tutta questa seriale insistenza, diremmo quasi con accanimento, un evento come il disastro del Vajont? Perché, come sempre succede nella storia, quando l’ultimo testimone oculare dei fatti verrà a mancare, i fatti stessi cadranno nell’oblio o peggio ancora si presteranno a distorsioni o mistificazioni. Pertanto è fondamentale mantenere l’integralità della storia il più a lungo possibile. Torniamo alla notte del 9 ottobre 1963, ore 22.39.
La spiegazione “tecnica” più efficace di quanto accadde la fornì Dino Buzzati, allora corrispondente da Belluno del Corriere della Sera, in un celebre articolo apparso qualche giorno dopo. “Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”. Per capire lo choc dei sopravvissuti basta ascoltare i loro racconti. Italo Filippin, ertano, classe 1944, ha vissuto tutti gli aspetti e tutti i risvolti di questa complessa ed inquietante vicenda. Da sopravvissuto, da sfollato, da sindaco di Erto nel periodo della ricostruzione ed in seguito come studioso e come ricercatore. IL MIO VAJONT “Avevo 19 anni – racconta Filippin – e facevo l’operaio edile. La sera del disastro ero sul lago Maggiore dove lavoravo in un cantiere insieme ad alcuni compaesani. Con me c’erano mio zio Giuseppe Della Putta Frambol, un altro Della Putta, Virgilio, Carlo Pezzin ed Eugenio Martinelli. La notizia l’abbiamo saputa alla radio alla mattina presto. Ma all’epoca non c’erano telefonini, internet e altre cose così, le cronache non viaggiavano in tempo reale, perciò si era capito ben poco di quello che era successo. Dicevano solo che nella notte era crollata la diga del Vajont e che c’erano stati centinaia di morti a
Longarone. Di Erto nemmeno una parola. Con un groppo alla gola noi ertani ci precipitammo alla prima stazione, prendemmo il treno per Milano e poi quello per Venezia. Alla stazione di Milano trovammo altri compaesani ed altra gente, emigranti delle nostre montagne e della zona di Longarone; tutti stavano confluendo verso casa. Nessuno però sapeva, solo una ridda di ipotesi, di congetture, di speranze. Arrivammo alla stazione Ponte nelle Alpi verso le due del pomeriggio del 10 ottobre. Da lì in avanti non esisteva più la ferrovia né la strada. Un caos indescrivibile, un viavai di automezzi dell’Esercito e dei Vigili del Fuoco, gente che urlava, sirene, elicotteri a bassa quota. Su quello che restava della rotabile per Longarone c’era un posto di blocco dei Carabinieri ed una folla di gente disperata che pressava per passare. Ci furono momenti di tensione, volò qualche pugno. Riuscimmo in un modo o nell’altro a forzare il blocco e ad incamminarci verso Longarone che distava circa 8 chilometri. Sul ciglio della strada file di cadaveri e di animali morti, schiacciati, deformi, bianchi di fango asciutto. Lo scenario di una guerra. Di Longarone in molte parti non erano rimaste nemmeno le macerie, solo un’immensa spianata di fango. Notammo anche che la diga, al contrario di quanto avevano detto la radio e i giornali, non era crollata”. “Ricordo di aver trovato in terra per puro caso una cartolina. Era indirizzata ad una ragazza, una certa Mazzarana, che era stata mia >> 51
con gli elicotteri dell’Esercito e della base americana di Aviano. C’erano solo gli alpini con le fotoelettriche, che illuminavano l’invaso. Li pregai di puntare il faro sull’altra sponda del lago, dove c’erano le malghe della località Prada e la casa della mia famiglia. Furono secondi interminabili, le due case prima della mia non c’erano più, ma la mia era ancora in piedi. La mia famiglia si era salvata”.
>> compagna di scuola. Di lei restò solo quella cartolina mai arrivata a destinazione, perché il cadavere non fu ritrovato”. Trovammo altri compaesani, in tutto una quindicina di persone. L’ansia, la paura di non trovare più nemmeno il nostro paese crescevano ogni secondo perché anche lì nessuno aveva saputo darci notizie di Erto. I telefoni erano saltati, le comunicazioni completamente interrotte”. “Guadammo il Piave, che era in piena e ingrossato di fango e detriti, forse secondo alcuni – anche avvelenato dai reagenti chimici di una cartiera che era stata spazzata via poco più a monte, ed arrivammo a Codissago, il paese sull’altra sponda”. “Mentre scendeva il buio, prendemmo il Truoi de Sant’Antoni, il vecchio sentiero che portava ai nostri paesi. Dall’alto vedemmo la diga e il bacino del Vajont, stracolmo, pieno di macerie e detriti di tutti i tipi. Sembrava un vaso sul punto di tracimare. Si sentiva in lontananza un rumore, quasi un ronzio costante come di sassi che rotolavano; nell’aria uno strano odore di zolfo e di marcio. 52
Sempre attraverso il sentiero arrivammo nei pressi di Casso, dove c’era la casa dei fratelli De Lorenzi. Uno di loro si era aggregato a noi a Longarone. La casa era scoperchiata. Entrammo e salimmo al primo piano, dove dormivano sua moglie e sua figlia. Con la torcia elettrica illuminammo la camera, vedemmo il letto sfondato, sassi ovunque e sangue per terra. Ma De Lorenzi con grande lucidità e freddezza riuscì a mantenere la calma; si convinse che non erano morte, ferite ma non morte, ed infatti così fu. In paese, a Casso, era rimasto il parroco, Don Carlo Onorini, e 5 o 6 persone a presidio”. “Ci mettemmo in marcia di nuovo verso Erto e, girata la costa oltre Fraseign, ci ritrovammo nel buio a camminare sopra una montagnola di sassi e macerie. Era il borgo di Le Spesse. Non esisteva più. Qualcuno non ci credeva, non voleva crederci, ma era così. Era stato letteralmente cancellato. Lì morirono 69 persone. In tutto ad Erto i morti furono 220”. “Finalmente arrivammo alla periferia del paese. Non c’era più nessuno, erano stati tutti sfollati in fretta e furia
“AVRETE GIUSTIZIA” “Avrete giustizia”, disse l’allora presidente del Consiglio, Giovanni Leone, giunto in elicottero a Longarone nei giorni successivi al disastro per adempiere ai protocolli di Stato. Alla gente disperata, che implorava rispetto per i propri morti, promise: “Avrete giustizia”. Lo stesso Giovanni Leone, qualche tempo dopo, smessi i panni di primo ministro e ritornato alla sua professione di avvocato, divenne capo del collegio dei difensori della Sade-Enel, la controparte. Riuscì, tra l’altro, a trovare nel codice cavilli e codicilli che permisero di non risarcire i parenti sopravvissuti di circa 600 morti (in base all’art.4 del codice civile, quello sulla commorienza. Quando, cioè, non vi è certezza sull’ora esatta della morte di due stretti congiunti si presume che siano morti contestualmente, pertanto in caso di decesso a distanza ravvicinata di un padre e di un figlio l’eredità non si trasmette e nulla è dovuto al nipote). Tutte le trame e le speculazioni che seguirono al disastro sono raccontate con dovizia di particolari da Lucia Vastano nel libro “L’onda lunga del Vajont”. Vi si parla tra le altre cose dell’odissea del processo penale, spostato all’Aquila, svuotato poco a poco e chiuso infine con due condanne, di cui una sola eseguita. Dopo il penale si aprì un altro capitolo di infamie, quello legato alla miriade di processi civili e di risarcimenti. “Nel 1968 e 1969 – scrive sempre la Vastano - i superstiti vennero contattati dagli avvocati >>
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di carta. Così successe che per una licenza pagata dieci mila lire, aziende ottennero finanziamenti miliardari per decenni. La legge prevedeva infatti continui rifinanziamenti alle aziende del comprensorio proprietarie delle licenze”.
>> per i risarcimenti: a voi superstiti non spetta niente, dal momento che non ci sono responsabilità. Per cui vi conviene accettare quello che ora vi viene offerto, altrimenti non avrete niente. Quello che offrivano erano davvero quattro soldi: un milione e mezzo per i genitori morti (se il figlio era minorenne, altrimenti un milione), ottocento mila lire per i fratelli conviventi, seicento mila per quelli non conviventi. In base al cavillo trovato da Leone nulla era dovuto per nipoti, nonni, zii scomparsi, anche se conviventi. Quasi tutti i superstiti firmarono la transazione. Gli avvocati ottennero per ogni liberatoria ottenuta un compenso di 5 milioni di allora, spesso molto più di ciò che venne dato ai parenti delle vittime”. “Chi non volle transare, soprattutto per rispetto dei propri morti – racconta Filippin – fu trascinato in un iter processuale infinito. I miei zii Pietro e Giuseppe Della Putta vinsero sia in primo grado che in appello. Ma quando l’Enel, forte dei suoi soldi e dei suoi avvocati, dopo che il processo durava da vent’anni, chiese ed ottenne di andare in Cassazione, non ne vollero più sapere. Siamo vecchi e vogliamo morire in pace, dissero. E rinunciarono ad ogni pretesa. L’Enel vinse per sfinimento”. IL TRAFFICO DELLE LICENZE Scrive ancora Lucia Vastano: “C’era un altro lavoro molto interessante per avvocati, notai, commercialisti. Riguardava la vendita delle licenze. 54
Fu questo il business che “mise in moto” l’economia di tutto il Triveneto. La cosiddetta “legge Vajont” (n. 357/1964) stabiliva che ogni cittadino dei comuni disastrati che possedeva una licenza (sia commerciale, artigianale che industriale) al tempo della tragedia aveva diritto ad un contributo del 20 per cento a fondo perduto per riavviare l’attività, a un mutuo dell’80 per cento a tasso agevolato della durata di quindici anni, oltre all’esenzione dal pagamento delle tasse per dieci anni. Il principio non era sbagliato. A chi aveva perso la sua attività veniva di fatto riconosciuto il diritto ad un risarcimento. Ma la legge non era certo fatta per aiutare i poveracci che “prima” vendevano mestoli di legno, fili e aghi, gelati. La legge infatti si spingeva oltre e stabiliva che chi non poteva o non voleva riprendere la vecchia attività aveva diritto di vendere la licenza ad altri e che questi potevano beneficiare degli stessi diritti a patto che l’attività venisse riproposta all’interno di un certo comprensorio che però finiva per coincidere con tutto il Triveneto. Ecco dunque quello che successe. Molti solerti intermediari si presentarono ai proprietari delle licenze e offrirono loro quattro soldi (raramente più di 50.000 lire) per acquistarle. Anche in questo caso gli intermediari ottennero in premio 5 milioni per ogni licenza acquisita. È evidente che non avevano nessun interesse di far capire ai legittimi proprietari a cosa rinunciavano firmando quel pezzo
LE 5 GIORNATE DI ERTO E LA FINE Altri atti di questa tragedia meriterebbero di essere eviscerati in tutti i particolari. Come quello sulle “5 giornate di Erto”, ossia sulla rivolta degli ertani, che nel 1969 occuparono il municipio provvisorio, insediato a Cimolais, per rivendicare il sacrosanto diritto di ritornare ad abitare nel proprio paese. “Furono fatte pressioni e porcherie di tutti i tipi per boicottare chi voleva ritornare a vivere ad Erto – spiega Filippin – l’obbiettivo evidente, anche se mai dichiarato, era quello di spopolare la valle per rimettere in funzione il bacino idroelettrico”. Un altro capitolo fondamentale riguarda la diaspora degli abitanti della Val Vajont, iniziata l’indomani del disastro, le sue conseguenze catastrofiche per le comunità e gli individui. A tal proposito vale la pena leggere il libro di Monica Musolino “New Towns Post Catastrofe – Dalle utopie urbane alle crisi di identità”. Chiudiamo raccontando una storia che per Italo Filippin è il manifesto dell’orgoglio e della tenacia della sua gente, del coraggio di resistere e di ricostruire nonostante i lutti e le catastrofi, nonostante i soprusi e le vessazioni, nonostante tutto. “Mi piace spesso ricordare il mio compaesano Osvaldo Beneto Filippin, oggi scomparso. La casa della sua famiglia era nella borgata Le Spesse, quella che fu letteralmente azzerata dall’onda maledetta. Perse madre, padre, sette fratelli con relative mogli e figli. In tutto 17 componenti di quella che era una famiglia numerosissima. Dopo il disastro non volle sapere di andarsene dalla valle. Resistette nonostante tutto, per anni senza elettricità, e ricostruì la sua nuova casa esattamente sulle fondamenta di quella che l’acqua aveva spazzato via”.
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STORIA
La Foresta degli uomini “robusti, puliti e parchi di movimenti e di parole” Viaggio nel vicino altopiano del Cansiglio alla scoperta dell’identità e della cultura cimbra
Pian Osteria, primi Anni del secolo scorso. Cimbri impegnati nei lavori invernali. (Proprietà dell’Autore)
di Mario Tomadini*
Se
di buon mattino dalle cime del Cavallo volgiamo lo sguardo laggiù in basso verso occidente, la nostra attenzione sarà attratta da un altopiano ancora immerso in una nebbia densa di mistero tanto che è lecito supporre che in quel luogo si nasconda un segreto oppure, come nel nostro caso, che protegga la presenza di un popolo venuto da lontano. Nella seconda ipotesi troviamo l’essenza, che si dimostrerà suggestiva e intrigante, di una storia che aveva avuto inizio alla fine del 1700 quando alcuni cimbri partiti dall’Altopiano dei Sette Comuni (Hoaga Ebene vun Siiben Kameun, in lingua cimbra) si erano presentati nella Foresta del Cansiglio. La loro presenza, dapprima solo stagionale, successivamente era divenuta stabile tanto che un documento aveva attestato quella che ormai era una certezza; la Carta militare austriaca, KriegsKarte, Foglio XII.10 Bosco del Cansiglio,
datata 1798-1805 e curata dal maggiore dell’esercito imperiale Von Zach, ricordando il toponimo I Scatoleri confermava che i Cimbri, chiamati scatoleri perché abili nel fabbricare una grande varietà di contenitori di legno, avevano già occupato alcuni casoni in località Vallorch. I primi villaggi erano sorti in Vallorch e Canaie (1798) seguiti tre anni dopo da quelli del Pian dei Lovi e della Val Bona (1801), dal Pich (1823) ai quali si erano aggiunti nel 1887 quelli di Campon e Pian Osteria. Nel 1860 l’ispettore forestale Adolfo De Bèrenger ricordava che nelle località Pian dei Lovi, Val Bona, Canaie, Pich e Vallorch i Cimbri abitavano stabilmente ormai da più di mezzo secolo traendo il loro sostentamento dalla lavorazione del legno. De Bèrenger aveva ricordato le famiglie Azzalini, Bonato, Gandin, Loser e Slaviero e proprio a quest’ultimo nucleo apparteneva un
certo Timoteo che aveva aperto una locanda a Canaie Vecio. Tra i suoi clienti c’erano stati l’alpinista inglese Francis Fox Tuckett nel 1870 e il geografo friulano Giovanni Marinelli che nell’estate 1876 dovendo raggiungere la vetta del Cimon del Cavallo aveva assoldato lo Slaviero come guida salvo poi ricordarlo come… mal pratico. Nella Nuova Rivista Forestale dell’anno 1879 Pietro Soravia aveva definito i Cimbri… gente robusta, pulita, parca di movimenti e di parole, una definizione che connotava perfettamente le caratteristiche di quelle genti serie e laboriose. Ogni anno i capifamiglia sceglievano un certo numero di faggi da tagliare; nell’area designata era quindi costruita una huta, la baracca da lavoro e dal quel momento aveva inizio l’attività dei discendenti di un popolo che attorno all’anno >>
Particolare della KriegsKarte 1798-1805di Von Zach. Tavola XIII-10- Bosco del Cansiglio. Sulla sinistra si notano i toponimi Vallorc e più sopra i Scatoleri, evidente riferimento alla presenza cimbra. (Da il Ducato di Venezia nella carta di Von ZachFondazione Benetton- Biblioteca Civica Pordenone)
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In alto: un simpatico sistema per imparare qualche parola dell’alfabeto cimbro. (Per gentile concessione dell’Associazione Culturale Cimbri del Cansiglio). In basso: Lo stemma dell’Associazione Culturale Cimbri del Cansiglio al suo interno riporta gli attrezzi da lavoro e negli angoli le iniziali delle quattro famiglie cimbre Azzalini, Gandin, Slaviero e Bonato. (Immagine tratta dalla pubblicazione I Cimbri del Cansiglio)
>> 1000 era stato costretto dalle guerre e dalle carestie ad abbandonare l’Alta Baviera per trovar rifugio nell’altopiano di Asiago e nei Monti Lessini, prime tappe di un viaggio che avrebbe portato alcuni di loro a trasferirsi a un tiro di schioppo dalle montagne del Gruppo del Cavallo. I trabakai (cunei di legno), la hàkha (accetta per tagliare), la kaula (mazza di legno a forma di clava), il piegador (attrezzo formato da un rullo dentato che dava la piega e quindi la forma alla scatola) erano utensili che nelle loro mani facevano miracoli. Prendevano così forma tamisi e tamisete e le madie cilindriche di diverse misure chiamate brent adatte alla conservazione dei cibi ed altri oggetti di legno che erano utilizzate sia nelle abitazioni sia negli alpeggi. Dall’abilità del cimbro nascevano le scatole del formaggio, indispensabili nelle casere poiché nelle fascere di faggio il casaro inseriva la cagliata appena levata dal paiolo; anche i caseranti del Piano del Cavallo apprezzavano gli oggetti che i Cimbri barattavano in cambio di farina e alimenti che in Cansiglio
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non avrebbero potuto reperire facilmente. Gli scambi normalmente avvenivano nei valichi e nelle forcelle del Gruppo del Cavallo, in primis nella Palantina Alta dove i pastori salivano con le greggi sostando davanti all’Antro delle Lamate. Non servivano molte parole; Ich grusse dich (io vi saluto) esordiva il cimbro che portava in un sacco le scatole da vendere e così dopo una contrattazione che terminava con una stretta di mano il caserante tornava nel versante friulano con gli oggetti di faggio e di acero mentre il cimbro scendeva nella traccia che lo avrebbe ricondotto nel suo cason con farina, fagioli, lardo e formaggio. Nei primi anni del Novecento un’assurda politica aveva cercato di allontanare i Cimbri dalla foresta e almeno in parte ci era riuscita; nelle more di questa determinazione che appare difficilmente comprensibile si era arrivati a vietare la costruzione di nuove abitazioni imponendo una pesante tassa per l’occupazione del suolo che altro non era che un’antipatica gabella che in tempi passati neppure la Serenissima non aveva preteso. Nel 1928 nella Rivista del T.C.I. Le Vie d’Italia G. Zanussi aveva definito le genti cimbre del Cansiglio come… poche centinaia di individui semplici, laboriosi e frugali, di origine tedesca, emigrati dall’Altopiano dei Sette Comuni all’inizio del secolo scorso e che vivono in misere capanne. E ancora: Fino a non molto tempo fa, essi parlavano a stento l’italiano. L’idioma cimbro, mutuato dalle lingue germaniche, nel corso dei secoli era stato progressivamente contaminato dalle parlate locali tanto che nell’altopiano del Cansiglio si era praticamente perso fin dai primi anni del XX° secolo e così per mantenere viva la lingua degli avi, nell’Altopiano di Asiago, nei Monti Lessini e nello stesso Cansiglio, le
Associazioni dei Cimbri cercano di mantenere il linguaggio, i costumi e le tradizioni tanto più che nel 1994 grazie ad una Legge della Regione Veneto i Cimbri sono stati riconosciuti come “minoranza etnica”. Per dare un saggio della lingua cimbra di seguito si riportano alcuni vocaboli che denotano una straordinaria affinità con la lingua tedesca. Strada in cimbro si dice beg in tedesco weg. Tetto, dach e lo stesso in tedesco. Montagna perg e berg. Foresta balt e walt. Fiore pluuma e blume. Sole zuuna e sonne. Cielo, hummel e himmel. Neve snea e schnee. Freddo khalt e kalt. Caldo barn e warm. Dopo aver ripercorso le tappe più importanti di quest’interessante storia è venuto il momento di conoscere quanti Cimbri vivono oggi nell’altopiano e lo facciamo grazie alle informazioni avute da Francesco Azzalini, segretario dell’Associazione Cimbri del Cansiglio. Sappiamo che oggigiorno nel Cansiglio vivono una trentina di persone di etnia cimbra; dediti all’attività di ristorazione e di forestazione, non sono mai venuti meno alla loro profonda fede religiosa che trova il punto di forza nella devozione a S. Osvaldo. Oltre a gestire in Pian Osteria un interessante museo che vale sicuramente una visita, l’Associazione Culturale Cimbri del Cansiglio pubblica il periodico Tzimbar Bint (Vento Cimbro), un contenitore culturale di ottima qualità nel quale sono evidenziati tutti gli aspetti dell’identità cimbra che costituisce un importante e ormai irrinunciabile valore aggiunto per la secolare storia dell’Antico Bosco da Reme della Serenissima Repubblica di Venezia. * G.I.S.M. - Gruppo Italiano Scrittori di Montagna.
A DUE PASSI DA PIANCAVALLO
Nuovo Campus per i ricercatori al Centro Oncologico di Aviano Il progetto dell’edificio prevede 31 unità abitative per complessivi 57 posti letto e uno spazio dedicato alle attività formative, ai centri di simulazione, alle relazioni con il mondo imprenditoriale e alle attività ricreative. Consegna dei lavori entro il 2014
Cerimonia in occasione della posa della prima pietra del Campus
di MICHELA ZIN
È
tra gli Istituti di ricerca d’eccellenza nazionale. È il CRO Centro di Riferimento Oncologico che ha sede proprio alla pendici di Piancavallo. Nato nel 1981 su un edificio inizialmente costruito per trasferire l’ospedale generale di zona, da oltre venticinque anni si occupa della cura di malattie oncologiche pubblicandone i risultati delle sperimentazioni terapeutiche e della ricerca clinico-sperimentale nelle più importanti riviste scientifiche internazionali. Con un’importante e fondamentale obiettivo: mettere al centro di tutto il paziente. La volontà è quella di prendersi cura sì della malattia ma anche di tutta la sfera che circonda il paziente come ad esempio i familiari che gli sono vicini, affinché cura e umanizzazione vadano di pari passo e siano orientate alla persona e non solo alla malattia. L’Istituto persegue, secondo standard d’eccellenza, finalità di ricerca nel campo biomedico e in quello dell’organizzazione dei servizi sanitari, d’innovazione nei modelli d’assistenza e di trasferimento delle conoscenze, unitamente a prestazioni sanitarie di alto livello. Ultimo importante progetto avviato dall’istituto è la posa della prima pietra del Campus. Un asset per la Knowledge based community ma, anche, leva strategica per il naturale completamento dei programmi del CRO: su questi concetti è stata recentemente posata la prima pietra (simbolica, causa maltempo), del costruendo Campus all’Istituto Nazionale Tumori di Aviano, una struttura che ospiterà ricercatori italiani e stranieri. Lo scorso 5 marzo il CRO ha consegnato l’area per consentire l’esecuzione dei lavori dell’edificio, caratterizzato da 31 unità abitative (per complessivi 57 posti letto) e da uno spazio, al piano terra, dedicato alle attività formative, ai centri di simulazione, alle relazioni con il mondo imprenditoriale
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e alle attività ricreative. La timeline di consegna lavori è compressa in 20 mesi. Il principio guida della sua pianificazione è che dovrà servire a completare - e potenziare - le finalità istituzionali del CRO rappresentando od essendo sostegno fondamentale delle attività scientifiche, dell’eccellenza in campo biomedico e della formazione, strumento essenziale per perseguire le strategie di internazionalizzazione. Proprio questo è un elemento importante per sviluppare il ruolo del CRO nel Piano Oncologico Regionale che consentirà di estendere le relazioni con Università italiane ed estere quale sede di corsi Master, Summer Schools e Scuole di Specializzazione e sede di un processo di trasferimento tecnologico che crei la necessaria connessione tra il mondo della ricerca biomedica effettuata al CRO e il mondo delle industrie e del capital venture. Altro obiettivo è creare una forte connessione tra il Campus e le entità esterne correlate alla natura di Istituto di ricerca e cura a carattere scientifico IRCCS, quali il Ministero della Salute, la Regione Friuli Venezia Giulia, le Università, le Società Scientifiche e gli Enti pubblici e privati che sostengono la ricerca e la divulgazione scientifica, le aziende biotecnologiche e con interessi nel campo della sanità (assistenza, gestione) o nello sviluppo di prodotti derivati dalla ricerca sanitaria, gli ordini professionali (es. medici, infermieri, farmacisti), le associazioni di categoria (es. Unindustria e i suoi associati) e il Polo Tecnologico di Pordenone. Un’eccellenza, quella del CRO, che va tenuta tra le cose più preziose del nostro territorio ricordando le parole del Dalai Lama: “Gli esseri umani sono creature sociali e prendersi cura gli uni degli altri a vicenda è la base stessa della nostra vita”.
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GASTRONOMIA
Figomoro, un distillato della dolcezza pedemontana Noto fin dal 1400 il fico nero di Caneva era apprezzato, soprattutto in tempi di carestie, per le sue qualità energetiche e medicali. Oggi è stato riscoperto e valorizzato soprattutto grazie all’attività del Consorzio di tutela di MICHELA ZIN
N
ella Bibbia viene citato come il primo “abito” della storia: Adamo ed Eva si “vestivano”, infatti, di foglie di fico. Nel Vecchio Testamento, il fico viene citato come emblema di abbondanza. Insomma questa pianta ha una storia davvero importante e antica. Ecco allora che non stupisce quanto sta accadendo nella pedemontana pordenonese per opera del “Consorzio per la tutela e la valorizzazione del Figo Moro da Caneva”. La coltivazione del fico nero, localmente chiamato Figomoro, è diffusa in questo comune da tempi remoti, come dimostrano numerose testimonianze. Il particolare microclima dell’area pedemontana, collocata a ridosso tra le Prealpi e la pianura veneto-friulana, la diversità dei sali minerali del sottosuolo, tra cui tanto calcare, potassio e magnesio, oltre alla collocazione delle piante in declivi decisi, conferiscono ai frutti della zona irripetibili caratteristiche qualitative ed organolettiche e tali comunque da renderlo famoso e ricercato. Il suo pregio è storicamente riconosciuto, tanto d’aver costituito un’importante disponibilità alimentare per le sue doti energetiche e medicali, soprattutto in tempi di carestie. Le principali note storiche della sua presenza in loco, si ritrovano dal 1400 circa. Recenti ritrovamenti presso l’archivio storico di Sacile (lavoro tutt’ora in corso), dimostrano l’importanza della
pianta, annoverata tra le principali fonti di reddito della zona e stabiliscono incontestabilmente la presenza in luogo del fico. Sopravissuto alle razzie dei diversi eserciti che hanno costantemente transitato in queste zone, il fico, nell’unica varietà esistente in luogo il “Figo Moro” o più anticamente chiamato “Longhét”, oggi diventa prodotto prezioso del territorio. Il merito, come detto è del Consorzio che supportato dal Comune e dalle istituzioni locali, da qualche anno lavora per dare nuova identità a questo frutto antico. Per i suoi 50 soci il Consorzio, oltre all’attività istituzionale di tutela, studio, valorizzazione e salvaguardia, crea le premesse per una vendita che possa essere remunerativa e conveniente, studia le richieste dei possibili acquirenti e ne trasforma le indicazioni in una politica di settore. Marmellate e salse, preparati per cucina e per gelato, fichi immersi nella cioccolata e ancora birra, aceto o caramello oltre a doccia schiuma e scrub, sono alcuni dei tanti prodotti che ogni anno vengono messi a disposizione del pubblico (anche acquistabili on line). Senza dimenticare i curiosi pacchetti turistici per la raccolta del frutto e il confezionamento direttamente a cura dell’ospite. Per informazioni: Consorzio per la tutela e valorizzazione del “Figo Moro” da Caneva www.figomoro.it
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* FIAT PANDA per
me z z a g iornata
e 100
km d i per corr enz a.
CURIOSITÀ
Highland,
la mucca pelosa che non teme il freddo Alcuni esemplari della curiosa specie bovina di origine scozzese si possono osservare nel complesso agrituristico di Malga Valli-Caolana, sulla strada verso Barcis. Nei ricoveri, con le antiche conoscenze, vengono prodotti gli insaccati, i formaggi, le ricotte, gli ortaggi e la frutta di stagione testi e foto di FERDI TERRAZZANI
A
nche la presenza sul territorio di un “animale strano” può suscitare un’interessante attrattiva turistica. Un quadrupede dal corpo massiccio ricoperto di folto e lungo pelo ispido, criniera abbondante e “frondosa”, lunghe ciglia, ciocche di peli sulla fronte e provvisto di corna possenti sviluppate a forma di lira, produce di certo curiosità. La descrizione è della “bestia” vista nel complesso agrituristico di “Malga Valli-Caolana” e sembra quasi coincidere con le fattezze di un animale mitologico o identificato dalla nostra bestiale conoscenza, in un eccentrico incrocio di razze. La soluzione è molto più semplice: si tratta per quanto strana alle nostre latitudini di una razza bovina: la Highland. Questa particolare specie si è forgiata nel corso dei secoli nelle aspre e remote Highland (terre alte) della Scozia. Le difficili condizioni di sopravvivenza di quei luoghi, hanno generato un processo di selezione naturale, dove solo gli animali idonei hanno contribuito alla formazione della razza. Considerato il clima della zona d’origine particolarmente rigido, i bovini Highland hanno fissato nel loro standard una particolare capacità d’adattamento alle temperature più estreme, perfino glaciali. Questa caratteristica consente loro di restare in quota anche durante la stagione più fredda e in presenza di neve, permettendo di sfruttare pascoli con produzione foraggera modesta e di scarso valore nutritivo. Oggigiorno i bovini Highland vengono utilizzati oltre che
per la loro sobrietà alimentare per incrementare il pascolo ecologico e funzionale dei prati e dei pendii e per potenziare i programmi di protezione del paesaggio. La specie, nonostante l’aspetto non del tutto rassicurante e la presenza in luoghi isolati, non viene considerata aggressiva. A Claut, ormai da qualche anno, sorge un piccolo allevamento di Highland di proprietà di Gabriele Fabbro visitabile nella località montana in via Garibaldi. Il Complesso Agrituristico Malga Valli Caolana è inserito nel tipico ambiente montano delle Prealpi Friulane a 1050 m.s.l., in perfetta simbiosi con i boschi e i pascoli della Val Caltea lungo la strada che collega Piancavallo a Barcis ed è articola in cinque edifici. Il primo lo si incontra appena passato il ponticello all’imbocco della valle ed è composto da quattro unità abitative completamente indipendenti. L’originaria stalla e la vecchia malga, completamente restaurate, costituiscono il cuore dell’agriturismo. Eleganti costruzioni in pietra e legno ospitano il ristorante e la foresteria dotata di cinque stanze. Dalla malga proseguendo sulla strada, con una bella passeggiata di circa due chilometri, si raggiunge la Malga Caolana e l’annessa stalla, strutture che nei mesi estivi i pastori utilizzano per il pascolo delle pecore, capre e per le mucche Highland. Nei ricoveri, con le antiche conoscenze vengono prodotti gli insaccati, i formaggi, le ricotte, ortaggi e frutta di stagione: squisite prelibatezze che si possono gustare poi nell’agriturismo. 65
APPUNTAMENTI
L’operetta concede il bis! Una veloce carrellata delle principali iniziative culturali e di intrattenimento dell’estate 2013 promosse dal Comune di Aviano in collaborazione con le associazioni del territorio. Dopo il successo dell’anno scorso si rinnova l’appuntamento con l’operetta (venerdì 9 agosto) organizzato dalla Provincia di Pordenone
Il
di Margherita Venturelli
programma che l’assessorato al Turismo del Comune di Aviano ha definito per la prossima stagione estiva è frutto del grande lavoro di gruppo condiviso tra il Comune e le diverse realtà del territorio che da sempre si dedicano, con spirito di volontariato, a diffondere l’amore per la nostra montagna. Primo evento da segnalare è il concorso letterario “Favole nel bosco” che compie quest’anno dieci anni di edizione. Sarà l’occasione per presentare i momenti e i testi più significativi della storia di tale concorso. L’iniziativa, che da sempre gode del patrocinio della Società Filogica Friulana e della rivista L’Artugna di Dardago, nonché la collaborazione preziosa di Pordenonelegge, si articola in tre sezioni, una rivolta ai ragazzi fino ai 14 anni, una agli adulti ed una in parlata friulana. Ogni edizione è incentrata su un tema: per il 2013 l’argomento scelto è “Atterraggio sul Piancavallo: l’avventura straordinaria di volare sopra le cime a bordo di….”. L’idea
di sorvolare “Cimon dei Furlani” o il “Tremol” o ancora “Cima Manera” - magari a bordo di un aereo bimotore piuttosto che con un deltaplano, o addirittura con mezzi più insoliti, aggrappati per esempio ad un ippogrifo come Bastian nella Storia infinita o pedalando una bicicletta volante - senza dubbio stuzzicherà la fantasia sia dei ragazzi sia degli adulti. Il premio in palio per i vincitori di ciascuna sezione è un buono libri di 300,00 euro. Il termine per la presentazione degli elaborati è fissato in data 30 agosto. Tutte le informazioni saranno date dalla Biblioteca Civica. Ai bambini ed alle famiglie farà piacere sapere che sabato 3 agosto riaprirà Fantalibro, la rassegna di appuntamenti con i libri e le storie della Biblioteca. Questa estate, oltre alle attesissime attività proposte da Jenny Barosco, sono previsti laboratori dedicati appunto al tema del volo e, soprattutto, gli speciali: i burattini della compagnia Maestri burattinai di Walter Broggini, in collaborazione
Il pubblico che ha gremito il Pala Predieri l’estate scorsa in occasione dell’operetta. (Foto Terrazzani)
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SOTTO LA LENTE
Amici di Piancavallo, una grande famiglia Fantalibro, una delle iniziative più apprezzate dai bambini. (Foto Terrazzani)
con la rassegna provinciale Musae; la tombola dei libri, condotta da Ortoteatro, con tante storie e premi in palio; gli appuntamenti al cinema ragazzi con le novità di animazione; gli incontri con Alice della libreria per ragazzi Baobab di Porcia. Funziona ormai dall’estate 2007 il punto lettura ospitato nei locali dell’Ufficio turistico FVG, su iniziativa e cura della Biblioteca Civica del Comune di Aviano; operativo per tutto il periodo delle stagioni turistiche. Tra le novità di offerta culturale che i turisti troveranno nel solo soggiorno estivo da segnalare vi sono: due concerti, uno di musica classica, con il Trio d’Archi proposto dall’associazione musicale Fadiesis di Pordenone, e uno di musica etnica nell’ambito del Festival internazionale “Nei suoni dei luoghi”; due spettacoli di cabaret; non mancherà il tradizionale appuntamento con l’Operetta promossa ed organizzata dalla Provincia di Pordenone, nella serata di venerdì 9 agosto. Un serata sotto le stelle a cura del prof. Giampaolo Carrozzi, dell’associazione pordenonese di astronomia l’8 agosto: nel pomeriggio una conferenza e la sera l’osservazione al telescopio al Rifugio Arneri. L’anno 2013 il Club alpino Italiano celebra i 150 anni dalla fondazione. L’Amministrazione Comunale di Aviano, in collaborazione con le sezioni CAI di Pordenone e di Aviano, proporrà due serate di proiezione, nell’ambito della rassegna Cimevisioni. La sala convegni ospiterà anche altri
appuntamenti con il grande cinema, dalla commedia al cinema friulano. Tra questi, “Orazione civile” ovvero il monologo teatrale che Marco Paolini dedicò alla tragedia del Vajont, di cui ricorre il cinquantesimo anniversario. Infine, Cultur@intransito, rassegna di presentazione di nuove pubblicazioni: grande attesa per il ritorno del musicista cantautore di Cercivento, Luigi Maieron, presenterà una serata tutta all’insegna della musica e della narrazione. Ma, soprattutto, protagonista della manifestazione letteraria sarà la montagna: un evento speciale sarà la presentazione del libro Gioco d’equilibrio. Cieco sul tetto del mondo di Handy Holzer, (edizioni Keller, Rovereto), l’alpinista austriaco non vedente dalla nascita. Nonostante l’handicap, questo alpinista estremo può cogliere tutto del paesaggio che lo circonda perché i suoi sensi - l’udito, l’olfatto, il gusto e il tatto gli forniscono informazioni sufficienti per assemblare una precisa immagine del mondo e delle pareti. Questo con Holzer non sarà solo un incontro con l’alpinismo ma anche con la vita perché testimone di come “dipendere l’uno dall’altro possa essere una benedizione”, un gesto di fiducia, un dono meraviglioso, anziché una maledizione. Info: Ufficio Turismo FVG Piancavallo: 0434 655191 Biblioteca Civica del Comune di Aviano: 0434 652492 www.comune.aviano.pn.it
È
nata nel 2009 con l’obiettivo di creare maggiore relazione tra coloro che a Piancavallo vengono in villeggiatura e chi, invece, ci vive e lavora. E’ l’Associazione “Amici di Piancavallo mt1267”, il cui presidente Cesare Folin ci racconta storia, programmi, obiettivi. «Oggi siamo 220 iscritti - ci spiega - 150 dei quali veri assidui frequentatori della nostra montagna e delle iniziative che proponiamo: feste, mostre, momenti di aggregazione. L’iniziativa storica è “La veglia dei fiori” nata 30 anni fa da un’idea mia e del poliedrico Luciano Minghetti e che tutt’oggi continua con la stessa impostazione: si balla in una sala addobbata di fiori che al termine della serata vengono regalati alle signore perché li mettano nei balconi delle loro case a Piancavallo». Tra le molte iniziative dell’associazione anche i bei mosaici sui sassi, facilmente visibili già all’ingresso del paese, davanti all’Hotel Regina e alla Chiesa, eseguiti dal maestro veneziano Giovanni Cucco con il contributo economico del consorzio Piancavallo, dell’Hotel Regina, nonché del Comune di Aviano e della Regione Friuli Venezia Giulia. Storica anche la “sardellata” nata da un gemellaggio con una società remiera veneziana della quale Folin era presidente e che ancora oggi si tiene a Piancavallo alla presenza di oltre 400 persone con la collaborazione della Pro loco Aviano. Da non scordare la prossima 3^ Edizione della Mostra “Arte in Montagna” in programma dal mese di agosto presso la sala della Azienda di Soggiorno in Piancavallo. Michela Zin 67
Pause... italiane
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SOTTO LA LENTE
Masterchef
targati Alto Livenza
Al Museo di Arte Cucinaria dell’Alto Livenza attrezzi, fotografie e ricettari raccontano l’esperienza internazionale dei cuochi pedemontani. Una tappa fondamentale per aspiranti chef, appassionati di cucina, food blogger e amanti della storia della gastronomia
testo di CRISTINA PASIN foto di Danilo Rommel
Il presidente del Museo Giovanni Fabbro e alcuni cimeli esposti a Polcenigo. (Foto Cristina Pasin)
Un
museo di arti e mestieri, unico nel suo genere in Italia, che racconta la grande tradizione culinaria e l’esperienza di vita dei cuochi formatisi nella zona dell’Alto Livenza. E’ il Museo di Arte Cucinaria di Polcenigo, realizzato da un gruppo di chef della Pedemontana che hanno raccolto qui attrezzi, ricette, fotografie e riconoscimenti del lungo lavoro prestato come cuochi di alto livello in Italia e nel mondo. Emigrati lontano e imbarcatisi nelle grandi navi da crociera, questi professionisti hanno diffuso il loro sapere, imbandendo con la propria “arte cucinaria” le tavole prestigiose di mezzo mondo. E’ proprio così che amano definirla, arte cucinaria (da ars coquinaria), per smarcarsi dal “culinaire” di derivazione francese e dare risalto alla tradizione del “fare” >>
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>> che connota da sempre la gente di questi luoghi. La zona vanta una grande tradizione nel settore della ristorazione. Oggi al suo attivo conta oltre trecento professionisti della cucina operanti in diverse parti d’Italia e del mondo, provenienti principalmente dai comuni di Polcenigo, Budoia, Caneva, Fontanafredda, località che fanno parte di un’area, l’Alto Livenza, posta al confine tra il Friuli e il Veneto. Una sapienza che questi chef hanno acquisito con grandi sacrifici, anno dopo anno sul campo. Come quella di Giovanni Fabbro, presidente del Museo e della Federazione Pordenonese dell’Associazione Italiana Cuochi. Ha iniziato a cucinare a 13 anni e non ha più smesso, diventando un punto di riferimento per la cucina internazionale fino a ricevere un paio di anni fa la fascia di Escoffier, un’onorificenza riservata solo a pochi eletti. Eppure la sua semplicità è disarmante, tanto quanto la sua passione, condivisa dal gruppo di cuochi che gestisce il Museo, nell’aprire le porte ai visitatori di questo spazio ricco di tesori: all’interno si trova una vasta collezione di documenti, lettere, menu, fotografie e attrezzi da cucina che narrano a tappe la storia di questi ambasciatori della cucina italiana nel mondo e degli hotel e ristoranti che questi artisti, con il loro talento, hanno contribuito a rendere celebri. Gli chef della Pedemontana, a partire dal 1990, anno di fondazione del Museo, hanno riposto qui la loro collezione di attrezzi, alcuni davvero pregevoli e di antica fattura, i libri di ricette e le fotografie dei momenti più importanti della loro carriera. Qui si trovano una serie di ricettari minuziosamente raccolti, risalenti anche agli anni ’20 del Novecento, quando ancora i menù erano in francese. E’ emozionante pensare a tutto il lavoro, la cura e l’impegno celato dietro questi raffinati documenti. E’ facile tornare con la mente indietro nel tempo e provare a immaginarsi seduti in una grande sala elegantemente imbandita mentre le pietanze, sapientemente preparate, vengono adagiate sulle tavole. Le fotografie di grandi eventi di gala con personaggi illustri e famosi e le immagini delle eleganti cene servite a bordo 70
delle navi da crociera contribuiscono a raccontare storie di successi, grandi conquiste e primati raggiunti dagli artisti della cucina formatisi proprio qui, nell’Alto Livenza, dove ancora oggi le scuole di cucina rappresentano un punto di riferimento nel settore. Non mancano i grandi personaggi, quelli che fanno la storia e si rendono protagonisti di aneddoti che si tramandano negli anni, come Giuseppe Cipriani, lo storico fondatore dell’Harry’s Bar di Venezia. Lo chef diede vita a un piatto divenuto celebre: il carpaccio. Cipriani era amico della contessa Mocenigo la quale non poteva mangiare carne cotta per problemi di salute. Lo chef pensò allora a un modo per preparare la carne cruda e, preso un filetto dal frigorifero lo tagliò a fette sottili e lo guarnì con sale, pepe e olio e una crema a base di maionese. Il colore della carne ricordò allo chef quello di alcuni quadri del Carpaccio esposti in una mostra proprio in quei giorni. Ecco che allora il piatto prese il nome di carpaccio. Il museo ha preso parte al progetto #invasionidigitali, una serie di eventi promossi in tutta Italia da blogger, instagramers e social media lover nella settimana dal 20 al 28 aprile scorso, per promuovere l’arte e la cultura, soprattutto quella meno nota, attraverso internet e i social media. Un nuovo modo di valorizzare il patrimonio artistico che spesso viene trascurato o dimenticato ma che andrebbe considerato una ricchezza collettiva e un bene da custodire gelosamente. Per scoprire di più su questo museo, una tappa fondamentale per cuochi, food blogger e amanti della storia della gastronomia: www.turismofvg.it/Musei/Museo-dell-Arte-Cucinaria-inAltolivenza www.ecomuseolisaganis.it Vi si accede su prenotazione e la visita è guidata. Per trovare maggiori informazioni sul progetto #invasionidigitali creato da Fabrizio Todisco in collaborazione con #iofacciorete (network di travel bloggers italiani), Instragramers Italia, Officina Turistica e Associazione Italiana Piccoli Musei, basta consultare il sito www.invasionidigitali.it
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STORIA
BARCIS ACQUA FUOCO TRA
E
di Mario Tomadini*
Ho
L’abitato di Barcis in un’immagine degli Anni Venti del secolo scorso. (Proprietà dell’Autore)
Dove oggi c’è il lago un tempo pascolavano gli ovini. (Proprietà dell’Autore)
sempre pensato a Barcis come ad un luogo legato non solo al suo lago ma anche alla nefasta azione del fuoco che in più occasioni ha messo alla prova la tenacia e l’orgoglio dei suoi abitanti. Per questa “porta” della Val Cellina il primo episodio legato all’azione del fuoco riportato dalle cronache risale al 1902 quando nella notte tra lunedi 10 e martedi 11 marzo il sonno dei barciani era stato interrotto dalle campane a martello. Agli uomini che si erano radunati davanti alla chiesa si era presentato uno spettacolo spaventoso: molte abitazioni era già avviluppate dalle fiamme e un bagliore innaturale illuminava tutto il paese. Causa un vento impetuoso i tizzoni ardenti erano trasportati su tetti e fienili con grave pericolo di propagazione del fronte del fuoco. Non si era perso un solo secondo; si erano formate catene di uomini e di donne che si passavano di mano secchie d’acqua e a quei coraggiosi si erano affiancati il sindaco, il parroco e il maestro. Alcuni abitanti di Andreis richiamati dalle campane e da quella luce rossastra che si era alzata verso il cielo erano accorsi in aiuto ai barciani e così con il coraggio e la volontà di tutti, paesani e frazionisti, si era riusciti ad evitare un disastro che poteva assumere una dimensione ben più distruttiva. Ben ventisei case erano andate perse e cento persone sono rimaste senza un tetto ed i più anziani avevano ricordato l’incendio del 1859 che era stato ancora più disastroso. Da quella notte di inizio secolo erano trascorsi quarantadue anni ma erano stati anni tribolati che avevano >> 73
Una delle prime immagini di Barcis con il nuovo invaso. (Proprietà dell’Autore)
>> visto due guerre e un’ emigrazione che sembrava non aver mai fine, segno che le povere attività di montagna non avrebbero potuto sostenere l’economia della comunità. L’agronomo Detalmo Tonizzo aveva ricordato che le donne di Barcis, raggiunte dal divieto di portare le capre negli alpeggi, avevano portato figli e capre davanti al Municipio gridando: Non ci permettete il pascolo, ecco capre e bimbi, manteneteli voi! L’ultima delle due guerre non era ancora finita e avrebbe riservato altri lutti e rovine; il 10 agosto Particolare dell’interno dell’abitazione di 1944 le truppe tedesche Giuseppe Malattia della Vallata distrutta avevano appiccato dal fuoco tedesco del 10 agosto 1944. (Cortesia Pietro Arena) le fiamme ad alcuni fabbricati di Barcis. Tra le case ridotte in cenere c’era stata anche quella di Giuseppe Malattia della Vallata, il cantore della valle che in quell’occasione aveva perso tutta la sua preziosa biblioteca. L’episodio era stato terribile ma il peggio doveva ancora venire. Era trascorso un mese da quell’incursione quando i tedeschi erano ritornati in forze per cacciare dalla valle la Brigata partigiana “Ippolito Nievo A” composta da battaglioni garibaldini e da quelli osovani che avevano come comandante Pietro Maset (Maso) già combattente e decorato nelle campagne di Grecia e di Russia. L’11 settembre 1944 Barcis aveva subito la terribile 74
vendetta nazista; 180 abitazioni e 100 stalle erano state date alle fiamme e la stessa sorte avevano subito alcune frazioni come, ad esempio, la Molassa. La vita e l’essenza stessa di un paese era stata cancellata in quello che si era ricordato come il Dies Irae, il giorno dell’ira. A guerra finita la depressione creata dallo scorrere del Quello che rimaneva del Municipio di Barcis Torrente Cellina distrutto dalle truppe germaniche il giorno davanti al paese era 11 settembre 1944. (Cortesia Pietro Arena) stata scelta per la costituzione di un bacino idrico trattenuto da una diga che avrebbe convogliato l’acqua nella nuova centrale idroelettrica. Il vorticoso moto delle turbine avrebbe generato l’energia necessaria alla ricostruzione di una nazione che era uscita dal conflitto con le ossa rotte. Barcis quindi era passato dal fuoco all’acqua. L’imponente opera era stata inaugurata nello stesso mio anno di nascita, il 1954 e questo me lo ricordava mio padre ogni volta che il cofano della nostra Fiat Millecento familiare tornava a riflettere la luce sbucando dall’ultima galleria di quella che oggi è la Vecchia Strada. Scrivendo di Barcis è impossibile non pensare al suo lago che ha contribuito alle fortune turistiche di questa località; lo specchio d’acqua offre un ventaglio di iniziative sportive di prim’ordine che fanno di questo paese il sito ideale dove coniugare nel migliore dei modi la storia e le tradizioni. *G.I.S.M. (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna)
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Foto Terrazzani
LA LETTERA
Cosa vuole comunicare di sé Piancavallo? La mia collezione personale di cartoline storiche di Piancavallo e le molte medaglie vinte in tante discipline sportive mi aiutano a ispirarmi e a scrivere questo pezzo rimandato da tempo. In questi ultimi anni a Piancavallo ne abbiamo viste di tutti i colori e ascoltato le mille promesse, tant’è che una notte, dopo averne apprese di nuove con un gruppo di altri Cavalieri avevamo fin deciso di scendere a valle a chiudere la strada. Sì, perché era l’ultima delle azioni possibili, chiudere per proteggere, chiudere per salvaguardare, isolare per non perder ancora tempo utile. Poi abbiamo preferito rinunciare all’azione, convinti che ogni chiusura porti solo e soltanto ulteriore chiusura. Non starò qui a ripercorrere il percorso e la genesi della località turistico - residenziale, né tantomeno le tappe di questi ultimi anni pochi o tanti che siano, ora non è più tempo di analisi e recriminazioni ora il tempo è quello delle scelte, sostenute da visioni lungimiranti e profetiche. Ma tutti i profeti, anche quelli nati in patria, sanno che nessuna profezia può prescindere dalla storia. Allora tanto vale ribadire che Piancavallo è nato e porta nel suo Dna il marker indelebile di voler esser a tutti gli effetti una località turistica del territorio della Provincia di Pordenone. Così è stata pensata, progettata e ha visto lo sviluppo ed è da qui che devono partire ed ancorarsi i nuovi scenari, anche i più strabilianti e stravaganti. Consorzi, operatori, imprenditori, nostalgici della Magnifica Comunità Piancavallo, proprietari di abitazioni, amministratori comunali, provinciali e regionali devono confrontarsi con i dati concreti di una montagna che è sempre quella, nel senso che non cambia se non per i cambiamenti del pianeta; ma cambiano le intelligenze e la passione di chi vi opera e quindi l’atteggiamento di chi vi si avvicina per amarla, modificarla, costringerla, sbancarla, o migliorarla. Molti anni sono passati tra APT, AIAT, INFO POINT, Agenzie Turistiche, Spagnoli conquistatori, Assessori Nostrani, Assessori Barciani, ma Piancavallo in realtà ha dovuto e deve far conto solamente sulle proprie forze… per tutto il resto “promesse al vento”, disperse tra i canaloni sassosi di Cima Manera e Cimon dei Furlani. Perché anche per Piancavallo è stato difficile cambiar pelle, prima c’era l’Ediltur con i sogni di gloria, poi il lento inevitabile declino. Ora le cose son forse cambiate, un gruppo di Cavalieri –
non quelli della chiusura della strada – si son rimboccati le maniche e nell’estremo tentativo di provare un’ “ultima rianimazione” hanno scoperto che Piancavallo è in piena vita e con forte voglia di vitalità. La fortuna poi, com’è giusto, talvolta aiuta gli audaci e la neve è arrivata. Mi auguro sappiano metter da parte invide, antipatie, gelosie e ogni altra debolezza che in altura diventano i motivi di conflitti inutili e impoverenti per tutti. Mi auguro poi che questo “stile” e impegno sia d’esempio anche per gli altri protagonisti della località, perché basta ad esempio una “multa”, ancorché giusta, per vanificare il lavoro di accoglienza di un’intera destinazione turistica. Ora il gioco si fa duro e la solitudine forse aiuta a far meno errori perché non si è distratti da sirene e orchi. Ci sono poche cose da fare ma sono necessarie. La prima: fare in modo che in TurismoFVG si accorgano di Piancavallo in maniera solida e solidale e non solo sporadica o a chiamata. Non è possibile che non ci sia una persona che possa “valorizzare” direttamente il nostro territorio tra i product manager dell’Agenzia, tutti troppo concentrati e preparati nell’asse Trieste-LignanoUdine-Tarvisio-Carnia. La seconda: decidere il proprio “posizionamento distintivo” a priori. Certe cose si decidono in famiglia, poi gli esterni possono facilitarle ma non determinarle. In questi tempi è cambiato il mondo e anche il modo di promuoversi. Ma il modo in cui ci si posiziona nel mercato turistico è sempre quello e si determina rispondendo con “lealtà e precisione” alle domande del “buon senso” e lavorando a lungo per realizzarle. Quando dico a lungo intendo un arco temporale di almeno per 5 anni. E le domande sono le seguenti: qual è il vantaggio che Piancavallo promette al turista? Perché uno dovrebbe scegliere Piancavallo, cosa ci guadagna? Qual è l’argomento principale che la comunicazione trasmette per rendere credibili i vantaggi promessi da Piancavallo? Piancavallo è per la famiglia o per gli appassionati di musica o per quale altro target preciso? Insomma, perché Piancavallo è diverso, qual è la sua unicità? Avrei anch’io mille idee da proporre e suggerire, ma ritengo che prima delle idee Piancavallo si debba dare una “bussola d’orientamento” e una mappa da seguire, pena il disperdere risorse e compagni di viaggio al primo imprevisto. Che sia una gran bella estate! Cavalier Cavallo
da non perdere
Vi aspettiamo al Festival del Folklore! Ad Aviano e Piancavallo dall’8 al 15 agosto
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a ndiale dell’Unuera. Lunghe pissaggi verdi dache foreste e n g a t mon monio mo on la nat cate e pae glia magi
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Dolomiti iscritte nella Lista del Patrimonio Mondiale nel 2009
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