L’architettura vernacolare in Italia dal ‘900 ad oggi Dalla Triennale di Pagano del 1936 agli approcci odierni dei giovani studi di architettura
Francesco Biccheri Storia e Teorie dell’Architettura Contemporanea Proff. Fulvio Irace e Valentina Marchetti
In copertina, dall’alto: Fotografia estratta dal catalogo della mostra “Architettura rurale italiana”, “Cascinale Alpino al passo della Presolana”, Giuseppe Pagano e Daniel Guarniero, 1936, VI Triennale di Milano. Fotografia estratta dal progetto fotografico “Questa Pianura”, Paola De Pietri, 2004, 2014-2017. Fotografie degli esterni della “Casa di Campagna a Chievo”, Studio Wok, 2018, Chievo (VR).
Indice.
04.
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali
La politica del regime vs gli architetti del movimento moderno italiano
22.
La permanenza della tradizione
38.
Bernard Rudofsky come catalizzatore del tema a livello internazionale
L’architettura minore come caposaldo degli architetti italiani negli anni della ricostruzione
Dagli anni di Capri all’esposizione al MoMa (1964)
54.
L’architettura vernacolare in Italia oggi
70.
Bibliografia
L’approccio al tema da parte dei giovani studi italiani
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali
Nella pagina accanto: Immagini estratte dal catalogo della mostra “Architettura rurale italiana”, Giuseppe Pagano e Daniel Guarniero, 1936, VI Triennale di Milano.
(Sul valore dell’architettura vernacolare) Una lezione di moralità e di logica (semplicità, sincerità, modestia, umiltà, aderenza alla necessità, rinuncia al superfluo, adattamento alla scala umana, adattamento alle condizioni locali e ambientali). Una lezione di vita (vasto impiego di elementi “intermedi” tra vita all’aperto e interna: logge, terrazze, portici, pergole, patii, giardini recintati, ecc.). Una lezione di stile (anti-decorativismo, amore per le superfici lisce e soluzioni elementari scultoree, il sito e la “cornice” degli edifici nel paesaggio). Figini, L. (1950). “Architettura naturale a Ibiza”. Comunità. n.8. 40-43.
(In riferimento a Capri) Credo che questa sia un’isola futuristica; Sento che è pieno di infinita originalità come se fosse stato scolpito da architetti futuristi come Sant’Elia, Virgilio Marchi, dipinto da Balla, Depero, Russolo, Prampolini e cantato e reso in musica da Francesco Cangiullo e Casella! “Il discorso di Marinetti”. In Cerio, E. (1922). Il convegno del paesaggio, Capri: Edizioni La Conchiglia. 38. 6
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali
Dopo quattro ore di navigazione da Capri siamo sbarcati a Positano in Costiera Amalfitana ... Da un lato di questo piccolo porto abbiamo notato un semplice mulino a vento che era inattivo da molti anni e che è stato trasformato in una casa ... Sembrava una macchina primordiale in legno costruita con ingegnosità contadina. Depero, F. (1940). Fortunato Depero nelle opere e nella vita. Trento: Tipografia Editrice Mutilati e Invalidi. 207-208.
Eccoli tutti, a riprodurre le case di Biskra, della Libia o di Capri. Ecco un’eredità che troppo spesso noi italiani ignoriamo o vogliamo ignorare; un patrimonio che abbiamo limitato agli archivi, un patrimonio che noi abbiamo trascurato, come se fosse semplicemente un documento che ha solo valore storico. Un patrimonio che, riscoperto da Gropius, Le Corbusier, Mies van der Rohe, è stato travestito da innovazione di origine settentrionale, come un’invenzione del ventesimo secolo. E molti sono stati ingannati. Molti hanno scambiato questo travestimento per una vera novità, per una legge universale. Senza rendersi conto che questa novità manca della vita, manca della lingua, manca della voce del Mediterraneo. Peressutti, E. (1935). “L’architettura mediterranea”. Quadrante. n.21. 40-41. 7
La storia dell’architettura si occupa quasi senza eccezioni della architettura stilistica, cioè di quella forma d’arte edilizia ritenuta meritevole di attenzione (…) L’architettura rurale rappresenta la prima e immediata vittoria dell’uomo che trae dalla terra il proprio sostentamento. Vittoria dettata da ·una necessità, ma satura di evoluzioni artistiche. (…) E l’analisi di questo grande serbatoio di energie edilizie, che è sempre sussistito come un sottofondo astilistico, può riserbarci la gioia di scoprire motivi di onestà, di chiarezza, di logica, di salute edilizia là dove una volta si vedeva solo arcadia e folclore. È come fare una cura di cibi semplici per chi s’è guastato con la pasticceria delle cariatidi, e constatare quanta distanza vi sia tra le frasi fatte e la realtà. (…) Noi vogliamo soltanto additare alla considerazione degli architetti veramente vivi queste soluzioni spontanee, sature di onestà, chiaramente sentite come valori di composizione volumetrica pura, libere da ogni soggezione retorica o accademica, esenti da ogni non necessaria cadenza simmetrica.
Questa architettura limpida è il linguaggio autoctono della civiltà mediterranea, linguaggio che parla anzitutto con spregiudicato raziocinio e che dallo stesso ragionamento funzionale trae motivo di lirica espressione artistica. Questa maniera di esprimersi è assai prossima, moralmente e quasi anche formalmente, al credo degli architetti contemporanei. Pagano, G. & Daniel G. (1936). Architettura rurale italiana. Milano: Ulrico Hoepli Editore. 7-17-72-73. 8
Allestimento della mostra “Architettura rurale italiana”, Giuseppe Pagano e Daniel Guarniero, 1936, VI Triennale di Milano.
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L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali
Sotto:
La politica del regime vs gli architetti del movimento moderno italiano
Tra le righe dei testi riportati nelle pagine precedenti si intuisce l’accesa e articolata discussione che iniziò a svilupparsi in Italia negli anni a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra mondiale. L’oggetto del dibattito è un tema che difficilmente prima di allora aveva attirato così tanta attenzione nell’ambito dell’architettura, l’architettura minore. Quella che nel corso del ‘900 a seconda dei personaggi, delle situazioni e delle chiavi interpretative assunse nomi e sfumature differenti (vernacolare, rurale, spontanea, popolare, tradizionale), fino alla fine dell’800 non era mai stata affrontata in maniera sistematica e non aveva mai ricoperto un ruolo neanche marginale nei libri di storia dell’architettura nonostante già Sebastiano Serlio nel ‘500 ne riconoscesse l’importanza e successivamente prima Gottfried Semper e poi Karl Friedrich Schinkel fossero rimasti ammaliati dalla tradizione minore delle coste mediterranee. In Italia la situazione politica, economica e culturale che venne a definirsi nei primi anni del ‘900 fu fondamentale per la nascita di un acceso dibattito. Se da una parte il regime fascista sognava una società imperniata sugli antichi valori rurali, una società idealizzata in cui alla monumentalità classicheggiante degli edifici di rappresentanza in città si affiancava una civiltà agricola fiorente che trovava la propria massima espressione nelle ancora non industrializzate 10
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campagne, dall’altra la nascita di movimenti artistici rivoluzionari e nuove scuole di pensiero al passo con i tempi, quali il futurismo e il razionalismo, contribuì a mettere in discussione un modello architettonico basato sulla retorica politica e lontano dallo Zeitgeist. Ciò che per gli architetti del regime era semplice folclore da studiare e preservare secondo un’idea di Italianità, marchio d’eccellenza di cui farsi vanto nei contesti internazionali, per i futuristi e i razionalisti temi quali il primitivismo, il volgare e la mediterraneità sono stati di vitale importanza per plasmare una propria filosofia di pensiero. Sebbene i due movimenti furono in aperto contrasto, a partire dalla metà degli anni ‘20 in poi, le loro traiettorie coincisero in un apprezzamento condiviso delle tradizioni vernacolari che invocavano l’autenticità e la nozione di origine. Si definì il concetto di Mediterraneità, fondato in un dialogo con l’antico passato classico italiano e la sua pervasiva architettura vernacolare, le anonime tradizioni costruttive che sono persistite nel corso dei secoli attraverso le diverse regioni della penisola italiana e del bacino del Mediterraneo. Il punto di contatto fra le due scuole di pensiero fu il paesaggio della costiera amalfitana e in particolare Capri che fra il 1920 e il 1923 fu guidata dal sindaco Edwin Cerio, ex ingegnere navale, che riconobbe la bellezza dell’isola e ne riuscì efficacemente a valorizzare le bellezze naturali (anche attraverso un piano regolatore mirato al contenimento della speculazione edilizia e alla deturpazione del paesaggio) attirando l’attenzione di letterati, artisti, antropologi, architetti e botanici. I futuristi, capitanati da Marinetti, a oltre dieci anni dall’invocazione della tabula rasa trovarono in Capri, “il mondo antico, la natura prima della civiltà e delle sue nevrosi”, un luogo perfetto per reinventare le origini. Virgilio Marchi, architetto futurista che raccolse l’eredità di Antonio Sant’Elia, quando nel 1924 pubblicò 12
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali
Nella pagina precedente: Pavimento in cermica progettato da Bernard Rudofsky per la Casa Oro a Posillipo, riproduzione dei luoghi della costiera amalfitana, 1934-1937. A lato, dall’alto: Elaborazione grafica del disegno della serie “Primitivismi Capresi”, Virgilio Marchi, 1922. Elaborazione grafica del disegno in copertina del libro “Architettura Futurista”, Virgilio Marchi, 1924.
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il libro “Architettura Futurista” non solo esaltò le “innate virtù dei costruttori anonimi” riconoscendo nei prodotti del proprio lavoro uno stretto legame con la contemporaneità ma propose in copertina il disegno di un’architettura futurista elaborata a partire da uno dei disegni della serie “Primitivismi Capresi” realizzata nel 1922 dall’autore stesso. Gli esponenti del movimento razionalista italiano invece videro nelle modeste architetture in pietra dipinte di bianco, con tetti piani e patii interni, perfettamente integrate nel paesaggio, le radici di una nuova architettura in cui semplicità e massima resa estetica coincidessero. Fu proprio dalla necessità di coniugare i principi del Movimento Moderno a quelli di una tradizione consolidata da secoli che un gruppo di giovani architetti fondò nel 1926 il Gruppo 7. Il collettivo nacque tra i banchi del Politecnico di Milano e ne furono membri Luigi Figini, Gino Pollini, Guido Frette, Sebastiano Larco Silva, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni e Ubaldo Castagnoli, quest’ultimo poi sostituito da Adalberto Libera. Lo scopo del gruppo era quello di promuovere i principi dell’architettura moderna non distaccandosi al tempo stesso dall’importanza del contesto e delle tradizioni sedimentate nella propria cultura. Diversamente dagli architetti del regime però per “attenzione alla tradizione” non si intendeva l’uso degli stili storici ma l’impiego di tecniche e materiali del luogo, forme sedimentate nelle campagne e ripetute da secoli, come possibilità di invenzione. L’attenzione era rivolta agli elementi dell’architettura ricorrenti nell’edilizia anonima, tetti piani che offrivano la possibilità di essere vissuti, giardini pensili, portici, balconi, patii e corti. Gli architetti si focalizzarono sullo studio di alcune tipologie edilizie consolidate nella storia del territorio e che ora potevano rivelare nuovi insegnamenti. La casa a patio pompeiana, radicata sia nella 14
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali
Prospetto longitudinale
Sezione longitudinale
Pianta Piano Terra
Pianta Primo Piano 0
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A lato, dall’alto:
Sopra:
Fotografie dell’esterno e degli ambienti interni di Villa Malaparte, C. Malaparte, A. Libera, A. Amitrano, Capri, 1938-1943
Elaborazione grafica di planimetria, prospetti e sezioni del progetto presentato da Adalberto Libera per Villa Malaparte, 1938.
Carlo Carrà, Monte Solaro a Capri, 1937, Olio su cartone telato.
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tradizione classica che in quella anonima, fu molto apprezzata non solo per la capacità di essere estremamente funzionale ma anche in quanto espressione architettonica di un modo di vivere mediterraneo. I razionalisti ne rimasero attratti per la semplicità e il rigore della forma e delle superfici. Nel 1930 Giovanni Michelucci (1891-1990) sulla rivista “Arte mediterranea” analizza la casa pompeiana riconoscendone i principi logici e razionali che hanno portato alla sua definizione come risposta a delle specifiche esigenze umane, criticandone ogni possibile esaltazione revivalista (che definisce “Pompeianismo”). Per la Quinta Triennale di Milano del 1933 il duo di architetti composto da Luigi Figini (1903-84) e Gino Pollini (1903-91) progetta il il prototipo di una Villa-Studio che si articola in più patii e che, nonostante non sia così evidente il richiamo al modello della domus pompeiana, con il suo tetto piano, la presenza di un impluvium e di superfici bianche e colorate assieme a muri in mattoni lasciati a vista, segna un’importante dichiarazione d’intenti dei principi che animano gli architetti della nuova generazione. Le attenzioni rivolte all’architettura vernacolare da parte dei due architetti del Gruppo 7 sono ancora più evidenti nel progetto per la VI Triennale del 1936, “Ambiente di Soggiorno e terrazzo”, in cui a una vetrata a tutt’altezza che si apre verso l’esterno si contrappongono un pavimento in pietra sbozzata e alcuni oggetti in semplice legno e canne di bambù. Molto diverso fu invece il primo approccio al tema da parte di Gio Ponti che nel 1934 nel progetto “Villa alla pompeiana”, un edificio isolato a un piano, dalla pianta squadrata, con un cortile centrale, aperto su un solo lato, la cui facciata è dipinta in stucco rosso pompeiano e il tetto a falde basse, dimostra di essere molto più vicino allo spirito classico tipico di Novecento rispetto all’approccio di Figini e Pollini. A distanza di pochi anni, e grazie alla conoscenza e frequentazione del viennese Bernard Rudofsky, Ponti però sarà pronto a ripensare la sua dipendenza dal linguaggio classico del Novecento 16
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali
0
2,5
Sopra e a lato: Elaborazione grafica delle piante di: 0 2,5 Prototipo di Villa-Studio, 1933; “Ambiente di soggiorno e terrazzo”, 1936; Architetti L. Figini e G. Pollini, Triennali di Milano. Fotografia di uno dei pati della Villa-Studio.
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a favore di un approccio al modernismo più vicino alla tradizione vernacolare. Data la grande varietà di tipi e forme che caratterizzano i diversi contesti regionali della penisola italiana in questo periodo il crescente interesse per lo studio delle manifestazioni vernacolari portò numerosi architetti a focalizzarsi sulla storia dei propri ambiti d’origine. Fu così che in Toscana architetti, artisti e critici quali Giovanni Michelucci, Mario Tinti, Ottone Rossi, Corrado Pavolini, Ardengo Soffici, si concentrarono sul tipo della casa colonica con lo scopo di rielaborarne le peculiarità di maggior rilievo per ottenere un modello che riuscisse a coniugare tradizione e modernità. E fu così che in Piemonte cominciò a farsi strada la figura di Giuseppe Pagano che nel 1929 progetta assieme a Gino Levi Montalcini una villa di campagna presso Rivera (Torino) che nel 1931 verrà pubblicata dalla rivista Casabella assieme al commento di Edoardo Persico che definirà la villa un “cottage” e i suoi architetti due “costruttori piemontesi”. Con il suo impianto simmetrico sia in pianta che in prospetto, la presenza di un podio alla base e una loggia definita da pilastri in legno al primo piano (tipica delle architetture di montagna) la villa coniugava elementi tratti sia da una tradizione aulica che rurale. Proprio nel 1931 Pagano si trasferisce a Milano dove svolge il ruolo di co-direttore della rivista Casabella insieme a Edoardo Persico. La sua posizione gli fornisce la possibilità di iniziare un percorso teso ad approfondire l’importanza delle costruzioni anonime disseminate in tutto il territorio italiano. Diversamente dagli architetti del Gruppo 7 l’approccio di Pagano, fortemente influenzato da un’istruzione vecchio stampo basata su una solida coesistenza di architettura e ingegneria, è molto pragmatico e l’obiettivo è quello di dimostrare come antiche tecniche costruttive e determinate forme siano state 18
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali Sopra e ai lati: G. Michelucci, “Fonti della moderna architettura”, Domus 50, 1932 Ottone Rosai, Collina d’ulivi, 1922, Olio su tela Ardengo Soffici, Paesaggio, 1923, Olio su tela Ottone Rosai, Strada tra due muri, 1946, Olio su tela.
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originate da un perfetto equilibrio di forma, funzione e sapere scientifico, ciò che gli architetti di tutto il mondo in quel periodo stavano riconoscendo all’osannato International Style. Le ricerche di Pagano culminano nell’esposizione alla Sesta Triennale di Milano del 1936 in cui, insieme a Daniel Guarniero, cura la mostra “Architettura rurale italiana”. L’allestimento fu di modeste dimensioni ma definito da un apparato fotografico cospicuo avente come soggetti le architetture rurali della penisola e segnò un fondamentale punto di svolta per l’attenzione al tema, anche come netta e decisa presa di posizione in un particolare momento storico e politico (lo stesso anno vi fu l’invasione dell’Etiopia e venne firmata l’alleanza tra Mussolini e Hitler). Diversamente da testi e saggi precedentemente pubblicati da altri autori l’analisi dei casi studio non si inserisce in un quadro temporale ma tipologico. Così, nella visione curatoriale di Pagano e Daniel (che poi prenderà forma in un chiaro e sintetico catalogo che contribuirà in maniera significativa alla diffusione delle idee presentate) la tradizione vernacolare viene descritta come senza tempo, poiché gli autori si oppongono a qualsiasi idea che gli edifici vernacolari possano essere datati. Dai pagliai della Val Sugana ai trulli di Martina Franca, dalle cascine del Lombardo-Veneto fino ai tetti a botte della costiera amalfitana, il viaggio fotografico proposto da Pagano non mira a raccogliere esempi da copiare ma ad attivare degli stimoli per una piena e consapevole comprensione del costruito minore per dar vita ad una sincera architettura contemporanea, che non dimentichi la tradizione ma la assimili e la faccia propria. «Non per additarle ad esempio ma per constatare la bellezza di questa orgogliosa modestia tanto analoga al sentimento dell’architettura contemporanea e per far ricordare quanto sia necessaria la coerenza col tempo, col clima, con la tecnica e con la vita economica per fare onesto lavoro architettonico.»1 20
1. Pagano, G. & Daniel G. (1936). Architettura rurale italiana. Milano: Ulrico Hoepli Editore. 71-72.
L’architettura vernacolare in Italia fra le Due Guerre Mondiali Sopra: Enrico Peressutti, “Fotografie Mediterranee”, Post - Seconda Guerra Mondiale.
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La permanenza della tradizione
Nella pagina accanto: Fotografie di Paul Strand, co-autore con Cesare Zavattini del libro fotografico “Un Paese”, 1955.
L’architettura minore come caposaldo degli architetti italiani negli anni della ricostruzione
Dal punto di vista concreto i principi desunti dallo studio dell’architettura rurale, negli anni precedenti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale avevano trovato applicazione principalmente in pochi progetti di edilizia residenziale di alto livello (Villa Malaparte a Capri, Villa Oro a Napoli), nelle architetture autorizzate dal regime che più di tutte sfuggivano dall’idea di un’architettura monumentale come architettura di rappresentanza (alcuni progetti di colonie elioterapiche, soprattutto sulle Alpi e lungo la costa romagnola) e isolati episodi edilizia popolare quali la Tenuta Castello (1937) di Asnago e Vender a Pavia. Negli anni successivi al termine della guerra una nuova generazione di architetti venne chiamata a rispondere in maniera parsimoniosa ed efficace alle richieste di una società e di un paese profondamente colpiti dai bombardamenti e afflitti da piaghe sociali quali la povertà, la disoccupazione e la mancanza di abitazioni. Fu così che si creò il vitale scambio di idee e proposte che portò l’architettura italiana a ricercare una continuità con il passato basandosi su un’attenzione sempre maggiore verso il contesto specifico. Portatore teorico di questa visione così in netto contrasto rispetto al panorama internazionale fu Ernesto Nathan Rogers (1909-69) che nel primo 24
La permanenza della tradizione A lato, dall’alto: Tenuta Castello, M. Asnago e C. Vender, 1937, Pavia. Fotografie estratte dal della mostra “Architettura rurale italiana”, Loggiati verticali a Gazzaniga in Val Seriana, Giuseppe Pagano e Daniel Guarniero, 1936, VI Triennale di Milano.
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numero da Direttore (l’ultimo era stato Pagano, che morì a Mathausen nel 1945) della rivista Casabella (1954) annuncia che d’ora in avanti la rivista porterà il nome di Casabella-Continuità, a marcare l’idea che la tradizione (e non lo storicismo) possa giocare un ruolo integrale nel formare il fenomeno della modernità in Italia nel dopoguerra. Il primo numero della rivista riporta infatti degli articoli-manifesto: in un articolo viene analizzato un villaggio Dogon in Mali, in Africa, mentre in un altro Giancarlo De Carlo mette a confronto le recenti architetture domestiche in Italia di Mario Ridolfi e Wolfgang Frankl (torri di viale Etiopia, Roma, 19481954) e di Ignazio Gardella (in particolare, la sua Casa del Viticoltore realizzata nei pressi di Pavia, 1944-1947). Entrambi questi esempi di architettura italiana trovano le proprie radici nella tradizione vernacolare. Negli stessi anni in cui Casabella-Continuità è diretta da Rogers in tutta Italia prende forma la ricostruzione di interi quartieri, spesso a margine di grandi e medie città. I modelli urbanistici a cui i team di progettisti fanno riferimento sono quelli della tradizione popolare in cui il costruito e il tessuto connettivo non si sviluppano su un impianto ortogonale di assi come la recente tradizione Moderna aveva definito nei CIAM ma danno vita ad un paesaggio urbano articolato, quel sistema di elementi, percepibili in ordine sequenziale e capaci di suscitare emozioni in virtù dei loro stessi contrasti morfologici e visivi che nel 1961 Gordon Cullen chiamerà Townscape. È secondo questi principi che vengono eretti i quartieri INA-Casa di Cesate (1951-1958, MI), per opera del team composto da Franco Albini, Gianni Albricci, i BBPR, Enrico Castiglioni e Ignazio Gardella, il complesso residenziale Tuscolano III (1950-1954, Roma) di Adalberto Libera, il quartiere Tiburtino (1949-1954) di Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni ma soprattutto il progetto-manifesto di questa famiglia di interventi urbanistici, il quartiere La Martella (1952-1954, Matera). Il progetto, che coinvolse perfino l’imprenditore Adriano Olivetti, si avvalse di 26
La permanenza della tradizione A lato, dall’alto:
Sopra:
Elaborati grafici, fotografie e disegni di progetto, Team guidato da Ludovico Quaroni, Quartiere La Martella, 19521954, Matera.
Elaborati grafici, fotografie e disegni di progetto, Quartiere Tuscolano III, Adalberto Libera, 1950-1954, Roma.
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una folta schiera di architetti, intellettuali e antropologi (Federico Gorio, Michele Valori, Ludovico Quaroni, Piero Maria Lugli, Luigi Agati) ed ebbe una risonanza di carattere internazionale per le attenzioni che lo stato di degrado e povertà cui versavano i cittadini della città dei sassi aveva generato a seguito della pubblicazione del romanzo di Primo Levi, Cristo si è fermato ad Eboli (1949). A pochi chilometri da Matera prese quindi forma un borgo rurale definito prevalentemente da case bifamiliari a due piani costruite in lastre di cemento e pietra locale e alle quali erano annessi 750 mq di terra coltivabile. Ciò che fu alla base dello sviluppo del progetto fu la ricerca di una dimensione sociale (che traspare in maniera chiara dai disegni in prospettiva) dell’intervento di modo da garantire la formazione di una comunità che sentisse proprio quel nuovo quartiere. Di lì a poco iniziò sempre a Matera la progettazione e la costruzione di un secondo quartiere di edilizia popolare, il quartiere Spine Bianche (1954-1959) di cui uno dei protagonisti fu Giancarlo De Carlo (che aveva militato durante la Resistenza nelle Brigate Matteotti con Pagano), che progettò un edificio in linea, in cui il piano terra era adibito ad attività commerciali, mentre i due piani superiori erano destinati destinati ad un uso residenziale. L’uso dei materiali semplici, quasi grezzi, così come di alcuni elementi dell’architettura quali il tetto a falde in cotto, i portici e i loggiati al primo piano, dichiaravano una presa di posizione precisa nel contesto dell’architettura contemporanea. Non a caso nel 1951 in occasione della IX Triennale di Milano aveva curato con Enzo Cerutti e Giuseppe Samonà una mostra dal titolo “Architettura spontanea” (rurale nel dopoguerra è un termine che rievoca la politica del regime fascista) che si focalizzava su esempi di architettura e urbanistica spontanea che potessero essere dei modelli d’ispirazione per la fase della ricostruzione. La sua voce, fuori dal coro del Movimento Moderno, contribuì, insieme a quelle degli Smithson, di Aldo Van Eyck (membri del 28
La permanenza della tradizione
Pianta Primo Piano
Sezione longitudinale 0
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Sopra: Elaborazione grafica di pianta e sezione edificio il linea progettato da Giancarlo del Carlo, Quartiere Spine Bianche, 1954-1959, Matera.
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Team X) allo smantellamento dei CIAM (1959) in favore di un nuovo corso dell’architettura. Negli stessi anni della ricostruzione, a dare una ulteriore spinta al tema dell’architettura vernacolare, fu anche il crescente interesse per un determinata scuola di pensiero di architetti italiani nei confronti dell’architettura organica di Frank Lloyd Wright. L’inserimento discreto quasi mimetico dell’architettura nel paesaggio attraverso forme e materiali legati al territorio sono temi che influenzano profondamente l’opera di Giovanni Michelucci di cui sono dei manifesti Casa Pitigliani (1957, Roma) una capanna ispirata ai casoni delle campagne romane, e la Chiesa dei Santi Pietro e Geronimo (1946-1953, Pistoia). Accanto alle abitazioni e alle chiese del centro e del sud Italia, le sperimentazioni più significative dei modelli vernacolari del dopoguerra sono state quelle dei ritiri alpini e degli alberghi del Nord Italia, dove l’aumento della ricchezza ha portato alla nascita di un’industria del tempo libero e ha dato vita ad un’industria dello svago e del divertimento. Le costruzioni in legno e pietra a pali e travi delle regioni alpine hanno ispirato architetti di città industriali (quali Milano e Torino) a realizzare progetti per quella classe i cui membri potevano permettersi ritiri per il fine settimana. Tra i progettisti di queste sofisticate abitazioni piemontesi e valdostane troviamo Franco Albini, Carlo Mollino, Mario Cereghini, Edoardo Gellner (Villaggio ENI, Borca di Cadore, 1954-1963) e Ettore Sottsass Senior. Di particolare importanza è l’opera teorica di Cerenghini, co-fondatore della rivista “Quadrante”, che nel 1950 pubblica il libro “Costruire in montagna” in cui raccoglie e analizza le tecniche costruttive e le forme tipiche dell’architettura alpina; mentre dal punto di vista della pratica progettuale emergono su tutti le figure di Franco Albini e Carlo Mollino. Entrambi nati ad inizio 30
La permanenza della tradizione Sopra, da sinistra: Casa Garelli, Carlo Mollino, 1963-1965, Champoluc. Albergo-Rifugio Pirovano, Franco Albini, 1949-1951, Cervinia. Fotografia d’epoca con in primo piano (a destra) il Rifugio Pirovano di Franco Albini e in secondo piano (a sinistra) la Casa del Sole di Carlo Mollino.
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secolo ed esponenti del Movimento Moderno italiano (seppur con declinazioni diverse) nella loro opera sono stati capaci di coniugare l’architettura moderna al contesto ambientale attraverso la reinterpretazione e l’uso di materiali e tecniche tipici della tradizione alpina. Luogo prediletto per la loro attività fu Cervinia, in Val D’Aosta, dove a partire dalla fine degli anni ‘30, gli anni di costruzione della prima funivia e della realizzazione delle prime infrastrutture viarie di collegamento col territorio, crebbe progressivamente il turismo stagionale. A seguito della Seconda Guerra mondiale Albini progettò per l’apinista Giuseppe Pirovano un AlbergoRifugio per ragazzi in cui rielabora il modello della tipica casa rurale Walser, lo stadel. Il prospetto principale ibrida modernità e tradizione in quanto, se scandito da 4 colonne ciclopiche (in muratura di pietra locale) che culminano con elementi di sostegno a fungo tipici della tradizione, al tempo stesso la presenza di ampi balconi e l’impiego di finestre a nastro dichiara la modernità dell’opera. Affine a questo tipo di scelte progettuali è l’intervento di recupero di un “rascard” (tipica architettura valdostana) per opera di Carlo Mollino. Frutto di una complessa procedura di smontaggio, catalogazione dei singoli elementi, trasporto e rimontatura nel luogo di progetto, l’architetto realizza un’architettura legata al territorio pur ridisegnandone numerosi elementi. A fronte dell’impiego dei tronchi ricavati dal rascard originale e ricomposti con la tecnica del block-bau vengono introdotti elementi progettati dall’architetto quali il basamento, il pilastri “a fungo” di sostegno del primo piano e la plastica scala esterna in calcestruzzo dal richiamo espressionista. Altre opere emblematiche dell’attività alpina di Mollino sono la Stazione Albergo al Lago Nero, Sauze D’Oulx, 1946-1947 e la Casa del Sole, Cervinia, 1951-1954. I più fortunati tra i ricchi italiani poi, allo sci nelle Alpi durante i mesi invernali potevano alternare il relax estivo lungo le coste del Mar Mediterraneo. Per questo motivo 32
La permanenza della tradizione Sopra, da sinistra: Villaggio Eni, Edoardo Gellner, 1954-1963, Borca di Cadore (BL). Casa Arzale, Marco Zanuso, 1962-1964, Arzachena (SS). Case per vacanze, Umberto Riva, 1972, Stintino (SS).
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sorsero nelle sempre più frequentate coste italiane numerose ville e resort di lusso firmate da progettisti che rielaborarono per la classe dirigente del paese l’anonima architettura delle regioni marittime. Tra i progettisti troviamo Marco Zanuso (Casa Arzale, Arzachena, SS, 1962-64) Cini Boeri, Luigi Moretti (Villa La Saracena e Villa La Califfa), Umberto Riva (Case per vacanze, Stintino, 1972), Vico Mossa. La trasformazione della società dal modello agricolo ad un nuovo modello economico fondato sulla crescente industria compromise all’improvviso la consolidata stabilità secolare della civiltà rurale. Il fenomeno fu presto oggetto dell’attenzione di scrittori, registi e fotografi prima ancora che degli architetti. L’immagine, forse più della parola, è stata in grado di documentare i mutamenti in atto nel popolo e nel paesaggio. Dalla Straight fotography di Paul Strand che prende forma nel progetto editoriale di Cesare Zavattini, Un Paese, alla fotografia di paesaggio promossa da Luigi Ghirri con il progetto Viaggio in Italia (in cui vennero coinvolti oltre venti fotografi professionisti: Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Giannantonio Battistella, Vincenzo Castella, Andrea Cavazzuti, Giovanni Chiaramonte, Mario Cresci, Vittore Fossati, Carlo Garzia, Guido Guidi, Luigi Ghirri, Shelley Hill, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Claud Nori, Umberto Sartorello, Mario Tinelli, Ernesto Tuliozi, Fulvio Ventura, Cuchi White). La ricerca produsse infatti una profonda riflessione sull’identità del “Bel Paese” attraverso il racconto di luoghi che ormai si erano completamente trasformati, spesso perdendo quella armonia tra natura e cultura che era un tratto così profondamente italiano. L’occhio dei fotografi diede vita a immagini silenziose, attente non solo ai luoghi della città ma a molti luoghi della provincia. Non sono fotografie sensazionalistiche, sono un invito a rivolgere lo sguardo alla quotidianità e alla normalità carica di poesia del paesaggio che 34
La permanenza della tradizione Sopra: Fotografie estratte dal libro “In Veneto 19841989”, Guido Guidi, 2019.
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ci sta intorno. Fu nell’Emilia Romagna di Luigi Ghirri che Aldo Rossi e Giorgio Grassi furono influenzati dalle forme archetipiche di cascine e fienili, in un sottile equilibrio tra classico e vernacolare: da qui nascono il quartiere residenziale di Pegognaga, vicino a Mantova (1979) e il progetto di edilizia studentesca per Chieti (1976-9). Testimonianza dell’attrazione per l’architettura vernacolare da parte di Aldo Rossi sono poi i numerosi disegni delle “Cabine d’Elba”, oggetti legati alla tradizione costiera che egli assimilò e rielaborò trattandoli quasi in maniera ludica nei propri disegni.
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La permanenza della tradizione A lato, dall’alto: Disegno per una villa e padiglione (Casa Bay), Aldo Rossi, 1973, Borgo Ticino (No). Fotografia estratta da “Architecture without Architects”, Vista del villaggio di Oia, Bernard Rudofsky, 1964.
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Bernard Rudofsky come catalizzatore del tema a livello internazionale
Nella pagina accanto: Fotografie dell’allestimento della mostra “Architecture without Architects”, Bernard Rudofsky, 1964, MoMa, New York.
Il ritorno alla natura, che gli architetti Luigi Cosenza e Bernard Rudofsky predicano con le loro parole e l’esempio (...) dei loro progetti astrattamente puri, tende a realizzarsi nella suggestione di un nuovo e raffinato romanticismo, intriso di limpida fantasia e poetica qualità. Il loro carattere mediterraneo riflette certamente valori ambientali, ma ogni ambiguità è superata nel rigore di una modernità consapevole. Podestà, A. (1937). “Una casa a Procida dell’architetto Bernard Rudofsky”, Casabella. n.117. 12-17
La modernità è un’aristocrazia di scelta; è l’adozione di un misurato la semplicità che sposa le esigenze più colte; è un atteggiamento di vivere, di pensare, di conoscere e di giudicare. Ponti, G. (1938) “Falsi e giusti concetti nella casa”, Domus. n.123. 1.
La casa come “machine à habiter” dovrebbe essere gestita da un prigioniero più affidabile e più prevedibile dell’uomo (...) Supponendo che in futuro saremo in grado di vivere la vita degli esseri umani, la casa dell’uomo dovrà diventare ancora una volta uno strumento per vivere, invece che una macchina per vivere. Rudofsky, B. (1955). Behind the Picture Window. New York : Oxford University Press. 40
Bernard Rudofsky catalizzatore del tema a livello internazionale
La casa di campagna è, al contrario della casa dell’architetto, un’opera della natura, non degli uomini. È bella, così come gli animali che si lasciano guidare dal loro istinto ... Sì, è bello, come sono belli la rosa o il cardo, il cavallo e la mucca. Loos, A. (1962). Trotzdem 1900-1930. Innsbruck: Brenner-Verlag. 93.
Parte dei nostri problemi deriva dalla tendenza ad attribuire agli architetti - o, in generale, a tutti gli specialisti una visione eccezionale dei problemi dell’abitare quando, in realtà, la maggior parte di loro si occupa di problemi di business e di prestigio. Inoltre, l’arte di vivere non viene né insegnata né incoraggiata in questo paese. La consideriamo una forma di dissolutezza, poco consapevole del fatto che i suoi principi sono la frugalità, la pulizia e il rispetto generale per il creato, per non parlare del Creatore. Rudofsky, B. (1964). Architecture Without Architects: a Short Introduction to Non-Pedigreed Architecture. New York: Museum of Modern Art. 14 41
Dagli anni di Capri all’esposizione al MoMa (1964)
La figura di Bernard Rudofsky (1905-1988), sebbene poco conosciuta, risulta fondamentale nel dibattito sull’architettura vernacolare in quanto, dopo aver assimilato per oltre 30 anni la lezione dell’edilizia minore mediterranea e aver collaborato con alcuni dei più importanti architetti del tempo, organizzò al MoMa nel 1964 una mostra intitolata Architecture without Architects, mostra che ebbe una grande risonanza a livello mondiale. L’allestimento, simile a quello di Pagano e Daniel per l’uso di un abbondante apparato fotografico, celebrava le forme, i tipi e gli elementi dell’architettura costruiti dalla manodopera sapiente ma anonima dei popoli del mondo. Per quanto l’argomento in Italia fosse già stato sviluppato nel periodo a cavallo fra le due guerre mondiali e aveva trovato forma concreta negli anni del dopoguerra, in ambito internazionale mai ancora era stata presa una posizione così forte, totalmente in controtendenza con quelli che erano stati i principi della nuova architettura celebrata sempre al Moma nel 1932 con la mostra sull’international Style co-curata da HenryRussell Hitchcock e Philip Johnson. Le radici del pensiero e dell’architettura di Rudofsky sono da ricercare negli anni della sua formazione. Quando, nel 1922, il futuro architetto s’iscrisse alla Technische Hochshule di Vienna, il Movimento Moderno era già iniziato, conosciuto e riconosciuto. Diversamente da ciò che si stava affermando in ambito 42
Bernard Rudofsky come catalizzatore del tema a livello internazionale Sopra, da sinistra: Giardino di casa Nivola a Springs, Bernard Rudofsky e Costantino Nivola, 1951, East Hampton, Long Island. Ritratto fotografico di Bernard Rudofsky al Museo Archeologico di Napoli, anni ‘30. A lato: Collage fotografico dell’Artista Davide Trabucco, in arte Conformi, composto da due immagini: Popolo nomade in atto di trasportare una copertura di paglia (Guinea) e Cariatidi dell’Eretteo (Atene),
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internazionale i temi da cui Rudofsky fu influenzato furono molto probabilmente quelli predicati dalla figura di Adolf Loos che dava molta importanza al contesto domestico dell’architettura, alla tradizione delle arti applicate dei suoi abitanti, alle decorazioni e agli elementi architettonici. È in questa cultura viennese, crocevia dell’ex impero asburgico, che si sviluppò una visione critica e antidogmatica dell’architettura moderna, volta alla soddisfazione degli interessi materiali dei residenti. Una concezione molto differente da quella del Movimento Moderno nordeuropeo e, per molti versi, affine a quella della quieta Avanguardia latina francese, italiana e spagnola, che invano Le Corbusier (di cui ad esempio i membri del Gruppo 7 erano grandi estimatori) cercò di guidare. Dal 1923 cominciò un lungo periodo di viaggi che non si interruppe mai fino alla fine dei suoi giorni: andò alla prima esibizione del Bauhaus a Weimar e, quindi, a vedere le opere di Gunnar Asplund e degli altri Classicisti nordici in Svezia; nel 1925 viaggiò in Bulgaria e in Turchia, passando per Istanbul, Asia Minore e Mar Nero; nel 1926 e nel 1927 visitò ripetutamente l’Italia e nel 1929 tornò sul Mar Nero e a Istanbul; infine, sempre in quegli anni, viaggiò in Grecia, da Atene fino alle Cicladi, dove soggiornò nell’isola di Santorini folgorato dal primitivismo mediterraneo delle sue architetture vernacolari, che divennero il soggetto della sua dissertazione di dottorato discussa nel 1931: Eine Primitive Betonbauwaise auf den südlichen Kykladen (“Un tipo primitivo di costruzioni in calcestruzzo nelle Isole Cicladi”). Rapito dalla «Pompei preistorica»2 dell’isola di Thera il viennese vide nelle case di Santorini il segreto primordiale dell’origine dell’abitazione. Quegli archetipi abitati gli sembrarono «i documenti vivi delle più antiche case del nostro pianeta»3, le tracce viventi di un modo di vivere in relazione con la natura. Dopo la dissertazione dottorale del 1931, Rudofsky fece varie mostre fotografiche a Vienna e a Berlino sull’architettura vernacolare delle coste turche, greche e italiane, che possono essere considerate 44
2. Rudofsky, B. (1938) Origine dell’abitazione. Domus. n. 124. 16-19. 3. Ibidem.
Bernard Rudofsky come catalizzatore del tema a livello internazionale
Prospetto Ovest
Pianta Primo Piano
Sopra: Fotomontaggio estratto dall’articolo di Attilio Podestà, “Una casa a Procida dell’architetto Bernard Rudofsky”, Casabella 117, 1937.
Pianta Piano Terra
Elaborazione grafica di planimetria, prospetti e sezioni del progetto elaborato da Bernard Rudofsky e Luigi Cosenza per il concorso indetto da Domus per una residenza di villeggiatura, 1936.
Prospetto Est
Sezione Longitudinale 0
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«(L’assurdità del modo di vestire degli uomini va ricordata solo con un sospiro). Il fatto incomprensibile e brutale che oggi per usare dei tessuti bisogna prima tagliarli, non si spiega neanche col desiderio della donna di essere vestita con un minimo di stoffa. Uno sguardo in un libro di costumi antichi ci insegna che non c’era bisogno di drappeggi teatrali in ogni occasione. La freschezza delle fanciulle spartane offusca di gran lunga la predilezione delle nostre donne per la scollatura. Per dare un esempio: esiste al mondo cosa più brutta, servile e meschina di una manica? (un secondo sospiro per le maniche alle gambe degli uomini, che fin da duemila anni passavano per barbare e vergognose). Chi pensa ancora che la gonna spettava all’uomo? - Salomone, Pericle, Dante in pantaloni
Camera dell’ancella prospiciente il sentiero che conduce all’entrata.
La camera da bagno non contiene nessun apparecchio. Nel pavimento c’è un abbassamento che accoglie l’acqua per il bagno. Attraverso la porta aperta entra il sole mattutino. Gli apparecchi igienici sono confinati nella camera accanto.
Prima di entrare nella camera da letto ci si scalza nello spogliatoio perché il pavimento di quella è fatto interamente di materassi. Contro le zanzare e le mosche serve una zanzariera, che pende dal soffitto.
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sono un pensiero spiacevole. Esiste ancora un uomo che porti scarpe e non abbia i piedi deformati? Esiste una scarpa vuoi di Padova o di Batà che sia stata fatta per piedi umani? Noi nascendo abbiamo i piedi a ventaglio e non a punta. C’è qualcuno al quale non abbia dato all’occhio la ridicolaggine dei cappelli degli uomini? No, i signori prendono sul serio le acconciature del loro capo. Quale donna sa ancora acconciarsi il capo con un fazzoletto, fasciarlo con un turbante, ornare i suoi capelli? il parrucchiere fabbrica oggi a macchina delle arricciature a vapore ed a corrente elettrica- la carta pesta sulla testa della donna, appensa distinguibile dal
cappello. La signora vestita all’Eugenia farà brutta figura sulla cline. Qui la camicia lunga si adatta meglio. Madame Récarnier l’ha notato giustamente, e si tolse anche calze e scarpe. La donna senza pregiudizi nella sua casa non porterà vestiti di sarto, cappelli di modista e scarpe di calzolaio. La camera da letto della sua casa non contiene mobili. Neanche un cline. Questa camera dove si cammina a piedi scalzi ha il pavimento interamente fatto di materassi. Dal soffitto pende una zanzariera a forma di capanna. Ancora due parole sulla biancheria da letto. Da quando il signore ben vestito e la signora ben vestita portano della
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biancheria a colori, (c’era un tempo in cui questa cosa era scorretta) non si capisce perché la biancheria da letto debba essere bianca. E per gente, che cambia lenzuola, non si può sostenere sul serio che il colore sia una misura per la pulizia. Anzi, più pulito è l’uomo, più sicuro può essere il suo letto. Che le donne guardino un po’ solo gli sfondi di tutte le belle addormentate nelle nostre pinacoteche, esse torneranno a casa piene di scienza e di nozioni.»
La cucina è elettrica. Qui i pasti sono completamente preparati e conditi, in modo di risparmiare ogni lavoro a tavola.
La camera da pranzo, aperta sia verso il cortile, sia verso il giardino, non ha tavolo né sedie, ma contiene uno (o più) letti a sdraio, formando un “bi” o triclinio ed un tavolino da servizio. L’architetto risolve con questa disposizione un complesso di mali, sopportati da noi senza contraddizione; in prima linea la cattiva digestione ed il pancione. senza parlare dell’estetica.
La camera da musica, che durante il cattivo tempo fa da camera di soggiorno. Lungo una parete c’è un divano in muratura che può servire come letto per uno, o due ospiti.
Nella pagina precedente: Trascrizione dei testi del numero di Domus 123, 1938, occasione in cui fu direttore artistico della rivista l’autore stesso. Elaborazione grafica della planimetria realizzata da Bernard Rudofsky per “Una casa a Procida”. Planivolumetrico, prospetto e disegno della villa.
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un’anticipazione della mostra al MoMa del 1964. Le sue ricerche, tuttavia, non erano solo indagini teoriche ma anche lineamenti per il suo lavoro di architetto, tanto che nel 1938, commentando il suo progetto della casa a Procida scrisse: «non ci vuole un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere»4. Per tutti gli anni ’30 egli decise di rimanere in Italia ed entrò in contatto con figure di primo piano del panorama architettonico italiano tra cui Luigi Cosenza e Gio Ponti. Con il primo nacque una fiorente collaborazione professionale che portò alla progettazione di una casa a Positano (in occasione di un concorso indetto da Domus) e alla realizzazione di Villa Oro a Posillipo (193537) mentre con il secondo si sviluppò una spiccata affinità che portò Ponti ad invitare il viennese a Milano per sviluppare il tema dell’abitare secondo la propria singolare visione attraverso la direzione artistica di tre numeri dell’editoriale Domus (122, 123, 124 del 1938). Oltre al contributo teorico, Rudofsky affiancò Ponti in alcuni progetti tra cui l’Hotel San Michele ad Anacapri (1938), un hotel per le coste della Dalmazia (1938) e la Villa Marchesano a Bordighera (1938-39), influenzando profondamente alcuni tratti della sua visione architettonica. La ricerca di Rudofsky sfugge dai confini dell’architettura per toccare quelli dell’antropologia, della moda e dell’alimentazione. Nei suoi anni italiani giunse alla conclusione che l’architettura dovesse essere la trasposizione spaziale di usi e costumi sani tesi al godimento, nel senso più alto e aristocratico, della vita, senza per questo sfociare nell’eccesso. Proprio per questo, attratto dalle abitudini frugali, dalla dignità, dalla discrezione e dalla saggia innocenza della gente umile che incontrò nei suoi viaggi, vide nelle architetture vernacolari un luogo eletto al “buon vivere”. Per il viennese «Il vernacolo è molto più di uno stile; è un codice di buone maniere che non ha eguali nel mondo urbano”, frutto di “un genio inconscio”... libero dall’isteria dei progettisti»5. Insofferente all’idea di un’architettura 48
4. Rudofsky, B. (1938). Non ci vuole un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere. Domus. n. 123. 6-15. 5. Rudofsky, B. (1977). The Prodigious Builders. San Diego: Harcourt Brace Jovanovich.
Bernard Rudofsky come catalizzatore del tema a livello internazionale
Sotto e a lato: Disegni di Gio Ponti e Bernard Rudofsky per il progetto per l’Hotel San Michele ad Anacapri, (1938). Elaborazione grafica di planimetria, prospetti e sezioni della “Stanza della parete nera”, Hotel San Michele ad Anacapri, (1938).
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In questa pagina: Fotografie degli esterni de La Casa, Bernard Rudofsky e José Antonio Coderch, (19681972), Frigiliana, Málaga, Spagna. Nella pagina accanto: Vista generale e elaborazione grafica de La Casa, Bernard Rudofsky e José Antonio Coderch, (1968-1972), Frigiliana, Málaga, Spagna.
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51 Bernard Rudofsky come catalizzatore del tema a livello internazionale
moderna che rischiava di omogeneizzare tutti i paesaggi antropizzati in cui si stava diffondendo, lottò aspramente contro la scomparsa della diversità culturale il che lo mise in una posizione simile a Levi Strauss, suo omologo in ambito antropologico. L’obiettivo di entrambi era dimostrare la ricchezza culturale del mondo, “percorrere la strada più lunga” per tornare alle origini e riscoprire l’umanità della civiltà occidentale. Attraverso la curatela delle mostre Architecture without Architects (1964), The Prodigious Builders (1977), Streets for People (1969), Are clothes modern? (1944) Behind the Picture Window (1955), Now I Lay Me Down to Eat (1980), Sparta/Sibari (1987), ciascuna accompagnata da un omonimo catalogo, ha contribuito a minare le certezze della modernità rimettendola in discussione e dimostrandosi anticipatore di temi ancora oggi discussi. Più o meno consapevolmente, ha fornito stimoli teorici per lo sviluppo del movimento ambientalista, la mimesi del lessico vernacolare, la cura per il benessere fisico e psicologico del residente, la centralità attribuita alla collettività, il concetto di comunità, di autocostruzione e di progettazione partecipata, divenendo un punto di riferimento per tutti coloro che volevano prendere radicalmente le distanze dalle forme dell’architettura tardo-modernista.
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Fotografie estratte dal catalogo della mostra “Architecture without Architects”, Bernard Rudofsky, 1964, MoMa, New York.
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Bernard Rudofsky come catalizzatore del tema a livello internazionale
In questa pagina:
L’architettura vernacolare in Italia oggi
Nella pagina accanto: Fotografie estratte dalla ricerca dello studio Associates (Bs), “Spontaneous Landscape”, 2019, 12° Biennale di Architettura di San Paolo.
L’approccio al tema da parte dei giovani studi italiani
I pensieri e le teorie elaborate nel corso del ventesimo secolo sono oggi costretti a fare i conti con una società profondamente cambiata in cui poco di ciò che hanno visto gli occhi di Paul Strand rimane. La civiltà rurale così come la videro Pagano, Rudofsky, Michelucci è scomparsa travolta dall’innovazione tecnologica ed è molto difficile, per questioni prevalentemente burocratiche, che oggi sorgano delle architetture spontanee a meno che non si tratti di abusi edilizi. Ma nonostante spesso e volentieri si parli di uniformità e omologazione dovuta ad un ormai interconnesso mondo dove pare non esistano più diversità culturali, l’architettura in Italia, laddove vi sia dedizione e conoscenza, dimostra di essere attenta al contesto, ai materiali, agli elementi dell’architettura vernacolare, senza rinunciare per questo a mostrarsi contemporanea. Numerose sono le attenzioni che il tema costantemente attira come dimostrano le pubblicazioni sull’impronta che ha lasciato nella storia dell’architettura italiana (in particolare i libri di Michelangelo Sabatino), di riviste del settore (Archalp per il paesaggio alpino, fondata nel 2018, e il numero di Casabella 908 che ricorda la mostra alla Triennale di Pagano e presenta progetti che trattano da vicino il recupero e la tutela dell’architettura rurale) e di categorie specifiche in siti di architettura online (nel noto blog “divisare” alla categoria “italian houses” si 56
L’architettura vernacolare in italia oggi Sopra: Progetto fotografico “Questa Pianura”, Paola De Pietri, 2004, 2014-2017.
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aggiunge quella di “italian rural houses”). Di particolare importanza sono i Centri di ricerca quali l’Istituto di Architettura Montana del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino e le Associazioni attive sul territorio di cui un virtuoso esempio è l’Associazione Canova, una non-profit nata nel 2001 per recuperare il patrimonio minore del piccolo borgo medievale di Canova (VB) e che oggi organizza attività educative, culturali e artistiche ai fini di sensibilizzare al tema non solamente gli addetti ai lavori. Fondamentali infine sono i tanti premi istituiti negli ultimi anni tra i quali emergono quelli promossi dagli enti dell’arco alpino, zona in cui il dibattito su tradizione e contemporaneità risulta molto attivo (Architetti Arco Alpino, Constructive Alps, Circolo Trentino per l’Architettura Contemporanea, Fondazione Architettura Belluno Dolomiti, Architettura Alto Adige). Se negli anni del “boom economico” era stata data la possibilità ad un gruppo di competenti professionisti di realizzare ex novo luoghi di villeggiatura, villaggi turistici, infrastrutture legate all’industria del tempo libero al mare e in montagna, oggi in Italia i progetti che affrontano il tema dell’architettura rurale sono progetti prevalentemente di restauro e/o ampliamento. Proprio perché a partire dalla fine della mezzadria (abolita nel 1974 ma poi di fatto estirpata in alcune zone della penisola solamente sul finire del millennio) le campagne si sono lentamente svuotate e con esse sono rimaste vuote le architetture minori che svolgevano un ruolo estremamente importante negli anni di piena attività. Laddove ancora la natura non abbia reso questi edifici delle rovine di una civiltà estinta, e in questo senso sono molto esplicative le fotografie scattate da Paola de Pietri per il progetto Questa Pianura (2004-2017), vi è la possibilità di intraprenderne il recupero. In questa possibilità si inseriscono diversi tipi di approccio. Il panorama è molto eterogeneo tanto che è difficile definire una o più linee di pensiero a riguardo ed è 58
L’architettura vernacolare in italia oggi Sopra: Screenshot della presentazione di Marcello Bondavalli dell’opera di Studio Wok, 4 giugno 2020, Primo incontro del ciclo “Giovani Architetti Italiani”. Sono state selezionate le slide che sottolineano l’attenzione dello studio a contesto, materiali e soluzioni estetiche legate alla tradizione.
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ancora più difficile valutare se dietro gli interventi ci sia una effettiva conoscenza del tema o la volontà di dimostrare di essere allineati con le ultime tendenze e di riuscire a produrre un’architettura fotogenica da rivista che dia risalto allo studio emergente. Comunque sia sono molti, soprattutto gli studi di giovani architetti, a relazionarsi con le architetture anonime del nostro paese. Tra di questi, selezionandone alcuni a campione poiché la scelta potrebbe essere sicuramente più ampia, vi sono Studio Wok (MI), Lorenzo Guzzini (CO), MIDE Architetti (VE), Rocco Borromini (SO), Ellevuelle (FC), Ciclostile Architettura (BO), Carlana Mezzalira Pentimalli (TV), Studio Andrew Trotter (Barcellona) e Associates Architecture (BS). Capofila del ciclo di conferenze online promosso da Francesco dal Co per far conoscere il lavoro dei “Giovani Architetti Italiani”, lo studio milanese Studio Wok si muove prevalentemente nell’ambito dell’edilizia residenziale. Il suo operato è stato conosciuto ad un pubblico più ampio grazie alle pubblicazioni che hanno seguito la trasformazione di una porzione di corte rurale a Chievo (Verona). L’intervento si è mosso in direzione di un’attenta valorizzazione dei valori più sedimentati nel luogo: un arco ribassato, elemento tipico dei fienili della pianura padana, tamponato negli anni ’70, è stato ripristinato non solo per evidenziare la matrice rurale ma divenendo vero e proprio nucleo generatore della nuova residenza. I materiali della muratura, ciottoli dell’Adige, fiume che scorre a poche centinaia di metri dal sito, sono stati riportati alla luce (rimuovendo le stratificazioni di intonaco) e completati con l’uso di monolitici blocchi di marmo biancone per le cornici delle aperture. Anche questa soluzione, così come la fitta partizione degli infissi collocati su uno dei prospetti, è mutuata dalla tradizione rurale locale. Da ciò che Marcello Bondavalli, uno dei soci fondatori dello studio, ha presentato nell’appuntamento di Casabella, si evince una grande e sincera attenzione alle possibilità che 60
Fotografie degli esterni e degli interni della “Casa di Campagna a Chievo”, Studio Wok, 2018, Chievo (VR). Fotografie degli esterni di “Villa Molli”, Lorenzo Guzzini Architecture, 2019, Sala Comacina (CO).
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L’architettura vernacolare in italia oggi
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materiali, tecniche costruttive e forme della tradizione anonima possono rivelare se trattati con rispetto e conoscenza. È emblematico l’episodio riportato dallo stesso architetto, di una coppia di committenti che dopo aver potuto apprezzare l’opera di Chievo, abbiano deciso di convertire la propria villa anni ’70 situata nella Brianza Lecchese in una dimora rurale. L’edificio era però totalmente privo dei caratteri tipici dell’architettura tradizionale per cui non era possibile proporne una trasformazione in tale direzione. La villa è stata quindi demolita, e ora lo studio ha elaborato un progetto che sfruttando la cubatura originaria porterà alla realizzazione di una «casa che vuole reinterpretare l’abitazione di campagna in chiave contemporanea»6. In una direzione professionale diversa si muove Lorenzo Guzzini, architetto che progetta ad oggi principalmente in territorio comasco e che fonda la propria visione in un connubio tra arte e architettura alla ricerca di luce e materia. Nella sua ultima realizzazione, Villa Molli (Como), però sia le volumetrie, che richiamano una tipica casa del luogo collocata accanto al nuovo edificio, sia i materiali impiegati in facciata e in copertura (pietra morena e scandole non posate le une sulle altre ma posizionate a gradoni) denotano una certa attenzione e ricerca in relazione al contesto e alle tecniche costruttive della tradizione. Occupato prevalentemente da interventi residenziali unifamiliari di nuova realizzazione inseriti nella campagna veneta, lo studio MIDE guarda in diverse sue opere agli elementi tipici della tradizione rurale seppur con una forte spinta contemporanea. I progetti sono caratterizzati da volumi bassi coperti da tetti a falde a volte con sporti marcati, l’uso di superfici di finitura intonacate ma lasciate ruvide (come negli intonaci degli edifici rurali) e l’impiego di muri a gelosia che, non avendo più una funzione legata alla filiera agricola, vengono tuttavia rivisitati come strumenti di definizione di uno spazio 62
6. Appunti dell’autore. Frase di Bondavalli, M. (Studio Wok). (4 giugno 2020), Webinar “Giovani Architetti Italiani”, Ciclo di conferenze online organizzato dalla rivista Casabella-Continuità.
Fotografie degli esterni di “Casa singola nella campagna di Treviso”, MIDE Architetti, 2019-in progress, Montebelluna (TV). Fotografie degli esterni e degli interni di “Rustico in Toscana tra gli olivi con piscina e depandance”, MIDE Architetti, 2013-2015, Lucca (LU).
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L’architettura vernacolare in italia oggi
Sotto:
permeabile visivamente ma non fisicamente. A questi progetti si aggiungono degli interventi di recupero di edilizia rurale, situati principalmente nell’alto territorio toscano in cui il fil rouge è la volontà di mantenere vive le peculiarità dei fabbricati impiegando i materiali e le tecniche di finitura della tradizione locale. L’architetto Rocco Borromini costituisce un caso esemplare di come in determinati professionisti il tema del vernacolare sia di vitale importanza per la lezione di semplicità ed eleganza che può insegnare alla contemporaneità. Degno di nota è il suo intervento di recupero di un agglomerato costituito da tre piccoli edifici rurali nella campagna aretina, nei pressi di Anghiari. Originariamente un corpo era adibito ad abitazione e stalla per le mucche, uno era adibito a fienile e porcilaia e uno era adibito a deposito. L’intervento risulta mimetico ad un occhio non attento in quanto in tutti i fabbricati sono state preservate le murature, gli elementi lignei di sostegno di solai e copertura e i voltini del locale stalla. Nell’ex fienile, al piano superiore, i graticci in laterizio sono stati ricostruiti come da tradizione, utilizzando materiale antico e ottenendo dal ripristino di ciò che era una luce filtrata. Gli elementi aggiunti quali le scale e i blocchi dei servizi si distaccano dalla muratura non andando mai a toccarla. Particolare attenzione poi è stata data all’illuminazione artificiale interna ed esterna caratterizzata da pochi elementi che proiettano una luce calda che enfatizza la matericità dell’edificio restaurato. Gli studi di Bologna e Forlì, Ellevuelle e Ciclostile sono costantemente impegnati in recuperi, ristrutturazioni e ampliamenti di edifici tradizionali del territorio emiliano romagnolo non solo riportando in uso luoghi che altrimenti rischierebbero il deperimento ma anche rispettandone i caratteri peculiari.
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Fotografie degli esterni di “Casa Esse”, Ellevuelle Architetti, 2012-2014, Forlì (FC). Fotografie degli esterni e degli interni di “Caldesini”, Rocco Borromini, 2019, Anghiari (AR).
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L’architettura vernacolare in italia oggi
Sotto:
È emblematica come cartina tornasole dell’appropriazione del turismo d’élite del patrimonio più umile (e quindi più “autentico”) del territorio l’attività dello Studio Andrew Trotter in Salento. Nonostante non sia uno studio italiano è interessante osservare come alcuni studi di architettura concentrino la propria attività attorno al recupero di edifici tipicamente rurali che oggi diventano luoghi molto richiesti come meta turistica o come seconda casa di grande lusso. E questo trend è ben constatabile nell’attività di altri studi che, muovendosi principalmente lungo le coste mediterranee (ne sono due esempi K-studio per la Grecia e Studio KO per il Marocco) realizzano progetti per grandi committenze. Tra gli studi che si sono posti la domanda su come intervenire sul patrimonio minore vi è lo studio Carlana Mezzalira Pentimalli che, nel 2016, si è occupato a Padova del recupero di un casale dei primi del ‘900 in calcina del fiume Brenta e mattoni faccia a vista. L’intervento era finalizzato alla realizzazione di un ristorante quindi l’attenzione degli architetti si è concentrata sul trattamento delle superfici interne e dell’arredo ma come è evidente dallo “storyboard” con cui descrivono il progetto nel proprio sito, la domanda senza risposta sull’atteggiamento da assumere di fronte all’architettura minore è un quesito che si sono posti insistentemente nella fase progettuale. Di natura attenta e affine alle ricerche condotte nel secolo scorso è l’opera dello studio bresciano Associates fondato nel 2017 da Martina Salvaneschi e Nicolò Galeazzi (quest’ultimo anche fotografo riconosciuto per aver collaborato negli ultimi anni con Alvaro Siza). Attraverso lo strumento della fotografia il duo di architetti ha accumulato nel corso di più anni un catalogo di architetture spontanee che sorgono nelle campagne circostanti i loro luoghi di riferimento. Il progetto è nato dal «desiderio di ricreare un paesaggio 66
Fotografie degli esterni e degli interni di “Villa Castelluccio”, Studio Andrew Trotter, 2019, Ceglie (BR). Storyboard di “Pane Nero New Restaurant”, Carlana Mezzalira Pentimalli, 2016, Villa del Conte (PD).
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L’architettura vernacolare in italia oggi
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immaginario, fatto di piccole architetture agricole spontanee, sparse nella campagna, un desiderio che nasce dai nostri ricordi d’infanzia per ispirare il presente»7. Ognuna di queste piccole architetture dopo essere stata fotografata, è stata ridisegnata in pianta e catalogata secondo le sue coordinate geografiche. Trenta di queste (su oltre un centinaio mappate) sono state selezionate per rappresentare un abaco esaustivo di variazioni tipologiche. Ne è nata un’installazione dal titolo “Spontaneous Landscape”, che è stata presentata in occasione della 12° Biennale di Architettura di San Paolo (13 settembre - 8 dicembre 2019). Le singole microarchitetture sono state presentate in una versione astratta, come modelli monocromatici posti su piedistalli esili. Questo per elevarli al punto da poter catturare l’attenzione ed essere osservati da vicino diversamente dal destino che gli riserviamo nella vita di tutti i giorni. Sebbene oggi non sia pertanto evidente un percorso ben definito e nitido, sono molti i professionisti, anche appartenenti alle generazioni più giovani, che vedono nella macro-categoria dell’architettura minore, un vaso di pandora che costantemente riesce a dare vita a spunti, stimoli e contribuisce a definire un metodo di approccio e definizione del progetto. E anche a distanza di oltre 70 anni la sintesi di Figini sulla lezione da apprendere dall’architettura vernacolare maestra di moralità e di logica, di vita e di stile sembra rimanere più che attuale.
Nella pagina accanto: Fotografie estratte dalla ricerca dello studio Associates (Bs), “Spontaneous Landscape”, modelli monocromatici delle microarchitetture fotografate e ridisegnate, 2019, 12° Biennale di Architettura di San Paolo.
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7. Galeazzi, N. & Salvaneschi, M. (2019). Spontaneous Landscape, Consultato il 4 giugno, 2020. https://www. associatesarchitecture. it/spontaneouslandscape.
69 L’architettura vernacolare in italia oggi
Bibliografia.
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