Atene, da Temistocle ad Adriano Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud dell’Acropoli Francesco Belluati Francesco Biccheri
Atene, da Temistocle ad Adriano Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud dell’Acropoli Athens, from Themistocles to Hadrian Urban and architectural development along Acropolis’ south slope
Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni Progettazione dell’Architettura A.A. 2018/2019 - sessione luglio/sett 2019 Relatore Prof. Pier Federico Caliari Correlatore Greta Allegretti Tutors Caterina Coli e Laura Ehrenheim Studenti Francesco Belluati e Francesco Biccheri
indice
Atene, da Temistocle ad Adriano Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud dell’Acropoli
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Introduzione
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«Questa è Atene, l’antica città di Teseo» Dalle guerre persiane alla Guerra del Peloponneso L’Acropoli, città degli Dei Sulla composizione dell’Acropoli Dal dominio macedone all’età ellenistica
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La pendice sud. Spazi sacri e spazi della rappresentazione Il Santuario e il Teatro di Dioniso Eleutereo L’Odeon di Pericle I monumenti coregici: Trasillo, Nicia, Lisicrate Il Santuario di Asclepio La Stoà di Eumene II L’Odeon di Erode Attico
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«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo» La conquista romana L’Agorà Romana, una seconda agorà per Atene Adriano, il Greculus Adrianopoli e il Panhellenion La Biblioteca di Adriano, «la più splendida di tutte le fabbriche»
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Dalla Pendice sud alla Valle dell’Illisso L’Arco di Adriano, l’ultimo viaggio dell’imperatore L’Olympieion, un cantiere lungo sei secoli
Note Indice delle tavole Bibliografia Sitografia
Introduzione
Introduzione
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Questa tesi si propone di analizzare i principali sviluppi architettonici e urbanistici lungo la pendice meridionale dell’Acropoli da Temistocle (V secolo a.C.), a cui si deve probabilmente il primo grande edificio monumentale noto come Odeon di Pericle, ad Adriano (II secolo d.C.). Le iscrizioni incise sui lati dell’arco che i cittadini ateniesi o i Panhellenes dedicarono all’imperatore filelleno nel 132 d.C. e che recitano: «Questa è Atene, l’antica città di Teseo» (sul lato nord-occidentale verso l’Acropoli) e «Questa è la città di Adriano, e non di Teseo» (sul lato sud-orientale verso l’Olympeion) costituiscono il punto di partenza di questa ricerca che si snoda attraverso un arco temporale di sei secoli e lungo una porzione ben definita dell’area archeologica di Atene: quella della pendice sud dell’Acropoli e della valle dell’Ilisso e di cui l’arco di Adriano costituisce una cerniera e spaziale e temporale. Queste due iscrizioni per lungo tempo sono state interpretate come se la porta dividesse l’antica Atene di Teseo, da cercare attorno all’Acropoli, dalla nuova Atene fondata da Adriano nell’area della valle dell’Ilisso. Tuttavia dai dati riscontrabili sull’archeologia gli edifici adrianei sorsero non solo nelle immediate vicinanze dell’Olympieion, dove pure si concentrarono i maggiori interventi, ma anche nel resto della città su una superficie pari a sei ettari: nell’area dell’antica Agorà, dell’Agorà romana e lungo la pendice meridionale dell’Acropoli. Inoltre l’area della valle dell’Ilisso, costituiva un settore cruciale già della città mitica, e teseica in particolare, in cui si trovava la residenza di Egeo, e venne per questo inglobata all’interno delle mura temistoclee il cui tracciato passava ben più a oriente. È quindi più corretto pensare che le due iscrizioni, invece che indicare una divisione fisica della città in vecchia e nuova, intendessero piuttosto una distinzione temporale tra due grandi età della storia ateniese, quella teseica e quella adrianea, sottolineando così il ruolo ecistico dell’imperatore. La ricerca si concentra soprattutto sugli interventi lungo la pendice sud, inglobata nel circuito del peripatos, e le direttrici che da questa dipartivano e che la collegavano, attraverso la via delle Panatenee e la via dei tripodi,
Nella pagina accanto: Vista del Partenone dall’Olympieion. 9
all’Agorà e ai quartieri della Pnice e del Ceramico e, attraverso il tracciato di odùs Dionysiou Areopagitou, direttamente alla valle dell’Ilisso e al sito dell’Olympieion. Nella città contemporanea la permanenza di queste direttrici o la loro sostituzione con tracciati che ne ripercorrono l’andamento, sovrapponendosi a quelli storici, permettono di osservare i monumenti secondo la visone originaria conservando oltre che all’aspetto visivo anche quello fisico-percettivo che permette di leggere la stratificazione dei tessuti e delle tipologie architettoniche. Inoltre proprio la pendice meridionale dell’Acropoli, per la sue caratteristiche morfologiche, orografiche, climatiche e visuali che la rendevano una vera e propria terrazza panoramica (xystus) mirante la valle dell’Ilisso e il golfo Saronico, venne scelta a partire dalla fine del VI secolo a.C., e ancor più a seguito delle guerre persiane, quale luogo adatto ad ospitare alcuni tra i più importanti spazi sacri (al di fuori dell’Acropoli che era la città degli dei per eccellenza), nonché i maggiori spazi della rappresentazione, legati alle celebrazioni delle Grandi Dionisie e delle feste panatenaiche. Proprio questo intreccio tra religione, mito e storia è all’origine della tragedia, come emerso da Aristotele e a Friedrich Nietzsche sull’origine e il significato di una delle forme più antiche di teatro, prodotto della cultura ateniese del V secolo a.C. e fenomeno di lungo durata che si è tradotto ad Atene nella costruzione di edifici e monumenti proprio lungo il versante meridionale dell’Acropoli dove era stato istituito il culto di Dioniso Eleutereo. Il teatro di Dioniso e l’attiguo Odeon di Pericle, a cui si aggiunse nel II secolo d.C. l’Odeon di Erode Attico, e tutti i monumenti coregici costituiscono la trasposizione architettonica, nonché testimonianza archeologica, dell’importanza attribuita nella cultura ateniese agli aspetti sacri e della rappresentazione e di come questa sia stata oggetto di attenzione degli uomini di potere che hanno governato Atene o hanno riconosciuto in essa, come nel caso dei sovrani ellenistici o dell’imperatore Adriano, il centro di origine della cultura greca. Accanto agli spazi teatrali propriamente detti e a quelli che servivano e da monumenti celebrativi e da infrastrutture di supporto alle feste che si svolgevano ad Atene, sorsero edifici legati al culto di divinità locali o straniere, e che trovarono nelle grotte naturali della collina e nei santuari appositamente dedicati la propria sede (si ricordano a tal proposito il santuario di Dioniso e quello di Asclepio). È però al termine della via Dionigi Areopagita che si trova uno dei più importanti siti sacri della città, quello dell’Olympieion, con i resti di quello che fu il più grande tempio dedicato alla massima divinità olimpica e le cui fasi costruttive dal VI secolo a.C. al II secolo d.C. risentirono delle alterne fortune che la polis attraversò. Il cantiere dell’Olympieion fu terminato dall’imperatore Adriano che lo inaugurò personalmente in occasione del suo ultimo viaggio ad Atene nel 132 d.C., durante il quale altri interventi adrianei di grande importanza (a cui
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Introduzione
sono stati dedicati appositi approfondimenti) furono donati alla città e venne istituito il Panhelleion, una lega di città di fondazione greca la cui sede era proprio ad Atene a sottolinearne l’importanza culturale. Poiché, come scrive Costantinos Doxiadis, la città (o meglio lo spazio architettonico della civiltà greca) non è un organismo statico, ma dinamico che risente dei mutamenti e degli sviluppi politici ed economici che le condizioni temporali comportano, proprio per questo si è deciso di analizzare gli interventi sulla pendice sud e la valle dell’Ilisso nel lungo arco temporale che va da Temistocle ad Adriano dedicando a ciascuno apposite schede corredate di fotografie che ne testimoniano lo stato attuale e di tavole con piante, sezioni e prospetti (basate sugli studi Nicholas Stuart, James Revett, John Travlos) che ne ricostruiscono la forma e le decorazioni architettoniche.
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«Questa è Atene, l’antica città di Teseo»
Dalle guerre persiane alla guerra del Peloponneso
«Questa è l’esposizione della ricerca di Erodoto di Alicarnasso, perché gli eventi umani non svaniscano con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute sia dai Greci sia dai barbari, non restino senza fama; in particolare, per quale causa essi si fecero guerra». (Erodoto, Storie, I, I) Pochi eventi hanno caratterizzato in maniera così determinante gli sviluppi sociali e culturali non solo di una città, Atene, ma di un intero continente, l’Europa, quali le Guerre Persiane. Prima che uno scontro tra eserciti, il conflitto con la Persia è uno scontro tra due modelli di organizzazione civile e politica, profondamente contrastanti, che ha comportato conquiste culturali di notevole importanza e la visione, nell’immaginario collettivo, di un occidente costituito da città autonome che aspirano alla libertà a cui si contrappone un oriente dispotico e imperialista. Si pensi che l’importanza del conflitto greco-persiano è testimoniata dalla più antica, forse la prima, opera storiografica giuntaci integralmente, le Storie di Erodoto di Alicarnasso1, e dalla più antica tragedia di Eschilo2, I Persiani, messa in scena in occasione delle Grandi Dionisie del 472 a.C.. Il dramma eschileo costituisce un inedito quanto sublime racconto della disfatta persiana dal punto di vista dei vinti e allo stesso tempo esalta l’impresa greca, in particolare ateniese, capace di aver fermato la completa realizzazione della monarchia universale di Dario e Serse. Se a seguito della vittoria greca il conflitto divenne un argomento privilegiato della letteratura, la memoria fu tenuta viva nelle successive generazioni soprattutto dai segni tangibili della distruzione metodica dei principali edifici civili e di culto perpetrata dai persiani durante il duplice assedio di Atene nel 480 e nel 479 a.C.. I persiani durante l’occupazione di Atene e dei demi dell’Attica distrussero le fortificazioni pretemistoclee3, incendiarono l’Acropoli e sottrassero statue e beni di culto, che verranno restituiti solo molto tempo dopo, in seguito alla conquista macedone dell’Impero
Nelle pagine precedenti: Vista dell’Acropoli dalla collina di Filopappo.
«Questa è Atene, l’antica città di Teseo»
Achemenide. Inoltre un giuramento secondo il quale i Greci, e gli ateniesi in particolare, si sarebbero occupati della ricostruzione dei luoghi distrutti solo dopo la sconfitta definitiva del nemico barbaro fece si che la ricostruzione monumentale della città e dell’Acropoli non iniziasse prima della metà del secolo. La prima guerra Persiana il cui casus belli fu la rivolta delle città della Ionia (499-494 a.C) si concluse con la vittoria ateniese a Maratona (490 a.C.) ad opera di Milziade che a fronte di piccolissime perdite impedì la presa della città. Nel decennio tra le due guerre (490-481 a.C.) Temistocle si impose quale fautore dell’imperialismo marittimo ateniese e promotore della realizzazione del nuovo porto del Pireo e del suo centro abitato, progettato da Ippodamo da Mileto, grazie ad un uso attento e consapevole dei proventi delle miniere d’argento del Laurio. Entrambi gli schieramenti si prepararono allo scontro: Atene e altre trenta poleis greche si riunirono nella lega panellenica per far fronte all’imponente esercito di Serse. Dopo le battaglie di Capo Artemision e delle Termopili fu a Salamina (480 a.C.) che i Greci sconfissero i nemici in una battaglia che fu decisiva nell’esito del conflitto: Serse assistette alla disfatta del suo esercito dal Monte Egaleo dove aveva collocato il suo trono al di sotto di una grande tenda dalla forma piramidale. Eschilo racconta così l’episodio:
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
«Serse allora pianse: davanti agli occhi aveva un abisso di sciagure. Il suo trono era posto in vista dell’intero campo di battaglia, su di un’altura elevata sopra la distesa del mare; si strappò le lunghe vesti, alto si levò il suo lamento». (Eschilo, I Persiani) Le successive sconfitte a Platea e Micale (479 a.C.) costrinsero l’esercito persiano alla ritirata, mentre Atene divenne il simbolo della vittoria dei Greci contro i barbari elaborando un sistema di alleanze conosciute con il nome di lega Delio-attica4 e valorizzando la dimensione panellenica del suo impegno bellico. Il patrimonio urbanistico e architettonico della città era gravemente danneggiato e Temistocle si impegnò nella costruzione del poderoso circuito murario che cingeva la città in ogni sua parte e per la cui realizzazione vennero utilizzati materiali di edifici pubblici e privati distrutti durante l’invasione. Nelle fortificazioni dell’Acropoli lungo il versante Nord furono reimpiegati elementi architettonici provenienti dal pre-Partenone5 e dal vecchio tempio di Athena Polias: rocchi di colonna marmorei incompleti, tratti di trabeazione con architravi, fregi e cornici. Cimone, stratego e principale esponente del partito aristocratico, ampliò l’opera mediante la creazione delle Lunghe Mura che collegavano la città ai due porti del Pireo e del Falero, tra le quali sotto Pericle venne aggiunto un ulteriore settore 17
diretto al Pireo. Sempre a Cimone si deve la realizzazione delle murature isodome, in blocchi di poros, del settore sud dell’Acropoli con la creazione del terrazzamento su cui sorgerà il Partenone. I diversi interventi architettonici e urbanistici sono quindi collegati alle figure più note della scena politica del periodo; Temistocle, Cimone e Pericle. Questo consente di associare programmi edilizi a scelte determinate dall’impegno politico, dalla base di consenso o dalla propaganda del complesso sistema elettivo ateniese. In seguito all’ostracizzazione di Cimone (461-451 a.C.) l’orientamento della politica interna ed estera cambiò drasticamente; Pericle si pose alla guida dello schieramento democratico e per oltre trent’anni fino alla sua morte (429 a.C.) fu il massimo esponente della democrazia ateniese ricoprendo per quindici volte consecutive dal 444 a.C. la carica di stratego. Lo storico ateniese Tucidide, autore della Guerra del Peloponneso 6, a proposito di Pericle scrive: «Per tutto il tempo a cui fu a capo della città in periodo di pace, tenne una politica moderata e garantì la sicurezza dello Stato, che con lui raggiunge la massima grandezza». (Tucidide, Storie, II, 65) La pace con il Gran Re (449 a.C.) e la pace trentennale con Sparta (445 a.C.) che nei fatti durò solo quindici anni consentirono ad Atene di accrescere il proprio splendore in patria e il proprio prestigio all’estero. Il progetto di ricostruzione dell’Acropoli, associato preminentemente alla figura di Pericle, ebbe inizio a seguito della pace con la Persia portando a compimento il giuramento di quarant’anni prima e a tal fine furono impiegati i tributi7 degli alleati della lega Delio-attica. Le delibere di approvazione in merito ai programmi edilizi pubblici e dei singoli progetti erano prerogativa dell’ekklesìa, tuttavia Pericle seppe avvalersi di una cerchia di artisti di impareggiabile livello, Ictino, Callicrate, Mnesicle supervisionati da Fidia per l’elaborazione di un progetto di ricostruzione a cui appartengono il Partenone e i nuovi Propilei. Un’immagine del fervore edilizio e del messaggio che si voleva esprimere attraverso la nuova sistemazione della rocca è raccontato da Plutarco nelle Vite parallele8: «Gli edifici salivano superbi di mole, impareggiabili in grazia di linee, poiché gli artigiani andavano a gara a superarsi l’un l’altro nella perfezione del lavoro». (Plutarco, Vita di Pericle, 13)
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
«Questa è Atene, l’antica città di Teseo»
Lo scoppio della guerra archidamica nel 431 a.C., i ripetuti saccheggi dell’Attica e la terribile epidemia di peste che colpì Atene nel 429 a.C. e di cui anche Pericle morì costituirono una battuta d’arresto per i cantieri cittadini e comportarono drammatiche conseguenze per la polis. Tra i cantieri sospesi e poi completati nel corso della guerra figurava anche quello del tempio di Athena Nike. La guerra proseguì fino al 421 a.C., quando tra Atene e Sparta venne stipulato un trattato di pace di cui l’artefice fu Nicia, che ponendosi in continuità con la politica conservatrice di Cimone e riprendendo le antiche tradizioni religiose intraprese la costruzione dell’Eretteo quale tempio dedicato ai culti poliadici. Il cantiere portato avanti a più riprese venne terminato nel 407 a.C.. La pace di Nicia costituì un periodo di illusoria tranquillità; Alcibiade fece la propria comparsa sulla scena politica opponendosi al rivale conservatore e nel 415 a.C. convinse l’ekklesìa ad intraprendere la spedizione in Sicilia contro Siracusa. Questa era vista da Alcibiade come l’occasione di risolvere il conflitto con Sparta e di affermare la propria figura di statista, tuttavia un episodio previo la partenza noto come «scandalo delle erme» comportò l’allontanamento dalla spedizione dello stesso Alcibiade che si recò a Sparta, ma soprattutto portò l’intera spedizione all’insuccesso. Nicia e Demostene vennero giustiziati dai siracusani e gran parte degli opliti ateniesi furono rinchiusi nelle latomie9 dove morirono di malattia e di stenti. Al disastro di Siracusa seguì l’ultima fase del conflitto nota come guerra deceleica (413-404 a.C.) che si combatté tra la Ionia e l’Ellesponto e che ancora una volta fu caratterizzata dall’inesauribile intraprendenza di Alcibiade che, rientrato ad Atene dopo il crollo del governo dei Quattrocento, la abbandonò di nuovo a seguito della sconfitta di Nozio (407 a.C.). L’ultimo grande successo ateniese fu la vittoria alle isole Arginuse (406 a.C.) a cui però seguì un autolesionistico processo nei confronti dei generali vincitori accusati di omissione di soccorso, mentre gli spartani guidati da Lisandro e forti del sostegno della Persia ricostruirono la loro flotta con cui sbaragliarono quella ateniese ad Egospotami10 (405 a.C.). Solo a seguito del processo contro il demagogo Cleofonte e ormai stremata dal lungo assedio, Atene accettò le dure condizioni di pace (404 a.C.): la città non fu distrutta e i suoi abitanti non vennero deportati, tuttavia dovette abbandonare ogni suo possedimento, cedere la flotta superstite, abbattere le Lunghe Mura e accogliere gli esuli oligarchici che instaurarono un regime noto come «regime dei trenta tiranni» sancendo così la fine del primato marittimo ateniese e lo scioglimento della lega Delio-attica.
Nelle pagine successive: Tavola (I) con inquadramento territoriale di Atene, V secolo a.C.. In evidenza le Lunghe Mura, i Porti del Pireo e del Falero, il Golfo Saronico, i fiumi Ilisso e Cefiso. 19
Κηφισός (Cefiso)
(Pireo)
Σαρωνικός κόλπος (Golfo Saronico)
Atene, le Lunghe Mura, i Porti del Pireo e del Falero, V secolo a.C.
«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
(Atene)
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Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
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21 TAV. I
«Questa è Atene, l’antica città di Teseo»
L’Acropoli, città degli Dei
«Stupiscono le opere di Pericle, create in breve e durate lungo spazio di tempo. Ciascuna per la sua bellezza allora era immediatamente antica; oggi, dopo molto tempo, è recente, nuova e rigogliosa. Sulle opere di Pericle fiorisce come una giovinezza perenne; esse si conservano allo sguardo indenni dal tempo, quasi posseggano infuso un respiro sempre fresco e un’anima che non conosce vecchiezza». (Plutarco, Vita di Pericle, 13)
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
L’Acropoli di Atene è, nella cultura occidentale ed europea, l’immagine per eccellenza, trasposizione architettonica e sistemazione urbanistica legata alla particolare orografia del colle che domina la polis, della civiltà che va dalla fine delle guerre persiane (479 a.C.) alla fine della guerra del Peloponneso (404 a.C.) e che corrisponde alla fase più alta dell’età Classica. Questo periodo storico si è caratterizzato come un fenomeno di lunga durata di cui l’architettura ateniese classica è un aspetto visibile e tangibile accanto a cui altri aspetti altrettanto importanti, ma non visibili, hanno trovato compimento: la nascita e l’affermazione della tragedia e della storiografia, la sistematizzazione della filosofia, di nuovi organismi politici e istituzioni, la rappresentazione naturalistica della figura umana. Conseguentemente una comprensione piena e profonda dell’architettura di quel periodo è possibile solamente considerandola come una parte del tutto e quindi in stretta relazione con il contesto culturale e politico in cui viene costruita e che è caratterizzato dall’affermazione sulla scena della vita pubblica di eminenti figure di cui quella di Pericle è la più legata agli interventi sull’Acropoli. Lo stesso Pericle vide nella ricostruzione monumentale dell’Acropoli un’iniziativa politica altamente simbolica tanto da chiamare a sé i migliori artisti del suo tempo per la realizzazione degli edifici a cui volle legare il suo nome: il Partenone e i Propilei. Dalla fortuna Nelle pagine precedenti: Vista del Partenone dalla collina di Filopappo. Nella pagina accanto: Vista di Atene attraverso i Propilei. 25
e dall’influenza che questi ebbero e hanno ancor oggi, sembrerebbe che la figura di Pericle si sia legata all’intera sistemazione del complesso e alla sua considerazione quale città ideale come racconta lo storico romano Plutarco nella biografia dello stratega ateniese, scritta tra il I e il II secolo d.C.. Erano passati cinque secoli, molti interventi furono portati avanti eppure la forza e la bellezza delle opere periclee apparivano giovani, capaci di incarnare lo spirito (zeitgeist) del V secolo a.C. senza per questo invecchiare. Per quanto risulti affascinante pensare che l’intera sistemazione dell’Acropoli sia volontà di un uomo solo in nome di tutto il popolo, gli scavi delle diverse campagne archeologiche intraprese a partire dall’unificazione dello stato greco nel 1829, i successivi restauri e lo studio delle fonti antiche si oppongono a questa visione romantica che trovò nell’architetto tedesco Karl Friedrich Schinkel il principale sostenitore. Schinkel progettò nel 1832 per il principe bavarese Otto von Wittelsbach, divenuto Re di Grecia, il Palazzo Reale nella capitale del nuovo stato proprio sull’Acropoli subordinando la sua architettura ai Propilei, all’Eretteo e al Partenone, ovvero ai principali edifici periclei che si presentavano nella loro veste di rovine. Il progetto, altamente simbolico, non fu mai realizzato soprattutto per l’indigenza economica in cui versava il neonato stato greco, ma l’intenzione di costruire la sede del potere statale nel luogo più emblematico della città non fu una prerogativa esclusiva di Schinkel. Infatti in almeno due occasioni precedenti la collina dell’Acropoli fu sede del potere politico: nel XIII secolo a.C quando alla fine dell’età del bronzo fu costruito il mégaron, edificio simbolo della cultura micenea, e il primo muro di fortificazione costituito da un doppio paramento in opera ciclopica con emplekton e tra il XII e il XV secolo d.C. quando sotto il ducato di Atene11 i Propilei furono trasformati nel Palazzo Ducale e il Partenone in una chiesa dedicata alla Vergine Maria. Nel 1436 una ventina d’anni prima della conquista ottomana Ciriaco d’Ancona12 visitò il palazzo dei Duchi di Atene che chiamò correttamente Acropoli e riconobbe nella chiesa di Santa Maria «il meraviglioso tempio marmoreo della dea Athena, opera divina di Fidia». A Ciriaco d’Ancona, padre dell’archeologia, si deve inoltre il primo disegno del Partenone (Codice Hamilton 254, fol. 85r, 1442-1443, Staatsbibliothek Berlin) e la prima descrizione dell’Acropoli e dello stato in cui versavano gli edifici antichi. «Giunsi ad Atene. Ho visto delle enormi mura distrutte dal tempo e, sia in città sia nelle campagne circostanti, edifici in marmo di straordinaria bellezza, case, templi e numerose statue eseguite da artisti di prim’ordine e grandiose colonne, ma tutte queste cose non formavano che un vasto ammasso di rovine». (Ciriaco d’Ancona, 7 aprile 1436)
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
«Questa è Atene, l’antica città di Teseo»
Ciriaco descrisse un paesaggio con antiche rovine classiche e sono proprio le rovine dell’antichità classica a delineare la modernità e il suo immaginario architettonico al fine di ricostruire nella contemporaneità il mito dell’antico e di riproporre i suoi valori eterni. Era questo l’obiettivo del progetto di Schinkel per il Palazzo di Ottone di Grecia o del suo contemporaneo Leo von Klenze negli edifici di Monaco di Baviera per Ludovico I, re di Baviera e padre di Ottone. Sempre a Leo von Klenze si deve un dipinto (olio su tela; 102,8x147,7 centimetri) del 1846 e conservato nella Neue Pinakothek di Monaco raffigurante la ricostruzione dell’Acropoli e dell’Areopago secondo una visione romantica che porta alla concezione di quel luogo come città ideale, traslitterazione in chiave architettonica della città degli dei. L’Acropoli è quindi lo spazio sacro della città legato al culto di Atena, dea eponima e protettrice della polis, e dei miti e degli eroi fondatori, ma divenne tale a partire dal VII secolo a.C. in età arcaica segnando così il passaggio dalla civiltà micenea a quella greca. Nel corso del VI secolo a.C (560 ca.) il tiranno Pisistrato costruì il primo tempio periptero esastilo dorico, in poros del Pireo, in onore di Atena e che per via della sua lunghezza di cento piedi assunse il nome di Hekatompedon e di cui si conservano nel Museo dell’Acropoli i gruppi frontonali. Sulla collocazione del tempio gli studiosi sono divisi: secondo alcuni (Dörpfeld tra tutti, 1919) il tempio potrebbe aver sostituito il tempio geometrico di Athena Polias, per essere poi smantellato per far posto al tempio pisistratide di Athena Polias; secondo altri (Dinsmoor, 1947; Travlos, 1971; Korres, 1997) sarebbe sorto nell’area del futuro Partenone e sarebbe stato demolito sul finire del VI secolo a.C. per far posto al podio di fondazione del pre-Partenone e proprio questa seconda ipotesi è quella che convince maggiormente. A Pisistrato si deve anche il tempio periptero esastilo dorico di Athena Polias che si ergeva sulle fondazioni scoperte da Wilhelm Dörpfeld nel 1885 e che portano il suo nome. Il tempio venne distrutto nel 480 a.C. durante l’assedio dei Persiani. Sempre a Pisistrato o molto più plausibilmente ai suoi successori, Ippia e Ipparco, è attribuibile la costruzione del primo accesso monumentale all’Acropoli, il Propylon, la cui struttura riparata dopo la distruzione del 480 a.C. fu obliterata dai successivi Propilei mnesiclei. Negli ultimi anni del VI secolo a.C. (505 ca.) il tempio pisistratide apparve agli occhi della nuova democrazia di Clistene una testimonianza troppo ingombrante del vecchio regime tirannico; per questo si decise di costruire al suo posto un nuovo tempio in poros di cui fu realizzato solo il basamento. A seguito della vittoria a Maratona per onorare la promessa fatta ad Atena, dea protettrice della città, la costruzione in poros venne interrotta per una struttura monumentale interamente in marmo del Pentelico. Il nuovo tempio, noto come pre-Partenone, sorse dunque sul basamento del tempio mai ultimato, ma anch’esso non fu completato a causa dell’occupazione 27
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«Questa è Atene, l’antica città di Teseo»
persiana della città nel 480 a.C. e poi rinnovata nel 479 a.C.. Ciò che si salvò dall’incendio e dalla distruzione perpetrata dai persiani fu impiegato da Temistocle nella realizzazione delle mura settentrionali dell’Acropoli al fine di lasciare ben visibili le tracce del sacrilegio persiano. Inoltre il seppellimento rituale, noto come colmata persiana, di oggetti votivi, statue e frammenti architettonici reimpiegiati come fondamenta per le nuove fortificazioni costituì un momento di scarto fondamentale nella storia dell’arte greca e dell’Acropoli. Il loro rinvenimento negli scavi del 1863 e del 1884-1888 offrì agli storici un quadro singolarmente completo dell’arte greca nell’Attica dal primo terzo del VI ai primi decenni del V secolo a.C. Oggi questi oggetti costituiscono il principale nucleo di opere del Museo dell’Acropoli e sono esposte al primo piano dell’edificio nell’allestimento di Bernard Tschumi13. Dell’importanza delle guerre persiane si è scritto nel capitolo precedente, ma è bene ricordare come esse sancirono la fine dell’età arcaica e l’inizio dell’età classica e di come, secondo un giuramento fatto dagli ateniesi, la ricostruzione monumentale della città dovesse iniziare solo a seguito della sconfitta definitiva del nemico barbaro. Questa fu sancita nel 449 a.C. con la pace del Gran Re e i trent’anni che separarono la fine della seconda guerra persiana dalla pace con l’impero costituirono per la sorte monumentale dell’Acropoli una lunga battuta d’arresto. Infatti l’opera di Temistocle e di Cimone fu rivolta soprattutto alla costruzione del poderoso circuito murario che cingeva la città, e alla creazione delle Lunghe Mura che la collegavano ai due porti del Falero e del Pireo e del suo nuovo centro abitato progettato da Ippodamo da Mileto. Cimone realizzò anche le murature isodome in blocchi di poros del settore meridionale dell’Acropoli con lunghi tratti rettilinei e la creazione di un terrazzamento che diverrà lo spazio adeguato per la costruzione del Partenone. Fu con Pericle che iniziarono i lavori degli edifici monumentali; infatti lo stratega ateniese fece approvare dall’ekklesìa i progetti degli artisti, supervisionati da Fidia, che aveva coinvolto nella ricostruzione e che appartenevano al suo circolo intellettuale. Plutarco raccontò nella vita di Pericle del fervore edilizio e della superba maestria degli artigiani che lavoravano sull’Acropoli e della rapidità come prima di allora non si era mai vista con cui venivano portati avanti i lavori, grazie anche all’uso dei fondi del tesoro della lega Delio-attica. Il primo dei monumenti realizzati fu il Partenone, i cui lavori durarono dal 447 al 437 a.C. per l’architettura, mentre i gruppi frontonali furono conclusi nel 432 a.C.. Il ruolo di Fidia nel progetto fu centrale e fu affiancato da due architetti, Ictino e Callicrate. Il tempio periptero ottastilo di ordine dorico, è realizzato interamente in marmo pentelico e nella sua costruzione si è fatto largo uso di Nella pagina accanto: Vista del muro della cella e delle colonne della peristasi del lato nord del Partenone. 29
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
«Questa è Atene, l’antica città di Teseo»
correzioni ottiche: dall’entasis alla curvatura dello stilobate, all’inclinazione delle colonne della peristasi e della trabeazione, all’ingrossamento della colonna angolare. L’adozione di un’insolita soluzione ottastila periptera, con una conseguente larghezza della cella pari a cinque interassi, permise di disporre di uno spazio eccezionalmente largo, accessibile mediante un portale ai lati del quale si aprivano ampie finestre. La cella venne articolata all’interno da un colonnato di ordine dorico su due livelli con dieci colonne sui lati lunghi e cinque intorno alla statua crisoelefantina, alta 12 metri, di Athena Parthenos di Fidia, autore anche della statua in bronzo di Athena Promachos14 che sorgeva tra i Propilei e il Partenone. Dall’Opistodomo si aveva accesso alla cella occidentale, che dalle iscrizioni viene identificata come thesauros15, e in cui quattro colonne forse ioniche, sostenevano la copertura. Proprio per via di queste iscrizioni, unite al fatto che non fosse testimoniata in alcun modo la presenza né di un altare né di un sacerdote del culto di Athena Parthenos, si ipotizza che la destinazione del Partenone fosse quella di un tempio-tesoro in cui accogliere le dediche e i doni più pregiati del santuario di Atena. L’apparato scultoreo e decorativo del tempio, un tempo sottolineato da una vivace policromia, comprendeva, oltre alla statua, le metope del fregio dorico esterno16, del fregio ionico interno17 e i gruppi scultorei frontonali conosciuti come marmi di Elgin18 e oggi conservati al British Museum19. Nel 437 a.C., finiti i lavori relativi all’architettura del Partenone, venne aperto il cantiere dei nuovi Propilei su progetto di Mnesicle, volto a dotare l’area di un accesso adeguato alla nuova immagine del sito. Il complesso, orientato come il Partenone, è una struttura articolata, realizzata in marmo pentelico con inserti in pietra nera di Eleusi, che per la prima volta affronta l’integrazione di elementi a scala diversa in un unico organismo risolvendo anche le difficoltà dovute all’orografia del versante occidentale su cui sorge. La planimetria comprendeva un nucleo centrale, anfiprostilo esastilo dorico, articolato in due vani separati da un muro nel quale si aprivano cinque passaggi di altezza decrescente di cui quello centrale più ampio attraversato dalla rampa che conduceva dal peripatos all’area sacra e lungo cui venivano portati gli animali per i sacrifici. Al corpo centrale erano legate le ali nord e sud, entrambe rivolte verso la rampa e caratterizzate da un prospetto tristilo in antis, e che fungevano rispettivamente da «pinacoteca» e da vestibolo d’accesso al tempio di Athena Nike. Il progetto prevedeva altri ambienti al di là di quelli sopra menzionati, ma a seguito dei Decreti di Callia venne ridimensionato; la costruzione fu interrotta e aspetti di non-finito sono presenti in tutto l’edificio (metope e frontone non scolpiti, bugne di
Nella pagina accanto: Vista del Tempio di Athena Nike dai Propilei 31
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sollevamento dei blocchi). Contestualmente alla realizzazione dei Propilei vennero intraprese trasformazioni anche nei santuari di Artemide Brauronia e di Athena Nike per cui un’iscrizione del 449-448 a.C. prevedeva la sistemazione mediante la costruzione di un altare in pietra e di un tempio anfiprostilo tetrastilo ionico interamente in marmo pentelico. Il progetto, attribuito a Callicrate, non iniziò prima del 432 a.C. e venne interrotto a causa dello scoppio della guerra archidamica per essere poi ripreso e concluso nel 425 a.C.. Il tempio che sorge su un bastione di blocchi isodomici in poros del Pireo, è sollevato su una crepidine di tre gradini ed è caratterizzato da un unico ambiente fondente pronao e cella il cui accesso era delimitato da pilastri a sezione rettangolare e da cancellate bronzee. Per via della sua particolare soluzione planimetrica si è ritenuto il tempio di Athena Nike un caso relativamente isolato nel panorama dell’architettura attica del V secolo a.C. il cui unico raffronto sarebbe stato il tempio sull’Ilisso, probabilmente ascrivibile allo stesso architetto. Studi recenti (Korres, 1996) sulla base del confronto dei materiali sporadici rinvenuti ad Atene con il Tempio di Athena Nike mostrano come l’architettura ionica del V secolo a.C. si sia resa indipendente dai modelli cicladici iniziali producendo soluzioni riconoscibili come propriamente attiche. Lo scoppio della guerra archidamica, i continui saccheggi dell’Attica da parte degli Spartani e soprattutto la peste che colpì Atene nel 429 a.C. ebbero conseguenze tragiche per la polis e i cantieri dell’Acropoli che vennero bruscamente interrotti. Nel 429 a.C. sempre a causa della peste morì anche Pericle, il principale fautore della ricostruzione monumentale dell’Acropoli e di un lungo periodo di pace per la polis, non prima di essere stato accusato di malversazioni e condannato. La guerra proseguì fino al 421 a.C., quando tra Atene e Sparta venne stipulato un trattato di pace di cui l’artefice fu Nicia, che ponendosi in continuità con la politica conservatrice di Cimone e riprendendo le antiche tradizioni religiose intraprese la costruzione, affidata a Filocle di Acarne, dell’Eretteo, tempio dedicato al culto di Athena Polias e Poseidone-Eretteo, ma anche ai miti originari della storia della polis. Il cantiere venne aperto immediatamente nel 421 a.C. per proseguire fino al 415-413 a.C. quando venne interrotto a causa dell’esito funesto della spedizione in Sicilia per essere infine concluso nel 409-407 a.C.. La complessa e irregolare organizzazione planimetrica dell’edificio, memore del tempio pisistratide di Athena Polias, risponde, oltre che alla difficile orografia del sito, alla concentrazione di culti e di attestazioni sacre costituendo un complesso di strutture più che un singolo edificio. Il tempio,
Nella pagina accanto: Vista della loggia delle Cariatidi dell’Eretteo 33
realizzato in marmo pentelico con inserti in pietra nera di Eleusi, consisteva in un corpo principale suddiviso in due aree riproponendo la suddivisione spaziale della cella del tempio di Athena Polias, separate tra loro e poste a una quota differente, ma mantenendo un aspetto unitario grazie alla trabeazione che corre lungo tutto il perimetro e alla copertura unica. La cella orientale è dedicata ad Atena e vi si accede tramite un pronao esastilo ionico che introduce a un ampio portale inquadrato da finestre; mentre il fronte ovest presenta al di sopra di un alto basamento quattro semicolonne ioniche addossate a pilastri e racchiuse tra ante. Sul lato nord in corrispondenza dell’accesso del vestibolo ovest e in posizione decentrata si trova addossato un portico tetrastilo ionico, mentre sul lato opposto, a sud, si trova la loggia delle cariatidi che prende il nome dalle figure femminili, figlie di Cecrope dedite al culto di Atena, che sorreggono una semplice copertura piana. L’Eretteo le cui forme tra conservazione e decorativismo sono marcatamente diverse da quelle del classicismo ionico di età periclea, fu l’ultimo edificio costruito sull’Acropoli nel V secolo a.C.. Da allora non vennero eretti altri importanti edifici almeno fino al I secolo d.C. quando fu costruito sul lato orientale del Partenone il tempio circolare monoptero in marmo pentelico dedicato a Roma e ad Augusto20. La data di costruzione del tempio è stata fissata al 27 a.C. per via di un’iscrizione riportante la dedica all’imperatore Augusto e sulla base di raffronti stilistici dell’ordine adottato, vera e propria riproposizione dell’ordine ionico dell’Eretteo che venne restaurato l’anno precedente. L’unico intervento sull’Acropoli di età adrianea fu la costruzione, accanto alla statua di Fidia, di una statua dell’imperatore Adriano ad indicare la natura divina dell’imperatore ma anche l’unione della civiltà greca e di quella romana. In età Ellenistica gli unici interventi del periodo sono dovuti all’evergetismo dei sovrani attalidi Eumene II e Attalo II che per celebrare le proprie vittorie nelle gare delle Grandi Panatenee eressero due monumenti celebrativi, uno (pilastro monumentale con quadriga poi dedicato ad Agrippa nel corso del I secolo a.C.) in contrapposizione al tempio di Athena Nike e uno all’angolo nord-est del Partenone; mentre lungo il muro meridionale vennero collocati quattro gruppi scultorei bronzei21 noti come Piccolo Donario. I pilastri dell’Acropoli oltre che essere ricordo delle vittorie dei membri della famiglia reale pergamena rappresentavano efficacemente lo stretto legame tra le città di Atene e Pergamo. L’ultimo intervento ancora presente e di cui si fa menzione è quello della porta con due torrioni laterali che Flavio Settimio Marcellino innalzò ai piedi dei Propilei dopo l’invasione degli Eruli del 267 d.C. e che nel 1852 fu dissepolta dal francese Charles Ernest Beulé. Delle sistemazioni delle successive occupazioni (Impero Bizantino, Ducato di Atene, Impero Ottomano) infatti rimangono pochissime testimonianze archeologiche poiché a seguito dell’indipendenza dello stato greco (1829)
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si decise di liberare l’Acropoli da ogni costruzione franca e turca per iniziare una serie di lunghi e minuziosi scavi archeologici a cui seguì sotto la direzione dell’architetto greco Nikolaos Balanos il restauro dei monumenti che ancora oggi prosegue sotto la soprintendenza dell’ YSMA22. «Ma ogni residua rovina non è solo documento di un’illustre storia; spesso e ancor più essa ci avverte, dal Partenone ai Propilei, dall’Eretteo al teatro, che qui il genio ateniese creò modelli per i secoli. E contemplandola, tanto maggiore ammirazione suscita questa sublime ascesa della civiltà e dell’arte quando si pensa che all’alba della preistoria la sacra roccia dell’Acropoli fu, come un qualsiasi luogo della terra, dimora materiale della più modesta vita umana».
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(Alessandro Della Seta, Enciclopedia Italiana, 1929)
Nelle pagine successive: Vista dell’Eretteo. 35
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Sulla composizione dell’Acropoli
Il principio compositivo di alcuni dei più noti complessi architettonici della Grecia antica dal VII al II secolo a.C., tra cui l’Acropoli di Atene, apparentemente casuale e non riconducibile allo schema ortogonale di Ippodamo di Mileto, fu oggetto di ricerca di Constantinos Doxiadis che dedicò all’argomento la propria tesi di dottorato, presso l’università politecnica di Berlino, dal titolo Architectural Space in Ancient Greece (1937) che diverrà parte integrante nei suoi studi relativi «alla città greca e antica e alla città del presente»23. Doxiadis sosteneva che la disposizione nello spazio degli edifici fosse basata sulla percezione umana e che il fattore decisivo della pianificazione fosse proprio il punto di vista umano, che percepisce la sequenza e la presenza degli edifici nel mentre questi vengono attraversati. «L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono». (Platone, Teeteto) La città non è un organismo statico, ma dinamico che risente dei mutamenti e degli sviluppi che le condizioni temporali comportano, e in cui gli edifici non sono oggetti isolati, ma parti di un paesaggio urbano in continuo progredire. Doxiadis analizzando le planimetrie, le fotografie e i disegni di trenta città, mediante il confronto delle tipologie e facendo ricorso alla matematica, giunse alla determinazione del principio compositivo denominato polare/ radiale, per cui da un unico punto di vista, corrispondente all’ingresso del sito, lo spettatore avrebbe potuto esercitare il controllo visuale sull’intera composizione con la definizione di una vera e propria equazione che si sarebbe potuta applicare nella progettazione contemporanea in aperta critica con l’approccio del movimento moderno e in particolare della Ville contemporaine di Le Corbusier.
Nella pagina accanto: Tavola (II) degli studi compositivi sull’Acropoli di Constantinos Doxiadis.
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I. Planimetria Acropoli di Atene, circa 530 a.C.
II. Planimetria Acropoli di Atene, circa 480 a.C.
II. Planimetria Acropoli di Atene, post 450 a.C.
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Architectural Space in Ancient Greece, Constantinos Doxiadis
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L’analisi di Doxiadis è incentrata soprattutto sui recinti sacri e i templi in quanto sono gli edifici meglio conservati della Grecia antica e che applicano al meglio il principio compositivo di cui si vogliono rintracciare le leggi; tuttavia non mancano studi riferiti ad altri spazi della città, agli edifici secolari (agorà di Magnesia, Mileto e Pergamo) in quanto tale principio compositivo, per l’autore, si porrebbe alla base dell’intera pianificazione urbana. Degli studi planimetrici rivelatori del principio compositivo, quello dell’Acropoli ateniese, è senza dubbio il più noto e il più articolato dal momento che l’organizzazione dello spazio architettonico dell’Acropoli si sviluppa in tre fasi, dall’età di Pisistrato e dei suoi successori all’età di Pericle quando si intraprese la ricostruzione monumentale del complesso concepito come un’organismo unitario. Un’analisi matematica mostra le relazioni tra gli angoli di visione e le distanze tra gli edifici le cui misurazioni vengono prese dai Propilei che si configurano come la prima e più importante posizione dalla quale l’intero sito può essere osservato. Gli archi di un cerchio sono descritti da questo punto agli angoli degli edifici e la loro posizione è determinata da una divisione dello spazio in sei o dodici parti, oppure dagli angoli e dai lati di un triangolo equilatero, forma geometrica che i pitagorici associavano ad Athena. Gli edifici così disposti possono essere visti di tre quarti nella loro interezza; qualora ciò non fosse stato possibile l’edificio sarebbe stato nascosto da un altro e proprio poiché il sistema era totale anche i vuoti, di cui quello centrale identificava la Via Sacra, unitamente alle masse costituivano uno spazio architettonico razionale e immediatamente compreso sin dall’ingresso.
Nella pagina accanto: Dettaglio delle colonne dei Propilei. 41
Dal dominio macedone all’età ellenistica
«[Atene] ha fatto si che il nome di Greci non indichi più la razza, ma la cultura, e siano chiamati Elleni gli uomini che partecipano della nostra educazione più di quelli che condividono la nostra stessa origine culturale». (Isocrate, Panegirico) Il passo tratto dal Panegirico di Isocrate, retore ateniese filo-macedone, è passibile di una duplice lettura che farebbe pensare a una possibile integrazione culturale dei barbari; in quanto identificare la Grecità con la cultura, e quindi con qualcosa di acquisibile, piuttosto che con l’elemento etnico, sembrerebbe anticipare il concetto di Ellenismo, termine coniato nell’Ottocento da Johann Gustav Droysen24 per indicare quella civiltà che va dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla battaglia di Azio25 (31 a.C.) o addirittura sino all’affermazione del cristianesimo nel III-IV secolo d.C. in cui la cultura e la lingua greca, fuse con quelle dell’Oriente e dell’Occidente, sono l’elemento unificante di un mondo la cui organizzazione politicoterritoriale e culturale è estremamente diversa da quella del V secolo a.C.. D’altra parte il passo isocrateo sembra sottolineare il fondamentale contributo ateniese all’elaborazione del concetto di Grecità, proprio grazie al livello raggiunto dalla cultura ateniese nel V-IV secolo a.C., che viene così percepito più come un fatto culturale che un fatto etnico. Proprio in virtù di questa considerazione Isocrate, al contrario di Demostene26, si rivolse a Filippo II di Macedonia27, appartenente alla dinastia degli Argeadi28 che si vantavano discendenti di Ercole e sostenevano di trarre origine dalla città di Argo, come «benefattore dei Greci, re dei Macedoni e signore dei barbari» vedendo in lui il solo capace di istituire una lega Panellenica per liberare le città greche d’Asia minore dal dominio persiano. Il regno di Macedonia fu, almeno fino alla III guerra sacra (356-346 a.C.), marginale nel mondo greco, ma la politica espansionistica e il rafforzamento economico e militare intrapreso da Filippo II, attraverso un redditizio sfruttamento delle miniere d’oro del territorio, lo portarono, a seguito della Nelle pagine precedenti: Archi delle sostruzioni della parete di fondo della Stoà di Eumene II.
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pace di Filocrate (346 a.C.), a sottomettere le poleis sulla costa dell’Egeo e della Grecia continentale. La minaccia costituita da Filippo II per l’indipendenza delle città greche, denunciata a più riprese da Demostene nelle quattro Filippiche, si concretizzò nella IV guerra sacra (339-338 a.C.) in cui l’esercito macedone sconfisse nella battaglia di Cheronea (338 a.C.) l’alleanza anti-macedone formata da Atene e Tebe costringendole alla resa. Filippo II morì nel 336 a.C. e il comando generale della Lega Panellenica passò a suo figlio Alessandro III, meglio noto come Alessandro Magno, che educato alla greca da Aristotele, si lanciò alla conquista dell’Impero persiano che sconfisse a Isso nel 333 a.C. e a Gaugamela nel 331 a.C. costringendo alla fuga il Gran Re Dario III poi ucciso dal satrapo di Battriana e riconsegnando, in segno di vittoria, ad Atene il gruppo scultoreo dei Tirannicidi, trafugato da Serse durante la seconda guerra persiana e trecento tra le armature nemiche più belle da esporre sull’Acropoli in onore dei caduti alle Termopili. Alessandro Magno, sottomesso l’Impero achemenide e conquistati i territori della valle dell’Indo, fondò un nuovo impero basato sulla fusione della cultura greca e macedone con quella persiana e si presentò ai suoi sudditi come legittimo successore del Gran Re e come monarca universale, ispirato dalla divinità, a cui tributare onori e rendere omaggio alla maniera orientale (proskýnesis), causando così tra i Greci e i Macedoni grande insoddisfazione e diversi tentativi di insurrezione e rivolta, che, a seguito della sua morte (323 a.C.), avvenuta in maniera del tutto improvvisa nel pieno dei preparativi della spedizione per la conquista dell’Arabia, sfociarono in un periodo di oltre cinquant’anni (323-281 a.C.) segnato dai conflitti tra i Diadochi29 e gli Epigoni per la spartizione dei territori dell’Impero. La situazione si stabilizzò solo attorno al 270 a.C. quando le conquiste di Alessandro furono spartite tra quattro regni detti «ellenistici» e retti da dinastie fondate da generali dell’imperatore; il regno di Macedonia, il regno di Siria, il regno d’Egitto e il regno di Pergamo che assurse alla dignità di regno nel 238 a.C. dopo la sconfitta inflitta ai Galati, celebrata dai gruppi scultorei eretti sull’Acropoli di Pergamo da Attalo I e dall’altare dedicato a Zeus Sotér e Athena Nikephoros 30 voluto dal successore Eumene II. I sovrani Attalidi si presentarono come difensori della grecità nel quadro della lotta anti-macedone e legarono i propri progetti di ascesa ed espansione a quelli imperialistici di Roma che stava allora affermando la propria supremazia nel Mediterraneo; tanto che alla sua morte (133 a.C.) l’ultimo re di Pergamo, Attalo III, lasciò in eredità alla Repubblica Romana il regno che divenne la prima provincia romana d’Asia (129 a.C.). A rimarcare il legame tra Atene e Pergamo e la continuità nella lotta contro i barbari (persiani e galati), gli Attalidi, nel II secolo a.C. nell’arco cronologico coperto da tre re (Attalo I, Eumene II, Attalo II) intrapresero un progetto di 45
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esaltazione politica onorando in Atene il centro tradizionale della cultura greca, e attraverso la costruzione di edifici monumentali e la donazione di opere d’arte (stoà e pilastri monumentali con quadrighe), manifestarono la volontà di abbellire l’antica polis, che durante gli anni del regno di Alessandro Magno aveva perso la propria centralità, negli spazi più rilevanti e significativi della città; l’Acropoli e l’Agorà. Lungo la pendice sud dell’Acropoli a sud-ovest del teatro di Dioniso fu costruita la Stoà di Eumene II di fronte alla quale si innalzava un pilastro con la statua del re, mentre nell’agorà lungo la via delle Panatenee quella di Attalo II con il relativo pilastro che conferì alla piazza una forma più regolare. Al termine della via delle Panatenee, l’ingresso ai Propilei, già dominato dal tempio di Athena Nike, venne arricchito dal pilastro monumentale con quadriga in bronzo di Eumene II, poi dedicato ad Agrippa nel corso del I secolo a.C., eretto per celebrare le vittorie della famiglia reale pergamena nei giochi delle Grandi Panatenee e commemorare l’Athena Nikephoros di Pergamo in chiaro rapporto di corrispondenza con Athena Nike. Questa politica venne intrapresa anche all’interno del recinto sacro del Partenone con la collocazione del pilastro monumentale (forse di Attalo II) all’angolo nord-est del tempio sotto una Nike che fungeva da acroterio della facciata principale. I gruppi scultorei bronzei, noti come Piccolo Donario, allineati lungo il muro sud dell’Acropoli e visibili anche dal basso, raffiguravano le tribù di Galati sconfitte, riproponendo alcune scene delle metope di Fidia, e riportando così all’immagine di Pergamo quale erede dell’Atene del V secolo a.C..
Nella pagina accanto: Vista del pilastro monumentale di Agrippa (già di Eumene II) dai Propilei. Nelle pagine successive: Tavola (III) di inquadramento territoriale in cui vengono messi in evidenza i principali edifici sino alla metà del II secolo a.C.. 47
Atene, età ellenistica, 150 a.C. circa
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La pendice sud. Spazi sacri e spazi della rappresentazione
Nelle pagine successive: Vista dell’estremità orientale della pendice sud dall’Acropoli. Vista dell’estremità occidentale della pendice sud dall’Acropoli. Tavola (IV) con ipotesi ricostruttiva dell’Acropoli e della pendice sud, II secolo d.C..
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
Il Santuario e il Teatro di Dioniso Eleutereo
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Alle pendici meridionali dell’Acropoli, nell’estremità sud-orientale che volge verso la Valle dell’Ilisso e il golfo Saronico, venne collocato sin da epoche preistoriche il culto di un dio liberatore, «eleutereo»31, alla cui immagine si lega non solo la storia religiosa ma anche quella culturale del popolo ateniese. L’immagine del culto del dio, Dioniso, simbolo di trasfigurazione e salvezza, giunse ad Atene in piena età Pisistratide da Eleutere, città situata tra l’Attica e la Beozia, per essere celebrato poi ogni anno in occasione delle Grandi Dionisie, con una processione che partiva dall’accademia, dove la statua del dio veniva portata qualche giorno prima. Per ospitare lo xoanon, icona di legno e di stoffa raffigurante la divinità venne eretto nel VI secolo a.C. un tempio di modeste dimensioni (8 x 13,5 metri) dalla pianta rettangolare, divisa in una cella e un pronao distilo in antis orientato a est. Il santuario doveva essere inserito in un’area molto ampia per garantire l’affluenza del popolo e la libertà di movimento durante le celebrazioni rituali. Il complesso santuariale, racchiuso entro un recinto sacro a cui si aveva accesso da un percorso collocato a nord, oltre al tempio collocato a nord-ovest includeva anche un altare, disposto all’estremità meridionale del themenos. Durante la tirannide di Pisistrato il culto di Dioniso venne rinnovato e assunse caratteri ben definiti. Il Tiranno volle celebrare l’origine agreste e pastorale del dio del vino e dell’ebbrezza in quanto il culto doveva essere sentito non solo dai cittadini ma anche dal popolo dei contadini. Nell’ambito del programma intrapreso la riforma religiosa fu affiancata da una profonda riforma culturale, attuata nella trasformazione significativa del cerimoniale delle feste dedicate al dio. Mentre la parte più primitiva del culto era festeggiata nelle campagne, in città le Grandi Dionisie a partire dal 535-532 a.C. assunsero tratti al tempo stesso colti e appariscenti, dove le processioni si trasformarono in sacre rappresentazioni che culminavano in gare musicali e poetiche. Il primo personaggio a distinguersi come autore e attore fu Tespi32. Di origine attica, appartenente al demo di Icaria, della sua vita e dell’attività drammatica del tragediografo si hanno poche e confuse notizie. Fu Nella pagina accanto: Vista dell’orchesta e della cavea del Teatro. 59
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La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
sicuramente lui che ebbe l’idea di impiantare un palco e di far cantare e declamare il «protagonista» di qualche avvenimento mitico o eroico in sintonia con un coro che cantava e danzava davanti all’orchestra. Questo luogo non era in origine nei pressi del Santuario di Dioniso Eleutereo ma nei pressi del Leneo, un grande santuario probabilmente collocato nell’Agorà del Ceramico, in cui venne costruito un sistema di impalcature molto elevato in grado di ospitare qualche migliaio di spettatori. Nel 499-496 a.C. le impalcature cedettero al peso della massa sostenuta causando un vero e proprio disastro in cui trovarono la morte centinaia di ateniesi. Alla luce di quanto accaduto si decise di impiantare il nuovo spazio scenico in un luogo più sicuro. La pendice sud dell’Acropoli oltre a presentare le caratteristiche orografiche più adatte rappresentava il luogo da cui lo spirito delle grandi celebrazioni dionisiache muoveva in tutto il resto della città. Fu qui che nacque la tragedia, termine che deriva dall’unione delle radici di «trágos», capro e «á(i)dô», cantare e che quindi significherebbe «canto dei capri», in riferimento al coro dei satiri, o «canto per il capro». Nella prima accezione del termine dunque i capri sarebbero gli hypokritai, cioè gli attori mascherati da capri, mentre nella seconda l’animale sarebbe da intendersi come vittima sacrificale del quale l’uomo si priva in un momento sacro. Ad avvalorare questa seconda ipotesi sono giunti a noi gli scritti dei grammatici alessandrini, che intesero il termine tragodia come «canto per il sacrificio del capro», e di Orazio, che nell’Ars Poetica scrive «[...] e chi gareggiò nell’agone tragico per il misero caprone [...]». Sull’origine della Tragedia la fonte primaria del dibattito è Aristotele che nella Poetica ne individua i tratti originari nell’improvvisazione del ditirambo, antica forma di lirica corale greca, sviluppatasi nell’ambito dei riti dionisiaci, a carattere tumultuoso e orgiastico. Nello spirito dionisiaco, irrazionale ed istintivo, inteso come massima espressione dello slancio vitale anche Nietzsche33 individua l’origine della tragedia. La prima fase costruttiva databile alla prima metà del V secolo a.C. mostra affinità con il teatro dell’Agorà del Ceramico. Infatti prevedeva la presenza di una struttura a gradinata in legno a forma di «pi greco», montata su impalcature, con 45 file di sedili e con una proedria in pietra calcarea del Pireo. Al teatro si accedeva o dalla base e quindi dalle parodoi o dall’alto tramite il sentiero del Peripatos, che ne limitava l’estensione a nord. A est la sua presenza potrebbe aver influenzato l’orientamento dell’Odeon di Pericle. Un edificio ad un solo piano di cui non sono rimaste tracce doveva collocarsi di fronte al koilon e servire alla rappresentazione come sfondo scenografico. L’orchestra era in terra battuta. Nella seconda metà del IV secolo a.C. il Teatro acquisì una dignità Nella pagina accanto: Sedili della proedria e trono del sacerdote del Santuario di Dioniso. 61
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La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
monumentale e per dimensione e per tecniche costruttive e materiali impiegati. Questa fase di riorganizzazione incluse anche il recinto sacro del Santuario e dalle fonti, è possibile attribuirla a Licurgo. In seguito all’esecuzione di un ingente scavo nella pendice fu aumentato in maniera significativa il numero dei gradini che, tutti realizzati in pietra, accrebbero la capacità di accoglienza a 17000 spettatori. La cavea raggiunse un raggio di 82 metri ed era interrotta solo in corrispondenza del Peripatos che assolse alla funzione di diazoma. Alla prima fila di proedria vennero aggiunti 67 klismoi, sedili marmorei, con al centro il trono riservato al sacerdote di Dioniso. L’edificio scenico divenne stabile e presentava una parte centrale più lunga con parasceni aggettanti verso l’orchestra e ali laterali. Sempre nella seconda metà del IV secolo a.C. vi furono degli interventi architettonici anche all’interno del recinto sacro del Santuario di Dioniso. Infatti venne costruito un secondo tempio, collocato sei metri a sud del tempio arcaico e probabilmente dorico tetrastilo, e una stoà che, collocata a nord a chiusura del themenos, si volge con un portico su due livelli a sud. L’edificio, ad un’unica navata, all’estremità sud-ovest si legava al tempio arcaico. Ulteriori interventi al Teatro vennero intrapresi in età ellenistica e in epoca romana. La facciata assunse un aspetto sempre più monumentale in funzione delle mutate necessità della rappresentazione scenica. In età imperiale, sotto Nerone, l’orchestra assunse la forma a ferro di cavallo che la caratterizza ancora oggi e fu lastricata a losanghe; inoltre venne separata dalla proedria da lastre marmoree ricurve in funzione della messa in scena di spettacoli gladiatori o naumachie. Al centro dell’orchestra fu collocato un altare di dimensioni ridotte in onore del dio. Tra la seconda metà del IV e l’inizio del V secolo la fronte del palcoscenico venne arricchita da un apparato scultoreo a rilievo con scene della vita di Dioniso e da sculture di sileni, probabilmente tutti materiali di reimpiego risalenti ai secoli precedenti. In particolare potrebbero risalire all’età adrianea ed appartenere alla frons scaenae. Nel corso dei secoli a venire il Teatro subì numerosi danni e visse lunghi periodi di semi-abbandono: nel V secolo d.C. venne costruita una basilica nella parodos est, nel periodo bizantino vi fu costruito un edificio sul quale si impiantò il Rizokastro34 nel XIII secolo. A seguire l’area del teatro fu abbandonata e celata da strati di terra e detriti fino a che nel 1841 non iniziarono gli scavi che portarono al suo rinvenimento condotti dal topografo e archeologo inglese William Martin Leake35. I lavori di scavo furono poi portati avanti sul finire del secolo da Wilhelm Dörpfeld36. Nella pagina accanto: Sileno del proscenio di epoca adrianea. Nelle pagine successive: Tavola (V) con ipotesi ricostruttive della pianta del Santuario, del Teatro e dell’Odeon. 63
Santuario e Teatro di Dioniso Eleutereo e Odeon di Pericle
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TAV. V
L’Odeon di Pericle
Sebbene gli scavi archeologici abbiano permesso di ricostruire solo parzialmente l’Odeon di Pericle, l’importanza che la sua edificazione ha assunto nel mondo antico ci è testimoniata dalle numerose fonti letterarie che ne hanno decantato la maestosità e l’alto valore simbolico. I principali autori sono Pausania, Vitruvio e Plutarco che, concordando sulla collocazione a est del Teatro di Dioniso, divergono nella motivazione e attribuzione della costruzione. Vitruvio infatti sostiene che l’edificio fu costruito da Temistocle usando per la copertura il legno delle navi persiane sconfitte a Salamina nel 480 a.C. mentre Plutarco ritiene sia stato commissionato da Pericle, rappresentando uno dei maggiori interventi costruttivi dell’età Classica. Al di là dell’esatta collocazione temporale, all’edificio fu affidato un alto valore programmatico come si può desumere dall’analisi dei modelli formali di riferimento. Lo schema planimetrico della sala ipostila richiama sia le sale di udienza dei grandi palazzi orientali, ad esempio Persepoli37, che alcuni edifici greci quali il Thelesterion di Eleusi38, già di età pisistratea, e il Thersilion di Megalopoli39, di età più tarda. Così come la copertura piramidale a quattro spioventi con un eventuale lucernario al centro del tetto per illuminare la grande sala sarebbe un riferimento alla monumentale tenda da campo militare da cui il Re persiano Serse aveva assistito dal monte Egaleo alla disfatta di Salamina. L’edificio segnò, assieme alla costruzione del Teatro di Dioniso, un momento di svolta fondamentale per lo sviluppo urbanistico e architettonico della pendice sud dell’Acropoli, che dalla metà del V secolo in poi fu eletta, per le caratteristiche orografiche e climatiche a sede di edifici cultuali e culturali legati alle celebrazioni delle Grandi Dionisie e delle feste panatenaiche. La pendice sud al di sotto della rocca sacra si configura quindi come xystus40 mirante la valle dell’Ilisso e il golfo Saronico, teatro dell’imperialismo marittimo su cui Atene nel corso V secolo fonda la propria supremazia sulle città della Grecia. Nella pagina accanto: Tavola (VI) con ipotesi ricostruttiva della pianta e della sezione dell’Odeon, basata sugli studi di J. Travlos.
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Odeon di Pericle
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TAV. VI
L’edificio doveva quindi presentarsi come una grande sala pressoché quadrata (63 x 69 metri) scandita all’interno da nove file di colonne marmoree in senso est-ovest e dieci in senso nord-sud (Travlos nella sua ipotesi ricostruttiva ipotizza una maglia strutturale di 9x9). Ai quattro lati erano situate le gradinate mentre al centro si trovava l’orchestra. Il monumento si erigeva sopra un alto podio che ne evidenziava la mole. Gli ingressi erano probabilmente collocati ai lati sud, est e ovest mentre per l’alzato non si sa se l’edificio fosse aperto o presentasse delle pareti che ne chiudessero il perimetro esterno. L’Odeon fu definito così sin dagli anni della sua costruzione in quanto destinato principalmente allo svolgimento degli agoni musicali ma dimostrò sin da subito la capacità di prestarsi a diverse funzioni. Fu infatti il tribunale in cui si svolse il processo nel quale i Trenta fecero condannare i prigionieri eleusinii ma anche luogo per le discussioni filosofiche, di ricovero per la cavalleria ateniese, granaio e deposito delle derrate alimentari.
Nella pagina accanto: Tavola (VII) con riferimenti planimetrici dell’Odeon.
Telesterion, Eleusi, 550-435 a.C.
Thersilion, Megalopoli, 370 a.C.
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Riferimenti tipologici Odeon di Pericle
TAV. VII
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
I monumenti coregici
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Con la nascita della tragedia e l’affermazione di grandi feste cittadine dedicate a Dioniso comparvero nel panorama urbano dei monumenti realizzati con l’intento di commemorare la vittoria nelle rappresentazioni liriche. Questi presero il nome di coregici in quanto i coregoi (da «choros», coro e «hegeonoi», guida; letteralmente colui che guida il coro) erano cittadini ateniesi particolarmente abbienti che, scelti dall’arconte, dovevano sostenere tutte le spese necessarie alla preparazione e allo svolgimento delle rappresentazioni teatrali. Nel periodo precedente gli spettacoli il corego doveva ospitare e nutrire tutta la compagnia, composta dal maestro del coro nonché autore, il didaskalos, gli attori e i flautisti; doveva inoltre fornire i costumi di scena e le maschere, procurare il luogo dove la compagnia potesse andare a fare le prove e, in caso di vittoria nella competizione, doveva offrire un banchetto. In cambio dell’investimento economico il corego guadagnava grande visibilità presso la comunità intera, il che rendeva questo servizio pubblico molto ambito da coloro che si dedicavano alla vita politica. Al corego che aveva sostenuto la compagnia vincitrice spettava come trofeo un tripode di bronzo che doveva dedicare al culto di Dioniso e, sempre a sue spese, doveva erigere un piccolo monumento che lo ospitasse. In base alle disponibilità monetarie del committente i monumenti potevano presentare caratteristiche differenti e nell’uso dei materiali e nelle dimensioni e nelle tipologie formali adottate; alcuni erano molto semplici con basi di marmo circolari su cui veniva posizionato il tripode mentre altri erano più elaborati e riprendevano la tipologia del tempio. Ogni monumento recava un’iscrizione che riportava il nome del corego vincitore, della tribù cui apparteneva il coro, del flautista nonché dell’arconte eponimo; quest’ultimo era fondamentale per la datazione. Tutti questi monumenti erano collocati lungo l’antica Via dei Tripodi che, a partire dal Pritaneo41 si sviluppava alle pendici orientali dell’Acropoli e giungeva fino alla soglia del Santuario e del Teatro di Dioniso. I resti archeologici e la testimonianza letteraria di Pausania riportano la presenza di circa un centinaio di monumenti disposti lungo il lato della strada rivolto verso l’Acropoli e in grado di segnarne ancora oggi l’andamento. Nella pagina accanto: Monumento coregico di Lisicrate. 71
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
Il monumento coregico di Trasillo
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Il monumento coregico di Trasillo è situato davanti ad una cavità naturale che si apre nella parete rocciosa della pendice meridionale dell’Acropoli in prossimità dell’ultima gradinata della summa cavea del Teatro di Dioniso. Fu eretto nel 320-319 a.C. dal corego Trasillo e successivamente completato e arricchito dal figlio Trasicle nel 271 a.C. per celebrare il padre e le proprie vittorie personali. L’area, in posizione privilegiata e ben visibile da lontano è sede anche di altri monumenti coregici, quali le due colonne corinzie dai capitelli triangolari risalenti al IV o III secolo a.C. o forse all’epoca romana, che si elevano proprio al di sopra del monumento di Trasillo. La facciata monumentale scandita da tre pilastri dorici, di cui i due angolari di proporzioni maggiori rispetto a quello centrale si erige al di sopra di un basamento di due gradini che si innestava nelle ultime gradinate della summa cavea del teatro. L’architrave, che riporta l’iscrizione della vittoria di Trasillo, si compone di due blocchi in marmo che dovevano congiungersi in corrispondenza del pilastro centrale. Al di sopra correva un fregio ornato con undici corone in bassorilievo, delle quali la centrale con foglie di edera e frutti, le altre con ramoscelli di olivo e frutti. La facciata non era aperta ma caratterizzata dalla presenza di porte tra i pilastri, che celavano la stanza scavata nella roccia (6 x 2 metri). Il monumento in origine era sormontato da un unico tripode, poggiato su tre gradini, ma con l’intervento di Trasicle nel 271-270 a.C. vennero aggiunte due basi ai lati del podio centrale cosicché vi furono collocati due tripodi e al centro la statua di Dioniso. Altra ipotesi ritiene che la statua del dio sia stata posizionata sul monumento solo in epoca tardoromana, affiancata da due sculture sulle basi laterali. Il monumento di Trasillo fu poi convertito in luogo di culto cristiano dedicato alla Vergine Spiliotissa.
Nella pagina accanto: Monumento coregico di Trasillo. Nelle pagine successive: Tavole (VIII, IX) con ipotesi ricostruttive della pianta e del prospetto del monumento, basate sugli studi di Stuart e Revett (1787). 73
Monumento coregico di Trasillo
TAV. VIII
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TAV. IX
Il monumento coregico di Nicia
Il monumento coregico di Nicia è situato nell’area del Santuario di Dioniso, oltre la Via dei Tripodi, a ridosso dell’angolo sud-orientale della Stoà di Eumene II. Fu eretto da Nicia, figlio di Nicodemo, corego di un coro vittorioso di una compagnia che aveva interpretato l’Elpenore 42 di Timoteo. Il monumento presentava le sembianze di un tempietto (17 x 12 metri) prostilo esastilo di ordine ionico ed aveva la facciata ispirata a quella orientale dei Propilei. L’edificio, con un portico leggermente più grande delle pareti laterali della cella, riportava nei tre blocchi centrali dell’architrave l’iscrizione commemorativa. Dal punto di vista costruttivo sono stati individuati materiali diversi: breccia per le fondazioni, poros per le pareti della cella e i triglifi, marmo pentelico per le colonne, le antae, l’architrave e le metope, i gheisa e i timpani. I triglifi, unico partito della trabeazione non in marmo, dovevano essere dipinti in blu per celare la differenza di materiale. Il tripode probabilmente trovava la sua collocazione o all’interno del naós o come acroterio centrale al di sopra del timpano. Oggi del monumento si conservano nel luogo in cui fu eretto solo le fondazioni mentre numerosi elementi architettonici come blocchi dell’architrave, triglifi, metope e un capitello d’anta sono stati reimpiegati in epoca romana a seguito dell’invasione degli Eruli (267 a.C.) nella realizzazione della Porta di Beulé43.
Nella pagina accanto: Tavola (X) con ipotesi ricostruttive della pianta e del prospetto del monumento.
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Monumento coregico di Nicia
TAV. X
Il monumento coregico di Lisicrate
Il monumento coregico di Lisicrate, già noto con il nome di Lanterna di Demostene, è il meglio conservato dei monumenti che caratterizzavano l’antica Via dei Tripodi, un tracciato stradale che a partire dal Pritaneo correva lungo le pendici orientali dell’Acropoli fino ad immettersi nell’area del Santuario e del Teatro di Dioniso. Il numero dei monumenti coregici collocati lungo questa strada doveva essere prossimo a un centinaio; nella sola zona di scavo del monumento di Lisicrate sono state individuate le tracce dei plinti di otto monumenti coregici, sei a sud e due a nord. Fu eretto dal corego Lisicrate, figlio di Lisitide, in occasione della vittoria negli agoni ditirambici delle Grandi Dionisie del 335-334 a.C.. Il monumento è più elaborato rispetto alle semplici basi generalmente poste a supporto dei tripodi. In origine alto almeno 10 metri, si componeva di tre parti: uno zoccolo in calcare alla base, un monumento cilindrico di marmo con copertura conica e un tripode bronzeo andato perduto. Sopra la struttura di fondazione, una crepidine di tre gradini sorregge un basamento quadrato che culmina con un plinto sporgente su cui è collocato il monumento a base circolare. Questo si configura come un monoptero con sei colonne corinzie. Gli intercolumni sono chiusi da lastre ricurve costituite da due parti distinte, quella inferiore liscia mentre quella superiore decorata con tripodi a rilievo. Un architrave a tre fasce e un fregio scolpito raffigurante la vittoria di Dioniso contro i pirati Tirreni, realizzati in blocchi monolitici dal diametro di 2,5 metri, sorreggono una cornice sopra la quale si trova la copertura conica e monolitica, con superficie lavorata a tegole curve e foglie. Il monumento è sormontato da un elaborato cesto di elementi vegetali cui si collegano tre volute che in origine serviva da piedistallo del tripode. Il monumento di Lisicrate venne inglobato nel 1669 in un convento di Frati Cappuccini, a partire dal 1845 fu restaurato e solo nei primi anni del ‘900 venne indagata dal punto di vista archeologico l’area in cui il monumento si colloca.
Nella pagina accanto: Tavola (XI) con restituzione della pianta, del prospetto e dettaglio del monumento.
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Monumento coregico di Lisicrate
TAV. XI
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
Il Santuario di Asclepio
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Il santuario di Asclepio affonda le sue origini nel 420/419 a.C. quando Telemaco di Acarne, un facoltoso cittadino ateniese, decise di fondare sulle pendici meridionali dell’Acropoli un’area di culto dedicata alla venerazione di Asclepio (Esculapio per la tradizione romana), personaggio della mitologia greca, figlio di Apollo e Coronide, dio della medicina, della guarigione e dei serpenti. Il mito racconta che il dio avesse inventato una tecnica di guarigione che gli permetteva di curare ogni tipo di ferita ed ogni tipo di malattia facendo addirittura risorgere i morti, capacità che ne diffuse il credo presso i negromanti. Il suo culto aveva centro ad Epidauro, ma era onorato anche ad Egina, a Pergamo e poi a Roma a partire dal III secolo a.C.. Il complesso santuariale di Atene sorge immediatamente a est del teatro di Dioniso, in un’area dal clima favorevole caratterizzata dalla presenza di due sorgenti, il che rendeva il luogo particolarmente adatto al culto di una divinità protettrice della salute fisica. Il documento più significativo per la storia dell’Asklepeion è il cosiddetto monumento di «Thelemachos», una vera e propria cronaca di fondazione del santuario. L’iscrizione riportata registra annualmente l’attività edilizia svolta nell’impianto dal 420 a.C. fino al 412 a.C.. I rilievi, con episodi della vita del dio e del suo culto, sono una fondamentale testimonianza per la comprensione della topografia dell’impianto e per la sua storia. Il monumento inoltre suggerisce un’originaria provvisorietà degli edifici del nucleo primigenio, in parte lignei. L’impianto planimetrico presenta numerose similitudini con il più noto recinto sacro di Epidauro. All’area, disposta su due terrazzamenti, di cui quello orientale ha ospitato i primi interventi architettonici, si accede mediante un portale d’ingresso, i Propilei. Una stoà ionica per l’accoglienza dei malati e una cisterna d’acqua per la pulizia preliminare degli infermi precedevano l’accesso all’area cultuale vera e propria. Questa era composta da un tempio di piccole dimensioni, un altare per il dio e una stoà dorica su due livelli che aveva la funzione di accogliere i pazienti e da cui si aveva l’accesso alla fonte ipogea e al pozzo sacro. Nella pagina accanto: Ricostruzione della stoà dorica del santuario, lato occidentale. 81
Il tempio (11 x 6 metri) prostilo tetrastilo di ordine ionico, di cui oggi sono conservate solo le fondazioni, testimonia l’esistenza di diverse fasi costruttive, e per l’impiego di materiali diversi, poros e conglomerato, e per l’uso di differenti tecniche di messa in opera e fissaggio dei blocchi. Il fregio della sua porta d’ingresso, confrontabile con le modanature dell’Eretteo, ci testimonia l’esistenza di una fase edilizia della fine del V secolo a.C.. Alla stessa fase appartiene anche la stoà ionica (25 x 13 metri) che, collocata più ad occidente, consta di un portico di 11 colonne ioniche che introducono a 4 vani quadrangolari cui si accede da porte asimmetriche rispetto ai singoli ambienti, in grado di ospitare 11 klinai 44 ciascuno. Date queste caratteristiche la struttura è stata riconosciuta come un hestiatorion 45, edificio destinato al consumo di pasti rituali collettivi. Inoltre gli studi condotti sulle proporzioni delle colonne annoverano la stoà, assieme al Tempio di Athena Nike e al Tempio ionico46 sull’Ilisso, tra gli edifici a testimonianza del pieno e maturo classicismo ionico-attico dell’Atene del V secolo a.C.. Nei primi anni del III secolo a.C. venne costruita la stoà dorica (50 x 10 metri) a due piani di cui oggi rimangono le fondazioni, parte dello stilobate e della parete di fondo, assieme a numerosi elementi di facciata. L’edificio era addossato alla superficie rocciosa dell’Acropoli, che per l’occasione venne regolarizzata tramite un significativo lavoro di scavo. Molto probabilmente proprio durante la fase di cantiere venne scoperta la seconda fonte di acqua sorgiva, poi protetta da una grotta circolare cui si aveva accesso dalla parete di fondo del piano inferiore. Dalla fonte l’acqua circolava all’interno dell’edificio e veniva canalizzata nella cisterna, esterna al themenos sacro. Il portico, dorico nei due livelli esterni, e ionico in quello inferiore interno, presentava diciotto intercolumni. Di questi, cinque sul lato occidentale e uno su quello orientale, erano chiusi con filari di blocchi in marmo dietro cui erano collocate le scale che portavano al livello superiore. La scoperta e il crescente della nuova fonte portarono al progressivo abbandono della krene47 arcaica collocata più ad occidente, oltre l’hestiatorion. Di difficile datazione ed interpretazione è il bothros48 situato all’interno della stoà dorica, ad una quota di poco superiore il secondo livello. Si tratta di un pozzo circolare delimitato da una muratura in opera poligonale e coperto da una struttura a baldacchino sorretta da quattro colonne. Se da una parte l’ipotesi sostenuta mette in relazione il pozzo ad un heroa, cioè al luogo in cui venivano celebrati i sacrifici che Asclepio avrebbe ricevuto per il suo culto eroico, dall’altra la cavità viene considerata solo come una cisterna d’acqua, funzionale alle attività di cura e benessere svolte nel santuario. Per le tecniche adottate nella costruzione del pozzo si ritiene che sia stato realizzato prima della stoà dorica e che risalga all’impianto originario del santuario. A partire dalla fine del II secolo a.C. diversi furono gli interventi di restauro legati soprattutto all’evergetismo dei privati. Una ricostruzione più
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
significativa, che coinvolse i Propilei e il piccolo Tempio, fu intrapresa nel I secolo a.C. a seguito delle devastazioni legate all’assedio di Silla (8786 a.C.). All’età imperiale risalgono interventi che hanno interessato il lato meridionale del themenos sacro, con la probabile costruzione di una stoà. La fase più tarda della vita del santuario si lega ai restauri della stoà dorica nella metà del II secolo d.C.. A seguito dell’invasione degli Eruli (267 d.C.) il santuario versò a lungo in uno stato di semi-abbandono, che portò alla rovina dell’impianto, che poi nel corso del V secolo d.C. venne trasformato in una basilica paleocristiana.
Nelle pagine successive: Tavole (XII, XIII) con ipotesi ricostruttive del santuario in pianta, prospetto e sezione in età imperiale (II secolo d.C.). Tavole (XIV, XV, XVI, XVII) con ipotesi ricostruttive in pianta, prospetto e sezione degli edifici costituenti il complesso sacro originario. Tavola (XIII) con ipotesi ricostruttiva in età paleocristiana (V secolo d.C.). 83
Santuario di Asclepio, I secolo d.C.
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TAV. XII
Prospetto e Sezione del Santuario di Asclepio, I secolo d.C.
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Santuario di Asclepio, Sezioni e Fasi costruttive
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Stoà Ionica del Santuario di Asclepio
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Propilei del Santuario di Asclepio
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Tempio di Asclepio
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Santuario di Asclepio, Periodo Cristiano
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TAV. XVIII
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
La Stoà di Eumene II
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
La Stoà di Eumene II si estende lungo il pendio meridionale dell’Acropoli, tra l’Odeon di Erode Attico ad ovest, la terrazza del Santuario di Aclepio e il Peripatos a nord e il Santuario e il teatro di Dioniso a est. L’edificio venne costruito dal sovrano Eumene II, che regnò dal 197 a.C. al 159 a.C., nell’ambito del programma politico-culturale promosso dalla dinastia Attalide nel II secolo a.C.. Gli interventi messi in atto portarono ad una progressiva occupazione degli spazi semanticamente più rilevanti della città. In particolare questi si concentrarono lungo i due percorsi di accesso alla città alta, il Peripatos e la Via delle Panatenee. La Stoà di Eumene II si presentava come un portico rettangolare (163 x 18 metri) a due piani e a due navate. Al piano inferiore era composta da un colonnato di 64 colonne di ordine dorico all’esterno e 32 di ordine ionico all’interno. Al piano superiore in facciata vi erano doppie semicolonne ioniche mentre internamente le colonne avevano capitelli a palma di tipo pergameno. Per la costruzione dell’edificio fu necessario un ingente lavoro di scavo e regolarizzazione del pendio subito a sud del Peripatos con la successiva erezione di un possente muro di contenimento dalla stratigrafia piuttosto articolata. A partire dall’interno si trova un muro di blocchi di breccia al quale si lega una fila di 42 arcate in poros e infine un muro pieno in poros distanziato da un’intercapedine dalle arcate e foderato esternamente da uno zoccolo in marmo dell’Imetto. Quest’ultimo strato costituiva la parete di fondo della stoà e celava gli archi di contenimento. Di fronte alla stoà venne realizzata una terrazza dalla profondità massima di 32 metri su cui molto probabilmente era collocato un pilastro monumentale con la statua del re. L’edificio in origine presentava una composizione simmetrica, con la presenza di rampe di scale in corrispondenza dei due estremi del corpo longitudinale. Ma con l’edificazione in epoca romana dell’Odeon di Erode Attico il lato occidentale venne ridimensionato con la creazione di una parete sulla quale si aprivano due porte. Nella pagina accanto: Arcate di sostruzione ed elementi architettonici dello zoccolo della parete di fondo della stoà 95
Una permetteva l’accesso al piazzale antistante l’Odeon, l’altra invece costituiva un passaggio diretto al vestibolo orientale dello stesso edificio. La stoà andò distrutta dopo la metà del III secolo a.C. a seguito dell’invasione degli Eruli; venne spoliata del materiale da costruzione che venne poi reimpiegato nelle mura cittadine49. In situ oggi sono ancora visibili, oltre alle arcate di sostruzione e parte della parete di fondo, le fondazioni dello stilobate esterno e di diciotto basamenti delle colonne interne. La Stoà di Eumene II venne edificata per assolvere alla funzione di ospitare i numerosi cittadini che attendevano la messa in scena degli spettacoli teatrali durante le grandi festività ateniesi. A distanza di circa un decennio, nel 140 a.C, per volere di Attalo II, fratello di Eumene II, fu costruita nell’agorà un’altra stoà che, porta il suo nome. Questa, probabilmente progettata dallo stesso architetto della Stoà di Eumene II, in quanto collocata nel centro della vita pubblica della città doveva assolvere a funzioni differenti. La stoà, che si presentava come un portico rettangolare (116 x 20 metri) a due piani e a due navate, mostra grandi affinità con la Stoà di Eumene II, e nell’uso degli ordini su entrambi i livelli e nella partitura della fascia di trabeazione. Diversamente dalla stoà collocata a sud dell’Acropoli sulla navata interna si affacciavano 21 ambienti al piano inferiore e 22 al piano superiore, che erano impiegati come spazi commerciali. Inoltre il portico, oltre ad essere luogo di incontro costituiva un palco privilegiato per assistere alle celebrazioni delle processioni panatenaiche.
Nelle pagine successive: Tavola (XIX) con ipotesi ricostruttive della pianta e del prospetto della stoà. Tavola (XX) di confronto tra lo stato attuale e l’ipotesi ricostruttiva di una porzione di prospetto.
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Stoà di Eumene II
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TAV. XIX
Stoà di Eumene II, stato attuale e ipotesi ricostruttiva prospetto
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TAV. XX
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
L’Odeon di Erode Attico
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
L’Odeon di Erode Attico, situato nell’area sud-occidentale dell’Acropoli, all’estremità ovest della Stoà di Eumene II, è l’ultimo intervento architettonico significativo che ha interessato la pendice sud. Fu fatto erigere a partire dal 164 d.C. dal politico e sofista Erode Attico, personaggio eccentrico di origini greche che fece carriera come funzionario di stato al servizio dell’impero fino ad entrare anche nel senato romano in qualità di collaboratore dell’imperatore Adriano, con cui coltivò una lunga amicizia nonostante la notevole differenza d’età50. L’Odeon, concluso prima del 174 d.C. fa parte delle varie opere commemorative volute dal senatore in memoria della moglie Appia Annia Regilla, uccisa da un liberto forse per suo stesso ordine. L’edificio è il terzo odeon ateniese, a seguito di quello pericleo del V secolo a.C. e di quello costruito nel 16-14 a.C. come dono alla città da parte di Agrippa, amico e genero di Augusto. Chiamato dalle fonti letterarie anche Theatron 51, oltre alle audizioni musicali ospitò anche letture, conferenze filosofiche e rappresentazioni teatrali. La cavea, rivolta a sud e scavata sul pendio dell’Acropoli, presenta un diametro di circa 81 metri ed è definita esternamente da una serie di contrafforti. In origine poteva ospitare tra i 4500 e i 5500 spettatori. Un diazoma suddivide l’ima cavea, con 21 file di sedili scompartiti in cinque kerkides 52 principali e due laterali ridotti, dalla summa cavea, composta da 14 file di sedili scompartiti in dieci kerkides principali e due laterali ridotti. La cavea probabilmente culminava in un portico. I sedili, disposti in file continue e realizzati in marmo, nell’ima cavea erano decorati con zampe leonine in corrispondenza delle scalinate. Intorno all’orchestra invece trovavano posto i sedili della proedria, che, anch’essi di marmo erano però dotati di schienale e di gradino per l’appoggio dei piedi. L’orchestra, pavimentata con lastre marmoree romboidali, di colore bianco e grigio, era accessibile dal pulpitum e dai parodoi laterali. La frons scaenae, ampiamente conservata (92 x 28 metri) è costituita da un corpo centrale e da due ali laterali di dimensioni ridotte. La facciata, Nella pagina accanto: Aperture a tutto sesto del terzo e quarto livello del parascenium orientale 101
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
su tre o forse in origine quattro livelli presenta tre ingressi che dal pulpitum conducono al post-scaenium. Ai lati dei tre accessi, inserite nella muratura, vi sono quattro coppie di nicchie che, alternativamente circolari e rettangolari, erano in origine inquadrate entro edicole con colonne dai capitelli corinzi. Al secondo livello, al di sopra di una serie di piccole nicchie rettangolari non in asse con quelle inferiori, è presente una grande nicchia centrale, ai lati della quale si collocano sei finestre a volta. Del terzo livello è rimasta solo un’apertura ad arco, mentre il quarto, ad oggi scomparso, è stato ipotizzato e dalla presenza di un quarto piano nei parascenia e dagli studi dei due architetti e archeologi James Stuart (1713-1788) e Nicholas Revett (1720-1804), autori delle Antiquities of Athens 53 (1762). I parascenia presentavano quattro finestre a tutto sesto per lato negli ultimi due livelli. Ciascun parascenium era dotato di due vestiboli da cui si accedeva ad un sistema di rampe di scale per accedere alla cavea. I vestiboli collocati sul lato interno erano collegati con gli ingressi laterali del pulpitum e verso le parodoi, mentre quello sito all’estremo occidentale era comunicante con il portico della Stoà di Eumene II. L’Odeon infatti sin dalla costruzione fu concepito per innestarsi nell’edificio di epoca attalide in modo da instaurare con esso un rapporto non solo di continuità fisica ma anche funzionale. Il post-scaenium, poco conservato, doveva presentare al piano inferiore una sala rettangolare voltata a botte e decorata da ricchi mosaici. Dalle fonti pervenute si è appreso che l’edificio in origine poteva presentare una copertura lignea parziale se non totale della cavea anche se l’assenza di elementi predisposti al supporto di possibili strutture pesanti a riparo dell’Odeon rende molto discussa e non del tutto riconosciuta questa ipotesi. Tra i materiali impiegati nella costruzione quasi tutto il rivestimento esterno è costituito da blocchi di poros mentre per l’interno delle murature è adottata la tecnica romana dell’opus caementicium 54. Numerose erano le pareti rivestite in marmo, mentre ricchi mosaici caratterizzavano gli ambienti interni del post-scaenium e dei vestiboli di ingresso. Sontuoso doveva essere in origine l’apparato scultoreo di cui oggi si conserva solo una scultura maschile e un volto femminile. L’Odeon venne distrutto molto probabilmente da un incendio durante l’invasione degli Eruli nel 267 a.C.. In periodo medievale divenne parte integrante delle mura a difesa del palazzo del Duca di Atene. A partire dal XVII secolo ha suscitato grande interesse nell’immaginario dei viaggiatori europei, molti dei quali lo scambiarono per il Teatro di Dioniso in quanto all’epoca il sito esatto del Teatro non era ancora conosciuto. Nel 1848 iniziarono gli scavi promossi dalla Società Archeologica di Atene guidati Nella pagina accanto: Vista dell’accesso al diazoma, della summa cavea e delle aperture del terzo e quarto livello del parascenium occidentale 103
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
La pendice sud. Spazi sacri e della rappresentazione
dall’archeologo greco Kyriakos Pittakis55, che portarono alla luce, al di sotto di numerosi strati di cenere, parte dei sedili della cavea e della pavimentazione dell’orchestra. Ulteriori studi sull’Odeon furono condotti dall’architetto tedesco W. P. Tuckermann56 (1840-1819), che propose una ricostruzione della facciata in cui questa era preceduta da un quadriportico colonnato sopraelevato su una crepidine di tre gradini, e dall’archeologo ateniese Frideriko Versakis57 (1880-1921) per la Società Archeologica Greca. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Anastasios Orlandos58 (1887-1979) ne curò il restauro che dal 1950 al 1961 portò alla ricostruzione in marmo pentelico dei sedili della cavea e alla ripavimentazione in lastre bianche e grigie dell’orchestra, secondo il disegno originario a elementi romboidali alternati. Il restauro ha così permesso di riconsegnare all’edificio la sua funzione originaria e dal 1957 viene impiegato per la messa in scena di rappresentazioni teatrali ed eventi musicali.
Nella pagina accanto: Dettaglio dei sedili della summa cavea nella ricostruzione di Anastasios Orlandos. Nelle pagine successive: Vista generale della cavea, dell’orchestra e della frons scaenae dell’Odeon. Tavola (XXI) con ipotesi ricostruttive della pianta e dell’Odeon e della Stoà di Eumene II. Tavola (XXII) con ipotesi ricostruttive della sezione dell’Odeon e della Stoà. Tavola (XXIII) con ipotesi ricostruttive di W. P. Tuckermann (1868). 105
Odeon di Erode Attico e Stoà di Eumene II
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Sezione Odeon di Erode Attico
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Odeon di Erode Attico, ricostruzione di W. P. Tuckermann (1868)
TAV. XXIII
«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
La conquista romana
Al termine della terza guerra macedonica (171-168 a.C.) in cui il console romano Lucio Emilio Paolo, su consiglio dell’alleato Eumene II, re di Pergamo, sconfisse nella battaglia di Pidna (168 a.C.) i Macedoni guidati dal propio re Perseo, l’antico regno di Macedonia fu diviso, su proposta di Catone, in quattro repubbliche autonome ed indipendenti senza possibilità di intrattenere rapporti commerciali e civili tra loro, deportando a Roma cittadini e uomini di governo e applicando così in maniera rigorosa il principio del divide et impera. Roma trasformò la Macedonia in provincia nel 148 a.C. a seguito della rivolta scoppiata nel 149 a.C. guidata da Andrisco a cui pose fine il console Lucio Mummio che sconfisse anche la Lega Achea distruggendone la città di Corinto, centro della ribellione anti-romana, e istituendo la provincia di Macedonia e il protettorato di Acaia e da cui rimasero libere la Lega etolica, Atene e Sparta. «Gli eserciti del popolo romano non portavano la schiavitù a chi era libero, ma, al contrario, la libertà a chi era in condizione di servitù». (Livio, Ab Urbe condita, XLV, 18) La libertà di cui parla lo storico Tito Livio era solamente formale e le poleis più rappresentative della Grecia classica, private dell’indipendenza e del diritto, furono ridotte in una condizione quasi museale da cui molte città, tra cui Atene governata dal tiranno Aristione, tentarono di ribellarsi nel corso della prima guerra mitridatica (89-85 a.C.) vedendo in Mitridate VI, re del Ponto, il liberatore dei Greci dal dominio romano. Nonostante la guerra civile scoppiata a Roma e la contrapposizione con Gaio Mario, Lucio Cornelio Silla intraprese nel 87 a.C. la campagna militare contro Mitridate e le città ribelli dell’Acaia, sconfiggendo a più riprese il re del Ponto che costrinse a firmare la pace (85 a.C.) e annettendo a Roma le città greche che avevano cooperato al massacro di 80.000 civili romani e italici e riservando ad Atene Nella pagine precedenti: Vista dell’Agorà Romana e della Biblioteca di Adriano dall’Acropoli.
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una punizione esemplare. «Seguì ad Atene un grande e spietata strage. Gli abitanti erano troppo deboli per scappare, per mancanza di nutrimento. Silla ordinò un massacro indiscriminato, non risparmiando donne o bambini.[…]. La maggior parte degli Ateniesi, quando sentirono l’ordine dato, si scagliarono contro le spade dei loro aggressori volontariamente. Alcuni presero la via che sale per l’Acropoli, tra i quali lo stesso tiranno Aristione, il quale aveva bruciato l’Odeon, in modo che Silla non potesse avere il legname a portata di mano per bruciare l’Acropoli». (Appiano, Guerre mitridatiche, 38) Silla, pur avendo concesso ai suoi soldati di saccheggiare la città e avendo preteso un risarcimento del danno di guerra prelevato direttamente dal tesoro dell’Acropoli, proibì l’incendio della città salvaguardando gli edifici monumentali ad eccezione dell’Odeon di Pericle che, incendiato dagli stessi ateniesi per timore che il suo legname venisse utilizzato nell’assedio della città, fu ricostruito nel trentennio successivo da Ariobarzane II59, re di Cappadocia.
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«io non sono stato inviato qui ad Atene dai Romani per imparare la sua storia, ma per domare i ribelli.» (Plutarco, Vita di Silla, 13) Le battaglie decisive delle successive guerre civili romane furono combattute tra Grecia e Macedonia: durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo a Farsalo (48 a.C.); durante quella combattuta tra triumviri e cesaricidi a Filippi (42 a.C.); e infine tra Ottaviano e Antonio ad Azio (31 a.C.) a seguito della quale venne istituito il Principato. A questa fase (circa 50 a.C.) è ascrivibile la costruzione della Torre dei Venti60, su progetto dell’astronomo siriano Andronico di Cirro, e un primo progetto della nuova agorà 61. Il primo imperatore, Ottaviano Augusto, nel 27 a.C., istituì la provicia romana di Acaia rendendola indipendente da quella di Macedonia, perseguendo così una politica di benevolenza e disponibilità verso il mondo greco, adottata anche dal suo successore Tiberio, e di cui furono testimonianza la costruzione tra il 19 e l’11 a.C. dell’agorà di Cesare e Augusto quale nuovo centro del commercio e delle riunioni della città e tra il 16 e il 14 a.C. dell’Odeon di Agrippa nella vecchia agorà quale dono di Agrippa alla polis. Gli ateniesi, in segno di riconoscenza, dedicarono al politico romano il pilastro monumentale con quadriga bronzea, già di Eumene II, collocato di fronte ai Propilei dell’Acropoli. 117
«La Grecia vinta conquistò il fiero vincitore romano» (Orazio, Epistulae, II, 156) L’atteggiamento di Roma verso il mondo greco ed ellenistico, ritenuto un modello di civiltà indiscutibile ed ineguagliabile a cui molti cittadini romani aspiravano, venne sintetizzato alla fine del I secolo a.C. da Orazio che riconobbe nell’influenza greca, e in particolare di Livio Andronico, il momento di passaggio dall’età pre-letteraria a quella letteraria sancendo la nascita della letteratura latina, ma anche di un filellenismo a cui si contrappose una tendenza tradizionalista, rispettosa del mos maiorum, di cui Marco Porcio Catone fu il più strenuo difensore. «Già siamo passati in Grecia e in Asia dove abbonda tutto ciò che può suscitare ogni tipo di passione, già allunghiamo le mani sulla ricchezza dei monarchi. Forse non siamo noi a impadronirci di queste ricchezze, ma sono loro a impadronì iris di noi.[…].E già sento troppe persone lodare e ammirare le opere d’arte di Corinto e Atene, mentre disprezzano le raffigurazioni di terracotta degli dei romani». (Livio, Ab Urbe condita, XXXIV, 4) Tuttavia sul finire del I secolo a.C., e ancor più in età adrianea quando l’Impero raggiunse la sua massima espansione, il sentimento espresso nel discorso pronunciato da Catone in Senato in difesa della Legge Oppia e riportato da Livio, poco si addiceva a una società i cui costumi erano cambiati radicalmente. Fu proprio l’imperatore Adriano, soprannominato «Graeculus» per via del suo filellenismo ispirato anche da Gaio Giulio Antioco Epifane Filopappo62, il principale patrono e benefattore di Atene che, sotto il suo principato e durante i suoi quattro viaggi, rifiorì, offrendo molto agli ateniesi e presentandosi come un novello Teseo. Adriano, che si reputava anche architetto e che aveva una grande passione per l’architettura oltre che per i viaggi, in quasi tutte le città che visitò costruì almeno qualcosa e ad Atene, attraverso ingenti somme di denaro pubblico e imperiale, avviò cantieri, come non si vedeva dai tempi di Pericle nel V secolo a.C., costruendo su una superficie di circa sei ettari una nuova parte di città che venne chiamata Hadrianopolis. Adriano nelle architetture pubbliche da lui sovvenzionate o a lui dedicate dai cittadini ateniesi o dai Panhellenes introdusse nuove forme e decorazioni, ma anche materiali che venivano da oltremare come nel caso della biblioteca che fece costruire nel 132 d.C., in prossimità dell’agorà di Cesare e Augusto e che Pausania nella sua descrizione di Atene definisce «la più splendida di tutte le
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«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
fabbriche». L’altro grande cantiere concluso sotto Adriano che l’imperatore inaugurò con una grande cerimonia63 nel 132 d.C. , in occasione del suo quarto ed ultimo viaggio ad Atene durante il quale fondò il Panhellenion, fu quello del tempio di Zeus Olympios nell’area della Valle dell’Ilisso i cui lavori erano iniziati sotto i tiranni Pisistratidi alla fine del VI secolo a.C.. Accanto all’Olympieion, come ingresso monumentale all’area, fu costruito dai cittadini ateniesi l’Arco (132 d.C.) che l’imperatore attraversò durante l’inaugurazione del tempio e che costituisce l’opera adrianea meglio conservata in città. Altri edifici di cui rimangono pochi resti archeologici e poche descrizioni nelle fonti sono gli interventi nell’antica Agorà (ninfeo, basilica, terme, monumento degli eroi eponimi) lungo la pendice sud dell’Acropoli (Tempio di Iside, scena del teatro di Dioniso), a sud dell’Olympieion (peristilio meridionale, ginnasio di Cinosarge) e l’edificio di odùs Adrianou; inoltre in tutta la città erano presenti raffigurazioni e iscrizioni commemorative dell’imperatore. L’unico intervento sull’Acropoli fu la costruzione, accanto alla statua di Fidia, di una statua di Adriano ad indicare la natura divina dell’imperatore, ma anche l’unione della civiltà greca e di quella romana, mentre l’ultima significativa costruzione romana prima dell’invasione degli Eruli del 267 d.C. fu quella dell’Odeon di Erode Attico (161-174 d.C.), eretto dal console romano trent’anni dopo la morte dell’imperatore Adriano. Proprio per la sua importanza nella storia di Atene e dei suoi sviluppi urbanistici e architettonici nella toponomastica moderna l’imperatore filo-ateniese è dedicatario di una delle vie più lunghe e principali, che costeggia la pendice settentrionale dell’Acropoli nel quartiere della Plaka. «Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti». (Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano)
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«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
L’Agorà Romana, una seconda agorà per Atene
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L’Agorà romana, collocata un centinaio di metri a est rispetto all’Agorà del Ceramico, è un grande complesso architettonico che a partire dal I secolo a.C. per molti secoli ha rappresentato il fulcro delle attività commerciali di Atene. Fino all’età ellenistica l’area in cui sorse l’edificio era occupata da abitazioni e magazzini, forse alcuni dei quali già con vani destinati al commercio, ma è solo in età romana che fu avviato un vero e proprio processo di monumentalizzazione. Una lunga iscrizione incisa sull’architrave del propileo occidentale ricorda la costruzione del complesso grazie ai fondi stanziati da Gaio Giulio Cesare prima e da Augusto poi. Probabilmente i lavori ebbero inizio nel 47 a.C. in occasione della visita di Cesare ad Atene e furono portati a termine grazie alle elargizioni di Augusto nel biennio tra l’11 e il 9 a.C.. Il complesso si presentava come una vasta piazza quadrangolare (111 x 104 metri) racchiusa da portici sui quattro lati, con due ingressi principali in posizione asimmetrica disposti sui lati est e ovest; un terzo ingresso, dotato di una scala, si trovava sul lato meridionale. Ciascun segmento del portico aveva una conformazione specifica definita in base alle attività che vi si svolgevano. A sud si trovava un portico a doppia navata, interrotto nella parte centrale dalla presenza di alcuni ambienti di servizio e dall’ingresso secondario, a ovest due ampie sale si aprivano dietro il portico e si sviluppavano ai lati del propylon, a est una serie di vani quadrangolari, probabilmente botteghe, si affacciavano verso il portico. I portici erano sopraelevati rispetto al piano della corte interna grazie ad uno stilobate di due gradini. Le colonne del quadriportico, monolitiche, non scanalate e di ordine ionico, poggiavano su basi attiche e sostenevano un’architrave a tre fasce, decorata superiormente da doccioni con protomi leonine, mentre quelle dei colonnati interni, di ordine dorico, erano prive di base ma rialzate di un gradino rispetto al portico affacciato sulla corte. Il propylon occidentale, termine visivo e fisico della strada di collegamento con l’Agorà del Ceramico, presentava una fronte dorica tetrastila ispirata ai Propilei dell’Acropoli. I due intercolumni laterali fungevano da accesso Nella pagina accanto: Vista della Torre dei Venti dal peristilio dell’Agorà Romana. 121
pedonale mentre quello centrale era riservato al passaggio dei carri. Al di sopra del timpano sostenuto dalla trabeazione era collocata una statua equestre di Lucio Cesare64, ormai perduta. L’ingresso orientale, che presentava anch’esso una fronte prostila tetrastila ma di ordine ionico, risulta essere decentrato rispetto all’altro per la presenza di un tracciato viario principale antecedente alla costruzione del complesso commerciale. Ciò ha comportato la differenziazione della pavimentazione della piazza: in corrispondenza dell’asse che unisce i due propyla sono state rinvenute infatti lastre a orditura e marmo diversi rispetto al resto della pavimentazione. All’esterno del lato orientale del quadriportico erano collocati degli edifici che ospitavano attività complementari a quelle commerciali dell’agorà. Qui infatti si trovava l’Agoranomion, cioè l’edificio dove aveva sede la magistratura del mercato, una grande Forica, costruita nel I secolo d.C. per rispondere alle esigenze igieniche legate al grande afflusso di gente al mercato, e la Torre dei Venti o Horologion. Quest’ultimo, giunto a noi in ottimo stato di conservazione, è un edificio a base ottagonale con tre annessi, due protiri distili d’accesso e uno più che semicircolare, che fungeva da orologio idraulico, orologio solare e indicatore dei venti. La tipologia architettonica del quadriportico, in relazione alla sua capacità di concentrare attività della quotidianità dei cittadini, è stata impiegata più volte dai romani come strumento per favorire l’acquisizione e l’assimilazione della propria cultura da parte delle popolazioni e dei territori assoggettati. Casi esemplari sono il Tetragonos 65 di Efeso, costruito nel I secolo a.C., il Caesareum 66 di Cirene, e i tre complessi commerciali di Corinto. Il monumento subì una serie di restauri prima in età adrianea, quando nel 127-128 d.C. venne incisa sul propylon dorico, la cosiddetta legge dell’olio, voluta dall’imperatore per calmierare i prezzi del prodotto, e poi sempre nel corso del II secolo d.C. sotto l’impero di Marco Aurelio. Dopo l’invasione degli Eruli del 267 d.C. l’Agorà romana venne inclusa all’interno delle mura tardoromane cosicché divenne, assieme alla Biblioteca di Adriano, l’unico centro amministrativo e commerciale della città. La progressiva perdita del valore politico portò alla spoliazione di statue ed epigrafi commemorative dall’interno del quadriportico, poi, in periodo bizantino e ottomano vennero edificati in tutto il quartiere case, officine e luoghi di culto, tra cui la moschea di Fethiye Camii, per la cui realizzazione vennero reimpiegati molti materiali architettonici antichi. Nella pagina accanto: Tavola (XXIV) con ipotesi ricostruttive dell’Agorà romana. Nella pagina accanto: Tavole (XXV, XXVI) con ipotesi ricostruttive della Torre dei Venti o Horologion.
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Agorà romana
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123 TAV. XXIV «Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
Torre dei Venti o Horologion
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Adriano, il Greculus
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
L’imperatore Traiano67 (98-117 d.C.), sotto cui l’impero romano raggiunse la sua massima espansione territoriale, poco prima di morire, forse su intercessione della moglie Plotina68, adottò e scelse come suo successore Publio Elio Adriano (76-138 d.C.) che regnò dal 117 al 138 d.C. abbandonando la politica di espansione militare del predecessore e puntando a una strategia difensiva che lo portarono a compiere viaggi in tutte le provincie imperiali trascorrendo a Roma solo sette anni dei ventuno di regno e a fondare città, molte delle quali chiamò Hadrianopolis. Infatti la civiltà classica aveva nella polis greca o nell’urbs romana la sua espressione più piena e fondare nuove città o sviluppare quelle già esistenti era un chiaro segno della volontà di diffondere la cultura greca ed ellenica di cui Adriano era grande conoscitore e profondo estimatore al punto che le numerose raffigurazioni statuarie dell’imperatore lo ritraggono vestito e abbigliato alla greca con la barba tipica dei filosofi. Il filellenismo dell’imperatore, noto sin dalla sua giovane età quando venne educato alla letteratura e alla filosofia greche da maestri greci, divenne ancora più evidente quando Adriano si recò per la prima volta ad Atene, da privato cittadino, nel 112-113 d.C. al punto che gli fu attribuito il soprannome di «Graeculus». Il «Graeculus», come lo chiamavano soprattutto i suoi oppositori, tornò ad Atene, già da imperatore, in altre tre occasioni dal 124 al 132 d.C durante le quali rese omaggio alla tradizione greca partecipando alle Grandi Dionisie e ai Misteri Eleusini, istituendo il Panhelleion, gli Hadrianeia e intraprendendo la costruzione di edifici civili e religiosi volti alla celebrazione della Grecità e dello stesso imperatore, nuovo Teseo sotto cui la polis attica rivisse un periodo di splendore che non si vedeva dai tempi di Pericle. Proprio come Pericle, Adriano vedeva in Atene il centro per eccellenza e per tradizione della cultura e istituì un circolo di filosofi e sofisti con cui intrattenne rapporti di familiarità ed amicizia, ma anche con personaggi eccentrici e famosi del II secolo d.C. che ispirarono il suo filellenismo (Gaio Giulio Antioco Epifane Filopappo) e lo perseguirono (Erode Attico). Nella pagina accanto: Testa di Adriano con corona civica (130 d.C.), marmo pentelico, Museo Archeologico Nazionale, Atene. 127
Adrianopoli e il Panhellenion
Atene nel V secolo a.C., dopo le guerre persiane, visse quella che è considerata la fase più alta e simbolica della sua storia e della sua cultura, di cui la sistemazione monumentale dell’Acropoli ne costituisce la permanenza archeologica più viva e importante dal momento che risulta visibile da ogni punto della città. In ogni punto della città nel II secolo d.C., oltre al Partenone, erano visibili statue in pietra e in bronzo e iscrizioni commemorative dell’imperatore Adriano che, vestito e abbigliato alla greca, si presentava come un nuovo Teseo, rifondatore di Atene e promotore di un nuovo sviluppo urbanistico e architettonico come non si assisteva dai tempi di Pericle. Adriano e i cittadini ateniesi, grati del suo filellenismo, intrapresero già a partire dal primo viaggio dell’imperatore quando era ancora privato cittadino nel 112-113 d.C., la costruzione di monumenti ed edifici civili e religiosi che portò alla realizzazione su una superficie di sei ettari di una nuova città o parte di città denominata Hadrianopolis per cui si può parlare di un vero e proprio progetto edilizio adrianeo come testimoniato dalle fonti (Pausania il Periegeta, Flegonte di Tralles). Sui due lati dell’architrave inferiore dell’arco che i Panhellenes gli dedicarono nel 131-132 d.C. e che funge da propileo di accesso all’area dell’Olympieion, sono incise due iscrizioni : ΑΙΔ’ ΕIΣΙΝ ΑΘΗΝΑΙ ΘΗΣΕΩΣ Η ΠΡΙΝ ΠΟΛΙΣ «Questa è Atene, l’antica città di Teseo» e ΑΙΔ’ ΕIΣΙΝ ΑΔΡΙΑΝΟΥ ΚΟΥΧI ΘΗΣΕΩΣ ΠΟΛΙΣ «Questa è la città di Adriano, e non di Teseo» che indicherebbero come la porta dividesse l’antica Atene di Teseo, da cercare attorno all’Acropoli, dalla nuova Atene fondata da Adriano nell’area della valle dell’Ilisso. Tuttavia dai dati riscontrabili sull’archeologia gli edifici adrianei sorsero non solo nell’immediate vicinanze dell’Olympieion, dove pure si concentrarono i maggiori interventi (Ginnasio si Cinosarge, Peristilio meridionale), ma anche nel resto della città nell’area dell’antica Agorà (Monumento degli eroi eponimi, statue dei Giganti, ninfeo, basilica, terme,), dell’Agorà romana (Biblioteca di Adriano, edificio di odùs Adrianou) e lungo la pendice meridionale dell’Acropoli (Tempio di Iside, nuova scena del teatro di Dioniso). Inoltre l’area della valle dell’Ilisso, era un settore cruciale già della città mitica, e teseica in particolare, in cui si trovava la residenza di Egeo, e venne inglobata all’interno delle mura temistoclee il cui tracciato passava ben più a oriente.
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
È quindi plausibile pensare che le due iscrizioni, invece che indicare una divisione fisica della città in vecchia e nuova, intendessero piuttosto una distinzione temporale tra due grandi età della storia ateniese, quella teseica e quella adrianea, sottolineando così il ruolo ecistico dell’imperatore. La descrizione dei principali edifici e interventi architettonici e monumentali compiuti sotto Adriano è oggetto di trattazione approfondita nei relativi capitoli, tuttavia vale la pena menzionare un’opera di ingegneria di grande importanza, commissionata dall’imperatore nel 125 d.C. e inaugurata post mortem da Antonino Pio, che servì la città per secoli: l’acquedotto che dalle sorgenti del monte Parnete, per oltre venti chilometri, portava acqua in città fino a una cisterna opportunamente costruita sulla collina di Licabetto ad imitazione della grotta delle Ninfe. Il nuovo afflusso di acqua corrente in città favorì la costruzione di impianti termali pubblici e privati, su modello delle grandi terme di Roma, dotati di spogliatoi, latrine e ambienti per i bagni freddi, tiepidi e caldi, riscaldati attraverso fornaci. Nel corso del suo quarto ed ultimo viaggio ad Atene nel 131-132 d.C. a cui assistette alla consacrazione del tempio di Zeus Olympios, Adriano fondò il Panhellenion, una confederazione esclusiva di trentatré città elleniche69 appartenenti alle provincie di Macedonia, Acaia, Tracia, Creta e Cirene e Asia, avente come capitale Atene, e cercando così di perseguire l’unione tra le città di fondazione greca in un consesso che, presieduto da un arconte e governato da un consiglio, non aveva funzioni politiche, ma di propaganda della cultura greca, gestendo le feste con concorsi atletici e musicali (i Panhellenia), il culto dell’imperatore e i Misteri Eleusini. Il Panhellenion necessitava di una propria sede di rappresentanza per le adunanze solenni e plenarie e per le cerimonie religiose, ma soprattutto di un culto comune in cui tutti i membri si potessero riconoscere e che venne identificato con l’imperatore Adriano stesso (e poi con Antonino Pio) che condivideva con Zeus gli epiteti di «Olympios» e «Panhellenios». Atene era stata scelta come capitale in virtù del suo primato storico e culturale, tuttavia gli storici e gli archeologi hanno ipotesi diverse sull’edificio del Pahnellenion, che serviva anche al culto dell’imperatore, nessuna delle quali ha dati decisivi per un’identificazione sicura. John Travlos (1970) lo ha identificato nel peristilio con tempio da lui scoperto a sud dell’Olympieion e inteso come santuario unico di Adriano e di Hera e Zeus Panhellenios, mentre Anthony Spawforth e Susan Walker (1985) lo hanno identificato nell’edficio ad impianto basilicale, in parte scavato, di odùs Adrianou. Altri studiosi lo hanno identificato nell’Olympieon e nel suo recinto sacro in cui erano presenti una serie di statue denominate «città colonie», interpretate come personificazione delle colonie greche o delle poleis appartenenti al Panhellenion. Altri ipotizzano che fosse la biblioteca o una costruzione a Eleusi presso il santuario di Demetra e Kore, dove l’attività dei Panhellenes è 129
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attestata dai due archi gemelli, repliche di quello di Adriano ad Atene. Adriano istituì i Panhellenia, giochi a cadenza quadriennale, fondò ex novo gli Hadrianeia, riorganizzò le Panatenee e gli Olympieia dotandoli tutti dello statuto di «agone sacro» per cui ai vincitori erano offerti una serie di privilegi eccezionali e onori. Come il progetto si sia tradotto a livello di infrastrutture rimane oggetto di ipotesi, di cui la più plausibile è quella che vede nello stadio, finanziato da Erode Attico e realizzato dopo la morte di Adriano tra il 139 e il 144 d.C., il luogo preposto alla celebrazioni degli eventi agonistici voluti dall’imperatore filelleno. L’attività del sinedrio è attestata dalle iscrizioni fino al primo decennio del III secolo d.C, mentre quella dei giochi connessi si ferma al regno di Gallieno (circa 250 d.C.).
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Vista delle gradinate dello Stadio Panatenaico, noto anche come Kallimarmaron ovvero “dei bei marmi”, finanziato da Erode Attico dopo la morte dell’imperatore Adriano (138 d.C.) e costruito fra il 139 d.C. e il 144 d.C.. Lo Stadio è stato oggetto di ingenti lavori di ricostruzione alla fine dell’800. 131
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La Biblioteca di Adriano, «la più splendida di tutte le fabbriche»
«Ma più insigni di ogni altro monumento sono le cento colonne di marmo frigio; e le pareti sono costruite con lo stesso materiale dei portici. Ci son poi ambienti adorni di un tetto dorato, e di alabastro, e inoltre di statue e pitture; questi ambienti servono da biblioteca». (Pausania, Periegesi della Grecia, 1, 18, 9)
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Così Pausania il Periegieta nella sua descrizione delle regioni e delle città della Grecia Antica ci presenta l’edificio collocato immediatamente a nord dell’Agorà romana delineando un luogo che, e per estensione e per ricchezza decorativa, rappresenta la più imponente opera voluta ad Atene dall’imperatore Adriano, insieme al Tempio di Zeus Olimpio. Commissionato probabilmente nel 131-132 d.C. in un’area già occupata da abitazioni di età romana, il monumento (122 x 82 metri) si compone di un vasto quadriportico sul cui lato corto orientale erano collocati gli ambienti adibiti alla conservazione e alla lettura dei volumina. Chiuso esternamente da un alto recinto in blocchi di poros del Pireo con le facce del paramento lavorate a bugnato rustico secondo lo stile in auge nel periodo adrianeo, l’edificio su ciascuno dei suoi lati lunghi presentava tre esedre di cui due semicircolari e una centrale rettangolare. La facciata principale, rivolta a occidente e allineata al fronte dell’adiacente Agorà, fu realizzata con muratura isodoma in conci di marmo pentelico eretta su fondazioni cementizie con paramento in mattoni e ad opus incertum. Al centro era collocato il propylon tetrastilo, realizzato con colonne scanalate in marmo screziato viola (pavonazzetto, dalle cave di Iscehisar in Turchia) e sopraelevato rispetto alla quota stradale di sei gradini. Di fronte ad entrambi i lati dell’ingresso monumentale, furono collocate sette colonne libere corinzie monolitiche in marmo cipollino, posizionate su alti piedistalli e collegate al muro di fondo mediante lo sviluppo spezzato della trabeazione. Oltrepassando l’ingresso si aveva accesso ad un vasto peristilio, composto da cento colonne di marmo frigio 70, al centro del quale vi era un’ampia corte (82 x 60 metri) sistemata a giardino e caratterizzata dalla
Nella pagina accanto: Colonne corinzie del fronte occidentale. 133
presenza di una lunga vasca dal profilo mistilineo, a terminazioni circolari. Sul lato di fondo, collocato a est, si aprivano cinque ambienti di cui quello centrale, il più grande, comunicava con il portico mediante una facciata tetrastila ed era destinato, come ci testimonia la presenza di nicchie su due livelli al di sopra di un imponente podio (alto 1,60 metri e profondo 1,50) alla conservazione del patrimonio letterario del complesso. Ai lati erano disposte le sale lettura, aperte ad est, e gli auditoria, sviluppati lungo l’asse nord-sud con sedili disposti a gradinata. Circa l’uso esclusivo dell’intero complesso a biblioteca molti sono i dubbi, e per le caratteristiche planimetrico-architettoniche e per la posizione che occupa all’interno dell’impianto urbanistico ateniese. Molte sono le affinità che presenta con il Templum Pacis 71 di Vespasiano a Roma, così come analogie sono riscontrabili con i monumenti coevi di Italica e Side, il che ha condotto all’ipotesi che la biblioteca non avesse solo un carattere pubblico ma anche ufficiale e amministrativo. Oltre ad essere una biblioteca-Mouseion72 che, rifacendosi alla tradizione dei ginnasi greci, aveva prevalentemente un carattere educativo e culturale rivolto a dei fruitori accademici, o un archiviocatasto relativo alla provincia di Acaia, il vasto complesso poteva essere uno spazio polifunzionale. Così come il suo modello romano (il Templum Pacis), era veicolo della grandezza e della ricchezza dell’impero romano, è probabile che venisse impiegato per diverse funzioni; come luogo di celebrazione del culto dell’imperatore, biblioteca, polo amministrativo, galleria di opere d’arte e spazio cerimoniale. Il monumento venne in parte distrutto dall’invasione degli Eruli nella seconda metà del II secolo d.C. e abbandonato per circa due secoli fino a quando nel V secolo d.C. all’interno dell’antico peristilio venne eretta una chiesa tetraconca voluta dall’imperatrice Eudocia73. Alla chiesa tardoantica seguì nel VI secolo d.C. la costruzione di una basilica a tre navate, mentre nel XI e XII secolo d.C. vennero erette due chiese bizantine di dimensioni modeste, la seconda delle quali costruita contro la facciata occidentale del complesso. Del monumento, gli scavi archeologici condotti a partire dalla prima metà dell’800, hanno portato alla luce le nicchie della sala centrale che servivano per ospitare i volumina e un tratto della facciata occidentale, con le sette colonne che decoravano la metà destra della parete. Nella pagina accanto:
Tavola (XXVII) con ipotesi ricostruttive della pianta e del prospetto della Biblioteca di Adriano. Nelle pagine successive: Tavola (XXVIII) di inquadramento territoriale in cui vengono messi in evidenza i principali edifici adrianei, metà del II secolo d.C..
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Biblioteca di Adriano
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
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135 TAV. XXVII «Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
Atene, in età adrianea, 132 d.C.
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TAV. XXVIII
Nelle pagine successive: Vista dell’Olympieion e dell’Arco di Adriano dall’Acropoli.
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«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
Dalla Pendice sud alla Valle dell’Ilisso
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Dalla Pendice sud alla Valle dell’Iisso
L’Arco di Adriano, l’ultimo viaggio dell’imperatore
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Sebbene la datazione esatta del monumento non sia riportata da nessuna fonte letteraria molto probabilmente la sua costruzione è legata al quarto ed ultimo viaggio dell’imperatore Adriano, in occasione dell’inaugurazione del vicino Tempio di Zeus Olimpio nel 131-132 d.C. e della fondazione del Panhellenion. Di incerta assegnazione è anche la committenza che, difficilmente identificabile nell’imperatore e per il tono della dedica e per la qualità dei materiali impiegati (inferiore rispetto agli altri edifici adrianei costruiti ad Atene), è assegnata o alla comunità locale o ai Panhelles. Questi ultimi sono stati riconosciuti come i committenti di due archi gemelli74 eretti ad Eleusi in onore di Demetra e Kore, deliberatamente ispirati all’Arco ateniese. L’arco monumentale costituisce una testimonianza fondamentale del segno che Adriano lasciò nel tessuto urbano ateniese. Si pone al termine di due degli assi principali dello sviluppo urbanistico di Atene. Il primo è un ramo della Via dei Tripodi, tracciato che si biforca in corrispondenza dell’Agorà arcaica nel luogo in cui è collocato il Monumento di Lisicrate e che costituisce il trait d’union est-ovest a nord dell’Acropoli tra la Valle dell’Ilisso e l’area dell’Agorà del Ceramico. Il secondo invece è rappresentato dal tracciato stradale della Via delle Panatenee che, ai piedi dell’Acropoli, di fronte ai Propilei, proseguendo verso sud si raccorda con il peripatos inferiore e giunge fino alla Via dei Tripodi stessa. È quindi la strada che collegava l’area della Pnice e della collina di Filopappo alla nuova città adrianea. Nella città contemporanea queste direttrici principali sono e in parte preservate (la Via dei Tripodi) e in parte sostituite da tracciati che, sovrapponendosi ad esse, ne ripercorrono l’andamento. Ciò permette di osservare i monumenti, nello specifico l’Arco di Adriano secondo la visione originaria. Il monumento funge da propileo di accesso alla nuova città di Adriano e, come riportato nelle due iscrizioni incise sui due lati dell’architrave dell’arco del livello inferiore «Questa è Atene, l’antica città di Teseo» e «Questa è la città di Adriano e non di Teseo» da confine fisico ma soprattutto ideale tra due momenti della storia ateniese. Da una parte l’Atene del suo decimo mitologico re Teseo, artefice del sinecismo, l’unificazione politica dell’Attica, Nella pagina accanto: Vista dell’Arco di Adriano da odùs Lisikratous 143
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Dalla Pendice sud alla Valle dell’Iisso
atto fondativo di quella che poi divenne la cultura greca. Dall’altra l’Atene di Adriano, nuovo Teseo, artefice del ritorno ad un antico splendore che al popolo ateniese mancava da oltre cinque secoli, dall’età classica periclea. L’arco (13,5 x 16,4 x 2,3 metri) presenta un solo fornice ed è realizzato interamente in marmo pentelico secondo la tecnica tradizionale a blocchi uniti da grappe metalliche. Simmetrico su entrambi gli assi, nord-sud e estovest, è caratterizzato da facciate identiche su due livelli. Al livello inferiore presenta un’apertura ad arco a tutto sesto poggiante su piedritti con capitelli corinzi e incorniciato da due colonne corinzie, oggi perdute, disposte ai lati su un alto podio. Alle estremità altri due pilastri con capitelli corinzi sostengono un architrave ionico a fasce su cui si trovano le incisioni. Al livello superiore l’attico, solitamente struttura bassa e massiccia, atta ad essere impiegata come piedistallo per le statue onorarie poste sulla sommità, si configura come un’architettura leggera, quasi esile, rendendo l’intero arco un unicum nel suo genere in quanto molto diverso dagli archi trionfali romani. Al secondo livello è infatti presente un colonnato corinzio che individua tre aperture di cui quella centrale definita dalla presenza di un’edicola, coronata da un frontone con acroterio e in origine chiusa sul fondo da una lastra di marmo. È possibile che anche gli altri due intercolumni un tempo fossero schermati. Tale configurazione architettonica, che privilegia la struttura e la composizione a discapito del programma decorativo e dell’aspetto trionfalistico, risentì della cultura asiatica: già in età ellenistica infatti si definì il propileo su due livelli (i propilei del Santuario di Atena sull’Acropoli di Pergamo), così come anche le colonne libere poggianti su dadi indipendenti, gli architravi a doppia fascia e i capitelli (le porte di Adriano ad Adalia e ad Efeso in Turchia) sono elementi orientali riscontrabili in altre opere romane dell’Asia minore contemporanee all’Arco ateniese. Per quanto riguarda l’apparato decorativo probabilmente al livello superiore, nelle aperture laterali erano collocate le statue raffiguranti Teseo e Adriano, i protagonisti dell’iscrizione, mentre nello schermo dell’apertura centrale era forse presente un dipinto decorativo non pervenuto. Il monumento per molti secoli non è stato oggetto di studio fintanto che nella metà del XVIII secolo James Stuart e Nicholas Revett non l’abbiano analizzato architettonicamente producendo un rilievo ancora oggi di grande attendibilità. Nella pagina accanto: Vista dell’Arco di Adriano dall’Olympieion. Nelle pagine successive: Tavola (XXIX) con ipotesi ricostruttive della vista dall’alto e della pianta dell’Arco. Tavola (XXX) con ipotesi ricostruttive del prospetto dell’Arco. 145
Arco di Adriano
TAV. XXIX
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Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
«Questa è la città di Adriano, e non di Teseo»
Dalla Pendice sud alla Valle dell’Iisso
L’Olympieion, un cantiere lungo sei secoli
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Il Tempio di Zeus Olympios è il più imponente edificio templare dedicato a Zeus, massima divinità olimpica e sovrano degli dei. A partire dall’età arcaica (VII secolo a.C.) fino all’età adrianea (II secolo d.C.), il cantiere dell’edificio è stato oggetto delle attenzioni di molti uomini di potere che a più riprese tentarono di portarlo a compimento. Per l’entità economica e simbolica e per il tempo che fu necessario per la sua realizzazione rappresenta una prova tangibile delle stratificazioni sociali, politiche ed economiche che Atene ha vissuto nell’arco di sei secoli. Numerose sono le fonti letterarie (Svetonio, Pausania il Periegeta) che descrivono il Tempio, anche se non sempre le informazioni che vengono fornite sono state di facile interpretazione soprattutto se messe poi a confronto con i dati riscontrabili sull’archeologia. L’area su cui l’edificio si trova infatti è stata interessata nel corso dei secoli da una incessante attività edilizia che ha affiancato all’imponente opera sacra altre opere architettoniche, molte delle quali in parte edificate con materiale di spoglio del Tempio. A partire dal XVII secolo gli studi di Johann Transfeldt75, di James Stuart e Nicholas Revett, di Francis Penrose76 e Gabriel Welter77 hanno portato ad una progressiva conoscenza dell’edificio di cui sono state definite cinque fasi costruttive. Alla prima fase altoarcaica78, di cui è stato riportato alla luce un segmento della fondazione, si fa risalire un tempio periptero in poros con otto colonne sul lato corto e sedici sul lato lungo (30,5 x 60 metri). Probabilmente il luogo di culto fu scelto in origine per onorare la figura di Deucalione79, mitico fondatore di Atene, la cui tomba era situata nei pressi del tempio. L’istituzione del culto di Zeus è legata alla figura di Solone80 (638-558 a.C.) politico, giurista e poeta ateniese, cui si attribuisce l’introduzione del piede attico, usato per la modulazione del tempio altoarcaico. La seconda fase risalente al periodo tardoarcaico presenta continuità con la fase precedente. L’edificio era un diptero in poros con otto colonne sul fronte Nelle pagine precedenti: Vista dell’Acropoli attraverso le colonne dell’Olympieion. Nella pagina accanto: Vista del Partenone attraverso le colonne dell’Olympieion. 151
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Dalla Pendice sud alla Valle dell’Iisso
e ventuno sui lati lunghi, ciascuna con un diametro di circa due metri e mezzo e un’altezza stimata di dieci metri. Circa l’ordine architettonico impiegato si è ipotizzato a lungo che potesse essere quello ionico, sul modello dei grandi templi orientali contemporanei, anche se, per la contrazione angolare, il diametro delle colonne (sovradimensionato per l’ordine ionico), la lavorazione dei tamburi che non furono realizzati per poggiare su una base e le proporzioni del naos, è più probabile sia stato adottato l’ordine dorico. L’edificio (108 x 44 metri) fu molto probabilmente finanziato dai discendenti di Pisistrato, in particolare da Ippia81, con l’obiettivo non solo di terminare un’opera prestigiosa, ma anche con l’intento di tenere impegnato il popolo e impedire le rivolte contro il regime tirannico. La terza fase, di età classica, è stata individuata attraverso l’analisi di alcune tecniche costruttive impiegate. Parte dei conci marmorei rinvenuti infatti presenta delle somiglianze esecutive con edifici dell’Acropoli realizzati in età classica quali il Partenone, i Propilei, l’Eretteo e il monumento coregico di Lisicrate. La quarta fase è legata alla figura di Antioco IV82 Epifane di Siria, che sin dall’anno della sua ascesa al trono (175 a.C.), intervenne sul tempio che, rimasto incompiuto per circa tre secoli, era stato spoliato di parte del materiale da costruzione. In particolare i rocchi delle colonne erano diventati parte integrante delle mura fatte edificare da Temistocle e che compresero l’edificio all’interno del loro tracciato. Il progetto fu affidato all’architetto romano Cossutius che propose la costruzione di un tempio diptero di ordine corinzio dalle proporzioni monumentali con 104 colonne di 17,25 metri di altezza. Le proporzioni della planimetria rimasero pressoché invariate rispetto alla fase precedente ma venne impostata una nuova configurazione di pronao e àdito, due grandi ambienti quadrati tra i quali venne collocata una cella lunga e stretta (75 x 19 metri). L’innovazione vera e propria si manifestò nell’impiego dell’ordine corinzio che si impose da lì fino all’età imperiale come stile di riferimento. Il cantiere si interruppe nel 164 a.C., anno della morte di Antioco IV, lasciando l’opera incompleta ma ad uno stato molto avanzato che di sicuro prevedeva la presenza dell’architrave ancora oggi visibile sopra le 13 colonne rimaste in piedi all’angolo sud-est del tempio. La tipologia di copertura adottata in questa fase costruttiva rimane incerta in quanto il naos, probabilmente scoperto, non è certo che fosse pensato per rimanere tale e che quindi sia stata solo una fase intermedia dei lavori di costruzione poi non portati a compimento fino all’età adrianea. La quinta fase, romana, è legata a tre personaggi fondamentali della storia di Roma, che si successero nell’arco di quasi tre secoli, da Silla che nell’86
Nella pagina accanto: Dettaglio delle colonne con capitelli corinzi. 153
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Dalla Pendice sud alla Valle dell’Iisso
a.C conquistò Atene, al Genius di Augusto fino al Greculus Adriano. Lucio Cornelio Silla spogliò il tempio dei rocchi probabilmente non ancora messi in opera ed impiegati poi a Roma per la ricostruzione del Tempio di Giove Ottimo Massimo83 sul Monte Capitolino. Parte del materiale sottratto dall’Olympieion fu impiegato in altri edifici eretti in prossimità del Tempio Capitolino, per cui invece venne adottato l’ordine tuscanico e non corinzio. L’intervento successivo, difficilmente riscontrabile sull’archeologia, è legato all’età augustea e vide il completamento di alcuni capitelli e l’istituzione del culto dell’imperatore (12 a.C.), cui fu dedicato un altare rinvenuto nelle vicinanze del Tempio. Ma è nella prima metà del II secolo d.C., grazie alla figura dell’imperatore Adriano, che il Tempio trovò il suo definitivo compimento nel 128-129 d.C.. La sua consacrazione avvenne nel 131-132 d.C. in occasione della quarta e ultima visita dell’imperatore ad Atene e dell’istituzione del Panhellenion, una lega di città greche che avrebbe avuto come sede il Tempio di Zeus Olimpio o un edificio collocato nelle sue vicinanze. Se da una parte l’impianto planimetrico e l’alzato furono realizzati seguendo l’immagine del progetto di età ellenistica, dall’altra venne posta grande attenzione e cura nell’esaltazione del culto di Zeus con cui Adriano condivideva l’epiteto di «Olympios». L’area attorno all’edificio venne quasi interamente risistemata con l’obiettivo di creare uno sfondo architettonico e decorativo degno della celebrazione del più grande tempio dedicato al re degli dei. Fu costruito il peribolo, in poros con trattamento a bugnato rustico, con i lati sud ed est sostenuti da poderosi contrafforti realizzati per livellare la morfologia del sito e creare una grande terrazza rivolta verso il fiume Ilisso. Ad esso si accedeva dai Propilei collocati a nord, di fronte a cui, come testimonia Pausania, erano poste quattro statue dell’imperatore. All’interno del peribolo forse l’intera area calpestabile era pavimentata e forse vi era un colonnato lungo le pareti di fronte a cui erano disposte basi e statue dedicate ad Adriano donate da tutte le «città coloniali», ovvero appartenenti alla lega del Panhellenion. Anche gli Ateniesi dedicarono all’imperatore una statua bronzea che trovò posto nel retro del tempio, mentre Adriano commissionò una statua crisoelefantina di Zeus di dimensioni colossali, sul modello di quella del tempio di Olimpia o di quella di Athena Parthenos di Fidia. In occasione dell’inserimento dell’opera nel naos venne realizzata anche la copertura che fino ad allora mancava. Molte delle sculture in origine collocate all’interno del themenos sacro sono andate perdute nel corso dei secoli così come gran parte delle membrature architettoniche, che furono reimpiegate prima nella realizzazione delle mura fatte edificare
Nella pagina accanto: Colonne disposte all’angolo sud-est del Tempio. 155
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Dalla Pendice sud alla Valle dell’Iisso
dall’imperatore Publio Licinio Valeriano84 (260-264 d.C.) e poi per altri edifici realizzati nell’area. Nella 1675 quando l’opera fu studiata da Johann Transfeldt erano rimaste in piedi ventuno colonne ma oggi solo quindici di queste rimangono tuttora in piedi. La sedicesima colonna rimasta in loco fu colpita da un fulmine nel 1852 e cadde sull’antica pavimentazione del tempio, dove da allora è rimasta. Oltre alle colonne, del tempio rimangono il crepidoma e alcune porzioni dell’architrave tripartito sul lato sud-est.
Nella pagina accanto: Rocchi della colonna distesa sulla pavimentazione. Nelle pagine successive:
Tavola (XXXI) con ipotesi ricostruttive in pianta del Tempio, età adrianea. Tavola (XXXII) con ridisegno dello stato attuale del Tempio e dell’area archeologica della Valle dell’Ilisso. Tavola (XXXIII) con ipotesi ricostruttive del prospetto ovest e della sezione longitudinale del Tempio, età adrianea. 157
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Tempio di Zeus Olimpio, età adrianea
TAV. XXXI
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Tempio
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di
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Zeus Olimpio, stato attuale
TAV. XXXII
Prospetto e Sezione del Tempio di Zeus Olimpio,
132 d.C ca.
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TAV. XXXIII
Note
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.
12. 13. 14. 15. 16.
17. 18. 19. 20.
Storico greco considerato il padre della storiografia (Alicarnasso, tra 490 e 480 a.C. Atene, 424 a.C.) Tragico ateniese (Eleusi, 525 a.C. - Gela, 456-455 a.C.). La prima fase del muro di fortificazione dell’Acropoli risale al XIII secolo a.C. e presentava un doppio paramento in opera ciclopica con emplekton. Lega di isole e città costiere di Grecia e Asia Minore, strettasi attorno ad Atene nel 478 a.C. per continuare la guerra contro la Persia. I confederati pagavano un tributo, deposto nell’isola di Delo. Tempio rimasto incompiuto a causa dell’invasione persiana del 480 a.C. realizzato in poros e il cui basamento venne reimpiegato nel successivo Partenone. La Guerra del Peloponneso è un’opera di Tucidide sulla guerra del Peloponneso, scritta dallo storico greco nel periodo di permanenza ad Atene. Nel 454-453 a.C. il tesoro federale venne trasportato da Delo ad Atene e dal 448-447 a.C. Pericle esplicitamente volle ed ottenne che lo si usasse nel miglior modo che gli Ateniesi avessero creduto, purché sempre fosse assicurata la difesa contro i barbari. Le Vite parallele sono una serie di biografie di uomini celebri scritte dallo storico Plutarco dalla fine del I secolo al primo quarto del II secolo e riunite in coppie per mostrare vizi o virtù morali comuni ad entrambi. Nell’antichità, cave di pietra in cui venivano condannati ai lavori forzati i rei comuni, i prigionieri di guerra e gli avversari politici. Nelle latomie di Siracusa furono rinchiusi i soldati ateniesi dopo la spedizione di Sicilia (413 a.C.). Piccolo fiume del Chersoneso tracico che sbocca nell’Ellesponto. Alla foce dell’Egospotami si svolse nell’agosto 405 a.C. la Battaglia di Egospotami durante la quale Lisandro distrusse la flotta ateniense, determinando così la fine della guerra del Peloponneso. Stato sorto in seguito alla conquista di Costantinopoli durante la quarta crociata (1205 d.C.). Attica e Beozia furono assegnate a Bonifacio marchese di Monferrato, che le infeudò a Ottone de la Roche. Con la conquista turca (1456 d.C.) e l’uccisione di Francesco II Acciaiuoli (1461 d.C.) il ducato scomparve. Viaggiatore, antiquario e umanista della famiglia de’ Pizzicolli (Ancona, 1391 - Cremona, 1452 d.C.). Architetto svizzero (Losanna, 1944) esponente del decostruttivismo. Ἀθηνᾶ Πρόμαχος «Atena che combatte in prima linea» Generalmente piccolo edificio che una città dedicava in un santuario come rappresentanza, destinato a contenere gli arredi necessari alle cerimonie di culto e alle processioni. Le metope del lato est del Partenone, sopra l’entrata principale, raffigurano la Gigantomachia (la lotta degli dei dell’Olimpo contro i Giganti). Sul lato ovest, le metope mostrano l’Amazzonomachia (la mitica battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni). Le metope del lato sud mostrano la Centauromachia Tessala, mentre quelle del lato nord la Guerra di Troia. Il lungo ionico posto lungo le pareti esterne della cella rappresenta la solenne processione che si teneva ogni quattro anni in occasione delle feste panatenaiche. Si tratta di una caratteristica innovativa, dal momento che il resto del tempio è costruito in stile dorico. Lord Thomas Bruce, VII conte di Elgin (Broomhall, 1766 - Parigi, 1841) è stato un diplomatico britannico, famoso per aver asportato le sculture di marmo dal Partenone ad Atene ed averle trasportate in Inghilterra. Le sculture (note col nome di Elgin Marbles), acquistate dal governo britannico, sono ora nel British Museum. Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (Roma, 63 a.C. - Nola,14 d.C.), conosciuto come Ottaviano o Augusto, è stato il primo imperatore romano dal 27 a.C. al 14 d.C..
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
21. Il cosiddetto Piccolo Donario pergameno o Piccolo Donario attalide è un monumento fatto erigere dal re Attalo II su basamenti allineati lungo il muro meridionale dell’Acropoli di Atene, costituito da quattro gruppi scultorei che rappresentano le guerre contro i Giganti, le Amazzoni, i Galati e i Persiani. 22. L’Acropolis Restoration Service (YSMA) è uno speciale servizio periferico del Ministero della Cultura. È stato istituito dall’editto presidenziale 97/1999 (Φ.Ε.Κ. 104 / Α / 26.5.99) al fine di organizzare e realizzare i lavori di conservazione e restauro sull’Acropoli. 23. Questo era anche il titolo di un articolo fondamentale del 1964 e la base di una grande serie di studi sulle antiche città greche, preparati, sotto la guida dello stesso Doxiadis, alla fine degli anni sessanta e all’inizio degli anni settanta dal Centro di Ekistica di Atene. 24. Johann Gustav Droysen (Treptow an der Rega, 1808 - Berlino,1884) è stato uno storico e politico tedesco. Droysen deve la sua fama alle sue rivoluzionarie ricerche sulla storia sociale e politica dell’età di Alessandro Magno e dei Diadochi, opere che ne fecero l’antesignano di un nuovo corso della storiografia tedesca, segnato, sotto l’influenza hegeliana, dall’idealizzazione del potere e del successo. Johann Gustav Droysen fu il primo ad attribuire all’ellenismo, termine da lui definito nell’accezione moderna, la funzione storica di mediazione tra il mondo antico e quello occidentale e cristiano. I suoi studi ebbero il merito di sollevare il velo su un’epoca storica e culturale fino ad allora trascurata dalla ricerca. 25. Azio era l’antico nome di un promontorio della Grecia occidentale nell’Acarnania nordoccidentale, passato alla storia per lo scontro navale tra le forze di Cesare Ottaviano e quelle di Marco Antonio, decisivo per le sorti della guerra civile romana. 26. Uomo politico e oratore ateniese (384 a.C. - 322 a.C.). Partecipò alla vita pubblica di Atene, dedicandosi alla difesa delle libertà democratiche contro l’espansionismo di Filippo II di Macedonia attraverso un’intensa attività oratoria. 27. Filippo II (Pella, 382 a.C. - Aigai, 336 a.C.) è stato il diciottesimo re di Macedonia dal 360 a.C. al 336 a.C., e padre di Alessandro Magno e Filippo III di Macedonia. Noto soprattutto per aver conquistato militarmente la Grecia nel 338 a.C., con la vittoria nella battaglia di Cheronea. 28. La dinastia argeade fu un’antica casa regnante greco-macedone dal 700 a.C. al 310 a.C. La tradizione, come descritta nell’antica storiografia greca, trae le origini da Argo, nella Grecia meridionale (da cui il nome Argeadi). 29. Attribuzione data ai generali macedoni successori di Alessandro Magno: Antigono Monoftalmo, Antipatro, Cassandro, Cratero, Eumene di Cardia, Lisimaco, Perdicca, Seleuco I e Tolomeo I. I loro figli e discendenti prendono più propriamente il nome di epigoni . 30. Ἀθηνᾶ νικηφόρος «Atena portatrice di vittoria» 31. Dal greco «eleutherios» ha il significato di «libero». L’epiteto viene associato alla divinità greca Dioniso per la capacità conferitagli di liberare gli uomini dai vincoli dell’identità personale attraverso l’estasi. 32. Tespi (Attica, VI secolo a.C) svolse la sua attività di drammaturgo ed attore ad Atene, intorno alla metà del VI secolo, dunque negli anni della tirannia di Pisistrato. Nel suo personaggio, realmente esistito per l’esistenza di documenti letterari e poetici che ne riportano il nome ma di cui si hanno poche notizie certe, viene riconosciuto il vero e proprio creatore della tragedia. Fu lui infatti che si sostiene abbia per la prima volta introdotto nell’antica esibizione drammatica, interamente corale, il primo attore. Inoltre avrebbe inventato il prologo e la rhesis (monologo di un personaggio), ossia le parti della tragedia tradizionalmente affidate al singolo personaggio. 33. Friedrich Wilhelm Nietzsche (Röcken, 1844 - Weimar, 1900) esprime questi concetti ne La Nascita della Tragedia, prima opera matura del filosofo tedesco. In essa egli traccia un percorso parallelo tra la storia della tragedia e quella della società greca, un percorso di ascesa e decadenza. 34. Fortezza edificata alla base dell’Acropoli nel XIII secolo d.C., durante il periodo del Ducato di Atene. 35. William Martin Leake (Londra, 1777 - Brighton, 1860) è stato un diplomatico, numismatico e antiquario britannico. Ha scritto Topography of Athens (1821), opera che costituisce il primo tentativo di trattare in maniera scientifica tale argomento. 36. Wilhelm Dörpfeld (Barmen, 1853 - Leucade, 1940) fu uno tra i più noti archeologi tedeschi e contribuì alla riscoperta delle rovine in Grecia. Lavorò ad Olimpia, con Schliemann a Troia e Tiro, a Pergamo e nell’Agorà di Atene. Fu uno dei fondatori del metodo scientifico 165
archeologico. 37. Si fa riferimento alla cosiddetta «Apadana», grande sala ipostila che si trova nel complesso delle rovine di Persepoli (nell’attuale Iran meridionale) e nel palazzo di Susa. L’Apadana di Persepoli appartiene ai più antichi edifici del grande complesso palaziale, costruito nella prima metà del VI secolo a.C., come parte del progetto di Dario il Grande e completato da suo figlio Serse I. 38. Il Thelestèrion è un edificio monumentale greco antico del santuario complesso santuariale di Eleusi, in Attica, destinato alla celebrazione del culto dei misteri eleusini. Dall’età micenea l’edificio è stato rimaneggiato più volte sino a raggiungere architettura stabile solo in età classica, quando il telesterion fu riedificato da Ictino intorno al 445 a.C. e successivamente ultimato in età ellenistica con l’edificazione del portico da parte dell’architetto Filone. Si presenta come una grande sala ipostila a pianta quadrangolare. 39. Simile per forma e funzione al bouleuterion, l’edificio che ospitava il consiglio (boulé) nelle póleis dell’Antica Grecia, il Thersilion di Megalopoli era un tipo di sala per tali adunanze parlamentari. L’edificio, rettangolare, fu edificato nel corso del secolo IV a. C., presenta un tetto sostenuto da file concentriche di colonne ed era collegato da un portico al teatro. In esso si adunavano i rappresentanti confederali delle comunità arcadiche. 40. Elemento caratteristico delle ville romane suburbane, lo «xystus» era una terrazzagiardino, ombreggiata da pergole da cui godere della vista del paesaggio. 41. Il Pritaneo (dal greco «prytaneion», «presidenza») di Atene era l’edificio pubblico dove in origine era ospitato il primo magistrato, il pritano. Vi era custodito il focolare sacro della città e potevano esservi accolti ospiti di particolare riguardo o cittadini meritevoli. Era un edificio antico, situato alle falde settentrionali dell’Acropoli. 42. Elpenore, nella mitologia greca, è uno dei compagni di Ulisse, ricordato nell’Odissea. Viene ricordato perché, dopo essere stato trasformato in maiale presso l’isola di Eea si addormentò ubriaco sul tetto dell’abitazione della maga Circe. Al mattino, essendosi dimenticato dove si trovasse, cadde e morì per la rottura dell’osso del collo. 43. La porta Beulé è una porta fortificata, costruita nel III secolo d.C. dai Romani, che fornisce l’accesso principale ai Propilei e al complesso dell’Acropoli di Atene. Prende il nome da Charles Ernest Beulé (Saumur, 1826 - Parigi, 1874), l’archeologo che la scoprì e ne curò gli scavi nell’Ottocento. 44. Il «kline» (al plurale klinai) è un antico tipo di arredo, simile a un divano o un letto che veniva impiegato dagli antichi Greci e poi dagli Etruschi e Romani durante i simposi (convivium nella società romana), seconda parte dei banchetti in genere destinata alla degustazione dei vini, al canto dei carmi conviviali, alla recita di poesie e a trattenimenti vari. 45. L’«hestiatorion», è un edificio dove si consumavano i banchetti. Gli animali sacrificati sull’altare, venivano consumati dai fedeli su tavolate allestite all’aperto oppure negli hestiatoria. Solitamente era costituito da una serie di ambienti quadrangolari contigui che si aprivano intorno a un cortile. All’interno di ogni stanza si trovavano i klinai, collocati lungo le pareti. 46. Il Tempio sull’Ilisso (metà del V secolo a.C. circa) era un tempio anfiprostilo tetrastilo sovente ricordato come esempio della ricezione tardiva dell’ordine ionico in un contesto dominato dall’estetica dorica. Costituisce una estimonianza del pieno e maturo classicismo ionico-attico dell’Atene del V secolo a.C.. 47. Per «krene» si intende una fonte d’acqua sorgiva. 48. Il «bothros» è una cavità scavata nel terreno, a forma di pozzo circolare o quadrato, rivestita da lastre di pietra. Vi si facevano delle offerte per le divinità ctonie, per cui la sua funzione è a quella dell’altare. 49. L’imperatore Valeriano, per affrontare l’imminente pericolo delle invasioni gotiche, si preoccupò di restaurare, rinforzare e ingrandire l’antica cerchia muraria della città, che tuttavia nel 267 non riuscì a proteggere Atene dall’assalto degli Eruli. 50. Lucio Vibullio Ipparco Tiberio Claudio Attico Erode (101 - 177) è stato uno dei personaggi più eccentrici e famosi del II secolo d.C.. Di nobile famiglia, milionario, svolse gran parte della sua attività in qualità di funzionario dell’impero a seguito della morte di Adriano. 51. La parola «Théatron», da cui deriva il termine «teatro», compare per prima volta nei testi letterari greci arrivati fino a noi attorno al V secolo a.C.. Si tratta di un sostantivo derivato dal verbo theàomai, vedere, che può designare sia il luogo adatto per assistere ad uno spettacolo sia la collettività degli spettatori che guardano quello spettacolo. 52. I «kerkides» (tradotto, cunei) sono settori vertcali in cui era divisa la cavea. 53. James «Athenian» Stuart (Londra, 1713 - 1788), architetto, pittore e archeologo britannico,
55. 56. 57. 58.
59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69.
Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
54.
tra i pionieri dell’architettura neoclassica, e Nicholas Revett (Londra, 1721 - 1804), architetto britannico, sono gli autori dell’opera Antiquities of Athens (1762). Si conobbero a Roma nel 1742, quando entrambi erano dediti allo studio delle Belle Arti e della Archeologia. Nel 1748 progettarono di intraprendere un viaggio in Grecia cui sarebbe seguita una pubblicazione dettagliata dei monumenti più importanti di Atene: il primo volume doveva contenere i monumenti dell’Acropoli, il secondo quelli della città di Atene, il terzo quelli dei dintorni (Eleusi, Megara, Sunio ecc.); ciascun volume a sua volta doveva dare una veduta panoramica delle costruzioni, numerose piante, prospetti e sezioni (soprattutto delle profilature e dei cornicioni), come pure disegni accurati di tutte le sculture che ornavano le costruzioni. A differenza delle altre descrizioni di viaggi (di Jacob Spon, di Sir George Wheler e di Richard Pococke) le cui notizie e disegni erano spesso inattendibili e poco precisi, le Antiquities of Athens rappresentano il primo tentativo di un inventario preciso, dall’esecuzione accurata, dei monumenti antichi più importanti di Atene e dintorni; per questo vengono considerati considerati i fondatori dello studio dell’architettura antica. Per l’archeologia odierna hanno un valore particolare soprattutto i disegni e le descrizioni di due monumenti di Atene ora scomparsi: il tempio ionico sull’Ilisso del V sec. a. C., distrutto nel 1778, e il monumento coregico di Trasillo dedicato a Dioniso nel 319 a. C., distrutto nel 1826. L’opus caementicium è una tecnica costruttiva che prevede l’unione di frammenti di pietra, di materiale cotto e di altri materiali da costruzione con la malta. La qualità dei frammenti adoperati nella miscela, il loro taglio, la proporzione rispettiva e la composizione della malta costituiscono criteri per la datazione di un tale sistema costruttivo, che fu invenzione prettamente romana e che dura ancora ai giorni nostri quasi senza varianti. Kyriakos Pittakis (1798 - 1863) è stato un archeologo greco i cui scavi si sono concentrati soprattutto ad Atene. W. P. Tuckermann è stato uno studioso vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Sue sono le ipotesi ricostruttive dell’Odeon di Erode Attico preceduto da un quadriportico. Frideriko Versakis (1880 - 1921) è stato un archeologo greco. Anastasios Orlandos, è stato architetto e archeologo (Atene 1887 - 1979); dal 1917 nell’amministrazione delle antichità, divenne professore ordinario di architettura nel Politecnico di Atene nel 1920. Si è dedicato a scavi e studi di antichità greche e bizantine, pubblicando numerose opere. Dal 1951 fino all’anno della sua dipartita è stato Segretario della Società Archeologica di Atene. Ariobarzane II di fu re della Cappadocia dal 63 a.C. al 51 a.C.. La Torre dei Venti, chiamata anche horologion, è una torre ottagonale in marmo pentelico, situata nell’agorà romano di Atene. Il costruttore è presumibilmente Andronico di Cirro, che l’avrebbe realizzata nel 50 a.C.. L’Agorà romana è un’antica piazza pubblica di Atene. Nell’Antica Grecia, l’agorà era il luogo di mercato e riunione di una città. Il termine corrisponde al foro della civiltà romana. Gaio Giulio Antioco Epifane Filopappo (Samosata, 65 a.C. - Atene, 116 d.C.) è stato un principe del regno di Commagene che visse nell’Impero romano tra il I e il II secolo d.C. e uno dei greci più prominenti del mondo romano. Nel 131-132 d.C. in occasione dell’inaugurazione dell’Olympieion il sofista Polemone, eletto a consigliere dallo stesso imperatore Adriano, scrisse una concione che declamò dall’alto del tempio. Lucio Giulio Cesare Vipsaniano (17 a.C. - Marsiglia, 2 d.C.), nato come Lucio Vipsanio Agrippa e meglio noto semplicemente come Lucio Cesare, è stato un politico e militare romano, membro della dinastia giulio-claudia. Così (tetragonos) viene definita l’agorà di Efeso, una delle più grandi città ioniche in Anatolia, posizionata alla foce del fiume Caistro, sulla costa dell’odierna Turchia. Caesareum di Cirene, edificio destinato a Ginnasio, costruito nel II secolo a.C.. Marco Ulpio Nerva Traiano (Italica, 53 d.C. - Selinus in Cilicia, 117 d.C.) è stato un imperatore romano, regnante dal 98 d.C. al 117 d.C.. Pompeia Plotina Claudia Febe Pisone (Nemausus, 65/70 d.C. - 121 d.C.) è stata la moglie dell’imperatore Traiano e quindi imperatrice consorte durante il suo regno dal 98 d.C. al 117 d.C.. Le città appartenenti al Panhellenion appartengono a un’area non molto vasta del mondo ellenico e a sette provincie dell’impero romano. Per entrare a far parte del consesso bisognava avere il benestare dell’imperatore e di tutti gli accoliti, avere buoni rapporti 167
con Roma e dimostrare che la città candidata era stata fondata da un greco o era greca. 70. Il marmo frigio, chiamato così per la sua provenienza dall’omonima regione dell’Asia Minore, l’attuale regione Egea, in Turchia, è conosciuto comunemente come «pavonazzetto» ed è un tipo di marmo bianco con venature «paonazze», ovvero di colore violaceo scuro, come nella coda del pavone. 71. Il Foro della Pace (detto anche Foro di Vespasiano) era in realtà un tempio dedicato alla Pace, da cui la denominazione Templum Pacis. Viene però comunemente chiamato Foro per il suo impianto molto simile a quello dei Fori Imperiali dei quali alla fine andò a formare un prolungamento. Costruito da Vespasiano tra il 71 e il 75 d.C. per celebrare la vittoria sugli Ebrei, venne eretto al posto dell’antico mercato coperto-Macellum. Il Foro della Pace era formato da un ambiente absidato, dove era situata la statua di culto, fiancheggiato da diverse stanze e aperto su una enorme piazza (110 x 135 metri) occupata principalmente da aiuole e fontane e circondata da un quadriportico. Il Foro andò distrutto per un incendio nel 192 d.C. e venne ricostruito da Settimio Severo. 72. Il «Mouseion» (museion in greco, musaeum in latino) era il «luogo sacro alle Muse», figlie di Zeus e protettrici delle arti e delle scienze, patronate da Apollo. Era pertanto un edificio destinato a luogo d’incontro tra dotti e all’insegnamento e rappresentò per secoli la massima istituzione culturale del mondo ellenistico. Il termine è entrato nell’uso comune in molte lingue moderne, a partire dal XVII secolo, per indicare un luogo ove sono conservate collezioni di opere d’arte o reperti archeologici. 73. Elia Eudocia (Atene, 401 circa - Gerusalemme, 460) è stata un’imperatrice bizantina e moglie dell’imperatore Teodosio II. Fu poetessa) ed è considerata santa. Il suo primo nome era Atenaide. 74. I due archi presentano la stessa dimensione e e identico stile Situati presso il santuario di Demetra e Kore a Eleusi, nel tardo II secolo d.C., e sono stati dedicati ad un imperatore (probabilmente Marco Aurelio) dalle città della lega del Panhellenion. I due monumenti affiancavano il propileo del santuario e ne costituivano gli accessi da est e da ovest. 75. Johann Georg Transfeldt (1675 - 1695), studioso e archeologo tedesco. 76. Francis Cranmer Penrose (1817 - 1903) è stato un architetto britannico, oltre che archeologo e astronomo. Assunse un ruolo di notevole durante gli scavi del Partenone e del Tempio di Zeus Olimpio ad Atene alla fine dell’800, mentre nel 1878 contribuì alla scoperta delle antiche fondamenta della cattedrale di Saint Paul di Londra. 77. Franz Gabriel Welter (Metz, 1890 - Atene, 1954) è stato un archeologo tedesco. 78. Il temine “arcaico” fu adottato nell’Ottocento per indicare una fase ancora imperfetta della cultura artistica greca, preparatoria dell’apogeo della successiva età classica. La data di inizio del periodo arcaico ha subìto oscillazioni dovute alle interpretazioni di vari studiosi, attestandosi definitivamente attorno al 600 a.C. La data finale del periodo arcaico è il 480 a.C., in concomitanza con eventi quali l’invasione persiana, la distruzione dei monumenti di Atene, la battaglia di Salamina. Oggi per arcaico si intende il periodo compreso tra il 600 e il 480 a.C. La prima fase viene definita «altoarcaica», la seconda «tardoarcaica». 79. Deucalione, personaggio della mitologia greca, figlio di Prometeo e di Climene, unico superstite, con la moglie Pirra del diluvio mandato da Zeus in punizione delle colpe umane. 80. Solone (Atene, 638 a.C. - 558 a.C.) è stato un politico, legislatore e poeta ateniese, di nobile famiglia. 81. Ippia (morto a Maratona nel 490 a.C.), figlio di Pisistrato e fratello di Ipparco, fu tiranno di Atene dal 528 a.C. - 527 a.C. fino al 511 a.C. - 510 a.C.. Succeduto al padre Pisistrato insieme al fratello, quando egli morì nel 528 a.C.-527 a.C., Ippia fu il vero detentore del potere. Sotto di lui continuò quel processo di culturizzazione di Atene iniziato sotto Pisistrato. Dopo l’assassinio del fratello Ipparco nel 514/513 a.C. inasprì la sua tirannide. 82. Antioco Epifane (215 a.C. circa - Tabe, 164 a.C.), conosciuto come Mitridate fino all’ascesa al trono e chiamato nella storiografia moderna Antioco IV, è stato un sovrano seleucide, figlio di Antioco III il Grande, che governò dal 175 a.C. fino alla sua morte. 83. Il Tempio di Iuppiter Optimus Maximus Capitolinus, chiamato anche Aedes Capitolina, o Giove Olimpo Massimo, era l’edificio sacro più importante di Roma. Fondato nel 575 a.C. sulla cima meridionale del colle Capitolino, fu dedicato al culto non solo di Giove Ottimo massimo ma dell’intera “triade capitolina”, composta da Giunone e Minerva. Fu costruito per sovrastare quello di Iuppiter Latiaris, Giove Laziale, sull’odierno Monte Albano, dal re Tarquinio Prisco. 84. Publio Licinio Valeriano (200 circa - Bishapur, dopo il 260) è stato un imperatore romano che regnò dal 253 al 260. È il primo esponente della dinastia valeriana.
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Da Temistocle ad Adriano. Sviluppi urbanistici e architettonici lungo la pendice sud
Indice delle tavole
20-21
TAV. I
Inquadramento territoriale di Atene, V secolo a.C.. In evidenza le Lunghe Mura, i Porti del Pireo e del Falero, il Golfo Saronico, i fiumi Ilisso e Cefiso.
39
TAV. II
Studi compositivi sull’Acropoli tratti da Architectural Space in Ancient Greece (1968) di Constantinos Doxiadis.
48-49
TAV. III
Inquadramento territoriale di Atene, metà del II secolo a.C. In evidenza i principali edifici.
56-57
TAV. IV
Ipotesi ricostruttiva dell’Acropoli e della pendice sud, II secolo d.C.
64-65
TAV. V
Ipotesi ricostruttiva della pianta del Santuario e del Teatro di Dioniso Eleutereo e dell’Odeon di Pericle.
67
TAV. VI
Ipotesi ricostruttiva della pianta e della sezione dell’Odeon di Pericle, basata sugli studi di John Travlos.
69
TAV. VII
Riferimenti tipologici dell’Odeon di Pericle.
74
TAV. VIII
Ipotesi ricostruttiva della pianta del monumento coregico di Trasillo, basata sugli studi di James Stuart e Nicholas Revett (1787).
75
TAV. IX
Ipotesi ricostruttiva del prospetto del monumento coregico di Trasillo, basata sugli studi di James Stuart e Nicolas Revett (1787).
77
TAV. X
Ipotesi ricostruttiva della pianta e del prospetto del monumento coregico di Nicia.
79
TAV. XI
Restituzione grafica della pianta, del prospetto e dettaglio del monumento coregico di Lisiscrate.
84-85
TAV. XII
Ipotesi ricostruttiva della pianta del Santuario di Asclepio, I secolo d.C.
86-87
TAV. XIII
Ipotesi ricostruttiva del prospetto e della sezione del Santuario di Asclepio, I secolo d.C.
88
TAV. XIV
Ipotesi ricostruttiva delle Sezioni e delle fasi costruttive della Stoà dorica del Santuario di Asclepio.
89
TAV. XV
Ipotesi ricostruttiva della pianta e del prospetto della Stoà ionica del Santuario di Asclepio.
90
TAV. XVI
Ipotesi ricostruttiva della pianta e del prospetto dei Propilei del Santuario di Asclepio.
TAV. XVII
Ipotesi ricostruttiva della pianta e del prospetto del Tempio di Asclepio del Santuario di Asclepio.
92-93
TAV. XVIII
Ipotesi ricostruttiva della pianta del Santuario di Asclepio, periodo cristiano.
97
TAV. XIX
Ipotesi ricostruttiva di una porzione della pianta e del prospetto della Stoà di Eumene II.
98-99
TAV. XX
Ridisegno dello stato attuale della Stoà di Eumene II e confronto con l’ipotesi ricostruttiva di una porzione di prospetto.
108-109
TAV. XXI
Ipotesi ricostruttiva della pianta dell’Odeon di Erode Attico e della Stoà di Eumene II.
110
TAV. XXII
Ipotesi ricostruttiva di una porzione della sezione dell’Odeon di Erode Attico e della Stoà di Eumene II con messa in evidenza della relazione fisica e funzionale dei due edifici.
111
TAV. XXIII
Ipotesi ricostruttiva di pianta e prospetto dell’Odeon di Erode Attico, basata sugli studi di W. P. Tuckermann (1868).
123
TAV. XXIV
Ipotesi ricostruttiva dell’Agorà romana, II secolo d.C..
124
TAV. XXV
Ipotesi ricostruttiva della pianta della Torre dei Venti o Horologion, basata sugli studi di James Stuart e Nicholas Revett (1787).
125
TAV. XXVI
Ipotesi ricostruttiva del prospetto della Torre dei Venti o Horologion, basata sugli studi di James Stuart e Nicholas Revett (1787).
135
TAV. XXVII
Ipotesi ricostruttiva della pianta e del prospetto della Biblioteca di Adriano.
136-137
TAV. XXVIII
Inquadramento territoriale di Atene, metà del II secolo d.C.. In evidenza i principali edifici adrianei.
146
TAV. XXIX
Ipotesi ricostruttive della vista dall’alto e della pianta dei due livelli dell’Arco di Adriano, basata sugli studi di James Stuart e Nicholas Revett (1787).
147
TAV. XXX
Ipotesi ricostruttiva del prospetto dell’Arco di Adriano, basata sugli studi di James Stuart e Nicholas Revett (1787).
158
TAV. XXXI
Ipotesi ricostruttiva della pianta del Tempio di Zeus Olimpio, età adrianea.
159
TAV. XXXII
Ridisegno dello stato attuale del Tempio di Zeus Olimpio e dell’area archeologica adiacente la Valle dell’Ilisso.
160-161
TAV. XXXIII
Ipotesi ricostruttiva del prospetto ovest e della sezione longitudinale del Tempio di Zeus Olimpio.
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91
171
Bibliografia
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