il Brigante luglio - agosto 2015

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il Brigante

www.ilbrigante.it

MAGAZINE PER IL SUD DEL TERZO MILLENNIO

IL FOCUS

IL CINEMA

L’EVENTO

ANNO 15 - N. 50 LUGLIO - AGOSTO 2015 € 2,00

CAFFÉ E TRADIZIONE

...e i Fatebenefratelli Interv ista esclusiva Concerto per il Mediterraneo Grecia svenduta! M’Barka Ben Taleb - Eddy Napoli: ci regalano un racconto Ma la vecchia Europa a Pasquale Squitieri sul film dedicato a Gemito ritmi e culture uniti dal bacino da “gustare” sotto l’ombrellone divora i suoi popoli



MAGNA GRECIA U

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lisse non stava più nella pelle: dopo anni di navigazioni ed esperienze tra popoli diversi, intravedeva dal posto di pilotaggio le amate sponde di casa. E tra le isole del Peloponneso, sparse attorno a lui ed al suo equipaggio, le onde di un Mediterraneo finalmente amico sembravano andare incontro alla prua della sua nave a dargli il meritato benvenuto. Lo sciabordìo dell’acqua contro la carena e la voce del vento, finalmente favorevole, che gonfiava le vele facevano da colonna sonora alle immagini gioiose che gli ritornavano in mente in un vortice inarrestabile: la retta Penelope, il piccolo Telemaco, il fedelissimo Argo e tutte le cose lasciate solo fisicamente nel proprio regno di Itaca. Celebre per il suo ingegno, l’eroe omerico non aveva mai lasciato la sua identità in nessuno dei porti toccati: aveva portato con sé valori e tradizioni della sua terra, conservandoli intatti nel suo cuore e nella sua anima.

Ma una volta approdato sulla sua isola dovette fare i conti con l’amara realtà: una “Unione” di barbari, provenienti dal nord dell’Europa, si era appropriata della sua casa e della sua terra, cercando di far credere al suo popolo che

l’Editoriale

G INO G IAMMARINO

il Re fosse ormai morto. Nuove ed opprimenti leggi stavano impoverendo le sue genti, mentre una nuova moneta circolava in quelli che erano stati i “suoi” villaggi, atrofizzando la caccia, la pesca ed il turismo in nome di un nuovo “rigore” imposto dagli abusivi sovrani. Così non si poteva più andare avanti. Ulisse pensò e ripensò a come riaccendere la scintilla della dignità in quel popolo abbrutito e rassegnato alle sue catene: un popolo che aveva inventato la democrazia ed oggi era schiavo di chi ha nel DNA i geni della dittatura.

Basta! Ulisse abbandonò ogni remora. Fondò un nuovo partito e si diede un nuovo nome da leader, ripensando a come aveva sconfitto e beffato il ciclopico Polifemo, s’inventò un nome di battaglia: “Nessuno”. Seguirono giorni di aspra guerriglia, momenti di alti e di bassi, vittime su un fronte e sull’altro; ma gli usurpatori cominciavano a perdere la loro sicurezza ed arroganza giorno per giorno. E fu così che, come in tutte le guerre, a un certo punto si decise di sedersi attorno ad un tavolo per trovare una soluzione che fosse onorevole per tutti i contendenti.

Ulisse-Nessuno dovette accettare nuove condizioni

ed ulteriori indebitamenti, impossibili da rispettare, pur di evitare ulteriori sofferenze al suo popolo, almeno nell’immediato. Ma anche gli usurpatori ne uscirono malconci pur avendo formalmente vinto. La resistenza del partito di “Nessuno”, infatti, negò per la prima volta il dogma dell’inviolabilità della moneta unica, dividendo il partito degli usurpatori in fazioni riottose e in lotta sotterranea tra loro. Il fronte, una volta comune, era stato smantellato e le originarie certezze degli usurpatori profondamente minate. Nuovi scenari si aprirono, grazie alla millenaria cultura del Mediterraneo che, partendo dalla tradizione, riuscì a conclamare la vittoria ed il ritorno della democrazia.

Nelle segrete stanze dei poteri forti, i barbari del nord furono rimproverati dai loro padroni che li misero sotto interrogatorio, chiedendogli lumi sui fatti della Magna Grecia e sul ribelle che aveva osato scardinare il progetto della moneta unica. Mestamente, senza rendersi conto di quello che realmente ammettevano con quelle parole, i barbari dissero in un sospiro: “Nessuno. Questa moneta e questa Europa non li vuole Nessuno!”.


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In questo numero...


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Editoriale

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Il focus Grecia, crisi e soluzioni La tradizione Alle origini del Sud La politica Sud: lo schiavo contento Le notizie Varie dal mondo della politica Il ricordo Dino Celentano: imprenditore, sportivo, uomo Il turismo Estate: lavoro stagionale in rosa L’impresa Lavorare a Napoli? Optima idea! L’evento “La ballata dei Briganti” a Solopaca L’identità Casamari, assassinio nell’abbazia La musica Concerto per il Mediterraneo Il documentario Napolislam, multietnicità nel segno della tolleranza L’approfondimento Caffè, bevanda senza tempo! L’intervista Nella terra di Fra’ Diavolo uno specialista del caffè La gastronomia ‘O cafè’ la magia in un chicco La lettura Ritratto di Fulvia... al sapore di caffè Il cinema Intervista esclusiva a Pasquale Squitieri La festa Il “White party” illumina Ischia La posta Dispacci al capobanda L’agenda Appuntamenti del meridionalisti

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DIRETTORE RESPONSABILE GINO GIAMMARINO

VICE DIRETTORE SIMONA BUONAURA

HANNO COLLABORATO: ALFREDO CALDERALE VITTORIO CROCE GABRIELLA DILIBERTO ANTONIO GENTILE VALENTINA GIUNGATI I FATEBENEFRATELLI ROSI PADOVANI RAFFAELE SANTILLO CARLO ZAZZERA SERGIO ZAZZERA

Piazza Stazione Centrale Piazza Garibaldi, 136 - 80142 Napoli www. il br igan te.it info@ ilb rig ant e.com Tel. 081 5542252

PROGETTO GRAFICO FRANCESCO CARDAMONE

FOTOGRAFO CIRO ANDREOTTI

STAMPA ARTI GRAFICHE NAPOLITANO NOLA (NA)

La rivista è stata chiusa il giorno 20 Luglio alle ore 14:00 Autorizzazione Tribunale Napoli n. 5159 decreto 22/11/2000 A NNO 15 - NUME RO 50


VIAGGIO NELLA CRISI GRECA 6

il Focus

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UN PO’ DI CHIAREZZA SULLE COLPE DELL’UE

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enché molti affermino che cause della drammatica situazione greca siano state l’alterazione del bilancio dello stato manipolato, con la costosa consulenza della Goldman Sachs, al momento della domanda di ammissione del Paese nell’eurozona e, poi, la successiva e costante falsificazione dei dati sul deficit pubblico che, nel 2010, George Papandreou rivelò essere, in realtà, pari al 12% e non al 5% del Pil, si può fondatamente sostenere che, ferma restando l’incidenza di quelle vicende, le più profonde ragioni della crisi attuale siano state diverse. In primo luogo, l’elevato livello di indebitamento con il quale è stato finanziato il deficit della bilancia dei pagamenti, inevitabile conseguenza del dato che il Paese ha costantemente importato un volume di merci più alto di quello che riusciva ad esportare; poi l’incapacità dei trattati europei di gestire, specialmente in tempi di recessione, le asimmetrie delle

ALFREDO CALDERALE

diverse economie all’interno della zona dell’euro e, infine, l’errore, per nulla casuale e disinteressato, della cosiddetta Troika di ostinarsi a interpretare e trattare la crisi finanziaria greca come una crisi di liquidità invece che come

una crisi di produttività del sistema economico e quindi di solvibilità dello Stato. STRUTTURA ECONOMICA

Paese di circa 11 milioni di persone, la Grecia ha una struttura economica complessivamente fragile, nella quale spiccano solo alcune imprese farmaceutiche, aereonautiche, belliche, agricole (produttrici di olio, uva passa, fichi secchi) capaci di esportare sui mercati mondiali. In definitiva, al Pil concorrono i servizi (soprattutto il turismo) per 70.3%, l’industria per il 16,5% e l’agricoltura per il 13,2%. Tuttavia, il comparto eco-

nomico più poderoso, quello navale – la Grecia vanta la prima flotta del mondo- contribuisce quasi per nulla alle entrate fiscali del Paese perché gli armatori continuano a godere dell’esenzione delle tasse sui profitti prodotti all’estero assicurata loro da una noma costituzionale introdotta dai colonnelli e vigente ancor oggi. Gli armatori fanno parte della ristrettissima cerchia di famiglie che, dopo aver incrementato il loro patrimonio in questi ultimi anni , detengono da sole poco più della metà della ricchezza nazionale, una gigantesca disuguaglianza che rende difficile ogni


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soluzione socialmente sostenibile della crisi. Questo odioso privilegio si aggiunge a una evasione fiscale più contenuta, ma abbastanza diffusa, nel resto della popolazione e

gravati i bilanci pubblici del salvataggio delle banche protagoniste di fallimentari operazioni speculative, poiché gli investitori hanno cominciato a valutare le differenze strutturali esi-

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il Focus denza storica e contraddetto dalla stessa esperienza greca: tagli brutali alla spesa statale, privatizzazioni di molti settori economici in mano pubblica, aumento della tassazione, smantellamento dei diritti dei lavoratori subordinati e annullamento della contrattazione collettiva. Queste ultime misure non incidono direttamente sul contenimento della spesa pubblica, ma tendono a rimuovere la <<rigidità del mercato del lavoro>>, cioè le tutele salariali e normative esistenti, che sono accusate di impedire l’allineamento dei salari al ciclo economico e di ren-

<<all’economia reale>>, ma sono state destinate essenzialmente a ripagare le banche tedesche e francesi che avevano concesso allegramente prestiti per consentire l’importazione dei beni consumati negli anni trascorsi. Infatti, al termine di questa operazione, l’esposizione degli Stati creditori verso lo Stato greco è aumentata, mentre è calata in modo significativo quella dei finanziatori privati, per quanto essi abbiano, nel 2012, concesso un taglio dei loro crediti pari al 70% del valore nominale dei titoli ellenici in portafoglio. A causa di queste politiche

Una mendicante nel centro di Salonicco

alla corrotta inefficienza della pubblica amministrazione. LE TAPPE DELLA CRISI

Dopo essere entrata nella zona euro il 1 gennaio del 2001, la Grecia ha beneficiato, per alcuni anni, di bassi tassi di finanziamento a causa del fatto che gli investitori, chiamati a fornire di mezzi finanziari agli Stati ormai privi di sovranità monetaria, percepivano la zona euro come economicamente omogenea e per questo priva di rischi d’insolvenza. Scoppiata nel 2007-2008 la bolla finanziaria statunitense e

stenti tra le economie dei vari paesi traducendole nei diversi tassi d’interesse richiesti ai singoli Stati, la Grecia presto non è stata più in grado di finanziarsi sui mercati. Perciò a partire dal 23 aprile 2010 e fino al 30 marzo 2012 essa ha ottenuto prestiti dai Paesi dell’Eurozona, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE per quasi 500 miliardi di euro, dei quali restano da rimborsarne poco meno di 330. I prestiti sono stati concessi in cambio di misure di risanamento ispirate al dogma <<dell’austerità espansionistica>>, peraltro privo di ogni evi-

dere più difficile la competizione delle imprese chiamate ad esportare i propri prodotti sul mercato globale nel segno dell’aggressiva politica mercantilista di stampo tedesco. In realtà, le somme prestate alla Grecia non sono giunte

Tsipras - Varoufakis

recessive dissennate, non compensate, a livello europeo, da equivalenti politiche espansive della domanda interna delle economie forti, in primo luogo di quella della Germania, Stato sotto osservazione delle autorità


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il Focus

europee per aver costantemente violato il tasso cooperativo di esportazioni consentito dai trattati, i dati dell’economia greca sono drammaticamente peggiorati rivelando il dramma

sociale e umano di milioni di persone. L’ARRIVO DI TSIPRAS

Agli inizi di quest’anno, vinte le elezioni politiche

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Alexis Tsipras

sbandierando il programma di Salonicco che prevedeva, in linea di massima, l’annullamento di quasi tutte le misure di austerità precedenti e l’adozione di misure <<umanitarie>> (blocco della vendita forzata della prima casa, sgravio del pagamento di alcune forniture essenziali, ripristino dell’assistenza sanitaria ai nuovi esclusi) e non (ripristino della contrattazione collettiva), il governo di Ts i p r a s , mantenute

solo in parte queste promesse tra la disapprovazione dei governi europei capitanati dall’inflessibile Germania, nei negoziati subito intavolati ha posto per la prima volta uno dei problemi cruciali, ossia la insostenibilità del debito e la sua ristrutturazione. Per ragioni politiche, nobilitate da argomenti formali fondati sui trattati, su questo si è consumato lo scontro di fine giugno che ha indotto il governo Tsipras a interrompere le trattative e a indire il controverso referendum, in realtà un benefico e raro esercizio di democrazia, con cui si è procurato il mandato a negoziare condizioni migliori di quelle che erano in discussione dal 25 giugno e che prevedevano ulteriori tagli per 8 miliardi di euro. Il 13 luglio, alla ripresa dei


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Merkel e Tsipras durante il vertice a Bruxelles 2015

negoziati, una Germania vendicativa e miope, ha proposto ancora più drastici ed immediati tagli della spesa pubblica e la umiliante costituzione di un fondo di garanzia di 50 miliardi di euro come con-

dizione perché siano concessi, subito dopo, ulteriori prestiti dell’ammontare di una ottantina di miliardi di euro. Quale che sarà la risposta del Parlamento greco, già attraversato da significativi moti di rivolta, resta irrisolto il problema fondamentale: fondi per gli investimenti nell’economia greca, l’unica misura in grado di

accrescere la produttività del sistema economico ed evitare il periodico ripetersi della micidiale spirale recessione, peggioramento dei conti pubblici, ulteriori misure recessive, destinata prima o poi a travolgere l’impalcatura miope di questa asfittica e insostenibile unione europea.

*Professore di diritto privato comparato nelle università di Foggia, nell’Universidade Federal Fluminensedi Niterói-Rio de Janeiro e di diritto ed economia europea nella Universidad Católica Andrés Bello di Caracas. Esperto del Comitato Economico Sociale dell’Unione Europea.

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la Tradizione

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ALLE ORIGINI DEL SUD

entre scrivo q u e s t e righe, ancora non so quale sarà la sorte della Grecia, in seno all’Europa. A proposito: ma l’Europa – economica, però priva di una struttura politica definita a monte – è una realtà o un mito? E, guarda caso, culla del Mito (quello con la M maiuscola) è stata proprio la Grecia, che, anzi, lo ha trasmesso al Sud d’Italia, il quale, poi, è stato così bravo a recepirlo, da divenire addirittura “Magna Grecia”, una Grecia più grande di quella che gli aveva trasmesso la propria cultura e la propria civiltà. A cominciare da Napoli, una città che in principio ne fu due: “Palaepolis” e “Neapolis”, vale a dire, la città vecchia e quella nuova, alle cui origini si colloca il mito delle Sirene – Partenope, Ligeia e Leucosia –, strani uccelli dal volto femminile e dalla voce soave. Una voce che incantava chi ascoltava il loro canto, fino a indurlo al suicidio, al punto che Ulisse dovette tappare con la cera gli orecchi dei suoi marinai e farsi legare all’alElea

SERG IO ZAZZERA

bero maestro della sua nave, per poterle ascoltare continuando a vivere, mentre passava davanti al piccolo arcipelago de Li Galli, di fronte alla Costiera amalfitana, dove esse vivevano. Quindi, sentendosi sconfitte dal re d’Itaca, esse si suicidarono, gettandosi in mare; e nei pressi di Punta Licosa si arenò il corpo di Leucosia; sulla costa del golfo di Sant’Eufemia, quello di Ligeia, la quale divenne, altresì, protagonista di un racconto dell’orrore di Edgar Allan Poe. A sua volta, Partenope divenne patrona pagana di Napoli, poiché il suo corpo senza vita venne ad arenarsi sul lido, che poi sarebbe stato intitolato a Santa Lucia, la vergine che protegge la vista, in perfetta sintonia con il sostantivo “Pàrthenops”, che significa “occhio della vergine”. Ora, se di questo felice incontro fra civiltà a Napoli poco o nulla resta di tangibile – a parte i monconi di mura greche di piazza Calenda, di piazza Bellini e dei sotterranei di San Lorenzo –, viceversa, l’intera Italia meridionale è

Cuma

disseminata di testimonianze magnogreche. Già negl’immediati dintorni della città, infatti, si erge l’Acropoli di Cuma (l’antica “Cyme”), con la mitica grotta della Sibilla, l’anziana veggente che affidava le sue ambigue profezie a foglie, che poi il vento spargeva un po’ dappertutto. Inoltre, verso l’estremità meridionale della Campania, il basso Cilento custodisce l’area sacra di “Paistom” (la “Paestum” dei Romani) e i resti di “Elea” (oggi Velia), dove fiorì la scuola filosofica,

detta per l’appunto Eleatica, ch’ebbe per maestro Parmenide.

Poco oltre, già nel nome conserva traccia della grecità la Lucania, terra dei lupi (da “lykos”), ribattezzata, durante il periodo fascista, con l’altro nome, pomposo quanto improprio e anch’esso grecizzante, di Basilicata, terra dei re (da “basilèus”). Sulla sua costa meridionale Metaponto – greca anche nel nome, che significa città “al di là del mare”, dal punto di vista degli Elleni, che


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abitavano sulla sponda opposta dello Jonio – esibisce i resti del tempio di Hera. Poi, un tantino più a occidente, altre testimonianze di strutture greche, sia religiose, che civili,

a stare a malapena sul palmo della mano, in compagnia del quale ho girato, tempo fa, questo parco archeologico. Non meno pregevoli, poi, sono le testimonianze presenti a

sissimi vocaboli, il pittoresco “càntero” (< “kàntharos” = vaso), il musicale “fràulo” (< “àulos” = flauto), la gustosa “lasàgna” (< “làganon” = sfoglia di pasta), il virile “mustàccio”

la Tradizione logia, è improntata all’antico idioma ellenico.

E potrà essere piacevole concludere il discorso con un brindisi ideale, nel gustoso ricordo dei vini,

Metaponto

Sibari

sono presenti a Sibari e a Caulonia, mentre dalle acque di fronte a Riace furono ripescati i celebri Bronzi, che ora sono esposti nel Museo archeologico di Reggio Calabria e che – giustamente, mi sento di dire – ci si è rifiutati di trasportare fino a Milano, perché fossero esibiti nell’Expo. La terra, però, più ricca di resti della civiltà della Magna Grecia è, senza alcun dubbio, la Sicilia: templi di gran pregio architettonico e di suggestiva ubicazione sono presenti a Segesta e a Selinunte, nella parte occidentale dell’isola, mentre un consistente insediamento – ancora templi, ma anche una necropoli e tratti di mura ciclopiche – rende nota nel mondo la città di Agrigento (l’antica “Akragas”). E qui mi piace ricordare Ercolino, il gattino bianco e nero, che riusciva

Paestum

Siracusa, sul versante (< “mýstax” = baffo), lo orientale della Sicilia: nella scherzoso “pazzià’” (< patria del geniale scienzia- “paìzo” = giocare), l’energito Archimede, infatti, co “scerià’” (< eiskeirìzo” = un’area sacra occupa gran strofinare), fino al triviale parte della centrale piazza “vastàso” (< “bastàzo” = Leone Pancali, mentre in riva al mare è presente la fonte consacrata alla Ninfa Aretusa; inoltre, appena in periferia, il parco archeologico delle Latomìe si sviluppa intorno al cosiddetto “Orecchio di Dionisio”, l’altissima grotta, dotata di un singolare effetto acustico, che si dice consentisse al feroce tiranno della città di udire ciò che (soprattutto di negativo) dicevano sul H.J. Draper, Ulisse e le Sirene (1909) suo conto i sudditi e, quindi, di adottare severissimi trasportare). Per non dire provvedimenti nei loro del “Griko”, dialetto diffuso riguardi. da una parte della Calabria fino al sud della Puglia – la Segni assai più consistenti cosiddetta “Grecìa salentidella presenza greca si na”, che vanta comuni riscontrano, viceversa, come Calimera (che in nella lingua dei napoletani: greco significa “buongiorin proposito, vale la pena no”) –, nel quale anche la di segnalare, fra i numero- morfologia, oltre alla fono-

prodotti con l’impiego di uve provenienti da vitigni di origine greca, ma ormai radicatisi in maniera perfetta presso di noi, come il Grecanico siculo e il Greco

di Tufo irpino, ma soprattutto (e lasciatelo dire a chi se ne intende) l’Aglianico – del Vulture, ma ancor più del Sannio –, la cui denominazione ne ricorda la provenienza, giacché altro non è, che la corruzione di “Ellenico”.


SUD: LO SCHIAVO CONTENTO

la Politica

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TEORIA DELLA RIVOLUZIONE MERIDIONALE

Partiamo dal concetto che una rivoluzione culturale e sociale può, a buon diritto, definirsi tale solo quando la comunità dominata si presenta sulla scena della crisi come soggetto storico-sociale sostenuto da un proprio programma politico-economico. Quando le realtà subalterne si muovono invece per iniziativa delle fazioni che stanno al potere o che aspirano ad esso, mostrano tutta la loro palese impotenza. Dunque, tutte le volte che la rivolta delle realtà oppresse e sfruttate non è alimentata da una vera coscienza della propria condizione, a spartirsi i dividendi di questo “disordine” sono i poteri dominanti interessati a mettere in discussione lo status quo per acquisire più potere ai danni dei gruppi concorrenti. Se la sofferenza e il dolore di un popolo vanno ad esclusivo beneficio dei

ANTONIO GENTILE

suoi dominatori, parlare di condizione democratica equivale ad una bestemmia. Così come nel caso delle cosiddette “primavere arabe”, liquidate troppo rapidamente dal marketing politico-mediatico come rivoluzioni delle “masse diseredate”, ma in realtà queste continuavano ad essere solo lo strumento di una iniziativa politicasociale-religiosa gestita dagli interessi dei gruppi dominanti. E come nel caso, poi, della Grecia dei nostri giorni, umiliata e sottoposta a indicibili sacrifici dalle élite politico-finanziare europee. Il grande popolo greco ha saputo dire no a questa Europa di banchieri e burocrati che impone la legge del massacro sociale come regola del suo perverso funzionamento e, poco importa, la miseria dilagante e gli oltre 10.000 suicidi di cittadini disperati. Ciò, naturalmente, non vuol dire indifferen-

za verso i processi sociali allargati che, anzi, determinano produzione di coscienza e organizzazione del dissenso.

L'acquisizione della consapevolezza del proprio ruolo di sfruttato è il vero momento di rottura.

Nulla, infatti, appare più insopportabile al pensiero critico dello “schiavo contento” abituato a ricevere poco, senza riguardo. Scriveva Goethe nelle Affinità Elettive: ”Nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo”. Come una bestia allevata in cattività, lo “schiavo contento” non nutre neanche il sospetto di vivere in una indigenza materiale e spirituale e che possa esistere per lui un mondo ricco e senza dominio. Accontentarsi di quello che si ha e del proprio stato è da sem-

pre un'apologia del dominio sociale. Bisogna invece volere tutto ciò che può renderci liberi e dignitosi. Sosteneva Hegel: “Il nostro essere essenziale non consiste nel dormire, nel campare, nel fare l'impiegato; ma nel non essere schiavo”. E per non essere tale le popolazioni dominate e colonizzate devono rovesciare lo schema del dominio. Chi aspira all'acquisizione del potere politico, all'autonomia, alla libertà di scelta, e a mettere le mani sulle realtà materiali della società – dalle quali è stato estromesso -, deve per prima cosa capovolgere “l'ordine naturale” delle cose, deve cioè costituirsi in una forza dominante prima sul terreno politico e, poi, su quello economico. Dominare le proprie condizioni di esistenza, la propria vita, questo è il significato più profondo del concetto di libertà.


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Il Mezzogiorno d'Italia non può più restare spettatore della propria segregazione, burattino animato dai suoi dissanguatori, gestito e pensato da altri. Dalla sua rivolta interiore, dal suo rigetto ad essere “schiavo contento”, quiescente e sottomesso, si determinerà la sua palingenesi. Se la classe politica-partitocratica marcescente e rinnegata non rappresenta, ormai, neanche più se stessa ma, anzi, è lo strumento principale della condizione di sudditanza, il potere decisionale deve passare alla comunità civile, agli uomini e alle donne dell'appartenenza comune. E' rivolta l'azione sensibilizzatrice ed illuminante delle centinaia di movimenti meridionalisti che progressivamente costruiscono le fondamenta del nuovo ordine civile, smantellando, nel contempo, i muri dell'oppressione pre-

concetta. E' rivolta il diffondersi pandemico di pubblicazioni, di canti, di musiche, di iniziative identitarie che risvegliano e recuperano la linfa

la Politica

vitale della “razza silente”. E' rivolta la rabbia fomentatrice dei “forconi”, degli studenti, della Rete, che rigettano la genuflessione alla regola dell'accettazione incontestabile. Così come l'eccitazione tetanica della “Taranta” espelle simbolicamente dal corpo violato il veleno, così l'incontenibile frenesia degli oppressi darà nuova vita al “corpo ritrovato” della Comunità. E' questa la rivolta perenne.

“Essere vuol dire ribellarsi, vivere è rivoltarsi perennemente, ed ogni nostro respiro è un atto di rivolta, altrimenti noi non siamo, noi non esistiamo”.

Dunque, l'essenza della libertà e della dignità va ricercata nel possedere la consapevolezza del ruolo imposto di suddito e dell'annientamento della propria identità; va ricercata soprattutto nella capacità di controllare e gestire le proprie risorse e i propri

destini. I Meridionali sono vissuti nella convinzione crescente di essere schiavi di una dominazione fatale, così potente che sarebbe inuti-

le metterla in discussione, futile analizzarla, assurdo opporvisi e delirante solo pensare di cambiarla. Oggi, però, la rivendicazione territoriale e identitaria, soprattutto nel Sud, non può limitarsi all'aspetto storico-culturale: non avrebbe forza e futuro. I grandi cambiamenti determinati dai processi globalizzanti e omologanti spingono tali rivendicazioni a collegarsi necessariamente ad altri fattori come quelli economico e sociale. Così come è avvenuto negli anni Sessanta-Settanta dove il rapporto centro-periferia fu collegato allo schema dello “sviluppo diseguale” e del “colonialismo interno”, quasi un manifesto delle regioni emarginate e sfruttate dal potere economico, così, oggi, le battaglie dei movimenti meridionalisti devono puntare a modificare il rapporto con lo stato cen-

trale attraverso la sostituzione dei gruppi dirigenti e di potere che lo controllano. Le rivendicazioni regionaliste devono, quindi, recepire le forti istanze di rinnovamento provenienti dalla società civile, desiderose di ritrovare la propria identità d’appartenenza, di rigettare la concezione precaria della vita, fortemente contrarie alla crescente diseguaglianza sociale, e in cerca di legalità e maggiore rispetto ambientale. L'obbiettivo fondamentale dell'attuale regionalismo meridionalista deve essere quello di fondere con programmi di lotta complessivi, istanze culturali e istanze di rinnovamento politico-sociale che si sviluppano tuttora in maniera parcellizzata, così da diventare il collante naturale dei diversi settori sociali e il vero fattore di trasformazione radicale di una società sempre più contrapposta e diseguale. © RIPRODUZIONE RISERVATA


POST ELEZIONI E TRATTATO PRO PALESTINA 14

le Notizie

Insediamento De Luca

CAMPANIA

Il Presidente della Giunta Regionale della Campania, Vincenzo De Luca, si è insediato alla Presidenza della Regione. "Abbiamo mantenuto l'impegno - ha affermato Vincenzo De Luca - di dare vita ad una Giunta Regionale al di fuori di ogni logica di mercato e di contrattazione politica, seguendo la linea della piena autonomia del Presidente, sulla base delle sue competenze istituzionali. Prevediamo una Giunta snella, composta da 8 assessori (6 donne e 2 uomini): Dott.ssa Serena Angioli (Fondi Europei); Prof.ssa Lidia D'Alessio (Bilancio); Dott.ssa Valeria Fascione (Internazionalizzazione - Start Up); Prof.ssa Lucia Fortini (Scuola - Politiche Sociali); Dott.ssa Chiara Marciani (Formazione - Pari Opportunità); Dott.ssa Sonia Palmeri (Risorse Umane Lavoro); Prof. Amedeo

Michele Emiliano

Lepore (Attività Produttive) ed Avv. Fulvio Bonavitacola (Vice Presidente/ Urbanistica - Ambiente). Abbiamo bisogno di gente motivata ed entusiasta che voglia contribuire alla sfida che abbiamo lanciato nel corso della campagna elettorale: essere la prima regione d'Italia". I Consiglieri nominati sono: Prof. Mario Mustilli (Consigliere Finanziario); Prof. Sebastiano Maffettone (Organizzazione Culturale); Dott. Paolo De Ioanna (Rapporti Amministrazioni Centrali) e Dott. Francesco Caruso (Rapporti Internazionali - Unesco). Capo di Gabinetto. Dott. Sergio De Felice, Consigliere di Stato. PUGLIA

Dopo aver incassato il “no grazie” delle donne pentastellate e suscitata una certa irritazione da parte dei grandi esclusi della maggioranza il presidente pare intenzionato a rinvia-

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re le altre nomine a tempi migliori appellandosi alla modifica dello Statuto in consiglio regionale che al momento risulta l’unica scappatoia per consentirgli una certa agibilità numerica per le quote rosa esterne. "Tutti i miei colleghi di Regione hanno la parità di genere nelle proprie giunte. Perché non dovrei centrarla pure io?" si chiede Emiliano. Per la presidenza dell'aula di via Capruzzi l'accordo pare chiuso sull'ex assessore Mario Loizzo ( Pd), mentre per la guida delle commissioni si preannuncia battaglia con le liste civiche e i Popolari che

scalpitano per qualche ruolo di peso dopo l'esclusione dalla giunta. Giunta che si è presentata a Taranto alquanto ammaccata. "Bello il modello di partecipazione, ma non c'era il vero interlocutore di

Papa Francesco con Abu Mazen

una comunità ferita dall'Ilva: l'assessore all'Ambiente. È tutto ancora da stabilire ma i primi passi da Governatore per Emiliano si presentano non certo facili! DAL MONDO

Firma storica del Vaticano per la Palestina Il Vaticano ha firmato un trattato con lo "Stato di Palestina" e ha fatto appello a "decisioni coraggiose" per porre fine al conflitto israelo-palestinese con la nascita di due Stati. I negoziati sul trattato erano terminati a maggio, e si attendeva soltanto la firma

Abu Mazen firma trattato

ufficiale. Il governo israeliano aveva manifestato delusione per l'accordo, che riguarda in particolare le attività della Chiesa Cattolica nelle aree controllate dall'Autorità Nazionale Palestinese.


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il Ricordo

Dino Celentano l’imprenditore, lo sportivo...ma sopratutto l’uomo G INO G IAMMARINO

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rano i giorni di un’estate calda quasi come questa, giugno del 1990. Il Napoli di Sua Altezza Reale Diego Armando Maradona aveva appena festeggiato il secondo scudetto della sua storia, e la città si avviava con grandissimo distacco, dopo una tale emozione, alle vicende calcistiche di Italia ’90. Arrivai al piccolo studio di Dino Celentano al Corso Umberto di primo mattino. Dino venne ad aprire la porta, come sempre elegantemente rinchiuso nella sua giacca blu notte, e ci sedemmo per il rituale caffè prima di parlare di affari. Non potei non notare, sulla scrivania a destra, un rotolone di biglietti per le ormai prossime partite della nazionale italiana al San Paolo. Zio Dino, come lo chiamavo non per un grado di parentela ma per il suo modo di fare da fratello maggiore, interpretò il mio sguardo su quella pila

di cartoncini numerati come un desiderio represso. Si fermò un attimo nel discorso e mi disse: “Scusa, Giggi’, ma vuoi qualche biglietto per la partita dell’Italia?”.

Abbozzai un sorriso, ma ero in grande imbarazzo: non avendo mai tifato per l’Italia, il mio interesse per quegli incontri, dove andavano rigorosamente spettatori ordinari e non tifosi “malati”, abituali frequentatori del San Paolo, era praticamente sotto l’indicatore dello zero assoluto. Però non volevo dispiacere l’attenzione di Zio Dino. Alla fine vinse la mia negazione alla menzogna e gli risposi di getto:

“Grazie, Dino. Ma devo dirti la verità, io l’unico azzurro che riconosco nel calcio è quello del Napoli. Tutto il resto mi lascia abbastanza indifferente!”.

Ci fu un attimo di silenzio.

Dino Celentano

Poi, nonostante fossimo soli, Dino si guardò intorno come a sincerarsi che nessuno lo ascoltasse, con un movimento ondulatorio e sussultorio del viso da destra a sinistra. Poi si fermò e, fissandomi dritto negli occhi da dietro alle lenti gialle dei suoi Ray Ban, proferì un liberatorio:

“Si, eh? Ma che teniano noi da vedere con quest’Italia? Che c’ha dato mai? Hanno solo pigliato!”.

Dino è stato un grandissimo imprenditore, tra quei pochi che a Napoli e nel mondo hanno dato lezioni su come si fa impresa. Rarissimo vederlo in pubblico o ascoltare una sua dichiarazione. Eppure il suo nome era dietro tante piccole speranze, molte cresciute e diventate autonome realtà positive, altre magari meno. Ma zio Dino ha dato fiducia a tanti, ha costruito possibilità di sviluppo per persone che mai lo avrebbero potuto pensa-

re. E non solo. Far crescere un cliente dandogli fiducia e credito può essere una strategia commerciale per legarselo a vita: è l’altra faccia del capitalismo. Ma in quegli stessi anni Napoli cambiava pelle: la storica Piazza Mercato della biancheria si trasferiva al CIS di Nola. Dino Celentano, primo tra questi, assunse in blocco nella sua azienda i piccoli trasportatori che con vecchi furgoncini e carriole portavano le merci dei clienti dai negozi nei vicoletti al grande parcheggio in piazza. La vicenda che in una lontana estate porta Diego Armando Maradona dal Barcellona al Napoli vede sicuramente protagonista, oltre all’allora presidente Corrado Ferlaino, anche Antonio Juliano, ma con “Totonno” in trasferta c’era anche lui, Dino. E lo sanno bene gli operatori di banca che aprirono le fideiussioni a copertura del trasferimento del dio bambino alla città di Partenope. Una delle tante cose che ha fatto l’uomo Celentano. Ma queste poche righe non servono a fare l’elenco delle cose; sono semplicemente il ricordo di un amico nel rispetto di come volle vivere e di come ci ha lasciato. Nel silenzio e nella discrezione, come si addice a tutte le cose e le persone che, essendo intimamente e naturalmente preziose, non hanno bisogno di smodati clamori e chiacchiere aggiuntive.


il Turismo

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ESTATE: LAVORO STAGIONALE IN ROSA Intervista al Direttore Generale Fipe Marcello Fiore

nuove uone sotto il sole. È proprio il caso di dirlo! Il turismo sta riscuotendo un buon successo in questo 2015 soprattutto per quanto riguarda il lavoro stagionale, in crescita infatti si riscontrano la “quote rosa” ed il “made in

Marcello Fiore, Direttore Generale Fipe

Italy”. Entrando nel particolare: Il lavoro stagionale vede dominare il tricolore con ben il 73,4% degli addetti di nazionalità italiana rispetto al 26,6% di stranieri; Tantissime le donne impiegate nel settore, ben il 49,9% a fronte di un a percentuale maschile del 50,1%; Prevalgono i contratti part time (59,2%) rispetto ai full time (41,8%); Le professioni più gettonate: camerieri (64%), chef (18%), barman (13%), bagnini (5%); Le retribuzioni: 1.200 euro mensili in media. Abbiamo voluto approfondire l’argomento facendo con Marcello Fiore, Direttore Generale Fipe, Fede-

SIMONA BUONAURA

razione Italiana Pubblici Esercizi, alcune considerazioni:

La situazione in Grecia ha comportato qualche cambiamento nelle scelte dei turisti italiani ed internazionali sulla preferenza delle mete? «Il turista alla ricerca del perfetto mix sole, mare, ottimo cibo e vestigia del passato - che in passato trovava più occasioni di offerta nell'intero bacino del Mediterraneo - quest'anno, per un motivo o per l'altro, vede le possibilità di scelta molto ridotte. Ovvio che sia l'Italia - più di prima - a garantire tutto questo, mantenendo alti i livelli di qualità e di sicurezza. I primi dati ci dicono, in effetti, che le incertezze economiche e politiche di alcuni paesi mediterranei favoriscano il nostro Paese. Ma siamo solo all'inizio dell'estate ed è molto probabile che, soprattutto la Grecia, passati i primi giorni di disorientamento, troverà nuove energie e crescerà molto in competitività, spinta probabilmente da prezzi in discesa. L'Italia della qualità, della bellezza delle opere d'arte e dei beni culturali e naturali, della professionalità delle imprese e dei lavoratori sfida la crisi e la competizione internazionale».

Non pensa che, nonostante la crisi che attanaglia gli italiani da diverso tempo, i prezzi degli stabilimenti balneari e turistici in generale non sia-

no in linea con la nuova geografia economica? Andare al mare ad Agosto è ancora una chimera … «Le nostre località balneari nei mesi estivi registrano 184 milioni di presenze turistiche, l'offerta è così variegata sia da regione a regione sia nell'ambito della medesima località che in qualche modo si può dire che ci sia possibilità per quasi tutte le tasche. E in questi anni i prezzi sono cresciuti meno dell'inflazione. La crisi morde e morde parecchio, e ne fanno le spese gli esercenti di bar, ristoranti, stabilimenti balneari, esattamente come tutti gli altri italiani». Lo si dice spesso ed in tanti sono concordi che dal punto di vista turistico il Sud potrebbe

aumentare i profitti del 100% se ci fosse un’adeguata politica di sviluppo in questo settore a partire proprio dalla gestione e dalla messa in sicurezza di tanti gioielli a cielo aperto o di

musei ormai abbandonati al loro destino. A suo avviso come mai questo non avviene? E qual è la posizione di Fipe in merito?


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«La risposta più semplice sarebbe quella di addossare la responsabilità del mancato sviluppo turistico del Sud e della salvaguardia di quelli che lei definisce gioielli allo Stato. Ma anche se ciò in parte è vero, sono convinto che il problema possa trovare soluzione solo quando l'Italia imparerà "a fare sistema" come spesso si dice senza che alle parole seguano i fatti».

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mo – e non vogliamo - proprio permetterlo. Il recente intervento del Ministero dello Sviluppo Economico che ha definito gli home restaurant "attività economica in senso proprio" è stata un’importante presa di posizione che ha posto un punto fermo».

La sharing economy sta generando forme di concorrenza sleale e abusivismo nei confronti dei pubblici esercizi da parte imprese che svolgono la

medesima attività di somministrazione di alimenti e bevande, ma che sono soggette a meno vincoli rispetto a un bar o un ristorante. Come si potrebbe intervenire per tenere a bada questo fenomeno secondo lei? «Ho avuto modo di dirlo in più occasioni: l'innovazione è importante e nella ristorazione ce n'è molto bisogno. L'innovazione non può andare a discapito delle regole: non ci può essere un doppio mercato, quello dei pubblici esercizi normato e controllato; quello dell'improvvisazione senza controlli, senza scrupoli, senza rete. Chi poi paga è soprattutto il consumatore. E questo non possia-

La pressione fiscale in Italia è arrivata alle stelle e questo di certo non aiuta gli imprenditori. Dobbiamo aspettarci a breve che molti decidano di seguire alcuni loro colleghi andando all’Estero a continuare la loro attività? «Un’espansione internazionale dei nostri più brillanti operatori - si pensi ad alcuni chef stellati e ad alcune catene di successo - è un esempio che da

il Turismo

seguire. La qualità e lo stile italiani sono apprezzati e ambiti in tutto il mondo: spetta a noi imprenditori trovare le formule giuste per affrontare con successo i mercati oltre confine. La spinta non può essere quella dello sfuggire alle tasse, per quanto questa sia soverchiante. Occorre far presente che il pubblico esercizio è indissolubilmente legato al territorio dove opera e non può delocalizzare la propria attività come fanno le imprese di altri settori. Aprire in mercati lontani deve essere frutto di studio, capacità imprenditoriale, spinta innovativa. Senza questo, qualsiasi altra motivazione porterebbe all'insuccesso».


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l’Impresa

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LAVORARE A NAPOLI? OPTIMA IDEA

apoli o California? Non parliamo di bellezze naturali, ma di aziende. Spesso i luoghi comuni dipingono i napoletani come scarsamente propensi al lavoro e dediti al godimento della vita. Se anche fosse vero, sarebbe impossibile che le cose andassero diversamente. Come si può lavorare e contemporaneamente giocare a ping pong, oppure a Playstation, o addirittura concedersi un’ora di sonno sul posto di lavoro? I luo-

CARLO ZAZZERA

massimo i lavoratori, tra un torneo di Fifa e una chiacchierata al bar.

Ma come nasce Optima Italia? Tutto parte da un’intuizione, nel 1999, di due giovani imprenditori, Danilo Caruso e Alessio Matrone, che volevano creare un’azienda di servizi che semplificasse la vita alle imprese italiane. Partiti con una proposta di ottimizzazione delle tariffe telefoniche, ricevettero un’immediata risposta positiva dal mercato. Quell’idea si è sviluppata e in quindici anni ha portato Optima da uno scantinato agli attuali uffici prestigiosi di corso Umberto, dislocati su due piani, nei quali trovano spazio 260 lavoratori interni, ai quali vanno aggiunti i 120 consulenti esterni. Quello che impressiona è l’età media, di soli 28 anni, che si somma a una continua ricerca di personale: sembra Antonio Pirpan quasi un miracolo in un ghi comuni sono tali per- Paese in crisi nel quale i ché devono essere smen- giovani non trovano lavotiti e proprio da Napoli arri- ro, specialmente al Sud. va l’esempio di come que- L’importante, e anche queste cose possano essere sta è una novità per il mercompatibili e, anzi, portare cato italiano, è aver voglia ottimi frutti. Optima Italia, di lavorare e dimostrare le fornitrice di servizi integrati capacità necessarie per per le utenze domestiche e ricoprire i ruoli richiesti. aziendali, è stata denominata la “Google del meri- «Quando assumiamo non dione” per la visione del- guardiamo i titoli di studio l’organizzazione del lavoro – spiega il responsabile molto simile a quella del- comunicazione e markel’azienda statunitense. Ma ting, Antonio Pirpan -. a pensarci bene i valori sui Quello che ci interessa è quali si fonda questa visio- capire se le persone che ne sono molto partenopei. vengono qui abbiano L’importante, ed a Optima capacità di ricoprire i ruoli ci sono riusciti, è ottimiz- nei quali abbiamo bisogno zarli per far rendere al di personale. I giovani

napoletani hanno tanta voglia e noi diamo loro un’opportunità, ma ci sono tante storie nella nostra azienda. Come quella di un ragazzo che è andato via da Brescia, lasciando

produzione e nel product placement in diverse pellicole di successo, tra cui il campione d’incassi “La mafia uccide solo d’estate” di Pif, una scommessa vinta con un autore esordien-

un impiego in banca, per trasferirsi a Napoli e lavorare in Optima».

te, e in “Indovina chi viene a Natale”, nel quale il personaggio interpretato da Raoul Bova riveste il ruolo di un lavoratore di Optima. «Cinema e musica sono target giovanili sui quali abbiamo puntato – aggiunge Pirpan. Anche scommettendo su progetti innovativi, come quello di Pif. Abbiamo sponsorizzato la mostra su Pino Daniele organizzata al Pan di Napoli, partiremo in inverno con una campagna pubblicitaria nazionale, ma abbiamo anche scelto di creare un nostro canale di informazioni. Con Optimagazine, il

Sembra impossibile, eppure è così. Dopo oltre trent’anni anche il luogo comune dell’emigrante napoletano al Nord portato in scena da Massimo Troisi viene vendicato. Il riferimento al mondo della celluloide non è casuale, perché Optima Italia negli ultimi anni ha scelto proprio la strada del cinema per diffondere il proprio brand e farsi conoscere dal pubblico, soprattutto quello più giovane. L’azienda ha investito nella


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nostro giornale online, abbiamo raggiunto tre milioni di visitatori mensili trattando temi molto cari ai

internazionale, grazie a un’intuizione che segue la strada della musica: offrire agli utenti una “vita sempli-

cedenti e diventa il punto di riferimento per qualsiasi necessità sul piano tecnico e amministrativo.

giovani, dalle tecnologie al cinema e alla musica, creando una sinergia con Wired, che da nostro possibile concorrente è diventato un sostenitore del progetto».

ficata”, ben diversa da quella proposta da Vasco Rossi, che consenta di scegliere un unico fornitore per le utenze, con un’unica bolletta e un unico interlocutore. E, a proposito di unicità, in Italia al momento non esistono altre aziende che propongono soluzioni simili. Tra l’altro, non è mai stata presa in considerazione l’idea di vendere il prodotto tramite call center, ma ogni utente ha un consulente personale che segue tutti i passaggi dai gestori pre-

Lo sguardo verso l’internazionalità arriva anche da un altro progetto vincente. Per il secondo anno l’azienda ha organizzato Optima Erasmus, il primo sociality dedicato agli studenti Erasmus italiani.

È tutto il mondo Optima, comunque, a essere in continua espansione. Nelle ultime settimane è stata ufficializzata l’entrata del fondo internazionale Alpha nell’azienda, con il 21% delle quote. Una diretta conferma dell’interesse suscitato anche in campo

Cos’è un sociality? È un vero e proprio concorso nel quale otto studenti, selezionati dai migliori atenei italiani e in procinto di partire per il progetto Erasmus, si mettono in gioco descrivendo quotidianamente, attraverso i social

l’Impresa

network, la loro esperienza all'estero per trasmettere concretamente il valore che può avere oggi per un paese come l’Italia l’europeizzazione dei propri studenti. Anche questa è un’idea semplice, che ha stimolato l’interesse di importanti case di produzione televisive, che vorrebbero portare sul piccolo schermo questo progetto, trasformandolo in un vero reality show. Ma anche qui l’azienda partenopea punta a mantenere fede alla propria idea iniziale e finora non ha ancora accettato proposte per evitare di snaturare il progetto iniziale. In attesa di sviluppi su questo fronte, e di accogliere il vincitore della seconda edizione di Optima Erasmus, gli uffici di corso Umberto ospitano frequentemente alcuni dei personaggi più influenti del mondo contemporaneo, dal presidente dell’autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, all’ex ministro Corrado Passera, solo per citare qualche esempio, dando spazio alle principali realtà del mondo contemporaneo, aprendo un’importante finestra di integrazione tra attualità e mondo del lavoro.

RELIGIOSE, MILITARI e PIEDI DIFFICILI

in libreria il nuovo libro di Manlio Santanelli prefazione di Ugo Gregoretti PROSSIME PRESENTAZIONI ESTIVE

19 AGOSTO MAIORI 23 AGOSTO CAPRI

con letture di Gea Martire


l’Evento

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LA BALLATA DEI BRIGANTI IN UNA SOLOPACA IN FESTA

o scorso 11 e 12 luglio, nel ridente borgo di Solopaca in provincia Benevento, si è tenuta la seconda edizione

de ‘La Ballata dei Briganti’. Quest’anno la manifestazione organizzata dalla Pro loco è stata dedicata alla figura e al ruolo assunto dalle donne durante il Brigantaggio. Sabato 11 luglio, nel giardino del palazzo che ospita il Museo enogastronomico (Meg), c’è stata ‘La Scorribanda dei Brigantelli del Matese’ e l’esibizione del maestro Saverio Coletta (fisarmonica), accompagnato da Pasquale Colella (chitarra) e Luigi Cusano

RAFFAELE SANTILLO

(tammorra). Il giorno successivo, per le strade del paesino beneventano c’è stata la sfilata in costume di Briganti a cavallo, popolani e animazione di grup-

pi. Infine, nel Palazzo Ducale, si è tenuta ‘La Ballata dei Briganti’, concorso di musica popolare e gruppi folk, vinto da ‘Anemantica’, davanti a ‘Neomediterra’ e ‘Via Nova & Suon’ e passion’. Durante le due serate c’è stata la degustazione di piatti della tradizione e del famoso vino di Solopaca. Momento centrale della seconda edizione dell’iniziativa organizzata dalla Pro loco, è stato il convegno sul tema ‘Per amore e per orgoglio: Bri-

gantesse’. Ad aprire il dibattito, che si è tenuto in una sala all’interno del Meg, è stato il presidente della Pro loco di Solopaca Lucia Saudella, che ha affermato:

«Questa sera parleremo delle Brigantesse, donne forti, pronte a cambiare il destino di un interno popolo, ma purtroppo mai capite fino in fondo». A questo punto, ai presenti è stato mostrato un video con le grandi scoperte che hanno fatto del Mezzogiorno una delle terre più fiorenti di tutto il continente europeo. Successivamente, la parola è passata al sindaco di Solopaca Antonio Santonastaso, il quale ha dichiarato: «Incontri come quello di oggi devono farci riflettere su cosa è accaduto, in particolare nelle nostre terre, nel periodo precedente e successivo all’Unità d’Italia. Solo in questo modo avremo la possibilità di guardare in modo nuovo alla nostra storia». Il convegno è stato moderato da Fiore Marro, presi-

dente del Comitato delle Due Sicilie, che ha riferito:

«Nell’800 ci fu una guerra tra due mondi. Da una parte quello innovativo del Sud e dall’altro quello fondato sul liberismo, che è stato un totale fallimento. Invito tutti ad approfondire le storie del Brigantaggio e delle sue donne. Non dobbiamo pensare che le nostre terre siano di ‘serie B’; abbiamo il dovere di rilanciare l’idea delle Due Sicilie per rialzarci senza l’aiuto di nessuno». Tra i relatori del convegno c’era lo scrittore Erminio De Biase, autore anche di un libro dedicato a Maria Sofia di Borbone, considerata l’ultima grande Brigantessa. «Perché le donne del Sud vengono considerate delle Brigantesse?». Con questo interrogativo apre il suo intervento De Biase, che continua dicendo: «Ebbene, le donne del Sud spinsero i loro uomini a combattere per il loro popolo, fino al punto di scendere loro stesse in pri-


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Un momento del convegno

ma linea. Esistevano diversi tipi di Brigantesse. Tra i miei studi sul fenomeno, ho scovato il racconto di una spia inglese del 1862 che parla di una ragazza moglie di un Brigante del posto. Lo straniero quando parla dell’azione militare dei piemontesi la paragona ad una battuta di caccia: un dettaglio veramente orren-

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do. A distanza di oltre 150 anni possiamo dire che senza le donne la storia del Brigantaggio non avrebbe avuto la stessa importanza e risonanza che sta avendo ai tempi nostri». È seguito poi un momento molto emozionante con la proiezione di un video in cui sono state ricordate

tutte le Brigantesse più importanti. Le immagini sono state accompagnate da un testo letto dal vice presidente della Pro loco di Solopaca Claudio Pau. A chiudere il convegno è stato l’editore e direttore de ‘il Brigante’ Gino Giammarino.

«Il Sud – ha affermato – ha le carte in regola per capire come uscire dalla crisi finanziaria. Porterei tutti i nostri ragazzi a Pietrarsa, per spiegare loro da dove siamo partiti, dove siamo arrivati e dove possiamo giungere. Era un opificio che dopo il 1861 è diventato un museo. Una struttura che costruiva e diventata una struttura da guardare. Questa è l’immagine della privazione che abbiamo subito a favore delle indu-

l’Evento

Il gruppo vincitore

strie del nord. Abbiamo a nostra disposizione un’arma rappresentata dai consumi. Acquistare i nostri prodotti significa far rinascere la nostra economia».

Parlando delle Brigantesse Giammarino ha dichiarato: «Vengono fuori alla fine dell’800, in un periodo di totale rivoluzione, con la terra che viene defraudata a favore dell’industria. Esce fuori una nuova figura della donna che si riappropria della sua personalità e che diventa protagonista assoluta. Le Brigantesse sono la sintesi delle donne che verranno e del fenomeno sociale che svilupperanno in ogni angolo del Mondo».

Presentata in anteprima la nostra maglia

n occasione della seconda edizione de ‘La Ballata dei Briganti’, è stata presentata in anteprima la nuova maglia de ‘il Brigante’ ideata e realizzata da Enrico Durazzo di ‘Napolimania’. Prossimamente, nell’ambito di una conferenza stampa per i quindici anni di vita della rivista, ci sarà la presentazione ufficiale della maglietta, che sarà regalata a tutti gli abbonati al livello ‘Capobanda’ e ‘Luogotenente’. Inoltre, sarà possibile acquistarla presso tutti gli store di ‘Napolimania’ o richiedendola direttamente alla nostra redazione.

Presentazione maglia de il Brigante


l’Identità

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CASAMARI, ASSASSINIO NELL’ABBAZIA

ella primavera del 1799, i soldati giacobini, ritirandosi dal napoletano incalzati dall'armata sanfedista del cardinale Ruffo, nel procedere a marce forzate verso

Roma, attraversarono ad ondate successive la bassa e media valle del Liri. E qui si lasciarono andare a saccheggi, devastazioni e violenze inaudite. Bruciarono la millenaria abbazia di Montecassino, distrussero paesi e luoghi di culto e, soprattutto, versarono un gigantesco mare di sangue. Il 12 maggio, giorno di Pentecoste, ad Isola

VITTORIO CROCE

del Liri, i feroci predoni d'oltralpe trucidarono più di 500 persone molte delle quali si erano rifugiate nella chiesa di San Lorenzo.

Un fatto esecrabile, orribile, abnorme che pure è rimasto celato nelle fitte

nebbie dell’oblio: chi osa, infatti, mettere in discussione l’operato dei Francesi venuti nel nostro paese per portare civiltà e giustizia sociale?

Qualcuno potrebbe obiettare che gli eccelsi dettami rivoluzionari furono imposti con le baionette, con i fucili e con la violenza, spesso gratuita. Vuoi mettere,

però, il peso del progresso: tutto nel suo nome trovò giustificazione. In quella calda primavera di fine secolo la ferocia giacobina sconvolse anche la placida quiete del monastero benedettino di Casamari. Era il 13 maggio del 1799,

appena 24 ore dopo l’eccidio isolano che, evidentemente, non aveva appagato del tutto la sete di sangue dei masnadieri transalpini. Alle prime ombre della sera un nutrito gruppo di soldati sbandati, staccatosi dal grosso della colonna che marciava in direzione di Roma, “venti leopardi” come li definì un testimone oculare, penetrò

nell’abbazia proprio mentre la comunità monastica si accingeva al canto della “compieta”. Laceri, stanchi e affamati, vollero subito mangiare e, soprattutto, bere. Ben presto, però, finirono per ubriacarsi e il loro comportamento diventò violento. Dopo aver distrutto le enormi botti della cantina del monastero e rovesciato a terra l’olio delle lampade, entrarono in chiesa, presero la pisside nel ciborio e gettarono sul pavimento le sacre particole. Inorridito dal gesto sacrilego subito accorse padre Domenico Zawrel, maestro dei novizi, uno dei pochi rimasti nell’abbazia: alla notizia dell’arrivo della soldataglia francese, infatti, quasi tutti i monaci avevano abbandonato il luogo sacro.

Ad iniziare dal padre abate don Romualdo Pirelli che si era ritirato a Palermo presso la corte di re Ferdinando di Borbone. Padre Domenico, con santa pazienza, raccolse le ostie da terra, le custodì in un calice di ottone e le rinchiuse prima nel ciborio della sagrestia e poi nell’altare della cappella dell’Infermeria. La manovra, però, non sfuggì ad alcuni soldati che si impossessarono del calice e gettarono di nuovo a terra le particole. Padre Domenico si chinò ancora una volta a raccogliere le ostie aiutato dal corista don Albertino Maisonade e da fra Desiderio. Dopo averle recuperate il buon frate le avvolse in un corporale e le depose


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sull’altare. Quel gesto ripetuto, però, scatenò l’ira dei francesi e le sciabole iniziarono a roteare. Il primo ad essere colpito fu don Albertino che, ferito alla testa, di lì a breve rese l’anima a Dio. Poi fu la volta di fra Desiderio: colpito al fianco e al braccio cadde svenuto per terra e fu da tutti creduto morto.

Anche padre Domenico non sfuggì all’impeto sanguinario dei giacobini: martoriato da una gragnola di sciabolate spirò con il nome del Signore sulle labbra. Ormai la rabbia era montata incontrollata e i soldati si aggiravano ebbri di sangue nel monastero in cerca di altre vittime sacrificali. In una stanzetta trovarono don Simeone Cardon, priore e cellerario, cui

Interno abbazia Casamari

Casamari

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riservarono una sorte crudele: gli spaccarono la testa a colpi di accetta e gli tagliarono in piccoli pezzi le dita delle mani. Nel corridoio del noviziato, invece, uccisero con una archibugiata fra Modesto di Borgogna. Nei pressi del refettorio i soldati colpirono gravemente fra Zosimo Brambat che morì dopo tre giorni di agonia. Il ferale elenco fu chiuso da fra Maturino Mitri che, raggiunto da schioppettate e colpi di sciabola, spirò nella sua cella. Soltanto qualche giorno dopo i frati, tornati a Casamari, poterono recuperare quei poveri resti che vennero sepolti nel cimitero del monastero. Nel 1859 le spoglie vennero trasportate all’interno dell’abbazia e tumulate in

un altare-mausoleo sulla navata sinistra della chiesa, poco distante dalla porta di ingresso.

Nel 1951, infine, in occasione di alcuni lavori di ristrutturazione, l’abate don Nivardo Buttarazzi dispose lo spostamento del mausoleo sulla navata

Isola del Liri

di destra della chiesa dove tuttora è conservato, anche se l’iscrizione posta sulla lapide marmorea è ormai quasi del tutto illeggibile e sarebbe senz'altro il caso di ripristinarla. Ben presto il luogo di sepoltura dei sei monaci martiri fu fatto oggetto di profonda venerazione da parte dei fedeli del luogo e

l’Identità

non solo. Alla loro intercessione sono collegati numerosi eventi ritenuti miracolosi, tutti scrupolosamente registrati. Per questo motivo, nell’ottobre del 1933, l’abate don Angelo Savastano presentò al capitolo dell’Ordine generale Cistercense una formale richiesta per l’inizio della

causa di beatificazione. Prima di concludere una sintetica riflessione: anche l’uccisione di sei frati inermi all’interno di un monastero trova giustificazione nei superiori principi che la Francia rivoluzionaria volle propagare nelle desolate lande italiche?


“CONCERTO PER IL MEDITERRANEO”

la Musica

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M’BARKA BEN TALEB E EDDY NAPOLI UNITI DAL BACINO GABRIELLA DILIBERTO

Eddy Napoli - M’Barka Ben Taleb

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sistono linguaggi universali che permettono a tutti di capirsi, a volte amarsi. Parole, lingue e culture dovrebbero essere ponti per unire terre lontane invece, spesso, divengono pareti divisorie di mondi che, piuttosto che incontrarsi, si scontreranno trincerandosi nei loro confini ingabbianti. Ma basta l’emozione di una risata e l’empatia che innesta per sorvolare oceani e scavalcare muri. La musica, in particolare, vola con

ali larghe e robuste spinta da istinto, sentimento e improvvisazione, energie che sfuggono come aria ad ogni controllo. Nulla di meglio, quindi, di un concerto per “dialogare” in modo sincero e diretto, dimostrando su un palco quanto essere diversi ci renda, in realtà, più forti. E un concerto, in un momento delicato come quello attuale, non può che essere dedicato al bacino del Mediterraneo intriso di storia e scenario, purtroppo, di atroci episodi come il recente attentato al Museo

del Bardo in Tunisia, terra d’origine dell’affascinante artista M’Barka Ben Taleb. “La leonessa magrebina”, così come viene definita, anche se ormai napoletana di fatto, sente l’urgenza di porre l’attenzione su questi temi sensibilizzando gli animi attraverso la sua arte. Il “Concerto per il Mediterraneo” dello scorso 17 luglio nasce con lei e con questo preciso intento sotto il cielo di una notte estiva nel verde della settecentesca Villa Signorini ad Ercolano. «Le contaminazioni musicali, nascendo dall’incontro di culture diverse, sono un ottimo esempio d’integrazione, ma in questo caso sono addirittura il frutto di un’amicizia, quella che mi lega a M’Barka Ben Taleb e che unisce l’artista tunisina a Eddy Napoli, ospite d’onore della serata e ambasciatore della musica napoletana – spiega l’editore e produttore Gino Giammarino, organizzato-

re dell’evento insieme a Libera D’Angelo, Francesco Menna e Felice Biasco di Makers Eventi Napoli -. Le sponde non si muovono e non possono toccarsi, ma le onde sì, e mescolano anime diverse di uno stesso mare generando ricchezza». Con questo concerto Eddy Napoli ha dato inizio ad una collaborazione che ha tutta l’aria di non finire qui, soprattutto per sostenere i significati che racchiude. «Ultimamente si parla tanto di Mediterraneo, ma non lo si associa alla parola pace – sostiene il cantante -. A mio avviso, esiste un’Europa solo virtuale in cui contano ancora troppo gli interessi personali e non si riconosce uguale dignità a tutti. Il pentagramma però è lo stesso e, a volte, può fare miracoli». Il sapore delle singole identità, in special modo quella araba, francese e napoletana, e il fascino del


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loro incontro si sono espressi attraverso molti brani tra cui classici partenopei come “Indifferentemente”, “Tammurriata nera”, “Luna Rossa”, “‘O

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assieme alla guest star, il p e r c u s s i o n i s t a tunisino Marzouk Mejri, hanno accompagnato egregiamente il duo afronapoletano rendendo pre-

diventato un pozzo di cadaveri. Ripongo molte speranze nella musica perché credo abbia un potere terapeutico che possa unire i popoli por-

sole mio”. I musicisti Michele Maione (percussioni e voce), Arcangelo Michele Caso (violoncello e bouzouki), Gianluca Rovinello (arpa) e Raffaele Vitiello (chitarra e basso)

re bagnate dal nostro mare». Proprio con l’auspicio di dare continuità a questo progetto, ci lasciamo cullare da quello che hanno evocato le onde di

Libera D’Angelo con il gruppo

Felice e Marina Biasco

Corrado Sorbo

la Musica

zioso ogni momento e perfetta la fusione. «Il Mediterraneo era un gioiello – fa notare la “leonessa” Ben Taleb al termine del concerto, presentato da Erika Sito - ed è

tando gioia. Con Eddy Napoli c’è tanta complicità e il desiderio grande di diffondere un messaggio di apertura e tolleranza al punto da organizzare un tour che tocchi tutte le ter-

questo evento. Le onde di un mare, questa volta, amico e fratello, che bagna i colori diversi di una stessa umanità.


il Documentario

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NAPOLISLAM

apolislam è un film documentario di E r n e s t o Pagano che mostra il processo in atto a Napoli di islamizzazione, il regista dà luce ad un intreccio di etnie e credo diversi che convivono in una città singolare come Napoli, multietnica e aper-

ta alla diversità, ricca di contraddizioni che non ha mai smesso di accogliere l’altro. Le immagini parlano da sole, raccontano le storie quotidiane di alcuni personaggi convertiti all’Islam che vengono pedinati nei loro ambienti, nel loro quotidiano. Tra questi c’è appunto Danilo Alì Maraffino, il rapper ‘o Tre che ha realizzato anche alcune colonne sonore per il film. Il documentario è vincitore del Biografilm Festival, prodotto da Ladoc con Iso-

UNA MULTIETNICITÀ NEL SEG NO DELLA TOLLERANZA

VALENTINA G IUNGATI

la Film e distribuito da I Wonder Pictures, realizzato tra il 2014 e il 2015. Abbiamo intervistato Danilo Alì Maraffino per capire effettivamente come vive un Musulmano a Napoli…

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mie canzoni ha deciso di

Come è nata l’idea di realizzare Napolislam? «L’anno scorso fui contattato dal regista Ernesto Pagano tramite un fratello della Moschea, lui mi raccontò del suo progetto e voleva sapere se volevo farne parte. Il contatto comune mi rassicurava, così dopo un paio di mesi iniziò il Ramadan e iniziarono anche le riprese. Il film è Biografia Film Festival uscito quasi ad inizio Ramadan di renderle parte del docuquest’anno quindi mentario». dopo circa un anno. Il film, vincitore del BioPagano, tramite un grafilm festival di Boloragazzo, Ciro gna, com’è stato accolto Mohamed, era dalla critica? entrato in contatto «La critica è stata ottima, con questa realtà ogni città ovviamente ha dei convertiti in un quartie- reagito in modo diverso, re popolare del centro sto- sarei curioso di vedere rico e da lì si aprì un mondo sul fenomeno crescente di islamizzazione. Non solo di chi si era avvicinato all’Islam prima per un contatto culturale e poi spirituale ma anche persone del popolo come proprio Ciro che fa il pizzaiolo. Facendo ricerche sul territorio conobbe vari ragazzi che sono stati parte del film, inoltre piacendogli molto le Danilo Al Maraffino

come hanno risposto nelle

città dove c’è una presenza massiccia della Lega. A Bologna hanno dovuto aumentare le proiezioni per la richiesta. La critica negativa che è stata mossa al regista è la mancanza di una visione sugli estremisti all’interno del documentario. Pagano non ne ha trovati


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quindi non poteva crearli, ma il discorso si ricollega al pregiudizio, si dà per scontato che ci sia una testa calda pronta a fare qualcosa. A Napoli non abbiamo avu-

27 In che modo il film approccia all’aspetto religione? «Nel film è stato fatto un discorso obiettivo, testimonia la giornata tipo, di come una persona vive la religione soprattutto nell’approccio con la diversità: magari un uomo e sua moglie che non è della stessa fede o magari di una madre e una figlia che si rapportano alla cosa in modo particolare anche perché la madre non riesce a capire la decisione della figlia. Sonda la religione nella pratica e nel personale che ha quella persona con il proprio io nel contesto in cui vive, ovvero Napoli».

Napoli è una città in cui si può parlare di vera

il Documentario

per le ragazze che mettendo il velo richiamano maggiormente i pregiudizi e l’attenzione della gente. Ovviamente l’integrazione non è sufficiente, un esempio potrebbe essere quello degli orari di lavoro durante il Ramadan, io sono un libero professionista e non ho problemi ma un fratello che magari lavora in ufficio non ha degli orari flessibili per il suo credo, è visto ancora come un problema tuo. Invece in un Paese come l’Inghilterra si possono chiedere degli aiuti, orari più flessibili, c’è maggiore comprensione della religione. Ma la cultura napoletana dell’approccio all’altro si fa sentire, grazie alla nostra storia, sappiamo stare con l’altro. Non mancano

Scena tratta dal film

to nessun riscontro di questo tipo, ci sono stati alcuni episodi in cui sono stati arrestati dei ragazzi, poi rilasciati perché avevano preso un abbaglio, non c’è stata nessuna forma o manifestazione violenta».

integrazione? «A Napoli c’è un buon livello di integrazione ma ciò che manca è un riferimento politico per interfacciarsi alle istituzioni. L’integrazione con la gente c’è, non accadono episodi violenti o discriminatori, in diversa misura il discorso magari è

ovviamente episodi, soprattutto a livello istituzionale di non curanza».

L’Isis ha creato però una certa diffidenza verso i musulmani.. «Con il terrorismo si sono incrementate le domande, le persone sono mal infor-

mate e tendono a fare di tutta un’erba un fascio, non riescono a capire che l’Isis è un plotone politico che si maschera dietro alla religione, ci sono solo interessi politici e geopolitici che premono per creare degli squilibri. Le persone però, soprattutto tramite un’informazione pilotata, cominciano a fare il paragone musulmano uguale arabo uguale terrorista. In realtà vedendo le statistiche, le persone maggiormente colpite dal terrorismo islamico sono proprio i musulmani, non mi riferisco ad esempio solo ai morti e feriti nella Moschea sciita del Kuwait ma anche in Siria, mi riferisco ai morti in Palestina è una situazione capillare. Purtroppo in Italia si costruisce la propaganda politica su casistiche come questa e quindi si crea la paura per il diverso. È una guerra tra poveri, come avviene per noi Napoletani, per una persona che commette un crimine si tende sempre a generalizzare».

I recenti avvenimenti in Tunisia hanno messo in ginocchio il paese stesso anche dal punto di vista economico.. «I morti sono stati turisti però il vero colpo è stato dato all’economia del paese, la Tunisia vive di turismo. L’obiettivo principale era lungimirante, l’impatto mediatico è stato del terrorista che ha colpito l’Europa, dell’Isis che si fa sentire e del meccanismo della paura che viene mantenuto vivo. Ma è stato un obiettivo con più conseguenze».


l’Approfondimento

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CAFFÈ: BEVANDA SENZA TEMPO

A

maro, dolce, lungo, espresso questi sono solo alcuni dei modo in cui poter gustare il caffè che ha sempre più estimatori in tutto il mondo. Nemmeno l’arrivo della stagione più calda dell’anno scoraggia gli abitudinari della tazza di caffè, piuttosto approdano svariate combinazioni, dal caffè del nonno a Napoli con tanto di crema di latte, al caffè con ghiaccio e latte di mandorla a Lecce. Proprio per questo abbiamo voluto dedicare a questa bevanda uno spazio nella nostra rivista in questa estate infuocata per raccontarne i segreti e le modalità di preparazione, unico peccato è non sentirne l’odore inconfondibile attraverso le pagine della rivista! Il caffè al Sud è molto più che un business, è una tradizione radicata anche se va detto che l’espresso napoletano è quello che rappresenta maggiormen-

te l’arte di assaporarlo e prepararlo. Per questo abbiamo intervistato l’azienda Saka Caffè, fondata da Giuseppe Tafuri ed oggi gestita dalla figlia Rosaria che ci ha portati alla scoperta di alcuni dettagli tecnici di questa preziosa bevanda…

Quali sono le tipologie di caffè e qual è la loro provenienza? «Il caffè è una pianta, appartenente alla famiglia delle Rubiacee che vive nelle zone tropicali ad un'altitudine variabile dai 200 ai 2000 metri e dai 3 ai 13 metri è l'altezza che raggiunge la pianta, che però viene potata ad un'altezza tale (circa 2-3 metri), da permettere facilmente la raccolta delle bacche, dette anche ciliegie o drupe. Il caffè verde viene classificato in due famiglie: l’arabica e la robusta. La coffea arabica è la qualità più pregiata in quanto la pianta crescendo in altitudine non è soggetta

all’attacco di parassiti e più coltivata copre quasi i tre quarti della produzione mondiale. Ha caratteristiche organolettiche differenti, presenta un gusto più aromatico e meno amaro, delicato e astringente con un contenuto di caffeina inferiore alla robusta. La specie Canephora meglio conosciuta come robusta è una specie piuttosto resistente alle malattie. In degustazione risulta un sapore più amaro ma

più corposo e crema di più rispetto all’arabica. Le zone in cui crescono le piantagioni di caffè sono situate fra il Tropico del Cancro e del Capricorno proprio per il clima caldo e umido che vi si presenta. Le miscele più apprezzate sono quelle arabiche, anche se gli apprezzamenti andrebbero riferiti per area geografica. Ad esempio il consumatore napoletano e del sud Italia predilige miscele di caffè con un’alta percentuale di


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l’Approfondimento

caffè robusta e spesso ottenuti da una tostatura più scura». Qual è la filiera di lavorazione del caffè?

«Due sono i metodi di raccolta che si utilizzano nelle zone origine del caffè denominati: picking o stripping. Col metodo picking le ciliegie della pianta di caffè vengono raccolte appunto “a mano” avendo cosi una selezione più accurata che permette la raccolta delle ciliegie più mature. Nel secondo caso, cioè nel metodo stripping, la raccolta avviene derapando il ramo della pianta e quindi raccogliendo sia le ciliegie mature, quelle non mature e le foglie. Questo sistema porta sicuramente ad una selezione inferiore rispetto al precedente e può essere fatto sia a mano che con appositi macchinari. Il frutto del caffè (drupa) una volta raccolto, prima di divenire miscela, subisce una serie di trattamenti di pulitura e spolpatura. Successivamente viene selezionato per crivello (cioè dimensione del chicco), si separano i chicchi imperfetti da quelli di buona qualità e confezionato messo in sacchi di juta da 60 o 70 kg. Il caffè verde a questo punto può arrivare nelle torrefazioni di tutto il mondo per essere torrefatto. La torrefazione o tostatura è quel processo che consente di trasformare il chicco verde in chicco tostato e quindi ad un cambiamento notevole sotto tutti gli aspetti e che ne permette il fissaggio degli aromi. Dalle diverse qualità di caffè arabica e robusta trasformate in caffè tostato, si posso creare le più svariate miscele di caffè. Per

ottenere miscele di buona qualità sia esse arabiche o robuste è importante impiegare solo caffè verdi selezionati e mettere tanta cura e attenzione nella fase di tostatura perché è in tale fase che riusciamo a racchiudere nel chicco tutti quei profumi e aromi che andranno espressi nella fase di estrazione. L’estrazione della bevanda finale può avvenire in diversi modi: attraverso macchina espresso, a filtro o con la classica moka. Ed da ogni differente estrazione potremo produrre tazze di caffè ognuna con caratteristiche diverse».

Come avviene la macinatura? «Innanzitutto è bene capire perché maciniamo. Attraverso la macinatura riusciamo a liberare tute le sostanze aromatiche intrappolate nel chicco di caffè tostato. La polvere che ne otteniamo, a contatto con l’acqua, produrrà una bevanda attraverso la quale potremo individuare tutte le caratteristiche intrinseche nel nostro chicco originario. La macinatu-

ra del chicco tostato avviene attraverso macchine dotate di macine. Esistono più tipi di macine: 1 Piane: sono più veloci ma possono creare più calore e riscaldare il nostro prodotto macinato se usate con una certa frequenza. 2 Coniche: sono più lente, creano meno calore in quanto il motore lavora con meno giri. Tuttavia richiedono maggiore manutenzione e hanno una granulometria meno precisa. 3 A rullo: sono impiegate a livello industriale in quanto permettono la macinatura di grandi quantità di caffè».

Quali sono i dettagli tecnici e gli accorgimenti che consentono di realizzare un buon caffè? «Per poter ottenere un buon espresso ci rifacciamo alla regola delle 5 M: Miscela-Macchina- Macinadosatore-Manutenzione-Manodopera. In un momento storico di grandi incertezze e di forte crisi economica, forse per gli operatori del settore la regola delle 5M può rap-

presentare il punto di partenza di una politica orientata alla qualità. Prima di estrarre una tazzina di caffè, è bene, innanzitutto, conoscere la Miscela di caffè che si andrà a lavorare, verificare che la miscela sia di buona qualità, e se è rispondente alle aspettative richieste, accertarsi che la macchina da caffè sia perfettamente funzionante; avere in dotazione un macinadosatore in grado di garantire costantemente la stessa macinatura e la giusta grammatura per ogni tazzina di caffè e ricordarsi periodicamente di praticare la giusta e adeguata manutenzione alle attrezzature. Infine andiamo ad analizzare la variabile Manodopera che forse è la più determinante nel risultato finale; un bravo barista non solo deve conoscere tutte le regole citate, ma deve essere anche in grado di metterle in atto e capace di estrarre il meglio da quei pochi grammi di polvere di caffè». Valentina Giungati


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l’Intervista

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NELLA TERRA DI FRA’ DIAVOLO UNO SPECIALISTA DEL CAFFÈ

l caffè e le sue mille sfaccettature. Qual è la miscela migliore? Dove conservarlo? E quali accorgimenti

negli Stati Uniti. Avevo 9 anni quando sono tornati in Patria e mio padre ha rilevato il bar, trasmettendomi la passione per un

ti come all’Università, ho preso la patente di assaggiatore IIAC e partecipato a tante competizioni che mi hanno permesso di stu-

Pianta di caffè

diare e soddisfare tutte le mie curiosità sulla coltivazione, i metodi di raccolta, tostatura, fino ad arrivare in Honduras dove partecipando al “Barista & Farmer” ho assistito alle varie fasi della filiera del caffè constatando quanto sia dura la raccolta di qualità».

prendere per conservarlo nel migliore dei modi? Ne parliamo con Patrick Sinapi giovane barista di Providence che ad Itri gestisce un bar con grande passione e competenza:

Come nasce la passione del caffè? «Sono nato a Providence, da genitori itrani emigrati

Patrick Sinapi

buon caffè, la serietà dietro al bancone, l’orgoglio e l’impegno nella professione».

Quando sei diventato uno specialista? «Ho conosciuto la SCAE, (Speciality Coffee Association of Europe) conseguendo una serie di diplomi, i CDS che danno credi-

La SCAE si occupa di divulgare in tutta Europa la cultura del caffè e creare degli standard di qualità professionale, quindi un caffè sorseggiato a Napoli è uguale anche a Bruxelles? «Lo studio è uguale ma quello che porti in tazzina è sempre diverso. L’acqua compone il 90% della soluzione solo il 10 % sono elementi solubili; quindi troppi minerali o l’acqua troppo povera fanno la differenza. Se il livello di solubili è troppo alto il caffè diventa amaro. Anche lo studio delle temperature è

importante per il caffè in generale».

Tanti modi di servirlo, quante “sfumature” di caffè? «L’espresso è terzo nel mondo come consumo pro-capite, al primo posto purtroppo c’è il solubile, poi c’è il caffè filtro, che io amo e bevo solo mono origini dove come nel vino si avvertono i sentori e aromi solo di quel tipo di caffè: Etiopia, Messico, Guatemala, Nuova Guinea. Poi ci sono diversi metodi d’estrazione, a secondo del filtro: V-60, Chemex,coldbrew,syphon, aeropress…».

Che differenza esiste tra Arabica e Robusta? «Il rapporto Arabica-robusta è una differenza di cromosomi come il rapporto uomo-scimmia. Il migliore, l’arabica, ha 44 cromosomi moltissimi sentori, profumi floreali fruttati, molte acidità diverse che cambiano in base all’altura. I veloci cambiamenti di microclima trasformano il chicco, che per difendersi tende a produrre più zuccheri e quindi maggiore acidità. Più aumenta l’altura più migliora la qualità: la robusta ha 22 cromosomi e cresce solo fino a 800 metri, l’arabica da 600 in su. Uno special coffee nasce a 1800 metri d’altezza».

Cosa bisogna leggere sull’etichetta? «La percentuale di arabica prima di tutto, le origini, la provenienza, quando è stato tostato. In Italia non ci sono ancora leggi che


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traccino il caffè, dicano le percentuali di composizione, i profumi, i sentori, la data di tostatura».

babili condense sul caffè e rovinano il prodotto».

Quanto si conserva un caffè? «Per legge ha la scadenza

Si può ipotizzare per i giovani la scoperta della degustazione del caffè come è avvenuto per il vino?

di due anni». La conservazione nel frigo in barattoli di vetro è consigliabile? «Per uso casalingo va bene il vetro ma preferibilmente non nel frigo; gli sbalzi termici creano pro-

«I giovani si avvicinano per curiosità e poi si appassionano. Si stanno creando dei brand nuovi, nascono luoghi dove si possono degustare più tipi di caffè, a varie estrazioni, tanti modi di assaggiarlo».

Vogliamo dirlo alla maniera dei briganti, essere alternativi e non sottostare a dinamiche di mercato che ci penalizzano? «Non dovremmo parlare di grosse aziende, ma dovremmo partire proprio dalla professionalità e

rilanciare le nostre, credendoci. Stiamo cercando di formare i nuovi acquirenti la degustazione e la valutazione sono un percorso complesso da fare

l’Intervista

con attenzione».

Ultima domanda qualche segreto? «Consiglio un bel sistema filtro con una tazza V60 e un caffè macinato grossolanamente. Comprarlo in grani, ti puoi divertire a comprare caffè di più origini… macinarlo in casa

Varietà robusta

come facevano le nonne e gustarti tutto il sapore di un caffè selezionato da te».

Rosi Padovani

DA PORTICI ARRIVA SOFIA PORTA TAZZINA DA CAFFÈ

H

anno voluto omaggiare due grandi punti di riferimento della loro terra quale sono il Vesuvio e l’attrice puteolana, conosciuta in tutto il mondo, Sofia Loren. Così gli alunni della IV A del liceo classico Quinto Orazio Flacco quando hanno dovuto dare il nome alla loro interessante invenzione non hanno avuto dubbi ovvero Sofia, che in greco antico vuol dire Saggezza. Si tratta infatti di un porta tazzina da caffè termico con una base a forma di

Vesuvio: slogan del prodotto è “your volcanic break”, cioè “la tua pausa vulcanica”. Ora la parola passa a coloro che vogliono dare una mano a questi giovani inventori, ovvero qualche sponsor privato che possa essere interessato a produrre la loro creazione. Sofia è frutto del programma didattico di educazione all’imprenditorialità denominato “Impresa in azione” ed è stata già brevettata.

DAL CAFFÈ AL CAZÈ Destagionalizzare l’offerta produttiva di castagne esplorando il potenziale applicativo delle biotecnologie microbiche per l’ottenimento di nuovi alimenti a base di Castagna di Montella. Da qui sono nate la

Birra alla Castagna di Montella e CaZè, una bevanda gluten free sempre a base di Castagna di

Montella aromatizzata allo zenzero. A scommettere sulle nuove produzione l’azienda agricola Malerba, capofila del progetto denominato “Probante”, finanziato dalla Regione Campania (Psr misura 124) a seguito di un bando del Gal Irpinia, che ha messo insieme ricercatori e imprese. Nel corso di un affollato evento che s’è tenuto a Montella, presso

Villa De Marco, sono state degustate le due bevande e sono stati illustrati i risultati del progetto. Dopo i saluti del sindaco di Montella, Ferruccio Capone e del direttore della Cia provinciale di Avellino, Antonio Mango, è stato Salvatore Malerba dell’omonima azienda, a spiegare il duro e meticoloso lavoro portato avanti con il supporto della famiglia per valorizzare la Castagna di Montella e per arrivare ad investire nell’innovativa produzione.


la Gastronomia

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‘O CAFE’

La magia in un chicco ROSI PADOVANI

na tazzulella ‘e cafè... Quella di Brigida, di don Raffae’, della Peppina, del grande Pino… perfino Bach, che anche lui doveva subirne la dipendenza proprio come me, le ha dedicato una cantata! Quello sospeso. Un gesto generoso, di accoglienza e

generoso, coglienza, disponibile ai diversi, anche solo conservando un corroborante caffè pagato per il primo povero che passa, nel quale forse potrebbe celarsi Zeus... Immagino milioni di persone, come me in quel momento, qualche minuto prima o qualche istante

delicata misericordia racchiuso in una poesia, un caffè lasciato pagato al bar… una cosa che solo a Napoli potevano inventarsi, questo popolo forse un po’ inaffidabile, eccentrico e poco governabile, ma dotato di una umanità unica al mondo, pronto all’ac-

dopo, od ore, ma sempre nello stesso preciso istante, quando sei caduto giù dal letto, strattonato da una sveglia tiranna che ogni mattina ti ricorda il tuo sacrosanto dovere di cittadino modello, o genitore, esattore delle tasse o netturbino comunale, (esclu-

dendo quei privilegiati amati, che ricevono a letto il meraviglioso profumato corroborante buongiorno), ebbene, in quante parti del pianeta, come me, assorti a fissare nel vuoto, piedi scalzi, pigiama, e guai a chi profferisce parola alcuna in questi istanti di sospensione in cui appaiono e vanno pian piano mettendosi in ordine i tuoi programmi della giornata, che poi sono proprio quelli in cui si ricevono le domande più tendenziose -che fai oggi, accompagni i bambini a scuola, prima di andare al lavoro vai tu un momento alla posta a pagare le bollette che ci staccano la luce telefono e gas, o quel che sia, regali di nozze, farmacia, telefonata alla nonna... - mentre tu non riesci ad aprire bocca, asserire o negare, fissando quel dolce rigo sottile di fumo bianco profumato, borbottante, che sale dalla macchinetta, ma anche dalla brocca o bricco, o tazza, a seconda se è espresso, o filtro americano, o turco.... il tuo caffè, quel meraviglioso buon-

giorno che ti riconcilia con la vita, separa le turbe del buio dalla luce suadente di un sole ottimista, dà inizio alla tua sacrosanta giornata! Conservo con amore il macinino nero con il quale la nonna ogni sera tostava i chicchi per preparare al mattino la nera bevanda profumata. E il suono scoppiettante si spandeva nella grande cucina di pietra che trionfava al centro della casa della mia infanzia, cuore pulsante della famiglia, magico scrigno per noi bambini di succulenti manicaretti da scoprire. E’ da lì certamente ce ho cominciato ad amare il gioco della cucina, e il caffè, da quella gocciolina rotolata nello zucchero che diventava una deliziosa caramella. Di modi per gustare la bevanda meravigliosa e magica ne esistono milioni; questa volta voglio suggerire una ricetta insolita e divertente, per stupire i vostri amici in vacanza!


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la Gastronomia

A NAPOLI SI FESTEGGIA IL “CAPODANNO DEL MUGNAIO”

Tagliatelle di pasta fresca al caffè con pomodorini, mandorle e gamberi. La pasta farina di semola farina 00 uova intere caffè macinato sale

150 g 150 g 3 grandi 25 g q.b

Il sugo gamberi freschi 600g. pomodorini datterini 500 g mandorle 100 g Olio extra vergine, sale, pepe q.b. Foglie di mentuccia, basilico, uno spicchio d’aglio. Impastate energicamente le due farine, il caffè, le uova e il sale per ottenere una pasta liscia ed elastica che fate riposare in frigo per 15 minuti coperta da un panno umido, prima di stenderla e fare le tagliatelle. Pulire i gamberi privandoli anche del filino rosso all’interno, tagliateli grossolanamente, aggiungete la mentuccia, un filo d’olio, sale e pepe. In una padella rosolate leggermente l’aglio con l’olio, unite i pomodorini tagliati e rosolateli velocemente, unite il trito di gamberi, il basilico e rigirate appena qualche minuto. Lessate le tagliatelle, unite al condimento e spadellate tutto velocemente. Servite guarnite con le mandorle tritate, foglioline di basilico, un filo di olio crudo, e una spolverata di caffè nel piatto.

Nella tradizione contadina, i raccolti sono sempre accompagnati da grandi festeggiamenti apotropaici e celebrativi: l’importanza della vendemmia, della bacchiatura e della mietitura viene sottolineata con cerimonie festose. Al Molino Caputo, il mulino di Napoli, da sempre vicino ai valori della genuinità, si festeggia il “Capodanno del Mugnaio”. Ed è proprio in questo periodo che stanno arrivando a Napoli i primi camion carichi di grano, fresco di mietitura. Il grano del “Campo Caputo”, coltivato dagli agricoltori che fanno capo al “Consorzio Agrario di Latina”. Una raccolta eccezionale questa del 2015, di ottima qualità. “Quello della tracciabilità è un tema molto attuale” ha dichiarato l'Ad dell'opificio, Antimo Caputo “ma, per noi, è un percorso consolidato che ci ha portato in questi anni a sottoscrivere un contratto di filiera: dal grano fino alla realizzazione dell’intero processo di trasformazione”. Grazie ad una collaudata e storica collaborazione, infatti, con il più grande Consorzio Agrario del Sud, quello di Latina, attivo dal 1936 e specializzato nel comparto del tenero, il contratto di filiera parte dalla selezione della varietà da coltivare, in funzione delle peculiarità climatiche e del suolo e, soprattutto, dei prodotti che gli artigiani del gusto devono realizzare, consentendo all’azienda di “seguire” il percorso del grano dai campi fino al sacco di farina. “Una delle nostre priorità è il rispetto della tradizione nella quale si inseriscono le continue innovazioni che applichiamo per garantire al consumatore prodotti di altissima qualità” ha sottolineato Antimo Caputo “Partendo dalla antica esperienza e attraverso il Campo Caputo, è come avere un’antenna sul raccolto durante tutto l’anDa sx Roberto Aloiso, presidente Consorzio no fino alla mietituAgrario di Latina, Antimo Caputo, Ad Molino ra”. Grazie, infatti, Caputo, Pino Censi, direttore del Consorzio e ad accordi con Carmine Caputo, presidente Molino Caputo aziende agricole partner, il mulino riesce a “seguire” il percorso del grano dai campi fino al sacco di farina. Il meccanismo si basa sulla selezione dei semi e dei grani direttamente sul campo, e prosegue nel monitoraggio costante, fino alla realizzazione del prodotto finale. Il risultato? Assicurare ai consumatori e agli artigiani la genuinità del grano utilizzato e l'eccelsa qualità dei prodotti impiegati


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la Lettura n questo numero estivo abbiamo voluto farvi un regalo.

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34 Per completare il “treno” dedicato al caffè i Fatebenefratelli hanno scritto,

appositamente per i lettori de il Brigante, un racconto aromatizzato che

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potranno leggerlo sotto l’ombrellone sfogliando la loro rivista preferita!

RITRATTO DI FULVIA….CON PROFUMO DI CAFFÈ

l ticchettio della pioggia sottile sui vetri del balcone, in quel mattino di aprile, anziché infastidirlo, lo invitava ancor più a starsene accoccolato sotto le coperte; eppure doveva alzarsi; era domenica e, come in un magnifico rituale, le sfogliatelle non potevano mancare sulla tavola; si levò svogliatamente pensando al detto “aprile dolce dormire”; sbadigliò, si stiracchiò ed a passi lenti, si diresse verso il balcone e se ne restò lì fermo ad osservare la pioggia che cadeva; guardò in alto il cielo che, sebbene coperto di nuvole, lasciava intravvedere qualche raggio di sole che, timidamente, cercava di farsi largo tra di esse; con il dito indice prese a disegnare assurdi ghirigori sui vetri appannati…li seguì con lo sguardo mentre gradualmente si scioglievano lasciando sui vetri una lunga umida scia. Girò la testa verso il letto appena lasciato; lei dormiva beatamente; si rigirò un paio di volte su sè stessa allontanando svogliatamente le coltri dal suo corpo, mostrando un seno fuoriuscito dalla candida camicia da notte.

La guardò mentre un piccolo sorriso gli increspava le labbra; bagnò un dito facendolo scorrere sul vetro del balcone, si diresse verso il letto e lo posò dolcemente sul seno scoperto; lei ebbe un breve sussulto, aprì appena gli

Buona lettura

I FATEBENEFRATELLI

occhi, lo guardò, gli sorrise, quindi si voltò dall’altra parte e riprese a dormire. Lui come trasognato, continuava a fissare quel seno sfuggito al candore della camicia da notte; quel seno che per anni aveva ammirato ed accarezzato dolcemente, prima che lei si desse a lui totalmente; mentre ora si mostrava ai suoi occhi qual’era: avvizzito dal passare impietoso degli anni; e fu proprio quel seno appena scoperto, a riportare alla sua mente il tempo passato; sedette a piè del letto silenziosamente per non destarla e…ricordò.

Era un mattino di maggio del 1940; lui passeggiava tranquillamente, fumando una macedonia; lei se ne stava seduta, con gli occhi chiusi, su di una panchina posta sul lungomare Caracciolo di Napoli; poggiata ad un albero vi era la sua bicicletta con dei libri legati al portapacchi; il sole levatosi dolcemente dalle acque del mare, dove aveva riposato tutta la notte, le irradiava il volto; i capelli, raccolti dietro la nuca, le lasciavano liberi dei piccoli riccioli sulla fronte, smossi dalla leggera brezza proveniente dal mare. La vide e le si posò dinnanzi, con un atteggiamento a dir poco sfrontato, e restò ad osservarla. Maria, questo il nome della ragazza, sobbalzò e, per un momento osservò quella figura stagliata davanti a lei; il sole non le consentiva di distin-

guerne i contorni; si portò una mano alla fronte a mò di visiera, per schermarsi dai raggi del sole. “Mi scusi” fece Gino, come lui si chiamava, “non era mia intenzione spaventarla ma….”ed ora cosa mi posso inventare?” pensò; poi realizzò “Sa, il vederla così con gli occhi socchiusi ed il capo leggermente reclinato, mi ha fatto pensare al ritratto di Flora di Tiziano e… “guardi che conosco bene quel dipinto” lo interruppe, “e la donna di cui parla, ha i capelli biondi e sciolti; i miei, se li osserva bene, sono neri e raccolti sulla nuca; forse i raggi del sole l’hanno tratta in inganno”; ”già” fece lui, mordendosi il labbro inferiore “che sciocco, intendevo dire: il ritratto di Fulvia di Vincenzo Migliaro; “ecco, adesso sì che forse ci siamo” rispose lei, regalandogli un sorriso sbarazzino che le formava una graziosa fossetta all’angolo della bocca.

Quel sorriso convinse Gino ad osare un pò oltre, ad essere più audace ”permette? Gino de Santis” fece stendendo la mano. Maria si guardò intorno con leggero imbarazzo, indugiò un attimo, non ancora convinta se tendere o meno la mano ad uno sconosciuto. “Ci riprovo, permette? Gino de Santis” fece lui porgendo di nuovo la mano: lei sorrise porgendogli la sua “Maria Stefanucci”. “Che strano, non lo avevo mai notato” proseguì Gino, guardando verso il mare, cercando disperatamente un buon motivo per continuare il dialogo “ma, la guardi bene, non le sembra che l’isola di Capri somigli molto alla testa di un coccodrillo? La guardi” “Verameeeente??” fece Maria, rimarcando quel “Verameeente”; “sa che non ci avevo mai fatto caso?” Risero in quanto entrambi consapevoli della particolare


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conformità dell’isola vista da lontano.

Maria si alzò dalla panchina “mi scusi ma devo andare” e fece per prendere la bicicletta; “le dispiace se la porto io?” si offrì prontamente Gino, e senza attendere risposta, prese la bici per il manubrio; non si dissero altro; presero a camminare insieme come si conoscessero da una vita. Si fermarono presso uno chalet tra il verde della villa comunale. “lo gradisce un caffè”? Al segno di assenso, sedettero al tavolino e, scopertisi entrambi allievi della facoltà di architettura, parlarono, parlarono di arte, di dipinti, di pittori, di Migliaro ovviamente, della scuola di Posillipo, di Luca Giordano, fin quando un garzone servì loro la calda bevanda. “Lo sorbisca gustandone tutto l’aroma, perché non sò per quanto ancora ci sarà concesso di berne uno così”, fece Gino, consapevole dei venti di guerra che spiravano nell’aria e delle restrizioni cui erano costretti i napoletani e che ancora di più avrebbero subito. Era il 30 maggio 1940; undici giorni dopo, l’Italia sarebbe entrata in guerra, e quel bel sole di Napoli che, con i suoi raggi

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illuminava questa stupenda ed inimitabile città, ben presto avrebbe illuminato distruzioni e miserie. Si alzarono e ripresero a camminare; inconsapevolmente le loro mani si toccarono, si incrociarono e si strinsero l’una nell’altra; Cupido, nascosto chissà dove, lanciò il suo dardo e fece sì che le loro labbra si unissero nei pressi del Palco della Musica. Ripresero a camminare, nella dolce quiete della villa comunale; la percorsero tutta; si fermarono vicino alla cosiddetta vasca delle “paperelle”; più in là, una ragazza piangeva avvinta al suo innamorato, un militare che quanto prima sarebbe partito senza alcuna certezza del ritorno. A quella vista, le loro mani si strinsero ancor più; imboccarono il tunnel della vittoria, salirono verso piazza municipio e si fermarono ad osservare la bellezza architettonica del regio teatro di San Carlo, il più antico teatro dell’opera d’Europa; “e pensare che è stato costruito in meno di novecento giorni, per volontà di Carlo di Borbone…altri tempi, quando Napoli era città capitale” esclamò Gino, con un malcelato rimpianto nella voce.

Maria sobbalzò guardando l’orologio “Oddio com’è tardi, chissà cosa diranno a casa”; “Ma no, guarda che…” provò a tranquillizzarla Gino; ma lei aveva già inforcato la bici e scappava via con pedalate veloci gridando “domani sarò di nuovo nella villa”. La seguì con lo sguardo, ammirando i capelli che, non più raccolti dietro la nuca, adesso si agitavano al vento, coprendole e scoprendole la fossetta all’an-

golo della bocca. Si sposarono nel maggio del 1943. grazie ad un permesso speciale ottenuto dall’autorità militare, con una cerimonia che, definirla sobria, è puro eufemismo.

Maria indossava l’abito da sposa di sua madre, mentre Gino, era letteralmente infilato in uno striminzito doppiopetto di suo padre, per l’occasione, fatto rivoltare e tinto bleu scuro, in una tinozza posta su quel treppiedi, dove in tempi non lontani, le brave massaie ponevano a bollire le bottiglie di pomodori, fatte in casa. La cerimonia ebbe luogo nella chiesa di S. Maria delle Grazie in via Roma; il bouquet della sposa, era composto da un colorito mazzolino di fiori di campo; il pranzo di nozze si svolse nella casa dei genitori di Maria, cui parteciparono solo pochi parenti stretti; esso fu comunque ricco di portate, grazie al reperimento di alcuni prodotti “introvabili” e, per la circostanza, divenuti “trovabili”, attraverso il contrabbando, come riportato nella Eduardiana “Napoli milionaria”.La cosiddetta “prima notte” la trascorsero in un appartamento messo a disposizione da una vecchia zia, recatasi provvisoriamente in visita ad alcuni parenti nel casertano.

Ed eccoli finalmente soli, l’uno nelle braccia dell’altra, pronti a suggellare il proprio amore, interrotti dall’urlo lacerante delle sirene, che annunciavano un bombardamento; non scesero nel ricovero come facevano gli altri; quel momento tanto atteso, andava comunque vissuto; se ne stettero così avvinti, con il loro immenso amore

la Lettura

che sconfiggeva anche la paura, fin quando suonò il cessato allarme; all’indomani Gino rivestì la divisa e ripartì per il fronte, lasciando in lacrime la sua sposa. Le sanzioni imposte, avevano fatto sì che, molti prodotti, ora erano stati sostituiti dai cosiddetti surrogati, come il carcadè per il tè e l’orzo o la cicoria al posto dei fragranti chicchi di caffè. Gino, come in un nostalgico flash-back, rivedeva sua madre seduta in cucina, con il macinino posto sulle gambe, intenta a macinare i chicchi di caffè; ed ancora vedeva la vecchia caffettiera sulla cucina a carbone; gli pareva perfino sentire il gorgoglio del caffè, mentre si spandeva al suo interno, inondando la casa di quella stupenda fragranza e, suo padre, più che dalla sveglia, destarsi con questo aromatico profumo, sorbire il caffè, indossare la vecchia divisa da postino e, caricatasi sulle spalle la vecchia bici, scendere le scale, pronto a consegnare la corrispondenza, nel quartiere Pendino.

E poi la infausta guerra, che Gino, pur obbligato a vestire la divisa, non aveva mai condiviso, attribuendone la colpa alla debolezza del regnante savoia; discendente di quella stirpe che aveva invaso, depredata e sottomessa la sua adorata Terra e che, aveva chinato il capo dinnanzi le velleità di conquista di Mussolini. Dopo la fatidica ed infausta data dell’otto settembre 1943, come tanti altri suoi commilitoni, Gino si spogliò della divisa, per passare nelle fila dei liberatori di Napoli; per ben due volte sfuggì ad una retata dei tedeschi, trovando rifugio, la prima, negli stretti cuni-


la Lettura

coli della Napoli sotterranea in piazza S. Gaetano, e la seconda, ai quartieri spagnoli, grazie all’intuito di un donnone che, avendolo avvistato da lontano, inseguito da una moto tedesca con sidecar, lo aveva fatti infilare velocemente, in una botola, ricavata nel suo basso, grazie alla quale, molti giovani erano sfuggiti ai campi di concentramento. Partecipò attivamente alla liberazione della città di Napoli, con atti di sabotaggio a danno dei tedeschi, e ancora più attivo lo fu, nel partecipare alla liberazione degli ostaggi, tenuti prigionieri dai tedeschi nello stadio Collana al Vomero..

A rendere ancora più tragici quegli avvenimenti, fu l’editto del 23 settembre del 1943 a firma Soprano, prefetto della provincia di Napoli, col quale si intimava la popolazione, ad abbandonare entro 24 ore le proprie abitazioni che insistevano nell’ambito di trecento metri dal litorale di tutta la provincia;; di conseguenza Gino e Maria, la cui abitazione era situata in questo raggio, furono costretti ad abbandonarla e, prelevato l’essenziale, a cercare rifugio presso dei lontani parenti in quel di Saviano, vicino Nola. Vi giunsero il giorno successivo, dopo un viaggio estenuante su di una scalcinata corriera, giusto in tempo per apprendere della liberazione del duce, ad opera dei tedeschi, a campo imperatore. Sistematisi alla meglio, Gino si diè subito da fare, nel contattare i rivoltosi del posto, proprio nel momento in cui, era il ventotto settembre, si ebbe notizia della distruzione della ferrovia da Palma a Cancello; poi giunse una notizia ancor

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più terribile: i tedeschi, al fine di creare interruzioni stradali, avrebbero fatto saltare in aria il palazzo del sarto Gaetano e quello dell’orologio. Gino assistette impotente, alla posa delle mine nei due palazzi e nei chiusini della strada vicina; Lo scoppio avvenne verso le ventuno, distruggendo altri due palazzi vicino a quelli minati e, quando giunse voce che tutta Saviano sarebbe stata incendiata, Gino non indugiò oltre ed, in compagnia di Maria, si mise in cammino per far ritorno a Napoli, dove giunse circa due giorni di marcia, interrotta da qualche sporadico rifugio in alcuni cascinali, dove grazie alla generosità di gente del posto, furono anche sfamati.

E finalmente Gino, insieme ai suoi amici potè riprendere la lotta di liberazione della città di Napoli E poi… poi, come era cominciata, la guerra finì. Gino potè finalmente riabbracciare il suo amore alla luce del sole e non più, attraverso stratagemmi per sfuggire al nemico. Anche lui, come tutto il popolo napoletano, accolse con entusiasmo i “Liberatori” quando questi, seduti sui loro carri armati, entrarono in Napoli, trovandola già libera dell’invasore tedesco, lanciando ai ragazzi, tavolette di cioccolato e chewing-gum, mentre le “segnorine” li invitavano nelle loro misere abitazioni, offrendo loro, il proprio corpo privo di amore, ricevendo in cambio, la sopravvivenza per i propri figli. E finalmente fece la sua ricomparsa il caffè. Fu proprio la mamma di Gino a portargliene, avvolti scrupolosamente in un foglio di

carta, una trentina di chicchi. E Maria sedette col macinino tra le gambe, ne aprì lo sportellino, vi introdusse all’interno i chicchi e, prese a girare la manovella lentamente, come a bearsi della melodia che proveniva dai chicchi macinati che, di lì a poco, avrebbero generato quella bevanda amata da tutta Napoli; Gino bevve il suo lentamente, ad occhi chiusi, quasi a voler stabilire un contatto fisico, tra lui ed il caffè; alla fine, leccandosi le labbra esclamò “Ora sì che la guerra è veramente finita!”, Ed ora eccolo, a braccetto della sua Maria, a concedersi una passeggiata liberatoria attraverso una Napoli irriconoscibile, piena di ferite che difficilmente, il popolo avrebbe mai dimenticato. Tutti i palazzi prospicienti sul mare, mostravano le ferite procurate dai mille e più bombardamenti, che Napoli aveva subito, mentre gli pareva di rivedere con profondo dolore, le migliaia di famiglie, cariche delle loro misere cose, costrette ad abbandonare le proprie case, per ordine del comando tedesco. Sostarono in piazza del Gesù, impietriti davanti le rovine della bella chiesa di Santa Chiara; ed altrettanto impietriti rimasero muti, osservando lo sfacelo nel cortile del palazzo reale ed i palazzi letteralmente sventrati dalle bombe nella via marina. “Mai la mia Napoli, nonostante i tanti domini di angioini, spagnoli e francesi, aveva subito tale atroce affronto; mai la mia Napoli, aveva dato alla patria, tante giovani vite, come non fossero bastate quelle del conflitto precedente” pensava Gino, nel notare macerie, distruzioni, bambini laceri e denutri-

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ti, file immense per accaparrarsi un pezzo di pane od un sacchetto di farina; si portarono sul lungomare Caracciolo, quel lungomare ruffiano del loro primo incontro; una leggera foschia copriva ed avvolgeva l’isola di Capri, non consentendo di mostrarsi loro nella sua tipica forma di testa di coccodrillo. Poi, gradualmente pensando a “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”, della struggente canzone “Simm’e Napule paisà”, Napoli…lentamente ritornò alla sua normalità.

La loro bambina nacque nella notte del quattro ottobre, nell’ospedale Loreto Crispi, lo stesso ospedale dove una ragazza napoletana, qualche giorno prima, aveva partorito un figlio “di colore”…. (I liberatori!), dando inconsapevolmente, lo spunto al poeta E.A.Mario, l’autore della “Leggenda del Piave”, per scrivere la famosa “Tammurriata Nera”. Alla bambina fu dato il nome Francesca, il santo di quel giorno, e Gino guardava estasiato la sua Maria, con la bimba stretta al seno, suggendone il delizioso nettare….. quel rigoglioso seno di una volta!

Maria si destò dal sonno proprio nel momento in cui Gino le portava una tazzina di caffè; “Perché non mi hai svegliata? Il caffè lo avrei preparato io” “Dormivi così bene che non me la sono sentita, e poi, non sarò uno chef in cucina ma. un buon caffè riesco ancora a prepararlo”; poi lei, notando il seno scoperto e, come colta da un dissimulato senso di pudore, si affrettò a coprirlo con la camicia da notte. Gino, come in un rituale che si ripeteva ogni domenica


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mattina, si vestì, scese e, dopo aver scambiato i soliti convenevoli con donna Rosa la portinaia la quale, benché fosse giorno di festa, non rinunciava al svolgere il suo ruolo. Gino uscendo dal palazzo, fu abbacinato dai raggi del sole che, finalmente avevano del tutto aquarciato le nuvole che incombevano su Napoli e, dopo aver comprato il giornale, si diresse al suo bar di fiducia dove, dopo aver gustato un delizioso espresso, ordinò un bel vassoio di sfogliatelle ricce e frolle, poiché a pranzo ci sarebbe stata anche sua figlia Francesca col marito e la nipotina Laura..

Al suo rientro, vide Maria vicino ai fornelli, intenta a preparare il pranzo; le si avvicinò alle spalle e la strinse a sé. “Che fai?” gli fece lei con finta timidezza; “tu sei e sarai sempre la mia adorata sposina” la tirò a sé, coinvolgendola in un valzer, mentre le cantava “io te voglio bene assaje e tu non pensi a me, io ti voglio…”, il campanello d’ingresso interruppe canto e valzer, per lasciar entrare la figlia Francesca col marito e la nipotina Laura. Gino la prese tra le braccia e riprese il canto, tra il divertimento generale, mentre le osservava, vicino al mento, quella deliziosa fossetta che, alla stregua di un magico testimone, si erano passata di madre in figlia. Pranzarono, gustando un delizioso ragù napoletano; dopodiché gli ospiti salutarono frettolosamente, per dar modo al marito di Francesca di andare allo stadio a vedere il suo Napoli; Gino avrebbe poi visto la partita, standosene comodamente seduto sulla sua poltrona preferita. “Vai… vai a leg-

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gere il giornale, tra poco comincia la partita, e speriamo che il “tuo” Napoli vinca, così non sarai musone fino a stasera”, gli disse Maria, sparecchiando il tavolo. “Quanto sei bella” esclamò Gino. “Una volta…ora ormai…”, ”Niente ormai” ribattè risoluto Gino “tu sei sempre la mia adorata sposina”; poi si allontanò e si portò nel soggiorno; sedette sulla sua comoda poltrona, accese il televisore, inforcò gli occhiali ed iniziò la lettura, borbottando tra sé “Sempre le solite notizie, la crisi, la disoccupazione, gli evasori”… Si alzò, si diresse verso la libreria e prelevò un volume di storia dell’arte; fuori, la leggera pioggerellina, aveva ceduto il posto ad uno splendido sole i cui raggi, filtrando dai vetri del balcone, inondavano di luce tutta la stanza.

Cercò inutilmente traccia dei suoi ghirigori ormai spariti del tutto. Sedette, poggiò il giornale su di un tavolino ed inizio a sfogliare il volume prelevato, soffermandosi sulla sua pagina preferita; dal televisore una voce diceva “ecco le squadre che fanno il loro ingresso in campo”; “finalmente!” sospirò, poi… socchiuse gli occhi, rivedendo come in un nostalgico flash-back la sua vita con

Maria, la guerra, sua figlia Francesca….le immagini si sovrapponevano e si confondevano come in un magico caleidoscopio; poi abbassò leggermente il capo di lato; un braccio restò penzoloni sul bracciolo della poltrona, l’altro con la mano ancora ferma sul volume aperto; gli occhiali si posero di sghimbescio sul volto. “Ti ho portato mezza sfogliatella ed un altro po’ di caffè” fece Maria entrando nella stanza; “l’altra metà la mangi stasera e…” Si fermò impietrita; la tazzina rovinò sul pavimento, spargendo il caffè sul tappeto buono, quello ricevuto in regalo per i cinquant’anni di matrimonio ma, non se ne curò più di tanto. Stette ferma lì ad osservarlo a bocca aperta senza che vi uscisse alcuna parola; poi il groppo che le si era fermato alla gola si sciolse e un urlo, più che le parole “hai capito che ti ho portato il caffè?” Poi abbassò lo sguardo e vide…vide la mano del suo amato Gino poggiata sulla pagina aperta del volume, dove era riprodotto un volto di donna, il volto di Fulvia di Vincenzo Migliaro, e pianse, pianse disperatamente; poi come in una sorta di allucinazione, gli sedette di fronte e prese a parlargli: “ricordi quando mi dicesti che somigliavo

la Lettura

al ritratto di Flora di Tiziano? Poi ti correggesti e passeggiammo, passeggiammo insieme mentre tu accompagnavi la mia bici e guardavamo l’isola di Capri che somiglia ad una testa di coccodrillo,……lo ricordi ‘è vero?” E poggiò la testa sulle sue gambe, quasi a cercare un ultimo contatto col suo grande ed unico amore, e pianse…. pianse

Ogni città, comune o paesino, ha le proprie usanze, nel porgere le condoglianze. A Napoli, è buona norma, specie se vicini di casa, recarvisi di persona, portando una confezione di zucchero e caffè; il motivo va ricercato nell’usanza di vegliare il defunto anche nel corso della notte, e tenersi svegli sorbendo parecchi caffè. E così si verificò a casa di Gino: un continuo tributo al defunto, fatto di caffè bevuto accanto a lui. Ed il profumo si confondeva, sovrastandolo, con quello dei ceri che bruciavano. Era un’atmosfera quasi surreale: Gino con le mani incrociate sul petto, da cui fuoriusciva una coroncina, e tutt’attorno a lui, un continuo tintinnio di tazzine di caffè. A qualcuno, vegliandolo e bevendo il caffè, parve notare un leggero sorriso di compiacimento sul volto di Gino. Noi ci crediamo…


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PASQUALE SQUITIERI FA RIVIVERE VINCENZO GEMITO A breve i casting per il personaggio a 8 anni

na nuova pellicola, la stessa verve di sempre nonostante le acciaccature, non certo dell’età ma di un fastidioso incidente che lo ha costretto al riposo forzato ed alla riabilitazione, e tanta voglia di gridare al mondo come stanno realmente le cose. Pasquale Squitieri torna dietro la macchina da presa per realizzare un film biografico sulla figura del genio folle qual è stato lo scultore Vincenzo Gemito. Sarà la Giammarino Editore a produrre la pellicola. Quasi d’obbligo, dunque,

SIMONA BUONAURA

Come nasce l’idea di realizzare un film sulla figura complessa quanto affasciante del famoso scultore? «Nasce dal successo di alcuni romanzi usciti recentemente sulla sua vita che mi hanno incuriosito per cui ho contattato alcuni autori per acquistarne i diritti. Si tratta di un personaggio interessante che ha una storia molto romanzata, abbandonato alla nascita viene lasciato nella ruota dell’Annunziata ma sin da piccolo dimostra un carattere intraprendente ed a 16 anni comincerà a venire fuori tutta la sua arte, le sue terrecotte era-

Pasquale Squitieri e Ottavia Fusco

offrire ai nostri lettori qualche anticipazione sul film. Abbiamo perciò contattato il regista, sempre disponibile ed incazzato contro le ingiustizie varie, a partire dalla unità d’Italia, e gli abbiamo chiesto qualche informazione:

no molto richieste, e quindi ad essere apprezzato di lì a qualche anno in tutta Europa. Poi c’è anche la volontà di continuare un vecchio progetto secondo il quale si deve assolutamente uscire dai luoghi comuni che vogliono Napoli la città della camor-

ra e dei delinquenti quando noi abbiamo avuto i più grandi esponenti della cultura nei diversi settori come la letteratura, cineasti, politici, musicisti etc. Sorrentino ha vinto l’oscar per il film che celebra la bellezza del miracolo urbanistico che è Roma ma noi quello splendore lo abbiamo avuto molto tempo prima ed era una Napoli piena di vitalità e brio». Quali aspetti fotograferà dello scultore? La vita dell’artista o dell’uomo? «Lui non aveva una vita privata, la sua amica fedele è stata la follia e l’incapacità di gestire il suo talento, il suo genio. Io sono molto entusiasta di questo progetto ».

Ha già individuato l’attore che potrà interpretare Gemito? Quando inizieranno le riprese? «Parto dalla seconda

Vincenzo Gemito

domanda, non ho ancora una data precisa di realizzazione anche perché il film si prevede molto costoso perché essendo ambientato tra 800 e 900 si devono reperire costumi e oggetti dell’epoca. Anche se diverse sartorie stanno già lavorando alla cosa. Se tutto procede bene le riprese potrebbero iniziare tra Novembre e Dicembre di quest’anno. Per la scelta dell’attore sarà una valutazione difficile anche perché ho bisogno di ben 3 attori bravi che interpretino Vincenzo Gemito all’età di 8, 16 e 30 anni fino alla morte. Posso aggiungere che a breve inizieranno i casting per individuare l’interprete del personaggio all’età di otto anni». Quest’anno ha ricevuto all’Ischia Film Festival il Premio alla Carriera e tra le motivazioni c’è il suo grande coraggio di dire


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sempre le cose come stanno… «Sì, devo dire la verità non me l’aspettavo proprio, anche perché sono sempre aggredito da tutte le parti. Ringrazio la giuria di avermi voluto omaggiare» A Ottobre del 2014 è stato proiettato in anteprima il suo film dal titolo “L’altro Adamo”, come mai non è stato ancora distribuito? «Devo dire che questo film vive due realtà, da una parte la critica che ha parlato positivamente della pellicola, dall’altra i distributori che nonostante promettano di farlo non lo pro-

grammano nelle sale. Il film è forte, denuncia quello che accadrà in un futuro nemmeno molto lontano in cui non ci sarà più spazio per tutti. Facciamo la pagliacciata dell’Expo spendendo tanti soldi che invece potrebbero essere destinati a persone bisognose e povere. Io 20 anni fa per la Rai ho girato il mondo per realizzare un programma dal titolo “Geografia della fame” e le cose che ho visto, già 20 anni fa, erano deprimenti: c’era gente che viveva in grandissima povertà, già c’era il traffico di organi etc ma chissà come mai, nono-

Scena tratta dal film Li chiamarono briganti

il Cinema

stante la Rai abbia spesso soldi per questo progetto, il programma non è mai andato in onda. Fui solo ospitato in una trasmissione a parlarne ma non ci fu seguito».

Sono passati 16 anni dalla pellicola “Li chiamarono… Briganti” . Cosa è rimasto di quel messaggio? E quali emozioni ricorda? «Questa pellicola è stata boicottata, speravo che sorgessero polemiche, liti, querele. Avevo tutte le prove di quello che raccontavo, quasi tutte scovate in un lavoro di ricerca faticosissimo nell’archivio di Stato. Ma fu il silenzio a fare da padrone. Io nel mio intento ho voluto restituire la verità al periodo tra i più bui della storia italiana, quello di una guerra civile nascosta sotto il nome di “brigantaggio”, lo sterminio di massa del popolo del Sud Italia ad opera dell’esercito sabaudo che allora si definiva “liberatore”. Nel film che ci prepa-

riamo a fare c’è una scena in cui Gemito è con il suo amico Mancini quando ad un certo punto arriva un signore cui tutti portano rispetto togliendosi il cappello. Ad un certo punto Mancini dice “hai capito chi è? È un boss della camorra che ha aiutato Garibaldi a conquistare il nostro sud, se non c’era lui col cavolo che ci riusciva”. Questo per dire che il brigante che c’è in me non passerà mai».

ISCHIA FILM FESTIVAL NEL SEGNO DEI BRIGANTI

Grande successo per la tredicesima edizione dell’Ischia Film Festival. Una otto giorni di proiezioni con film provenienti da 39 diversi Paesi del mondo, 54 anteprime nazionali, 2 world premiere internazionali e 2 anteprime europee. Ma il vero fiore all’occhiello dell’Ischia Film Festival numero tredici sono stati gli ospiti che si sono alternati tra le cinque diverse location del castello regalando al pubblico storie, ricordi, curiosità. Tanti i riconoscimenti ed i premi che sono stati dati tra cui: miglior Film a 1000 Rupee Note di Shrihari Sathe, che ha affascinato

la Giuria, composta dal produttore Christoph Thoke, lo sceneggiatore Maurizio Braucci e il giornalista e critico cinematografico Maurizio Di Rienzo, per la bellezza delle ambientazioni e dei colori, che accompagnano una narrazione delicata e commuovente. Ad aggiudicarsi l’ambìto Premio Castello Aragonese come Miglior Regista è Edoardo De Angelis con Perez., per la disinvoltura e la precisione dei movimenti di macchina che seguono le vicende turbinose di un avvocato schiacciato dai giochi di potere tra Stato e camorra. Il premio per il Miglior Cor-

tometraggio è andato inoltre a Los Huesos del Frio di Enrique Leal, commuovente viaggio in una Spagna afflitta dalla Guerra Civile; due fratelli uniti dalla speranza di ritrovarsi e tornare finalmente a casa. La serata più emozionante è stata quella dedicata all’ospite d’onore dell’Ischia Film Festival Pasquale Squitieri che, anche se assente per motivi di salute, ha fatto vibrare i cuori e l’orgoglio del pubblico e del direttore Michelangelo Messina che

ha dichiarato: “è sempre stato un uomo libero e coraggioso, e per questo ha pagato, sarà il chairman della prossima edizione, come tutte le grandi personalità, premi Oscar, Leoni e Palme d’Oro, che sono passate qui dal Castello” - anche a distanza.


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la Festa

a quarta edizione del White Party, festa con e per gli autori di rilievo nazionale e internazionale, organizzata dall’editore Pietro Graus si è svolta anche quest’anno nell’isola verde anche se il dress code era indossare abiti rigorosamente di colore bianco. Nella splendida cornice di Forio d’Ischia infatti gli

IL“WHITE PARTY” ILLUMINA ISCHIA

hanno ascoltato buona musica, sorseggiato champagne e incontrato esponenti del mondo della cultura e del sociale quali Antonella Leardi, Giuliana Covella ed il nostro direttore Gino Giammarino, volti noti dello spettacolo come la presentatrice di Easy Driver Roberta Morise, Luigi Libra, Massimo Cannizzaro, Mimmo Di Francia, ed esponenti del gior-

L'editore Piero Graus

ospiti hanno brindato alla cultura in una calda serata d’estate. L’evento rappresenta un incontro estivo annuale di spettacolo e cultura, dove si sono incrociate le vite vere degli scrittori, che

nalismo, come Vittoriana Abate, Cataldo Calabretta, Lino Zaccaria e Serena Albano. L’evento è collegato alla kermesse “Approdi d’autore” che da 10 anni “fa viaggiare” la cultura attra-

www.ilBrigante.it

Dacci oggi il nostro Sud... quotidiano ON LINE

verso un tour di presentazioni, reading e performance artistiche che abbrac-

ciano l’intera Isola durante l’estate. Una grande novità, fortemente voluta dall’editore, ha riguardato gli autori e gli altri ospiti dell’evento. Dopo la mezzanotte infatti, sono stati consegnati i premi: autore dell’anno, assegnato a Giuliana Covella, la scrittrice che nel corso del 2014 ha ottenuto maggiore successo, il secondo, alla Carriera, assegnato a Luigi Gorga, e il terzo a Ischia sotto le stelle, con-

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ferito a: la presentatrice Roberta Morise, la giornalista e autrice del libro “Le

Ospiti della serata

verità sommerse” Vittoriana Abate, la coautrice del libro “Ciro vive” Antonella Leardi, l’autrice Rosanna Di Crosta Landi, la giornalista Serena Albano, i giornalisti Luigi Miliucci e Tommaso Martinelli, l’avvocato Cataldo Calabretta e la cantante Sara Galimberti. Ai premiati sono stati consegnati in esclusiva le creazioni GemmaGi Gioielli di Raffaella Serapiglia Sestini, sponsor ufficiale della serata.


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la Posta

Dispacci al capobanda

om’era facile immaginare, l’articolo a firma dello storico Giuseppe Galasso, pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno lo scorso 13 Luglio, ha suscitato moltissime reazioni. Sono davvero tanti i lettori che ci hanno segnalato lo scritto invitandoci a dire la nostra. Per quanto riguarda la parte culturale credo che la replica del Presidente dei Neoborbonici, prof. Gennaro De Crescenzo, peraltro correttamente pubblicata dallo stesso “Corriere”, sia perfetta ed esaustiva. Cercherò di dare una risposta anche sul piano politico, come sembrano sollecitare le ultime righe dell’articolo in questione che, di seguito, riportiamo…

LO STORICO CONTRO LA RIVALUTAZIONE DELLA LORO DOMINAZIONE

Galasso: «Il paradiso borbonico? È solo un’invenzione nostalgica» (...) La ragione eminente pare, però, sempre più la crisi dello Stato e dell’idea nazionale, in corso dalla metà del ‘900 in tutta Europa, che l’Unione Europea non ha saputo finora superare e compensare in un nuovo quadro etico e politico di uguale forza ideale. Si è verificato così il paradosso di una realtà europea in cui la forza di un persistente nazionalismo degli Stati e delle opinioni pubbliche europee si accompagna a una crisi sempre più diffusa, politica e ideale, dello Stato e dei valori nazionali, che in alcuni paesi (Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Italia) è particolarmente forte. È su questo fronte che appare preoccupante il problema posto dall’antitalianismo borbonizzante. Sul piano culturale lo si può ritenere ben poco vitale e, comunque, destinato a essere superato (e anche omologato in quel tanto di fondato che può essere in esso). Sul piano politico, invece, alla sua incapacità di alimentare un filone politico specifico e consistente, corrisponde la sua forza erosiva e corro-

siva dell’idea nazionale italiana, della quale il Mezzogiorno ha tanto partecipato e della quale, nonostante le apparenze, tuttora profondamente partecipa. E da ciò derivano un danno sicuro all’organismo nazionale italiano e un suo indebolimento in Europa, senza che si riesca in alcun modo a vedere che cosa ne venga di buono al Mezzogiorno.

Nella parte che non pubblichiamo, lo scritto del prof. Galasso fa più volte riferimento alla Lega Nord ed alla incapacità, da parte dell’azione culturale della riscoperta della vera storia meridionale, a trasformarsi in moto politico credibile: un Partito rappresentativo delle istanze del nostro Mezzogiorno. Bisogna qui ricordare alcuni fatti fondamentali: 1) la Lega si è affermata con il sistema proporzionale, quando era possibile presentarsi alle urne autonomamente, senza schiacciarsi su uno dei due poli. 2) La Lega è il partito che ha sublimato la varie anime autonomiste e/o secessioniste come la Liga Veneta, diventando il

riferimento credibile di quell’area di pensiero. 3)Gli imprenditori del Nord, il famoso Partito delle Partite IVA, ha creduto nel progetto politico leghista e lo ha finanziato: gli imprenditori meridionali, dopo oltre venti anni, sono ancora al balcone per cercare di capire il da farsi ma senza esporsi (ed esborsi). 4) La mancata conversione di intellettuali meridionali alla causa del Sud in nome delle proprie rendite di posizione. Detto questo, più dell’antitalianismo borbonizzante è difficile comprendere le ragioni di chi, da una parte, invoca la centralità dell’Europa e la necessità di diluirsi in essa da parte degli Stati membri. Dall’altra, si dichiara per il mantenimento dello Stato centralista e unitario, secondo una visione che risale alla fine dell’ottocento. Cioè, proprio il momento in cui si compie quella forzata unità d’Italia, oggi così pesantemente messa in discussione. Non meno incomprensibile risulta la difesa di una Unione Europea che calpesta le identità (e le eco-

Giuseppe Galasso

nomie) dei suoi popoli, per poi meravigliarsi delle crisi di rigetto. In chiusura, una riflessione anche per il prof. Galasso: possibile che, in tanti anni, da vero e omnicelebrato storico dei salotti culturali, non abbia mai sentito la necessità di mettere in discussione le omologate tesi risorgimentali sempre a sfavore del Mezzogiorno?! ettore al dir Sud e r e criv ro Per s i del nost il t t a ma sui f e una te.com r a i v n i igan @ilbr a info


l’Agenda

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Appuntamenti del meridionalista

LA LUCE VINCE L’OMBRA. GLI UFFIZI A CASAL DI PRINCIPE Casa don Diana- Via Urano, 18 Casal di Principe Caserta - Fino al 21 Ottobre 2015 L’esposizione ospiterà 20 importanti opere della galleria degli Uffizi di Firenze. “La luce vince l’ombra” concentra l’attenzione sulla pittura del Seicento di artisti napoletani o legati a Napoli e comunque “affascinati” dall’espressione di Caravaggio: saranno a Casal di Principe opere eccezionali, di Artemisia Gentileschi (Santa Caterina d’Alessandria), di Luca Giordano (Carità), di Mattia Preti (Vanità) ma anche delle incursioni contemporanee, con Andy Warhol allo scopo di mostrare e valorizzare opere oggi custodite tra Napoli e Firenze. NOTTI DELLA BRIGANTE Borgo Case Troiano Di Spoltore (Pescara) - dal 31 Luglio al 2 Agosto Appuntamento con le Notti della Brigante a Borgo Case Troiano di Spoltore (Pescara). Saranno tre giorni completamente dedicati alla cultura, libri, teatro, musica, canti, balli e alle ricostruzioni storiche a tema brigantesco dedicati a Michelina Di Cesare, brigantessa per amore. SULLE VIE DELL’INCANTO…SEGUENDO LE ORME DEI BRIGANTI Martina Franca- sabato 1 agosto Il progetto ha l'ambizione di trasformare il convegnismo da statico (aule e sale di conferenze) a dinamico portando conferenzieri e partecipanti, da un lato a visitare gli incantevoli angoli della Terra del Sud italico e dall'altro a conoscere opere, scrittori e storia del Sud in maniera diversa e più briosa. In mattinata i partecipanti potranno visitare la cittadina tarantina ricca di opere d'arte e il pomeriggio inoltrato potranno recarsi alla grotta del Sergente Romano, con la guida esperta del gruppo speleologico locale che, al tramonto ci assicura uno spettacolo mozzafiato dalla parte superiore della grotta.

PALIO DI DIANA Vibo Valentia – Dal primo Agosto Ogni anno a Vibo Valentia si organizza il Palio di Diana. Questa manifestazione rievoca la storia leggendaria di un’eroina del luogo del XVI secolo. In quel periodo Vibo Valentia era sotto il dominio della signoria del duca Pagnatelli, il quale represse duramente una rivolta facendo giustiziare a morte sette cittadini ed esponendo le loro teste sui torrioni del suo castello. Il Palio prevede la rappresentazione in costume della storia di Diana e successivamente una gara tra i rioni di Vibo Valentia che prevede il tiro alla fune, la rottura della pignatta e la corsa dei sacchi.

LUCANIA FILM FESTIVAL Pisticci (Matera)- Dal 10 al 13 Agosto Si terrà a Pisticci la sedicesima edizione di Lucania Film Festival. Il Lucania Film Festival, patrimonio di Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, è al giro di boa: nuove tecnologiche per una maggiore qualità delle proiezioni al servizio del suo affezionato pubblico e offerta artistico-culturale che si arricchisce con l'apporto del mondo dei videogiochi e dei cine-tour digitali e dell'innovazione sociale. LA TERRA DEI BRIGANTI Itri – 18 Luglio/30 Agosto 2015 Presso il Museo del Brigantaggio di Itri, si svolge la II edizione de “La Terra dei briganti“, manifestazione realizzata dal Comune di Itri e dal Museo del Brigantaggio, in collaborazione con la Pro Loco di Itri e l’Associazione Terraurunca, con il contributo e il patrocinio della Regione Lazio e della Provincia di Latina.




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