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l’Editoriale
Scontro tra civiltà. O no?!
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G INO G IAMMARINO
uando all’indomani dell’11 settembre 2001 ci trovammo a fare i conti con una realtà surreale, da queste pagine parlammo di uno scontro di identità, com’era logico secondo la nostra linea editoriale. Ci sembrò che fosse il tragico risultato tra gli errori dell’Occidente e gli orrori dell’Oriente. Sbagliavamo. C’è stato, poi, con il crescere del livello di quello che certamente è un conflitto, chi ha parlato di scontro tra culture o religioni. Di sicuro, il fenomeno Isis ci mette di fronte ad una serie di interrogativi inevasi, che ci costringono anche a meditare su due civiltà che si combattono, ma sono entrambe in una profondissima crisi. E, per una volta, non parliamo di economia. Perché se è vero che l’Occidente ha perso i suoi valori di riferimento, sostituiti da nuove e più confortevoli visioni della vita, non si può dire che l’Oriente sia messo molto meglio.
Sotto i lunghissimi e neri “burqa” delle donne islamiche, come ai piedi dei terroristi del Califfato, fanno puntualmente bella (?!) mostra di sé un paio di scarpe sportive griffate dalle grandi multinazionali. E dietro l’ultimo richiamo alla propria storia, la decapitazione, il più orribile ed inaccettabile, le armi usate dai terroristi sono quanto di più moderno e sofisticato l’industria bellica possa offrire sul mercato, per non parlare del supporto tecnologico di computers e smartphone, utilizzati con enorme competenza e conoscenza delle possibilità. E infine, il più americano dei mezzi di comunicazione, la televisione. Anzi, l’ultima evoluzione della specie: il video sposato con la rete internet per fare arrivare, a destina-
zione e senza filtri (grazie alle apparenti libertà occidentali), il terribile web-monito per gli infedeli.
Da più parti si è sottolineato quanta influenza abbia avuto l’educazione occidentale sulla civiltà araba. Ma che ipocrisia nel meravigliarsi di quanta America vi sia nei comportamenti dei nuovi arabi: prima li hanno bombardati (con bombe intelligenti, eh, per carità…) dichiarando di voler esportare la democrazia, e poi si lamentano che “quelli” hanno imparato troppo bene. Hanno appreso quel che gli è stato insegnato dalla scuola chiamata “Desert Storm” (tempesta nel deserto), la prima guerra del villaggio globale. Si ricorderà, infatti, la massiccia presenza della TV che riprese, fin dallo sbarco delle truppe della coalizione ONU, guidata dagli Stati Uniti, le immagini del conflitto che andavano in onda rigorosamente in diretta a tutte le ore del giorno e della notte.
Si dice che chi semina vento raccoglie tempesta. Sull’altra sponda del Mediterraneo si è seminato “tempesta”, lecito che oggi si raccolga il vento della ribellione musulmana. Una ribellione curiosa, che solo in superficie può apparire come lo scontro tra due civiltà. Nella realtà delle cose, infatti, si tratta dell’ennesimo dissenso che si consuma tutto all’interno del pensiero unico. Un po’ quello che è avvenuto ai meridionali i quali, non hanno fatto in tempo a diventare “italiani”, che sono già costretti a diventare “europei”. Purtroppo, secondo il criterio di un’Europa pronta a dividersi su tutto, scontrandosi sanguinariamente tra sé stessa nel nome di una moneta e della finanza, con un modello più integralista del peggiore dei terroristi.
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In questo numero...
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Editoriale
GINO GIAMMARINO VICE DIREttORE
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Il focus l’Isis tra storia e stato giuridico la testimonianza M’barka ben taleb e padre lorenzo Montecalvo la politica Verso le elezioni in Campania la politica I movimenti meridionalisti la politica la nostra Heimat Ambiente&territorio Il Vesuvio, osservato speciale I simboli bandiere, vessilli di orgoglio e scontro l’identità Quelle cinquant’ore di vergogna l’interpellanza Arriva a bruxelles il Museo del lombroso l’ evento Giambattista Vico si fermò a Vatolla la tradizione Napoli multietnica l’economia Consumo responsabile in tempo di crisi la gastronomia le arancine Il cinema pannone ci porta “Sul vulcano” la presentazione la Giammarino Editore sbarca a bologna Il fumetto la coccarda rossa la lettura Dizionario dei movimenti Jihadisti la storia la minaccia musulmana nei regni di Napoli e Sicilia
SIMONA BUONAURA HANNO COllAbORAtO: VITTORIO CROCE ETTORE D’ALESSANDRO GABRIELLA DILIBERTO ANTONIO GENTILE RICCARDO GIAMMARINO VALENTINA GIUNGATI GERMANA GRASSO MAURIZIO MEROLLA GIUSEPPE PACCIONE ROSI PADOVANI RAFFAELE SANTILLO CARLA SCHIAVO SERGIO ZAZZERA PAOLA VONA
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il Focus
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L’ISIS, LO STA febbraio 2015
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’Islamic State in Iraq & Siria, in arabo: ةلودلا ةيمالسإلا يف ماشلاو قارعلا, alDawla al-Islāmiyya fī alʿIrāq wa al-Shām – che denominiamo ISIS –, è un’organizzazione paramilitare dispiegatasi su un’area che supera i confini determinati, tra la Siria e l’Iraq e che collegano le principali città del nord di questi due Stati. Quest’organizzazione ha sollevato tanto inchiostro da giugno 2014, quando la dura e spietata violenza di quest’organizzazione è giunta alle orecchie dell’Occidente, strappando con la forza le città dalle forze armate o gruppi di ribelli armati. Per comprendere la sua storia è d’uopo iniziare da tre personaggi abbastanza conosciuti: il primo, noto in tutto il pianeta per gli attacchi terroristici alle Torri gemelle e al Pentagono dell’11 settembre 2001, è Osama Bin Laden, uomo di origine saudita che per lungo tempo è stato a capo di Al Qaida, ancor prima, durante la guerra afghana, agli inizi degli anni ottanta, del secolo scorso, a servizio della CIA; il secondo è un medico egiziano, Ayman al-Zawahiri, che ha preso il posto di Jihadista combattente Bin Laden colpito a morte in un raid americano ad Abu Musab al-Zarqawi, un Abbottabad, in Pakistan, il giordano che dagli anni 2 maggio 2011; il terzo è Ottanta e poi Novanta –
Anzi, no. Un fat
G IuSEppE pACCIONE
cioè fin dai tempi della guerra che molti afghani combatterono contro i
sovietici che avevano occupato il territorio dell’Afghanistan – era stato uno dei rivali di Bin Laden all’interno del movimento dei mujaheddin, e poi anche di Al Qaida. In questo caso però approfondiremo l’aspetto dal punto di vista giuridico piuttosto che storico partendo da una considerazione.
L’ISIS È UNO STATO? Esso sostiene di essere il legittimo governo della regione in cui si è autoproclamato Stato, ma può, in base al diritto internazionale, essere considerato alla pari degli Stati? I criteri classici della nascita di uno Stato sono elencati nella Convenzione di Montevideo del 1933 che li riporta per dare una definizione funzionale di uno Stato: il popolo, il territorio e il governo. La prima condizione riguarda la popolazione, su cui lo Stato esercita un certo controllo, a causa del luogo in cui vivono. Non si può immaginare uno Stato senza popolazione, ma il diritto internazionale non fornisce alcuna soglia minima perché un gruppo sia definito popolo. Tuttavia, esso richiede l’esistenza di un popolo vitale, come il Principato di Sealand, una piccola isola al largo della costa del Regno Unito, con i suoi venticinque abitanti, sembra essere una comunità perfetta per ottenere lo status di popolo.
ATO DEI FATTI febbraio 2015
tto senza Stato
Macchine di combattenti Isis
Nel caso dell’ISIS, anche se questo criterio è arduo da quantificare, conterebbe quasi sei milioni di persone che vivono nel suo territorio. Si rileva la necessità di agglomerare una comunità stabile, basi fisiche per una società organizzata. I membri della popolazione devono accettare di essere sotto la giurisdizione statale dello Stato in questione. Questo sembra essere il caso, anche se i suoi membri riconoscono l’autorità dell’ISIS con la violenza e sottomissione. Circa la seconda condizione, relativo al territorio, il diritto internazionale non richiede una superficie minima o che i confini siano nettamente determinati, né che le frontiere siano chiara-
mente stabilite, come, ad esempio, la controversia sui territori palestinesi occupati evidenzia. I confini dell’ISIS, che sono cambiati dal mese di giugno di qualche anno fa, dall’inizio del conflitto interno, coprirebbero fino a 200000 km², innegabilmente completando il criterio territoriale dello Stato (si pensi al Vaticano che ha solo 0,4). Questo criterio, tuttavia, deve essere letta in combinazione con quella del governo che esercita il controllo effettivo su quella parte del mondo. La terza condizione richiede un soggetto politico – il c.d. Stato apparato o governo – che fornisca funzioni essenziali dello Stato, come i poteri legislativi e amministrativi, i servizi pubblici di base per
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la popolazione. Sul suo territorio, il governo dello Stato islamico aumenta le tasse e fornisce funzioni militari e di sicurezza.
I PROVENTI DELL’ISIS Pare aver preso il controllo dei servizi pubblici essenziali, come l’istruzione, nonostante le disparità tra le città. L’ultima condizione si riferisce all’indipendenza e alla sovranità degli Stati e cioè l’esclusione della giurisdizione di altri Stati sul territorio e sulla popolazione. L’ISIS impone le sue leggi e trae entrate significative dai giacimenti petroliferi che si trovano sotto il suo controllo. L’ISIS stesso non sembra subordinato ad altri gruppi terroristici come Hamas o di Al Qaeda. Secondo i criteri classici o convenzionali per determinare uno Stato, l’ISIS potrebbe facilmente esse-
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re considerato come tale. Deve ancora essere riconosciuto da altri Stati, che costituiscono la comunità internazionale.
Tuttavia, gli Stati stessi non sembrano inclini ad accettare l’ISIS per inserirla nella vita sociale internazionale, soprattutto le Nazioni Unite che hanno ribadito costantemente l’indipendenza e la sovranità dell’Iraq e della Siria nelle sue recenti risoluzioni riguardanti proprio l’area mediorientale (risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 2170 [15 agosto 2014] e 2178 [24 settembre 2014] e la dichiarazione del presidente del Consiglio di Sicurezza in occasione della sessione .n7226 del 28 Luglio 2014, S / PV.7226). Tra l’altro, il diritto internazionale inibisce il riconoscimento degli effetti giuridici su lembi territoriali
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acquisiti con l’uso della forza, com’è avvenuto nei territori occupati da Israele.
COSA DICE IL DIRITTO INTERNAZIONALE L’ISIS non può quindi essere considerato come uno Stato secondo le disposizioni del diritto internazionale, che solleva interrogativi in termini di rispetto dei diritti umani. Tuttavia, l’assenza di carattere statale non conferisce ai membri dell’ISIS l’impunità piena secondo il diritto internazionale. I suoi dirigenti sono soggetti responsabili sul piano penale per i loro atti, in particolare perseguibili dalla Corte penale internazionale per i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra. È su questa ipotesi che ha concluso il relatore della Commissione indipendente d’inchiesta internazionale sulla Siria del 13 agosto 2014 delle Nazioni Unite, per non parlare del genocidio. Le comunità cristiane d’Oriente in pericolo, hanno deciso di adire il Procuratore Generale della Corte Penale Internazionale ad avviare un’inchiesta nei riguardi dei membri dell’ISIS. L’articolo 25, paragrafo 1, dello Statuto di Roma definisce la giurisdizione personale, nel senso che la Corte è competente per le persone fisiche in conformità al presente Statuto.
Tale articolo punta sugli individui e non sugli Stati o sui suoi membri. Se è data
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generalmente nei media per cercare di incriminare i capi di Stato, questo non è il suo unico scopo: Thomas Lubanga, ad esempio, leader di un gruppo separatista armato nella Repubblica democratica del Congo, è stato il primo a essere nel 2012 condannato dalla Corte penale internazionale. Tuttavia, la sovranità dell’ISIS rimane un importante criterio per statuire la competenza
zionale. Inoltre, la Corte penale internazionale può esercitare la giurisdizione sugli individui, qualora i tribunali nazionali incaricati dell’applicazione della legge non fossero in grado o non volessero perseguire questi crimini. In assenza di uno Stato riconosciuto con tribunali penali effettivi, la giurisdizione penale riposa sui tribunali iracheni e siriani in materia di competenza territoriale e sugli
Attenteto Charlie Hebdo
sussidiaria della Corte Penale Internazionale. Se l’ISIS dovesse essere riconosciuto come Stato, deve stipulare e ratificare lo Statuto di Roma affinché la Corte Penale Internazionale abbia competenza territoriale.
In caso contrario, le atrocità commesse dall’ISIS saranno considerate come se avessero avuto luogo in Iraq o in Siria: o né l’uno e né l’altro non sono parti della Corte Penale Interna-
Stati i cui cittadini sono i criminali o le loro vittime.
CRIMINI E DOTTRINA Se questi tribunali hanno mancato al loro dovere di processare i membri dell’ISIS, e anche se né l’Iraq, né la Siria ha accettato la giurisdizione della Corte Penale Internazionale sul loro territorio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe conferire la competenza attraverso una risoluzione in base al Capitolo VII della Carta,
come ha fatto per il caso di Omar al-Bashir (presidente del Sudan per il conflitto del Darfur) e di Gheddafi (Libia).La difficoltà si trova non nell’applicare le disposizioni in materia di crimini contro l’umanità, ma a quelle dei crimini di guerra, perché se l’ISIS non è uno Stato, non potrà aversi un conflitto armato internazionale, sebbene questo concetto si occupa delle forze di opposizione dei due Stati. Non si può obiettare ai leader dell’ISIS come crimini di guerra applicabili nei conflitti armati non internazionali, in particolare quelle degli articoli 8 (c) e (e).
Per la Corte penale internazionale, la difficoltà risiederà principalmente nel timore di questi leader, in un’area instabile, dove anche gli attacchi della coalizione appaiono controversi, intervenendo in un conflitto armato non di carattere internazionale senza il consenso della Siria, ma a richiesta della sola Baghdad. Infine, l’ISIS è soventemente indicato come un’organizzazione terroristica, la comunità internazionale non può facilmente giustificare il coinvolgimento della Corte penale internazionale per giudicare questo crimine che non fa parte del loro status; forse lo farà istituendo un nuovo tribunale internazionale ad hoc, come in Libano, per trascinare i membri dell’ISIS davanti alla giustizia.
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la testimonianza
M’bARKA bEN tAlEb:
“l’ISlAM é pACE E pERDONO”
rigine tunisina, ma anima profondamente napoletana, M’Barka Ben Taleb, volto noto ai nostri lettori, splendida e grintosa voce mediterranea resa anche attrice da Turturro, rappresenta la sintesi ideale tra il nostro Sud e il mondo arabo. Con lei parliamo di musica del Mediterraneo, di identità e di civiltà.
Ci racconti la tua esperienza come abitante del bacino del Mediterraneo? «Innanzitutto, vivere in una città di mare non fa differenza con altre città che si affacciano sul Mediterraneo, a parte gli odori, le spezie e, naturalmente, il linguaggio». Che differenze hai trovato invece
M’barka ben taleb
G INO G IAMMARINO
tra la civiltà araba, dalla quale provieni, e quella occidentale, e napoletana nello specifico? «Non ce n’è nessuna! In tutti i posti ci sono persone educate ed altre maleducate, ed anche là è così. Veramente non vedo nessuna differenza, se non nei singoli comportamenti. Per me esistono le persone: sei una persona per bene, sei educato, o sei un maleducato, ecco!». E nella musica? «Lo stesso senso del bello, della melodia con tanti strumenti ed armonie, che però anche lì si va perdendo a favore di un nuovo modo di fare musica. Non dico che si deve rimanere eternamente al come eravamo, ma non bisogna dimenticare le tradizioni musicali. Io stessa attingo frequentemente dalle cose belle del passato. Peccato che la tendenza vada sempre più verso ciò che è più commerciale. E questo mi dispiace davvero…».
Veniamo allo scontro tra religioni e civiltà, Islam e Cattolicesimo, in questo momento acceso dagli attacchi dell’Isis: innanzitutto come vedi le due religioni dal tuo personale punto di vista? «Questo è un argomento molto delicato, molto complesso. Secondo me, nessuno può giudicare una religione se prima non è andato a vivere nel posto dove la si pratica. Io vengo dalla Tunisia, sono musulmana non praticante, ma vi posso testimoniare che l’Islam è la pace, l’Islam è perdonare, è l’apertura mentale ed il futuro che è scritto da anni e anni. Che poi ci sia chi non ha la testa a posto e fa solo danno, questo è un altro paio di maniche. Però, mi dispiace che si associ immediatamente l’Islam al terrorismo, non è carino. Voglio solo ricordare che
Hitler non era musulmano, Mussolini non era musulmano, eppure hanno usato la religione per fare tanto danno. Noi siamo molto vicini alla vostra religione: nel Corano c’è scritto che se non credi alla Madonna e a Gesù, non credi a Mohamed, non credi a Dio. A me personalmente è capitato di entrare in una chiesa e fare le mie preghiere, per me è un posto sacro. Coloro che compiono questi atti di violenza non sono religiosi. La mia religione, l’Islam, dice che anche in momenti di guerra, non si devono uccidere né bambini, né vecchi, né donne, né alberi: non li devi toccare! L’Islam non è questo».
Secondo te ci sono degli sbagli o degli eccessi che ha commesso l’Occidente, facendo poi crescere la sete di vendetta? «Purtroppo gli errori li hanno fatti tutti, in primis, ed in tutto il mondo, i politici. Loro stanno sempre lì, mentre la gente comune paga il prezzo delle loro scelte sbagliate. Ho sentito Matteo Salvini alla RAI parlare e giudicare le usanze del nostro mondo, criticando addirittura il fatto che le donne non guidino le auto. A parte che non è vero, ma credo che sarebbe più utile occuparsi dei problemi di questo Paese che non mi sembra siano così pochi. Adesso parla di Sud proprio lui che fino a poco tempo fa voleva dividere l’Italia o che quando fa una legge pensa sempre in chiave Nord».
Che ne pensi dell’attentato di Parigi? «Che non interessa solo l’Europa, ma tutto il mondo. Ci sono stragi e violenze dappertutto a causa di questi terroristi, ma siccome è successo a Parigi, apriti cielo! Che poi si è visto che gli attentatori
la testimonianza della redazione di Charlie Hebdo erano tutti personaggi con problemi di giustizia e di testa. Ma non si può dare ascolto a politici e personaggi che per i loro interessi fanno crescere l’odio tra i popoli. Io ho passato più della metà dei miei anni a Napoli, mi sento e sono una di voi tra di voi, ho un figlio italiano: altro che terrorista!». Siamo arrivati alla fine. L’ultima domanda è obbligatoria, dopo aver parlato di Parigi e dell’Europa: le colpe degli Stati Uniti? «Guarda, nella mia grande semplicità ed ignoranza, io ragiono e ringrazio Dio che mi ha dato il cervello, ma vedo molte cose strane. Sicuramente c’è una componente da sceneggiato americano, non dimentichiamoci
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10 dell’11 settembre. L’America, questa grande potenza che tutti noi vediamo come un gigante, lascia che crollino le torri gemelle per mano di terroristi arabi, islamici, poi c’è dietro Bin Laden. OK, Bin Laden non lo abbiamo mai visto, a Saddam hanno tagliato la testa davanti a tutto il mondo, Gheddafi è stato ucciso in maniera altrettanto spettacolare.
Allora, secondo me c’è chi dietro le quinte del teatro manovra per strumentalizzare delle persone e dei fatti. Si dice sempre che sono persone cresciute in America: ma allora è un problema che viene da dentro di te? Sei tu che non sai educare i tuoi figli? Non scherziamo con queste cose. Dico solo che costruire richiede tempo e pazienza, per distruggere basta un attimo, magari schiacciare un tasto sbagliato. Dunque, pensiamo a costruire le cose belle della vita. Poi, se qualcuno volesse spiegarmi come mai i cattivoni degli ultimi anni sono sempre gli islamici, sarò ben contenta di colmare la mia ignoranza».
pADRE lORENZO MONtECAlVO:
“DOVE C’è VIOlENZA NON C’è RElIGIONE” n seguito ai recenti avvenimenti che hanno coinvolto la redazione di Charlie Hebdo il mondo si è spaccato, molti hanno condiviso la lotta per la libertà di espressione, pur tuttavia non condividendo i contenuti «Non sono d'accordo con le tue idee, ma mi batterò fino alla morte perché tu possa esprimerle» (Voltaire), mentre altri hanno ribadito una linea editoriale secondo cui non è possibile diffondere contenuti che offendano le sensibilità religiose. L’attentato terroristico alla redazione è stato capeggiato dall’Isis, su cui bisogna fare chiarezza per non sconfinare nella critica totalitaria di popolazioni
VAlENtINA G IuNGAtI
che nulla c’entrano con il movimento. l’Isis è un gruppo terroristico che ha la pretesa di definirsi “stato” di matrice islamica attivo soprattutto in Siria e Iraq, il cui intento è la nascita di un califfato nuovo. È pratica ormai consolidata l’uso di violenza inaudita (sono eloquenti i video che circolano in rete raffiguranti uccisioni, decapitazioni, crocifissioni). Questa cellula terroristica è ben equipaggiata nonché tra i gruppi jihadista più facoltosi al mondo che ritiene la jihad globale un dovere di ogni musulmano. La jihad rappresenta lo “sforzo” che può essere in ambito interiore o esterio-
re, questo impegno ha assunto carattere di lotta armata con il gruppo, acquisendo il segno di jihad offensivo che comporta una guerra di aggressione e conquista contro i non-musulmani per sottometterli al dominio islamico. Recita il Corano nella seconda Sura "Non vi sia costrizione nella religione", al versetto 256, pertanto è bene chiarire che gli attentati terroristici sono fonte di una concezione estrema e violenta che non rientra nello spirito religioso musulmano. Come fa notare il Coordinatore delle Associazioni Islamiche Davide Piccardo il fenomeno realizzatosi è un fenomeno europeo che,
pur partendo dall’Islam, ha le sue radici in questo territorio con un’azione fuorviante, un’interpretazione dogmatica che scaturisce talvolta in violenza estrema. In seguito alla cronologia del terrore degli ultimi anni
padre lorenzo Montecalvo
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11 gli obiettivi sono stati i più disparati, per quanto riguarda l’Italia, Roma è il cuore del nemico crociato poiché capitale dell’Occidente cristiano, da ricordare il messaggio di Abu Muhammed al Adnani, portavoce dello stato islamico, in cui in oltre 40 minuti si inneggia all’omicidio di miscredenti in qualunque modo possibile, con diretta minaccia a Roma. In Italia manca effettivamente una direttiva centrale, sotto pressione dell’Intelligence che ha riferito “parliamo di un fenomeno imprevedibile,
Fila per l'acquisto di Charlie Hebdo
si tratta di cani sciolti” facendo emergere scenari inaspettati in cui i nuovi jihadisti si muoverebbero anche in solitudine senza una reale regia retrostante. Sono stati avviati controlli serrati, a Roma sono molteplici i fascicoli aperti con una serie di nomi iscritti nel registro degli indagati, molti dei quali con l’accusa di associazione sovversiva con finalità terroristiche. Non è mancato l’intervento del Papa, che è ovviamente nell’occhio del mirino, il quale ha sottolineato che le religioni devono essere unite contro la violenza, che nessuno deve abusare delle credenze religiose a fini violenti. In Italia il senatore del Pd Felice Casson ha rassicurato “non sono mai arrivati segnali specifici di allarme ma solo segnalazioni generiche come quelle riguardanti il Vaticano che, è bene ricordare, risalgono ad alcuni mesi fa, molto prima della strage di Charlie Hebdo.” La lotta al terrore ha dato vita tuttavia ad una diffusa islamofobia nei confronti di musulmani che sono
doppiamente vittime, in questi momenti infatti è facile schierarsi su posizioni istintive e talvolta irrazionali dove prevale la diffidenza. Molti purtroppo non considerano gli eventi storici e le scelte politiche legate a questi eventi, finendo con l’accorpare entità tra loro ben diverse, ed ecco che non sono mancati episodi violenti contro membri della comunità musulmana. Abbiamo intervistato su questi punti, Padre Lorenzo Montecalvo, dal 2004 sacerdote della parrocchia napoletana del Corpus Christi e Regina del S. Rosario il quale grazie al suo lungo percorso di fede ha potuto vivere a stretto contatto con comunità religiose molto diverse ed altrettante disparate civiltà..
L’attacco terroristico di Parigi e gli episodi che precedentemente hanno visto l’occidente colpito dal terrore dell’Isis, sono inscrivibili come la chiara dimostrazione di uno scontro aperto tra civiltà? «Certamente sono l’espressione di uno scontro tra civiltà, anche se, laddove si parli di scontro non c’è alcuna civiltà. C’è civiltà dove c’è dialogo, ma se non c’è incontro non possiamo parlare di civiltà. Questo scontro che sta sviluppandosi in Occidente ha comunque un tramite e collegamenti politici».
Dove finisce la libertà di espressione e inizia il rispetto per la sensibilità religiosa? «Ognuno può dire e scrivere tutto quello che vuole, ma la civiltà ci dice che non bisogna mai mancare di rispetto agli altri, questo accanimento è una mancanza totale verso ogni tipo di religione ed in primis verso il cristianesimo. Bisogna avere la sensibilità di non offendere».
Il fanatismo religioso è un problema in crescita? «Dipende, è un problema attuale ma sicuramente il fanatismo non riguarda solo la religione oggi e bisogna notare come sia gli estremisti islamici sia quelli atei manchino di rispetto l’uno verso l’altro. C’è
la testimonianza mancanza di amore, l’amore non manca di rispetto».
Come ed in che modo il problema riguarderebbe l’Italia sede del papato e prossimo obiettivo già annunciato dall’Isis? «Non credo ci sia un attacco possibile in quanto né il Papa né noi cristiani ci siamo mai espressi contro i musulmani. Chi veramente crede nel vero Dio e poi lo trasforma in uno strumento di guerra, di pressione e di lotta lo fa divenire un Dio a propria immagine e somiglianza, perché la vera religione unisce e non divide. Può cambiare il culto, gli atteggiamenti esteriori ma la sostanza, fondata sul rispetto reciproco e l’amore reciproco sono assolute e inviolabili. Bisogna partire da questo concetto: la religione non fa proselitismo. C’è libertà, può insegnare ma mai con la violenza. Qualche volta purtroppo ciò è accaduto nel medioevo nella stessa religione cattolica ma Cristo non ha mai cercato di convertire, ha invitato la gente a seguirlo ed ascoltarlo. Dove c’è violenza non c’è religione».
In base ad i suoi trascorsi, essendo più volte stato in contatto con diverse collettività, come delineerebbe la comunità musulmana? «Io sono stato dieci anni negli Stati Uniti e non ho mai avuto scontri tra modi di vedere la religione, né tantomeno in Italia. Spesso noi aiutiamo i musulmani che vengono in chiesa a chiederci aiuto, facciamo quello che è in nostro potere e loro sono molto grati, gentili, pazienti. I fratelli musulmani pur ricevendo poco, sono estremamente rispettosi, talvolta molto più dei fratelli occidentali».
Fotogramma tratto da un video dell'Isis
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la politica
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IL MERIDIONALISMO ALLA REGIONE CAMPANIA?
i avvicinano le elezioni per alcune Regioni. Cominciamo a prendere in esame gli scenari politici che in questi giorni si stanno delineando per la Campania. Di grande moda, come da noi previsto in tempi non sospetti, il
meridionalismo e l’allegato fenomeno del brigantaggio politico. Minimo comun denominatore infatti dell’agenda programmatica di partiti e movimenti è il Mezzogiorno e il senso di appartenenza alla propria terra che va difesa a tutti i costi. Consapevoli di come la
strumentalizzazione politica sia dietro l’angolo, e assolutamente non disposti, dopo anni di sacrifici, coerenza e silenzioso lavoro, a consegnare tutto questo a chi pensa di salire sul classico carro dei vincitori, abbiamo deciso di ascoltare tutte le parti in causa secondo l’apertu-
ra mentale che ci ha da sempre contraddistinto. Il che, naturalmente, non significa che chiunque otterrà il nostro lasciapassare anzi saremo ben fermi nel continuare il nostro certosino lavoro di laboratorio, aggiungendovi quello più gravoso di sentinelle della nostra identità.
PRESENTATO A NAPOLI ‘NOI CON SALVINI’ INTERVISTA AL SENATORE DELLA LEGA NORD RAFFAELE VOLPI
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Il gruppo di contestatori
ell’apparente caos che regna sovrano chi dimostra di avere le idee abbastanza chiare è la Lega Nord di Matteo Salvini che, per la prima volta, parte alla conquista del Sud. Per farlo, i vertici del Carroccio hanno deciso di presentarsi alla gente del Mezzogiorno con un nuovo simbolo ed un altro nome: ‘Noi con Salvini’. I leghisti, già da diverse settimane, hanno avviato un tour elettorale che li sta portando nei punti nevralgici del Sud. Nei mesi scorsi lo stesso Matteo Salvini era venuto a Napoli
parlamentare di Alleanza nazionale) e Vincenzo Pepe (presidente della Fondazione Giambattista Vico), illustrava i punti essenziali del progetto. A tal proposito, abbiamo rivolto alcune domande al senatore Volpi.
per capire che aria tirava e le cose non sono andate entusiasticamente. Anche in occasione dell’incontro ufficiale del movimento a Napoli, presso l’hotel ‘Ramada’ in via Galileo Ferraris, non sono mancate le contestazioni. Un gruppo di circa cento persone, capeggiato da uno striscione con su scritto ‘Voi con Salvini, noi con Partenope’, hanno contestato, con cori e qualche lancio di uova, la convention leghista. Mentre fuori si vivevano scene da guerriglia urbana, all’interno di un’affollata sala ‘America’il senatore della Lega Nord Raffaele Volpi, affiancato
da due rappresentanti meridionali del movimento Gianluca Cantalamessa (figlio di Tonino, ex consigliere regionale ed euro-
Senatore, che tipo di risposta elettorale ‘Noi con Salvini’ si aspetta dal Sud?
«Non credo ai sondaggi, però gli ultimi dati, giunti poco prima di Natale, ci davano ad una quotazione dal 5 al 6% nazionale, come soggetto politico nel
la sala America del Ramada gremita di gente
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pepe-Volpi-Cantalamessa
Mezzogiorno e nelle isole, senza che fosse stato presentato nemmeno il simbolo. Credo che sia una risposta importante». Cosa pensa della contestazione che sta accompagnando la vostra campagna elettorale nel Mez-
no. Penso ad una cosa: se ci fosse qualcuno che facesse il contestatore di professione in questa città e regione, avrebbero da lavorare tutti i giorni, magari evitando di contestare l’unico partito che non amministra ancora nulla in Campania e nel
blema dell’immigrazione e alla situazione economica in generale, che sta diventando drammatica per tutti. Per conoscere le necessità del Mezzogiorno stiamo facendo degli incontri, attraverso i quali vogliamo incominciare a ragionare con le persone del Sud
lo striscione contro Salvini
zogiorno? «I numeri che ho appena enunciato rappresentano anche una risposta per quelli che, soprattutto attraverso i social network, dicono che non ci voglio-
Sud».
Credete di conoscere le esigenze del Sud? «Ci sono alcune esigenze comuni a quelle del Nord: mi riferisco all’Euro, al pro-
sulle tematiche locali».
Qual è il progetto della Lega Nord per il Meridione? «La Lega, con il progetto ‘Noi con Salvini’, non vuole
la politica invadere assolutamente nessun territorio, ma vuole mettere a disposizione degli strumenti per lo sviluppo del Mezzogiorno. Prendiamo, ad esempio, un quadro: noi mettiamo la cornice, il disegno lo devono dipingere le persone che operano sul territorio. Non abbiamo la presunzione di dare le ricette di sviluppo ad un comune o regione che non conosciamo. Questa è la nostra idea di partecipazione, che non passa per le decisioni prese ai soliti tavoli nazionali, ma si basa sul rapporto diretto con il territorio».
In passato ci sono state delle dichiarazioni poco felici da parte di rappresentanti, anche di spicco, della Lega Nord nei confronti del Sud. Che tipo di credibilità pensate di avere nei confronti della gente del Mezzogiorno? «Noi siamo gli unici che per aver detto tre parole abbiamo chiesto scusa. Chi ha depauperato per anni la Regione Campania, non solo non si vergogna, ma non ha ancora chiesto scusa».
Salvini tornerà a Napoli? «Stiamo organizzando per tutto il Mezzogiorno, isole comprese, un tour elettorale. A breve stileremo un calendario. Matteo Salvini tornerà sicuramente a Napoli, ma anche in altre città della Campania. Abbiamo pensato di organizzare degli incontri anche in quei comuni ritenuti ‘caldi’, perché vogliamo dialogare con coloro che fanno determinate battaglie direttamente in territori difficili. Le altre persone non ci interessano». (Raffaele Santillo)
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Marco Esposito
MO!, ECCO IL SIMBOLO DELLA LISTA CIVICA A Cava de’ Tirreni, in una partecipata assemblea, si sono dati appuntamento i promotori, gli attivisti, i simpatizzanti o semplici curiosi della Lista civica “Mo!”. Dopo le province di Napoli e Caserta, a novembre e dicembre, è giunto il turno di Salerno per un altro passo fondamentale del progetto elettorale meridionalista e civico. «La lista “Mo!” non si alleerà mai con partiti che hanno determinato il disastro della nostra Regione, sarà costituito al 100% da persone che amano la propria terra e che vogliono in autonomia scegliere per il proprio futuro» - dicono i
pubblico in sala
fautori. «A Cava de’ Tirreni si è scelto il simbolo della lista, in una votazione partecipata che ha visto i presenti esprimersi liberamente avendo a disposizione quattro diverse alternative» - ci ha detto l’ispiratore della lista Marco Esposito. In merito al nome scelto, invece, Esposito chiarisce: «Non si tratta di una sigla, ma di una frase compiuta della nostra lingua che vuol dire ora, adesso è il momento urgente. Pensiamo alla locuzione “vengo subito…” e l’altro
gli ribatte “no, mo!”. Questa urgenza è dovuta dal fatto che bisogna reagire, non c’è più tempo».
A LA CONTEA UN SUD CHE ALZA LA VOCE Presso il Circolo Culturale La Contea di Napoli si è tenuto un forum che ha riunito diverse forze, movimenti ed associazioni di
Antonella Ianuario
orientamento meridionalista per mettere a fuoco le idee e le proposte da mettere in campo per rimettere il Sud nel posto che gli spetta all’interno (se non al centro) dell’agenda politica nazionale. Tante le sigle ed i
soggetti che hanno partecipato ai lavori, da Napolimania alla nostra testata ed all'editore Controcorrente, da L'Altro Sud ai Comitati Due Sicilie, da Insorgenza Civile a Iniziativa Meridionale, da Nazione Napolitana Indipendente a Modavi Onlus fino a Sud No Euro, Partito Secessionista dell’Italia Meridionale e Federazione Movimento Base. La discussione è stata aperta dal padrone di casa, il consigliere regionale Luciano Schifone (Fratelli d’Italia), il quale ha sottolineato proprio la scomparsa della Questione Meridionale, chiedendosi letteralmente «…se non esista più, o se non abbia più una rappresentanza».
Alla fine, tre i punti su cui ci si è ritrovati: l’organizzazione di un grande corteo da tenersi in tutte le nostre città per gridare uniti “Sud, alza la testa!”, una disobbedienza civile contro il caro-polizze assicurative e la creazione di un “Manifesto per il Sud”.
SUDSIAMONOI LE LINEE GUIDE Nel convegno dell'associazione Azione Meridionale si è dibattuto su #ilSudSiamoNoi, incontro al quale
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15 hanno preso parte varie organizzazioni impegnate sul fronte del rilancio del Mezzogiorno. Giornalisti, imprenditori e molti giovani non hanno voluto mancare
Sud, con risultati che sono drammaticamente sotto gli occhi di tutti e che aggravano una crisi economica già pesantissima. Per rimediare a questo stato di
campagna elettorale in vista delle primarie del
la politica
nazionali. Il Mezzogiorno non deve più essere una
Mimmo Falco
tavolo relatori
all’incontro mirato ad un vero e proprio rilancio della nostra terra per cambiare finalmente un destino che sembra già scritto da chi, dall’alto della dirigenza politica, appare indifferente nei confronti dei nostri problemi e delle nostre numerose ricchezze. «Oggi il baricentro politico del Paese è interamente spostato sulle regioni del Nord - ha affermato il presidente di Azione Meridionale, Mimmo Falco - le classi dirigenti meridionali faticano a rappresentare le ragioni e gli interessi del
cose - ha proseguito Falco - è indispensabile, però, che i cittadini meridionali riscoprano la propria identità, le proprie radici e la propria storia, affinché recuperino la consapevolezza necessaria per riscattare il Mezzogiorno e creino un ampio movimento di opinione in grado di condizionare le scelte della politica».
centrosinistra per la scelta del candidato alla carica di governatore della Campania. L’esponente del Partito Democratico campano è stato ‘ospite’ della convention organizzata, presso l’hotel Ramada da Insorgenza Civile. A presentarlo alla platea, il Sindaco di Sirignano ed esponente del movimento Raffaele Colucci, il quale ha affermato: «Abbiamo deciso di
INSORGENZA CIVILE CON DE LUCA Nelle scorse settimane Vincenzo De Luca è stato a Napoli, nell’ambito della
Nando Dicè Insorgenza Civile
Vincenzo De luca
puntare su un grande uomo ed amministratore, che ha fatto grande la sua città e non si è mai piegato ai poteri forti e alle lobbies. Il nostro obiettivo è quello di riportare il Sud e la questione meridionale al centro delle vicende
colonia interna all’Italia, depredata dai poteri forti. Un esempio è rappresentato dai petrolieri che vogliono distruggere le nostre terre, così come hanno già fatto con la Basilicata. Pensiamo che ci sia un disegno chiaro per affossare ancora di più il Sud. Noi diciamo basta: così come dicevano i Briganti, la terra è nostra e nessuno la deve toccare».
La chiusura è stata affidata a Vincenzo De Luca che ha affermato: «Dobbiamo sottrarre l’Italia dall’agonia in cui versa ormai da troppo tempo. Per farlo c’è bisogno del pieno recupero del Sud. Il Mezzogiorno deve essere parte integrante della nazione, ma i suoi uomini e donne devono restare liberi, senza padroni. Il mio più grosso rimpianto è quello di aver perso cinque anni in cui non è stato fatto nulla. Ma non ci fermiamo, la nostra battaglia continua con l’obiettivo di emancipare la Campania».
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Q
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lA NOStRA HEIMAt
Elementi per una rivoluzione politica
uante volte, a proposito dei movimenti territoriali meridionalisti, e più in generale europei, rileviamo l’analisi
ANtONIO GENtIlE
Dunque, non una semplice e approssimativa rivendicazione di sopravvivenza di una comunità, spesso saturata di fastidiosi elementi di autocommiserazione o, al contrario, di
Cartina del Regno delle Due Sicilie
dei vari studiosi e opinionisti che sottolineano l’assenza di una idea di riferimento nell’azione politica e culturale di queste organizzazioni che lo studioso Michael Keating, in una splendida sintesi, definisce del “regionalismo nazionalista”. Nell’azione di costruzione di un modello politico e culturale che possa essere ispiratore e linfa vitale dell’azione politica e identitaria dei “gruppi nazionalisti meridionali”, noi de “il Brigante”, abbiamo voluto operare un percorso di definizione degli elementi strutturali per una rivoluzione politica basata sull’ideologia del territorio.
autoesaltazione. Ma una vera e propria ideologia che diviene una modalità simbolica attraverso la quale il gruppo etno-nazionale rappresenta gli elementi della sua azione e i rapporti con gli altri attori in causa. Identità del gruppo, identificazione dell’avversario, progetto di cambiamento portato avanti dal movimento, si concretizzano attraverso una separazione degli elementi che nella realtà sono strettamente collegati. In questa dimensione il “gruppo” diventa l’unico portatore di valori positivi e di una autentica solidarietà
di comunità, mentre dell’avversario se ne produce un’immagine delegittimata, dove l’obiettivo autonomistico-secessionista si carica di significati mitici che travalicano il semplice
carattere politico.
proprio i riferimenti alla storia passata e della quale viene prodotta una versione mitica. Le immagini e il linguaggio a cui destinare le nuove forme di azione appartengono al passato. Ed è nel mito della rinascita che comincia a costituirsi la nuova identità collettiva.
Le parole di Alberoni centrano bene questo concetto: “La costituzione stessa del movimento nazionale avviene ripercorrendo a ritroso il tempo per ritrovare le tracce che dimostrano che la nazione già esisteva in realtà, per cui la storia successiva, quella della oppressione, dell’incoscienza di sé come nazione, è il prodotto di vicende che, come sono accadute, così possono e
Tra i primi elementi di questo processo di differenziazione ideologica, certamente compare il ricorso al simbolo, che rimane uno dei pochi canali di espressione della resistenza, quando concretamente non si individuano opportunità politiche.
E ciò avviene anche nelle fasi in cui si ricostruisce la capacità di mobilitazione del gruppo. Gli unici punti fermi, nel momento in cui si tenta di modificare i rapporti sociali esistenti, sono
Costume tipico sardo
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17 devono terminare, tant’è che oggi giungono alla loro estinzione. Non vi è più nulla di naturale nell’esistente.”
Comitato delle Regioni
Con la reinterpretazione dell‘esperienza del passato, quindi, si individuano i legami prima artificiosi occultati dall’ideologia integratrice, e si colgono gli elementi di contrapposizione verso i gruppi dominanti dove si rileva l’infondatezza del loro potere e la conseguente legittimità della lotta. In tal modo, si utilizzano come simboli dell’identità elementi delle culture tradizionali com-
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promessi dal processo di modernizzazione-omologazione. Interessante, a tal proposito, è stato per il recente meridionalismo
gli elementi che strutturano questa ideologia del territorio, come la lingua, le pratiche tradizionali e che tratteremo più avanti in
mediatici. Il processo di riappropriazione identitaria del territorio avviene attraverso la riscoperta e la valorizzazione simbolica
nazionalista la sopravvivenza, il recupero e l’utilizzo come simbolo di lotta dello stemma delle Due Sicilie, oggi, permeato nella battaglia politica, nella cultura identitaria, ma anche nell’ambito sportivo e nella commercializzazione di prodotti made in Sud.
questa nostra opera di comprensione degli elementi identitari e politici che dovrebbero guidare l’azione dei movimenti meridionalisti.
dell’Heimat con i suoi miti, la sua storia, la sua cultura. E dove l’Europa delle Regioni guarda al futuro sempre più protesa alla valorizzazione del passato, trainando la rivoluzione meridionale nell’azione di “liberazione identitaria”, e contro quel processo di “macdonaldizzazione” elevato a paradigma di un mondo sempre più omogeneizzato.
Una vera rivoluzione culturale e politica che fa riferimento al ritorno alle origini. Altri, naturalmente, sono
www.ilBrigante.it
Dacci oggi il nostro Sud... quotidiano ON LINE
La culturizzazione della politica e l’etnicizzazione dei conflitti sociali irrompono nell’offerta politica rendendo obsolete e prive di valori le deboli tesi dei partiti politici nazionali ridotti a insignificanti contenitori
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l’Ambiente
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I MuONI: pARtICEllE COSMICHE pER MONItORARE Il VESuVIO CARlA SCHIAVO
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In foto, da sinistra a destra: Domenico Giorgi, Ambasciatore Italiano in Giappone; prof. takehiro Koyaguchi Direttore dell'ERI - Earthquake Research Institute dell'università di tokyo; paolo papale, Direttore della Struttura Vulcani dell'INGV.
romuovere la ricerca e l’innovazione tecnologica nel campo degli studi geologici basati sull’osservazione sperimentale di particelle cosmiche. Questo l’obiettivo dell’accordo di ricerca sancito dall’Università di Tokyo (ovvero l’Istituto di ricerca sui terremoti, Earthquake Research Institute, Eri), dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). La partnership, costituita in un accordo firmato lo scorso Novembre presso l’ambasciata italiana a Tokyo, oltre ad esser molto rappresentativa dal punto di vista del progresso della ricerca, costituisce anche un importante passo in avanti per l’INGV che si avvale ora della collaborazione di un Paese ad elevata sismicità e questo può giovare a Napoli per ricer-
che e sperimentazioni sulla monitorazione costante del Vesuvio. Uno dei punti focali della ricerca è infatti lo studio dei Muoni, particelle cosmiche che piovono incessantemente sulla terra dallo spazio e che possono rilevare la densità rocciosa. Il metodo è altamente innovativo ed era stato sperimentato già in Francia da un gruppo di scienziati al vulcano inattivo Puis de Donne, in Giappone, ed in Italia a Stromboli. «È una tecnica nuova, al margine della sperimentazione mondiale - afferma Paolo Papale, Direttore della Struttura Vulcani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – che permette di superare seppur in minima parte, uno degli scogli insormontabili con cui si trova a far i conti un vulcanologo: l’osservazione dall’interno. La sperimentazione viene in soccorso su questo problema.
I muoni sono particelle estremamente piccole e con grande capacità di attraversamento delle rocce, essi sono prodotti dalla radiazione cosmica di altre particelle; attraversano tutta la terra e di conseguenza anche i vulcani. Attraverso un rilevamento radiografico si può osservare quanto i muoni scendano in profondità. A seconda del numero di muoni che raggiungono determinati punti dei rilevatori, si ottiene un immagine della densità. In base al punto in cui arriva, si possono visualizzare i condotti e le camere vulcaniche per comprendere la distribuzione della densità delle rocce».
Quindi se non penetra è un buon segno? «Certamente. In base alla profondità ed al numero, i muoni ci consentono di fare una stima sulla presenza di magma con gas, sulla densità e si riesce a
capire se i condotti sono vuoti o meno».
Ma in che modo tutto ciò può giovare alla monitorizzazione del Vesuvio? Lo abbiamo chiesto al Prof. Giuseppe De Natale, Direttore 'Osservatorio Vesuviano' INGV: «I muoni sono particelle cosmiche, una specie di elettroni molto più pesanti, che possono essere rilevate e contate da apposite apparecchiature. Essi sono parzialmente schermati dalla roccia in funzione della sua densità, analogamente a quanto accade ai raggi X nei tessuti umani. Quindi, posizionando opportunamente i rilevatori di muoni intorno ad un vulcano, è possibile fare una tomografia del vulcano stesso, ossia determinare la distribuzione di densità delle rocce all'interno della parte del vulcano al di sopra del livello dei rilevatori. Da tale tomografia di
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19 densità è possibile poi, entro certi limiti, risalire ai tipi di rocce ed alla loro temperatura all'interno della parte emersa del vulcano. Questo consente di conoscere la struttura interna di un vulcano ed è molto importante per comprenderne il funzionamento e per localizzare meglio i terremoti che avvengono al suo interno».
In seguito agli allarmismi diffusisi ciclicamente sul web riguardo un imminente eruzione del Vesuvio di tipo Pliniana, lei come risponde? «L'ultima eruzione del Vesuvio è avvenuta nel 1944, e da allora il vulcano è in uno stato quiescente in cui l'unico segnale di attività è una modesta sismicità di fondo. Questo
sollevamenti del suolo che generalmente indicano l'accumulo di nuovo magma nei serbatoi superficiali. In conclusione, non c'è al momento alcun segnale che faccia ipotizzare un'imminente ripresa di attività. Gli allarmi per eruzioni imminenti, che frequentemente appaiono su certa stampa o sul web, sono pertanto del tutto privi di fondamento. Probabilmente, una buona parte di essi serve soltanto a fare notizia, aumentando magari il numero di visitatori sul web o la tiratura del giornale. D'altra parte, però, è vero che il rischio vulcanico nell'area Vesuviana è il più alto al Mondo a causa dell'enorme urbanizzazione dell'area avvenuta dopo il 1944. Ma que-
Veduta del Vesuvio
stato non è sostanzialmente mutato dal 1944; soltanto negli anni 1999 e 2000 il vulcano ha mostrato un deciso aumento della sismicità in termini di numero e magnitudo dei terremoti. Dal 2001 in poi, anche il livello di sismicità è calato ai livelli precedenti ed anche minori, che persistono tuttora. Inoltre, da quando ha iniziato ad essere monitorato in tal senso, il vulcano non ha mai mostrato significativi
sta è altra cosa dal terrorizzare la popolazione annunciando eruzioni imminenti; qui il problema è utilizzare il tempo prima della futura eruzione per una corretta pianificazione del territorio e delle procedure di emergenza in caso di previsione di un'eruzione imminente».
A che punto è giunto il piano di evacuazione? «Il piano di emergenza predisposto dalla Protezio-
il territorio
ne Civile (che prevede come ultimo gradino l'evacuazione della zona rossa) è stato approntato fin dal 1995 e periodicamente aggiornato. L'ultimo aggiornamento è del 2013».
Crede che la popolazione sia debitamente informata e saprebbe affrontare un’emergenza?
«Non sta a me dirlo, ma penso boe - sensori collegate tramite cavo sottomarino comunque che per la sorveglianza vulcanica. la cosa più quando Ferdinando II di importante per convivere razional- Borbone fece edificare il mente con il vulcano primo Osservatorio vulcasia di aumentare il nologico al Mondo, si impegnerà come e molto livello di cultura e di consape- più di prima, sotto la mia volezza delle popola- Direzione». zioni esposte al rischio. È anche Ed intanto dopo quest’ultiimportante sottolinea- ma innovazione, gli istituti re che il rapporto con di vulcanologia sono già a il vulcano non dev'es- lavoro per incrementare e sere dominato dalla sviluppare la sorveglianza sottomarina. paura, bensì dall'infor- vulcanica mazione, consapevo- Non si dimentichi che il lezza e rispetto per questo Vesuvio ed i Campi Flegrei sono vulcani attivi ragion fenomeno naturale. per cui, in mare ci sono D'altra parte l'area vulcani- fratture che emettono gas. ca Napoletana, da circa 3000 anni, è sempre stata Questi elementi strutturali una terra in cui, malgrado molto importanti sono già le occasionali eruzioni, tutti monitorati con sonde ambiscono a venire, certa- poste sul fondale marino e mente non ad andar via. In collegate in superficie con quest'opera di informazio- sistemi di trasmissione su ne ed educazione al boe, ma ora è previsto rischio vulcanico l'Osser- l’aumento delle strumentavatorio Vesuviano, conti- zioni. nuando la prestigiosa tradizione che dura dal 1841,
i Simboli
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bANDIERE E ID
in dalla loro invenzione, i popoli hanno attribuito alle bandiere un valore estremamente simbolico. Solo così si può spiegare come semplici pezzi di stoffa possano creare e rinsaldare unioni e allo stesso tempo causare divisioni e scontri. Vessilli su cui verte l'orgoglio nazionale, dunque, ma anche fonte di forti contrasti, a seconda del contesto. È evidente tuttavia che simili contrasti possano nascere solo in quei contesti in cui divisioni sociali, etniche e politiche siano ben radicate e che già di per sé sfocino in manifestazioni più o meno violente.
L’Irlanda del Nord, in cui le sopracitate divisioni sociopolitiche sono spesso sfociate nel sangue, ne è un chiaro esempio. Forti polemiche infatti vi sono, da più di due anni a questa parte, sull’esposizione della bandiera britannica sui Palazzi dei Consigli cittadini. D’attualità è la decisione da parte del Consiglio della Contea di Craigavon del 20 gennaio di far sventolare la Union Jack per tutti i
MAuRIZIO MEROllA
giorni dell’anno, mentre precedentemente la stessa avrebbe dovuto essere esposta solo in alcune occasioni, per non più di diciassette giorni l’anno. La decisione del Consiglio di esporre la bandiera per tutti i giorni dell’anno avrà sicuramente rinfrancato gli Unionisti, fedeli alla Corona Britannica, ma allo stesso tempo ha creato enormi malcontenti nella controparte repubblicana. Il Consigliere dello Sinn Féin Gemma McKenna definisce tale decisione “illogica nonché illegale in quanto va contro la decisione della Commissione sull’Eguaglianza che ha chiaramente mostrato come non vi fosse alcuna utilità nell’esporre la bandiera del Regno Unito. Nonostante i soldi spesi dai contribuenti per tale Consultazione i consiglieri unionisti hanno deliberatamente deciso di ignorarla”.
Polemica analoga a Belfast, ma a parti invertite, nacque il 03 dicembre 2012 dalla analoga decisione di esporre la bandiera britannica solo in vicissitudine di alcuni eventi e per non più di diciotto giorni l’anno. Essa generò l’ira della comunità lealista che
Striscione Anti-tricolore a Napoli per gli Europei di Calcio
intraprese le “Belfast City Hall flag protests”, violentissimi scontri tra militanti unionisti e Agenti del PSNI, la polizia locale. In una città come Belfast però, gli scontri in strada
belfast City Hall
non sono semplici scontri. I manifestanti, sostenuti dalle cellule terroristiche unioniste dell’UDA e dell’UVF, hanno usato contro la Polizia mattoni, pietre, ma anche bombe. Vi fu perfino un’aggressione ad una chiesa cattolica (gli Unionisti sono prevalentemente protestanti) che in
una foto della Flag protest
molti hanno collegato alle “Proteste della Bandiera”. Il bollettino finale (seppur la protesta non sia da considerarsi definitivamente conclusa) parla di 163 agenti feriti e ben 560
manifestanti arrestati e questo lascia ben intendere la portata di tali scontri.
Un altro e più recente episodio in cui una bandiera diviene oggetto della discordia, è avvenuto sempre a Belfast nel Marzo scorso, immortalato in uno scatto che ha fatto poi il
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DENtItÀ giro dei social. La foto mostra un agente di polizia nell’atto di riporre nel bagagliaio della sua auto un tricolore irlandese che aveva appena strappato di mano e sequestra-
to alla bambina, che scoppia in lacrime. Il gesto pare sia stato giustificato in virtù dell’ordine pubblico, mentre su internet, i repubblicani hanno manifestato il proprio sdegno e denunciavano il comportamento delle forze dell’ordine, definendolo “come al solito” settario ed iniquo.
Questi i casi estremi in cui una bandiera può causare scontri di simile portata, ma non mancano di certo altri episodi in cui simboli, stemmi, toppe e colori siano capaci di generare polemiche d’ogni tipo. Un esempio, che ha letteralmente fatto scatenare la stampa spagnola, sportiva
i Simboli
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e non, è fornito dalla decisione del Real Madrid di eliminare la croce, da sempre posta sulla corona del proprio stemma, dalle carte di credito emesse dalla Banca Nazionale di Abu Dhabi, per scelta di nuovi sponsor arabi. Seppur questo possa apparire di minore rilievo rispetto agli episodi già citati, la vicenda lascia comunque aperti altri interrogativi che esulano dallo sport, poiché secondo tali sponsor un simbolo religioso di matrice cattolica potrebbe dissuadere eventuali investitori dell’area. Ciò è evidentemente attuale dunque, in uno scenario come quello odierno in cui si discute quotidianamente dei rapporti tra Islam e Occidente.
poiché non p o t e r o n o la foto della bandiera sequestrata ad una accettare tali ragazzina il giorno di San patrizio provocazioni persino su un quale è stato sostituito al simbolo di tale importanza Blu francese il Verde, in come il tricolore, che onore della Guardia Civica dovrebbe rappresentare milanese. l’unità del popolo italiano, Essa fu inizialmente utilizsì spesso messa a dura zata dalle Repubbliche Cispadana prima e Cisalprova. Tuttavia ripercorrendo la pina poi.
lo stemma del Real Madrid senza la tradizionale croce
storia di tale bandiera è chiaro come questa né possa rappresentare o abbia mai rappresentato
Basti infine considerare la matrice borghese ed espansionistica che influenzò la Campagna Italiana di Napoleone e delle
Per rimanere in tema, ma avvicinandoci più alle vicende del nostro Mezzogiorno, è opportuno ricordare che poche settimane fa, il 7 gennaio ricorreva il 218° anniversario del tricolore italiano, nato ufficialmente a Reggio Emilia nel 1796. Anche qui a Sud non sono mancate, in nome del revisionismo storico e dell’identità meridionale, Manifestanti bruciano bandiera irlandese durante le proteste della bandiera polemiche e contestazioni dirette alla bandiera italia- anche il Sud, ma soprattut- Repubbliche Giacobine na: vedansi i tricolori bru- to come questa non possa (Napoletana in primis), fatciati dai Forconi nel blocco essere utilizzata da chiun- tori in netta contrapposinazionale di pochi anni fa que si definisca Meridiona- zione con qualsiasi analisi o anche le scritte apparse lista. Il tricolore italiano, critica e di revisionismo contro il tricolore italiano come noto ai più, è una storico (non solo del Risordurante manifestazioni derivazione del drapeau gimento) e che fa di persosportive come i Campiona- français nato durante la naggi come i Briganti (e Francese, dei Lazzari) il proprio simti Europei di calcio e Con- Rivoluzione esportato durante l’inva- bolo. federation’s Cup. In molti storsero il naso sione Napoleonica, e al
l’Identità
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CINQuANtA ORE DI VERGOGNA
O
le violenze dei soldati di colore nel lazio meridonale
ci si ggi meraviglia e ci si indigna per i recenti fatti di Parigi dove un manipolo di agguerriti fondamendalisti islamici ha seminato sangue e terrore in nome di
VIttORIO CROCE
continua tetragono a disconoscere. In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo può essere sicuramente utile ricostruire, sia pure per sommi capi, quella dolorosa vicenda che una storiografia fin troppo
Goumiers
Allah rendendo ormai palese e conclamata quella che va sempre più configurandosi come una vera e propria guerra di civiltà.
Eppure, procedendo a ritroso nei tortuosi meandri della storia, si può notare che qualcosa di simile già si era verificato, anche se per tantissimo tempo si è preferito non parlarne. Il riferimento è alle inaudite violenze perpetrate dai marocchini sulle genti del Lazio meridionale nel maggio del 1944, le cui evidenti responsabilità il governo francese (le truppe di colore erano inquadrate nel Cef, il Corpo di Spedizione Francese)
partigiana ha dolosamente seppellito sotto una densa ed opprimente coltre di oblio.
Tutto ebbe inizio quando, non riuscendo a venire a capo della resistenza tedesca nella piana di Cassino, nella primavera del 1944, il comando alleato decise di affidare al generale Juin il compito di aggirare la Linea Gustav per costringere i nemici a sgomberare il campo. L'ufficiale francese, che aveva ai suoi ordini 12 mila “goumiers” marocchini, algerini e tunisini, molto abili nella guerra di montagna, prima di accettare l'incarico chiese per i suoi uomini tre giorni
di “carta bianca”. Il comando anglo-americano gliene accordò due, anzi, per l'esattezza, cinquanta ore.
Il generale, prima di dare il via all'offensiva, diramò il seguente proclama: “Soldati. Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori al mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che vorrete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete”.
era stato loro promesso. E dovevano fare anche in fretta.
Alla fine il bilancio fu gravissimo. Una stima verosimile parla di 2 mila donne stuprate e 600 uomini sodomizzati. Esperia, Monticelli, Ausonia, Lenola, Pico, Pastena, Castro dei Volsci, Vallecorsa e Amaseno furono i centri più colpiti. Poche donne riuscirono a scamparla. Molte furono violentate anche dieci volte nel corso della stessa giornata. Alcune di esse persero la vita, altre finirono per impazzire. I soldati di colore non risparmiarono né anziane né bambine.
Gli uomini che tentarono di difendere l'onore delle proprie mogli, figlie o sorelle, furono uccisi sul posto oppure sottoposti a patimenti inenarrabili. Don Alberto Terilli, parroco di Esperia, aveva tentato di nascondere alcune donne nella sagrestia. Tutto, però, risultò vano. I marocchini stanarono le poveret-
L'attacco cominciò il 12 maggio e fu subito coronato da successo. I tedeschi, per non rimanere accerchiati, si ritirarono verso Roma lasciando campo libero alle truppe di colore. I rudi predoni africani, con tanto di turbante, mantello e scimitarra, poterono sfogare i loro istinti più bestiali. Il Lazio meridionale si trasformò in terra di conquista. Un'orda selvaggia sciamò indisturbata per le campagne e per i centri abitati alla frenetica ricerca di donne e di cibo. Quei soldati avevano stravinto la battaglia e una madre del 1944 ora volevano ciò che
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l’Identità
23 te e le violentarono. Quindi portarono il sacerdote nella piazza e lì lo sodomizzarono a ripetizione. Qualche tempo dopo, consumato dal dolore e dalla vergogna, passò a miglior vita.
Tante le vicende collegate a questa pagina triste ed oltraggiosa. Come quella di due sorelle che vennero violentate da più di 200 uomini: l'una morì, l'altra diventò pazza e fu rinchiusa in un manicomio. “Arrivarono quelle bestie con i fucili spianati, immobilizzarono gli uomini sparando dei colpi per terrorizzarli, poi, mentre alcuni li tenevano fermi con le baionette
soltanto 12 anni.
Un dramma nel dramma dunque: la vergogna di tante donne che, subita la bestiale violenza, per pudore, hanno preferito tenerla celata. Si racconta che a Pico furono presi tre giovani, un maschio e due femmine. La madre morì poco dopo di crepacuore. I figli, invece, sopravvissero nascondendo per sempre ciò che avevano patito. Subito dopo la guerra, in quei paesi quando una donna ingrassava e poi dimagriva in breve lasso di tempo, si diceva: “Quella l'hanno presa i marocchini”. Non mancarono storie
Goumier francese
alla gola, pugni e schiaffi, calci e spintoni, davano inizio alla violenza. Poveri chi ci capitava... Purtroppo anche qui una nota del tutto particolare: chi fu veramente violentata lo ha taciuto per pudore; invece molte di quelle che non lo furono, fecero domanda di pensione”: così ricorda Antonio Colicci di Pontecorvo che all'epoca aveva
di eroismo, ormai rese pallide dallo scorrere inesorabile del tempo. A Esperia si trovava sfollata una famiglia di Pontecorvo. Con essa vi era una prostituta non più giovanissima ma ancora piacente.
Quando vide arrivare quelle bestie, invece di scappare, si fece loro incontro offrendo le sue grazie. Ciò
locandina dell’epoca
consentì alle nipoti di farla franca. Tanti altri gli episodi che si potrebbero raccontare. La sostanza, però, con cambierebbe di molto. Le violenze marocchine nei paesi del Lazio meridionale restano una pagina orribile, agghiacciante, drammatica quanto poco conosciuta. E non solo perché molti dei testimoni di quello scempio oggi non sono più in vita. La materia sembra quasi scottare. Di essa non si parla molto volentieri. La gente prova vergogna a parlare di quei fatti. Come se la colpa di quelle violenze, in parte, sia stata anche la loro.
E non di chi sguinzagliò quella feroce ciurma di tagliagole assetati di sangue, di carne fresca e di bottino (A proposito, che fine fece il generale Juin? Invece di essere spedito davanti alla corte marziale, come meritava, le cose per lui presero tutt’altra piega. Non solo non venne punito ma fu addirittura premiato. Già capo di stato maggiore della difesa nazionale, fu nominato, nel 1952, maresciallo di Francia, per poi
avere il comando delle forze Nato per il centro Europa. Gli stupri dei marocchini, insomma, gli fecero fare carriera).
Del resto chi avrebbe mai prestato loro ascolto? Era povera gente, semplice, umile, abituata a chinare la testa e ad ammazzarsi di fatica nei campi. Sull'altra sponda, invece, c’erano loro, i cosiddetti “liberatori”, quelli venuti da terre lontane per aiutare il popolo italico ad affrancarsi dal soffocante cappio del fascismo. Di fronte ad essi non si poteva far altro che inchinarsi e ringraziare il Signore per averli mandati. Certo, poi, tra i cosiddetti “liberatori” giunsero anche i rozzi e famelici montanari dell’Atlante. Ma questo, alla fin fine, fu soltanto un insignificante incidente di percorso. Un modesto quanto inevitabile sacrificio sulla luminosa strada della normalizzazione e della libertà. Chissà, però, se qualcuno troverà mai il coraggio di andarlo a raccontare a quelle povere e derelitte genti del Lazio meridionale...
l’Interpellanza
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MuSEO DEl lOMbROSO. lA SVOltA SI RICORRE Al pARlAMENtO EuROpEO pAOlA VONA
A
On. Aldo patriciello
l professor Cesare Lombroso bastava poco per riconoscere (e far condannare) ladri, assassini, briganti. L'anatomia non mentiva: distanza tra gli occhi, misure del cranio, conformazione della fronte ed, infine, la conferma alla base della nuca: la “fossetta occipitale interna”, tipica dei biologicamente inferiori. La cosiddetta “teoria dell'uomo delinquente atavico” ebbe largo seguito nella seconda metà dell'Ottocento anche tra coloro che si trovarono alla guida del neonato Stato italiano, gli stessi convinti che a sud di Roma altro non vi fosse che arretratezza e popolazioni primitive. La vasta collezione del medico veronese, costituita perlopiù da teschi, ossa e oggetti usati da “mattoidi” e criminali, è oggi esposta
a Torino nel museo di Antropologia criminale, a lui dedicato. Molti i crani di meridionali, soprattutto quelli accusati di brigantaggio. Il comitato “NoLombroso” si batte da anni per contrastare definitivamente tali teorie razziste, per la chiusura del museo e per seppellire i resti ossei nei paesi d'origine. L'onorevole Aldo Patriciello, europarlamentare di Forza Italia, condividendo in parte le finalità del comitato e sottolineando il fattore discriminante del museo lombrosiano, ha presentato la questione all'attenzione del Parlamento Europeo con apposita interrogazione.
Onorevole Patriciello, qual è stato l'esito? «Senz’altro positivo. L’interrogazione non aveva ovviamente lo scopo di far chiudere il Museo Lombroso ma solo di portare all’at-
tenzione dell’Unione Europea un problema essenzialmente di natura storico-culturale. Nella sua risposta, l’allora Commissario europeo per i diritti fondamentali Viviane Reding, ha ribadito l’alto valore dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione, sanciti anche nella Carta dei Diritti fondamentali, sollecitando le autorità italiane ad intervenire affinché tali principi vengano tutelati e rispettati».
sue collezioni anatomiche, quanto quello di posizionare la sua stessa esistenza all’interno di una nuova prospettiva storica. Un museo è per definizione il racconto di un periodo storico, di un’idea, di un modo di agire: se da più parti se ne chiede la chiusura è perché quel racconto, evidentemente, presenta delle falle».
La petizione del comitato, da lei sottoscritta, intende rimuovere i “riferimenti allo pseudoscienziato Cesare Lombroso dalle città e dai libri”. E' giusto cancellare una tappa dell'evoluzione degli studi antropologici italiani, anche se ufficialmente dichiarata non attendibile? «Il razzismo antropologico presente nell’operato di
L'International Council of Museums ha dichiarato che le collezioni anatomiche conservate nei musei pubblici vanno considerate come reperti da tutelare. Come si concilia l'intento del comitato con le norme del Codice dei Beni culturali? «Innanzitutto bisogna tener conto dell’ordinanza di primo grado del Tribunale di Lamezia Terme, che ha condannato il museo a restituire i resti di Giuseppe Villella al suo paese natale. In secondo luogo, ritengo che il problema non sia tanto svuotare le sale delle Fronte spizio de l'uomo delinquente, torino, ed. bocca, 1878
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Lombroso è figlio di un certo periodo storico e va di sicuro contestualizzato. Le sue teorie sono state ampiamente screditate dalla scienza ma rappresentano, purtroppo, ancora la base ideologica per molti dei pregiudizi antimeridionali con cui tutt’oggi dobbiamo fare i conti. Del resto, basta consultare alcuni dizionari per rendersi conto di come persista un certo modo di ragionare e di descrivere la realtà del sud Italia. Certo è che fa specie pensare che molte strade portino il nome di un uomo che ha teorizzato l’inferiorità intrinseca dei meridionali. E’ come se in
Il cranio di Giuseppe Villella
Germania o in Inghilterra, dedicassero un museo a Houston Stewart Chamberlain, teorico della superiorità della razza ariana. E’ importante quindi che si affermi un sentimento di vero sdegno e rifiuto delle idee razziste di Lombroso: una condanna senza appello, che però, al momento, non mi pare di scorgere. Si può poi ragionare sull’opportunità di finanziare o meno con soldi pubblici questo museo in un periodo in cui mancano i soldi perfino per rifornire le stazioni dei Carabinieri o gli istituti scolastici».
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I musei servono anche a raccontare gli errori commessi nel corso nella storia dall'umanità (si pensi ai complessi dedicati alla memoria delle vittime dell'Olocausto), come monito per le future. generazioni Potrebbe, sotto questa diversa ottica, continuare ad essere esposta la collezione lombrosiana? «Non spetta certamente a me stabilire in che modo organizzare e gestire un museo. Sono d’accordo sul fatto che alcuni abbiano lo scopo di tenere alta l’attenzione sugli errori del passato, ma è proprio questa la caratteristica che credo manchi al Museo Lombroso. In questi giorni abbiamo assistito in tutta Europa alle celebrazioni per la giornata della Memoria, per ricordare appunto gli orrori commessi dal nazismo nei confronti degli ebrei e non solo. I campi di concentramento sono testimonianze dirette di quelle atrocità: veri e propri “musei dell’orrore” a cielo aperto che documentano quanto accaduto durante la seconda guerra mondiale.
È la conoscenza di cosa sia successo al suo interno che fa di Auschwitz il luogo simbolo della barbarie nazista: diversamente sarebbe solo un complesso senza senso. Il Museo Lombroso è privo di quel racconto degli eventi che fanno da sfondo alla nascita della “collezione” del medico veronese».
Cesare lombroso
Un museo del genere potrebbe contribuire ad alimentare forme di intolleranza e razzismo nei confronti del Sud Italia e di coloro che appartengono a culture diverse, come, ad esempio, gli immigrati qui residenti? «Come parlamentare ho imparato ancora di più ad apprezzare le diversità e a rispettarne il valore. L’Unione Europea pone grande attenzione alla difesa dei principi di tolleranza e di non discriminazione. L’apertura del Museo Lombroso ha generato molte polemiche perché è avvenuta in un momento in cui sono forti le richieste di una rivisitazione storica dei fatti accaduti nel Mezzogiorno all’indomani dell’Unità d’Italia. Una revisione che non deve essere occasione per fomentare inutili campanilismi, ma che, anzi, contribuisca a rendere ancor più forte la nostra comune appartenenza nazionale. Il Sud Italia non può continuare ad essere oggetto di pregiudizi o ad
essere trattato come un cittadino di serie b. Da questo punto di vista, la politica deve fare la sua parte e prendere atto che il clima è cambiato. Non si può pensare, ad esempio, di stanziare per l’intero Mezzogiorno, come è stato fatto dall’attuale Governo, una quota di finanziamento per le infrastrutture ferroviarie pari all’1,2 per cento: sono provvedimenti che contribuiscono ad approfondire quel divario Nord-Sud che non giova al
Paese. I problemi del Museo Lombroso sono solo una proiezione parziale di un malessere più ampio che riguarda la nostra storia comune».
l’Evento
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GIAMBATTISTA VICO SI FERMÒ A VATOLLA Presentate le Giornate dell’Emigrazione 2015 SIMONA buONAuRA
“
tavolo dei relatori
Partono 'e bastimente pe' terre assaje luntane...” cantava il poeta nell’incipit della malinconica “Santa Lucia Luntana” che narrava le gesta degli emigranti che lasciavano le loro terre per raggiungere Paesi al di là dell’Oceano alla ricerca disperata di fortuna e di guadagni da inviare alle famiglie che, il più delle volte, rimanevano a casa ad aspettare il loro ritorno. E su questo argomento così sentito ed ancora purtroppo attuale, anche
Vincenzo pepe pres. Fondazione G.b. Vico
se con modalità diverse, punta la sua attività l’Asmef, Associazione
Mezzogiorno futuro, quest’anno alla sua decima edizione, che ha presentato le iniziative in programma per il 2015 presso il Palazzo Vargas di Vatolla che ospita dal 1999 la Fondazione Giambattista Vico in quanto lo scrittore vi soggiornò durante alcuni anni della sua giovinezza.
Il presidente del Centro studi Vincenzo Pepe nel suo intervento ha raccontato il periodo che vide lo studioso nella cittadina cilentana: “Giambattista Vico arriva a Vatolla nel Cilento all’età di 18 anni per fare il precettore dei figli del Marchese Rocca proprietario del castello, invito che gli fu rivolto dal vescovo d’Ischia Geronimo Rocca e che accettò a causa delle difficili condizioni finanziarie, il giovane Vico definì: “ Paesaggio aspro e selvaggio”, Vatolla, silenzioso e protettivo. Qua lui trova la salute, perché era malato di tisi, chiamata “tisicuzzus”, ma anche l’otium, una grande biblioteca e la possibilità di riflettere. Proprio nel Cilento, nel “cis Alentum”, nella “Silva ingens” , lui pensa ai corsi e ricorsi storici e soprattutto alla identità rap-
presentata dalla memoria che è il ricordo del nostro passato. Il Mezzogiorno ad esempio ha una storia bellissima fatta anche dai briganti.
Salvo Iavarone presidente ASMEF
Anzi dovremmo risvegliare il brigante che c’è in noi difendendo la nostra identità”. Durante l’incontro il presidente Asmef Salvo Iavarone ha voluto ribadire i motivi che portano l’associazione a continuare la sua missione: “10 anni al servizio di un segmento cultu-
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l’Evento
27 rale importantissimo come quello della storia dell’emigrazione italiana, noi già anni fa abbiamo proposto al Miur (Ministero dell’Istruzione) di introdurre questo argomento nelle scuole perché è giusto che gli alunni sin da giovani sappiano cosa i nostri antenati hanno fatto, cosa hanno vissuto e cosa han-
Massimo lucidi
no sofferto, perché chi abbandona la propria terra non lo fa mai senza sofferenza. In questi 10 anni abbiamo evidenziato questo con confronti comuni, con le comunità italiane
pubblico in sala
all’estero, ringrazio l’ambasciata italiana di Washington che ci ha sempre sostenuti e ringrazio tutti gli organi istituzionali che hanno voluto credere in noi fino ad oggi.
Ringrazio tanti italiani che hanno rappresentato le loro istanze, le loro emozioni e le loro esperienze. È importante ascoltarli e valorizzarli perché
anche loro sono figlie della Patria, non chiedono nulla e spesso sono disposti a dare e chiedono in cambio solo di essere riconosciuti sul lato umano ed emotivo. Noi su possiamo questo essere una goccia nell’Oceano, un piccolo contributo per invertire la tendenza e non abbandonare i nostri fratelli oltre i confini”.
Relatori
All’interno del programma ci sono due nuovi contenitori che portano lustro all’Italia ed ai suoi rappresentanti ovunque egli vivano: “Eccellenze Italiane” e “Capitan Cooking” alla sua prima edizione che vede anche il Brigante tra i media partner, il direttore Gino Giammarino si è detto pronto a sostenere una sfida che punta sul territorio inteso come fucina di menti che poi portano il loro sapere, in questo caso culinario, verso orizzonti sempre più lontani. Massimo Lucidi è l’ideatore di Eccellenze Italiane e spiega in cosa consiste:”
È un’ opportunità di raccontare storie di successo di professionisti ed imprese che in Italia, ed oramai nel mondo, promuovono il Made in Italy che per noi ha una valenza molto forte perché ha una valenza culturale, una sorta di recupero della nostra storia, della nostra tradizione che volendo viene anche rinegoziata dalle comunità degli italiani all’estero che hanno un forte senso di appartenenza e sviluppano anche lì delle opportunità che richiamano moltissimo i valori dell’Italia”.
Capitan Cooking è invece un progetto culinario che coniuga l’interesse delle comunità degli espatriati oltreconfine, con la necessità di stimolare in patria la crescita professionale di giovani aspiranti chef.
L’obiettivo è dunque l’inserimento nel mondo del lavoro, in un’ottica della mobilità internazionale, attraverso le comunità all’estero. Gli allievi scelti dai 9 Istituti Professionali per i Servizi Alberghieri che partecipano alla gara gastronomica, si cimenteranno nella preparazione di un piatto da loro scelto basandosi su ricette provenienti da comunità di italiani all’estero. La gara procederà ad eliminazione, con due semifinali e la finale che si svolgerà nella splendida città di Sorrento.
Quindi su tutte queste iniziative veglia fiera l’identità, il senso di appartenenza di colui che parte ma non tramuta mai col tempo il suo amore per la terra d’origine perché, come chiudeva la canzone citata all’inizio dell’articolo “Core nun vò' ricchezze: si è nato a Napule, ce vò' murí!”.
Selfie di gruppo
la tradizione
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NAPOLI MULTIETNICA
Fra “turchi”, gelati, analisti e musicisti
a multietnicità potrà sembrare ai più una scoperta di tempi molto recenti, favorita, magari, dalle ondate dell’immigrazione, più o meno selvaggia, che da qualche decennio a questa parte si fa sempre più incalzante e che, in un certo senso, potrebb’essere interpretata anche come la maniera cui l’umanità è
SERG IO ZAZZERA
locandina Mele
locandina Mele
ricorsa per ricambiarci dell’emigrazione che investì il Continente nuovo, a partire dal 1860, con punte che si sono spinte fino al penultimo decennio del secolo scorso. Ebbene, le cose potranno stare anche così per il resto dell’Italia, ma Napoli ha manifestato la sua vocazione multietnica da lungo tempo.
Non sembra necessario, peraltro, sottolinearne questa caratteristica, relativamente all’età classica: città di mare – e di porto – , Neapolis era frequentata quotidianamente da gente di ogni provenienza, la cui presenza, del resto, ha costituito nel tempo il primo fattore d’influenza della sua multiculturalità, ch’è andata sviluppandosi forse
anche in maniera confusa, al punto che Gennaro Jovine, protagonista della “Napoli milionaria” di Eduardo, conclude il racconto di un episodio di guerra, da lui vissuto, con l’affermazione: «’O povero crestiano era ebbreo».
È il caso, viceversa, di soffermarsi su alcuni aspetti, riferibili a tempi ben più recenti, che possono valere a sottolineare questa sua peculiarità; e, in proposito, credo che il simbolo di essa, per eccellenza, sia stato costituito da una figura, poi divenuta addirittura proverbiale: “’o Turco ‘e Mele”. Famosi sono stati, fin verso la metà del secolo scorso, i grandi magazzini di E. & A. Mele & c. (già Miccio & Mele, negli anni 10), in via Santa
Brigida, antesignani dell’abbigliamento in serie, innanzi alle porte dei quali – come ricorda Guglielmo Peirce – sostava un valletto tripolino in livrea, addetto all’apertura delle porte, per consentire l’ingresso o l’uscita dei clienti.
E dai napoletani, che di fronte a certe cose non sono mai andati troppo per il sottile, il colore della sua pelle fu ben presto associato, piuttosto che all’Africa, alla Turchia, la cui popolazione, per giunta, è anche di carnagione alquanto più chiara. Ciò che conta, però, è il dato dell’accettazione di una diversità, avvertita, tutt’al più e giustamente, come soltanto formale.
Quanto, poi, alla prover-
Il gelato battezzato Ascaro
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29 te riferimento alla popolazione indigena dell’Eritrea, i cui uomini furono assoldati, in seguito, come mercenari dal Regio esercito.
Senese durante un' esibizione
bialità assunta dal personaggio, l’appellativo “’o Turco ‘e Mele” è passato a designare le persone che, vuoi per pigmentazione naturale, vuoi per effetto dell’abbronzatura, si presentano di colorito scuro. Per rimanere ancora all’Africa, varrà la pena di ricordare come la pasticceria vomerese di Mario Daniele (ormai di felice memoria), nel 1936, dopo la vittoria italiana nella guerra d’Etiopia, inventò un gelato da passeggio, antenato del “cremino”, il
Il missionario Matteo Ripa
cui rivestimento di cioccolato gli suggerì di battezzarlo “Ascaro”, con eviden-
E il successo del gelato fu tale, che Daniele diede la stessa denominazione anche a un dolce, cui ne affiancò un altro, chiamato “Dubat”, ch’era il nome dei cosiddetti “Arditi neri”, componenti delle truppe irregolari del Regio corpo truppe coloniali della Somalia italiana dal 1924 al 1941, e che in lingua somala significa “turbanti bianchi”.
Volendo spostare, ora, l’attenzione dall’Africa all’Asia, sarà il caso di menzionare un laboratorio di analisi cliniche, esistente anch’esso al Vomero, dapprima in via Pitloo e poi in via San Gennaro al Vomero, durante la prima metà del secolo passato, del quale era titolare il dottor Mario Bergonzini, che lo gestiva insieme con la moglie, Egle Yang, il cui cognome ne denuncia a chiare lettere l’origine cinese. Del resto, mentre Marco Bellocchio scopriva che “la Cina è vicina” soltanto nel 1967, la stessa scoperta Napoli l’aveva fatta già nel 1724, quando il missionario secolare Matteo Ripa, di ritorno da quella terra, vi fondò il Collegio dei Cinesi, che costituì il primo nucleo di quello che, poi, sarebbe stato l’Istituto universitario Orientale (oggi Università degli studi “L’Orientale”). Nel volgere, infine, lo
la tradizione
sguardo verso l’America, Per concludere, dunque, l’attenzione è attratta da Napoli, città multietnica un filone della musica per vocazione, è assolutanapoletana contempora- mente lontana dall’assunnea ben definito; e non zione di atteggiamenti razadopero l’aggettivo “legge- zisti, che viceversa, qualora”, perché alla musica si ra si manifestassero, addicono soltanto due dovrebbero indurre a rifletaggettivi, nel senso che tere sull’affermazione di Levi Montalcini, essa può essere “buona” o Rita “cattiva”, e null’altro. Nel nostro caso, l’attributo da adoperare è il primo dei due, e intendo riferirmi a musicisti che rispondono ai nomi di Tullio De Piscopo, Toni Esposito, Pino Daniele e, soprattutto, James Senese, il quale meglio degli altri ha saputo conferire forme, più che semplici accenti, d’Oltreoceano alla musica napoletana, la scienziata Rita levi Montalcini determinandovi una significativa secondo la quale non esiinnovazione. ste la razza, ma il razzi-
Insegna della pasticceria vomerese Daniele
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l’Economia
CONSuMO RESpONSAbIlE IN tEMpO DI CRISI
ontinua a crescere l’attenzione verso i prodotti del nostro territorio, ad onta dei continuati tentativi di delegittimazione che provengono, non solo dall’Italia settentrionale, ma anche dall’Europa. Una lunga tradizione nei settori della gastronomia, del turismo e dell’alta sartoria (giusto per fare qualche esempio) fanno del Sud una terra fervida di eccellenze. Ma mercato vuol dire competizione, e in questa direzione c’è da iniziare una seria inversione di tendenza nella mentalità; gli imprenditori meridionali, infatti, stanno scoprendo solo ora la forza e le possibilità della tradizione meridionale. Questo li induce nello stesso errore in cui è caduto il settore del turismo: pensare che anche i consumatori siano stati disinformati, applicando un ricarico eccessivo dei prezzi. Una strategia di basso profilo che scoraggia il consu-
un’epoca in cui il confronto è rapidissimo grazie alla rete Internet. Tanto più in un momento di crisi tanto elevato, da costringere a sacrifici ed offerte stracciate chi vuol continuare ad essere presente sui mercati. Una crisi che ha paralizzato la crescita ed in più di un caso ha anche favorito un trend negativo.
matore, meridionale o internazionale che sia, in
alcuni dati vanno tenuti sotto controllo.
Ma ci sono segnali reali che l’empasse stia finendo? Possiamo cominciare a sperare in una risalita? E soprattutto i riferimenti di questo scatto sono da trovarsi dai professionisti del territorio ancorati alle arti ed i mestieri che hanno da sempre fatto la fortuna del nostro Sud? Ne abbiamo parlato con il giornalista economico Massimo Lucidi… «La durata della crisi è unica nel suo genere perché possiamo dire che in Italia la conosciamo dal 2008 e solo qualcuno ne comincia a vedere la conclusione. Anche se va detto che
Mi riferisco ad esempio alla crisi del settore calzaturiero che è precedente al 2008 che aveva cancellato quasi l’80 ed anche il 90% delle aziende dedicate.
marketing internazionale operazioni di oppure comunicazione nuova, quella virale, del web tra i cui vantaggi c’è quello di abbattere i costi. Non ci vogliono grandi budget nemmeno per andare in tv e sulla carta stampata».
minazione, sono rimaste e non sono state schiacciate dall’aggressione cinese sono i brand di scarpe italiane, fortissimi del mondo perché hanno lavorato sulla qualità e sul contenimento dei loro costi, in più, hanno innovato profondamente».
A proposito di settore calzaturiero, possiamo dunque dire che il volano dell’economia potrebbe essere proprio ricercato nel mondo dell’artigianato? «Personalmente, ho sempre creduto che l’artigianato caratterizzi l’economia attraverso la manualità che fa la differenza rispetto ad altre professioni. Poi si possono industrializzare i processi perché per crescere bisogna standardizzare i comportamenti che possono ascriversi alla valenza della qualità. Una cosa dunque è la standardizzare dei processi, un’altra cosa invece è standardizzare un prodotto finale. Molte volte possiamo rendere i prodotti unici ma di elevata qualità avendo standardizzato soltanto i comportamenti, le regole del gioco dove si sta in impresa». (SIM.BUO.)
Questo settore non è stato scalfito perché quelle che, con tanti sacrifici e deter-
Queste imprese hanno quindi superato la crisi? «Diciamo che oggi la continua a percepire chi non ha fatto in conti con i bilanci, chi continua a fare sprechi, ma soprattutto quegli imprenditori che non hanno accettato la sfida globale e quindi tendono a difendersi dai competitors stranieri che entrano nel nostro Paese anziché sopravanzare le difficoltà e guardare ai mercati internazionali. Bisognerebbe rispondere in maniera diversa, magari facendo una grande operazione di
la Gastronomia
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lE ARANCINE
Romantiche sfere conciliatrici ROSI pADOVANI
-Inshallah! - Saamiya poggia a terra la valigia, scosta delicatamente l’avorio delle tende di pizzo. Dentro, l’ombra fresca accoglie discreta, lei china il capo con dolcezza, come è solita fare, nel salutare. -Jesce ‘a ‘cca! - Concetta si volta, esulta, strofina le mani pasticciate di uovo sul grembo, si leva la parannanza, l’abbraccia felice, la stringe forte, bentornata!- L’occasione è importante, un matrimonio riunisce ancora una volta intorno ad una tavola d’amore tutte la famiglia:
Dominique, Carmencita, Stephanie, Adelina… di nuovo finalmente insieme! Sono l o n t a n i ormai gli anni in cui correvano nascondendosi tra i panni colorati, allegre bandiere multicolori tese tra un balcone e l’altro, giocando con le ombre riflesse di grandi muri bianchi di calce, tra sacchi di pistacchi, dolci datteri e mandorle, chiodi di garofano e cannella ammaliante, nei vicoli assolati. La fragranza dei gelsomini, l’aroma dei grandi cedri profumati accompagnava tra spezie odorose il loro diventare donna nel mondo… -Entra, svelta, siediti là, dietro a quelle riggiole , sposta la buatta con i pomodori e ferma la porta! sto preparando le arancine, dammi una mano…-
Colorato e colorito l’idioma si intreccia come le loro mani nell’impastare il riso dorato di zenzero arabo, farcito di ragout francese rosso di pomodoro d’oltremare, un goccio di anis spagnolo profumato d’anice siciliano accompagna l’allegria, le grandi sfere rotolano nel pangrattato per finire a tavola croccanti d’olio bollente. Apriti Sesamo! E spargi i tuoi semi deliziosi sulle trecce di pane beneaugurante! La magia della bianca tovaglia di pizzo cosparsa di zagare riunisce ed accoglie tutti spensierata…
Gli arancini di Adelina!…ci metteva due jornate sane sane a pripararli…e alla fine, ringraziannu u Signuruzzu, si mangiano!” (A. Camilleri). Nato in Sicilia nel periodo saraceno, il riso profumato allo zaffe-
rano e odori, con verdure e pezzetti di carne, era servito al centro della tavola in un ampio vassoio dove i commensali potevano servirsi con le mani. Federico II Io rese da “asporto”, con una croccante panatura, poiché non voleva privarsene durante le sue battute di caccia. Il pomodoro poi fu aggiunto a partire dall’Ottocento, quando arrivò in Europa d’oltreoceano... Quello a forma di pigna invece si chiama supplì. Nasce dal dolce francese “la fava del re”, che si cucinava per l’Epifania, dove veniva nascosta una fava secca, in seguito d’avorio, d'oro o d’argento, mentre oggi è di ceramica. Chi trova la fava diventa re per un giorno. Una arancina con la sorpresa, surprise, da noi diventò ‘u supplì, come a Napoli il sourout diventò il magnifico sartù, ma quella è un’altra storia…
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la Gastronomia
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Occorrente 500 gr. Risotto allo zafferano cotto nel brodo e condito con parmigiano. per il ripieno 200 gr. ragù di carne 100 gr dadini di mozzarella 100 gr dadini di prosciutto
Fate intiepidire il riso e mettetene un po’ in una mano. Ponete al centro un cucchiaio di ragù, un pezzetto di prosciutto e un dadino di provola. Richiudete accuratamente con altro riso dando la forma di una grossa arancia che passate nell'albume rigirandola delicatamente con l’aiuto di due cucchiai. Infine, ripassatela nel pangrattato. Scaldate abbondante olio in una casseruola capiente e quando sarà bollente immergervi delicatamente le arancine facendo attenzione a non farle aprire. Fatele dorare e ponetele delicatamente in un piatto con carta assorbente, devono risultare esternamente croccanti. Servite ancora calde perché devono essere fragranti, l’arancina, farcita, fragrante, succulenta, conciliatrice, naturalmente è femmina!
per l’impanatura 2 albumi pangrattato olio di semi di arachidi o girasole per friggere
pRESSO ECCEllENZE CAMpANE SI pRESENtA “StORIA DI tONIA” un San Valentino dolce e salato presso Eccellenze Campane. Sabato 14 febbraio, infatti, si terrà presso il polo delle prelibatezze campane, e non solo, la presentazione del libro della giornalista Cinzia tani “Storia di tonia” (Mondadori ). Il programma della giornata prevede alle 13,00 un happy hour di benvenuto per gli ospiti con prodotti tipici locali. Subito dopo avverrà la presentazione del libro che vedrà al tavolo dei relatori: Salvo Iavarone, presidente Asmef, paolo Scudieri, presidente Eccellenze Campane, Gino Giammarino, direttore de il brigante, Anna Maria Sabini liberatore, giornalista, e l’autrice Cinzia tani. Cinzia tani
CONCERtO DI CARNEVAlE CON RINFRESCO Il giorno 15 febbraio 2015, alle ore 19.00, nella splendida cornice della Fonderia Righetti di Villa bruno, sita in via Cavalli di bronzo 22, San Giorgio a Cremano (Na), si terrà il Concerto di Carnevale, eseguito dall' Ensemble Musincanto vocale e strumentale del teatro San Carlo di Napoli. Ideato e realizzato da barbara Giardiello, libera D'Angelo e Francesco Menna, con la regia di Aldo Vella, il concerto sarà introdotto, con cenni storici, da Alessandro lerro. Diretto dal Maestro Giancarlo Amorelli, con al pianoforte Francesco pareti. Il programma prevede tra gli altri l’ Inno delle Due Sicilie (G. paisiello), lauda alla beata Vergine (Anonimo napoletano),la battaglia (A. banchieri),tira tira pensier (G.D. Da Nola). Il concerto ha ricevuto il patrocinio della Città di San Giorgio a Cremano. Al termine sarà servito un rinfresco.
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il Cinema
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pANNONE CI pORtA “Sul VulCANO” GERMANA G RASSO
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Gianfranco pannone
Racconto di una terra in cui, contrariamente al centro e nord di Italia, sopravvivono delle isole di sacro che sono interessanti non solo per chi ha fede, ma anche per il laico che si
uno scorcio del Vesuvio
rende conto che la grandezza di un popolo risiede non solo nel sapere preservare le proprie tradizioni ma anche nel saper riconoscere un’incertezza nella nostra vita». Ancora una volta il documentarista Gianfranco Pannone torna al Sud, suo grande amore, per raccontarlo in maniera originale. Mostra uno sguardo acuto ed attento ai più vari aspetti antropologici di un Sud
stono ancora sacche di un cristianesimo primigenio e magico, che poi si è perso con l’istituzionalizzazione della chiesa. Secondo me – racconta Pannone - questa sorta di religiosità magica è molto positiva e presente sul Vesuvio.
ancora carico di simboli magici e misterici.
L’ultimo suo film, “Sul vulcano”, in sala fino a marzo e contemporaneamente anche in dvd, racconta di una terra ricca di suggestioni, di miti e di poesia, e
del rapporto tra il Vesuvio e chi vive alle sue falde attraverso tre storie, quella di Maria e della sua azienda florovivaistica in una villa vesuviana, quella di Matteo, che dipinge le sue tele utilizzando la lava vulcanica e quella di Yole, cantante neo-melodica devota alla Madonna. «In regioni come Campania e Basilicata (dove ha girato “Le pietre sacre della Basilicata” nel 2012, ndr) esi-
Si tratta di una religiosità, che esiste laddove la terra si ribelle, laddove la natura attacca, per cui l’uomo non può non rivolgersi a Dio. In questi luoghi c’è una religiosità che non ha eguali in altre parti d’Italia. Il legame con san Gennaro e con le Madonne, ad esempio, c’era anche prima, durante il paganesimo attraverso la figura di Dioniso, che
accompagna la storia del Vesuvio. In qualche modo l’uomo antico difronte all’inspiegabilità della ribellione della natura, è costretto a rivolgersi a qualcosa oltre sé». Nel film nume tutelare è il filosofo nolano Giordano Bruno, la cui voce narrante è quella di Toni Servillo, che spiega perché non bisogna aver paura della Natura, leopardianamente intesa, attraverso la narrazione di un sogno. Una notte il monte Cicala, lussureggiante e tranquillo, comparve in sogno a Giordano Bruno, dicendogli che l’uomo doveva imparare a confrontarsi anche con suo fratello, il Vesuvio, irto e nero, perché esso insegna la vita. «I napoletani si soni difesi da questa indeterminatezza legata al territorio, hanno un senso del destino
Sopralluogo in circumvesuviana per il film “Sul vulcano”
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Il regista e la troupe sul set di “Sul vulcano”
molto forte, il proverbiale fatalismo partenopeo, che può essere positivo quando si intende che la Natura non va sfidata, ma va rispettata. Se poi la Natura si prende qualcosa, è solo perché l’uomo stesso è fallace. Un contadino antico non avrebbe mai costruito sulle strisce laviche, cosa che poi è stata fatta abbondantemente negli ultimi decenni.
Ecco – spiega il regista – in questo caso il fatalismo è negativo: quando si pen-
sa che, siccome dobbiamo morire tutti, facciamo come ci pare. E quindi si autorizza la costruzione della casa sulla striscia lavica, si autorizza l’atteggiamento camorristico».
Secondo Pannone la positività del Mezzogiorno d’Italia consiste nella forte e ricca valenza di simboli e suggestioni, come nessun altro luogo in Europa. «Franco Rosi (scomparso nel giorno in cui è avvenuta questa conversazione, ndr) ha colto che il Sud è unico, anche nell’essere vittima di una tragedia storica. Napoli, ad esempio, non finisce mai di sorprendere, è un luogo in cui la creatività nasce dalla disperazione, una disperazione che ha anche radici storiche, legate alle tante invasioni. Non a caso i territori più complessi in Italia sono secondo me – dichiara il regista - la Campania e la Sicilia, terre condizionate dalla propria situazione geologica.Si tratta di territori che partoriscono grandi intelligenze, spesso sprecate a causa delle condizioni storiche».
Pannone, che attualmente sta lavorando in Basilicata, spiega come troppo spesso il rapporto con il Sud sia inficiato dai preconcetti. «Il legame con il Sud per me è importante. Io sento da meridionale, da napoletano, che il mio Paese, così
to sul Sud. Sono i miei riferimenti culturali, cinematografici e di vita». Pannone anticipa, in esclusiva, ai lettori de “Il Brigante”, che il Meridione è ancora un forte richiamo per lui. Attualmente sta scrivendo il soggetto per un film di finzione, la storia di due fratelli meridionali, di cui uno, professore universitario emigrato, è costretto a ritornare al Sud, a recuperare le sue radici ed a confrontarsi con il fratello, imprenditore fallito, che combina solo guai. «Non può bastare tenersi fuori dalla mischia e dimostrarsi persona degna di stima e considerazione – spiega Pannone - A volte bisogna anche sporcarsi le mani. Il protagonista di questo film, che dovrebbe intitolarsi “La buona creanza”, non si è voluto sporcare le mani, lasciando la sua città.
Gianfranco pannone sul set di “Sul vulcano”
bello e contraddittorio, posso raccontarlo solo a partire da Sud. Un Sud che non deve essere delineato solo attraverso le gomorre, ma anche attraverso l’umanità. E questo me lo hanno insegnato Peppe De Sanctis, Francesco Rosi e Vittorio De Seta, persone che hanno lavora-
Calandosi nei panni di un intellettuale con una coscienza politica, ha sempre guardato tutto dall’alto. Questo film sarà una riflessione sul Sud attraverso l’incontro di due fratelli, che si odiano, ma che in fondo si amano».
la presentazione
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lE NOStRE RADICI DAllA StORIA Al CAlCIO RICCARDO G IAMMARINO
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tavolo relatori presentazione libro a bologna
ella splendida cornice del Golf Club Casalunga di Bologna si è presentato il libro 20042014 Napoli 10 e lode, prezioso gioiello della Giammarino Editore che racconta i primi dieci anni della gestione De Laurentiis alla guida del club. Oltre cento persone sono accorse all'evento organizzato dal Napoli Club Bologna presieduto da Maurizio Criscitelli che, insieme alla compagna Valeria e gli altri soci, hanno dato prova di un'organizzazione impeccabile. A ricordare la storia recente del Napoli, dando un immenso prestigio alla serata, alcuni degli indiscutibili protagonisti della rinascita partenopea come l'ex portiere Gennaro Iezzo che lasciò il Cagliari in serie A per vestire la maglia azzurra in serie C, l'allenatore Edy Reja, che dalla panchina ha guidato i partenopei dall'inferno della C all'Olimpo del massimo campionato italiano
conquistando anche una qualificazione in Coppa Uefa dopo aver vinto il trofeo Intertoto. Significativa la partecipazione di Nicola Lombardo, il capo dell'area comunicazione del Napoli che da Verona, dove gli azzurri avrebbero giocato l'indomani contro il Chievo, è giunto a Bologna per arricchire con aneddoti e curiosità dall'interno la sete dei tanti tifosi insieme a Vittorio Raio, autore della prefazione del libro e giornalista al seguito del Napoli da oltre quarant'anni. Dei tantissimi tifosi molti sono stati costretti ad emigrare e la passione per il Napoli ha fatto da collante. La squadra è motivo di unione e di vicinanza alla propria terra. Il Napoli sono le loro radici e quindi anche le nostre. Così, non è stato troppo difficile, per l'editore Gino Giammarino, conciliare le ragioni per cui si batte la nostra testata Il Brigante da oltre quindici anni con una realtà sportiva sempre più consapevole di ciò che è stato fatto
negli anni ai meridionali. Il nemico si identifica in un nord che quotidianamente mette le mani nelle casse del Mezzogiorno, ormai ben spolverate, per fare dei meridionali il proprio campione di mercato, considerando che la sola industria nordica non potrebbe resistere alla concorrenza delle multinazionali. Sui campi di calcio accade la stessa cosa ogni domenica. Le partite spesso vengono condizionate in favore delle squadre del nord, forti dell'aiuto di televisioni e giornali nazionali. Lo strapotere settentrionale viene incarnato dalla Juventus, squadra di proprietà degli Agnelli. La sudditanza meridionale, invece, dalla presenza di due sole squadre del sud in serie A sulle 20 partecipanti. Insomma la nostra testata ha portato
la questione meridionale al centro del dibattito con alcuni dei protagonisti del Napoli, riscontrando l'interesse dei relatori, ma soprattutto dei tifosi. Il Brigante è un simbolo di resistenza anche alla denapoletanizzazione, all'omologazione, e lì sanno cosa significa. Il terreno è fertile. Il motto del Club è "Passione&Identità". Affrontano tutte le trasferte in massa per sostenere al meglio le proprie origini, esportando civiltà ed un forte senso d'appartenenza testimoniato dalle varie iniziative extracalcistiche come 'e martedì napulitani dove la proiezione di film, documentari, commedie teatrali e spettacoli hanno un unico denominatore comune: Napoli, la sua storia e la sua cultura. Finita la presentazione del libro i bolognesi di Napoli erano già pronti a far sventolare il vessillo delle Due Sicilie a Verona.
Al bentegodi sventola il vessillo identitario
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il Fumetto
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bRIGANtI E MEMORIA. IN lIbRERIA “la Coccarda Rossa”
riganti e storia, e soprattutto raccontare realmente le cose come sono andate vuol dire anche usare il termine “brigante” in senso positivo ed eroico e non come certi storici continuano a
propinare. Nelle librerie esce “La coccarda rossa” che si rifà al riconoscimento che i briganti portavano all’occhiello. Il fumetto formato da 104 pagine tutte a colori, vede il soggetto di Mauro Mercuri, la sceneggiatura di Carlo Bazan ed illustrazioni e disegni a fumetti di Carlo Rispoli. La storia si svolge nel 1888 quando Re Francesco II di Borbone è in esilio a Parigi. Nel Sud, dopo l’Unità d’Italia, i suoi soldati, ancora fedeli, combattono con determinazione contro l’invasore piemontese… ma il Generale Cialdini, Comandante dell’esercito di occupazione, è spietato: ordina a un Battaglione di Bersaglieri di radere al suolo il paese dei rivoltosi. Nicola, ex Sottufficiale del Reggimento degli Ussari della Guardia Reale di Re Francesco, raduna un gruppo di coraggiosi per
difendere la loro terra; come riconoscimento portano all’occhiello una Coccarda Rossa ma per il Generale Cialdini loro sono solo dei “Briganti”…
la lettura
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ANtONEllA COlONNA VIlASI pRESENtA “DIZIONARIO DEI MOVIMENtI JIHADIStI” GAbRIEllA DIlIbERtO
te del centro studi sull’intelligence e prima autrice europea ad aver pubblicato una trilogia su questi temi, ci spiega, con il “Dizionario sui movimenti jihadisti”, uscito in libreria le dinamiche di questa strategia della tensione delineandone i contorni con una fotografia dei principali gruppi protagonisti. I movimenti jihadisti racchiusi in un libro… «Questo libro non ha l’ambizione di essere un’enciclopedia, non era quello infatti il mio intento. È un dizioAntonella Colonna Vilasi scrittrice edocente. nario agile che vuole delineare i on si sa dove principali movimenti della colpirà il galassia jihadista internanemico, chi zionale, indicando gli svisarà la prossiluppi di questa militanza ma vittima e come difendersi. La paura armata e solo alcune cellue la sensazione d’impoten- le fautrici di grossi attentaza che ne conseguono ti». sono racchiuse molto bene in un’unica parola, Come mai ha scelto la purtroppo, molto attuale: terrorismo. In seguito al feroce attentato del 7 gennaio a Parigi presso la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, la libertà di stampa e di espressione è stata duramente colpita e questa non è che una delle numerose date che si vorrebbero cancellare dalla storia. Antonella Colonna Vilasi, docente italiana, presiden-
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casa editrice Libellula? «È una casa editrice prettamente universitaria, un vero riferimento per molte facoltà come, ad esempio, la Cattolica di Milano, il Politecnico di Torino e Roma Tre. Libellula edizioni offre al mondo della ricerca gli strumenti per poter promuovere la pubblicazione e la diffusione delle opere di carattere scientifico, rappresentando una realtà nuova nel panorama dell’editoria. La casa editrice si inserisce anche nell’ambito del progetto di intelligence e sicurezza del quale mi occupo».
Quando nasce la passione per questa materia e lo studio del terrorismo internazionale di natura jihadista e della sua evoluzione? «Da sempre, ma soprattutto da quando ho iniziato a occuparmi di sicurezza geopolitica fino a diventare presidente del centro studi sull’Intelligence. Conoscenza, ricerca, esperienza mi hanno portato ad essere sempre più coin-
volta su questi temi».
Come si presentano questi movimenti e dove si trovano principalmente? «Si presentano ovunque tanto da rappresentare un problema internazionale e, quindi, su di essi non si può fare un’analisi di intelligence locale. Si tratta di movimenti magmatici a volte caratterizzati da piccolissimi gruppi di persone, anche solo due o tre, e i militanti hanno qualsiasi tipo di estrazione sociale. È una realtà presente negli Stati Uniti, ma molto strutturata in ogni paese europeo come dimostra l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo, in cui gli autori della strage erano i due fratelli Kouachi, franco-algerini. I movimenti jihadisti hanno al loro interno, ormai, europei a tutti gli effetti di prima, seconda e terza generazione e questo rende il problema molto radicato e più difficile da contenere».
Ormai internet dà accesso a un mondo parallelo. Quanto la rete può condizionare e far evolvere nel mondo questo allarmante fenomeno? «Molto. È apparso evidente già in occasione delle cosiddette “primavere arabe”, cioè la serie di proteste e agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. L’uso dei social network, come Facebook e Twitter, ha permesso in tanti paesi, come Siria, Libia, Algeria,
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39 Iraq, Giordania, di organizzare e divulgare eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale e questo ha decretato anche la conclusione del mandato di Zine El-Abidine Ben Ali, presidente della Repubblica di Tunisia. Attraverso la rete i militanti armati affinano strategie comunicative efficaci ed esistono tecniche di adescamento di cui non tutti sono a conoscenza. Ad esempio, su Twitter il profilo “Stato islamico del gatto” nasconde, con la passione per i piccoli felini, una vera e propria chiamata alle armi per i possibili combattenti dell’ISIS. Con attrazioni di questo genere i soldati cercano di intene-
rire i followers per poi trasformarli in loro mascotte».
Il terrorismo è un nemico invisibile e imprevedibile. Esiste un modo per arginare questo fenomeno e la conseguente, inevitabile angoscia generale? «Angelino Alfano, il ministro dell’Interno del governo Renzi, con la collaborazione del guardasigilli Andrea Orlando, ha già predisposto un pacchetto antiterrorismo il cui obiettivo è il contrasto delle modalità emergenti con cui si manifesta la minaccia jihadista. Vista la gravità del pericolo terroristico, in particolar modo dopo Parigi, lo scopo è quello di rafforzare gli strumenti di pre-
venzione e repressione. Si prevedono alcune importanti modifiche al codice penale, ma ci si prepara ad una vera battaglia sul web perché, come detto, molto usato dall’ISIS e dagli altri gruppi terroristici. Verranno oscurati i siti che fanno proCopertina del volume paganda islamica e sarà stilata una “black list” dei siti in materia di terrorismo». filo-jihadisti con rimozione dei contenuti incriminati. Si Dopo gli ultimi tragici pensa alla avvenimenti di Parigi, creazione di l’Italia deve considerarsi una procura tra i Paesi più a rischio di n a z i o n a l e attacchi? particolarmente. a n t i t e r r o r i - «Non smo da intro- Francia, Olanda e sopratdurre nel- tutto Gran Bretagna seml’ambito della brano essere nel mirino e, p r o c u r a quindi, molto più in pericon a z i o n a l e lo da questo punto di vista. L’Italia, però, si è giustaantimafia». mente allineata all’Europa Prima ancora che nei tri- nelle misure di sicurezza bunali, gran parte del da prendere in quanto lavoro avviene proprio a sede del Vaticano e parte di quell’Occidente da semlivello di intelligence? «Certamente. È, infatti, di pre sotto attacco terroristi-
primaria importanza uno spirito di squadra tra i Paesi. È necessario che vengano fatti sforzi comuni e che ci sia uno scambio di dati con una maggiore condivisione da parte di tutti. Il grosso problema dell’Europa è che c’è un’unione economica ma assolutamente non politica e ognuno è geloso delle proprie informazioni preventive, senza predisporsi in modo costruttivo al lavoro di gruppo e alla collaborazione. Bisogna, dunque, introdurre anche strumenti centralizzati di coordinamento delle investigazioni
la lettura
fatti controlli più accurati nei luoghi di massima affluenza come gli aeroporti e in molte regioni d’Italia, tra cui Basilicata e Abbruzzo, sono state chiuse le moschee, luoghi di culto islamico».
Da studiosa e appassionata qual è la sua opinione sulla nascita e sullo sviluppo così prepotente della “guerra santa”? «Credo che l’Islam non abbia niente a che vedere con questa degenerazione e che, quindi, sia un grave errore generalizzare. I movimenti che tratto nel
Guerriglieri jhadisti
co. C’è uno stato di massima allerta senza, tuttavia, creare inutili atmosfere di panico. La situazione è sotto controllo anche grazie ad alcuni approcci prettamente pratici. Saranno
dizionario e che preoccupano sono rappresentati da frange estreme, alla deriva».
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la Storia
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lA MINACCIA MuSulMANA NEI REGNI DI NApOlI E SICIlIA
L
a storia del Sud d’Italia è contornata di eventi secolari,nel contesto dei quali le varie dominazioni regnanti dovettero difendere i confini del proprio stato cristiano dalle continue incursioni navali di equipaggi ed eserciti a fede islamica. Molte sono le testimonianze e le memorie di tale minacciosa presenza. Ancor’oggi s’innalzano le ben note torri d’avvistamento sugli speroni di roccia della nostra costa Adriatica-Tirrenica, testimoniando quella indispensabile sorveglianza di una guardiania preposta al controllo delle navi battenti la bandiera della “mezza luna”. La popolazione costiera, e non solo, per tanti anni ha vissuto nel terrore degli allarmi di quei segnali di fumo per gli avvistamenti del naviglio del Levante. Come è altrettanto importante ricordare i numerosi episodi di battaglie sanguinarie per terra e per mare, le violenti occupazioni di paesi del Mezzogiorno con razzie e massacri della popolazione civile, tra cui donne e bambini, la distruzione dei luoghi di culto ad opera delle soldatesche e pirati, che agirono nel nome di Allah Akbar.
I MARTIRI DI OTRANTO Si pensi all’invasione araba della Sicilia, dove nel 948 fu costituito con la forza il primo emirato, stato sovrano indipendente con
EttORE D’AlESSANDRO
sedi in Mazara del Vallo, Siracusa, Enna e governatorato in Palermo (presso il palazzo del Parlamento siciliano e cappella Palatina). Gli occupanti arabi imposero, fino all’arrivo dei
I Martiri di Otranto
normanni, il pagamento di una tassa più elevata (dhimma) alla popolazione locale cristiana non convertita, oltre al divieto del culto in pubblico per proselitismo o di esporre simboli religiosi, riducendo in schiavitù e deportando in Tunisia le comunità di altre fedi religiose, come gli ebrei ed i cristianibizantini. Si trattò, quindi, di tentativi di guerra commerciale-religiosa per conquistare posizioni logistiche strategiche del Meridione per il controllo del Mediterraneo, già in atto da prima dell’appello di Pietro l’Eremita, volto ad incitare i cavalieri cristiani a prendere le armi contro gli “infedeli” che impunemente controllava-
no la Città Santa. Al tempo delle crociate, tra l’altro, i presidi portuali delle coste meridionali, utilizzati dalle navi in partenza per la Terra Santa, divennero capisaldi da sabotare. La memoria va poi a quegli 800 “Santi martiri” di Otranto, fatti decapitare nel 1480 a colpi di scimitarra dagli occupanti ottomani per essersi rifiutati di rinnegare la propria religione cristiana, quale triste testimonianza della crudele barbarie di queste milizie musulmane al comando del sultano Maometto II.
Non fu da meno anche la strage dei 18 mila soldati cristiani, periti nella battaglia del 1560 contro la flotta turca presso l’isola tunisina di Gerba, dove furono straziati anche comandanti del rango di Flaminio Orsini. Infine, non meno distante dal regno siculonapoletano fu il genocidio
Santi di Otranto
dei 40 mila cittadini cristiani di Nicosia o dei 4 mila di
Famagosta, perpetrato durante l’assedio ottomano di Cipro nel 1570. E’ anche d’obbligo rammentare il fenomeno della pirateria barbaresca, di fede islamica, che originò una continua guerriglia, a partire dal VII secolo, sulle coste del Mediterraneo, comprese quelle del Sud d’Italia. Le incursioni del pascià Uluch Alì, a metà ‘500, contro taluni paesi marini della Calabria sono un tipico esempio di tale minaccia piratesca. Oltre a questo noto violento corsaro “rinnegato”, che comandava una squadra di veloci “legni” dei paesi rivieraschi dell’Africa settentrionale, si annoverano altri loschi personaggi, convertiti all’Islam anche per l’opportunità di un miglioramento sociale tramite le carriere nelle fila delle soldatesche dei sultani. Il pirata musulmano Dragut è difatti altro caso di umile persona, che, gra-
zie alle sue capacità violente di guerreggiare con-
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41 tro i vascelli mercantili ed i villaggi portuali (tanto da alimentare il mito popolare del terrore saraceno, da
l’ Armata di mare
cui l’espressione “Mamma lì Turchi”), riuscì ad elevarsi al rango di vicerè d’Algeri, ordinando l’attacco alla flotta del condottiero Andrea Doria nella battaglia del 1538.
IL TRATTATO DI PACE Il problema della pirateria barbaresca è stato,comunque, affrontato fino all’epoca della regnanza dei Borbone sul trono di Napoli, nel XVIII e XIX secolo. Lo stesso re Carlo di Borbone, appena insediatosi nel regno di Napoli, si trovò coinvolto in un tentativo di rapimento della sua persona nell’impresa estorsiva progettata dal pirata Haji Mussa, che portò una squadriglia di sciabecchi algerini fin dentro il golfo di Napoli nell’aprile del 1758. La risposta del governo napoletano non tardò a manifestarsi. Nel febbraio del 1739 furono armate 7 navi, formanti 3 squadre:la prima per la difesa della costa tirrenica (dallo stretto di Messina alle Bocche di Capri), altra per la costa
ionica e la terza a protezione della Sicilia e suo arcipelago insulare. La squadra tirrenica, quindi, si scontrò con due navi corsare di Tripoli, che furono catturate e portate a Napoli. In seguito, fu concluso il primo accordo diplomatico tra re Carlo di Borbone ed il Gran Vizir El Haji Mohamed della Sublime Porta di Costantinopoli. Detto trattato di pace, navigazione e commercio del 7 aprile 1740, oltre a fissare una tregua sui conflitti navali, favorì la libertà di commercio e navigazione per le navi napoletane verso i porti di Costantinopoli e del mar Nero, nonché per il naviglio ottomano verso i porti del regno di Napoli.Inoltre, l’accordoprammatica garantì il diritto di avere consolati napoletani nei principali scali del Levante, così come l’ambasciatore turco El Haji Hussen Effendi si stabilì a Napoli.
musulmani, senza mai trasformare la guerriglia in una lotta di religione. Proseguì, pertanto,il rafforzamento della flotta gigliata dopo la costituzione dell’Armata di mare nel 1739, su iniziativa del marchese di Salas, ministro di Guerra e Marina. Valenti comandanti, come D. Giuseppe Martinez (17021770) noto alle cronache come “capitan Beppe”, riuscirono a respingere ed a contenere le incursioni barbaresche. Analoga attenzione alla minaccia musulmana fu posta da re Ferdinando IV, che intese proseguire l’opera paterna di potenziamento dell’Armata di mare, avvalendosi del prezioso aiuto del ministro del Commercio e Marina, D. Giovanni Acton.
IL POTENZIAMENTO DELL’ARMATA DI MARE Costui fece acquistare nuovi vascelli e fregate, istituì il reggimento Real Marina e fondò il cantiere navale di Castellammare di Stabia. Con il perdurare delle ostilità delle reggenze barbaresche fino al 1767, non si riuscì a chiudere un trattato di pace tra Napoli e Tripoli. Seguì,poi, tra il 1783-85, a fianco dei vascelli spagnoli-portoghesi e di Malta, la partecipazione della flotta navale napoletana nell’assalto del
Dal canto suo, il governo cristiano borbonico non intese stabilire patti vincolati alla fede professata, in accordo all’editto del 3 febbraio del 1740, con il quale fu concessa la libertà di residenza nelle province del regno anche agli ebrei e non cristiani, favorendo pure l’avvio delle di loro attività commerciali. Il perdurare, però, dei raid di taluni corsari nord-africani, non curanti del trattato di pace, costrinse le squadre navali borboniche a fare controlli difensivi più serrati per partenza di Carlo di borbone catturare gli incursori
la Storia porto di Algeri, base della pirateria musulmana. Furono catturate ed affondate diverse navi corsare, mentre i rispettivi equipaggi furono passati ai lavori forzati, come nel caso della costruzione della reggia di Caserta. Re Ferdinando I concluse, comunque, un accordo di pace con il Bey di Tripoli, in cambio di un tributo di 40 mila ducati da pagare alla reggenza africana. Il di lui figlio, re Farancesco I non intese però rinnovare il patto, anche perché Tripoli portò la richiesta del tributo a 100 mila ducati, ordinando una fallimentare spedizione della flotta da guerra contro la base tripolina. Re Ferdinando II concluse, poi, nel 1833, una convenzione con il regno di Sardegna per condurre delle azioni congiunte contro la pirateria. Nel 1834 seguì l’incursione dimostrativa sulle coste del Marocco della fregata “Regina Isabella”, onde contenere le eccessive richieste di donativi del sultano. Da qui, fece seguito l’ultimo accordo duosiciliano tra la Napoli cristiana e l’islamica Costantinopoli, conclusosi nel medesimo anno con il fine di debellare, ancora una volta, la pirateria delle reggenze barbaresche nord-africane:Tripoli, Algeri, Tunisi.
l’Agenda
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Appuntamenti del meridionalista GAETA 2015: DAL 13 AL 15 FEBBRAIO L’APPUNTAMENTO TRADIZIONALISTA Come sempre ricco di attività l’incontro neoborbonico che ruota attorno alla resistenza di Gaeta. Da Venerdì 13 a Domenica 15 Febbraio si terranno il raduno annuale dell’associazione Neoborbonica, Giorno della Memoria, assemblea, seduta del “Parlamento delle Due Sicilie” e XXIV Convegno Tradizionalista della Fedelissima Città di Gaeta sul tema “I Borbone e il mare”. Dibattiti, momenti di spettacolo e di gastronomia che si chiuderanno alle 12:00 della domenica al Santuario della Montagna Spaccata con la Cerimonia del lancio a mare della corona di fiori offerta dalla Nunziatella in memoria dei Caduti del 1860-1861. GIORNATE DELL’EMIGRAZIONE 2015 MERCOLEDÌ 18 FEBBRAIO AL SENATO Il prossimo 18 febbraio alle 14,30, si presenterà la rassegna " Giornate dell’ Emigrazione - X edizione 2015 ", a Roma, in Senato, presso la Sala Santa Maria in Aquiro, piazza Capranica. Nel corso dell' incontro, al quale presenzieranno senatori, rappresentanti del Ministero per gli Affari Esteri, ed altre importanti autorità, verrà presentato ufficialmente il progetto " Capitan cooking" , nella sua versione definitiva, oltre alle altre iniziative presenti in rassegna, come il Premio Eccellenza Italiana, ed i vari incontri previsti a programma. Si raccomanda ai signori ospiti di indossare giacca e cravatta, obbligatorie. LA MUSICA DEL SOLE AD ATINA Sabato 21 febbraio presso il Palazzo Ducale si presenta il libro “La musica del Sole” (Controcorrente), frutto di anni di ricerca e che nasce dalla voglia di riordinare i tasselli della storia della musica, riscritta da chi vuole annientare la cultura dei popoli per controllarli. All’incontro pubblico, coordinato da Claudio Saltarelli, parteciperanno l’autore, il Maestro Enzo Amato, e l’editore Pietro Golia. RAVELLO: DOMENICA 8 MARZO CON SUPERSUD Domenica 8 marzo ore 18,30 presso il complesso monumentale della Santissima Annunziata Ravello l’ Associazione Culturale Duomo di Ravello presenta: La cantata di “ SUPERSUD “ musica del M° Giancarlo Amorelli , tratta dal libro “Supersudquando eravamo i primi” di Mimmo Della Corte I giornalisti editori: Gino Giammarino (Il Brigante), Pietro Golia (Controcorrente) e Massimiliano De Francesco (Juppiter) intervisteranno Mimmo della Corte. A seguire: L’ENSEMBLE MUSINCANTO teatro di San Carlo Direttore M° Giancarlo Amorelli in concerto. CARNEVALE LARINESE - 14 E 15 FEBBRAIO 2015 Il Carnevale in Molise è una tradizione molto antica. I paesi che caratterizzano questa zona, infatti, si tramandano da secoli manifestazioni particolari, per lo più legate a feste religiose poco conosciute, forse, ma indubbiamente ricche di fascino e molto suggestive. Il Carnevale di Larino è sicuramente uno dei più apprezzati in Molise. I protagonisti di questa festa sono i Carri Allegorici che sfilano per il centro della città il sabato e la domenica precedenti l’inizio della Quaresima.