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l’Editoriale
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Buon compleanno Brigante
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o avrete capito dalla copertina: questo è un numero particolare perché festeggiamo i 15 anni della nostra testata. Nata a cavallo tra il 1999 ed il 2000 come settimanale di denuncia del razzismo antimeridionale di stampo leghista, ma anche come approfondimento culturale di un Sud che non solo vuole riscattarsi, ma vuole anche dire la sua, ed a voce alta. Dopo vari peripezie, si approdò sul web: si era ai primordi della rete. Successivamente, esperimenti radiofonici e programmi televisivi messi in campo ci condussero all’idea della multimedialità. Nel 2010, Il Brigante si presenta in una nuova veste grafica: quella del magazine mensile affiancato da un agguerrito quotidiano online (il brigante.com, poi ampliato anche dal dominio .it). Due anni dopo nasce “Brigan…tiggì”, una striscia di informazione meridionalista in onda, settimanalmente, su diverse emittenti del Mezzogiorno. A questo punto, la comunicazione della testata ha raggiunto l’obiettivo della multimedialità: con l’online si seguono e si lanciano le notizie quotidianamente, con la trasmissione si catturano settimanalmente i temi più interessanti e, mensil-
SIMONA BUONAURA
mente, la rivista nelle edicole approfondisce le tematiche relative al nostro Sud con inchieste giornalistiche, indagini sul territorio ed interviste a personaggi di rilievo. Questo mezzo è diventato laboratorio del pensiero meridiano e strumento per divulgare la reale esistenza di un Sud positivo e concreto, anche se ancora molti sono i passi da fare in questo senso. Uno di questi, ed è quello che sta particolarmente a cuore alla sottoscritta, è riscrivere i libri di storia usati nelle scuole perché è lì che parte tutto, è lì che i ragazzi si formano come futura classe dirigente meridionale. Una classe dirigente che conosce il suo VERO passato e da lì parte per programmare e mettere in campo un Sud finalmente diverso. Fare questo vuol dire anche non sentire più usare il termine “Brigante” per parlare di un ladro o di un malfattore, ma di un eroe, ovvero colui che è morto per difendere la propria terra. Fare questo vuol dire non leggere più di un signore non più tanto giovane che insieme a 1000 uomini senza né arte, né parte hanno sconfitto le truppe borboniche e che nel successivo referendum per scegliere tra monarchia e repubblica il popolo del Regno delle
Due Sicilie abbia propeso per quest’ultima. Fare questo vorrebbe dire che il famigerato Museo del Lombroso chieda finalmente scusa ai parenti di coloro che recriminano da tanti anni i resti dei loro congiunti ingiustamente detenuti tra le scoperte di un criminologo contestato a suo tempo da tutti i suoi illustri colleghi. Perché non dovrebbe accadere anche da noi in Italia? In America è successo cosa manca a noi per questo gesto di buon senso e lealtà? Quello che abbiamo potuto notare con grande soddisfazione però è che c’è nei giovani la voglia di sapere realmente come sono andate le cose, la voglia di riscoprire la propria identità grazie anche a professori e presidi (purtroppo ancora molto pochi, ma siamo sulla buona strada!) scrupolosi e determinati nel loro ruolo di dispensatori di cultura e non di idee imposte dal regime. Ho cominciato parlando della copertina di questo numero e termino questo editoriale citando un’altra
copertina: quella di Agosto 2011 in cui sono ritratti Sofia Loren ed Omar Sharif nel film “C’era una volta” del grande regista Franco Rosi che è morto all’età di 92 anni lasciando in eredità a noi i suoi film alcuni dei quali rispecchiano purtroppo ancora una realtà scomoda che è dura ad essere debellata. Come lui ha fatto con i suoi film, noi, con il nostro lavoro continueremo a percorrere questo cammino fieri di essere il riferimento di un coro che, inascoltato, chiede da troppi anni giustizia e verità. Naturalmente, in nome del popolo meridionale!
Sommario
gennaio 2015 pag. 12
pag. 36
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In questo numero...
Sommario 3
Editoriale
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Il focus Quindici anni di brigantaggio politico La politica Cadono gli elefanti e corrono le gazzelle L’economia Mutui e nuove prospettive L’economia Più partite iva nel 2014, ma il dato non convince L’indagine Saldi senza soldi L’anniversario Cinquanta candeline per Unioncamere La firma Protocollo lavoro giovani L’allarme Le insidie dei fondali marini Il folklore Antiche usanze, attuali passioni L’identità Napoli 1799 Il ricordo In nome di Francesco II di Borbone L’addio L’ultimo saluto a Pino Daniele La tradizione Da Natale a Carnevale Il collezionista Gratta e Vinci L’evento Buon anno dalla Giammarino Editore La gastronomia Fuoco e foglie Il Cinema C’era una volta Francesco Rosi La lettura Religiose, Militari e piedi difficili La storia Firenze capitale seconda parte
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gennaio 2015 DIRETTORE RESPONSABILE GINO GIAMMARINO VICE DIRETTORE SIMONA BUONAURA HANNO COLLABORATO: SILVIA BASSI DON MASSIMO CUOFANO ETTORE D’ALESSANDRO GABRIELLA DILIBERTO ANTONIO GENTILE VALENTINA GIUNGATI GERMANA GRASSO ROSI PADOVANI VITTORIO RAIO RAFFAELE SANTILLO LUCIANO SALERA CARLA SCHIAVO CANIO TRIONE SERGIO ZAZZERA PAOLA VONA
Piazza Stazione Centrale Piazza Garibaldi, 136 - 80142 Napoli www. il br igan te.it info@ ilb rig ant e.com Tel. 081 19339716 PROGETTO GRAFICO FRANCESCO CARDAMONE FOTOGRAFO CIRO ANDREOTTI
STAMPA ARTI GRAFICHE NAPOLITANO NOLA (NA)
La rivista è stata chiusa il giorno 13 Gennaio alle ore 14:00 Autorizzazione Tribunale Napoli n. 5159 decreto 22/11/2000 A NNO 15 - NUMER O 4 4
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I primi quindici anni di Brigantaggio politico
uindici anni sono tanti. Se poi ci metti dentro i sacrifici e le frustrazioni, le grandi gioie ed i momenti di abbattimento seguiti dalle grandi emozioni e poi ancora dai momenti di incertezza, beh, allora quindici anni diventano infiniti. Le discese ardite e le risalite, per dirla con le parole di Lucio Battisti, hanno segnato il cammino di questa testata, Il Brigante, che ha cercato di riscrivere la storia della nostra terra, il Sud, col bilancino dell’onestà intellettuale, storica e politica, talmente ben tarato, da costringere anche chi non era d’accordo con le nostre tesi a riconoscere la credibilità della nostra missione. Ché di questo si tratta. ALLA RICERCA DELL’ARCA(NO) PERDUTA La nostra testata nasce alla fine del 1999. Sono gli anni seguenti al crollo della prima repubblica ed al regolamento di conti finale tra socialisti e comunisti conclusosi con la sconfitta unilaterale dell’allora Premier Bettino Craxi e del Partito Socialista Italiano attraverso l’indagine del pool di magistrati milanesi “Mani Pulite” (1992). La Lega Nord di Umberto Bossi e Gianfranco Miglio giunge al governo nazionale nel 1994, imbarcandosi nel Polo delle Libertà di Silvio Berlusconi, sog-
G INO G IAMMARINO
getto politico che mette insieme il consenso leghista al Nord e il voto di protesta del Sud che confluisce verso il Movimento Sociale Italiano, diventato Alleanza Nazionale sotto la guida del padano Gianfranco Fini. In allegato, il CCD di Clemente Mastella a Pierferdinando Casini. L’Umberto, che ha costruito il proprio patrimonio elettorale sulla pregiudiziale antimeridionale mai sopita tra le nebbiose Alpi ed i poco nobili consessi valligiani della bergamasca, continua in buona compagnia a cavalcare il razzismo inventandosi -dal nulla- una identità di popolo ed una nazione storica inesistenti. Nasce così la mitologia della Padania, che infatti non viene riconosciuta dall’Europa delle culture. Ed è qui che nasce, anzi, comincia a rinascere il Sud. A rompere il fronte della politica nazionale, tra la sorpresa e lo scandalo dei tanti (troppi?!) colleghi meridionali ascari e traditori del Mezzogiorno, è l’interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati nella storica seduta di lunedì 4 marzo 1991. La firma, indelebile, è quella di un grandissimo Angelo Manna, che apriva così:
“Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della Difesa, per sapere - con-
statato che vige tuttora il più ostinato e pavido top secret di fatto su quasi tutti i documenti comprovanti gli intenzionali bestiali crimini perpetrati dalla soldataglia piemontese ai danni delle popolazioni, per lo più inermi, delle "usurpate province meridionali" dal tempo della camorristica conquista di Napoli a quello della cosiddetta "breccia di Porta Pia" (praticata dai papalini dal di dentro delle mura leonine?..): top secret voluto, evidentemente, dai grandi custodi di quell'epoca di scelleratezze e di razzie che prese il nome di "Risorgimento italiano" e della quale il sud paga sempre più a caro prezzo le conseguenze; considerato altresì che nell'assoggettato ex reame libero e indipendente va assumendo, finalmente,
sempre più vaste proporzioni quel processo di revisione e di demistificazione della storia scritta dai vincitori (tuttora ufficiale!) che dovrà fornire le motivazioni di fondo e lo stimolo alle future immancabili rivendicazioni politiche delle colonizzate regioni…”
Dai banchi del governo si tenderà, democristianamente, a minimizzare mentre il dibattito si consumerà con maggiore interesse tra Angelo Manna e il parlamentare piemontese Adolfo Sarti, Vicepresidente della Camera dei Deputati. Per la cronaca, a rispondere per il Ministero della Difesa, tirandosene fuori e sottolineando il disinteresse del governo per l’argomento, un tale Clemente Mastella da Ceppaloni, provincia di
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Benevento, un tiro di schioppo (è proprio il caso di dire) da Pontelandolfo e Casalduni. LA NASCITA DELL’HUMUS
CULTURALE
Ma ormai il velo ipocrita sul risorgimento era stato squarciato. D’ora in poi si andranno a ripescare tutti i libri ed i saggi dei grandi meridionalisti come Carlo Alianello, Franco Molfese, Nicola Zitara, e si riscoprono i numeri delle riviste “Nord e Sud” di Francesco Compagna, o “L’Alfiere” di Silvio Vitale, tanto per fare qualche nome. Inoltre, numerosi saranno i tentativi di pubblicare, tra mille difficoltà, giornali d’area capaci di avere continuità. Una citazione d’obbligo va, in questo senso, al compianto barone Roberto Maria Selvaggi, che fonda il settimanale “Il Sud Quotidiano”. Giungiamo al 1994 quando, dall’incontro tra un giovane docente, il prof. Gennaro De Crescenzo, e la mente tanto ironica quanto geniale di Riccardo Pazzaglia, nasce il Movimento Neoborbonico che riporte-
rà alla luce quelle verità nascoste, dagli storici salariati dal nuovo regime italiano, sulla grandezza della Real Casa di Borbone. Intanto Civitella del Tronto e Gaeta, le ultime fortezze a cadere nella resistenza antipiemontese, diventano sede di incontri, dibattiti ed appuntamenti tematici sempre più frequentati, mentre la bandiera borbonica assurge a simbolo conclamato del sentimento autonomista e dell’identità napolitana (non è un errore: nel ‘700, dal Tronto a Lampedusa ci chiamavamo tutti così ndr). IL FALLIMENTO
DEL PROGETTO POLITICO
Sul modello neoborbonico nascono una serie di altre associazioni, spesso create da fuoriusciti dal Movimento stesso: millantano centinaia di iscritti e simpatizzanti, ma si ritrovavano più o meno sempre in quattro amici al bar. Nate sulla spinta antileghista, nell’eterna indecisione se lavorare con finalità politiche o culturali non riusciranno a coagulare il con-
senso politico ed a configurarsi come possibili rappresentanti dell’istanza politica del popolo meridionale o, se preferite, dei territori che componevano l’ex Regno delle Due Sicilie. Le cocenti delusioni per le percentuali di voti ricevuti nei primi, timidi, tentativi elettorali, lo sfrenato individualismo meridionale (con la conseguente incapacità di stare insieme in nome di un progetto comune), la pavidità degli imprenditori meridionali, l’errata comunicazione con l’esterno, sono solo alcune tra le ragioni principali del mancato decollo. A complicare il cammino, la fine del sistema proporzionale in favore del maggioritario che, con la scusa di combattere la frammentazione, obbligherà i partiti minori a presentarsi alle elezioni schierati con un polo o con l’altro, ed il berlusconismo che ha trasformato la politica in marketing, bruciando ideologie, comizi ed opinioni sull’altare della comunicazione. Seguiranno infelici tentativi di piccolo cabotaggio attra-
verso inconcludenti alleanze con personaggi del sottobosco politico, svendendo e svilendo la causa meridionalista. Il resto è dissolvenza. E venne la rete Dissolvenza fatta comunque di fitta operatività culturale e sedimentazione, finché arriva il web ad amplificare la stanchezza dei meridionali verso uno Stato assente e lontano che culmina nei fischi sempre più nutriti- all’inno di Mameli perfino allo stadio San Paolo nelle partite di Coppa Italia. Nel 2010, chirurgicamente, un anno prima delle celebrazioni per il 150° anno dell’unità d’Italia, un giornalista da alle stampe per PIEMME un libro che ha del rivoluzionario già nel titolo: “Terroni – Tutto quello che è stato perché gli italiani del Sud diventassero meridionali”. Ex direttore di “Oggi” e di “Gente”, nonché collaboratore di Sergio Zavoli in RAI nelle puntate del programma “Viaggio a Sud”, Pino Aprile (di lui stiamo parlando casomai non aveste capito) diventa il grande
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comunicatore della Questione Meridionale con centinaia e centinaia di presentazioni ovunque e tante ospitate nei talk-show televisivi nazionali. Ma alla sollecitazione di un collega del quotidiano “Il Mattino”, Marco Esposito, allora assessore della giunta napoletana guidata da Luigi De Magistris, che gli chiede ufficialmente di diventare il leader di un soggetto politico che riunisca e rappresenti il popolo dei “terroni”, Aprile, in un’affollatissima (e caldissima) riunione nella sala comunale di Bari, risponde con un articolato diniego. Forte è la delusione dei convenuti e dell’ambiente. Passa l’estate e il fronte comincia a sgretolarsi, offrendo al Sud uno spettacolo già visto: divisioni, distinguo ed ulteriore fram-
mentazione. La rete, che aveva favorito la propagazione della contestazione alla storiografia filo risorgimentale, finisce per alimentare solo individualismo e personalismi. In più, un’errata lettura ed una scarsa conoscenza del giacobinismo e dei fatti del 1799, consegnano i nuovi arrivati ad una visione aberrante e limitata, viziata da una spicciola elaborazione partitocratica, certamente pragmatica, ma di troppo basso profilo. ALLA RICERCA
DELLA RISULTANTE
In tutto questo tempo ci siamo assegnati il compito di laboratorio politico e sociale, annotando minuziosamen-
te gli accadimenti e confrontandoci, sempre in nome del popolo meridionale, sia con tutti i personaggi della sfera meridionalista, sia con i rappresentanti di tutto l’arco politico costituzionale. Obiettivo dichiarato, la ricerca della “risultante”, cioè quella definizione della fisica che rappresenta la direzione di una “forza” che scaturisce dalla somma di tutte le altre forze contrastanti. Un lavoro oscuro, a volte non ben compreso, o male interpretato, o, peggio ancora, in malafede interpretato. Ma siamo ancora qui, a lavorare per costruire -insieme a voi- il nuovo Sud del terzo millennio che sarà un esempio non solo per il Nord Italia.
Nomi e volti di un esercito dimenticato
Roberto Maria Selvaggi, Gabriele Marzocco, Roberto Bigliardo, Franco Nocella, Silvio Vitale, Pino Tosca, Lucio Barone, la principessa Urraca di Borbone, Francesco Compagna.
CADONO GLI ELEFANTI E CORRONO LE GAZZELLE ANTONIO GENTILE
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uello che sta avvenendo in Italia e in Europa è uno straordinario cambiamento, una nuova appassionante stagione di travolgenti mutamenti che non può non interessare gli uomini intel-
recuperano spazio e titolarità. Lo Stato, così come è stato costruito non può più gestire le varie realtà locali e il nuovo Diritto Pubblico sarà ispirato a principi radicalmente diversi. Thomas Jefferson, vero founding father dello spirito federale americano, così scriveva ai suoi tempi:
ligenti. L’omogeneizzazione unitaria delle pluralità e delle particolarità, nei tempi della rivoluzione cibernetica e delle produzioni materiali e immateriali, non regge più e declina inesorabilmente. Le aree territoriali prima considerate inferiori e subordinate ora
“Vi sono alcuni che guardano alle Costituzioni con religiosa riverenza e le considerano alla stregua dell’arca dell’Alleanza, troppo sacre per poter essere toccate. Essi attribuiscono agli uomini dell’età che li ha preceduti una saggezza più che umana e considerano le loro realizzazioni come al di sopra di qualsiasi emendamento (…). Io non sono certo un fautore di muta-
menti frequenti e improvvisati nelle leggi e nelle Costituzioni (…). Ma sono pure convinto che leggi e Costituzioni devono andare di pari passo con il progresso dello spirito umano. Mano a mano che questo si sviluppa, acquista nuovi lumi, a misura che si fanno nuove scoperte, che nuove verità si schiudono e che i costumi e le opinioni cambiano con il mutare delle circostanze, anche le istituzioni devono trasformarsi e tenere il passo con i tempi. Sarebbe come pretendere che un adulto continuasse ad indossare il vestito che gli stava bene quand’era ragazzo.” LA RIVOLUZIONE FEDERALISTA
Dunque, per Jefferson, la
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9 Costituzione non può appartenere ai morti e ciascuna generazione ha il diritto di scegliere la forma di governo che ritiene più idonea. L’elemento-chiave di questa concezione è il self-rule, l’autogoverno, dove il controllo e l’occhio del cittadino singolo si fanno sentire e possono contare. Il federalismo stesso è uno strumento per mantenere la libertà e lottare contro l’assolutismo. E proprio partendo dal federalismo di Jefferson arriviamo al neo-federalismo attuale, definito “rivoluzione federalista”. E’ una nuova concezione fondata sulla pluralizzazione-diffusione del potere, autogoverno con una matrice policentrica dell’organizzazione dell’autorità e del potere sul territorio, con la preminenza del coordinamento contrattato e negoziato tra molteplici centri di potere, con una non-centralizzazione e il rifiuto di considerare la federazione come un semplice stadio di transizione verso una repubblica nazionale centralizzata e dove le entità componenti conservano un alto livello di separazione. Declinano le vecchie istituzioni centralizzate delle democrazie rappresentative e procedono i contratti inter-umani che tendono a farsi legge e istituzione. CADONO
GLI ELEFANTI
E CORRONO LE GAZZELLE
Oggi, il governo della legge, le soggettività dei nuovi bisogni, domande,
aspettative, richiedono leggicontratto dove i contraenti, tutti con parità di rappresentatività, possono regolare la loro durata di partecipazione. Non esiste libertà federale se la possibilità di autodeterminazione locale è una mera concessione del potere centrale, il quale rimane tale e si limita solo a ridurre alcune sue competenze. La libertà veicolata dal federalismo è la negazione del rapporto centro-periferia, come di quello sovrano-suddito. Il neo-federalismo contemporaneo nasce dalla consapevolezza che non soltanto i giocatori della vita politica devono essere scelti dai cittadini ma che a quest’ultimi spetta il diritto di scegliere le regole del gioco e gli stessi tavoli su cui si disputano le varie questioni. L’ordine contrattuale del neo-federalismo parla il linguaggio del nostro tempo e può aiutarci a risolvere i problemi dentro i processi post-moderni. Quindi, una nuova visione dei rapporti tra le varie entità federate, basata su una effettiva pluralità di fonti di sovranità-autorità e con una corretta e leale concorrenza tra queste. Per il Sud, liberato dalla gabbia assistenziale di uno stato-padrone, si
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il Focus
apre la strada della sua vera libertà e autonomia istituzionale, dove la macroregione meridionale può dotarsi di un sistema decisionale in grado di prendere decisioni ritagliate alle esigenze della sua gente, senza mediazioni superflue con il potere di Roma e gestito da quei comitati d’affari che sono diventati i partiti politici italiani. In secondo luogo vengono la democrazia fiscale, l’economia di mercato, la valorizzazione delle identità e culture del Mezzogiorno. Insomma, una vera rivoluzione istituzionale e culturale che punta ad una ristrutturazione del Paese e a ridare, soprattutto al Sud, quella dignità e autonomia negata da un cinico annessionismo militare e legislativo che si è subito realizzato con un ennesimo brutale “stato di conquista”.
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246, L’EMENDAMENTO CHE FA ALLUNGARE I MUTUI CANIO TRIONE
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el recente Patto di stabilità -che altro non è se non una finanziaria- distantissimo dalla gente e dai suoi bisogni, ha trovato posto un emendamento che è molto vicino alle esigenze dell’economia e quindi sta suscitando crescente interesse. Si tratta del numero 246 che recita testualmente: ”Al fine di consentire di allungare il piano di ammortamento dei mutui e dei finanziamenti per le famiglie e le micro, piccole e medie imprese individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dello sviluppo economico, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo accordo con l'Associazione bancaria italiana e con le associazioni dei rappresentanti delle imprese e dei consumatori, concordano, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, tutte le misure necessarie al fine
di sospendere il pagamento della quota capitale delle rate per gli anni dal 2015 al 2017”. In burocratese ci dice che dal corrente mese di gennaio si potrà scegliere se continuare a pagare i mutui come lo si è previsto oppure posticipare la restituzione della quota capitale fino a tre anni. Una misura che essendo applicata a famiglie ed imprese può avere una forza propulsiva della domanda e delle produzioni in grado di fermare il crollo dell’economia. Una misura che ci fa capire come una maniera per uscire dalle secche attuali esista e questa è una prima timida prova di tale possibilità.
Personalmente ho avuto un ruolo decisivo nel concepire tale proposta e quindi posso dire che il suo compito principale è quello di modificare il rapporto tra banche e clienti per farlo divenire definitivamente collaborativo facendo dimenticare il lunghissimo periodo di contrapposizione, di sospetto e quasi di guerra tra le due parti;
entrambi sono interessati alla ripresa dell’economia e quindi entrambi devono collaborare alla riuscita di tale sforzo. Alla gente e alla ripresa serve fiducia in se stessi e nel futuro, serve ariosità e questo provvedimento è inteso proprio a questo obiettivo.
Adesso le sfide sono due: la prima è che i clienti debitori verso le banche devono essere informati della esistenza di questa opportunità e quindi utilizzarla appieno; sia coloro che ne hanno bisogno, sia quelli che potrebbero tranquillamente restituire il proprio debito; questi ultimi potrebbero e dovrebbero utilizzare questi danari che
possono trattenere, per nuovi investimenti, anche piccoli, o per nuovi consumi, anche superflui… rimettere in moto l’economia è cosa difficile ed enorme e quindi serve che tutti partecipino con il proprio piccolo o grande contributo. La seconda cosa è che le banche -e le Istituzioni tutte- devono capire le potenzialità implicite a questa nuova concezione dei rapporti con la clientela e non limitarle con burocratismi o trabocchetti nascosti, anzi favorirle e spingere la gente a riprendere fiducia nel sistema del credito che ha recentemente spaventato molti debitori.
Il periodo del credito scarso è finito; la BCE più volte lo ha detto e più volte ha promesso “misure non convenzionali” proprio per favorirlo e stimolarlo. Queste misure non sono ancora arrivate ma, nell’attesa, qui in Italia ce le stiamo creando in autonomia; questo primo passo è molto timido se rapportato a quelli necessari al rilancio delle produzioni ma è chiaro, semplice e significativo: a noi fruirne. Da subito!
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PIÙ PARTITE IVA NEL 2014 MA IL DATO NON CONVINCE
d una prima analisi sembra confortare il dato segnalato dall’Osservatorio sulle Partite IVA nel 2014. Nel mese di novembre, infatti, sono state aperte 38.351 nuove partite Iva ed in confronto al corrispondente mese dello scorso anno si registra un deciso
incremento, pari al 15,5%, dovuto all’aumento di adesioni al regime fiscale di vantaggio (11.917 soggetti, +84% rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente). Bisogna però sottolineare come e quanto il dato possa essere influenzato dalle novità contenute nella legge di stabilità 2015, che ha introdotto - a partire dal nuovo anno - il diverso regime forfetario in sostituzione del preesistente regime fiscale di vantaggio1. Tra l’altro, la legge di stabilità dispone anche che le partite IVA in essere al primo gennaio 2015 con il “vecchio” regime avrebbero potuto continuare ad operare secondo tale modalità, ed è quindi possibile che alcuni soggetti abbiano anticipato l'apertura della partita IVA entro la fine del 2014, ritenendo il regime allora in vigore più vantaggioso per la propria attività.
La distribuzione per natura giuridica mostra che il 71,7% del totale delle nuove aperture di partita Iva riguarda persone fisiche, il 21,8% società di capitali ed il 5,7% società di persone. Seguono i “non residenti” e le “altre
forme giuridiche”, che rappresentano complessivamente quasi l’1% delle nuove aperture. Rispetto al mese di novembre 2013, si osserva un aumento di avviamenti per tutte le forme giuridiche: più evidente per le persone fisiche (+19,8%), a seguito della novità normativa sopra descritta, che riguarda esclusivamente le persone fisiche, più contenuto per le società di capitali (+6,9%) e le società di persone (+3,5%).
Riguardo alla ripartizione territoriale delle aperture, il 42,1% si è registrato al Nord, il 22,8% al Centro e il 34,9% al Sud e Isole. Il confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente evidenzia tutte le Regioni in attivo: gli incrementi maggiori si rilevano nella Provincia Autonoma di Bolzano (+56,9%), in Molise (+24,7%) e in Lombardia (+23,6%), quelli meno consistenti in Abruzzo (+2,2%), nella Provincia di Trento (+3,5%) e in Valle d’Aosta (+4,5%). In base alla classificazione per settore produttivo, il commercio continua a registrare il maggior numero di avviamenti di partite Iva con il 24,8% del totale, seguito dalle attività professionali con il 15,9% e dall’alloggio/ristorazione con il 9%.
rio, introdotto a partire dal 2015, può essere invece mantenuto senza limiti di tempo e fissa l’aliquota di imposta al 15% del reddito determinato
forfetariamente sulla base di una percentuale dei ricavi/compensi (che varia in base all’attività esercitata). I requisiti per poter aderire o rimanere nei due regimi sono differenti, ad esempio il tetto massimo di ricavi/compensi è 30.000 euro per il regime di vantaggio, mentre per il regime forfetario varia tra 15.000 e 40.000 euro in base all’attività esercitata.
Rispetto al mese di novembre 2013, tra i settori principali, si osservano forti incrementi relativi ad attività professionali (+84,5%), sanità (+78,4%).
Entrambi i regimi esonerano i contribuenti dal pagamento di Iva ed Irap. Il regime di vantaggio, in vigore fino al 2014, limita l’imposta dovuta al 5% degli utili dichiarati e può essere mantenuto per cinque anni, con l’eccezione dei soggetti giovani che, fino al compimento del 35° anno di età, possono mantenerlo anche oltre i cinque anni. Il nuovo regime forfeta-
Peccato che questi dati possano essere viziati anche dal passaggio delle aziende da un regime o da una ragione sociale all’altra, raddoppiando il numero delle Partite IVA attive che poi, quando saranno definitivamente chiuse le vecchie gestioni, offriranno l’analisi più vicina alla realtà. Chissà quanto confortante…
l’Indagine
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SUD A CONFRONTO TRA SALDI E VENDITE PROMOZIONALI VALENTINA G IUNGATI
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ra il 2 e il 3 gennaio sono partiti i saldi in tutta Italia per la vendita di fine stagione, a fare da aprifila è stato proprio il Sud, in particolare Campania e Basilicata. Dopo la chiusura dello shopping natalizio che ha fatto registrare una quota pari allo scorso anno e in taluni casi, come Napoli, un segno nettamente positivo con un incremento del 10% e punte del 20% per abbigliamento, accessori e strumenti tecnologici, si attendono le stime delle vendite promozionali 2015. Secondo i dati di Confcommercio ogni famiglia spenderà 336 euro per l’acquisto di capi d’abbigliamento, calzature ed accessori per una stima complessiva del valore di 5,3 miliardi di euro. Si registra una forte tendenza complessiva al
risparmio. Gli sconti medi, stima Federazione Moda Italia, saranno almeno del 40%. Le vendite coinvolgeranno anche i turisti che sono parte fondamentale delle valutazioni di fine stagione. Secondo il consueto sondaggio sui saldi realizzato da Confcommercio e Format Research almeno un italiano su due (51%) approfitterà degli sconti di inizio anno. Si attesta in calo però la propensione agli acquisti durante i saldi con una perdita del 7,3% rispetto al 2014 e una flessione del 20% negli ultimi 5 anni. Gli italiani risparmieranno in prevalenza su articoli sportivi, biancheria intima, accessori e capi d'abbigliamento, anche se proprio questi rap-
presentano i prodotti preferiti durante i saldi invernali per gli acquisti. Crescono i consumatori che attribuiscono maggiore importanza al prezzo del prodotto in saldo piuttosto che alla qualità, si parla del 35%. Il 37,1% degli acquirenti ha affermato di voler cercare nuovi punti vendita rispetto a quelli abituali, pur di risparmiare e cogliere le occasioni proposte. Molti negozi avevano già
esposto insegne che promuovevano dal 30% al 50% di sconto prima del via ufficiale, in numerosi approfitteranno di queste sei settimane di svendite ma i negozianti si dicono consapevoli di non poter raggiungere gli effetti desiderati. In linea con quanto registrato infatti le aspettative degli imprenditori del commercio sono calate, il 28% teme che il proprio negozio sarà visitato meno rispetto a gennaio 2014, con un decremento di 3,7 punti. Per fare un primo bilancio sull’inizio dei saldi e avere uno sguardo al futuro, abbiamo intervistato il Presidente Provinciale Confesercenti di Bari, Beniamino Campobasso e il Presidente Confesercenti Calabria, Antonino Marcianò.
BENIAMINO CAMPOBASSO, PRESIDENTE PROVINCIALE CONFESERCENTI TERRA DI BARI.
Saldi e inizio delle vendite promozionali: quale trend si registra dopo questo primo avvio di fine stagione? «Le prime giornate di saldi indicano un leggero incremento, rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, seppur distribuito a "macchia di leopardo" tra i vari comuni. Questo avviene anche perché la data di ini-
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zio e' stata ulteriormente anticipata andando a sovrapporsi con la "coda" degli acquisti natalizi. Il bilancio definitivo potrà aversi solo fra un mese».
Quanto contano i flussi turistici sui dati di vendita e in che modo questi riescono effettivamente a incidere positivamente sulle vendite? Quali stru-
menti bisognerebbe adoperare per una crescita in tal senso? «Nelle aree metropolitane a vocazione turistica si riscontrano flussi turistici legati "all'evento" dei saldi, a dimostrazione che anche il commercio può essere un'attrattiva turistica. La parola d'ordine è "destagionalizzare" l'offerta turistica sfruttando le molteplici attrattive che la nostra terra offre in tutti i periodi dell'anno».
Come è possibile incentivare le vendite e quali sono le prospettive a medio termine che potrebbero registrarsi nel settore? «I dati indicano segnali incoraggianti nel saldo tra le aperture e le chiusure dei negozi. Negli ultimi anni su due negozi chiusi solo uno riapriva. Ora c'è una netta inversione di
tendenza che speriamo sia confermata nel 2015. L'unica vera panacea per una rapida ripresa dei consumi può essere solo una nuova politica fiscale che non entri "a gamba tesa" nelle attitudini al risparmio degli italiani».
ANTONINO MARCIANÒ, PRESIDENTE CONFESERCENTI CALABRIA Saldi e inizio delle vendite promozionali: quale trend si registra dopo
questo primo avvio di fine stagione? «L’avvio sembra seguire, anche in Calabria, il trend nazionale cioè di un buon avvio. Il dato può preciso potremmo averlo a fine mese (a metà) del periodo di vendita dei saldi. Molto ha contribuito l’inasprirsi delle condizioni metereologi che e la concomitanza della festività del 6 gennaio. L’anticipazione, valida solo per i saldi invernali 2015 ha avuto più un carattere tecnico. Per i prossimi saldi a cominciare dall’estivo 2015 vogliamo confrontarci con l’assessorato regionale e con i vari responsabili locali per avere una programmazione più rispondente alle esigenze e dei consumatori e dei commercianti».
Quanto contano i flussi turistici sui dati di vendita e in che modo questi riescono effettivamente a incidere positivamente sulle vendite? Quali strumenti bisognerebbe adoperare per una crescita in tal senso? «Nel resto dell’Italia, almeno per le grandi firme, hanno una buona incidenza. Per la Calabria non possiamo fornire riscontri non disponendo di “turisti”. Servirebbe una politica turistica, che non sia stagionalizzata ( solo mare), integrata con una serie di eventi legati al territorio, ai
l’Indagine
siti culturali, ai prodotti tipici, agli eventi religiosi; senza lasciare tutto in mano a diversi soggetti ma determinando una “ regia” unica per esempio la Regione con un portale di servizio e fruibile. Una adeguata promozione all’EXPO 2015, ecc».
Come è possibile incentivare le vendite e quali sono le prospettive a medio termine che potrebbero registrarsi nel settore? «L’incentivazione delle vendite per qualunque comparto può determinarsi se le famiglie dispongono di adeguate risorse economico – finanziarie derivanti da aumento del livello occupazionale, da un welfare adeguato, da un accesso al credito facilitato, da grandi investimenti pubblici e da una “ governante” che compia atti e scelte durature, concrete ed utili. In una parola che dia SPERANZA. Se si compiranno scelte che vanno nella direzione del sostegno alle PMI calabresi sia a livello nazionale che a livello locale, potremo far partire la locomotiva Calabria e per quanto riguarda il settore delle micro e piccole imprese invertire il trend negativo tra le aperture e le chiusure aziendali».
l’Anniversario
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CINQUANTA CANDELINE PER UNIONCAMERE TRA PRODUTTIVITÀ E NUOVE OPPORTUNITÀ CARLA SCHIAVO
oesione delle imprese, rilancio del settore agricolo e manifatturiero ed export del made in Italy anche attraverso gli ecommerce. Queste, secondo i Presidenti delle
anche alla luce delle ultime stime che parlano di consumi privati incrementati dell’11% ma di investimenti pubblici che hanno subìto un crollo sostanziale negli ultimi 30 anni abbassandosi da 12 a 2,5 milioni.
Pepe, Caffè Kimbo, Ferrarelle, Fabbriche D’Acunzi ed altre ancora. I dati emersi dal consuntivo del 2014 ritraggono un’Italia dalla fatturazione in riduzione anche se a ritmi sostenuti rispetto allo scorso anno; la Campania
Green Economy che dovrebbe sorgere a Bagnoli e che offrirebbe 1800 posti di lavoro. Va detto che la città partenopea ha già percentuali altissime di imprese che condividono i protocolli della Green economy con
Camere di Commercio delle Province campane, le chiavi del risollevamento dalla crisi. In un’Italia afflitta dalla crisi, sarebbero questi i dati su cui puntare
Non meno preoccupante il tasso di disoccupazione in particolar modo femminile e giovanile. A rincuorare è solo il tasso di immigrazione del 3,5 % in Campania contro l’8,1 % nazionale. Il quadro emerge nell’ambito del 50° anniversario di Unioncamere, l’unione delle Camere di Commercio della Campania. Premiate nell’occasione le imprese che si sono distinte nel 2014 per le eccellenze produttive, attribuendo un valore distintivo al marchio del Made in Campania, tra cui La Fabbrica della Pasta di Gragnano, le Terme Rosa-
nonostante i dati preoccupanti di disoccupazione giovanile superiore di ben 22 punti rispetto alla media nazionale, ha un primato nei settori di nicchia. Nell’occasione, il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro ha dichiarato: “è una priorità garantire autonomia e indipendenza alle imprese, respingendo azioni di spending da parte del pubblico”.
investimenti importanti come quello per Campania Verde. Rassicuranti le parole del presidente della Camera di Commercio di Napoli, Maurizio Maddaloni che ha dichiarato : “Dal dato della ricerca consegnata, relativa al bilancio del 2014 emerge un sentimento di cauto ottimismo, il calo nelle perdite di mercato si è sicuramente rallentato. Questo non significa che siamo in ripresa ma che la precipitazione volge in una fase conclusiva. Nonostante la situazione di crisi vi sono degli elementi che ci inducono ad un cauto ottimismo come una ripre-
Nel corso della convention si è parlato anche del futuro delle aziende delle Sud, ma anche dell’impegno di Caldoro per la creazione del consorzio dedicato alla
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15 sa positiva dell’export dell’agroalimentare, del turismo ed una forte vivacità delle imprese giovanili nel sistema camerale e le riprese delle vendite on line. Dunque il saldo del differenziale tra la nascita e la morte delle imprese è in positivo. Ciò non determina la risoluzione del problema occupazionale ma vuol dire insistere nel privilegiare le politiche del credito nelle imprese e di accompagnare reti di imprese soprattutto nel
zioni di Caldoro che parla di una Campania al vertice dei siti culturali visitati con percentuali molto alte che vede primeggiare la Reggia di Caserta ed il sito archeologico di Pompei con numeri che superano anche la Galleria degli Uffizi. Puntare sugli e-commerce e sull’export secondo Maddaloni sarebbe l’arma vincente. Lo conferma l’ottimo risultato ottenuto dall’expò delle eccellenze agroalimentari made in Campania all’ Eataly di
caso del nostro territorio”. Parole che trovano conferma anche nelle dichiara-
New York, che nello scorso Ottobre ha ottenuto un sold out con centomila visi-
tatori e 25mila pasti a settimana.
Il presidente della Camera di Commercio di Benevento Antonio Campese, ha posto l’accento sui problemi che affliggono lo slancio dell’economia campana nonostante la produzione proficua. Basti pensare che il Sannio ha 140mila ettari di uva che produce il 40% del vino della regione Campania. La filiera telesina annovera infatti 2648 aziende di terza generazione. Dunque resta da porsi solo una domanda: “Perché un ettaro di vigna nell’astigiano, rende il triplo? “. Appare evidente che bisogna prima di tutto rivalutare l’identità di prodotto attraverso operazioni strategiche di Marketing e di distribuzione. Inoltre l’evoluzione di un Paese passato dal capitalismo industriale a quello cognitivo dove i lavori manuali sono stati denigrati di certo non aiuta. Secondo Campese una riduzione
l’Anniversario
del costo del lavoro che livellerebbe domanda ed offerta potrebbe rappresentare una soluzione. A parità di costi si potrebbe assumere più personale andando ad aumentare i consumi interni e di conseguenza la domanda di produzione, innescando così un circolo virtuoso.
Ecco le manifestazioni fieristiche del 2015 a cui parteciperà l’Unioncamere al fine di favorire la promo-commercializzazione turistica della Campania:
1 MADRID - FITUR 2 MILANO - BIT 3 PRAGA - HOLIDAY WORLD 4 BERLINO - I.T.B. 5 MOSCA - MITT 6 GOTEBORG - TUR 7 NAPOLI - B.M.T. 8 HONG KONG - ITE 9 SAN PAOLO - ABAV 10 RIMINI - TTI 11 LONDRA - WTM
28 gennaio/1 febbraio 2015 12/14 febbraio 2015 19/22 febbraio 2015 04/08 marzo 2015 18/21 marzo 2015 19/22 marzo 2015 26/28 marzo 2015 11/14 giugno 2015 24/26 settembre 2015 08 - 10 ottobre 2015 2/5 novembre 2015
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la Firma
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MUGI E REGIONE FIRMANO PROTOCOLLO LAVORO GIOVANI SIMONA BUONAURA
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nno nuovo, vita nuova cita un detto sempre sulle bocche di tutti quando, dopo i bagordi delle feste che Dicembre porta, ci si prepara a vivere un nuovo intenso anno. Specialmente se all’orizzonte si affacciano nuove opportunità, ed una novità arriva proprio dal mondo del lavoro con una interessante proposta che potrebbe aiutare i giovani ad affacciarsi nelle diverse sfere lavorative. Presso la Scuola della
Pace di Napoli si è svolta infatti la conferenza stam-
pa indetta dal Movimento Unitario Giornalisti al termine della quale è avvenuta la firma del Protocollo d'intesa tra Regione Campania e MUGI (Movimento Unitario Giornalisti) finalizzato alla promozione del programma Protocollo d’intesa per il piano Garanzia Giovani nell'ambito, in questo caso specifico, del mondo dell'editoria e del giornalismo. Questo piano, aperto a tutte le tipologie di lavoratori nei diversi ambiti professionali offre all’Italia la possibilità di sperimentare forme innovative di politiche attive del lavoro per i giovani fino a 29 anni. Mimmo Falco, Presidente Movimento Unitario Giornalisti e l'Assessore al Lavoro della Regione Campania, Severino Nappi hanno presentato il progetto che punta a dare una mano agli imprenditori che vogliono assumere i cosiddetti Neet, (not in education, employment or training) ovvero che non studiano e non lavorano e che possono essere ricol-
locati nel mondo del lavoro a spese della Regione di appartenenza secondo un provvedimento partito da Bruxelles. Nappi in merito all’andamento dell’iniziativa ha commentato: “Basta lamentarsi del fatto che i nostri ragazzi vanno via perché non hanno opportunità. Il lavoro per i nostri giovani è la scommessa dell’intera comunità. Da una parte ci sono i finanziamenti regionali e l’impegno a migliorare la qualità dell’amministrazione,
potenziamento complessivo di un’azione di sistema e rete che coinvolge tutti. Tutte le associazioni di categoria, le imprese, il mondo della cooperazione, le varie categorie professionali, il sistema delle università, il mondo del terzo settore e la rete dei comuni della Campania, sono firmatarie di questi accordi, grazie ai quali i nostri partner prendono l’impegno di mettere a disposizione gli spazi e le opportunità per i neet, perché funziona se ci credia-
dall’altro è necessario il lavoro di tutti- ha poi aggiunto- La Campania non ha semplicemente aderito al programma nazionale, ma ne è il motore, insieme alla Toscana e alla Lombardia. Questo è il primo segnale positivo: una Regione del sud è protagonista delle Politiche del Lavoro di questo Paese”. L’Assessore regionale ha poi concluso: "Il successo del programma, e soprattutto della Campania, è il
mo tutti”. Per il programma regionale campano sono stati stanziati 650 milioni di euro. Tutto bellissimo e molto interessante. L’unico amaro in bocca però è sull’età, siamo d’accordo che i giovani fino a 29 anni che sono inattivi sia dagli studi, sia dal lavoro debbano essere aiutati, ma dai 30 in poi che cosa si deve fare per poter sperare di essere assunti?
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l’Allarme
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L’ALLERTA ARRIVA DAL MARE Inquinamento, aumento delle temperature e ‘navi dei veleni’ LA
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IL CASO
DEI TONNI MALFORMATI.
E’ di poche settimane fa una notizia a dir poco sconvolgente che arriva dalla Calabria. Tonni con malformazioni alla colonna verte-
CACCIA AL PETROLIO E
‘CARRETTE DELLO IONIO. LE
l mare, da sempre, rappresenta una delle maggiori risorse di sviluppo per il Sud. Se in passato, grazie alle prime barche che lo solcarono, contribuì all’egemonia delle diverse popolazioni che nei secoli hanno dominato il Meridione, oggi, grazie soprattutto agli splendidi fondali che offre, rappresenta la fonte principale del turismo del Mezzogiorno. Purtroppo, però, non è tutto oro quello che luccica e soprattutto a causa della mano distruttrice dell’uomo, adesso c’è una vera e propria ‘allerta mare’. Ebbene sì, le acque che bagnano le coste del Sud sono altamente inquinate. Lo dimostrano i diversi studi che sono stati eseguiti negli anni, lo dimostrano i ‘mostri’ che emergono dai fondali.
RAFFAELE SANTILLO
brale sono stati pescati al largo di Campora San Giovanni. In pochi giorni, in appena due pescate, sono usciti fuori dalle acque del Tirreno 14 esemplari con evidenti problemi. Sicuramente non si può parlare ancora di allarme anche se la preoccupazione non è poca. Oltre un anno fa, a pochi chilometri di distanza da Campora, si verificarono altri episodi simili. Furono eseguite anche approfondite analisi sulle acque ed emerse un dato a dir poco spaventoso: gli animali esaminati erano contaminati da metalli pesanti e da idrocarburi policiclici aromatici. Inoltre uscì fuori che nelle lische dei tonnetti erano presenti parametri al di sopra della norma di tre policlorobifenili (Pcb). Si tratta di composti organici considerati altamente nocivi per gli esseri umani visto che alcuni studi scientifici ne delineano l’elevato nesso di causalità con la contrazione di malattie tumorali.
DEI VELENI’
Se nel Tirreno è scattato l’allarme per il ‘tonno malformato’, la situazione non è certamente migliore sul versante ionico. In seguito al decreto ‘Sblocca Italia’, che di fatto favorisce le multinazionali alla caccia di idrocarburi, il mar Ionio è diventato per i petrolieri ‘una gallinella dalle uova d’oro’. Gli ambientalisti si sono compattati per dire ‘no’ alle trivelle e, in questi mesi, hanno organizzato numerose manifestazioni di protesta e convegni. L’ultimo si è tenuto a Policoro in provincia di Matera. Durante l’incontro, sono stati illustrati alcuni aspetti che rendono il mar Ionio del tutto inadatto per la ricerca di idrocarburi. Nelle loro relazioni, gli esperti Vincenzo Laschera, Giovanna Bellizzi e Felice Santarcangelo hanno messo in risalto i rischi connessi alla ricerca con Air gun (tecnica di ricerca di idrocarburi attraverso le emissioni di onde sonore) per i
cetacei, la flora, la fauna, le aree archeologiche marine, per la pesca e per le economie locali. Inoltre, si è discusso anche dei pericoli legati alla presenza di navi affondate nel mar Ionio con carichi radioattivi e sostanze tossiche. “Nello Studio di Impatto Ambientale – hanno riferito i rappresentanti di ‘Mediterraneo no triv’ - delle società che hanno presentato 5 nuove istanze di ricerca di idrocarburi non c’è alcun riferimento in merito alla presenza di numerosi relitti e navi affondate nel mar Ionio, con carico di rifiuti tossici e radioattivi. La carenza dello studio è rilevante e di assoluta gravità
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e rende il documento inidoneo allo scopo perseguito e non utilizzabile nel procedimento di Valutazione d’impatto ambientale. Le ‘navi a perdere’ sono state oggetto di numerose indagini, ma nessuno è in grado di confermare le condizioni delle navi e soprattutto l’integrità dei fusti contenti i rifiuti”. RIFIUTI
NOCIVI
NEI NOSTRI MARI.
Numerose inchieste giornaliste parlano di ‘navi dei veleni’ in merito alle imbarcazioni inabissate nei fondali del mar Adriatico, dello Ionio e del Tirreno. Secondo il Wwf e Legambiente, le navi, scomparse misteriosamente dal 1987 al 1995 nei mari italiani sono più di 30. Già nel 1994 era stata avviata l’inchiesta ‘Navi a perdere’ da parte del sostituto procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri. Tale indagine fu chiusa nel 2000. A settembre 2009 in provincia di Cosenza fu individuata la nave Cunsky, che ha portato alla riapertura dell’indagine da parte della Procura della Repubblica di
Paola. Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia Nicola Pace, è stato ascoltato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, è ha confermato l’ipotesi investigativa in merito al seppellimento in mare, di carichi di rifiuti. “La presenza, nei nostri mari – concludono gli ambientalisti - di navi contenenti rifiuti probabilmente nocivi per l’ambiente e per la salute delle persone, è un motivo più che sufficiente per impedire l’attività di ricerca di idrocarburi nel mar Ionio”. Ricordiamo che le ultime 5 istanze di ricerca di petrolio nel golfo di Taranto, coinvolgono ben 53 comuni e tre regioni: Puglia, Basilicata e Calabria”. ECOSISTEMI MARINI E L’AUMENTO
DELLE TEMPERATURE.
Alcuni esperti ipotizzano che i mutamenti degli ecosistemi marini siano provocati, più che dall’inquinamento, dall’aumento delle temperatura. Uno studio dell’Ismar-Cnr riferi-
sce che anche sistemi marini fra loro non comunicanti presentino quasi-sincronicamente i cosiddetti ‘regime shifts’, cioè repentini cambiamenti che influenzano l’intero ecosistema: la causa, probabilmente, un salto nell’aumento della temperatura. I ricercatori hanno compilato 11 banche dati marine multidecennali (19602005) delle popolazioni zooplanctoniche provenienti da due oceani (Atlantico e Pacifico) e tre mari (Mediterraneano, Nord e Baltico). Alessandra Conversi, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) e associata all’Università di Plymouth,
l’Allarme
ha riferito: “Abbiamo analizzato i tre principali componenti, considerati indicatori dello stato biologico di ogni sistema, e identificato i loro anni di shift, cioè di ‘salto’, constatando che tra il 1987 e il 1990 tali cambiamenti repentini si sono verificati in ben sette degli undici bacini analizzati”. Ma qual è la causa di questi fenomeni? “Una parte della comunità scientifica – continua la Conversi - pensa che a provocare gli shift siano fattori locali antropici, come la pesca o l’inquinamento. Anche se questo può avvenire in molti casi, secondo noi i cambiamenti ecosistemici avvenuti in particolare a fine anni ‘80 nei vari mari e oceani sono stati causati da un salto nell’innalzamento della temperatura nord-emisferica avvenuto intorno al 1987. La temperatura sta aumentando nella maggioranza dei bacini marini, influenzando particolarmente le specie che sono ormai ai limiti della loro tolleranza termica”.
il Folklore
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BASILICATA: ANTICHE USANZE, ATTUALI PASSIONI
arlo Levi nel suo libro “L'orologio” (1947 – 1949) descrive quella che secondo lui era l'Italia post bellica, fratturata tra “contadini” (la parte di popolazione produttiva) e “luigini” (coloro che contavano su protezioni, sussidi, favoritismi e privilegi). Nel descrivere la prima categoria aveva di certo in mente e negli occhi il popolo lucano, che tanto segnò la sua esperienza di intellettuale.
Uomini e donne nati in una terra dura “con la loro civiltà fuori del tempo e della storia, con la loro aderenza alle cose, con la loro vicinanza agli animali, alle forze della natura e della terra, con i loro dèi e i loro santi, pagani e pre-pagani, con la loro pazienza e la loro ira”. Questa gente vive in“un altro mondo: il mondo della magia e dell'indistinzione, la civiltà della tradizione orale”, quello che più di cinquanta anni dopo l'Unesco ha riconosciuto come “patrimonio culturale immateriale” da salvaguardare e valorizzare. In Basilicata tale ricchezza si è preser-
PAOLA VONA
vata più a lungo rispetto ad altre regione italiane. La conformazione ambientale e la mancanza di vie di comunicazione agevoli hanno determinato la caratteristica condizione di isolamento geografico. Rituali, prassi e saperi antichi hanno così conservato un'impronta di autenticità e un legame con il territorio difficilmente riscontrabili altrove. Il mondo dell'antropologia conobbe tale ricchezza e ne rimase affascinato grazie al napoletano Ernesto De Martino, primo studioso a compiere ricerche etnografiche in Lucania (forse stimolato dalle descrizioni del Levi nel “Cristo si è fermato ad Eboli”). Nel corso di diversi viaggi compiuti negli anni Cinquanta scoprì e documentò riti fino ad allora tramandati solo oralmente.
Da allora, una sempre crescente apertura verso l’esterno, avvenuta principalmente con la diffusione dei mass media, e la conseguente spinta globalizzatrice, hanno intaccato questo baluardo di folklore. Molto si è perso e dimenticato. La consapevolezza di una propria
identità culturale, quella dei nonni e dei progenitori, sopravvive però in molti giovani che, decisi a non volersi privare di tale bagaglio, hanno avviato iniziati-
dell’“Associazione Torri Umane”, fondata del 2009 insieme con il “Festival Internazionale delle Torri Umane” e costituita da circa 70 membri (anche bam-
ve di studio e riscoperta. Tra questi c’è il sempre più numeroso gruppo di giovani di Irsina (Matera) che ha voglia di imparare e portare avanti l’antica tradizione del “Pizzicantò”, ovvero la costruzione delle torri umane, in origine diffusa in numerosi paesi del Sud Italia. Irsina, grazie all’azione
bini dai tre anni in su), è rimasto l’unico centro del Meridione in cui questo rito legato alla devozione religiosa, ma con origini molto più remote (ormai difficili da inquadrare), continua a sopravvivere e ad essere tramandato. Il Festival, presieduto da Leonardo Zienna, presidente dell’Associazione
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21 nonché “patrono” in carica della festa, si svolge ogni anno, in occasione della celebrazione di Santa Maria della Pietà (a partire dalla prima domenica dopo la fiera del 18 maggio): così come secoli fa, i giovani irsinesi continuano, l’uno sulle spalle dell’altro, ad innalzare torri di quattro e più piani (circa venti metri di altezza) e a ruotare, scandendo un ritornello i cui versi alludo-
no ad un possibile capovolgimento della costruzione, chiara allusione alla situazione sociale.
Numerosi i gruppi stranieri ospitati ogni anno, soprattutto dalla Spagna dove, con connotazioni proprie, la tradizione dei “castells” è particolarmente viva. Anche all’ombra del maniero federiciano di Melfi (Potenza), un tempo svettavano torri umane. C’era lo “Scaricavascio” e si svolgeva durante i tredici giorni precedenti la festa di S’Antonio (13 giugno). Il regime fascista guardò con sospetto e disappunto quei giovani operai e contadini
che, a fine giornata di lavoro, saldamente uniti, dall’alto delle loro torri parlavano di cadute e sovvertimento delle condizioni. Nel 1929 la pratica fu infatti
definitivamente vietata. Ma non dimenticata. Dall’antica usanza prende infatti il nome il progetto “Lu Scarecavasce” avviato una anno e mezzo fa dai ragazzi della sezione melfitana dell’Archeoclub presieduta da Michele Sedile, teso proprio a recuperare e far rivivere la cultura popolare del territorio.
Si parte dalla ricerca: archivi, biblioteche e, soprattutto, le case degli anziani del paese. Racconti, canzoni e proverbi riscoperti e riuniti in video interviste. E poi le testimonianze fotografiche (dalla fine dell’800), raccolte dai volontari casa per casa, famiglia per famiglia, in un già vasto archivio che ha destato l’interesse del ministero per i Beni culturali, destinato a crescere, in parte esposto lo scorso anno. La mostra “T'arrecurd?" registrò centinaia di visitatori: molti
anziani, tantissimi giovani.
Numerosi anche i ragazzi coinvolti nei corsi di organetto e danze popolare. Si studia, si impara e si balla
guidati dall’esperta Raffaella Irenze, neanche trent’anni.
E l e m e n t o importante della vita rurale, la musica, ha come espressione tipica in Basilicata la “pastorale” che, con varianti da paese in paese, si eseguiva principalmente con zampogna, spesso accompagnata da ciaramella e organetto. Gli Istamanera, gruppo fondato a Terranova di Pollino (Potenza) nel 2003 da Gennaro Di Girolamo, Giuseppe Di Taranto e
il Folklore
Mario Tufaro, rappresentano una bella realtà di studio ed esecuzione di musiche popolari. Alla base, tanta passione e ricerca: questi giovani musicisti, affiancati sempre da danzatrici, rispettano i dettami della tradizione valorizzando la musica della loro terra e, nello stesso tempo, cercando punti d’incontro e scambi con realtà extra regionali, come la calabrese e la cilentana, ed aperture che abbracciano tutto il bacino del Mediterraneo.
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l’Identità
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IL CONTRO-NOVANTANOVE A NAPOLI NEL PROCESSO DI FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ DUOSICILIANA
ell’essere umano i ricordi crescono con l’avanzare degli anni e tra le tante memorie della nostra generazione del “boom” economico italiano si è soliti soffermarsi sulla
partecipazione ai momenti di contestazione politicosociale che, però, per consuetudine culturale, si associano al ’68 e successive lotte studentesche dell’Italia tripartitica (Centro-Sinistra-Destra). Ma per i simpatizzanti della “Questione Meridionale”, nati nel secondo dopoguerra, la mente travalica l’esperienza della suddetta formazione culturale o degli scontri tra gli schieramenti politici fascio-comunisti, proiettandosi oltre l’evento della caduta del muro di Berlino e della divisione del mondo tra le due potenze internazionali. Pertanto, l’entusiasmo giovanile per la scoperta di
ETTORE D’ALESSANDRO
una storia patria del Sud, avulsa dagli accademici clichè della storia nazionale italiana, con le sue rivendicazioni identitarie contro gli occupanti usurpatori e sfruttatori piemontesi, si manifestò con significative adesioni, sin dagli
anni ’50, allorquando uscirono nuovi studi o si ristamparono opere di sostenitori dell’anti-risorgimento. LE
RIVISTE
DEL TRADIZIONALISMO
Tra gli autori meridionali, critici del Risorgimento d’Italia, si affermò lo scrittore Carlo Alianello, che riprendendo un filone culturale di rivendicazioni legittimiste (da De Sivo e De Rivera per arrivare al programma politico di Francesco Mazziotta del 1920 sulla spodestata Real Casa Borbone Due Sicilie) e di questioni politico-parlamentari sul Mez-
zogiorno (Carignano, Nitti, Sonnino, Fortunato e lo stesso Gramsci), lasciò, negli animi di molti giovani e non, un forte sentimento di appartenenza. Il successo editoriale del romanzo storico “l’Alfiere” di Alianello, trasmesso anche in TV nel 1956, generò nel pubblico televisivo italiano una crescente curiosità ed interesse verso la storia dei “vinti” dell’ex regno delle Due Sicilie, tanto da invogliare il suddetto autore a pubblicare altre opere dall’analogo leitmotiv, come i “Soldati del Re”, “l’Eredità della Priora”(la cui prima edizione fu del 1963, postuma ai festeggiamenti del primo centenario dell’Unità d’Italia, da cui seguì l’omonimo sceneggiato del 1980 con le musiche di Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò, i Musicanova con “Brigante se more”) e “la conquista del Sud”, nel corso degli anni ‘70.
Di fronte a cotale interesse dei lettori, si intensificarono le pubblicazioni specialistiche di riviste sulla tradizione legittimista, come l’Alfiere di Silvio Vitale (ispirata all’opera dell’Alaniello), nonché di libri filo-borbonici del Capecelatro Gaudioso, del Bertoletti, Acton, Albonico, Pedio e così via. Nel 1984 vi fu la storica traslazione delle spoglie mortali di re Francesco II Borbone, dalla chiesa dello Spirito Santo dei napoletani in
Roma alla basilica di S. Chiara in Napoli, con una sentita partecipazione di numerosi fedeli allo stemma gigliato, ove tra l’altro per volontà del principe Ferdinando Pio furono raccolte tutte le salme di Casa Borbone con autorevole cerimonia, celebrata il 28 marzo 1958 da Mons. Ettore d’Alessandro di Pescolanciano. NAPOLI, 1999: BRIGANTE!
ECCO IL
Negli anni ’90 si affermò maggiormente l’idea di una patria delle Due Sicilie, con la sua identità culturale da salvaguardare, visto l’affermarsi della Lega Nord nel settentrione d’Italia, tant’è che l’attore napoletano Riccardo Pazzaglia volle la nascita dell’associazione culturale “Neoborbonici repubblicani” sotto i torrioni di Castel dell’Ovo, il 7 settembre 1993. Così, si incrementarono le associazioni, i circoli culturali ed editoriali, come “Il Giglio” o “Rinascita Meridionale”, i tanti libri
stampati, tra cui quelli di Maurizio Di Giovine, oltre a
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23 varie riviste e testate giornalistiche, come “Il Sud” di Roberto Maria Selvaggi o “Nazione Napoletana” di Gabriele Marzocco. Nel 1999, in contemporanea al lancio del film “Li chiamarono Briganti” del regista Pasquale Squitieri arriva “Il Brigante”, fondato e diretto da Gino Giammarino, che si proponeva come moderno strumento di comunicazione, aperto a tutto il variegato mondo meridionalista e oltre.
VENERDÌ 8 GENNAIO 1999 TEATRO DI SAN CARLO
Lo storico numero zero di
questa testata vede la luce proprio nei giorni in cui a Napoli si concretizza la prima manifestazione antipolitica di stampo targata Sud. Siamo sul finire degli anni ’90, in epoca di maturazione dell’ideologia “meridionalista” sempre più vicina al revanscismo filoborbonico (grazie anche alle frequenti apparizioni dei principi di Casa Borbone in numerosi eventi mondani e commemorativi della storia dell’ex regno delle Due Sicilie). Il piacevole ricordo va alla prima importante manifestazione pubblica di una contestazione borbonica, svoltasi a Napoli ben 16 anni fa. Venerdì 8 gennaio 1999,
sul modello del Comitato anti-89 di Pucci Cipriani ed altri intellettuali italiani e francesi contrari al duecentesimo anniversario della presa della Bastiglia ed alle sue stragi nella Vandea, il Comitato contro-Novantanove mette in campo un’iniziativa comune. E’ proprio Il Brigante Giammarino, con la sua riconosciuta diplomazia, che riesce assieme a Paolo Postiglione ed Antonio Gentile a far incontrare le variegate e riottose anime del tempo in un noto e grande albergo di Agnano: il Tennis Hotel. Miracolosamente nasce la
convergenza tra le varie associazioni e soggetti aderenti: i “Neoborbonici” di De Crescenzo, “Rinascita Meridionale” di Ferdinando Maria d’Antonio, “1860 – Je nun me scord” di Paolo Postiglione, “Il Brigante” di Giammarino, “Il Solco” di Marco De Marco per citarne alcune). Si organizzò così la prima significativa contestazione per la “verità storica” dinanzi al teatro San Carlo di Napoli. SCENEGGIATA DI
REGIME
L’occasione fu data dall’esibizione della prima di “Eleonora” (Pimentel Fonseca), opera di Roberto De Simone, voluta dall’ammi-
nistrazione Bassolino per inaugurare i festeggiamenti del bicentenario della Repubblica Partenopea e relativa sua rivoluzione del 1799. Ma l’arroganza culturale giacobina aveva fatto i conti senza senza questi inattesi osti. In piazza, in un’atmosfera incredibile e senza tempo, si ritrovarono tantissimi borbonici con bandiere listate a lutto, vari striscioni inneggianti alle verità storiche (“Eleonora ed i suoi amici giacobini massacrarono oltre 60 mila napoletani”) ed allo sperpero di denaro pubblico per commemorare la Repubblica sanguinaria, oltre ad un originale armamentario funebre con corona e lumini per i nostri morti, i lazzari. Dalle scalinate della galleria, Salvatore Lanza al megafono leggeva, uno per uno, l’elenco dei cosiddetti “Martiri” del ’99 e a tutti i contestatori urlavano: “A morte!”. Naturalmente, si sottendeva quella del mito, perché i Briganti del ’99 non desideravano la morte di nessuno. Il sottoscritto, con Ferdinando d’Antonio, si schierò prima fila, indossando parrucche e maschere settecentesche tutte bianche, simbolo della costumanza nobiliar-reazionaria di quei “codini” perseguitati e trucidati dal giacobinismo francese e napoleonico. Tale presenza allegorica catturò l’immediato interesse dei tanti giornalisti e televisioni presenti all’evento, al punto da addivenire a simbolo della contestazione borbonica. Pertanto, ci ritrovammo, in qualità di nobili, lazzari, briganti, borbonici con gli attivisti della Fiamma Tricolore di Raffaele Bruno, ai disoccupati organizzati e del Movimento di lotta, ai rappresentanti dei centri
l’Identità
sociali Ska e Officina ‘99, a contestare l’evento mondano culturale-sociale che aveva richiamato tanti vip (Francesco Rosi, Michele Santoro, Franco Nero, La Capria, etc) ed autorità politiche (l’allora Presidente Ciampi, l’attuale Napolitano, Massimo D’Alema ed il suo nemico di Partito Antonio Bassolino, Nicola Mancino, Alessandra Mussolini, Mario Martone, e così via), costretti a sgattaiolare da un’entrata retrostante il teatro. La grande kermesse dai variegati slogan di protesta contro il Sindaco partenopeo, Eleonora e l’Avv. Marotta con il suo Istituto per gli Studi Filosofici, nonché il colorito lancio di uova e farina contro gli ospiti invitati, non riuscì comunque a far sospendere lo spettacolo, così come non ci riuscì il paventato sciopero del personale precario del San Carlo. Ma la contestazione culturale non si fermò all’esterno. All’interno del teatro voluto da Don Carlo di Borbone, mentre nell’aria risuonavano musiche di Durante, Cimarosa e Paisiello, dal loggione gli infiltrati del “Contro ‘99” lanciavano, su uno stupito pubblico, i volantini di protesta del Comitato. Si trattava dei Briganti Vincenzo Martongelli, Nicola Forte e Geppy Romeo.
Per la prima (e forse l’ultima) volta, i borbonici riscontravano la positività di lavorare insieme per una causa comune. La cultura ufficiale dovette prendere atto che c’era qualcosa di diverso nell’aria e, con gran dispiacere del Marotta, ammettere che anche i briganti avevano diritto a delle ragioni. La gioia fu incontenibile.
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CRONACA DI UNA GIORNATA IN NOME DI FRANCESCO II DI BORBONE DON MASSIMO CUOFANO
I
l 27 dicembre, una data diventata memorabile per molti, anche se per altri può essere un giorno qualsiasi. Giornata che si avvia verso la conclusione dell’anno, e che porta ancora “i profumi” e “le armonie” della celebrazione del Natale, che ricorda la venuta di Dio in mezzo agli uomini. In questa giornata, ad Arco di Trento, nel 1894, apparentemente dimenticato dalla storia, chiudeva la sua esistenza terrena Francesco II di Borbone, Re del Regno delle Due Sicilie. Moriva in “ terra straniera”, primo esule ed emigrante di quel popolo “napoletano”, che dopo l’unità d’Italia, ha conosciuto la calunnia, il vilipendio, l’emigrazione. La “grande storia”, quella scritta dai “vincitori”, e che ancora propinano nella mente dei nostri giovani, tace su molte verità, calcando la sua mano nel voler presentare “la
monarchia napoletana” come assolutista, prepotente, disinteressata del popolo. Non vi è falsità più grande, ed oggi la verità viene fuori da sola, anche attraverso canali e diffusioni tutt’altro che interessati, o di matrice “reazionaria” e “nostalgica”. E questa “Verità” si va sempre più insinuando nel cuore delle nuove generazioni, che prendono coscienza del perché di tanti mali che attanagliano e mortificano le nostre regioni meridionali; si rendono sempre più conto che povertà,disoccupazione, delinquenza organizzata, malasanità, inquinamento, cattiva politica, questi grandi mali che infestano i nostri paesi, hanno avuto ed hanno radici nella stessa cattiva unità. Prima vittima di questa “ingiustizia” è stato proprio Francesco II, che dopo aver difeso l’autonomia e la dignità del Regno delle Due Sicilie, il più antico, prospero ed ampio Stato
preunitario, è costretto a vivere esule, povero, perseguitato. Scelse liberamente questa situazione, non volendo mai scendere a compromessi con quel “potere iniquo”, che ingiustamente e senza dichiarazione di guerra, aveva occupato la sua terra, aveva depredato le ricchezze del suo Stato ed i suoi stessi beni personali, che stava, con la violenza ed i soprusi, massacrando il suo popolo. Uomo di grande rigore morale e cristiano, ebbe a dire: <<l’onore e la dignità valgono più della ricchezza>>, non cedendo al compromesso e alla corruzione. Che grande esempio di statista per molti, che al bene del popolo preferiscono il proprio personale interesse. E di fronte a chi gli contestava, che mantenendosi ligio ai suoi ideali, sarebbe rimasto povero, non ha avuto timore nel rispondere: << sarò povero, come tanti altri (riferendosi senz’altro alla sua gente) che sono migliori di me >>. Che grandezza di animo e spirito di umiltà, doti essenziali per chi dovrebbe governare una Nazione. Seppure a causa dei
soprusi e delle ingiustizie subite, si ritrovò davvero in disagio e a vivere soccorso dalla “carità” di altri, tra cui il suo grande amico il granduca Alberto d’Asburgo, non si dimenticò mai della sua gente, e quando poteva soccorreva le loro necessità.
Come quando si preoccupò di inviare una buona somma di denaro ai terremotati di Torre del Greco, o quando accogliendo nella sua casa i numerosi “napoletani”, che trovandosi in difficoltà bussavano alla sua porta, non li faceva mai ripartire “a mani vuote”. Diceva: << le lacrime e la miseria del mio popolo colpiscono profondamente il mio cuore, io sono “Re” e come tale fintanto avrò respiro e anche una sola moneta, saranno
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25 del mio popolo >>. Che esempio di carità e solidarietà, di profondo e vero legame a ciascuno dei suoi sudditi, che diventano per lui figli uguali, per i quali donarsi e sacrificarsi. Questo è l’esemplarità di un buon governante. Un uomo leale, un cristiano convinto, una persona generosa e sensibile, un “re” che seguì sempre come modello di regalità quel “Cristo Re”, venuto nel mondo per servire e dare la vita. Proprio queste doti eccezionali, e che non gli ven-
nero mai meno, all’indomani della sua morte, fecero scrivere alla giornalista Matilde Serao, sulle pagine del “Mattino”, quotidiano napoletano, che egli è stato l’ultimo vero Re, il vero “Re Galantuomo”. Proprio nel ricordo di questo Re, unitamente alle tante e diverse commemorazioni svolte nelle diverse città del meridione, grazie all’amico pugliese Pantaleo Lo Sapio , che da diversi anni lavora e vive proprio nel territorio tirolese, all’amministrazione comunale di Arco e all’Arciprete don Walter Som-
mavilla, in quel luogo carico di memoria e di sacralità, ci siamo incontrati per vivere questa giornata speciale. La giornata del 27 dicembre si è rivestita di questa sacralità, sentendo per l’intera giornata questa umile e discreta, ma forte presenza , di Francesco di Borbone.
Ci siamo ritrovati in tanti nonostante l’abbondante nevicata, già nelle primissime ore del pomeriggio, dinanzi a quella casa dove egli è morto, e che si trova proprio in via Francesco II. Insieme a quello sparuto numero venuto dalla Campania, a questa manifestazione hanno preso parte tanti del luogo e altri venuti dai paesi limitrofi. Non sono mancati tanti “napoletani”, che da anni si trovano in questa terra tirolese. Erano presenti diverse autorità locali, del comune di Arco, dell’autonoma Provincia di Trento, della Regione. Anche questi hanno partecipato commossi alla commemorazione di questo grande e santo Re, che lascia tra la buona gente di Arco un ricordo tutto speciale della sua umanità, amabilità, umiltà e cordialità.
La prima tappa è stata dinanzi a questa casa, dove è vissuto e dove è morto tra le braccia della sua dolce e devota Regina. Un monito per noi, che va esteso all’amministrazione di Napoli, quella Napoli dove Francesco II
il Ricordo
ha avuto i natali, e che lo ha visto Re generoso e disponibile, quella città salvata dalla tempesta della guerra proprio grazie alla coraggiosa scelta che egli fece, quella Napoli per la quale si è consumato, si è offerto ed è morto. In questa città lontana, una strada è stata intitolata a Francesco II, dopo tanti anni con devozione e affetto si commemora la sua persona, mentre Napoli e il meridione volutamente lo si vuole dimenticare.
la Santa Messa di suffragio per il nostro Re, celebrata dal Reverendo Arciprete, e assistita da me. Commovente e sentita l’omelia fatta da don Walter, dove trasmettendo la testimonianza del suo predecessore, l’arciprete Giuseppe Chini , che è stato confessore di Francesco nella sua permanenza ad Arco e che ne ha accompagnato la morte, ha trasmesso tutto l’amore, la grandezza e la cristianità di questo grande Re. Dopo
Nella Chiesa si è officiata
la Messa l’arciprete ha benedetto quella tomba vuota, ricordando a tutti che essa, proprio perché vuota, ci fa riflettere che Francesco II, uomo di preghiera e di carità, è vivente in Dio, dove ha ricevuto il premio dei giusti.
Hanno accolto tutti i presenti un numeroso gruppo di amici tirolesi con gli abiti locali e i costumi dell’epoca, e numerosi erano gli Shutzen, che in memoria di Re Francesco hanno sparato dei colpi a salve. Non sono mancati i nostri soldati borbonici, accompagnati da Umberto Schioppa, che hanno posto alla targa, che indica la via Francesco II, una corona. Accompagnava poi il corteo, che si è snodato lungo questa strada verso la Chiesa parrocchiale, la banda musicale degli Shutzen, che in più occasioni ha suonato l’ inno delle Due Sicilie di Paisiello.
l’Addio
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ARRIVEDERCI AD UN LAZZARO FELICE …ED UN PO’ MASCALZONE!
“
SILVIA BASSI
O ssaje comme fa 'o core quann ' s'è sbagliat” cantavano Pino Daniele e Massimo Troisi, e fa riflettere che entrambi siano andati verso altri lidi proprio a causa del cuore, a distanza di 20 anni l’uno dall’altro. Quello stesso cuore che dal 1990 al 1993 gli fece ridurre sensibilmente il numero dei concerti, anche se la voglia di sprigionare la sua passione lo fecero tornare sul palco nel 1994. Classe 1955 Daniele dopo il diploma di ragioniere decide di dedicarsi anima e corpo alla musica. Nel 1975 esordisce nel gruppo "Batracomiomachia" l’anno successivo entra come bassista nella band "Napoli Centrale", dove conosce James Senese che ricordando la prima telefonata intercorsa tra loro dichiara : “ mi disse Ciao, sono Giuseppe Daniele, mi piace la musica che fai, te vulesse incuntra'. Il resto è storia, i due si incontrarono e divennero i famosi «brothers in soul». Arrivano poi i successi che lo mettono all’attenzione del pubblico, nel 1977 pubblica l’album d’esordio Terra mia, che dà il titolo anche al brano che riscontra maggiormente apprezzamento come d'altronde 'Na tazzulella 'e cafè. Ma in questo album la canzone che prenderà poi lo scettro di manifesto per l’autore è Napule è perché dipinge, con la mano di un pittore esperto, l’anima di una città bella e dannata ma piena di sole! Risale al 1981 il primo grande concerto dell'artista in Piazza del Plebiscito nella sua Napoli che fu raggiunta da duecentomila persone, quella stessa piazza 34 anni dopo accoglierà le sue spoglie mortali con grande compostezza e rispetto di un popolo ma anche grande commozione e smarrimento come per la perdita di un parente, così hanno dichiarato molti degli intervistati. Grandi anche gli strumentisti e musicisti che lo accompagnano sul palco sin dai suoi primi con-
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certi come Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito e James Senese. Con gli stessi nel 2008 realizza Ricomincio da 30 un triplo CD con quarantacinque brani, tra vecchi successi riarrangiati, versioni originali e alcuni inediti. Il titolo sta a significare non solo trent'anni ininterrotti di carriera musicale ma è anche un omaggio all'amico Massimo Troisi. L’amore per la musica per Daniele è grande, le sue creazioni sono il risultato di influenze dalla musica rock, dal jazz di Louis Armstrong, da George Benson e soprattutto dal blues, fino a creare un nuovo stile musicale denominato "tarumbo`" per indicare la mescolanza di tarantella e blues, emblemi delle rispettive culture di appartenenza. Tante anche le collaborazioni internazionali partite nel 1982 che poi si consolidano nel tempo e lo portano a diventare uno dei musicisti più conosciuti al mondo. Basti pensare che Eric Clapton suo grande amico con il quale si è esibito il 24 giugno del 2011 allo Stadio di Cava de’ Tirreni in un live davanti a una platea di 16.000 spettatori, quando ha appreso della suo morte ha scritto sul su profilo FB: “Abbiamo appena sentito che il nostro amico Pino Daniele è morto dopo aver subito un attacco di cuore, le nostre condoglianze a sua moglie e ai cinque figli. Ci mancherai Pino”. Poi a distanza di qualche giorno gli ha dedicato
un file musicale dal titolo Pino 5 nel quale arpeggia malinconica la chitarra Eric. E malinconica è anche Napoli che perde un altro suo illustre esponente. Volutamente abbiamo taciuto in questo pezzo, scritto per salutare un grande artista, sulle tante, troppe polemiche che si sono sviluppate intorno all’accaduto: dagli aspetti giuridici a quelli familiari passando poi per i soliti signor “nessuno” che per un minimo di notorietà cercano qualsiasi espediente anche prendendosela con un morto e con il suo popolo di origine! E proprio come nelle grandi famiglie quando c’è da dimostrare il proprio attaccamento e l’amore per una persona non ci si tira indietro mai, così hanno fatto i napoletani Domenica 11 Gennaio prima della partita Napoli - Juventus che si è svolta al San Paolo. All’ingresso in campo delle due squadre i tifosi hanno intonato la celebre canzone del cantautore partenopeo "Napule è", lo stadio era un’unica voce e l’emozione in campo era palpabile perché la fortuna di questi grandi artisti è proprio questa: quella di lasciare dietro loro delle tracce che il tempo farà molta fatica a cancellare! Le ceneri del cantante intanto, saranno esposte al Maschio Angioino fino al 22 Febbraio per poi essere tumulate in Toscana a Magliano.
l’Addio
la Tradizione
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DA NATALE A CARNEVALE
a domenica successiva all’Epifania, a Napoli, le figurine dei pastori, presenti nel Presepe domestico,
sono sostituite dal gruppo di statuine delle “Anime del Purgatorio”, che consta, oltre che del Crocifisso, dell’Addolorata, dell’Angelo piangente e del teschio, anche dei quattro busti emergenti dalle fiamme, vale a dire, quelli del Giovane, del Vecchio, della Donna e del Sacerdote, nei quali, con estrema semplificazione, il popolino intende classificare l’intera umanità.
Il senso di tale pratica dev’essere ravvisato nella relazione fra il “mondo dei vivi” e quello “dei morti”, che nel napoletano assume una configurazione particolare, quasi folkloristica. Come, infatti, il calendario liturgico della Chiesa cattolica colloca il ricordo dei defunti immediatamente dopo la festivi-
SERG IO ZAZZERA
tà di Ognissanti, nei primi due giorni del mese di novembre, altrettanto avviene a Napoli nel giorno che segue immediatamente le due principali
feste dell’anno, giacché il 26 dicembre e il Lunedì “in Albis” sono dedicati alla visita al Cimitero.
Allo stesso modo, dunque, la domenica che segue immediatamente l’Epifania, la memoria dei trapassati si celebra mediante la collocazione delle statuine delle Anime purganti nella grotta del Presepe; del resto, secondo un’antica tradizione orale, quelle medesime anime, liberate dalle messe celebrate il 2 novembre, si tratterrebbero sulla Terra proprio fino al 6 gennaio.
D’altronde, anche nel Presepe pugliese, tipico dell’area di Grottaglie, oltre alla presenza della Morte armata di falce, si registra quella di una quantità di cortei funebri, che, con la
partecipazione di confratelli negli abiti più disparati (rossi, violacei, verdi, neri) e di sacerdoti in cotta e tricorno, muovono in tutte le direzioni.
L’origine della pratica, poi, è riconducibile al culto domestico dei “Lares”, praticato nel mondo romano, dove nell’“atrium” delle case un’edicola accoglieva la raffigurazione – plastica ovvero dipinta – degli antenati della famiglia che le abitava, la cui funzione era quella di difendere la sicurezza della casa dei loro discendenti, favorendo la prosperità e la fedeltà di questi ultimi. A onta del detto popolare, secondo cui “l’Epifania tutte le feste porta via”, a un passo da tale ultima festività il calendario prevede
l’inizio del Carnevale, fissato al 17 gennaio, in concomitanza con il “dies natalis” di sant’Antonio Abate, caratterizzato dall’accensione di falò (“’e cippe”), oggi strenuamente avversati dal corpo dei Vigili del fuoco, per evidenti ragioni di sicurezza, tra le reazioni più o meno violente di coloro che hanno provveduto ad accenderli, dopo avervi accatastato cumuli di masserizie vecchie e, sulla sommità, un albero di Natale ormai secco e spoglio.
D’altronde, il Santo eremita viennese è associato all’immagine del fuoco, del quale è protettore, così come di tutte le attività che con esso hanno a che fare, dai fornai ai ceramisti. Anche qui può essere il caso d’interrogarsi sul senso della pratica, che altro-
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29 ve (come a Procida), prende il nome di “menèrio” (< “luminaria”). Ebbene, delle due possibili teorie, affermate circa la pratica dell’accensione dei falò, una “solare” (le fiam-
me dovrebbero propiziare lunghi periodi di sole, dando luce e calore) e una “catartica” (il fuoco dovrebbe purificare persone e cose che vi vengono a contatto, bruciando il male), non v’è dubbio che nel caso del quale qui ci si occupa sia da preferire la prima: alla metà di gennaio, infatti, già la tendenza della giornata all’allungamento è in atto (fin dal 23 dicembre, giorno del solstizio d’inverno) e la fiamma che si eleva verso il cielo intende quasi esortare la luce naturale a prolungare la propria durata.
L’usanza, peraltro, trova corrispondenza in quelle del “ceppo” e del “ciocco”, praticate rispettivamente in Liguria e in Toscana. Alla funzione “catartica” del fuoco, semmai, andrebbe più propriamente ascritta la pratica, in uso
in alcune località della Scozia – e, particolarmente, nel Perthshire, ma anche nelle isole Ebridi –, dove il primo di maggio, si svolge la festa di “Beltane”, durante la quale si dà fuoco a una catasta di
legna, mediante sfregamento di due assicelle, e tutti i presenti festeggiano le fiamme, mangiando dolci e danzando. La finalità del rito, poi, che ha natura druidica (è dedicato, cioè, alle divinità dei boschi), è quella di ottenere la protezione del bestiame.
Nei giorni immediatamente successivi al 17 gennaio, inoltre, nei quartieri più popolari di Napoli era dato imbattersi nel “funerale di Carnevale”, consistente in un corteo di uomini travestiti da donne in gramaglie, al seguito di un “tavuto” vuoto, che era preceduto, a sua volta, dalla “vecchia ô Carnevale”, vale a dire, un Pulcinella che ballava, recando sulle spalle un fantoccio raffigurante una vecchia, che simboleggiava i guai che il popolo caricava indosso alla sua maschera tradizionale, per
liberarsene. Qualche parola, infine, va spesa anche circa l’usanza di consumare, nel giorno iniziale del Carnevale, il “migliaccio” – torta di farina di mais –, tra i cui ingredienti sono i “ciccioli” residuati dalla fusione dello strutto, che costituiscono la memoria degli avanzi del maiale e delle focacce, sacrificati nel mondo classico in onore di Demetra e di Cerere, divinità venerate, rispettivamente, dai Greci e dai Romani.
Parimenti, con l’avvento del Cristianesimo, il suino è stato sempre considerato caro al santo eremita, il quale, si dice a Napoli, “se n’annammuraje”, offrendo ai suoi frati lo spunto per allevarlo, al fine di utilizzarne il grasso nella cura delle ustioni, tanto che il popolino indicava quegli animali come “i beati porci”. Il “migliaccio”, dunque, costituisce soltanto il primo
Teodoro Bonavita
momento di un vero e proprio “pasto sacro”, che si protrae per tutto il periodo di Carnevale, e che vede il maiale, animale totemico, presente sia con la sua carne – nelle “braciole” –, sia con il suo sangue – nel sanguinaccio –, senza che tale pratica debba essere considerata come una profanazione dell’Ultima Cena.
D’altronde, poi, la “grande bouffe” di carne troverà la sua compensazione nella successiva Quaresima, che imporrebbe (anche se oggi ci si limita al venerdì) un’astinenza di ben quaranta giorni. Ed è proprio questo il senso del Carnevale: “carne-vale”, ovvero “arrivederci carne”; occorrerà attendere il Sabato santo, per poter portare in tavola “’a trippa cu ll’ova”, primo nuovo contatto con un’alimentazione di tipo “carnivoro”.
il Collezionista
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GRATTA E VINCI. E SE NON VINCI, CONSERVA IL BIGLIETTO
nno nuovo, vita nuova. Si dice così, si spera così. In meglio, ovviamente. Un modo per incominciare bene il 2015? Vincere un bel premio con un Gratta e vinci, la lotteria con premi istantanei nata nel 1994 e che ha reso felici tantissime persone. Un Gratta e vinci. E se non vinci, impreca pure, ma conserva il biglietto. A non gettarlo oramai sono in tanti in quanto è in costante aumento il numero dei collezionisti che hanno dedicato la propria attenzione a questa tendenza che segue quella dei biglietti delle varie lotterie nazionali dal 1933. Nella società dell'usa e getta ci dovrebbe essere poco spazio per il collezionismo, invece sono sempre di più coloro che raccolgono gli oggetti e le cose più disparate, talvolta impensabili. "Il collezionismo è la conoscenza di ciò che esiste, la memoria del passato e la curiosità per il nuovo", ha osservato il noto scrittore Stefano Zecchi. Felicissima riflessione su una passione che coinvolge e avvicina milioni di persone in tutto il mondo che si sentono lanciati quotidianamente in
VITTORIO RAIO
un'avventura che più complicata è, più diventa allettante. Il fascino del pezzo difficile da rintracciare, da far proprio. Ai Gratta e vinci, in netto aumento per la diversità dei soggetti emessi, è stata dedicata la seconda parte di un libro che da sempre è un qualificante punto di riferimento per tutti i collezionisti di biglietti: il catalogo specializzato delle Lotterie italiane di Luigi Zampighi e Liberato Cacace. Con amore, profes-
accomunano la gran parte dei collezionisti, hanno editato questo volume che
quelli da acquisire, quelli da ricercare un po' ovunque: nella soffitta di un parente, in un mercatino
o semplicemente con uno scambio. I Gratta e vinci in Italia sono nati nel 1994. Il primo, "La Fontana della Fortuna" (quella di Trevi), fu messo in vendita il 10 febbraio in cinque tipi e in 160 milioni di esemplari che si diversificavano tra loro per dettagli che però hanno interessato tantissimo i collezionisti. Al di là del fatto che tali tagliandi li si può trovare non grattati (valore nettamente superiore), grattati vincenti o grattati senza vincita, di quel primo biglietto che seguì quelli delle prove tecniche del Poligrafico (bigliettoTest e quelli della Fontana di Trevi in due versioni, verde e blu),
sionalità e meticolosità, caratteristiche che
consente di poter tenere sempre sotto controllo i "pezzi" che si hanno e
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31 sono state individuate ben cinque varianti: bordo bianco e 7 cifre; bordo argentato e 7 cifre, bordo
argentato e 6 cifre, argentato 6 cifre e trattino centrale e argentato 6 cifre e trattino basso). Ovviamente cambia la valutazione a seconda del tipo e della rarità. Per questo primo biglietto non grattato c'è anche chi chiede 600 euro! Dal Gratta e vinci, "Batti il Banco" del 2004, non è più possibile raccogliere biglietti grattati vincenti in quanto questi devono essere distrutti all'atto del pagamento. Va anche sottolineato che molti collezionisti amano conservare le serie di Gratta e vinci con soggetti diversi tra di loro, ma attaccati. E lievita la loro quotazione. Napoli e la Campania, come tanti altri luoghi del Sud Italia, sono stati spesso riprodotti sui Gratta e
vinci. Dei biglietti del 1995 "Le città della Fortuna" (2.000 lire ciascuno) sono state stampate due serie di trenta tagliandi ciascuna con vedute diverse di città italiane (solo Roma due volte). Anche in questo
caso esistono delle varietà che intrigano non poco i collezionisti: stesso soggetto con cielo bianco o azzurro, con mare
alto o basso. Di Napoli si può ammirare il disegno del golfo con il Vesuvio e il Castel dell'Ovo, poi l'Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, il golfo di Salerno, i paesaggi di Bagnoli Irpino e di Procida. Interessanti quanto belli i disegni anche di altre immagini di località del Sud: Alberobello, Bari, Catania, Catanzaro, Matera, Palermo, Potenza, Taranto,
Queste due serie sono state stampate in strisce da sei vedute diverse e attaccate. I biglietti del lotto 47 hanno un valore superiore, anche il doppio del
normale, in quanto sono molto più rari, quindi non semplici da rintracciare sul mercato. Un'altra serie con Napoli, la Campania e il Sud tra i soggetti preferiti è quella delle "Città delle vacanze" del 1999 con vedute di
il Collezionista
località di tutto il mondo: ben 72 biglietti. Si possono ammirare i disegni del Maschio Angioino (Napoli), della Piazzetta (Capri), dell'Anfiteatro (Pompei), dei paesaggi di Amalfi, Ischia, Alberobello, Cefalù, Maratea, Monreale, Palmi, Pantelleria, Scilla, Stromboli, Trani.. Dell'Isola Verde furono stampati due esemplari: uno con bordo rosso e l'altro, viola. Infine, nel "Gioco delle Meraviglie" del 2003 ecco Napoli
applicato sulle macchinette che aiutano a grattare i tagliandi. Non sempre il valore puntualmente riportato dal catalogo affascina i collezionisti. L'importante è avere tutti i pezzi di quella tematica, di quel settore scelto che spesso riempie varie ore delle nostre giornate. Facendoci anche sognare mentre inseguiamo l'oggetto del desiderio, il pezzo introvabile che coinvolge emotivamente.
con Piazza del Gesù e con il Chiostro di Santa Chiara. Va detto che nel 2001, con il Gratta e vinci "Columbus day" i tagliandi iniziarono ad essere venduti in lire e in euro: 200 lire e 1,03 euro. Nel 2002, con "Partitissima", il prezzo di acquisto fu di 1,50 euro. Molto interesse riscuotono anche i Gratta e vinci che sono uniti ai biglietti delle varie Lotterie Nazionali. I primi sono quelli del 2006 con "Balla con la fortuna". Interessanti vengono anche ritenute le locandine pubblicitarie delle varie lotterie istantanee, le relative vetrofanie ed anche l'introvabile mini-adesivo del castoro che recita "io gratto, tu vinci"
Quindi, gratta, vinci e se non vinci, conserva.
l’Evento
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BUON ANNO DALLA GIAMMARINO EDITORE …E CHE SIA UN 2015 PIENO DI SUD SILVIA BASSI
S
i dice che le cose non organizzate spesso r i e s c a n o meglio. Non sappiamo quanto ci sia di vero, ma possiamo testimoniare che qualcosa di simile è capitato nei giorni delle festività natalizie alla Giammarino Editore. Partita, infatti, come presentazione di “2004 – 2014 Napoli 10 e lode”, l’ultimo libro pubblicato dalla casa editrice, la serata si è trasformata in una calda occasione per gli auguri tra i presenti.
É accaduto così che a Villa Mazzarella, struttura napoletana con una vista mozzafiato sul mare che bagna la città, rappresentanti del-
la politica, della cultura e del mondo del giornalismo e dello spettacolo ma soprattutto tanti amici si sono ritrovati in un evento senza che questo fosse programmato ma che si è rivelato l’occasione per auspicare un 2015 pieno di traguardi positivi per la casa editrice.
Il volume, che gode della prefazione di Vittorio Raio, è stato scritto dalla redazione del mensile È Azzuro diretto da Riccardo Giammarino insieme ad una squadra di colleghi collaboratori di altre realtà editoriali. Presenti anche il vice direttore de Il Brigante Simona Buonaura, Rosi Padovani, il caporedattore di È Azzuro Carlo Zazzera
e tutti i collaboratori delle testate.
Orgoglioso di poter dare un augurio alla casa editrice è Manlio Santanelli, perché “…mi pubblicherà il libro di racconti “Religiose, Militari e piedi difficili” che spero incontri il piacere della lettura dei lettori, spero infatti che il libro non dovrà mai vedere la morte sopravvivendo a tutte le tecnologie”.
Il Senatore Luigi Compagna ha puntato l’attenzione sul contenuto della rivista Il Brigante dichiarando
: “È un editore che spazia su una tematica di storia
del Mezzogiorno di grande interesse, non sempre
condivido la tesi di ricostruzione storica del meridione attraverso il filone anti-risorgimentale-borbonico-brigantesco più o meno gramsciano ma ho sempre trovato molto stimolante il lavoro di Giam-
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l’Evento
33 marino che è una garanzia di una Napoli al plurale e civile”.
cominciato da solo credendo nella missione di sviluppare tutto quello che
solo di espandere la propria conoscenza ma anche quella arricchire la
delia Vitiello, si è detto felice aver preso parte ad una iniziativa come questa “… innovativa con una pianificazione che guarda al futuro senza dimenticare il passato”. Vittorio Raio ha auspicato per il 2015 un sempre maggior consolidamento del gruppo editoriale “… affinché possa continuare a raccontare il nostro Sud al di là di quanto già fatto, in modo splendido, in tutti questi anni”.
Gli fa eco l’economista Amedeo Lepore che ha affermato “Giammarino dimostra con la sua attività e le sue iniziative un attaccamento ai nostri luoghi, ai
nel Sud invece è stato compresso e ci è riuscito”.
Il direttore Editoriale di Julie Italia Livio Varriale ha fatto a tutti i lettori ed
conoscenza altri”.
nostri territori, e una grande capacità di unire in amicizia”.
Per il consigliere regionale Campania Luciano Schifone “Gino Giammarino è un fenomeno della natura perché 15 anni fa ha
appassionati della GiammarinoEditore “…un augurio di uno splendido 2015, con l’auspicio di poter trovare ancora più contenuti interessanti di quelli che oggi propone questa strepitosa casa editrice con il fine non
degli
Il Presidente Asmef Salvo Iavarone, con il quale la casa editrice ha una partnership nel progetto Capitan Cooking del quale era presente anche la coordinatrice Cor-
la Gastronomia
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FUOCHI E FOGLIE
Un’allegra infiorescenza salutare
a freddo ormai. Gocce di gelo schiaffeggiano le ultime foglie rugginose e coraggiose di un autunno tiepido che indugia stanco. Indizi di neve atterrano, soffici cristalli di inverno. E lui si affaccia timido, no, pigro si nasconde al calduccio di grandi foglie nerborute, venate di bianco. Fa capolino, si rintana, una goccia di rugiada teneramente gli bacia la cima. Non trova il coraggio per uscire allo scoperto ma bisogna far presto, il gelo incombe, e lui non vuole ancora. Meno dieci, nove, otto…. Ecco che brinda, focoso si espande, esplode allegramente. Guarda il cielo, vigoroso si allunga, deflagra con le sue infinite variegate sfumature, pro-
ROSI PADOVANI
rompe dal bianco al viola, dal rosa al giallo, il verde si illumina di riccioli porpora, e fiori indaco, spruzzati di oro. L’anno vecchio straripa nel nuovo con vitalità esplosiva, quella stessa energia calda delle pianure di un sud infinito, illuminato in agosto da caldi raggi di spighe dorate dove cresce il broccolo barese, Brassica oleracea. Appartenenti alla famiglia
dei cavoli, ben noto e particolarmente sacri ai Greci e Romani, ortaggi ricchi di sali minerali (calcio, ferro, fosforo, potassio), vitamina C, B1 e B2, fibra alimentare, tiossazolidoni, per la cura della tiroide. Contengono sulforafano, contro la crescita di cellule cancerogene e isotiocianati, ad azione protettiva contro i tumori intestinali,
polmonari e del seno. Hanno potere antianemico, emolliente, diuretico, cicatrizzante, depurativo, vermifugo, antiossidante per rafforzare le difese immunitarie. Suggeriti per combattere l’Helicobacter pylori, combattono la ritenzione idrica e aiutano l’organismo a disintossicarsi; riducono il rischio di cataratta e proteggono dall’ictus. Molto indicati nelle diete dimagranti, sono finanche un toccasana per i polmoni … sta al peperoncino come il pomodoro al basilico: una coppia di meridionali straordinari, irrinunciabili! Saporitissimi lessati con un filo d’olio extravergine e limone, ripassati in padella, o cucinati con le orecchiette, alla barese. Io ve li propongo così:
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Conchiglioni con broccoletti in salsa di pecorino Broccoletti baresi 1k Pecorino romano 200g Parmigiano 50g Olio extra vergine 1 dl + 2 cucchiai per la pirofila 2 o 3 acciughe Latte 1dl Aglio 1 spicchio Pan grattato, Sale, Peperoncino, a piacere.
Lessate le cime di broccoletti in abbondante acqua salata (poco, attenti alle acciughe e al pecorino) e quando sono cotti alzateli con un colino e versateli in una padella dove avete fatto soffriggere l’aglio con l’olio, le acciughe e il peperoncino. Continuate a cuocere aggiungendo la loro acqua fin quando saranno diventati una crema. Aggiungete il pecorino grattugiato e fatelo sciogliere con il latte. Tirate il sugo fin quando sarà morbido e cremoso, aggiungete qualche foglia di basilico se l’avete. (io sempre!) Lessate i conchiglioni nell’acqua dei broccoli e alzate anche questi con un colino. Farciteli con la crema di broccoli e pecorino e poneteli in una pirofila leggermente unta. Cospargeteli con altra acqua di cottura, spolverate di parmigiano e pan grattato e qualche fiocchetto di burro, ed infornate a 200° fin quando non sono dorati. Servite bollenti… esplosivi come fuochi d’artificio! Buon anno!
la Gastronomia Nel cilento tra emigrazione e maialini L’associazione Asmef da anni parla di emigrazione in tutto il mondo e continua a farlo con l’apertura della X edizione ospite della Fondazione Giambattista Vico, partner scientifico da anni assieme al Ministero per gli Affari Esteri, la Regione Campania, Il Parco del Cilento ed altri importanti realtà italiane, presso la prestigiosa sede di Palazzo de Vargas ( dove il famoso letterato passò alcuni anni della sua vita, nel 600 ), a Vatolla ( Sa ), con inizio alle ore 18,00. A seguire si potrà assaggiare il tipico maialino cilentano, presso un agriturismo locale, “ Gli antichi sapori “. < Siamo felici di aver raggiunto il traguardo dei dieci anni> dichiara il presidente di Asmef, Salvo Iavarone < e particolarmente lieti di dedicare al Cilento, terra di emigranti alla quale siamo particolarmente legati, l’ apertura della X edizione. La sede prestigiosa, Palazzo de Vargas, messa gentilmente a disposizione dagli amici della Fondazione G b Vico, fa il resto . Sarà una giornata dedicata a tutto il Sud ! >
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il Cinema
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“C’ERA UNA VOLTA”… FRANCESCO ROSI GERMANA G RASSO
«
Un giorno mi chiesero: perché non fai un film su Berlusconi? Risposi che già lo avevo fatto. E’ “Le mani sulla città”, in cui il protagonista diventa assessore per fare ciò che vuole». Pungente ed ironico, il regista napoletano Francesco Rosi era schietto e diretto. Così esordì l’ultima volta che lo incontrammo
“Carosello napoletana, napoletano” (1953). «Ebbi il ruolo del pazzariello nella commedia tratta da “Il voto” di Salvatore Di Giacomo». In quegli anni conobbe l’attore Achille Millo, che lo mise in contatto con Luchino Visconti, in cerca di un assistente alla regia per “La terra trema” (1948). «Avevo in custodia cinque registri, di cui uno in cui appuntavo tutte le inquadrature che Visconti avrebbe girato durante la giornata. Le disegnavo anche», raccontò Rosi.
nel 2012 in una libreria nel centro di Roma.
Con la sua scomparsa se ne va un pezzo del grande cinema internazionale, non solo italiano. Se ne va un uomo testardo, combattivo, un appassionato estimatore del Sud, che si infuriava davanti alle ingiustizie. Perdiamo un intellettuale che ha saputo raccontare meticolosamente e con onestà culturale l’im-
pegno civile e la passione politica nel senso più puro del termine.
Per Rosi tutto ebbe inizio nella sua città natale, la amatissima Napoli. Frequentava un gruppo eletto di giovani, legati dal comune interesse per la letteratura. Con Giorgio Napolitano, Raffaele La Capria, Antonio Ghirelli e Giuseppe Patroni Griffi discuteva di questione meridionale. Giovanissimo Rosi mosse i primi passi nel mondo teatrale con il regista Ettore Giannini, che ha realizzato uno dei film più rappresentativi della cultura
Quei registri oggi sono custoditi alla Cinémathèque Françoise. «Quei registri erano fondamentali per Visconti per procedere con il film. Bisognava girare la scena del rientro dopo una tempesta in mare. L’albero della barca era spezzato e Visconti mi chiese a che altezza, in base ai miei disegni, dovesse essere spezzato l’albero. Gli risposi che non sapevo, poiché non avevo preso la misura. Ebbene, Visconti sospese le riprese e mi mortificò davanti alla troupe. Andai a piangere sulla scogliera, cosa che per un
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napoletano fa molto melodramma».
Nonostante vivesse a Roma da anni, Rosi non ha mai lasciato la sua Napoli. Appassionato di storia meridionale, girava per i vecchi quartieri partenopei alla ricerca delle tracce del passaggio delle dominazioni straniere. Così ha affinato quell’impeccabile sguardo socioantropologico che caratterizza i suoi film.
E’ stato il padre del cinema d’inchiesta negli anni Sessanta. Film come “Salvatore Giuliano” (1962) o “Le mani sulla città” (1963) sono considerati i suoi capolavori. «Stavamo montando il film su Salvatore Giuliano nel palazzo della Fonorama, quando venne a farmi visita il produttore Carlo Ponti. Io non ero nessuno all’epoca e mi meravigliai che Ponti venisse ad assistere al montaggio di un film di un
illustre sconosciuto. La pellicola non fu ammessa al festival di Venezia, perché era un documentario non un film, fu detto. Ma al festival di Berlino fu premiato come film».
Per il film "Il caso Mattei" (1971) avvenne il grande incontro con l'attore Gian Maria Volonté, che oggi è considerato l'attore-simbolo del cinema d'inchiesta. Un film che Rosi definì di taglio giornalistico e incen-
trato sulla manipolazione. «Quando mi venne in mente di fare questo film, nessuno parlava di Mattei, un personaggio che mi affascinò subito». Per delineare la figura dell’industriale dell’Eni, Rosi decise di avvalersi della collaborazione del giornalista Tito De Stefano. «Sulla faccenda dell’incidente aereo in cui morì Mattei, che fu un attentato – disse Rosi – chiesi la collaborazione del giornalista Mauro De Mauro, di cui si persero le trac-
ce». Sono gli anni di “La classe operaia va in Paradiso”, di “Lucky Luciano”, di “Cadaveri eccellenti”: tutti capolavori del cinema internazionale. Con il suo ultimo film "La Tregua" del 1997 ottiene il suo ultimo David di Donatello come miglior regista. Nel 2008 riceve l'Orso d'oro alla carriera ed il Leone d'oro nel 2012. È stato maestro dell’attuale generazione di registi che hanno raccontato il Sud e continuano a farlo, come Gianfranco Pannone e Sandro Dionisio.
«Per me Francesco è stato un maestro di vita – dichiara Gianfranco Pannone in viaggio verso Roma - È stato una coscienza critica del Sud. Lo conobbi quando ero studente universitario, inseguendolo per mezza Roma per cercare di parlargli. Ho imparato grazie a Rosi che il Sud ha una sua grandezza anche nella tragedia. Ha trasmesso a noi gruppo di registi legato al Meridione questo senso di grande amore verso il Mezzogiorno e di stupore, sempre accompagnato a spirito critico. Il Sud riesce ad essere unico e ricco di intelligenze, di suggestioni e di simboli, come nessun altro luogo in Europa. Francesco non ha mai dimenticato, infatti, che il Sud non è solo la terra di Gomorra, ma che c’è anche tanta gente onesta, che si sente offesa di essere associata alla delinquenza. Aveva un’attenzione critica alla realtà, ma anche ha dato voce alla parte “buona” del nostro Sud. Mi rimproverava di fare solo documentari. Quando gli dissi che, in fondo, un film come “Salvatore Giuliano” era un documentario, lui si infuriò.
il Cinema
Sono debitore della lezione di Rosi, che è stato per me uno dei migliori maestri».
«Rosi, da vero titano del cinema, ha coniugato una estrema consapevolezza estetica del mezzo cinematografico con la curiosità da puaer eternus per tutto quello che si muove nel reale e che lui, ligio al dettame di Renoir, intendeva far entrare nella scena – dichiara Sandro Dionisio prima di saltare sul treno che lo porterà a Roma alla camera ardente per Rosi - Questo valeva in particolar modo nel caso del suo “Diario Napoletano”, occasione del mio incontro professionale col Maestro che poi mi è valsa una duratura e sollecita amicizia con lui. Il film era un itinerario anche sentimentale e privato dell’artista. In questa come in tante altre sue opere, Rosi rivela uno sguardo visionario e sperimentatore per essenza che è un faro per le generazioni di cineasti che si avvicinano alla splendida arte delle immagini in movimento».
la Lettura
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MANLIO SANTANELLI PRESENTA “RELIGIOSE, MILITARI E PIEDI DIFFICILI” GABRIELLA DILIBERTO
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Quest’intervista non è che un paradosso”. Così il noto drammaturgo partenopeo Manlio Santanelli, oggi tra i più grandi in Italia, spiega le affascinanti sfumature della vita e i casi limite, apparentemente incredibili ma non, poi, così rari. Li racconta nel libro “Religiose, militari e piedi difficili”, edito dalla Giammarino Editore, dopo il grande successo del volume “Per oggi non si cade”, una denuncia sociale che attraverso un linguaggio ironico e fantastico rende il messaggio più potente e che è stato rappresentato nell’ambito del Napoli Teatro Festival per la regia di Fabio Cocifoglia. Quest’ultima raccol-
ta di racconti, di cui ci parla, è quasi un’opera antropologica che illustra l’aspetto delirante e folle della natura umana con le sue radici profonde e il suo inevitabile improvviso manifestarsi. Come nasce l’idea di una raccolta? «Accanto alla mia principale attività di drammaturgo e commediografo c’è anche quella di scrittore. Tra i miei numerosi lavori ci sono molti racconti e ad un certo punto mi sono reso conto che aumentavano quelli inediti. Sembrava chiedessero di venire alla luce, rivendicando una loro identità editoriale e ho operato una selezione per racchiudere, in questa seconda raccolta, i racconti che avessero
una familiarità. La mia prima raccolta “Racconti mancini” è stata pubblicata nel 2007».
Cosa accomuna i racconti di quest’ultimo lavoro narrativo? «Rispondono tutti a un mio modo di vedere la realtà. Mi piace parlare di “realismo fantasmatico”. Originariamente il realismo si limitava ad una realtà tangibile ed oggettiva, ma già all’inizio del Novecento i suoi orizzonti si sono dilatati. Con Proust anche i pensieri e la vita interiore sono stati compresi nel concetto di realtà. Parto dall’idea che tutti gli individui, anche i meno creativi, abbiano ogni tanto i loro cinque minuti di fantasia. I personaggi dei vari racconti hanno in comune la degenerazione della fantasia in fantasmi ossessivi, quelli che spesso riconosciamo in alcuni terribili fatti di cronaca». Sono tutti personaggi negativi? «Possono esserlo da un
punto di vista morale ma, in realtà, rappresentano un segnale di pericolo e danno un allarme su quello che, purtroppo, può accadere quando le pulsioni interne non vengono curate e, lasciate a se stesse senza ricevere un trattamento speciale, sfociano in situazioni abnormi». Ci spiega come è nato l’originale titolo “Religiose, militari e piedi difficili”? «Il titolo è ciò che ho letto, negli anni del dopoguerra, su un’insegna del centro storico di Napoli. Si trattava del negozio di un calzolaio che vendeva scarpe particolari non reperibili ovunque. Un titolo, dunque, fuori dal comune per indicare l’umanità che non rientra nelle misura normali, ammesso che una normalità esista. L’umanità che racconto è fuori dalle misure standard proprio come le scarpe indicate dall’insegna del negozio. Mi sembrava il titolo adatto per questi racconti irregolari e imprevedibili». Tra le varie soluzioni narrative predilige la forma del racconto? «Trovo che il racconto offra un tipo di lettura veloce e comoda per questi tempi frenetici. Una raccolta di racconti è paragonabile ad una scatola di cioccolatini mentre un romanzo ad una tavoletta intera di cioccolato. La scatola ti permette di gustare bene ma poco alla
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volta e sempre con appetito». C’è un genere letterario al quale sente di appartenere di più? «Non ho una visione preconcetta della vita e non mi piace averla della letteratura. Solo dopo aver scritto riesco, forse, ad individuare il genere in cui racchiudere il mio lavoro. Non ci penso mai prima». La scrittura è una passione e, a volte, diventa un
mestiere. Come si diventa scrittori? «Non esiste una metodologia precisa. Lo si diventa con l’esercizio quotidiano e per me è una vera e propria ginnastica, un allenamento indispensabile. Poi non credo alla Musa che ti rapisce e s’impossessa magicamente di te. Credo, invece, all’ispirazione presente nello sguardo di chi scrive e al suo modo speciale di osservare la realtà, guardando nelle cose e oltre».
A uno scrittore quanto serve “sapere”? «Molto. La scrittura non può essere un’attività selvaggia e non è mai abbastanza ampio il bagaglio di letture di uno scrittore. Conoscere serve per creare e trasfigurare quello che si vede e che si va a rac contare».
Ultimamente spuntano scrittori come funghi. Cosa pensa della
letteratura contemporanea? «Molti dovrebbero avere più rispetto per quest’arte perché non ci si può certo improvvisare. Personalmente alle cose che scrivo in dieci minuti dedico almeno cinque giorni in cui vado a modificare e a costruire. Nella scrittura cerco musicalità, compostezza, proporzione o anche sproporzione se è voluta e non casuale. Dev’essere, però, un “caos calmo”, organizzato. Ora non voglio generalizzare, ma riscontro spesso nella letteratura contemporanea una carenza di ironia e un’assenza di elementi paradossali. Il problema è che gli autori si confrontano poco tra loro sul tema della scrittura».
Quindi è importante anche parlare di scrittura? «È molto utile. Credo che i processi di apprendimento dell’uomo cambino sensibilmente nel corso della vita. Da piccoli si impara prima a parlare, poi a leggere e, infine, a scrivere. Da adulti arriva un momento in cui i tre vagoni
la Lettura
d i questo trenino cambiano di posto. Si deve prima leggere e poi scrivere per poter parlare meglio. A quel punto, però, la parola alimenta nuove e più ricche scritture, diventa uno stimolo e ci troviamo di fronte a un circolo. È una catena, un vero e proprio corto circuito creativo che, per fortuna, non fulmina ma, anzi, accende».
Cos’è l’ironia e quant’è paradossale la vita? «L’ironia è un modo di prendere atto degli eventi riuscendone a ridere superando i limiti della realtà ed è un’ottima cosa. Il paradosso è ovunque. Anche camminare mettendo un piede davanti all’altro appare scontato ma non lo è. I gesti abituali sono spesso gesti paradossali e lo comprendiamo solo quando ci soffermiamo su di essi, cosa che non facciamo quasi mai. Hanno acquistato la cittadinanza della normalità tutte le cose che facciamo distrattamente e in automatico. Anche quest’intervista, in fondo, non è che un paradosso».
la Storia
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FIRENZE CAPITALE
Secondo appuntamento con il corso degli eventi sulla Convenzione del 15 settembre 1864
eggete un po’ cosa scrive questo signor anonimo dopo aver in precedenza, lungamente esposte le motivazioni che lo portavano a fare la scelta che si apprestava a divulgare e sostenere con vigore: « … importa adunque di riparare in luogo più sicuro la testa del gran corpo italiano affinché nel caso ch’esso venga ferito la sa ferita non sia mortale. Per questo rispetto Firenze varrebbe meglio di Torino? È ciò che si nega. A Firenze noi preferiremmo Napoli per molte ragioni. Primieramente Napoli è ancora più lontana da Vienna che Firenze. L’attacco per via terra è quasi impossibile ad un esercito austriaco a meno che venga nelle Marche o nello Stato Pontificio, il che sarebbe un “casus belli” contro il Papa […] l’attacco per mare è ancora più difficile ad una flotta inferiore per forza alla flotta italiana e, poi, il golfo di Napoli si può facilmente difendere. In secondo luogo, Napoli vanta una popolazione più numerosa del doppio di quella di Firenze e della stessa Roma. A Napoli il Governo si potrebbe stabilire con minor dispendio perché ivi troverebbe già tutto il mobilio di una antica monarchia che vuolsi ammodernare e completare adattandolo al servizio di una monarchia costituzionale.
LUCIANO SALERA
L’arrivo di un Governo in una città vasta e popolosa cagionerebbe un minore
spostamento di interessi, un rivolgimento economico meno sensibile che non a Firenze. […] Eppoi dall’Italia meridionale si muovono lagnanze a cui l’Italia Settentrionale non deve chiudere l’orecchio; essa si crede conquistata (si crede?
È stata … N.d.s.) e ne soffre umiliazione. Il Piemonte per Napoli è […] germanico, la dinastia di Savoia è quasi straniera, è quasi barbara a’ suoi occhi: perché l’adotti, almeno momentaneamente, bisogna che la vegga, che la senta vivere nel proprio seno». L’arringa “pro-Napoli” non si esaurisce qui. Continua, ah! se continua … ma mi tocca interromperla a questo punto per una semplice questione di spazio. Così tra moti di piazza e studi sulla opportunità di
preferire Napoli a Firenze, la capitale si spostò, ovviamente, a Firenze e tutti
furono felici e contenti (tranne i fiorentini, ovviamente). A Firenze c’era un signore, tal Carlo Lorenzini detto Collodi, padre di quel “Pinocchio” che è una specie di testo sacro della letteratura infantile. Chi non l’ha letto? A quei tempi si può ben dire che per chi sapeva leggere- l’abbiano letto tutti e gli altri se lo facevano raccontare. Insomma un vero successo. Ebbene questo signore, toscano al cento per cento, come carattere, toscano per l’arguzia pungente e per la polemica costante su tutto e tutti, toscano finanche nell’uso della lingua, era anche profondamente italiano al punto da partecipare alla guerra contro l’Austria del 1848 come
volontario (poco conta se quella guerra ebbe un esito infausto per gli italiani sconfitti, ma più che sconfitti, umiliati a Curtatone e Montanara). L’esperienza negativa non lo fermò. A guerra finita, dopo una diecina d’anni, nel corso dei quali si dedicò al giornalismo, nel 1859 sentì nuovamente il richiamo della patria italiana e si arruolò in cavalleria nei “Lancieri di Novara” per ritentare l’avventura bellica contro l’Austria.
Ma lasciamo perdere il Lorenzini (o Collodi, come preferite) guerriero ed occupiamoci del Collodi (o Lorenzini tanto è sempre lui … ) giornalista e scrittore: in “Pinocchio” Collodi riesce a disegnare, pur se abilmente camuffata, l’Italia dei suoi tempi con tutti i suoi tanti vizi e pochissime virtù. Si pensi ai Tribunali,
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41 al sistema della giustizia ed all’arbitrarietà dei giudici: argomenti ancora oggi incredibilmente attuali.
Bene, questi argomenti sono al centro del XIX capitolo quando il giudice scimmione condanna il burattino in quanto vittima e poi gli elargisce la grazia solo in quanto colpevole oppure al capitolo XVIII dove in un disegno a colori è raffigurato un cane che chiede l’elemosina con appeso al collo un cartello su cui è scritto “Elettore”, un altro cane, pelle ed ossa, ed un manifesto dal quale una volpe invita a votare sicuri sintetizzando non solo la lettera del testo ma anche le tante note del Lorenzini intorno alla politica, ai deputati ed agli elettori e, poi, giusto per finire il suo famosissimo aforisma: «In principio Iddio creò l’Italia politica, e dopo averla creata, si avvide di non aver fatto nulla di buono disse: pazienza!»
Una volta insediatosi il governo piemontese, il Collodi fece una autentica abiura del suo passato, trattando Cavour, nei suoi
articoli, come una vera “sciagura nazionale” e definendo il governo “una farsa da teatro: se son brevi divertono e fanno ridere, ma se vanno per le lunghe, diventano insopportabili.” Così i piemontesi entrarorono gloriosi e trionfanti in Firenze e ne presero possesso, poi per dare ai fiorentini l’esatta cognizione della loro presenza, in nome del progresso e della modernità, si dettero da fare a demolire e distruggere tutto quello che loro capitava a portata di mano o, meglio, di piccone, “in nome del progresso” Firenze fu letteralmente stravolta nel suo assetto urbanistico.
I piemontesi, ignoranti come capre ed assolutamente all’oscuro di cosa Firenze per la Nazione italiana, per l’Europa e, comunque, per il mondo civile nel corso dei secoli avesse rappresentato nella storia dell’umanità, distrussero tutto. I bombardamenti alleati nel corso della seconda guerra mondiale non causarono gli stessi danni (enormi) che procurarono i piemontesi. Demolirono le antiche mura, l’intero cuore medioevale di Firenze (ma che ne sapevano i piemontesi di medio evo, loro che nel medio evo erano abituati a vivere sugli alberi o nelle caverne, nella migliore delle ipotesi), rasero al suolo chiese di enorme valore artistico ed edifici, distruggendo affreschi, soffitti preziosi, statue,
monumenti … scomparve una intera città e con essa scomparve anche l’antico spirito fiorentino, gli usi ed i costumi, le tradizioni artistiche e l’ingegno mercantile. I selvaggi calati dal Piemonte come orde barbariche non ebbero rispetto per niente e per nessuno, eppure ci sono luoghi che, in nome di una pseudo modernità, non andrebbero toccati, anzi, custoditi e valorizzati il meglio possibile per farli durare per l’eternità! Di quella Firenze non rimane più nulla grazie ai piemontesi nuovi padroni del Regno d’Italia.
150 anni or sono furono cancellati, distrutti, diroccati secoli di storia, senza alcun rispetto e senza alcuna attenzione nei confronti di una città unica nella storia dell’umanità. Da Torino si riversò sulla riva d’Arno “l’invasione barbarica” (è sempre La Nazione che scrive) calcolata tra i venticinquemila ed i trentamila “Monsù Travet” a seguito di ministeri ed uffici chi si dovevano installare nell’ex capitale del Granducato di Toscana più tutti i nulla facenti a casa loro in cerca di nuove avventure. Così possiamo leggere da “Cronache di Firenze Capitale” di Sergio Camerani, Ed. L.S. Olschki, Firenze, 1971, quanto segue: «… da Torino si muovono verso Firenze tutti gli apparati della capitale, dai funzionari ai grandi giornali come “Il Diritto” e “L'Opinione”. Per i “nuovi venuti” (i buzzurri, per intenderci N.d.s.) era tutto brutto [ … ] Un'amica della baronessa Olimpia Rossi Savio si lamentò era il giugno del 1865: «… a Torino
la Storia ci si intendeva nel bel dialetto piemontese, a Firenze invece si è costretti a parlare italiano” … »
A parlare italiano … incredibile ma vero! I fiorentini non ebbero difficoltà nel soprannominarli immediatamente «buzzurri», guardandoli con sospetto e tenendoli a rispettosa distanza in quanto li consideravano invadenti, chiassosi, prepotenti e attaccabrighe.
Non ci volle molto, però, perché i fiorentini potessero prendersi una qualche rivincita: ad esempio, e cito La Nazione di martedì 21 ottobre 2014, che titolò, riutilizzando un invito ai cittadini alle buone maniere pubblicato 150anni prima: «Attenzione, ecco i buzzurri torinesi» e poi, il commento sotto forma di interrogativo «che potrebbero dire gli italiani delle altre province se, appena scesi alla stazione, dovessero bisticciare col vetturino che chiede troppo o col facchino che strappa loro di mano la valigia?» (ma questo non lo dicevano di Napoli ed i napoletani?).
E in conclusione mi piace riportare anche un’osservazione, amara quanto basta, del già tanto citato Carlo Lorenzini: «la “malattia” della capitale provvisoria lasciò al Municipio fiorentino un ingorgo tra la coscia e l’inguine di circa dugento milioni di debito». E qual’è il problema? I piemontesi un ricordo lo dovevano pur lasciare alla città di Dante, o no? Già, Dante … ma chi era costui? Si chiedevano i “piemontèis” … … …
l’Agenda
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Appuntamenti del meridionalista
PREMIO RACCONTAMI LA STORIA Il Comune di Rocca San Giovanni, l’Associazione Culturale “Ericle D’Antonio”, la Biblioteca comunale “Arturo Colizzi” e l’Associazione Editori Abruzzesi indicono la 1ª Edizione del Premio Nazionale di Narrativa Storica Edita e Inedita "Raccontami la Storia" dedicato a Ericle D’Antonio, riservato a libri di romanzi storici e a racconti storici inediti (di qualsiasi genere letterario) di autore italiano o di madre lingua italiana residente all’estero. Per maggiori info rivolgersi a Biblioteca Comunale “Arturo Colizzi” Via Occidentale n. 1 66020 Rocca San Giovanni (CH) premioraccontamilastoria@gmail.com MISS 2 SICILIE A SIRIGNANO Si terrà il 28 e 29 Marzo presso il Palaregno di Sirignano la finalissima della manifestazione di Bellezza storica Una Miss per il Regno delle due Sicilie, anche quest'anno la manifestazione viene organizzata dall'Accademia Internazionale dello Spettacolo Cinema e TV e sarà abbinata al concorso nazionale The Star Of Europe , inoltre la stessa sarà condotta da Barbara Di Palma ed Erennio De Vita per info e partecipazione inviare 1 foto con relativi contatti telefonici a: castingmodasport@libero.it
Giovedì 22 gennaio 2015 ore 18 a Napoli nella libreria “Iocisto” via Cimarosa, 20 si terrà la presentazione del libro di Felice Simonelli “Verità sul Sud”. Relatori della presentazione assieme all’autore il presidente del Movimento Neoborbonico Gennaro De Crescenzo e il presidente dei Comitati Due Sicilie Fiore Marro. L’evento sarà trattato in due parti. La prima nella quale si dimostra, dati alla mano, che il Sud all’epoca del Regno delle Due Sicilie, prima cioè del 1861, era il più ricco, moderno e sviluppato Stato della penisola. La seconda parte nella quale si evidenziano, capitolo dopo capitolo, sulla base di un’analisi finalmente corretta, le principali cause della comparsa in Italia del divario Nord-Sud, che prima dell’unità era invece a parti invertite. Infine le conclusioni che prospettano, concretamente, una soluzione ottimale per la cosiddetta “questione meridionale”, ed una via di sviluppo e di crescita per il Sud d’Italia.
Gli eventi che sconvolsero l’Alta Terra di Lavoro. L’incontro è organizzato da Controcorrente Edizioni, L'Alfiere, col patrocinio del Comune di Cassino. Dopo i saluti di Giuseppe Golini Petrarcone, sindaco di Cassino, e di Danilo Grossi, assessore alla Cultura, ci saranno le relazioni di Fernando Riccardi, giornalista, Edoardo Vitale, magistrato e direttore de ‘L'Alfiere’, e di Pietro Golia, giornalista ed editore.