il Brigante MAGAZINE PER IL SUD DEL TERZO MILLENNIO
ANNO 14 - N. 40 SETTEMBRE 2014 € 2,00
CONTANTI
SALUTI !
SERGIO BOCCADUTRI Il paladino della moneta elettronica
ROCCO CARBONE Vi racconto Giacinto Auriti
SAN GENNARO Antisavoiardo e tifoso dei Borbone
LE NOTTI DEI BRIGANTI
A S.Gregorio Matese passione & tradizione
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l’Editoriale
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CONTANTI SALUTI
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o avuto l’onore e la fortuna di conoscere e di parlare con il prof. Giacinto Auriti in diversi convegni tenutisi in Abruzzo alla fine degli anni ’90. Confesso che quando mi aprì lo scrigno delle sue idee sul Signoraggio della moneta e sull’indebito lucro delle banche centrali, ne rimasi, al tempo stesso, affascinato e perplesso. Aveva un che di tranquillo, sembrava un insegnante elementare che spiega l’abecedario ad un alunnobambino, ma le sue idee erano rivoluzionarie.
Tant’è vero che sarebbero state riprese anni dopo da Beppe Grillo nei suoi comizi-spettacoli prima dell'incontro con Casaleggio.
G INO G IAMMARINO
Non mi soffermo sul signoraggio e sulle teorie del prof. Auriti, per le quali vi rimando all’intervista a Rocco Carbone che troverete più avanti. In queste poche righe voglio ricordare l’esperimento del SIMEC, la moneta alternativa realizzata e fatta circolare nel 2000 nella sua città d’origine, Guardiagrele, e che fu sequestrata dalla Guardia di Finanza, stroncandone gli esiti ed il riscontro.
Questo richiamo alla memoria va visto in collegamento alla recentissima introduzione dei pagamenti oltre l’importo di 30 euro da effettuarsi tramite il POS, dispositivo per effettuare transazioni elettronicamente. Una misura che ha fatto gridare allo scandalo nel giorno della sua introduzione (30 giu-
gno 2014), ma sulla quale è calato immediatamente il silenzio mediatico ed una gran confusione normativa. Ora, senza voler entrare nei massimi sistemi, è sotto l’occhio di tutti come la moneta europea, il cui costo di realizzazione oscilla tra i 15 ed i 20 centesimi per trasformarsi poi in un controvalore di 5, 10, 20, 50, 100, 500 euro e così via, abbia esasperato il debito pubblico di tanti Paesi.
Al governo Renzi, buon amico delle banche, va riconosciuto attraverso questa nuova normativa, non solo di aver aumentato la diffusione delle diaboliche macchinette (il noleggio mensile del POS costa al commerciante o all’artigiano mediamente 19 euro + le commissioni della banca sulle singole
transazioni). Il vero capolavoro, infatti, sta nell’aver concesso agli istituti di credito di poter usufruire del signoraggio della moneta senza neanche stamparla: solo, semplicemente, trasferendo da un computer all’altro dei numeri. A saldo negativo, naturalmente, come si deve ad un debito (pubblico o privato che sia). Tombola! Anzi, Bingo, per dirla con gli americani che per primi hanno sganciato il valore reale del dollaro dalla quantità di riserve auree dei cittadini USA custodite a Fort Knox.
Mi sembra di vederlo, Giacinto Auriti, affacciato lassù tra le nuvole dove risiede oggi, mentre alzando e oscillando minaccioso il palmo della mano, sussurra col suo tipico accento non proprio toscano: “P.O.S. passa’ ‘nu guaio!”.
Sommario
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In questo numero...
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Editoriale L’imboscata Sergio Boccadutri Il personaggio Giacinto Auriti L’economia Deflazione. Un bene? L’Impresa Ranieri International La presentazione Ascomer I conflitti Cosa accade nel mondo L’allarme L’Ebola sbarca in Italia La polemica Bronzi di Riace ed Expo La polemica (1) Il Caravaggio conteso L’identità Pontelandolfo e Casalduni L’evento Le notti dei Briganti La memoria Pietra Arsa 1863 L’omaggio Apple premia il Sud Italia L’appuntamento Festival delle resistenze La ricorrenza Il Sangue antisavoiardo L’arte L’edicola votiva di San Gennaro La gastronomia Tiramisù alla frutta La novità Nasce il Mugi Lo sfogo Santanelli vs Napoli La storia Le colpe dei Borbone
DIRETTORE RESPONSABILE GINO GIAMMARINO VICE DIRETTORE SIMONA BUONAURA HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO: SILVIA BASSI SANTOLO CANNAVALE VITTORIO CROCE ENRICA BUONGIORNO GABRIELLA DILIBERTO VALENTINA GIUNGATI ILARIA IODICE MAURIZIO MEROLLA ROSI PADOVANI LUCIANO SALERA RAFFAELE SANTILLO SERGIO ZAZZERA
EDITORE Piazza Stazione Centrale Piazza Garibaldi, 136 - 80142 Napoli
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La rivista è stata chiusa il giorno 8 Settembre alle ore 14:00 Autorizzazione Tribunale Napoli n. 5159 decreto 22/11/2000
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SERGIO BOCCADUTRI “SÌ ALLA MONETA ELETTRONICA” RAFFAELE SANTILLO
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ra stato annunciato come uno degli strumenti fondamentali per la lotta all’evasione fiscale. Parliamo della riduzione dell’uso del contante, che la manovra ‘Salva Italia’ ha limitato a massimo 1000 euro. Ben presto, però, si è giunti ad una drastica conclusione: tutto ciò è stato inutile. A confermarlo, pochi mesi fa, era stato il viceministro dell’Economia Luigi Casero, il quale aveva dichiarato: “Abbassare ulteriormente la soglia non porterebbe ad alcun tipo di risultato in termini di lotta all’evasione. Abbiamo già visto in questi anni, che la grande evasione non si nasconde tra i pagamenti in contanti”. Anche il vicedirettore dell’Agenzia delle Entrate Marco di Capua, ha affermato che: “La lotta all’evasione quest’anno si è assestata sui 13,1 miliardi di euro tutti derivanti dalle contestazioni e dai con-
trolli sui contribuenti; su questa cifra, però, il tetto dei mille euro non ha inciso in modo particolare”. A
interrogativo è arrivata da uno dei maggiori sostenitori del provvedimento, tanto che ad inizio del
questo punto, una domanda sorge spontanea: chi ha veramente interesse ad abolire il contante e far utilizzare la moneta elettronica? Una risposta a tale
2014 ha presentato alla Camera una legge sulla riduzione dell’uso del contante e la promozione dell’impiego di strumenti di pagamento elettronici per
ridurre il riciclaggio e l’evasione fiscale. Il 16 maggio, inoltre, ha presentato una mozione, che impegna il Governo a farsi promotore presso le istituzioni dell’Unione Europea dell’abolizione della banconota da 500 euro. Parliamo di Sergio Boccadutri. Siciliano di Palermo, deputato dal febbraio del 2013, eletto nella lista di Sel nella circoscrizione del Lazio, lo scorso giugno ha lasciato il partito di Nichi Vendola, seguendo la scissione dell’ex capogruppo Gennaro Migliore per sostenere il governo Renzi, aderendo direttamente al Partito democratico. Boccadutri è sicuramente un politico a 360 gradi. I suoi interessi spaziano dalle più tradizionali controversie della politica del nostro Paese, fino ad arrivare ad argomenti di stretta attualità. Non siamo noi a dirlo, ma le sue iniziative parlamentari confermano quanto riferito. Ad esempio, è stato molto attivo sul tema del finanziamento ai partiti (argomento sempre attuale da anni in Italia), definendolo un elemento di democrazia e proponendo diversi emendamenti sulla trasparenza degli stessi. Dall’inizio del 2014, come detto, si sta impegnando per ridurre l’uso del contante e la promozione dell’impiego di strumenti di pagamento elettronici. Proprio da questo delicato argomento parte la nostra chiacchierata con Sergio Boccadutri.
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7 Onorevole, lei ha presentato alla Camera una legge sulla riduzione dell’uso del contante e la promozione dell’impiego di strumenti di pagamento elettronici per ridurre il riciclaggio e l’evasione fiscale. Perché ritiene che questo aspetto sia importante per il nostro Paese? «Soprattutto per una questione di sicurezza. Nonostante, in questi anni, siano nate numerose start up, che puntano sulla sicurezza del pagamento digitale, non c’è ancora una propensione in Italia all’uso di questa modalità di transazione. Sull’argomento, c’è una direttiva europea che nel nostro Paese è passata sottobanco. Sul tema dei pagamenti digitali, infatti, siamo il fanalino di coda; basti pensare che, ancora oggi, l’85% delle transazioni vengono fatte con i contanti». Qual è la sua idea per sviluppare il pagamento elettronico in Italia? «Possiamo approfittare del semestre europeo per introdurre dei progetti per far capire agli italiani la
convenienza del pagamento digitale, partendo proprio dalla sicurezza. Basti pensare che in Italia circolano ancora tantissime banconote false, oltre all’altissimo rischio di rapina. Insomma, occorre eseguire un’operazione per promuovere una cultura
vegno, organizzato da Etno, l’associazione europea che riunisce i maggiori operatori di telecomunicazioni, in collabor a z i o n e con Puntoit, Key4biz, Ope nNetwork, Ego e Competere.eu., che si è tenuto nell’aula dei Gruppi Parla-
governance mondiale di internet, tema divenuto ormai una priorità politica condivisa. L’iniziativa, di cui Boccadutri è stato uno dei principali fautori, si è tenuta in concomitanza con l’avvio del semestre italiano di presidenza dell’Unione europea che
del digitale a tuttotondo». Boccadutri, segue con attenzione anche il tema riguardante la governance di internet. Abbiamo incontrato il parlamentare proprio in occasione del con-
mentari della Camera di via di Campo Marzio a Roma. Durante l’evento, denominato ‘From São Paulo to Istanbul: Towards Better Internet Governance’ si è discusso della
del digitale ha fatto una delle sue priorità. Su questo argomento, continua la nostra chiacchierata con Sergio Boccadutri.
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LA MONETA APPARTIENE AL POPOLO PAROLA DI GIACINTO AURITI Il ricordo di Rocco Carbone
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l Signoraggio della moneta è uno degli argomenti più battuti degli ultimi anni. Beppe Grillo ed Antonio Di Pietro sono solo due tra i personaggi più conosciuti che ne hanno parlato. Forse a
molti di voi il nome Giacinto Auriti non dirà nulla, ma a quei volti noti queste cose le ha dette proprio lui. Nato il 10 ottobre del 1923 a Guardiagrele, in provincia di Chieti, è scomparso l'11 agosto del 2006, lasciandoci un patrimonio di idee e soprattutto la teoria del “Valore Indotto della Moneta” che lo portò ad elaborare una proposta di legge sulla “Proprietà Popolare della Moneta” presentata in Senato. Uomo di grande coraggio, un brigante vero figlio di una vera terra di briganti che ha squarciato i veli omertosi sulla grande truffa dei signori della moneta, gli usurai dai colletti bianchi, che si sono appropriati del diritto di stampare moneta a costo zero lucrando del corrispettivo valore creato dai cittadini che l’accettano come mezzo convenzionale di pagamento. Resterà scolpito per sempre l’esperimento reale compiuto a Guardiagrele con il SIMEC (SIMbolo EConometrico), ovvero la “moneta locale”. Avrebbe meritato il Nobel, ma scon-
trandosi con i poteri forti, subì l’avversione bancaria e giudiziaria: persecuzioni che non fiaccarono il suo spirito indomito, ma che certamente minarono lentamente il suo fisico. Rocco Carbone è stato uno dei suoi collaboratori ed ancora oggi gestisce siti e partecipa alle iniziative messe in campo per continuare l’opera di divulgazione con l’associazione Sete di Giustizia. Lo abbiamo cercato per fornirvi una testimonianza diretta sull’uomo, lo studioso, il personaggio…
“Dire che uno Stato non può perseguire i propri scopi per mancanza di denaro è come dire che non si possono costruire strade per mancanza di chilometri”. Ezra Pound
Come venne in contatto con il prof. Giacinto Auriti? «L’ho conosciuto tramite una emittente privata abruzzese. Dopo cinque minuti che lo stavo ad ascoltare ho pensato che le cose che stava dicendo non potevano rimanere sospese nell’etere: dovevano essere archiviate e divulgate per la loro carica rivoluzionaria. Qualche tempo dopo venni a sapere che sarebbe stato a Lanciano per il SIMEC e pensai che quella fosse l’occasione buona per conoscerlo. E così fu». Ci racconta la sua figura? «Era una persona speciale. Nonostante le sue ben quattro lauree, riusciva a parlare con tutti i ceti sociali senza farle pesare: aveva tutti i numeri per una brillante carriera politica, ma anche un fortissimo senso dell’etica ed un amore smisurato per il suo popolo in nome del quale non volle brevettare la sua scoperta: “Appartiene al popolo come deve
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9 essere per la moneta”. E quanto amasse il suo popolo lo sanno benissimo i mezzadri che lavoravano nella sua azienda agricola che venivano trattati meglio di lui, con tutte le spettanze ed oltre. Rinunciava anche ai fondi europei: per lui non era normale lavorare i prodotti della terra per poi distruggerli ed essere pagati dall’UE. Aveva il concetto della ricchezza creata con il lavoro delle mani».
In cosa è consistito l’esperimento SIMEC svoltosi proprio nel comune di Guardiagrele? «Glielo racconto, è stata un’esperienza emozionante. Alla fine del luglio 2000, nella sua qualità di fondatore e segretario del SAUS (Sindacato Anti-USura), Auriti mise in circolazione i SIMEC (SIMboli EConometrici di Valore Indotto), di esclusiva “proprietà del portatore” (come è esplicitamente stampato sui biglietti) per dimostrare la validità della sua scoperta circa il “Valore Indotto della Moneta”. In poche parole, l’esperimento dimostrò che i cittadini possono per convenzione creare
L’introduzione del Pos quale sostitutivo della moneta contante: qual è la vostra posizione? «La moneta elettronica non è un male di per sé, anche se gli studi hanno evidenziato che con il contante la gente risparmia di più, mentre con il virtuale si spende senza freni fino ad arrivare ad indebitarsi, cosa che col sistema attuale basato sulla moneta-debito diventa deleteria, perché oltre alle ingiuste tasse poi arrivano i bollettini da pagare e il copione si ripete, la gente non arriva alla terza settimana del mese…».
il Personaggio
Come avrebbe giudicato il lavoro dell’attuale BCE Auriti? «Certamente si sarebbe scandalizzato delle vicende che gravitano attorno alla BCE, i sui concetti al riguardo sono ancora attuali e a disposizione di tutti, basta seguire SAUS TV». Quale alternativa proponete? «Batterci per una moneta che sia di proprietà del portatore per consentire ad ogni cittadino di avere garantito almeno il minimo indispensabile per l'acquisto dei beni di prima necessità. Oggi i veri briganti siamo noi, che non ci sottomettiamo alle regole, e combattiamo per affermare queste idee».
E se lo dice un figlio dell’Abruzzo, terra di briganti per antonomasia, come si può non credergli?
"Come nel 1793 nella Vandea il popolo si sollevò contro il sistema fiscale divenuto un pagamento illimitato e non dovuto dopo l’emissione nel 1790 dei primi assegnati o moneta nominale, così voglio proporre ora la controrivoluzione monetaria. Far dichiarare la moneta proprietà del popolo; lo Stato tramite la Banca Centrale tratterrà all'origine quanto è necessario per i costi e funzioni dei suoi servizi, eliminando la persecuzione e l'evasione fiscale". Giacinto Auriti
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DEFLAZIONE, UN BENE O UN MALE?
Con il termine “inflazione” si intende un incremento generalizzato e continuativo del livello dei prezzi al consumo. L’oscillazione dei prezzi in linea generale è la risultante di un mutamento nell’equilibrio fra domanda ed offerta di beni. Una maggiore offerta di determinati beni provoca un calo dei relativi prezzi ed una temporanea minore offerta degli stessi beni si tramuta in un rialzo del loro valore di mercato. L’inflazione nel lungo periodo è un fenomeno di natura monetaria in quanto l’aumento dell’offerta di moneta superiore alla domanda stimola, a sua volta, la domanda di beni e servizi e la propensione ad effettuare investimenti (in immobili, azioni, obbligazioni, titoli di Stato), con innesco di circolo vizioso che porta a spinte inflazionistiche (aumenti dei prezzi) crescenti nel tempo. Una stretta relazione è stata riscontrata tra tassi d’in-
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teresse fissati dalla Banca Centrale Europea (BCE) e quindi tra quantità di moneta messa in circolazione in Europa - ed il livello d’inflazione (aumento medio dei prezzi di beni al consumo) a partire dall’anno 2000. I bassi tassi d’interesse della BCE a partire dal 2009 hanno generato, dopo un temporaneo aumento dell’inflazione negli anni 2011 e 2012, un progressivo sgonfiamento dei prezzi, fino all’attuale situazione caratterizzata dal fenomeno “deflazione”. Analisi susseguitesi nel tempo hanno evidenziato che un ciclo dell’economia reale dei paesi occidentali è caratterizzato, statisticamente, da una durata media di circa 5 anni all’interno del quale si assiste ad una fase di crescita economica ed una fase di successiva contrazione, talvolta sfociante in recessione o, ancor peggio, in depressione. All’interno del ciclo economico è presente anche un ciclo infla-
zionistico in quanto l’attività economica reale incide profondamente sulla dinamica dei prezzi di beni e servizi. La principale causa di innesco di spinte inflazionistiche in seno al ciclo economico è ascrivibile ad una maggior domanda di beni e servizi che si verifica nella fase di crescita. Questa a sua volta determina un incremento della capacità produttiva e, quindi, della forza lavoro impiegata, con conseguente pressione al rialzo
su salari e stipendi. La “deflazione” è l’esatto contrario dell’”inflazione”. Perdurante la deflazione, i prezzi dei beni di consumo tendono a scendere progressivamente e continuativamente. In Italia, nel corrente mese di agosto, l'indice dei prezzi al consumo misurato dall'Istituto Nazionale di Statistica (Istat) nelle prime stime ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Il nostro Paese entra in deflazione per
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11 la prima volta da oltre 50 anni, cioè dal settembre del 1959. Allora, secondo l'Istat, la variazione dei prezzi risultò negativa dell'1,1%, in una fase di sette mesi di variazioni negative. Il tasso di variazione annuale dei prezzi è in discesa da quattro mesi consecutivi. È soprattutto la componente energetica, in particolare quella legata al costo dei carburanti, a pesare sui prezzi di agosto e a trascinare l'indice in negativo. Secondo i dati provvisori dell'Istat, i prezzi dei beni energetici non regolamentati sono diminuiti dell'1,2% rispetto al 2013 (dal +0,4% di luglio), con la benzina in calo dello 0,9% e il gasolio dell'1,7%. Ad agosto risulta ancora in deflazione anche il cosiddetto “carrello della spesa”, ovvero l'insieme dei beni che comprende l'alimentare, i beni per la cura della casa e della persona. Il ribasso annuo è infatti pari allo 0,2%, anche se in recupero rispetto al -0,6% di luglio. E’ un bene o un male la “deflazione”? Il consumatore, prescindendo da altre considerazioni, può ravvisarvi un vantaggio visto il minor peso della spesa giornaliera. Da sottolineare che al momento i valori di deflazione sono relativamente contenuti. I prossimi mesi si incaricheranno di confermarne la tendenza e la consistenza. Tra le ragioni che spiegano la deflazione vi è l’andamento dell’economia reale ed il conseguente livello di occupazione complessiva. In Italia a luglio 2014 è tornato a salire il tasso di disoccupazione posizionandosi al 12,6%, in rialzo di 0,3 punti percentuali sul mese precedente (dati provvisori
Istat). I disoccupati italiani a luglio 2014 sono 3,22 milioni, in aumento del 2,2% rispetto a giugno (+69 mila). Sempre a luglio gli occupati (22 milioni 360 mila) diminuiscono dello 0,2% rispetto a giugno (-35 mila unità). Il tasso di disoccupazione giovanile a luglio 2014 è pari al 42,9%, in calo di 0,8 punti percentuali su base mensile. I disoccupati italiani tra i 15 e i 24 anni sono 705 mila. E’ evidente che un numero minore di occupati dispone di un reddito complessivo più contenuto e destina minori risorse all’acquisto di beni e servizi i cui prezzi, di conseguenza, tendono a comprimersi causando “bassa inflazione” e poi, a seguire, “deflazione” con ulteriore rallentamento del sistema produttivo nazionale. Uno sbocco compensativo potrebbero essere le maggiori esportazioni di beni, ma questo non può ottenersi nel breve periodo. Ne conseguono grossi problemi per lo Stato che, a fronte di costi non riducibili a breve per tenere in azione la macchina amministrativa, vede ridursi l’ammontare delle entrate (a minor ricchezza prodotta corrispondono minori incassi tributari). Da qui il crescente deficit di bilancio statale che contrasta, tra l’altro, con il recente impegno legislativo italiano (assunto anche in sede europea) del “pareggio di bilancio”. Considerazioni a parte meritano l’attitudine e la capacità degli attuali governanti di gestire la complicata fase di arretramento dell’economia italiana. Grande affanno si registra sul fronte del debito pubblico nazionale che ha raggiunto i 2.165 miliardi di
euro, con la conseguente esigenza di sborsare circa 90 miliardi di euro all’anno a titolo di interessi su Bot e BTP acquistati da investitori italiani e stranieri. L’inflazione aiuta a comprimere nel tempo il valore del debito pubblico accumulato, a seguito della sua svalutazione misurata proprio dalla percentuale d’inflazione. In Argentina, tanto per fare un esempio, attualmente si viaggia con una inflazione annua di circa il 20%. Di conseguenza, con la stessa moneta, dopo un anno si acquistano beni e servizi decurtati in quantità di circa il 20%. L’Argentina è uno Stato a sovranità monetaria per cui stampa “pesos” a volontà, come peraltro stanno facendo in questa fase storica, in misura più contenuta, gli Stati Uniti (dollaro), la Gran Bretagna (Lira sterlina), la Cina (yuan-renminbi) ed il Giappone (Yen). La BCE, da questo punto di vista, è praticamente ferma, per statuto e per volontà di alcuni Stati dell'Unione (Germania in primis).
l’Economia
La “deflazione”, al contrario, rende il debito pubblico più pesante e difficile da gestire e smaltire. Gli Stati con alto debito vedono generalmente con sfavore la deflazione e “lavorano” per ripristinare un livello accettabile di inflazione. La BCE attualmente è impegnata a conseguire nella sua zona di competenza – Unione Europea un tasso d’inflazione medio pari al 2%. Un caso da studiare è rappresentato dal Giappone che da venti anni lotta contro “decrescita” e “deflazione”. In questi lunghi anni i tassi d’interesse ivi registrati sono stati sovente di segno negativo. Circostanza abituale in Giappone: le banche prestano un determinato capitale in moneta locale (yen) e, alla scadenza, ricevono in restituzione dagli operatori finanziati meno di quanto erogato in partenza, proprio per effetto della deflazione. L’Economia nipponica, nonostante gli sforzi governativi, rimane tuttora depressa e non riesce a decollare.
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RANIERI INTERNATIONAL
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Una realtà del sud che esporta garanzie
n Calabria intorno agli anni ’60 grazie a Pietro Ranieri nasce il marchio omonimo, dedito alla vendita ed assistenza di motori marini e imbarcazioni, poi divenuto punta di diamante in tutto il mondo. La Motonautica Fratelli Ranieri era la prima società costituitasi, con trasformazioni ed ammodernamenti al passo coi tempi ha inglobato il mutamento generazionale dando vita ad una produzione sempre più intensa e modernizzata con imbarcazioni da diporto in vetroresina. Il cantiere calabrese è specializzato nella fabbricazione di scafi dalle piccole dimensioni, e ancora oggi Pietro Ranieri il maggiore dei fratelli lavora a stretto contatto con i figli Salvatore e Antonio, l’azienda infatti pur avendo acquisito notevole importanza, negli anni è rimasta fedele al pilastro familiare come base per un lavoro vincente. L’azienda si compone di 50 dipendenti che coadiuvati dal fondatore lavorano uniti, ognuno specializzato in un settore differente, per realizzare un prodotto finito che vanta materiali esclusivi e una collaborazione armonica. I livelli alti, l’affidabilità e il confort delle imbarcazioni sono la tangibile dimostrazione di come un’azienda nata in una realtà del Sud sia effettivamente capace
VALENTINA G IUNGATI
di esportare su base mondiale la sua filosofia. Il successo è stato la tangibile dimostrazione che il marchio con le sue solide fondamenta ha puntato sempre su prodotti di qualità, anche perché la società ha stipulato, sin dall’inizio, accordi con concessionari e importatori leader
valore residuo e puntano alla rivedibilità. Inoltre dal 2013 Ranieri International ha la gestione di Marina di Badolato, un porto turistico nel mar Jonio in Calabria. Una delle particolarità della progettazione è l’utilizzo del Redan (uno scalino) che consente di deviare
del settore come Suzuki e Honda, creando così un universo a misura del cliente e sapendo adattare la sua oggettività così variegata alle diverse realtà con cui va confrontandosi. Le barche realizzate appartengono ad una fascia medio-alta per l’utilizzo di materiali pregiati e la lavorazione artigianale. Il prodotto non vuole essere di fascia economica proprio per contrastare quello che accade in molte multinazionali che rinunciano alla qualità per le vendite, così mantengono alto il
lateralmente l’acqua accumulata sotto la carena così da formare un cuscino d’aria che permette un alleggerimento e migliori prestazioni, donando ovviamente all’imbarcazione una complessiva e maggiore stabilità. Il Redan è il frutto di una lunga sperimentazione, sempre in atto, anche su barche da corsa, al fine di testare anche per performance altissime l’utilizzo di questo step. L’azienda è l’unica in Europa a realizzare la Voyager 18S che deve la sua particolarità alle dimensioni e
all’utilizzo del sistema H.I.S. (Hull Innovative System). Il settore nautico negli ultimi anni ha subito duri colpi, soprattutto in seguito alla crisi economica e una diffusa difficoltà generale, nonostante ciò però, la capillarità e l’ampia rete di vendita della Ranieri International (che tocca ogni estremo del mondo ed in particola Francia, Grecia, Olanda, Svizzera, Spagna, Repubblica Ceca e Turchia) ha saputo mantenere lo spirito vincente remando controcorrente. Dopo aver riflettuto su eventuali investimenti per ottimizzare la produzione in un mercato in continua trasformazione e considerando questo settore come avente l’esigenza di un contatto diretto, hanno recentemente puntato alla realizzazione di una vetrina espositiva per consentire ai clienti di tutto il mondo, nonché quelli italiani, di avere una base espositiva di pregio che sorge vicino Milano. La scelta ovviamente è stata dettata da chiare dinamiche di mercato, con l’intento di promuovere il contatto con il cliente che può toccare con mano i vari modelli. La nuova sede sarà inaugurata a Castellanza il giorno 18. Abbiamo intervistato Salvatore Ranieri che ci ha svelato dettagli e progetti futuri della Ranieri International..
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Come è nata la Ranieri International e quali sono i punti di forza che ne hanno permesso l’affermazione in tutto il mondo? «L’azienda nasce alla fine degli anni 60 fondata da Pietro Ranieri, la passione per il mare ha spinto mio padre ad iniziare la produzione di piccole barche. Oggi insieme a mio fratello Antonio ed a mio padre, che continua a seguire la produzione, portiamo avanti quel progetto nato più di 40 anni fa. Il nostro punto di forza è la conduzione dell’Azienda a carattere familiare seguendo personalmente ogni singola fase: dalla progettazione, alla realizzazione dei prototipi, degli stampi e di ogni singolo modello». Quali sono state le difficoltà con cui l’azienda ha dovuto confrontarsi negli anni passati? «La difficoltà maggiore che l’azienda ha affrontato ed affronta, è la quasi inesistenza dell’indotto produttivo che rende tutto più difficile, i nostri fornitori sono per la gran maggioranza dislocati tra centro e nord Italia ed a volte anche all’estero, questo incide molto sui costi di produzio-
ne finale, quindi uno svantaggio rispetto la concorrenza, da tempo stiamo infatti cercando di creare sinergie con aziende calabresi che vengono però scrupolosamente selezionate da noi personalmente per ottenere dalle stesse uno standard qualitativo molto alto». Una rete di vendita capillare in tutto il mondo: un vero fiore all’occhiello della categoria. Il Sud dovrebbe puntare su realtà brillanti come questa. «Il Sud ha grandi potenzialità di crescita, il mercato globale vuole dalle aziende: qualità, serietà e puntualità, sono tre aspetti che molte realtà del sud non hanno, ma fondamentali per essere scelti dai clienti. Oggi in Europa il nostro Brand è sinonimo di alta qualità costruttiva e di design molto ricercato ed è per questo motivo che ogni anno riusciamo a crescere nonostante il mercato subisca un progressivo calo». Una nuova apertura a Milano. L’inizio di una nuova avventura? «Milano è il centro commerciale dell’Europa, lo Showroom di oltre 1000
l’Impresa
metri quadri sarà vicino l’aeroporto di Malpensa, uno scalo strategico, raggiungibile in 4 ore da Dubai. I clienti potranno visionare tutta la gamma
questo nuovo progetto». Quali sono i progetti futuri? «Al Salone di Genova presenteremo due modelli di imbarcazioni che comple-
Ranieri International 365 giorni all’anno. Il mercato della nautica è cambiato, prima di comprare una barca il cliente vuole vederla dal vivo e possibilmente anche provarla, noi cerchiamo di essere al passo con i tempi, per questo motivo crediamo in
teranno ulteriormente la linea Sport Fish ed una nuova linea inedita di Gommoni “Cayman line” che renderanno ancora più appetibile e ricercato il nostro Brand in Italia ed all’estero».
la Presentazione
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AS.CO.MER.
Rivoluzione nel mondo del consumo
eggete attentamente le parole che seguono e cercate di attribuirgli la data in cui sono state scritte:alla fine vi daremo la risposta…
Più volte, generalizzando, si è detto che la colpa più grande del fallimento delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno sia da attribuire alle popolazioni meridionali, che hanno aggiunto al loro scarso spirito di iniziativa una gestione clientelare e poco chiara degli incentivi. Lo scopo di questo studio non è quello di portare una difesa delle popolazioni meridionali, ma di cercare di chiarire che del problema meridionale si è fatta carico l’intera comunità nazionale, con una gestione centralistica delle politiche e delle risorse per il Mezzogiorno. Quindi non è stato solo un “fatto meridionale”, nè una sorta di “beneficenza” delle regioni più ricche verso
quelle più povere. Piuttosto, quello che le popolazioni meridionali, sbagliando, hanno sempre interpretato come un patto nazionale di tipo “solidaristico”, si rivela oggi per ciò che realmente è stato e continua ad essere: un patto tra “poteri forti” della nazione. Molti accreditati studiosi sembra facciano a gara, in questi ultimi anni, a dimostrare, dati alla mano, quanto siano stati ingenti i trasferimenti di risorse finanziarie dalle regioni settentrionali a quelle meridionali, a tutto danno delle prime. Allora è il caso di chiarire l’equivoco di fondo che, intromessosi sin dall’inizio del dibattito, rischia, a nostro giudizio, di falsare completamente il reale svolgimento dei fatti: non è mai esistito alcun trasferimento diretto di fondi dal Nord al Sud, ma politiche di redistribuzione della ricchezza
nazionale. L’enfasi posta sullo Stato come semplice “dislocatore” di risorse dalle regioni settentrionali a quelle meridionali contribuisce solo ad occultare le gravissime responsabilità che, sia lo Stato centrale, sia il Nord hanno nel mancato sviluppo economico di una parte del Paese. Quella che avrebbe dovuto essere una politica correttrice degli squilibri territoriali è servita alla strutturazione di un mercato protetto per le imprese del Nord. Nelle regioni meridionali le varie forme in cui si è realizzata la politica di intervento straordinario sono, da sempre, associate ad una rapida crescita dei consumi e ad un forte aumento del flusso delle importazioni dal Nord. Si è, insomma, sostituita alla politica regionale quella che possiamo definire come un’anomala politica “protezionisti-
ca”, che richiama alla memoria logiche economiche dei paesi coloniali dello scorso secolo. **** Anche se potrebbero essere state scritte stamattina, queste parole appartengono al prof. Gennaro Zona e sono tratte da uno studio intitolato “Come ti finanzio il Nord”, pubblicato dalla storica rivista meridionalista “Nord e Sud” nel mese di Maggio. Ah, si, dimenticavamo: l’anno è il 1997! Ecco, per fare in modo che queste parole restino confinate alla loro epoca è nato il rivoluzionario progetto denominato AS.CO.MER. (ASsociazione per il COnsumo tra i MERidionali) del quale vi daremo continue informazioni su date, eventi ed iniziative. A breve, in rete, il sito www.ascomer.it dove troverete lo statuto e maggiori informazioni.
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i Conflitti
UN MONDO IN GUERRA Origini e situazione attuale MAURIZIO MEROLLA
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nalizzando i contrasti di cui gli Stati sono protagonisti, ma volendo, anche le modalità in cui essi tendono a cooperare, ci si rende facilmente conto di come tutto avvenga in uno scenario ormai globale. Anche nelle eventualità in cui ad approcciarsi fra loro vi sia un numero limitato di attori, gli effetti influenzano comunque le sorti dell'intera umanità. Quest'effetto globale della politica risulterà ancora più evidente in seguito all'analisi dei conflitti tuttora in atto, in cui vi si potranno trovare molti collegamenti o similitudini, su tutti il controllo delle risorse energetiche, fonte di guadagno ma anche mezzo per esercitare controllo su altri stati.
Conflitto Israelo-Palestinese
Nelle ultime settimane grazie alla mediazione dell'Egitto, Israele e Palestina sono giunti ad un cessate il fuoco, anche se una pace definitiva sembrerebbe ancora da escludere. Questa riluttanza è basata sui recenti avvenimenti (la Marina Israeliana dopo l'entrata in vigore del-
la tregua ha aperto il fuoco contro pescatori palestinesi), oltre che al mancato risolvimento di alcune delle cause reali del conflitto, ancora non risolte. Tra queste, la mancanza di una garanzia di diritti spesso negati ai cittadini palestinesi nei territori occupati, motivo principale di quei sentimenti che danno vita a reazioni violente nei confronti di Israele che rendono impossibile l'abbandono delle armi da parte di Hamas. In secondo luogo sarà altrettanto impossibile trovare una pace stabile nel tempo, fintanto che le due parti in causa non rinunceranno al controllo totale dei giacimenti energetici e dei bacini idrici contesi da entrambi. Una parentesi finale, su come questo conflitto interessi il resto del mondo, è d'obbligo. Per quanto riguarda le alleanze, lo Stato Ebraico gode del sostegno da parte delle principali potenze occidentali, Stati Uniti su tutte, ma anche l'Italia, principale fornitore in Unione Europea di Israele per quanto riguarda gli armamenti. La Palestina di contro ha dalla sua la vicinanza di molte nazioni, ma quasi esclusivamente sotto forma di solidarietà ideologica o religiosa.
i Conflitti
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Crisi Ucraina
Le recenti tensioni in Ucraina, derivanti dall'occupazione della Crimea da parte dell'esercito russo, e le azioni da intraprendere a riguardo, occupano un posto di preminenza sulle più importanti scrivanie del mondo, in primis quella della NATO che aveva annunciato la spedizione di 5000 uomini sul confine baltico. Gli scontri si sono spostati dalla Penisola di Crimea, autodichiaratasi lo scorso marzo parte della Federazione Russa dopo l'occupazione, al territorio ucraino dove si frappongono l'esercito ucraino e truppe delle tre repubbliche filorusse autoproclamatesi indipendenti, ovvero Donetsk, Kharkiv e Lugansk. A Donetsk i filorussi hanno costretto alla ritirata l'esercito ucraino e in seguito a questo avvenimento vi è stata l'apertura di Putin ad un cessate il fuoco, il cui accordo sembra ad un passo. Per capire ora le reali motivazioni del conflitto occorre tuttavia fare un passo indietro al novembre 2013, a Kiev, quando migliaia di giovani si radunarono per protestare contro il Presidente Ucraino Viktor Janukovyč, reclamando l'ingresso dell'Ucraina in Unione Europea. Janukovyč fu costretto poi a scappare nel febbraio successivo e ciò indusse Putin, vistosi sfidare in “casa propria”, a spedire prontamente le sue truppe al confine con la Crimea, dando vita alle prime tensioni. Proprio la vicinanza tra Janukovyč e le politiche di Mosca e la conseguente distanza dalle politiche europee hanno indotto Putin a considerare la destituzione di Janukovyč un'ingerenza esterna da parte dell'Occidente (attraverso presunte rivolte pilotate). L'Ucraina ha difatti una valenza strategica fondamentale per la Russia, poiché collegamento nevralgico per la distribuzione del gas russo in Europa e nel Medio Oriente.
Iraq
Le vicende che interessano Siria ed Iraq hanno avuto diversa origine, ma gli esiti sono oramai condivisi, vista la formazione dell'ISIS (Stato Islamico dell'Iraq e della Siria), gruppo terroristico che controlla ormai gran parte di entrambe le aree. Alla fine della Seconda Guerra del Golfo e in seguito alla cattura e successiva esecuzione di Saddam Hussein in Iraq fu stabilito il controllo da parte degli Stati Uniti, ma un reale processo di democratizzazione non fu mai intrapreso. In quei territori occupati e successivamente abbandonati dal contingente americano, verrà proclamato lo Stato Islamico, retto dagli jihadisti dell' ISIS.
Siria
Anche in Siria vi è una figura molto carismatica come Saddam e altrettanto non gradita agli Stati Uniti, ossia il Presidente Bashar al-Assad (da pochi giorni rieletto con l'88% delle preferenze). Tuttavia in questa occasione gli stessi Stati Uniti hanno riscontrato numerosi intralci all'intervento, in primis un possibile intervento russo in favore della Siria. Assad è costretto a fronteggiare una rivolta interna, nata nel 2012 sulla scia della primavera araba, e secondo gli USA sarebbe colpevole di averla repressa attraverso l'utilizzo di armi chimiche, eventualità che avrebbe giustificato un intervento. Tuttavia ciò non accadde, come detto, per il veto della Russia, in virtù degli ottimi rapporti tra i due stati. Conscio dunque degli ostacoli che non avrebbero permesso un intervento diretto, il Governo americano ha per propria ammissione pensato di armare coloro che si ribellavano ad Assad. Oggi però, i territori conquistati in tre anni dai ribelli vengono perduti a favore di ISIS in pochissimi mesi. Anche su ISIS aleggia lo spettro del complotto. Tali sospetti assumono fondatezza grazie all'ammissione di Hillary Clinton, ex Segretario di Stato statunitense, secondo la quale il governo americano avrebbe fornito sostegno e rifornimenti militari a ISIS, utile agli Stati Uniti per destabilizzare il regime di Assad, per poi perderne il controllo.
Stato Islamico
L'ISIS non è un movimento rivoluzionario. Esso è composto prevalentemente da mercenari stranieri e ben addestrati e si sta adesso macchiando di crimini efferati, tra cui il genocidio degli yazidi e le esecuzioni di reporter occidentali. Obama promette un deciso intervento. L'eliminazione dell'ISIS e la ricerca dei suoi capi potrebbero inoltre coincidere con un ingresso statunitense in Siria, occasione sicuramente già vagliata dal Presidente degli Stati Uniti. L'eventuale controllo delle due aree infatti comporterebbe il controllo di enormi riserve petrolifere, oltre che l'interruzione dei collegamenti dei gasdotti russi in Medio Oriente. Inoltre esso accrescerebbe l'influenza statunitense nell'area, eliminando lo spauracchio dell'ennesimo “stato canaglia”. Le ultime notizie parlano di tre persone appartenenti all'Isis, tra cui Abu Hajar Al-Sufi, stretto collaboratore del leader dell'organizzazione, Abu Bakr alBaghdadi, sono rimaste uccise in un raid aereo statunitense sulla città di Mosul, in Iraq.
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Golan
Le alture del Golan, ai confini tra Israele, Siria, Libano e Giordania sono da sempre motivo di scontro tra Israele e la Siria. Motivo dello scontro è la posizione strategica delle alture: da lì si controllano i monti dell'Antilibano e il monte Hermon, la valle dell'Havran siriano e la Valle di Galilea in Israele. Chi ne ha il controllo, controlla automaticamente anche il Medio Oriente terrestre, oltre a gestire il passaggio delle linee militari ed economiche dall'area del Golfo Persico al Mediterraneo. Il Golan appartiene giuridicamente alla Siria ma nei fatti è sotto il controllo militare di Israele. Anche le truppe ONU sono sul confine tra i due stati, per preservare il cessate il fuoco stabilito nel '74. Il primo settembre miliziani di al-Nusra (ribelli antiAssad) attaccano le truppe regolari vicino le alture, conquistando la città di Quneitra e riuscendo a prendere come ostaggi circa 40 soldati dell'ONU. I terroristi di alNusra sembrerebbero aver intrapreso una sorta di collaborazione con i soldati israeliani sul confine, come testimoniato da alcune foto scattate ai miliziani, immortalati in piena libertà di movimento, dopo aver occupato il valico di frontiera e addirittura nell'atto di affiancare la loro bandiera a quella israeliana.
Libia
Eliminato Gheddafi, la Libia è oggi caratterizzata da profonde fratture interne ed è teatro di fortissimi scontri, con ben tre differenti realtà politiche: il Parlamento eletto, in esilio a Tobruk; il Consiglio Rivoluzionario di Tripoli; e il Califfato a Bengasi, che fa capo alla milizia Ansar alSharia, vicina ad Al Qaeda e “corteggiata” da ISIS. Tripoli è ormai sotto il controllo delle milizie arabe, mentre a Bengasi il Califfato sta lottando contro le truppe del-
l'ex Generale che guidò l'insurrezione libica nel 2011, Khalifa Haftar. Gli jihadisti di Ansar al-Sharia hanno dichiarato di voler combattere il Consiglio dei Rivoluzionari di Tripoli poiché esso “viola i principi dell'Islam”, sostenendo che se essi si sono ribellati a Gheddafi prima e ad Haftar poi, è per “issare la bandiera della Sharia” e non per “creare un nuovo tiranno che permetta il ritorno all'egemonia occidentale”. La Libia corre dunque il rischio di cadere sotto il dominio di questi terroristi e ciò accade nel silenzio dei governi europei e statunitense e nella completa impotenza del regime da loro istituito. Le potenze occidentali hanno però intuito la pericolosità della situazione ed hanno ordinato l'abbandono delle loro ambasciate, ma al momento rinunciano ad intervenire.
Europa?
Nel Vecchio Continente tutto va avanti normalmente e nonostante la tempesta giornaliera di notizie, in pochi credono che i recenti avvenimenti possano interessare gli stati dell'Unione. Tuttavia un filo diretto lega la jihad e l'Europa. Recenti indagini hanno difatti rilevato l'esistenza di campi di reclutamento jihadisti e il coinvolgimento di un gran numero di cittadini europei, non solo immigrati, che hanno imbracciato le armi per combattere al fianco dei fondamentalisti. Molti di questi potrebbero tornare e molti avrebbero già potuto mettere piede in Europa, infiltrandosi nei frequenti sbarchi dalla Libia o dalla Siria sulle nostre coste, celati tra normali migranti e rifugiati di guerra. La guerra potrebbe dunque spostarsi in Europa e un eventuale attacco terroristico fornirebbe il casus belli necessario a giustificare ogni tipo di operazione da parte dell'Occidente, Stati Uniti in primis.
l’Allarme
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IL VIRUS EBOLA SBARCA IN EUROPA ENRICA BUONG IORNO
agli Stati Uniti all'Europa è allarme Ebola. Il virus è di nuovo comparso nel continente africano provocando molti morti. I primi casi sono stati individuati nel mese di
mortalità variabile. Ebola è un virus a Rna, appartenente alla famiglia dei Filoviridae, genere Filovirus. Sono stati identificati cinque diversi sottotipi del virus: Zaire, Sudan, Ivory Coast, Bundibugyo e Reston. Ciascuno con una
marzo in alcune aree forestali del sud della Guinea, poi però la malattia si è estesa anche alla Sierra Leone e alla Liberia. "Questa epidemia è senza precedenti”, ha spiegato da subito il direttore di Medici Senza Frontiere, Bart Janssens in un'intervista rilasciata a Libre Belgique. Ma cos’è l’Ebola? Si tratta di una febbre emorragica grave e spesso fatale per l’uomo e i primati. Il nome “Ebola” deriva da un fiume della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), dove nel 1976 si verificò uno dei primi due focolai epidemici. L’altro, si sviluppò in contemporanea nel Sudan. In entrambi i casi il tasso di mortalità fu molto alto: 90% e 50% rispettivamente. Successivamente, e fino a oggi, sono state segnalate in Africa numerose nuove epidemie e casi sporadici, con tasso di
diversa diffusione geografica. “In genere le epidemie di Ebola tendono ad esaurirsi in poco tempo e raramente si estendono in maniera rilevante – ha spiegato Giovanni Rezza,
riore di Sanità - in questo caso, forse perchè il focolaio originario si trovava al confine con tre paesi diversi, forse per un estremo degrado dei servizi sanitari e per fattori culturali e comportamentali che ostacolano le misure di controllo dell'infezione, l'epidemia ha continuato ad espandersi e non sembra ancora essere sotto controllo. Anzi, il coinvolgimento di un quarto paese (la Nigeria), desta ulteriore preoccupazione”. Secondo i nuovi dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità i casi «probabili, confermati e sospetti», sono 3.052 con 1.546 decessi, con una prima infezione da virus Ebola anche in Senegal. In Europa il primo caso di malato da Ebola, è arrivato nella prima settimana di agosto: la Spagna ha rimpatriato un suo cittadino, un mis-
ancora molto lontani da quelli causati da altre epidemie come quelle di HIV, malaria e tubercolosi presenti ogni giorno in queste stesse regioni dell’Africa, ma l’Ebola terrorizza a causa della morte orribile e veloce che provoca. Un virus che non da scampo anche se dagli USA arrivano, pare, notizie confortanti in merito a cure sperimentali. Al dottor Kent Brantly, 33 anni, e alla suora missionaria Nancy Writebol, 59 anni (i primi americani colpiti dal virus a fine luglio), è stato somministrato infatti un siero conosciuto come “Zmapp”, sviluppato dall'azienda Biotech Mapp Biopharmaceutica, come rivelato dalle fonti CNN. Le condizioni dei due pazienti sono migliorate fino alla guarigione anche se questo trattamento non era mai stato testato su un essere
epidemiologo, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Supe-
sionario di 75 anni, che ha contratto il virus in Liberia. Certo, questi numeri sono
umano, ma solo sulle scimmie (è bene sottolineare che il siero non ha
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avuto la medesima efficacia su altri due malati che sono invece deceduti). Nel frattempo, il presidente americano Barak Obama non si sbilancia in merito e ha dichiarato: “L'epidemia può esser controllata e contenuta in maniera efficace se usiamo i corretti protocolli - e poi ha aggiunto - i Paesi africani coinvolti sono i primi ad ammettere che quel che è successo è dovuto al fatto che i loro sistemi di salute pubblica sono stati travolti. Non sarebbe successo se avessero identificato e contenuto più efficacemente i primi casi".
Anche in Italia serpeggia la paura. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha ribadito che “non c’è alcun pericolo in relazione al virus Ebola e non ci devono essere forme di psicosi, bensì forme di allerta che tutti i paesi hanno attivato e l’Italia per prima, a partire da posti, aeroporti e luoghi di fruizione turistica. Il vertice UE ha deciso un’azione di coordinamento. La vigilanza internazionale e italiana c’è, siamo allertati”. Il Bel Paese, però, è considerato per chi arriva dal continen-
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te africano, la porta dell’Europa. Migliaia gli sbarchi di clandestini in fuga sulle coste della Sicilia soprattutto negli ultimi mesi. Al collasso i centri di accoglienza, sovraffollati. Sono stati accertati molti casi di contagio da TBC (tubercolosi) tra i poliziotti in servizio a contatto con i migranti. La paura è reale. E il pericolo Ebola? “Per ora la situazione in Europa è del tutto sotto controllo. Certo, se l'epidemia in Africa continuasse ad espandersi, e soprattutto se colpisse le grandi città, allora sarebbe più probabile l'importazione di casi – ha aggiunto Giovanni Rezza credo però che nel contesto europeo difficilmente Ebola potrebbe dar vita a lunghe catene di trasmissione. Per quanto riguarda il nostro Paese, poi, i voli aerei sono più pericolosi perchè più brevi ma noi non abbiamo voli diretti verso i paesi colpiti. L'arrivo per via mare non è probabile, anche se bisogna stare in guardia. A questo proposito, si ricorda che in Italia per fortuna i controlli sono stati attivati già da tempo. In questo contesto mondiale, occorre però fare presto e supportare
l’OMS in questo sforzo. Si tratta infatti di una corsa contro il tempo per aiutare i paesi colpiti e far sì che l'infezione non si trasmetta in maniera sostenuta soprattutto nelle grandi città”. Intanto, è stato denunciato l’autore della bufala che all’inizio di agosto si è diffusa su Facebook. Il falso allarme era stato procurato da un torinese di 44 anni, con precedenti di xenofobia. L’uomo aveva diffuso sul social network la notizia di tre casi di Ebola a Lampedusa. La polizia italiana tempestivamente è riuscita a cancellare la falsa notizia da oltre 27 mila profili fb che l'avevano condivisa, oltre alla macabra foto che l'accompagnava. “L'infezione da virus Ebola si contrae solo per contatto diretto con i liquidi organici del malato. Il periodo di incubazione è in media di circa 8-10 giorni, ma può variare da 2 a 20 giorni, I sintomi consistono in febbre elevata, astenia, mal di testa e dolori muscolari intensi, vomito, diarrea. Poi compaiono perdite emorragiche (sangue dal naso, dalla bocca, organi
IL VACCINO CONTRO L’EBOLA ARRIVA DALLA PUGLIA
Il primo vaccino che tenterà di battere l’ebola è tutto nostrano, made in Accadia, il piccolo centro dei Monti Dauni di cui è originario il prof. Franco Salvatore, fondatore e coordinatore scientifico del Ceinge di Napoli. La sperimentazione partirà grazie a 20 volontari americani che ne prenderanno parte grazie alla collaborazione del National Institutes of Health di Bethesda nel Maryland (Stati Uniti). Dopo questa prima fase i test partiranno anche nel Regno Unito per arrivare successivamente in Gambia e nel Mali, zone dove la diffusione del virus è maggiore. l prof. Franco Salvatore non solo è impegnato alla lavorazione e sperimentazione di un vaccino contro l’ebola ma sta ottenendo importanti risultati anche nella ricerca sulla fibrosi cistica: lo studio di nuove varianti geniche di geni noti e nuovi. L’eccellenza di casa nostra è stata insignita di diversi
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interni). La letalità varia dal 60% al 90% a seconda delle epidemie”, ha spiegato Giovanni Rezza. La Banca Mondiale ha deciso di stanziare 200 milioni di dollari per l’epidemia. I fondi saranno impiegati per l’acquisto di materiale sanitario, per il pagamento del personale medico e per realizzare laboratori e naturalmente anche per le popolazioni colpite dal virus. La Farnesina ha definito un programma di interventi di circa 1,5 milioni di euro per contrastare l’epidemia. In queste settimane, inoltre, stanno per cominciare i trial clinici su un vaccino sperimentale per Ebola su volontari sani, negli Usa e in Gran Bretagna. Vaccino targato GlaxoSmithKline ma prodotto a Pomezia, negli stabilimenti di Okairos/Advent, presso l’Irbm Science Park.
premi e riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale portando sempre in alto il nome della nostra terra. Si augura pertanto che sia proprio lui a debellare questo virus letale che spaventa il mondo intero. Carmelo Fredella
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I BRONZI DI RIACE : GUERRIERI CONTESI ILARIA IODICE
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a quando sono emersi dal mare, nel 1972 al largo di Riace, lungo le coste calabresi, i famosi bronzi hanno immediatamente e costantemente suscitato l'attenzione mondiale. Questo perché i due misteriosi guerrieri, scoperti casualmente da un sommozzatore durante un'escursione subacquea, pur senza ad oggi alcuna conferma, sembrano essere stati forgiati direttamente dai grandi maestri ateniesi dell'età classica.
Si tratta infatti di due sculture di bronzo raffiguranti due uomini nudi, lievemen-
te più grandi della dimensione naturale, con il corpo posto a chiasmo, tipico schema anatomico - artistico greco, dotati di elmo e armati di lancia. La loro unicità è data dal fatto che la gran parte della statuaria antica che tutt'ora conosciamo è prevalentemente marmorea e costituita da copie romane in marmo di originali bronzei di età greca. Invece i due eroi calabresi sono due manufatti costituiti di bronzo, materiale prediletto degli scultori del V sec. a.c. Dal loro ritrovamento i bronzi sono stati sottoposti a numerosi studi mirati alla definizione dei personaggi
rappresentati dalle sculture, la loro provenienza, i loro autori. Inoltre non sono mancati negli anni attenti e scrupolosi restauri che hanno saputo evidenziare nel dettaglio la finezza e l'antichità della tecnica di fusione e lavorazione del bronzo con la quale furono realizzati. Questi straordinari manufatti dell'età classica hanno infine trovato la loro collocazione nel museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, una collocazione scelta in base al luogo di ritrovamento e, con tutta probabilità, di provenienza. Sappiamo infatti che la Calabria è stata una delle terre predilette dai coloni greci che in tutto il Sud Italia fondarono numerose polis destinate a diventare importanti centri di arte, commercio e cultura. Di recente, l'argomento "Bronzi" è tornato in auge tra le pagine dei quotidiani d'informazione, e soprattutto sul web, stavolta non per il loro valore artistico, ma per le ultime dichiarazioni rilasciate da Vittorio Sgarbi, noto critico d'arte, attualmente ambasciatore della regione Lombardia, nomina conferitagli da Roberto Maroni. Sgarbi avrebbe infatti reclamato le due importanti opere per l'EXPO2015, evento d'esposizione universale che si terrà a Milano, che oltretutto ha già scatenato diverse polemiche e malcontento. La richiesta di Sgarbi, tra l'altro, prevede in cambio il trasferimento al museo calabrese di due tele cara-
vaggesche da esporre nel periodo dell'evento milanese; trattando così le opere d'arte come fossero figurine dei calciatori che i bambini scambiano tra i banchi di scuola. Non era bastato lo svilimento inferto ai due antichi guerrieri bronzei da Gerald Bruneau, fotografo della scuola di Andy Warhol, che quest'inverno li aveva resi protagonisti di un lavoro fotografico tanto kitsch quanto inaspettato. I due aitanti combattenti sono infatti apparsi in biancheria intima e velo da sposa, suscitando numerose critiche e indignazioni da parte dell'opinione pubblica, e riuscendo ancora una volta ad offuscare la valenza storico-artistica dei bronzi quale parte integrante del patrimonio archeologico del Sud Italia.
Non era bastato questo equivoco lavoro fotografico, dovevano aggiungersi le solite sferzanti dichiarazioni di un personaggio come Vittorio Sgarbi, che ha rincarato la dose, definendo i bronzi come un "ostaggio della 'ndrangheta". Il sito web di EXPO2015 è in grado di elencare ben dieci motivi per cui la scelta della sede dell'evento sia ricaduta proprio su Milano, quale ambasciatrice dell'Italia nel mondo. Si elencano le tradizioni culinarie milanesi, la posizione strategico turistica del capoluogo lombardo, la vocazione per il design e la moda; ma tra i dieci motivi non compaiono opere archeologiche degne d'in-
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21 teresse. Allo stesso modo però, il sito dell'EXPO appare inspiegabilmente lacunoso nelle sezioni "bilancio" e "trasparenza", visti recenti scandali riguardanti l'organizzazione dei lavori, ma di mafia si parla solo quando l'argomento di sposta in Calabria. E così ancora una volta la nostra nazione sa ancora evidenziare nelle opinioni
e nell'appartenenza una discrepanza difficile da sanare; protagonista è, stavolta, un personaggio di spicco della televisione e della critica che adotta l'alibi della criminalità organizzata per ottenere ciò che vuole, screditando senza remore le eccellenze del Sud, quasi meravigliandosi che siano al Sud. A noi sembra che gli eventi come l'EXPO dovrebbero
saper valorizzare un patrimonio di tutti, senza accentuare, ancor prima del loro inizio, distinzioni territoriali. Ed in ogni caso, sembra opportuno che i guerrieri rimangano lì dove sono, a sentinella e simbolo identificativo di una terra dalla storia millenaria, solida come le due opere emerse dal suo mare.
CARAVAGGIO E I PREDONI DELL’EXPO
L’elenco delle opere richieste da Vittorio Sgardi per l’Expo 2015 di Milano non si ferma a quella dei Bronzi di Riace, infatti a seguire ci sono state quella de “La Venere di Botticelli” della Galleria degli Uffizi di Firenze che ha incassato un secco no, ed infine, almeno sino a quando stiamo scrivendo questo arti-
colo, arriva la richiesta de “Le Sette opere di Misericordia”, soggetto di un dipinto del pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio, realizzato tra la fine del 1606 e l'inizio del 1607 e conservata presso il Pio Monte della Misericordia di Napoli che rappresenta le “sette ope-
re di Misericordia corporali. Non sono mancate, come era prevedibile le critiche ed i pareri anche contrastanti sulla cessione, seppur temporanea dell’opera d’arte. Se dalle pagine de Il Mattino, infatti, Vittorio del Tufo scrive «Recuperare alla fruizione pubblica i nostri tesori d'arte è una battaglia che dovrebbe accomunare tutti: una battaglia, quella sì, per il «territorio. La levata di scudi per impedire il pervicace smantellamento dei nostri presìdi culturali è sacrosanta. Così come è doveroso pretendere che non solo le “Sette Opere della Misericordia”, ma tutti i capolavori esposti nelle chiese e nei musei cittadini, vengano sottratti all'incuria e valorizzati affinché possano produrre indotto, turismo, ritorno d'immagine». Dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno la presidente di Napoli 99 Mirella Barracco afferma «È profondamente sbagliato, per Caravaggio si tratterebbe di una decisione ancora più grave che nel caso dei Bronzi…La tela in questione, realizzata tra 1606 e inizio dell’anno seguente per la congregazione del
la Polemica
Pio Monte della Misericordia di Napoli, verrebbe esposta a Milano nel padiglione della Caritas per l’Expo - e poi chiosa - tra poco ci chiederanno il Vesuvio per metterlo in mostra in fiera», facendo eco al deputato Pd Giovanna Palma che aveva affermato «È un tentativo di scippo al popolo napoletano». Ma siccome le controversie sono belle se ne alimentano altre, anche in questo caso non è mancata una polemica nella polemica alle parole di Gianpaolo Leonetti dei conti di Santo Janni, sovrintendente del Pio Monte della Misericordia, che aveva dichiarato « L’opera appartiene al Pio Monte della Misericordia, una istituzione privata che deciderà, in autonomia, se accettare di spostarla all’Expo». La replica, a firma di Tomaso Montanari, professore associato confermato di ‘Storia dell’arte moderna’ presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli studi di Napoli ‘Federico II’, è stata infatti : «Gentile signor Leonetti, converrà che non stia bene parlare di un Caravaggio come nemmeno un padrone ottocentesco
avrebbe parlato delle sue ferriere, o una femminista del Sessantotto del suo utero. Converrà, insomma, con me che lo slogan «il Caravaggio è mio, e me lo gestisco io», sia alquanto sconveniente. E lo è in primo luogo per ragioni storiche e morali, che sono diventate ragioni giuridiche». Non siamo in grado di dire se la questione sia arrivata alla fine del libro o di un capitolo fatto sta che ancora una volta abbiamo assistito sul fronte nazionale a pareri che erano a favore dello spostamento dei Bronzi perché “il turista fino alla Calabria non ci arriva invece a Milano aveva l’opportunità di visitarliarli” rispetto alla Venere di Botticelli di cui sdegnati dicevano che era un scandalo spostarla; fuori dal coro il Premier Renzi che in merito ha detto: «Per quale motivo dovrei spostare i Bronzi a Milano? Piuttosto dovrei portare i visitatori dell'Expo da Milano a Reggio, perché ho bisogno di valorizzare la Calabria. A mio giudizio questa vicenda non ha alcun senso, comunque decideranno gli organi competenti». S.B.
l’Identità
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PONTELANDOLFO E CASALDUNI 14 AGOSTO 1861
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VITTORIO CROCE
Dal gennaio all’ottobre del 1861 si contavano nell’ex Regno delle Due Sicilie 9.860 fucilati, 10.604 feriti, 918 case arse, 6 paesi bruciati, 12 chiese predate, 40 donne e 60 ragazzi uccisi, 13.629 imprigionati, 1.428 insorti in armi”. Così scrive Carlo Alianello, riprendendo fonti
dopo un decennio, la partita si chiuse con la vittoria del sopruso e della prepotenza, nelle lande del meridione non rimase che morte, desolazione e povertà. Fu allora che i superstiti di quel manipolo di “cafoni” che per un misero pezzo di terra avevano osato ribellarsi agli invasori venuti dal nord, decisero di partire e
la popolazione di Pontelandolfo era in fermento per la festa di San Donato e per la tradizionale fiera del bestiame. L’aria, però, era frizzante, elettrica, carica di tensione. La gran parte degli abitanti non aveva visto di buon occhio lo sconvolgimento epocale che, pochi mesi prima, aveva portato sul trono di
della stampa estera del tempo, ne “La conquista del Sud”, uno dei suoi libri più belli. Cifre che indicano in maniera evidente il dramma che si consumò nelle regioni dell’Italia meridionale dopo l’unificazione. Soldati piemontesi e indomiti contadini del sud bollati come “briganti” si fronteggiarono in un conflitto senza quartiere dove non poteva albergare né pietà né rispetto. Quando,
di iniziare altrove una nuova vita. Da briganti si trasformarono in emigranti lasciando irrisolta una “questione”, quella “meridionale”, ancora drammaticamente attuale. Ma torniamo alle cifre. Tra i paesi bruciati dalle truppe sabaude anche Pontelandolfo e Casalduni, due piccoli centri del beneventano, a pochi chilometri da Telese. Tutto iniziò nell’agosto del 1861 quando
Napoli il re savoiardo. Quello che i contadini proprio non sopportavano era la spocchia dei liberali, dei “galantuomini” che, profittando del repentino cambio di vento, erano subito saliti sui piani più alti del “palazzo”. Prima non se la passavano certo male ma ora, incontrastati e riveriti, facevano il bello e cattivo tempo. Con la complicità dei governanti piemontesi si erano impossessati del-
le terre demaniali, il che aveva ingrandito a dismisura il loro già ragguardevole corpus patrimoniale. Eppure quel signore di rosso vestito aveva promesso ai “cafoni” una più giusta distribuzione delle terre. Colossale bugia. I contadini erano rimasti coperti di luridi stracci mentre i “signori” erano diventati più ricchi e più prepotenti. Che fare allora? Si doveva chinare ancora la testa? Sopportare di essere presi a calci nel sedere dal “padrone” di turno? Vivere della loro pietosa elemosina? No, questa volta la cosa non sarebbe andata a finire così. Era giunto il momento di ribellarsi, di prendere lo schioppo e di far valere le proprie ragioni. Qualcuno, del resto, lo aveva già fatto. Cosimo Giordano, caporale dell’esercito borbonico, dopo la battaglia del Volturno aveva formato una banda e si era dato alla macchia. Proprio a lui i contadini di Pontelandolfo si rivolsero per ottenere giustizia.
E per impartire una lezione a Lorenzo Melchiorre, sindaco arrogante e borioso, ricco latifondista che continuava a fare i suoi comodi incurante delle necessità del volgo. Adesso, poi, adducendo motivi di ordine pubblico, aveva persino proibito lo svolgimento della fiera. Questo era davvero troppo. Si doveva fare qualcosa. Magari confidando nel-
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23 la complicità del primo cittadino di Casalduni che aveva molta nostalgia dei tempi passati. Il 7 di agosto Giordano, a capo della sua banda, entrò in Pontelandolfo. Profittando della fuga dei galantuomini, sindaco in primis, provvide subito a restaurare il governo borbonico, issando tra gli evviva della gente il vessillo con i gigli napoletani sull’alto della torre. Fece poi partire la processione imponendo ai sacerdoti, non troppo riluttanti per la verità, di cantare un solenne Te Deum in onore di re Francesco. Il fermento si estese alla vicina Casalduni dove, come per incanto, apparvero dappertutto drappi borbonici. Non fu, però, solamente un festoso tripudio di bandiere. I briganti, spalleggiati dai locali, si misero subito alla ricerca di quelli che avevano favorito il nuovo stato di cose. Le loro case vennero messe sotto sopra e ci scappò anche qualche morto. Tra i primi a cadere l’esattore che voleva far pagare ai contadini le tasse da ver-
dati della scorta e sequestrando il denaro. La notizia dei due paesi in rivolta giunse al comando provinciale di Benevento che ordinò al tenente Bracci di recarsi in ricognizione a Pontelandolfo. L’11 agosto l’ufficiale faceva il suo ingresso nel paese con un drappello di carabinieri. Qui venne subito assalito da un folto stuolo di contadini e di briganti. I soldati, non riuscendo a reggere l’improvviso assalto, trovarono rifugio nella torre. La qualcosa, però, non servì a molto.
sare nell’erario sabaudo. Quelle imposte che non avevano mai pagato. Come facevano a pagarle, del resto, se non possedevano niente? I briganti assalirono pure la carrozza postale uccidendo i sol-
agosto 500 bersaglieri del 18° battaglione entravano in Pontelandolfo provvedendo a ristabilire la normalità della situazione. “Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli
Dopo uno scontro violento il tenente e 45 carabinieri rimasero uccisi. I popolani tagliarono la testa all’ufficiale e la portarono in giro per le strade del paese. Il grave episodio non poteva restare impunito. Il generale Cialdini ordinò al colonnello Negri che “di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga che pietra su pietra”. E così accadde. Il 14
uomini, quanti capitava… I pochi che erano rimasti si chiusero in casa ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte.
Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava”: così annotò un militare sabaudo che aveva preso parte all’azione. Pontelandolfo fu ridotto in un ammasso fumante di macere. Casalduni subì la stessa sorte ad opera dei soldati del maggiore Melegari. Subito dopo, portandosi dietro molti popolani con i ferri ai polsi, i piemontesi si misero in marcia per tornare al comando. Giunto a Fragneto Monforte il colonnello Negri telegrafò soddisfatto a Cialdini: “Giovedì 14 agosto 1861. Ieri all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora”. Quanti furono i morti? Difficile dir-
l’Identità
l o con precisione. Non si è lontani dal vero ipotizzando parecchie centinaia di vittime. Un giornale del tempo, ‘Il Popolo d’Italia’, sfacciatamente filo governativo, parlò di 164 morti: tale cifra, però, risulta sottostimata di parecchio. Tra i martiri di Pontelandolfo vi fu anche Concettina Biondi, una tenera ed indifesa ragazzina stuprata e violentata a ripetizione da un branco di bestie a due zampe, da mascalzoni col cappello piumato venuti nel sud a portare la civiltà... Ma non era ancora finita. Per ordine di Cialdini i soldati piemontesi tornarono sul posto e provvidero ad arrestare altre persone. Alcune ritenute colpevoli della morte del tenente Bracci e dei suoi carabinieri, vennero fucilate. Altre condotte in catene a Benevento. I due paesi, già ridotti in cenere, furono letteralmente svuotati. E il brigante Cosimo Gioedano che fine aveva fatto? Arrestato a Genova venne condannato dalla Corte di Assise di Benevento ai lavori forzati a vita. Nel 1888, dopo quattro anni di dura reclusione nel bagno penale dell’isola di Favignana, passò a miglior vita.
l’Evento
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LE NOTTI DEI BRIGANTI
Un’emozionante esperienza a San Gregorio Matese
isogna andarci, a San Gregorio Matese, per capire. Perché fino alla più conosciuta Piedi-
IL CAPOBANDA
monte Matese, la vita non ti cambia granché. Ma quando arrivi all’incrocio e svolti a sinistra per cominciare, in un silenzio ovattato, ad arrampicarti verso
San Gregorio, come in quei racconti sulla macchina del tempo o, se vi diverte di più, come nelle scene iniziali di “Non ci resta che piangere” con Benigni e Troisi, niente sembra più come prima. L’auto comincia a sentire il peso della salita, ma tu non senti più nulla. E mentre il caos della modernità si perde alle tue spalle, tu sali, tornante dopo tornante, curva dopo curva, sempre più in alto, mentre dentro di te comincia ad insinuarsi il dubbio di aver sbagliato o la strada, o la dimensione. Guardi dal ciglio della strada in basso e ti accorgi che è cambiato anche il panorama, confuso e lontano. E, alla fine, ti accorgi che sei cambiato anche tu.
Abbiamo partecipato quest’anno alla manifestazione “Le notti dei Briganti”, giunta alla sua nona edizione o “scorribanda” – come la definiscono quelli dell’associazione organizzatrice “Briganti del Matese”. Davvero emozionante vedere e respirare quanto queste serate siano sentite dai cittadini e dagli organizzatori che rivoluzionano“brigantescamente” l’intero paese con canti, balli, costumi d’epoca, musica identitaria e gastronomia locale, preparata ed offerta ai visitatori dagli stessi abitanti fuori alle loro case. Nella nostra postazione abbiamo ospitato Luisa
Fattore, membro dell’associazione, chiedendole di spiegarci il senso di questa riuscita e sentita manifestazione.
«Si tratta di una rievocazione storica del periodo del brigantaggio -esordisce convinta-, San Gregorio è stato proprio uno scenario ideale in quel periodo per i briganti, che si nascondevano in queste zone. Una nostra conterranea, la Padovella, si diede alla macchia con un brigante e divenne brigantessa. Da questo episodio è nata un po’ l’idea di ripercorrere questa storia che ci appartiene. Normalmente, la prima sera (il venerdì) è dedicata all’aspetto culturale con un convegno. Quest’anno ci siamo occupati del volto femminile del brigantaggio, un excursus sulla figura della donna nell’ambito dello scenario di guerriglia partigiana preunitaria. E’ venuto fuori che c’erano le guerriere, le drude, c’erano quelle che avversavano il brigantaggio e quindi svelavano i nascondigli dei briganti. Invece, nelle serate successive, c’è uno spettacolo itinerante nel centro storico del paese con della musica tipica di tammorre e la pizzica che poi tocca i vari stand enogastronomici dove ognuno può gustare dei piatti tipici delle nostre zone. È un volersi riappropriare della propria storia e di voler conservare
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la memoria di quello che è stato e di quello che ancora c’è in noi: questa animosità, questa voglia di non
dei concorsi fotografici dai quali abbiamo ricavato un calendario che si vende ad un prezzo modico per
abbandonare le radici e di non farci usurpare la storia della nostra cultura». Da chi è nata l’idea? E com'è nata l’associazione? «È nata da un gruppo di ragazzi che si è messo un po’ a spulciare i vari studi storiografici che sono stati fatti e si è pensato di valorizzare questo piccolo borgo montano attraverso un periodo che ha caratterizzato la storia del paese. Sono ragazzi del posto che, nonostante le avversità, l’asprezza del territorio, non abbandonano il proprio paese natale. Inoltre c’è il patrocinio del Comune, della Proloco e poi tutte le mamme e le nonne che si prodigano a cucinare i piatti tipici della zona». Il periodo è sempre lo stesso? «Di solito è l’ultimo fine settimana di luglio, partendo dal venerdì: un periodo in cui generalmente il clima è un po’ più favorevole». Durante l’anno riprendete il tema con altre iniziative e proposte analoghe? «Durante l’anno ci prepariamo all’evento. Ci sono
autofinanziarci». Ai nostri microfoni anche Antonio Fattore e signora: una bella impresa bloccarlo qualche istante perché il brigante Antonio ha sempre qualcosa da mettere a posto o un dettaglio da curare… «Siamo veramente contenti perché, anche quest’anno, siamo qui per questa meravigliosa festa. La serata è stata positiva e ci auguriamo che le persone ospiti qui a San Gregorio, in questi giorni, siano soddisfatte».
Programmi per l’anno prossimo? State già progettando qualcosa? «Certo, vorremmo ancora ampliare questa manifestazione. Spero che anche voi del “Brigante” possiate darci una mano».
Abbigliamento e figura imponente da brigante, lo avviciniamo e scopriamo che si tratta del Vice-Sindaco Antonio Mallardo… «Siamo un popolo accogliente qui a San Gregorio Matese, e siamo felici
che questa sera si porti a conoscenza delle decine, centinaia di persone che verranno a visitare il nostro centro storico che è stato, come la storia ci insegna, luogo vissuto dai briganti. La nostra padovella, Maddalena De Lellis, è un nostro orgoglio, le nostre origini che fanno parte del nostro background che da nove anni ci permette di rivivere, in un contesto così suggestivo come quello del nostro centro storico, la nostra cittadina, i nostri emigranti, le nostre anziane che si cimentano nei piatti tipici del nostro paese: dallo spezzatino di pecora, al soffritto, alle nostre frittate. È tutto molto bello!». Ci complimentiamo per lo spirito ed il calore con cui tutti voi fate accoglienza, come è tipico del Sud, dando anche un incentivo turistico di sviluppo e possibilità dal punto di vista economico per il territorio… «Ringrazio l’associazione “Briganti del Matese” che si impegna in questo modo così proficuo perché, per essere giunti alla nona edizione, vuol dire che l’impegno è costante, duraturo e soprattutto è proficuo. Ringrazio la Proloco che insieme ai “Briganti” dà un impegno massimo. L’amministrazione comunale,
l’Evento
guidata dal sindaco Giuseppe Mallardo, tutta l’amministrazione, i consiglieri e la giunta, sono felici che si possa creare questa alchimia, perché è una vera e propria alchimia, che porta i suoi frutti». E così, tra passione e tradizione, annotiamo e consigliamo questa manifestazione che viene organizzata non per seguire quella che sta (in certi casi) pericolosamente diventando una moda, ma per un sentire profondo che pervade tutta una comunità. Basta vedere l’entusiasmo dei bambini in costume che, in gruppi nutriti e festanti, si fermano ogni cinquanta metri per cantare a squarciagola “Brigante se more”, inno ufficiale del brigantaggio a firma di Eugenio Bennato, o tentare di sfondare le tammorre per dare ritmo forsennato all’antigiacobina “Carmagnola”, e poi le scritte ed i ritratti di briganti appesi agli angoli delle viuzze, l’allegria con cui si fa festa, insieme, abitanti ed ospiti di quei magici tre giorni di fine luglio. Speriamo di essere riusciti a trasmettere la magia di questo evento. Ma rimaniamo convinti che, per capire…ci devi venire, qui, a San Gregorio Matese.
la Memoria
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Pietra Arsa 1863
Un ricordo in musica
ei Agosto 2014, 151 anni dopo la prima rivolta operaia d’Italia avvenuta a Pietrarsa da parte dei lavoratori dell’opificio, sino a quel momento considerato da più parti un fiore all’occhiello della produzione industriale della penisola, che si ribellavano alla nuova politica aziendale fatta di licenziamenti ed ingiustizie. Il verme della vendetta, generato dall’invidia e dall’impotenza, da parte del nord si era insidiato, ed a poco a poco Pietrarsa fu sacrificata per l’Ansaldo e via via le fabbriche del Sud chiusero per dar spazio a quelle del nord. Quest’anno la celebrazione è avvenuta presso Villa Signorini, gioiello del ‘700 napoletano che mantiene ancora intatto il suo splendore originario, perché il Museo Ferroviario di Pietrarsa è stato devastato durante il nubifragio dello scorso giugno. Gli organizzatori della manifestazione Francesco Menna e Libera D’Angelo però non si sono tirati indietro ed hanno deciso di realizzare comunque una giornata rievocativa presso Villa Signorini. La serata ha visto 3 momenti diversi, nel primo Menna e D’Angelo, assieme al giornalista Gigi di Fiore, allo scrittore Mimmo della Corte e al maestro Giancarlo Amo-
SILVIA BASSI
relli hanno ripercorso le vicende che precedettero il 1863 riportando un articolo del Pungolo in cui si cominciavano a buttare le
basi per quello che poi sarebbe avvenuto parlando dell’opificio in modo negativo anche dal punto di vista produttivo. Anche il
Brigante era presente a questa manifestazione, e come poteva non esserlo?, con uno stand informativo .
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la Memoria
Il nostro vice direttore Simona Buonaura ha inoltre portato i saluti della redazione e nel suo intervento ha ribadito quella che è la missione della nostra testata multimediale ovvero salvaguardare la memoria di quello che è stato e lottare affinché la storia sia raccontata dall’angolatura giusta, in modo puntuale e senza le sbavature e le bugie che affollano (hai noi! ) i nostri libri di scuola!
Poi è cominciato il concerto dell’Ensamble Vocale Musincanto del Teatro San Carlo diretto dal maestro
Amorelli con al piano il maestro Francesco Pareti. L’Inno Borbonico ha dato il via alle altre esibizioni
come Audite Silete, Qui Tollis, Tira tira pensier, Funiculì Funiculà e tanti
Tra il primo e secondo tempo una degustazione di prodotti tipici bagnati di
altri. Anche in quest’occasione Amorelli ha voluto presentare un brano della cosiddetta musica leggera quale Tu si na cosa di Domenico Modugno che ha riscosso molto successo.
vini vesuviani con i dolci del maestro pasticciere Sabatino Sicica hanno fatto da cornice ad una fresca serata di inizio Agosto in una location che vale la pena di essere visitata.
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l’Omaggio
APPLE PREMIA IL SUD ITALIA
’argomento napoletano lingua o vernacolo è sempre attuale e non trova mai una risposta univoca, infatti se da una parte alcuni studiosi affermano che non lo è dall’altra ci sono altri illustri linguisti a giurare che invece lo sia in quanto ha delle caratteristiche che lo rendono diverso dai dialetti per pronuncia e specifiche tecniche dell’idioma. Lingua o dialetto che sia, il napoletano varca i confini nazionali ed internazionali ed a differenza di dialetti e lingue sconosciute ai più del pianeta è apprezzato anche dal punto di vista musicale. Detto questo è interessante scoprire che nel prossimo sistema operativo di casa Apple l’ OS X 10.10 Yosemite , atteso in commercio il prossimo febbraio, che prevede il supporto a nuove lingue per
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SIMONA BUONAURA
sistema e applicazioni, saranno inclusi il napoletano ed il siciliano, idiomi riconosciuti dall’Unesco. Da tempo infatti l’Unesco si è schierato a favore dei
gua”. Entrando nello specifico tecnico dalle Preferenze di Sistema, scegliendo “Lingua e Zona” è possibile impostare la lingua di
due antichi dialetti italiani dichiarandoli vere e proprie lingue madri spiegando che “A differenza degli altri dialetti il siciliano ed il napoletano risultano vivi ed in continua evoluzione come qualsiasi altra lin-
default da utilizzare nei menu, nelle finestre di dialogo, oltre a impostare il formato di data, ora e valuta in base al paese e alla lingua selezionata. OS X permette di scegliere la lingua da usare per default
nel sistema operativo e nelle applicazioni (per esempio, nei menu e nei messaggi) e sui siti web (se disponibile tra le lingua supportate). Se un’applicazione supporta la lingua principale, viene utilizzata tale lingua. In c a s o contrario, vengono utilizzate le altre lingue, nell’ordine indicato nelle preferenze. Se OS X o un’applicazione supporta la lingua principale, i menu e i messaggi vengono mostrati in tale lingua. In caso contrario, viene utilizzata la seconda lingua dell’elenco, e così via.
Agente 007 - Scozia (Operazione indipendenza)
l prossimo 18 Settembre in Scozia si terrà il Referendum per l'indipendenza della Scozia indetto dal Governo scozzese in seguito ad un accordo tra il primo ministro scozzese Alex Salmond e il premier britannico David Cameron. Gli elettori in cabina si troveranno il seguente quesito: "Dovrebbe la Scozia essere uno stato indipendente?". Le ultime proiezioni portano ad una leggera flessione positiva del Sì, (51% contro il 49%) facendo tremare gli unionisti che vedrebbero cambiare il percorso della storia dopo 300 anni. La Regina segue costantemente l’evoluzione dei sondaggi anche se si è sempre dichiarata neutra rispetto a qualsiasi risultato. Anche in questa importante occasione non mancano i vip schierati: dalla parte del No ci sono l’autrice di Harry Potter J.K. Rowling, David Bowie, Mick Jagger, Stephen Hawking e Judi Dench (tutti inglesi), e i calciatori scozzesi “all time”, guidati da Denis Law, Ally McCoist, David Moyes e Ian Durrant e l’ex guida del Manchester United, Sir Alex Ferguson, e la cantante Susan Boyle, anche loro scozzesi. Sul fronte del Sì invece la cantante Annie Lennox e la cantautrice Amy Macdonald, il comico Kevin Bridges, e anche l’ex ambasciatrice britannica presso la Nato, Mariot Leslie. Ma su tutti si alza la voce del secessionista di ferro l’attore Sean Connery, sangue Scottish, che a più riprese ha sostenuto quanto «l’opportunità dell’indipendenza sia troppo buona per essere mancata». Sim. Buo.
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l’Appuntamento IL FESTIVAL MONDIALE DELLE RESISTENZE E LE RIBELLIONI CONTRO IL CAPITALISMO
on la manifestazione dal titolo Comparticion entre Cni e pueblos zapatistas- presso Caracol de La Realidad, l’Ezln ha dato appuntamento nel-
la Selva Lacandona ai popoli indigeni di tutto il Messico. Dal 4 al 9 agosto scorso infatti, i delegati una trentina tra popoli, tribù e nazioni, arrivati da tutto il Paese, hanno messo in comune le proprie lotte, le «resistenze» e le «ribellioni« che in tutto il Messico rivendicano il riconoscimento dei diritti dei popoli originari sulle terre che abitano e che curano. Al termine della manifestazione EZLN e CNI hanno convocato il Primo Festival Mondiale delle Resistenze e le Ribellioni contro il Capitalismo, Festival mundial de las resistencias y rebeldias, che si terrà dal 21 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015. Si tratta di una manifestazione itinerante che verrà inaugurata nell’Estado de México e prevede iniziative a Città del Messico, il Capodanno nel Caracol zapatista di Oventic, in Chiapas, e la chiusura presso l’Universita della terra di San Cristobal de Las Casas.
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Durante la cerimonia, che si e aperta con l’inno messicano e chiusa con quello zapatista, il Subcomandante insurgente Moises, che guida l’Ezln, ha lanciato l’invito al Festival che si aprirà il prossimo 21 dicembre anche Oltreoceano, abbrac ciando idealmente iniziative come il Forum contro le grandi opere inutili e imposte (per l’Italia partecipano, tra gli altri, il Movimento No Tav, re:Common e Opzione Zero, che si batte contro l’autostrada tra Orte e Mestre) e il Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio (www.salvia moilpaesaggio.it). Di seguito un estratto dell’invito al Festival da parte degli organizzatori: “Veniamo per condividere i nostri sentimenti e dolori che ci ha causato questo sistema neoliberale. Ma è altrettanto certo che condividiamo le valide conoscenze, esperienze di lotta, di organizzazione.
Impegni e sfide di fronte ai capitalisti invasori e neoliberali che tanto danno ci hanno causato.”(EZLN, agosto 2014) Ai fratelli e sorelle della Sexta nazionale e internazionale: Riuniti i nostri popoli nella Condivisione dei Popoli Zapatisti e del Congresso Nazionale Indigeno “David Ruíz García”, abbiamo parlato delle nostre sofferenze, delle nostre parole ed esperienze di lotta, ribellione e resistenza. Insieme sappiamo che nelle nostre ribellioni ci sono i nostri “NO” alla politica di distruzione che fa il capitalismo in tutto il mondo. E sappiamo che nelle nostre resistenze ci sono i semi del mondo che vogliamo. Queste ribellioni e resistenze non sono solo dei popoli originari del Messico. Sono anche nei passi dei popoli originari di tutto il continente e in tutti gli angoli del pianeta dove individui, gruppi, collettivi e organizzazioni non solo dicono “NO” alla distruzione, ma anche stanno costruendo qualcosa di nuovo. Nella difesa della madre
terra, nella lotta per l’umanità e contro il neoliberismo, non c’è una lotta piccola. Questa gigantesca condivisione mondiale sarà nei giorni dal 22 dicembre del 2014 al 3 gennaio 2015 nei seguenti luoghi: Inaugurazione nella comunità Ñatho di San Francisco Xochicuautla, Lerma, Estado de México, il giorno 21 dicembre 2014. Condivisione nelle comunità di San Francisco Xochicuautla e in Amilzingo, Morelos i giorni 22 e 23 dicembre 2014. Gran Festival Culturale nel Distrito Federal i giorni 24, 25 e 26 dicembre 2014. Continuazione della condivisione nelle comunità di Binnizá di Juchitán, Oaxaca, e nella penisola di Yucatán, i giorni 28 e 29 dicembre del 2014. Festa della ribellione e resistenza anticapitalista nel Caracol di Oventic i giorni 31 di dicembre e il primo gennaio 2015. Conclusioni e chiusura, pronunciamento e dichiarazioni nel CIDECI, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, i giorni 2 e 3 gennaio 2015.
la Ricorrenza
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IL SANGUE DI SAN GENNARO? ANTISAVOIARDO E TIFOSO DEI BORBONE SERG IO ZAZZERA
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l patrocinio accordato da san Gennaro (Benevento 272 – Pozzuoli 305) alla città di Napoli si è sempre manifestato, al massimo grado, attraverso il prodigio della fusione delle reliquie del suo sangue. Sì, “prodigio della fusione” e non “miracolo della liquefazione”, come comunemente si dice, commettendo due errori: non “miracolo”, perché la Chiesa, per prima, non ha mai attribuito tale qualificazione all’evento; non “liquefazione”, che consiste nel passaggio della materia allo stato liquido da quello aeriforme, non da quello solido. Secondo la tradizione, l’evento si sarebbe verifi-
cato, per la prima volta, al tempo di Costantino I – vale a dire, pochi anni dopo il martirio del santo -, quando, durante la traslazione dei resti mortali del vescovo Gennaro dall’Agro Marciano, dov’erano sepolti, alle Catacombe a lui oggi intitolate, nel borgo della Sanità, il corteo raggiunse la collina del Vomero, percorrendo la via Antiniana, ovvero via Puteolis Neapolim per colles. La leggenda, infatti, vuole che, in località Antignano, la vecchia nutrice del santo, Eusebia, avrebbe consegnato al vescovo Severo le ampolline, nelle quali era contenuto il sangue di lui, ormai raggrumato, ch’ella aveva raccolto al momento della decapita-
zione; sangue che, appena accostato al corpo del santo, sarebbe prodigiosamente tornato allo stato liquido. Della leggenda offre una rappresentazione plastica il bassorilievo scolpito da Vincenzo Meconio, collocato nella
zione e la leggenda, altro è la storia: la prima notizia certa della manifestazione del fenomeno, infatti, risale soltanto al 1389 ed è riportata dal Chronicon Siculum; peraltro, esso si ripete tre volte, nel corso dell’anno: il sabato che precede
basilica di San Gennaro ad Antignano, edificata in quello stesso luogo, e di essa rimane, altresì, traccia anche nel modo di dire popolare: se so’ ‘ncuntrate ‘o sango e ‘a testa, col quale, però, si suole stigmatizzare, con una buona dose d’ironia, l’incontro fra due persone poco raccomandabili. Altro, però, sono la tradi-
la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre. Come che sia, dalla circostanza che il sangue del santo fonda oppure no, il popolo ha sempre ritenuto di poter trarre, in maniera più che un tantino superstiziosa, auspici positivi o negativi per l’immediato futuro della città, al punto che, quando il fenomeno tarda a
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31 manifestarsi, le pie vecchine che sono ritenute – anzi, esse stesse si ritengono – “parenti” del martire, non esitano a rivolgergli pittoreschi rimproveri,
carsi. E neppure è mancato chi, come Alexandre Dumas figlio, ha provato a mettere in berlina il santo, asserendo ch’egli, in quanto figlio d’un senatore e di
giungendo a gratificarlo perfino dell’appellativo di faccia gialluta. Né, poi, è mancato chi ha inteso equivocare (magari, anche intenzionalmente) sulla serietà dell’evento, come Roger Peyrefitte, il quale interpreta l’orario indicato sull’invito ad assistere al rito in Cattedrale come il termine perentorio entro il quale l’evento dovrà verifi-
una patrizia, sarebbe più importante di Gesù Cristo, figlio di un semplice falegname e di una povera donna. Una singolarità, nella cronologia del prodigio, merita di essere ricordata – così, come di recente ha fatto monsignor Vincenzo De Gregorio, abate del Tesoro, nel corso della tra-
smissione televisiva Voyager -, ed è quella che mai il sangue del martire si è fuso in presenza di regnanti di Casa Savoia. A rimanere con un palmo di naso fu, una prima volta, Vittorio Emanuele II, nel 1861; la delusione toccò, poi, nel 1870, alla regina Margherita (quella che si vuole mangiasse il pollo con le dita); il terzo sovrano, infine, ad andarsene “come gli antichi” fu, nel 1931, Umberto I, a onta del fatto ch’egli stesso avesse donato al santo una Croce di brillanti e smeraldi. E l’irriconoscente oltraggio dovette apparire talmente grave, che dopo di lui nessun altro membro della famiglia regnante osò più farsi vivo nella Cattedrale napoletana nelle occasioni rituali. Dunque, della dinastia reale dell’Italia unita il santo vescovo e martire Gennaro proprio non ha mai voluto saperne; e dire che il suo sangue si è fuso, senza alcuna difficoltà, alla presenza di sovrani e capi di Stato di tutte le parti del
la Ricorrenza mondo.
Qualcuno ha commentato questa successione di mancate verificazioni del prodigio con l’affermazione che, evidentemente, l’orientamento politico di san Gennaro sarebbe stato d’ispirazione repubblicana, facendo appello a quanto avvenuto nel 1799, allorché, al tempo della Rivoluzione napoletana, il popolo acclamò patrono della città sant’Antonio di Padova, sostituendolo a lui, accusato di avere parteggiato per i giacobini, e consentendone la reintegrazione nel ruolo soltanto nel 1814. A ben riflettere, però, poiché tale reintegrazione avvenne sotto il regno del napoleonide Gioacchino Murat, e poiché, l’anno successivo, Ferdinando, ritornato sul trono come primo re delle Due Sicilie, ne diede conferma, la conclusione non può essere che una: altro che repubblicano; l’antisavoiardo san Gennaro era sicuramente un accanito tifoso della Casa reale di Borbone.
l’Arte
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SAN GENNARO E LA SUA EDICOLA VOTIVA MIRACOLO RINASCIMENTALE ILARIA IODICE
della lava verso il centro cittadino, arrestandola all'altezza del Ponte della Maddalena.
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'edicola votiva dedicata a San Gennaro è situata sul sagrato della chiesa di Santa Caterina a Formiello, elegante costruzione rinascimentale a ridosso di quel tratto delle mura cittadine del periodo aragonese - databili al 1484 - che culminano nella magnificente Porta Capuana. La porta, oggi giorno, si erge quasi come un'imponente e maestosa cornice a tutta l'area dell'ex complesso conventuale domenicano, costituito dalla chiesa e da due chiostri intensamente modificatinel tempo. L'opera in onore del santo patrono della città fu disegnata in forme barocche dal celebre
architetto Ferdinando Sanfelice, astro ingegnoso del barocco napoletano; e fu realizzato in piperno e marmo da Lorenzo e Domenico Antonio Vaccaro, padre e figlio estremamente prolifici nella produzione artistica del panorama barocco e roccocò.
Il monumento fu commissionato e finanziato dalla deputazione del Tesoro di San Gennaro in qualità di ex-voto al Santo che, secondo i suoi devoti, aveva salvato la città da diverse calamità, prima fra tutte l'eruzione del Vesuvio del 1631, durante la quale, secondo le cronache, una statua del Santo portata in processione era riuscita a fermare il rapido avanzare
L'opera è una sintesi perfetta del modo di fare arte napoletano. La città è infatti caratterizzata, già fin dal Medioevo, da una commistione di influenze e culture di matrici diverse, principalmente francesi e spagnole, unite a maestranze locali, che fondendosi gradualmente hanno dato luogo a manufatti assolutamente originali ed eterogenei, non solo da un punto di vista stilistico, ma soprattutto nel modo di essere concepiti: basti pensare all'arco trionfale voluto da Alfonso II d'Aragona a coronamento dell'ingresso di Castel Nuovo, o alle guglie che svettano al centro delle piazze storiche napoletane - quella dedicata a San Domenico nella piazza omonima, all'Immacolata in piazza del Gesù ed allo stesso San Gennaro in piazza Riario Sforza - a Napoli la scultura si fa architettura, in un'unione di forme ed elementi strutturali quasi inscindibili. Nell'edicola di Santa Caterina a Formiello ogni elemento architettonico è finemente decorato, rendendo così l'opera emblema e paradigma del barocco napoletano, di cui
si colgono infatti le caratteristiche stilistiche dominanti in ogni dettaglio: il dominio assoluto della linea curva o spezzata, che costringe lo sguardo dell'osservatore a perdersi negli orpelli lapidei, le forme classiche rivisitate e rivoluzionate in un funzione di un'innovazione stilistica che stupisca e rapisca qualsiasi osservatore, le volute laterali scolpite nel piperno come un'elegante incisione elicoidale, il timpano spezzato che corona il monumento entro il quale si iscrive lo stemma cittadino, la cornice ottagonale che racchiude il busto del santo, l'epigrafe posta alla base della cornice lavorata come fosse un delicato panneggio marmoreo affisso al monumento. Il Barocco nacque come risposta alla migrazione
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l’Arte
33 dei fedeli verso la religione luterana. Nel Seicento, infatti, la Chiesa Cattolica
to con la complessità stilistica degli autori napoletani, non poteva trovare
la statua che manca della mano destra, sporgente rispetto al busto del santo. Ma, al di là dello stile e delle evidenze materiali, il protagonista di quest'opera è l'oggetto della devozione di tutti i partenopei, San Gennaro, il santo patrono che intercede per salvare la sua città dalle sciagure.
monumento del Sanfelice contribuisce a delineare il quadro di un'idea popolare che vede nel proprio patrono un carattere passionale e spregiudicato, spiegando anche perché la statua sia priva della mano che nel passato era posta verso il Vesuvio, come a bloccarne le colate laviche. Si dice che un giorno, un giovane della zona, si fosse recato presso il monumento ed avesse iniziato a
sue opere, Erri de Luca, cresciuto in città, ha definito San Gennaro come un santo "pratico di eruzioni, stratega difensivo" e "tellurico", come lo è il suo popolo. L'orientamento del monumento, sul sagrato della chiesa, per cui San Gennaro è per l'appunto con il viso rivolto verso il Vesuvio, sembra sottolineare ed avvalorare l'interpretazione che De Luca dà alla devozione dei napoletani per il Santo.
maledire il Santo con ingiurie e bestemmie, portandosi al di sotto della statua.
Uno degli scrittori che più ha parlato di Napoli nelle
aveva bisogno di attirare nuovamente a sé i cristiani "persi" durante la riforma protestante. In clima di Controriforma, l'arte diventa strumento per stupire e fare presa sull'immaginario
dei fedeli delusi, oltre che per evidenziare un rinnovamento dell'antica istituzione chiesa che rompesse con le pratiche poco ortodosse che avevano originato lo scisma. Questo concetto, coniuga-
migliore espressione dell'edicola di San Gennaro a Santa Caterina a Formiello.
Da un punto di vista conservativo, il monumento
versa oggi in uno stato di degrado che necessita di un intervento di restauro. Scritte di bomboletta, vegetazione cresciuta tra le intercapedini dei lastroni di piperno, tre lati della cornice di marmo ormai persi,
Anche un aneddoto che ancora oggi si racconta a Porta Capuana relativo al
ILARIA, QUEL MIRACOLO CHE NON È AVVENUTO
In risposta a tale atteggiamento blasfemo, la mano oggi monca della statua si staccò e cadde sulla bocca del bestemmiatore, mettendolo a tacere. Il racconto quindi, evidenzia sia il carattere sanguigno e vendicativo del santo, che un altro fondamentale aspetto della credenza popolare: che la statua di San Gennaro ascolti e veda tutti quelli che si rechino presso di lui, e che soprattutto risponda!
Quando ci è arrivato in redazione questo pezzo di Ilaria Iodice non avremmo mai immaginato che sarebbe stato l’ultimo. E’ stata solo pochi mesi con noi, ma sono stati ricchi di grande entusiasmo, voglia di fare, passione e amore per la sua terra. Un male incurabile l’ha portata via a noi ed alla sua famiglia nel fiore degli anni. Insieme al naturale dolore ci lascia un ricordo positivo e malinconico, un paradossale invito a vivere ogni attimo gioiosamente, nella segno della speranza. Anche se quel miracolo che avremmo voluto non si è realizzato.
la Gastronomia
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TIRIAMOCI SÙ
Un poco di zucchero e la pillola va giù ROSI PADOVANI
B
asta un poco di zucchero…. Canticchia Maria, chinata sull’asse. Lava e strofina con rabbia la candida camicetta profumata di bucato, quella di tutti i giorni, oramai anche dei giorni di festa. Un rivolo impudente di sudore le solca la fronte, gesti rapidi e sicuri delle braccia turgide la scuotono, mentre un audace raggio di sole rompe la penombra. Quell’artista bohémienne le scolpisce il profilo dolce e triste, scavalca prepotente gli scuri socchiusi della finestra nel caldo pomeriggio di una estate incerta (l’anticiclone non vuole proprio entrare, anche lui è di malumore), amara di sacrifici e puzzolente di guerre e di orrore nell’aria. Sospe-
sa, come ora è sospesa lei. Strofina Maria, per non sentire il tanfo dell’immenso dolore del mondo, il fetore della violenza, l’indignazione, bestie prepotenti affamate di vanagloria senza rispetto nel genere umano. Strizza Maria, e pensa a sé stessa, da quanto non ne acquista una nuova. Tanto, troppo tempo che non si concede nulla. L’amaro dei sacrifici richiesti a chi adora le sale alle labbra, la fiducia affidata male, nella speranza di un futuro migliore e più certo, è rimandata ancora e questo, oramai, sempre più lontano da raggiungere. Canticchia Maria …e la pillola va giù! Pensa e ripensa, ma poi sorride a se’ stessa mentre
la miracolosa formuletta le torna alla mente cantata dalla dolce Mary Poppins, e magicamente per un attimo rimanda tristezza e stanchezza. Scende di corsa le scale, un impeto di vogliosa ribellione la assale, in cucina apre il frigo. Frutti di stagione freschi allegramente innocenti proiettano i loro colori iridescenti: pesche vellutate, anguria succulenta, melone dorato, fichi dalla polpa caramello e prugne indaco ammiccano dalla coppa dove sono riposte per una rivolta contro il pessimismo, facendosi desiderare per un istante di infinita dolcezza spensierata. Maria ne addenta la polpa fresca e per qualche breve momento ritornano serenità e buon umore, le seroto-
nine e le beta-endorfine, dall’ effetto rasserenante, rendono possibile ingerire pillole amare, e digerire momenti difficili. La ricotta è fresca, l’ha presa dal pastore proprio stamattina, e le uova calde, Guendalina è generosa, almeno lei, e non gliele fa mancare mai. Qualche biscotto c’è nella credenza, ed ecco che in un battibaleno un fantasioso palliativo alla tristezza si concretizza tra le mani creative e laboriose che confezionano con amore un fresco dessert di frutta genuino e leggero, digeribile ed economico, un Tiramisù energetico per ritrovare la forza e l’ottimismo. L’autunno arriva, Maria, e il vento può cambiare.
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la Gastronomia
TIRAMISU’ ALLA FRUTTA Per la crema 250g ricotta di capra freschissima (ottimo anche il Philadelphia light) 4 Uova 4 cucchiai Zucchero + 2 per la frutta 1 presa Sale 1 pacco Savoiardi Frutta mista a piacere q.b. 1 limone Qualche foglia di mentuccia
Tagliate a cubetti la frutta che più vi ingolosisce e conditela con il succo di un limone, due cucchiai di zucchero, qualche foglia di mentuccia, un po’ di Sambuca o altro liquore dolce se piace, e mettete da parte. Il procedimento per la crema è lo stesso del tiramisù tradizionale, sostituendo la ricotta al mascarpone e la frutta al caffè viene più leggero e molto fresco. Montate gli albumi a neve ferma con un pizzico di sale e lasciateli da parte. Montate i tuorli con lo zucchero finché non diventano bianchi
e spumosi, aggiungete la ricotta mescolando per bene e infine, mescolando dal basso verso l'alto delicatamente, gli albumi montati a neve.
Sporcate la base di una terrina con poca crema (per far aderire meglio i savoiardi). Separate la frutta dal sughetto che si è formato e passate i savoiardi nel succo. Fate una base di savoiardi nella terrina, copriteli di crema e fate uno strato di frutta tagliata a cubetti o a fette sottili. Poi fate un secondo strato allo stesso modo e
decorate con altra frutta come più vi diverte. Conservare in frigo un paio d'ore prima di servire. Volendo si può guarnire
con una pioggia di cocco fresco tagliato a lamelle sottilissime o granella di torrone di noci e mandorle.
la Novità
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EDITORIA E DINTORNI
Nasce un nuovo sindacato dei giornalisti
l mondo dell’informazione affascina sempre di più i giovani, ma il sistema Paese sembra non riuscire a svecchiarsi dai bizantinismi che ne rallentano l’ammodernamento. Essere all’altezza dei tempi in cui la tecnologia si sviluppa con sempre maggiore velocità, fornendo nuove opportunità, non coincide con l’eterna staticità italiana che continua a proteggere i pochi maltrattando i più. Ma parlavamo del mondo dei giornalisti, anch’esso ricco di figure poco tutelate, dove però si segnala il neonato Movimento Unitario Giornalisti, presieduto da Mimmo Falco e che recentemente è stato presentato a Napoli. Al debutto del nuovo sin-
G INO G IAMMARINO
dacato anche il presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti Enzo Iacopino, ancora rattristato (si tratta, di un eufemismo) dagli accordi sui pagamenti delle prestazioni: «È un momento di vergogna - ci ha detto il presidente - per il sindacato unico dei giornalisti; la federazione della stampa con i comportamenti che ha tenuto in tema di equo-compenso e con le conclusioni devastanti dell’accordo contrattuale che ha sottoscritto, contribuendo a far scendere ancora i già miseri compensi per gli articoli». Vorremmo sapere la sua posizione sui piccoli editori che subiscono comunque vessazioni, sia dai grandi editori che ricevono contributi di vario genere, sia da alcu-
ne categorie di giornalisti che, con cause in Tribunale o comportamenti al limite, li mettono spesso al muro: una guerra tra piccoli che ricorda quella tra poveri? «Una cosa che io non accetto è la definizione di piccoli editori di stampa locale, perché quando ci sono testate, sia web che cartacee o video, che affrontano i problemi delle persone, non c’è niente di piccolo. Nell’ipotesi che avevamo messo a punto in tema di equo-compenso c’era, infatti, una divisione non solo per aree geografiche, ma anche per aree diffusionali. Perché è evidente che non si possa chiedere all’editore di un quotidiano o di una TV provinciale di sobbarcarsi gli stessi oneri del Corriere
della Sera o di Mediaset; però è altrettanto evidente che, siccome si sa che l’informazione costa, è inutile avventurarsi in roboanti progetti pensando di poterli tenere in piedi con la schiavitù dei colleghi che lavorano per tali iniziative». Successivamente abbiamo incontrato anche alcuni rappresentanti del Movimento, come Mario Orlando il quale è partito dal particolare momento economico: «Qualcuno un po’ avvilito ha chiesto dei chiarimenti, ha detto: ma l’ordine, il sindacato cosa stanno facendo? E quindi ho dato una risposta a nome del sindacato, chiarendo che il Movimento Giornalisti si schiererà al fianco di questi colleghi, delle difficoltà che loro affrontano,
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fornendo una struttura legale, amministrativa, con convenzioni». Perché tanta attenzione alle convenzioni? «Le convenzioni servono per alleviare la sofferenza, la difficoltà che purtroppo ognuno di noi, ma soprattutto i giovani affrontano. Grazie a noi potranno avere l’assistenza legale,
come dicevo, previdenziale, infortunistica con altre convenzioni per mettere nelle condizioni questi giovani di non affrontare queste difficoltà. Ecco perché chiediamo loro di venirci a trovare nella nostra sede in via Speranzella: a settembre ci saranno delle grosse novità per quanto riguarda una vertenza in
Campania sull’editoria. Vi chiediamo di venirci a visitare anche sul nostro sito “mugi.it” per seguire le nostre iniziative». Promette battaglia ed impegno anche Alessandro Sansoni… «Partiremo in settembre riunendo la nostra direzione nazionale, gli stati generali del giornalismo campano e meridionale, per fare il punto della situazione e successivamente inizieremo con la vertenza informazione qui in Campania e avvieremo anche un percorso di studi e di verifica per la presentazione della legge sull’editoria della nostra Regione. Ma soprattutto metteremo in campo la quotidiana assistenza e vicinanza ai nostri colleghi per difendere i loro diritti e per tenere botta e stare sul pezzo, rispetto alla crisi che nella nostra regione, è evidente, nel campo dell’editoria e del giornalismo è molto grave. In chiusura, il presidente del MUGI, Mimmo Falco, al quale
la Novità
abbiamo chiesto di spiegarci quali sono le dinamiche che muoveranno questa generosa proposta… «Una serie d’iniziative a tutela della categoria, una serie di convenzioni a costo zero. Noi dobbiamo tutelare la categoria, dandogli una serie di possibilità d’occupazione, non lavorativa, purtroppo, ma nei servizi, nell’assistenza legale, fiscale, sanitaria, tempo libero e, se riusciamo a fare questo, avremo fatto un piccolo passo avanti. Noi dobbiamo lasciare qualcosa agli altri: speriamo che questo movimento possa essere il viatico per i giovani».
lo Sfogo
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NAPOLI OCCASIONE PERDUTA
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La fondazione Santanelli sorgerà a Firenze
ascerà a la Firenze fondazione intitolata a Manlio Santanelli, il drammaturgo partenopeo tra i più prolifici in
Italia, che ha donato la sua biblioteca e le sue opere all’università del capoluogo toscano, mettendo la sua esperienza e la sua arte al servizio dei giovani e della cultura. Presso il palazzo storico Marucelli Fenzi, infatti, avrà luogo il centro con il nutrito lascito dell’autore napoletano di cui potranno usufruire i vincitori di borse di studio. Oltre cinquemila volumi e un’ottantina di commedie fanno di questo archivio un vero e proprio patrimonio letterario ed è molto doloroso dover assistere impotenti a una perdita così importante per la città di Napoli che, ancora una volta, si lascia sfuggire l’occasione di valorizzare
GABRIELLA DILIBERTO
se stessa e di ripartire da ciò che ha di più raro, il suo materiale umano e artistico. Finché non impareremo a tutelare noi stessi, sarà molto difficile che lo facciano gli altri e questa
è, forse, la delusione più grande come ci racconta lo stesso Santanelli. Una fondazione in suo nome a Firenze. Una vittoria personale ma una sconfitta per la città di Napoli. Cos’è accaduto? «L’approccio con l’università Federico II di Napoli non ha avuto i risultati sperati. Mi era stato promesso un incontro con il rettore ma non si è realizzato in tempi accettabili e poiché non sono abituato a bussare due volte a una porta nel momento in cui sto offrendo qualcosa, ho preferito rivolgermi a Firenze. Da tempo ho ottimi rapporti con la compagnia teatrale universitaria “Binario di scambio” fondata tra il
2006 e il 2007 da Teresa Megale. Ho incontrato il rettore dell’università di Firenze che ha superato le mie aspettative in termini di cortesia e disponibilità e ha molto gradito il mio
lascito». Si tratta di una donazione considerevole. «L’archivio è consistente e comprende ben cinquemila volumi e oltre ottanta commedie di cui solo trentacinque hanno visto la luce in Italia e soprattutto all’estero. Nel giro di un mese è stata trovata una sede d’eccezione per il nuovo centro studi. Il mio archivio sarà, infatti, collocato in un appartamento, comprensivo di due stanze e una mansarda nello storico palazzo Marucelli Fenzi e sarà adibito ad uso studio e foresteria per studenti o dottorandi vincitori di borse di studio. A giugno ho preso visione dell’appartamento e ora sono in
attesa di firmare il documento notarile». Nella sua vasta produzione si può notare una predilezione per determinati, specifici contenuti o la sua poetica ha affrontato argomenti
diversi? «Osservando molto gli altri, ho sempre sentito la necessità di non proporre la stessa cosa, ma tutte le volte qualcosa di differente e non cadere, quindi, nell’errore della prevedibilità e della monotonia. I miei testi, però, hanno un denominatore comune perché sono tutti casi limite basati sul paradosso e sull’ironia. Ho sempre pensato che nei casi comuni la gente non si identifichi». Questo significa che le situazioni paradossali non sono poi così rare nella vita di tutti i giorni? «Esattamente. La realtà è di per sé un paradosso. L’incredibile appartiene al quotidiano molto più di quello che si possa pensare e io mi sono soffermato spesso sulla famiglia per-
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39 ché è una società in miniatura contenente tutte le dinamiche possibili, il primo nucleo in cui tutto si palesa. La scrittura dev’essere un atto di coraggio e, dunque, un viaggio verso terre non ancora scoperte, altrimenti si autoelimina, si censura». Scrivere dunque non è di per sé un atto di coraggio? «Non lo è a priori. La funzione della scrittura è, a mio avviso, fare luce sui coni d’ombra, sulle molteplici personalità esistenti e sui rapporti umani dotati di mille sfaccettature, non un’analisi di ciò che già si conosce». Per quale ragione molte sue opere finora non sono state rappresentate? «La ragione è strettamente legata al momento storico. Negli anni ‘70 soffiava un vento ricco di cose nuove e curiosità. Si può addirittura parlare di un rinascimento napoletano che ha coinciso con la fine dell’attività di Eduardo De Filippo, il quale aveva notevolmente immobilizzato la scena. “La gatta cenerentola” e il teatro musicale hanno permesso di voltare pagina. Non è un caso che il mio battesimo artistico sia avvenuto con “Uscita di emergenza” nel 1980 al teatro San Ferdinando di Napoli e che nel 1985 con il testo “Regina Madre”, tradotto in ben diciannove lingue, abbia riscontrato un grande successo soprattutto all’estero». Dopo come sono cambiate le cose? «La scena italiana si è chiusa sui classici per il timore di sperimentare e rischiare. I teatri stabili non svolgono il loro giusto compito, tradiscono se stessi non promuovendo la
lo Sfogo
drammaturgia contemporanea e si uccide il respiro libero della creatività». Quanti sono i testi teatrali ancora inediti? «Almeno quaranta. Intravedo però alcuni spiragli e voglio essere ottimista. Purtroppo in Italia viene dato molto spazio alla narrativa e poco al teatro, mentre non accade così
‘91 e il ‘92. Si tratta di un soggetto molto dettagliato di cento pagine che purtroppo non ha potuto realizzarsi. Dopo l’operazione fatta in America, Troisi dovette dare la precedenza al film “Il Postino” di cui stavano scadendo i diritti. Ora, invece di mettere in piedi questo film senza Massimo, preferisco tra-
non si cade”, da cui è stato tratto uno spettacolo andato in scena con successo quest’estate nell’ambito del “Napoli Teatro Festival”, presenteremo, a breve, la raccolta di racconti “Militari, religiose e piedi difficili”. Il titolo riporta le parole dell’insegna di un calzolaio del centro storico che colpì la mia fantasia
negli altri paesi. Il teatro dovrebbe avere la precedenza o, almeno, narrativa e teatro dovrebbero godere di pari dignità. Spero con le opere narrative, a cui mi sto dedicando in questo periodo, di arrivare al teatro. Intanto il 2 ottobre a Roma andrà in scena “Regina Madre” con Milena Vukotic e sono molto felice perché so, con lei, di essere in ottime mani». Tra i tesi inediti esiste anche il soggetto di un film incentrato sui briganti che avrebbe dovuto interpretare Massimo Troisi. Riusciremo comunque a vederlo sul grande schermo? «L’idea di questo film nacque proprio con Troisi tra il
sformare le cento cartelle di questo lungo soggetto rimasto inedito in un romanzo. Esiste, infatti, anche un altro problema. Prima il cinema attingeva molto dal teatro, ora accade il contrario per una sorta di pigrizia intellettuale e i soggetti dei drammaturghi non vengono presi in considerazione ma messi da parte. Il romanzo che mi propongo di scrivere, invece, potrà avere una maggiore visibilità e aprirsi una porta per il cinema». A proposito di libri, sta per uscire un’altra pubblicazione, la seconda edita dalla Giammarino editore. Di cosa parla? «Dopo il libro “Per oggi
negli anni del dopoguerra. I racconti contenuti nel libro, però, non sono legati a quel momento storico e trattano il tema dell’insolito, a me molto caro».
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la Storia
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LE COLPE DEI BORBONE
Terzo appuntamento con le vicende degli ultimi Re di Napoli
uando la Patria è in pericolo il popolo è in diritto di chiedere al suo Re che la difenda perché i Re sono fatti per i popoli e non i
popoli per i Re Così inizia l’Appello di salvezza pubblica che il popolo napoletano indirizza al suo Re, Francesco II, e se non è un atto d’accusa questo, sappiatemi voi dire cos’è. Di questo episodio, al pari di tantissimi altri, trascurato, ignorato, mai citato eppure importantissimo si è dato ampio spazio in La Storia Manipolata, 18601861 evitiamo, pertanto, di ripetere cose già dette anche se non è mai tempo perso affermare mille volte la stessa verità.
Il popolo napoletano, quindi, prima di tutti i grandi storiografi che “tenevano” e “tengono” tuttora “famiglia” inquadrò in quei giorni la situazione ed espresse il suo giudizio davanti agli
LUCIANO SALERA
uomini ed alla Storia, ma come spesso accade - i vincitori erano distratti e non si accorsero di niente. La storia dovevano scriverla loro e, in quel momento, stavano ancora pensando da dove comin-
ciare per scriverla a loro uso e consumo! Ma questo non è sufficiente ad incolpare Re Francesco. Certo è una sua grande responsabilità non aver affrontato la situazione con il piglio dell’uomo d’armi, ma - se andiamo ad analizzare cosa avvenne, dopo, in Italia, quando Umberto II - senza colpo ferire - fu costretto, grazie ad un referendum monarchiarepubblica fasullo al pari di tutti i plebisciti unitari indetti dal perfido Cavour e dal suo bieco mandante Vittorio Emanuele II, vedremo come la Storia si ripete. Per le Due Sicilie il plebiscito popolare a suffragio universale (quale vergogna...!) si tenne a Napoli il 21 ottobre 1860. A Torino
l'11 ottobre la Camera del Parlamento Sabaudo decretò l'annessione; il 12 ottobre l’esercito sardo varca i confini ed invade le Due Sicilie, il 16 ottobre la discussione sull’annessione passò al Senato dove all’ordine del giorno c’era l’approvazione del Regio Decreto del giorno prima, 15 ottobre 1860, in cui era decretato che "le Due Sicilie fanno parte integrante dell'Italia, una e indivisibile, con il suo Re costituzionale Vittorio Emanuele e i suoi discendenti".
Il 20 ottobre si verifica il primo scontro al Macerone tra le opposte fazioni e, finalmente, il 21 ottobre i napoletani sono chiamati a pronunciarsi sul plebiscito di annessione svoltosi nel clima di legalità da tutti conosciuto ...
Vi sembrano cose serie? Eppure è la storia del “risorgimento” che quando definiamo “piemontese”, come vedete, non è una esagerazione. Unico rincrescimento non poter usare espressioni più “colorite”! I brogli continuarono in occasione del referendum del 2 giugno 1946. Anche in quella circostanza Umberto II, dopo che il vigliacco genitore Vittorio Emanuele III era fuggito come un ladro da Roma verso Brindisi, portandosi dietro un vero e proprio tesoro (ah! Povero Francesco, tu andasti via da Napoli e da Gaeta portando con te solo un quadro di
San Gennaro ...!) avrebbe potuto “impugnare la spada” e morire da eroe. Invece preferì imbarcarsi su un aereo per Lisbona e così la Storia si compì questa volta a danno degli usurpatori sabaudi ed a favore dei comunisti resistenti che così ... vinsero la guerra contro la Germania!
Ognuno commenti come meglio gli aggrada. Ma, per restare nel tema delle cosiddette colpe dei Borbone, non c’è nessuno che non sappia come argomento fondamentale di tutte le storielle risorgimentali sia la marcia trionfale che caratterizzò, accompagnandolo passo dopo passo, la “gita fuori porta” di Garibaldi dalla Sicilia alla Calabria ed il suo trionfale incedere senza vedersi impegnato in una sola, non dico battaglia, ma soltanto scaramuccia che potesse in qualche modo ostacolarne l’avanzata verso Napoli Capitale e, quindi, verso l’effettiva conquista del Sud.
Eppure in questa circostanza Re Francesco il suo lo fece e ve ne diamo immediatamente testimonianza e prova documentata. Nel disperato tentativo di fermare l’avanzata di Garibaldi in Calabria, Francesco II mette a disposizione del Comandante in capo delle forze borboniche in quella regione - Generale Giovan Battista Vial, Barone di Santa Rosalia - oltre
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41 ventimila uomini di truppa con la disposizione tassativa di collocarli tra Monteleone (attuale Vibo Valentia) e Reggio di Calabria. I comandanti delle varie regioni militari erano, rispettivamente, a Reggio il Generale Fileno Briganti (un vero mascalzone, un manigoldo), a Monteleone il Generale Giuseppe Ghio, nella provincia di Reggio il Generale Nicola Melendez, mentre il controllo della Calabria inferiore (controllo?....) era affidato al Colonnello Giuseppe Ruiz de Ballestreros con aggiunti compiti di protezione nei confronti delle brigate Melendez e Briganti, qualora queste ne avessero avuto bisogno. Bene di tutti questi generaloni dagli altisonanti cognomi italo-spagnoli non se ne salvò uno! Per citarne uno soltanto, Roberto Maria Selvaggi, in Nomi e volti di un esercito dimenticato, sul conto di Ruiz scrive « ... Ruiz dimostrò di essere una vera nullità [...] e fu collocato a riposo nel giugno del 1861 dal governo italiano ...»
Avete letto bene, dal governo italiano, non da quello borbonico! Il Generale Briganti fu addirittura passato per le armi dagli stessi suoi uomini, inferociti, per essersi arreso al nemico il 23 agosto 1860 senza combattere! Anche queste colpe di Francesco II? E cosa avrebbe dovuto fare? Forse, l’unica cosa che non fece fu di mettersi a capo dell’esercito e affrontare in prima persona il nemico. L’esercito era tutto con lui, la vittoria gli sarebbe stata molto vicina ... quasi a portata di mano. Si dirà: ma, poi, in fin dei
conti, il Re richiama a Napoli Castelcicala e lo rimpiazza con Lanza, generale ultra settantenne, (su esplicito suggerimento del Filangieri datosi ammalato pur di non muoversi dalla sua villa di Sorrento, dopo che altri, tra cui il Carrascosa - certamente il più idoneo - s’erano rifiutati adducendo risibili motivazioni varie, specie di salute ...). Il Lanza esordì, partendo da Napoli per Palermo, dimenticando (!) di portare con se un plico riservatissimo contenente una serie di disposizioni da mettere immediatamente in pratica una volta messo piede a Palermo oltre ad un dettagliato piano di controffensiva militare - studiato dal Filangieri - volto ad affrontare e sconfiggere l’invasore Garibaldi ed il suo esercito di morti di fame!
Alla fine questo cambio al vertice della reggenza palermitana si rivelò un rimedio finanche peggiore del male ed è quanto dire! A questo generale, infatti, con Garibaldi sull’orlo del collasso militare si deve la ripetuta richiesta di armistizio fino a giungere alla firma di una vergognosa resa incondizionata (ottenne, però l’onore delle armi da parte di un manipolo di straccioni) ed all’abbandono coatto di Palermo di una guarnigione di oltre ventimila uomini che richiese oltre venti giorni di tempo per essere portato a compimento ... anche su questi avvenimenti possono leggersi struggenti pagine scritte, in quei giorni ed in tempo reale, da don Giuseppe Buttà cappellano dell’8° Cacciatori. Certo, col senno di poi, se si va ad analizzare tutto
quanto successe non si può non affermare che le sorti di un Regno andavano gestite con la fredda ragion di Stato e non con la romantica filosofia degli affetti e del rispetto per gli anziani, tenendo presente qual è il compito di un regnante che come primo dovere ha quello di circondarsi di una struttura di difesa che faccia capo a individui di assoluta fedeltà. L’assoluta, totale, mancanza di una tale struttura diede origine ad una serie di ricadute che favorirono e consentirono l'operazione “Unità d’Italia” di cui ancora ai nostri giorni il Meridione d’Italia è vittima sacrificale.
Tuttavia non riesco ad addossare tutte le colpe e responsabilità su questo giovane sovrano (inesperienza, buona fede, bontà d'animo ecc. ecc.) per il semplice fatto che il Regno di Napoli soffriva di un isolamento politico trentennale, isolamento iniziato già nei lontani primi anni del XIX secolo, ma portato avanti fino all’esasperazione nel corso degli anni dal 1830 a seguire ossia da quando la massoneria inglese, guidata dai ministri della Regina Vittoria, iniziarono il progetto "Mediterraneo sotto controllo" (in verità già resosi necessario all'Epoca Napoleonica), per cui andava eliminata una dinastia scomoda, qual era quella dei Borbone, catto-
la Storia lica ed antimassonica per eccellenza, che per altro si dava il lusso di determinare fastidiosi equilibri sul
piano delle forniture strategiche dello zolfo. (Si ricordi l'importanza dello zolfo per quei tempi paragonabile al petrolio degli attuali tempi nostri...)
Inoltre, si concedeva il lusso di competere in assoluta parità con le Nazioni più progredite di quei tempi (Francia e specialmente Inghilterra) per quanto riguardava lo sviluppo sociale (ad esempio il numero di posti letto rispetto agli abitanti, oppure l'eccellenza nella formazione professionale, gli inglesi venivano a Napoli a studiare...) e, ancora, il servizio di posta (un plico od una lettera impiegava cinque giorni da Napoli a Lecce), per non ripetere sempre tantissimi altri esempi di assoluta eccellenza (ma queste cose suonano quasi una bestemmia alle orecchie dei nostri storici alla ... Aldo Cazzullo o alla Mario Cervi). Continua…
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l’Agenda
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Appuntamenti del meridionalista NOI PER NAPOLI INCONTRO PUBBLICO Martedì 16 settembre alle ore 16 presso l'Istituto di studi filosofici a palazzo Serra di Cassano L'associazione prosegue nella sua battaglia civile e nella attività tesa a contribuire con proposte ed elaborazioni ad affrontare i problemi di fondo in cui si dibatte la città metropolitana di Napoli". DA LAGO DE' BAGNI A PORTO D'ISCHIA Festeggiamenti del 160° anno di apertura del Porto Borbonico 14 – 17 Settembre 2014 Il programma della manifestazione prevede diverse attività incentrate sulla figura dei Borbone e principalmente sulle loro opere, dall’inaugurazione di domenica 14 Settembre ore 18.00 presso il Palazzo Reale con l’apertura Mostra Multimediale "Da lago de' Bagni a Porto d'Ischia" nell'iconografia storica dal XVI al XX sec. e Mostra "La Marineria tra il RADUNO CDS 2014
Sabato 11 e Domenica 12 Ottobre, rispettivamente a San Nicola La Strada ed alla Reggia di Caserta, si svolgerà un Raduno generale dei Comitati Due Sicilie. L'incontro fornirà l'occasione per fare il punto e per programmare il congresso del 2015. GAETA 2014 Il convegno anticipa, come sempre, i grandi temi all'ordine del giorno nella prospettiva della rinascita di un Sud libero e indipendente, aperto al mondo e artefice del proprio destino.
XVIII e XIX Secolo", alla rievocazione storica, mercoledì 17, dell’ apertura del porto con l’arrivo del Re Ferdinando in vascello, spari di cannone a salve, accoglienza dei sindaci dell'isola e proseguimento in carrozza fino al Palazzo Reale dove in Piazzetta S. Girolamo alle 19,30 si terrà la rievocazione storica della passeggiata del Re Ferdinando con la corte per il Corso principale accompagnati dai Fucilieri Borbonici e dalla Fanfara Borbonica dei Vigili del Fuoco di Napoli. "PREMIO GUIDO DORSO"
Giovedì 9 ottobre alle 16:00 nella sala Zuccari di palazzo Giustiniani la consegna dei riconoscimenti promossi dall'associazione presieduta da Nicola Squitieri.
DAI SARDI IL NO ALLE ARMI Invitiamo tutto il popolo sardo, le associazioni, i partiti e i comitati ad aderire e partecipare alla manifestazione indetta a Capo Frasca il prossimo 13 di settembre per pretendere a gran voce: Il blocco immediato di tutte le esercitazioni militari. Chiusura di tutte le servitù, basi e poligoni militari con la bonifica e la riconversione delle aree interessate.