CASUALMENTE PER ABISSI

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LETTERE A UNO PSICOANALISTA

Gentile Professore, so che prossimamente terrà una conferenza di psicologia su un libro dello scrittore spagnolo Vila-Matas. Sono curiosa di conoscere i motivi che la spingono alla scelta di un autore che, personalmente, non ho ancora letto. Se può, poi, mi piacerebbe che anticipasse alcuni dei temi che intende trattare durante l’incontro, al quale spero, comunque, di poter assistere. Lettera firmata

CASUALMENTE PER ABISSI

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di Francesco Frigione

Esistono coincidenze che s’impongono alla nostra attenzione sincronicità, così le chiamò Carl Gustav Jung (La sincronicità, 1950 – in Opere, vol. 8, Boringhieri, Torino, 1994) - che osserviamo quasi con sgomento.

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In maniera imprevista, un accadimento materiale incontra un’immagine del nostro mondo interiore. Cerchiamo la causa che ha divelto la mattonella della normalità, ma, per farlo, dobbiamo piegarci al “Caso”. Come si addomestica il Caso, come lo si ordina, come lo si conteggia? È sgusciante, sornione, balordo.

Il Caso obbedisce solo alla “Fortuna” e, dal Rinascimento, la Fortuna ha assunto le fattezze di una donna bendata e sorridente - un’allegoria eufemistica che non dà ragione di tanta enigmaticità.

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La Fortuna, a sua volta, premia solo chi le si proclama suddito: gli regala abbacinanti colpi di scena, frammenti di universi interconnessi e in un attimo si dilegua … Scrivere squaderna la vita, la abrade. Le sincronicità di cui vi parlo oggi sono graffi di luce in un firmamento nero. Non apparizioni isolate, ma uno sciame di Perseidi che converge in un punto: la Coscienza.

Sono zagaglianti brillii di questo tipo i racconti racchiusi in “Esploratori dell’abisso” (Feltrinelli, Milano 2011), dello scrittore catalano Enrique VilaMatas.

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Oltre al titolo, di abissale nel libro c’è la qualità letteraria: vi rutilano invenzioni, vi gronda ironia dalla superficie delle esperienze, campiscono gli umili bisogni dei suoi attori, le meschine ambizioni, il disorientamento e, sopra qualsiasi cosa, l’ignoto annidato nel quotidiano, l’assurdo di piccoli e grandi aldilà e finanche un dio prossimo e “infingardo”, come lo definiva Hegel.

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Ma l’abisso è ancora più profondo di quello che l’Autore sembra intenzionalmente voler ritrarre con distacco, ed è più lieve della mano con cui spolvera la linea della morte sul dorso della vita. Si tratta di qualcosa che eclissa persino l’abilità di lanciare dadi sulle pagine e sprigionare nessi, che rendono familiare lo sconosciuto: è l’arte di rendere il lettore un puro prolungamento del libro.

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“Esploratori dell’abisso”, infatti, prima irretisce la fantasia con storie di attese vuote e bianche, con dialoghi tra viventi e fantasmi, con premonizioni frammentarie e coincidenze pianificate, quindi ingloba la realtà del lettore nell’intrico! Il gioco letterario si torce tanto audacemente sulle proprie spire da far scorrere la terra sotto i piedi di chi legge e poi lo inghiotte con irrevocabile garbo.

Prendiamo come esempio proprio il fatto che l’opera si riaggancia esplicitamente allo Jung della Teoria della Sincronicità. Di fatti, il quindicesimo dei diciotto racconti del volume, Esterno di luce, allude esplicitamente alla celebre coincidenza accaduta a Jung e a una sua paziente, durante un passaggio assai critico del loro lavoro clinico.

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Da tempo alla donna si presentavano ricorrenti e inspiegabili sogni con coleotteri, mentre il processo terapeutico languiva penosamente. Un giorno, poi che la donna aveva narrato un nuovo episodio onirico in cui comparivano questi insetti, Jung udì percuotere la finestra. Il rumore si ripeté, finché lo psicologo non si alzò per aprire i vetri. Un rarissimo coleottero, assolutamente improbabile nella nordica Zurigo, irruppe allora nella stanza, generando uno shock nella paziente e lo stupore del medico. Quell’evento sorprendente impresse una svolta decisiva all’analisi della donna.

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Dal canto suo, Jung, che era uno studioso raffinatissimo delle antiche religioni, ravvisò senza sforzo che la contemporanea apparizione sul fronte fisico e psichico di uno scarabeo, richiamava il simbolo egizio del dio Amon-Ra, l’astro solare della coscienza che muore, affonda negli inferi e da quelli rinasce rinvigorito e trasformato.

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Il libro mi si è, dunque, attivato tra le mani come un portentoso congegno di carta e trame, un dispositivo di caratteri arcani e nubi di senso. Sono stato proiettato alla velocità di trecentomila chilometri al secondo ai margini della coscienza, risucchiato in condotti simili a quelli per la ricerca dell’antimateria, scavati sotto le placide vigne della campagna svizzera. E là è successo che la lettura del libro generasse sincronicità nella mia vita.

“Esploratori dell’abisso” denuda il funzionamento della realtà, non perché la spiega, ma perché la riproduce. Questa macchina di parole, ritmi ed ellissi prova che la realtà non è un’entità indipendente dalla mente, ma un costrutto friabile, spugnoso, caotico, febbrile, fluido, plasmatico, la cui sostanza, shakespearianamente, coincide con quella dell’immaginazione. Lo stesso Vila-Matas, in un’intervista dell’ottobre 2011, afferma: «la realtà non è “realista” ma è il caos.

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Per questo il Finnegans Wake di Joyce è fra i libri che più si avvicinano alla realtà» (http://ilmiolibro.kataweb.it). La realtà è un’aggregazione estemporanea sempre pronta allo schianto, assoggettata a leggi che la psiche suscita, evoca e declina nelle tenebre.

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Consapevole di questa verità, il libro è un organismo vivente che pulsa e respira, e che legge chi lo legge. È un’esperienza che dimostra, in veste tutt’altro che metaforica, la celebre affermazione di Nietzsche, in Al di là del bene e del male (1886): «[…] se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te».

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Il lettore si trasforma così in pagina viva, intrappolato nel dispositivo letterario come l’ufficiale del racconto “Nella colonia penale” di Kafka. L’erpice della “macchina” di Vila-Matas gli incide sul corpo sincronicità il cui senso appare via via più profondo. Non bisogna dimenticare che questo libro nasce davvero al cospetto di un abisso: il rischio di morte corso dall’ Autore a causa di un collasso renale.

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E dunque essa possiede il suggello del kairós, dell’istante decisivo in cui si aprono le strade della fine o della salvezza, quando il naturale e l’umano, il collettivo e l’individuale, la vita immaginata a quella vissuta, improvvisamente si fondono in un bagliore, una folgorante, trascendente, minacciosa visione del sacro, che trapassa l’individuo scaraventandolo in terra esanime. Quella violenza può annientarlo, oppure condurlo a una vacillante rinascita. La materia del corpo e quella dell’ispirazione artistica perdono i propri confini.

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Vila-Matas lotta serratamente sia contro il demone che gli avvelena il sangue, sia contro le resistenze e l’incredulità del lettore. Il combattimento non procede secondo canoni marziali, ma mercuriali, ambigui. Il ghigno torvo del guerriero si scioglie nell’ironia dell’ermeneuta. Così, fedele e insieme infedele a ogni limite appena tracciato, l’Autore è consapevole che sia la ribellione sia la acquiescenza lo porterebbero alla morte – biologica e artistica. E risolve il conflitto grazie a un esorcismo: viene a patti con il proprio demone, fa concessioni a verità trascurate e marginali e gli imprime una forma cangiante e fantastica che s’insinua nella vita del lettore.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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