IL SOGNO DI TRUMP

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LETTERE ALLO PSICOANALISTA

Gentile Professore, sono una persona che segue con attenzione la politica e, nel suo piccolo, la pratica anche: credo nel progresso sociale e spirituale dei popoli e, pertanto, mi sento estremamente costernato di fronte al successo di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca.

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La vittoria, inizialmente data per assolutamente impossibile, poi per improbabile, è arrivata infine quasi inattesa, lasciando il mondo di stucco. L’avvento al soglio della “Nazione più potente del Mondo” di questo miliardario aggressivo, revanscista, arrogante, volgare, xenofobo e machista è uno di quegli eventi squassanti della storia, a cui proprio avrei preferito non assistere. Penso che con Trump abbia vinto soprattutto la paura e il senso d’impotenza di cittadini disorientati e di scarsissima cultura sociale e politica.

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Temo che l’onda lunga delle elezioni americane, che, a distanza di qualche tempo, sempre si abbatte sull’Europa (e sull’Italia in particolare), vi creerà ulteriori sconquassi e potrebbe aprire la strada a tentazioni demagigo-populiste assai gravi in molti paesi. Vista da una prospettiva psicologica, la situazione come le appare? Lettera firmata

IL SOGNO DI TRUMP

di Francesco Frigione

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Gentile lettore, la campagna elettorale appena conclusasi negli Stati Uniti è apparsa subito di pessimo livello. Credo che chiunque l’abbia seguita, seppure saltuariamente e con distacco, come ho fatto io, vi abbia potuto vedere il tracollo di una gloriosa tradizione di dialettica democratica una volta avvincente e stimolante. Nelle trascorse edizioni, ad essa non sono mai mancati colpi bassi e meschinità, manovre illecite e diffamazioni, stucchevoli costrutti retorici e propaganda da rotocalco, ma anche notevoli momenti di confronto su contenuti e programmi, sfide di idee e di stili.

Tutto ciò, ultimamente, è stato sopravanzato da una roboante esplosione di accuse volgari e distruttive, espresse dal candidato repubblicano, e dall’altra di una maniera di condurre il confronto che non è sembrata all’altezza, non solo per motivi tattici e strategici, ma per l’inadeguatezza a rappresentare in maniera convincente il proprio elettorato da parte della democratica Hillary Clinton.

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Questa si presentava come la potenziale “prima donna presidente” nella storia degli U.S.A.” ed era data per ampia favorita. Eppure, sebbene vantasse capacità intellettuali notevoli, lunga esperienza di alto governo, un coacervo di lobby influenti a sostenerla, comprese quelle delle aziende tecnologiche, del mondo della cultura, della stampa e dello spettacolo, non è riuscita ad offrire l’immagine convincente di una personalità che rappresentasse sinceramente gli interessi popolari. Ha soprattutto diffidato di lei un’America bianca (non solo quella tradizionalmente reazionaria e razzista degli stati del Sud e dell’immenso ventre del Middle West) fatta di giovani, di operai e di piccola borghesia, i quali l’anno percepita, sotto la superficie liberal, come l’espressione di quei poteri forti che già spadroneggiano nel paese.

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Si tratta proprio di quella fetta di elettorato deluso che il suo rivale sconfitto nella tenzone per la nomination alla guida del partito, Bernie Sanders, era riuscito a riportare in seno alla frastagliata famiglia democratica. Ma anche se Hillary era stata costretta a fare ampie concessioni al suo antagonista, capace di tenerle a lungo testa nelle primarie di partito, e Sanders aveva, cercato di far convergere i propri simpatizzanti sulla Clinton, l’operazione deve essere sembrata ai piÚ forzata e improponibile: due anime opposte della sinistra, che vivono oramai scollate l’una dall’altra, nel paese (e nel mondo occidentale), provando reciproco sospetto e, sovente e sentendosi in dissidio, come avrebbero mai potuto magicamente ricomporsi al momento del voto?

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Donald Trump ha, invece, stravinto tra i “bianchi” del suo paese, anche tra quelli più istruiti, e ciò gli spianato la via del successo. Le sue bordate da fanatico sul muro da erigere tra gli States e il Messico; la sua xenofobia becera, spiccatissima nei confronti dei latinos e degli islamici; il richiamo costante e paranoico alla necessità, per i cittadini, di armarsi materialmente contro i pericoli del crimine; la sua evocazione dei “muscoli” di un’America orgogliosamente guerrafondaia, accompagnati da un contemporaneo appeasement con la Russia autoritaria di Vladimir Putin;

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le sue battutacce volgari sulle donne, (o, addirittura, le numerose vicende di molestie, emerse lungo l’accidentato cammino della campagna elettorale); l’aver pesantemente eluso ed evaso le tasse, in questo modo costituendo buona parte della propria fortuna;

tutto ciò e molto altro ancora non sembra aver pesato di fronte all’impatto energetico della figura di self-made-man miliardario, abile a cogliere le vette della ricchezza e del successo individuale e sessuale, a dispetto di ogni ostacolo: questo leitmotiv antropologico è parso, evidentemente, ispirare, in una sorta d’identificazione col potente solitario, con l’outsider, anche in quella fetta di popolazione che più ha subito - a causa del sistema ferocemente neoliberista (di cui Trump resta un fermo propugnatore) - una costante erosione della propria significatività economica e sociale, avviandosi a una progressiva marginalizzazione.

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La violenza del linguaggio e le sue perorazioni sul ritornare prima potenza mondiale degli Stati Uniti, attraverso l’esibizione della potenza militare, deve, anzi, aver ridato illusoriamente vigore a coloro (uomini e donne) che si avvertono ormai avviati a un tramonto sociale. Nel loro dibattersi nell’impotenza e nell’insignificanza, smarrita l’identità culturale e sociale precedenti, molti cittadini hanno preferito premiare il “bullo”, il campione della vistosa prepotenza, il simulacro di un Padre forte, un Padre che, nella realtà, non pare all’altezza della nobile serietà e fermezza che il ruolo richiede.

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L’american dream di Trump, il “sogno americano”, appare, visto da qua, dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico, piuttosto un incubo, un incentivo a percorrere i facili sentieri delle paure collettive, itinerari discendenti in infernali cul de sac, dove un impazzimento maggiore della società si mescola a politiche meschine e inconcludenti, quando non brutali e distruttive.

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L’Europa è molto malmessa, attualmente, stretta tra dittatori sempre meno mascherati come Erdogan e personaggi autoritari come Orban, o partiti neonazisti, o confusionari e fondamentalmente demagogici. Ma, in questa condizione la UE non ci è giunta a caso, bensì attraverso una progressiva perdita della sua straordinaria identità, eretta su valori etici, culturali e su politiche di equità sociale.

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Un’Europa degli apparati economico-finanziari ha trionfato, invece, arroccandosi nelle sue posizioni di cieco privilegio particolaristico e rigidità – come abbiamo visto in occasione della crisi greca e, parzialmente, anche in quella di tutti i paesi latini.

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La Turchia stessa, di cui oggi biasimiamo la deriva autoritaria, se non totalitaria, sarebbe potuta entrare alcuni anni or sono, e in ben migliori condizioni politiche, all’interno della Comunità Europea, assoggettandosi, senza eccessive resistenze, a stringenti regole democratiche. I timori tedeschi l’hanno respinta ai margini e da quei margini ha visto attecchire la sua anima autocratica e imperialista, le fantasie ipertrofiche di ritrovata grandeur ottomana.

Queste dinamiche sono assolutamente corrispondenti a quelle che, sul versante clinico, lo psicoterapeuta riscontra quando si confronta con i problemi di quei pazienti che allontanano dal campo della Coscienza gli aspetti 13


perturbanti della propria vita psichica e che, in tal modo, gli lasciano acquisire, nel fitto dell’Ombra, un potere nefasto e incontrollabile per la personalità. La psiche è politica e la politica è psiche, non lo dimentichiamo. Auguriamoci, infine, che, nelle nuove vesti di Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump si mostri assai più pragmatico e saggio del candidato alla Casa Bianca Trump.

Già nei saluti augurali di oggi, la Francia ha espresso una posizione assai chiara in merito a ciò che non è disposta a concedere al nuovo inquilino di Washington. Però questa è la posizione di un semplice paese, per quanto importante, e di un governo che già domani potrebbe cadere: abbiamo bisogno, invece, adesso più che mai, di una nuova coscienza europea capace di assumere una direzione comune e di esprimere autorevolezza e forte identità.

Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di 14


specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it

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