LETTERE A UNO PSICOANALISTA
Gentile professore, sono una donna di trent’anni, da molti definita “attraente e talentuosa”, ma che si sente in mezzo a un guado, incerta e insoddisfatta: non mi convince il futuro con un uomo e il metter su una famiglia, non mi convince il lavoro che svolgo, dubito di quali siano le giuste ambizioni da perseguire.
Desidero narrarle un sogno che mi ha molto spaventata e riguardo al quale le vorrei chiedere dei chiarimenti, poiché intuisco che possa rivelarsi importante per me. Mi trovo in un bosco. Anche se non è identico a quello in cui accompagnavo mio padre da bambina, quando m’insegnava il nome delle piante e a riconoscere i funghi, lo richiama moltissimo per le sensazioni che mi suscita: come allora, mi sembra davvero di stare in un luogo incantato, dove il sole si fa largo tra gli alberi luccicanti e riscalda delicatamente la pelle. Provo un’incontenibile gioia, una pienezza delle emozioni infantile, assoluta, ed effettivamente, là, avverto la presenza rassicurante di mio padre, che, nella realtà, ho perduto quando avevo undici anni.
D’un tratto, mio padre scompare e mi ritrovo da sola, assalita da un’apprensione che cresce di istante in istante: infatti, anche il sole è svanito e il groviglio di rami e di foglie si è infittito, non lasciando passare che una luce fievole, plumbea, crepuscolare.
Non ho piÚ nemmeno un sentiero a cui affidarmi e devo farmi spazio tra i rovi che mi s’impigliano sul vestito e rallentano il passo.
Penso di essermi totalmente smarrita quando sento delle voci femminili provenire da un punto in alto, alla mia sinistra. A fatica, raggiungo quel gruppo di donne accovacciate in circolo, in una radura di pietra tufacea. Osservandole con attenzione, senza che loro se ne accorgano, noto che stanno spolpando delle ossa! Sono nude, ma hanno i corpi coperti da uno strato di creta ocra e da spessi schizzi di sangue.
Mi rendo conto che stanno divorando vivo un cerbiatto, che ancora si dibatte negli spasmi dell’agonia. Allora, apro la bocca per urlare di terrore. Il grido, però, mi si spegne in gola, come se fossi muta. Ugualmente, una delle
cacciatrici solleva lentamente la testa e mi fissa con uno sguardo crudele, feroce. Con mio enorme spavento, adesso vedo che tutta la compagnia mi osserva.
So che stanno per gettarsi contro di me e straziarmi come prima avevano fatto con la povera bestiola. Subito, scappo a perdifiato nella boscaglia. Cado e mi rialzo molte volte, piena di lividi e ferite e sempre piÚ esausta, mentre avverto l’orda avvicinarsi sempre di piÚ. D’un tratto mi ritrovo a vacillare sul ciglio di un ripido burrone, alto centinaia di metri e posto sulle scogliere di un mare livido e tempestoso.
Non posso tornare indietro: le inseguitrici mi stanno addosso. Perciò, con un urlo, decido di lasciarmi cadere nel vuoto.
Mi sveglio coperta di sudore e impiego molto tempo a rendermi conto che si è trattato soltanto di un sogno. Lettera firmata
PAURA E DESIDERIO
di Francesco Frigione
Gentile lettrice, è ardito offrire una chiave al sogno compiuto da una persona sconosciuta e, per di più, assente al momento dello scaturire della riflessione psicologica, laddove la sua presenza saprebbe indirizzare l’interprete attraverso associazioni, resistenze, dubbi o perplessità in merito alla lettura del materiale onirico. Infatti, quest’ultima può facilmente trasformarsi in un’indebita forzatura del testo, se non in un totale abbaglio. D’altronde, curare questa rubrica implica necessariamente correre anche alee di questo genere, per cui non mi sottrarrò al compito che mi richiede.
Nel sogno, che lei narra con vividezza, e che è facilmente comprensibile come sia riuscito a impressionarla, ci troviamo di fronte alla contrapposizione di due universi, in termini di esperienza psichica: il primo appare idilliaco, limpido, apollineo, contrassegnato dalla magica serenità suscitata dalla figura di suo padre; mentre l’altro si mostra cupo, violento, angoscioso, il tempo nel quale le si svela una ferinità femminile primordiale e crudele.
Il dato di realtà che lei fornisce sulla perdita, in giovanissima età, del suo amato papà ben si lega allo smarrimento di cui testimonia il sogno. In questo senso è come se esso rievocasse, sinteticamente e con straordinaria intensità, eventi del passato e li sottoponesse al vaglio della coscienza attuale.
In qualche modo, il materiale ci indica come tra lei e suo padre esistesse un rapporto privilegiato, intessuto di tenerezza da parte di lui e di ammirazione da parte di lei bambina, in quanto adulto forte, sapiente, paziente, affettuoso e protettivo. Questo rapporto, evidentemente, lei lo ha introiettato come
desiderio di conoscere la realtà e piacere di sperimentare la natura delle cose, cogliendone la bellezza e l’armonia intrinseca.
La felice sicurezza che ciò le ha trasmesso le consente, nel sogno, di esplorare per suo conto il bosco, senza per questo temere di incorrere nel richiamo di una figura adulta che, comunque, resta rassicurantemente nei pressi.
Di un tratto, però, come è accaduto nella vita reale, la situazione muta e la getta nel disorientamento di una condizione aggrovigliata e insolubile, tale da suscitarle una crescente angoscia.
L’adolescente che lei è stata, e della quale conserva una memoria emotiva, non deve aver soltanto dovuto far fronte al dolore di una terribile perdita e a un mondo improvvisamente irto di difficoltà pratiche e sociali, ma è stata costretta anche ad affrontare un rapporto oramai esclusivo con le donne di casa - univocità fonte per lei di apprensione -, a cominciare, ipotizzerei, da sua madre, con la quale stabilire una sintonia le deve essere risultato arduo.
Priva della favorevole mediazione della figura materna, il mondo dei suoi istinti e la vibrante carica erotica e sessuale di giovane donna, di cui dalla pubertà in poi ha fatto sempre più esperienza, probabilmente le è apparso un ambito spaventoso e incontrollabile, capace di disintegrare l’unità della sua personalità in costruzione.
Per quanto concerne lo sguardo sul passato mi fermerei qui, per pormi, d’ora in poi, in una diversa ottica.
Dato che il sogno assume sempre la funzione di una rivelazione rispetto a quanto la Coscienza ignora della realtà del Sé (in psicologia analitica, s’indica con tale concetto un’entità assai più ampia dell’Io; il Sé, di fatti, abbraccia
l’intera personalità, conscia e inconscia), esso sposta l’accento sul presente e sul divenire, ovvero sulle prospettive esistenziali che in questo preciso momento si aprono davanti a lei; sui potenziali sviluppi di problemi antichi e attuali. Diventa, pertanto, obbligatorio interrogarci sul perché questa peculiare immaginazione profonda irrompa proprio in questo momento e con tanta potenza a livello di superficie, addirittura strappandola alle maglie del sonno. Cosa oggi le è necessario assorbire di quanto prima ha rifiutato di sé?
Cos’è che lei ha lasciato indietro, ha trascurato, e adesso esige di essere “integrato” alla sua esistenza, rischiando, se fosse ancora una volta negletto, di divorare l’Io o d’indurlo a gustare il “sublime” spettacolo del suo stesso salto nel vuoto?
Le faccio presente che quell’orda femminile rammenta sin troppo bene un gruppo di antiche “baccanti”, un tiaso indiavolato posseduto dalla furia divoratrice (e auto-divoratrice) del dio Dioniso.
Tipico del rituale religioso di queste “furie” era l’uscita dalle mura della città e il ritorno alle selve, in una periodica rigenerazione delle radici istintuali, che assumeva forme ferine. Per lungo tempo sacrificarono bambini e adolescenti, per poi sostituirli con animali, come cervi e caprioli. Le donne si coprivano di pelli di leopardo ed eseguivano la cerimonia dello “sparagmòs” (“σπαραγμός”) – cioè lo sbranamento a crudo della vittima -, corrispondente all’incruenta comunione con l’ostia e il vino della tradizione cristiana (“il corpo e il sangue di Cristo”), e teso a stabilire un misterico legame sororale attraverso la condivisione del pasto comune.
Tale dato può, pertanto, tornarle particolarmente utile riguardo all’archetipo psichico che le è dato esplorare nell’attuale stadio del suo processo individuativo, relativo, cioè, a quel cammino interiore che può fare della sua vita un’opera d’arte unica, il perfezionamento di una materia prima psichica e spirituale più grezza in una finissima, specifica e totalmente originale.
La dimensione dionisiaca, intuitiva e sensuale che le è intimamente connaturata, ma che troppo a lungo è stata allontanata da sÊ, infatti, sembra attendere di essere accolta e analizzata dal suo mondo cosciente, piuttosto che relegata in toto in uno spazio oscuro, dal quale arriva a sprigionare una carica distruttiva che minaccia il suo Io ignaro e spaventato.
Prima c’è l’ambiguità della psiche disarticolata, quando i suoi contenuti vengono proiettati sul mondo, nel quale si rincorrono, senza apparente nesso, esperienze meravigliose e terribili. Poi, evolvendo e maturando, scopriamo la ricchezza dello spettro delle esperienze, cogliamo anche le sottili nuances, e comprendiamo che non è solo l’altro a incarnare i nostri desideri o a ostacolarli, ma una dimensione psichica interna che ci mette di fronte a bivi, scelte, contrapposizioni e sintesi. Da questa presa di coscienza, mai definitiva, sempre in divenire, scaturisce la nostra libertà e la capacità di sentirci autori e partecipi del nostro destino.
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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it