PERICLE IL NERO

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LETTERE A UNO PSICOANALISTA

Gentile Professore, recentemente, ho avuto modo di vedere al cinema “Pericle il nero�, il film di Stefano Mordini con Riccardo Scamarcio nel ruolo del protagonista, ispirato al libro di Giuseppe Ferrandino.


Anche se nella versione cinematografica compaiono alcune differenze rispetto alla trama originale, la trasposizione della storia camorristica dal contesto napoletano all’anonima realtĂ del Belgio mi ha convinto e mi ha fatto pensare a quanto universale sia la vicenda di Pericle, non a caso concepita da un Autore che è anche uno dei migliori sceneggiatori di fumetti italiani.


Il mondo, d’altronde, si sta rimpicciolendo sempre di più e la mentalità mafiosa sembra essere il vero paradigma vincente sul pianeta.

Chissà, tra un secolo o due, accanto ai nomi di Colombo e Vespucci si celebrerà con ben più fastose parate quello di un Cutolo, di un Riina, di un Piromalli, genî incompresi dai contemporanei e precorritori di una nuova era di rapporti economici e sociali.


Fortunatamente, sia la pellicola che la novella riservano un finale aperto alla speranza, e questo, dopo innumerevoli inganni, violenze e squallori, risolleva l’animo. Lettera firmata

PERICLE IL NERO: FINALE APERTO

di Francesco Frigione

Gentile lettore, ho la fortuna di conoscere personalmente il bravissimo “Peppe” Ferrandino e di aver letto, diversi anni or sono, il suo libro avvincente e originalissimo. Naturalmente, appena è uscito nelle sale “Pericle il nero”, mi sono affrettato a vederlo.


Anch’io ne ho apprezzato le qualità : la regia tecnicamente impeccabile, le ottime musiche e, soprattutto, la convincente interpretazione degli attori, prima fra tutte quella di Riccardo Scamarcio, che ha creduto tanto nel progetto da volerlo produrre personalmente.


La storia che vi si racconta è “nera” per molte ragioni: non solo perché il suo genere letterario è “noir”, o perché è percorsa da un “humour nero” – che gioca sulla dichiarazione programmatica del protagonista, la cui voce narrante non parla minimamente sotto metafora quando presenta se stesso come uno il cui mestiere è fare «il culo alla gente» per conto di un camorrista -, ma lo è, soprattutto, perché si svolge in quel cono d’ombra della nostra realtà quotidiana in cui avvengono le cose più lerce, ma dal quale può emergere, tra mille brancolamenti, la forza quasi istintiva, “demonica”, di una coscienza non più disposta ad assoggettarsi alla dimenticanza di sé e desiderosa di vivere un’esistenza nel solco della propria verità personale.


Il tragitto di Pericle, infatti, è quello di un’anima in pena, infera, oscura, che passa dall’incoscienza della propria condizione esistenziale a una progressiva consapevolezza di quel che le è indispensabile, di ciò che vuole e desidera realmente. Il tutto gli procurerà un violento sconvolgimento di vita. Cadranno pezzo a pezzo le illusorie convinzioni di essere benvoluto e protetto dal boss, mentre ne era soltanto il lubrico strumento di degradazione degli altri, un’arma sessuale, uno schiavo abbrutito. Il fatto è che Pericle cerca disperatamente il sentimento e l’esperienza d’amore, la fiducia e il bene di un’infanzia protetta e felice che lui non ha avuto, una relazionalità in cui abbiano posto la comprensione e l’affetto. La consapevolezza di quello che è il suo desiderio profondo lo tramutano da passivo esecutore di ordini, prigioniero di uno stato di eterna dipendenza e attesa, a soggetto che sceglie e decide come procedere, con intelligenza e astuzia.


Il riscatto che il “finale aperto” riserva al protagonista mi conduce quasi naturalmente allo scopo del lavoro terapeutico in psicoanalisi: restituire al paziente un orizzonte di libertà, un ambito in cui la ripetizione di antichi traumi, di scelte forzate, di idee impersonali, diventi finalmente evitabile e generare una prospettiva in cui alla certezza, all’obbligatorietà della ripetizione di un passato vero o presunto si sostituisca il rapporto sempre nuovo con il presente e il futuro. Sostituire con la possibilità e il dubbio le granitiche certezze, dunque.


Quanto alle organizzazioni mafiose, o comunque perverse, non è un caso che spesso colonizzino le immaginazioni e i deliri di persone gravemente sofferenti sul piano psichico, poiché esse simbolizzano in modo pressoché perfetto il potere distruttivo di nuclei di personalità che hanno tramutato la loro originaria debolezza in prepotenza distruttiva, il cui obiettivo è parassitare il Sé e soffocarne la spinta spontanea all’emancipazione. Pertanto, ciò che vale per il mondo “interno” dell’individuo trova una perfetta corrispondenza nel malfunzionamento “esterno”, strutturale, delle società umane.

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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.

Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.it Facebook: www.francescofrigione.com Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it


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