LETTERE ALLO PSICOANALISTA
Gentile Professore,
ho trent’anni, sono una videomaker e, come tutti, navigo costantemente in Internet. Si sa, qualsiasi informazione e scambio passa ormai per la rete: il lavoro, le ricerche di studio, il tempo libero.
Chi è piÚ anziano mi racconta di un mondo perduto, in cui i rapporti erano basati sulla presenza fisica e in cui la distanza tra le persone si colmava, al massimo, con una telefonata o scrivendo a mano sulla carta da lettera.
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A essere sincera, quando ne sento parlare, a me quel mondo “vintage” sembra virtuale quanto una ricostruzione cinematografica. E quando mi dicono che allora andava tutto meglio mi viene da sorridere, perché non ci credo affatto: la realtà era solo più angusta e monotona!
I social sono onnipresenti nella nostra vita, è vero, e il pensiero mio – come di quasi tutti quelli che conosco - è influenzato in partenza da ciò che si potrà postare o non postare su Facebook, Instagram, Pinterest, You-Tube e altre piattaforme. Ma che male c’è? Molto meglio dei perfidi pettegolezzi di paese di una volta! Detto tutto il bene possibile del Web, mi rendo conto pure io che, considerata la sua potenza, la rete, nella quale viviamo immersi senza soluzione di continuità, rivela degli aspetti potenzialmente dannosi, oscuri, distruttivi. Alcuni sono noti a tutti – e se ne parla in abbondanza -, mentre altri restano ancora poco chiari.
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Allora, mi chiedo – e le chiedo - da quali pericoli psicologici crede che dobbiamo difenderci nell’era dell’interconnessione totale? Lettera firmata
PSICOLOGIA DELLA RETE
di Francesco Frigione
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Gentile lettrice, la sua domanda presume tante risposte (ammesso che io fossi in grado di darle), troppe per riassumerle in un breve articolo di giornale. Vi sono fior di menti che si applicano quotidianamente a decifrare il mutamento dell’essere umano in funzione del rapporto con la realtà della rete, e ognuna sembra coglierne una parte esigua, sebbene interessante.
Quando si tocca questo tema torna subito alla mente la famosa parabola indù de I sei ciechi e l’elefante: «C’erano una volta sei saggi che vivevano insieme in una piccola città. I sei saggi erano ciechi. Un giorno fu condotto in città un elefante. I sei saggi volevano conoscerlo, ma come avrebbero potuto essendo ciechi? “Io lo so:”, disse il primo saggio, “lo toccheremo.” “Buona idea”, dissero gli altri, ”così scopriremo com’è fatto un elefante.”. I sei saggi cosi andarono dall’elefante. Il primo saggio si avvicinò all’animale e gli toccò l’orecchio grande e piatto. Lo sentì muoversi lentamente avanti e indietro, producendo una bella arietta fresca, e disse: “L’elefante è come un grande ventaglio”. Il secondo saggio invece toccò la gamba: “Ti sbagli. L’elefante è come un albero”, affermò. “Siete entrambi in errore”, disse il terzo. “L’elefante è simile a una corda”, mentre gli toccava la coda. Subito 4
dopo il quarto saggio toccò con la mano la punta aguzza della zanna. ”Credetemi, l’elefante è come una lancia”, esclamò. “No, no”, disse il quinto saggio “che sciocchezza!”, “L’elefante è simile ad un’alta muraglia”, mentre toccava il fianco alto dell’elefante. Il sesto nel frattempo aveva afferrato la proboscide. “Avete torto tutti:”, disse, “l’elefante è come un serpente!”. “No, come una fune”. “No, come un ventaglio”. “Come un Serpente!”. “Muraglia!” “Avete torto!”. “No ho ragione io!”
I sei ciechi per un’ora continuarono a urlare l’uno contro l’altro e non riuscirono mai a scoprire come fosse fatto un elefante!» (http://ilsaggiolibro.it/sei-ciechi-e-lelefante/).
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Nonostante la difficoltà dell’argomento, dunque, mi sforzerò di dire qualcosa di sensato. Riporterò, perciò, alcune suggestioni che mi hanno particolarmente colpito e mi concederò, infine, anche una elucubrazione personale. La prima riflessione prende le mosse dal libro di Zygmunt Bauman (1925 – 2017) ed Ezio Mauro (1948), Babel [Editori Laterza – la Repubblica, 2015 – 2017, Bari, Roma]. Il grande sociologo polacco, di recente scomparso, e il giornalista dialogano sull’intrecciarsi di temi sociali, etici e politici in una realtà dominata dalla crisi dello stato, da un capitalismo finanziario predone e selvaggio e dal dilagare della comunicazione informatica.
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Un passaggio particolarmente interessante del testo, a mio avviso, stimola il nostro discorso psicologico: è quello in cui Mauro lamenta la scomparsa della “opinione pubblica”, in funzione di una società di meri spettatori, i quali non sentono di poter influire sui processi che muovono il mondo; i cittadini si limitano ad applaudire o a fischiare la rappresentazione della realtà che gli viene propinata.
E se, nell’antica Roma, al popolo veniva offerto “panem et circenses”, oggi il pane scarseggia sempre più, per via di una crisi globale pilotata da poteri economico-finanziari sovranazionali privi di controllo. La debolezza del “cittadino-spettatore” sarebbe qui sancita proprio da quegli strumenti tecnologici di cui si avvale - nel lavoro, poiché gli sottraggono occupazione, senza rimpiazzarla; e nella coscienza psichica, in quanto ne modificano la capacità in pura estensione, ingolfandola con un cumulo di informazioni improcessabili, in quanto attinte dal Web senza filtri intellettuali adeguati.
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Secondo Mauro, che si rifà agli studi di Manuel Castells (1942), ciò produce un diluirsi della memoria e il vivere in una bolla temporale di eterno presente, che impedisce il raffronto critico di temi e situazioni. Tale processo conduce, quindi, alla reazione emotiva pulsionale e scomposta, all’affievolirsi della razionalità delle scelte individuali, e, sul piano collettivo, all’indebolirsi della capacità di fare “massa critica” in favore di congrue azioni politiche e sociali.
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A questi argomenti Bauman affianca un’ulteriore prospettiva, che vale la pena di riportare, citando le sue stesse parole: «[…] la rete è un gruppo […] che viene selezionato/composto dall’individuo su propria unica responsabilità ai fini della selezione di links e nodes. I titoli di ”appartenenza” ad esso e i suoi confini non sono “fissati”; e non sono stabili: sono friabili ed estremamente flessibili; definiti, tracciati e incessantemente ridefiniti e ri-tracciati a piacere da colui che costruisce la rete, sistemato saldamente al suo centro. Per origine e modalità di esistenza, esso non è altro che l’estensione del sé; o una corazza in cui l’Io si avvolge per propria sicurezza: una nicchia a proprio uso esclusivo che l’individuo si ritaglia nella speranza che sia rifugio sicuro dallo stordente, inospitale e forse – chissà?! - ostile mondo non connesso.» (Ibid., - pp. 8586).
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Dunque, la rete non come luogo d’incontro dell’Altro, dello sconosciuto, del diverso, ma come spazio narcisistico di ricerca dell’identico, nel terrore di imbattersi o vedersi riflesso pericolosamente in quella alterità ritenuta sempre più pericolosa.
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Come non correlare queste asserzioni al panorama che la clinica psicoterapeutica offre quotidianamente attraverso la propria casistica? Il moltiplicarsi della paura dei rapporti, dell’intimità, delle relazioni profonde, degli incontri autenticamente imprevedibili, in favore di un distanziamento precauzionale dall’altro, che rende l’esistenza più pigra e piatta, più malmostosa e irata, costellata di fughe dal contatto con la realtà, fino a che questa non diventa un deserto affettivo.
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Un altro stimolo giunge dall’ironico, amorevole, sagace, avvincente e visionario documentario del grande regista tedesco Werner Herzog (1942), Lo and Behold – Internet: il futuro è oggi (2016), che indaga gli Stati Uniti di Internet, raccontandone, mediante le interviste a importanti protagonisti della sua storia e del presente - da Leonard Kleinrock, professore di informatica all'UCLA di Los Angeles a Kevin Mitnick, uno dei più brillanti hacker al mondo;
da Elon Musk, cofondatore di PayPal e chairman e CEO di Tesla Motors, nonché amministratore delegato di SpaceX, azienda che progetta viaggi spaziali umani su Marte a Ted Nelson, inventore del termine "ipertesto", che descrive il tradimento operato dal linguaggio HTML rispetto alla concezione originaria di ipertesto in rete, di cui non ha sfruttato le potenzialità.
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Herzog compone dieci scenari diversi, dieci sfaccettature di un’unica immensa realtà in inesausta evoluzione. Ne emerge una prospettiva affascinante, impressionante e a tratti spaventosa, in cui trapelano scenari di possibile scomparsa dell’umanità, in senso letterale, o figurato. Di certo, nel film, viene sancito un solo un punto: che la rete è totalmente imprevedibile; è un sistema caotico di sconfinata complessità, in continua crescita ed evoluzione. Non siamo noi a maneggiarla ma è essa a comprenderci e inglobarci, e da essa dipendiamo per qualsiasi necessità, tanto che un suo blocco potrebbe annientarci.
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Arrivo, in ultimo, a profilare la mia ipotesi: attraverso Internet abbiamo esternalizzato e materializzato tecnologicamente quell’inconoscibile che la Psicologia suole chiamare “Inconscio”! Il progresso ci schiude, dunque, immense potenzialità di ulteriori forme di relazione e d’inesplorati continenti di creatività e di distruttività, da raggiungere o da temere, da conoscere o da inibire.
Come il Dio inconsapevole della Risposta a Giobbe (1952), di cui scrive Jung (1875 -1961), che prende coscienza della sua duplice natura - benefica e malefica -, rispecchiandosi nella coscienza dell’uomo che ha piagato, così forse la rete avrà bisogno di noi per giungere all’auto-coscienza. 14
Oppure saremo noi che, rispecchiandoci nella creatura che generammo, e che adesso ci sovrasta, comprenderemo chi siamo.
In qualunque caso, sappiamo che sarà la rete stessa a modificare il nostro modo di percepire e considerare la realtà – anzi, questo già accade. Così, come nel più classico dei finali nietzschiani, sarà l’abisso del Web che si affaccerà su di noi mentre noi ci rivolgiamo ad esso.
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Francesco Frigione è psicologo e psicodrammatista analitico, psicoterapeuta individuale e di gruppo, docente di psicodramma nella scuola di specializzazione per psicoterapeuti PsicoUmanitas; formatore di educatori e studenti, autore di progetti psico-socio-culturali in Italia e all’estero. Nato a Napoli, vive e lavora a Roma. Ăˆ membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto, e del Direttivo del Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige il webzine e la rivista internazionale Animamediatica.
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Contatti E-mail: dott.francescofrigione@gmail.com Facebook: <Francesco Frigione> Sito Internet: www.francescofrigione.com Rivista: www.animamediatica.it
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