Back to Basic Design - Ivan Gambineri

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BACK TO BASIC DESIGN Rivista di Basic Design 1 A.A. 2020/2021 ISIA Firenze Alunno: Gambineri Ivan Docente: Fumelli Francesco


“Everything in life goes back to the basics” Kron Gracie (cultore di arti marziali)


INDICE RIVISTA

14 TANGRAM

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6

STORIA DEI FONT

30 MASCHERINA


68

LOGOTIPI

138

IMMAGINE COORDINATA

OGGETTO IMPOSSIBILE

172

162

RADICAL DESIGN

AMBIGUE PERCEZIONI

192


LA RIVI STA


1


1.0

La Rivista

Analisi compositiva Come formato, non avendo esperienza in fatto di impaginazione, ho optato per un semplice ma efficiente A4 verticale 297x210mm. La suddivisione interna è così impostata: pagina al vivo +5 mm rispetto alla dimensione standard, mentre i margini interni si distaccano di -12 mm dal bordo esterno.

307 mm

273 mm

297 mm

210 mm

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1.0

Schema delle griglie La pagina interna esclusa di margini è stata suddivisa in quadrati, per rendere più semplice e versatile la composizione dei testi e delle immagini, inoltre i 5 mm di spazio tra l’uno e l’altro aiutano a separare nettamente gli elementi anche se posti vicini tra loro, aiutando a mantenere chiarezza nei contenuti.

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1.0

La Rivista

Esempi di impaginazione simmetrici

Esempi di composizione utilizzati nella scheda lezione “storia dei font“ e nel capitolo “logotipi“. La ricerca della simmetria aiuta a comprendere meglio i contenuti, ed una disposizione schematica e ripetuta sempre nella stessa modalità induce il lettore a individuare ciò che sta cercando molto più intuitivamente, grazie appunto alla coerenza compositiva. compositiva

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1.0

Esempi di impaginazione asimmetrici

Esempi di composizione utilizzati come apertura di sotto capitolo e nel capitolo “oggetto impossibile“. La disposizione asimmetrica serve per enfatizzare undeterminato elemento, in questo modo si è sicuri che l’occhio del lettore cadrà senza dubbio laddove programmato, portandolo subito all’informazione informazione principale. principale

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1.0

La Rivista

Scelta dei caratteri tipografici Per la rivista di Basic Design cercavo un font pulito, lineare, ma al tempo stesso d’impatto e di facile leggibilità. La mia scelta è ricaduta su IMPACT poichè è pressochè impossibile non notarlo, ma le sue lettere non sono pesanti a tal punto da impedirne la leggibilità. In seguito gli ho abbinato un Futura Light Condensed, Condensed che riprende gli aspetti di linearità e semplicità del precedente e ne costituisce una valida alternativa per i sottotitoli, meno bisognosi di pesantezza.

TITOLI impact 105 pt

Sottotitoli futura 25 pt

Testi futura 12 pt

didascalie futura 10 pt

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1.0

Progettazione della copertina Per la copertina ho immaginato di ricreare una grafica retrò, utilizzando sempre i colori CMYK, aggiungendo tramite le frecce che si incrociano un movimento continuo, un’evoluzione dello stile sempre in qualcosa di nuovo ma restando ben ancorati al passato, come Martin McFly in Back to the Future, a cui sono ispirate alcune geometrie della rivista.

Scelta grafica Dalla scelta cromatica della copertina deriva la suddivisione interna dei capitoli, disposta nel seguente modo: giallo per i capitoli riguardanti il design del prodotto, blu per quelli contenenti parti della rivista e magenta per le sezioni grafiche.

RIVISTA GRAFICA PRODOTTO

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STORIA DEI FONT 14


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2.0

Storia dei Font

Breve introduzione Oggi è facile dare per scontati libri e altro materiale stampato. Tuttavia, prima dell'invenzione della stampa a metà del XV secolo da parte dell’orafo tedesco Johannes Gutenberg, i libri venivano scritti a mano. Erano generalmente riservati all'élite, sebbene la crescente alfabetizzazione tra la classe media aumentasse la loro domanda. La storia dei caratteri tipografici è stata ampiamente influenzata dalla disponibilità della tecnologia nel corso dei secoli, a partire dalla stampa di Gutenberg e proseguendo attraverso lo sviluppo dei cosiddetti web font da parte dei designer nel XX e nel XXI secolo. miniatura raffigurante la stampa a caratteri mobili

Anatomia dei caratteri

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2.0

L’idea di Gutemberg Gutenberg si rese conto che la possibilità di produrre libri in serie in modo rapido ed economico sarebbe stata una prospettiva redditizia, di conseguenza attinse ai caratteri mobili utilizzati nell’Asia orientale e alle presse a vite utilizzate dagli agricoltori in Europa per concepire l’idea della prima macchina da stampa. Grazie alle sue capacità di orafo, Gutenberg era in grado di creare blocchi di lettere tanto durevoli che potevano essere utilizzati più e più volte. Anche se la disposizione delle lettere su ogni pagina avrebbe potuto richiedere un’intera giornata, in seguito si sarebbe potuto stampare la stessa pagina tutte le volte necessarie in un lasso di tempo estremamente ridotto rispetto alla copiatura a mano (pratica lunga e dispendiosa, in quanto molto propensa ad errori di “battitura” per i quali era necessario ricominciare da capo la pagina).

Le forme delle lettere di Gutenberg erano basate sulla calligrafia Blackletter Blackletter, ampiamente adottata nei manoscritti. L’elevata grandezza dei singoli caratteri limitava la quantità di testo che una singola pagina poteva ospitare, obbligando Gutenberg e i suoi collaboratori a stampare libri più lunghi. ULTIMI ANNI ’80 WINDOWS FONT REGOLARI + VARIANTI

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ricostruzione delle forme originali primi caratteri mobili compresi di varianti e legature

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2.0

Storia dei Font

Caratteri salvaspazio I caratteri tipografici Blackletter erano lo standard ufficiale per la stampa, principalmente perché imitavano lo stile di scrittura a mano dell’epoca, ma come accennato in precedenza il lato negativo era che occupavano molto spazio sulla pagina.

Nel 1470, l’incisore Nicolas Jenson riconobbe che forme di lettere più semplici avrebbero consentito di inserire più testo su una singola pagina, ottenendo come risultato libri più brevi con tempi di “impaginazione” più rapidi. Grazie alla sua intuizione creò il primo font di tipo serif mai disegnato nella storia che chiamò “Antiqua”, basandosi sulla fusione delle forme derivate dal Blackletter e sui caratteri umanisti italiani. Dal momento che la sua elaborazione, in compresenza con Francesco Griffo, avvenne nella città di Venezia, questo carattere prende anche il nome di veneziano.

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2.0

I suoi caratteri furono i i primi ad essere creati sulla base di principi tipografici piuttosto che di modelli manoscritti. Dagli studi di Jenson nasceranno vari caratteri moderni, tra cui Centaur, creato da Bruce Rogers nel 1914, e Adobe Jenson, creato da Robert Slimbach nel 1996.

Nel 1501 l’idea di di risparmiare ancora più spazio sulla pagina stampata mosse Aldo Manuzio, uno dei più importanti stampatori veneziani, a commissionare allo stesso Francesco Griffo la progettazione del primo carattere corsivo, che avrebbe consentito di inserire ancora più testo nella pagina. ULTIMI ANNI ’80 WINDOWS FONT REGOLARI + VARIANTI

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Memore della collaborazione con Jenson, Griffo disegnò almeno sei serie di caratteri tondi, contraddistinti da grande eleganza e armonia, che rappresentavano un perfezionamento rispetto a quelli del precedente Antiqua. Sebbene inizialmente inventato come misura salvaspazio, il corsivo viene utilizzato tutt’oggi per enfatizzare parti di testo.

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2.0

Storia dei Font

Miglioramento della leggibilità L’efficienza non è stata l’unica sfida tipografica affrontata dai primi “font designer”: inizialmente, la leggibilità dei primi caratteri tipografici non era l’ideale, specialmente quella riguardante i corsivi. Nel 1734, l’incisore britannico William Caslon creò un nuovo stile di carattere che aumentava il contrasto tra i tratti delle singole lettere. Oggi categorizzati sotto il nome di “Old Style”, questi font rendevano le forme più distinguibili l’una dall’altra a colpo d’occhio, migliorandone la leggibilità da maggiori distanze ed andando ad inaugurare una nuova era per la tipografia.

Un ulteriore passo avanti venne compiuto nel 1757 dall’imprenditore John Baskerville, il primo a creare i caratteri cosiddetti transizionali, caratterizzati da forme di più distinte tra lettera e lettera. Parallelamente studiò per effettuare miglioramenti a inchiostri e macchine da stampa, riuscendo ad ottenere un carattere tipografico più nero di quello dei suoi contemporanei. Il design di Baskerville è stato ampiamente criticato proprio a causa dello spessore dei suoi tratti, per i quali venne ritenuto “responsabile di accecare la nazione” da uno dei suoi critici. Il suo operato al tempo venne considerato un grande fallimento commerciale, ma nel XX secolo è stato fortemente rivalutato, tanto da essere salutato come “il più grande tipografo mai esistito in Inghilterra“.

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2.0

I Serif moderni Negli anni 80 del XVII secolo due font designer, Firmin Didot in Francia e Giambattista Bodoni in Italia svilupparono gli omonimi font serif moderni, caratterizzati da un contrasto estremo tra i tratti. A prima vista i caratteri tipografici risultavano molto simili nell’aspetto rispetto ai precedenti, ma la qualità del lavoro sul livello di fusione dei metalli svolto dalle rispettive aziende li rese qualitativamente superiori.

A causa dell’entità del contrasto tra tratti sottili e spessi, presenti nei moderni serif come Didot e Bodoni, questi font non sono facilmente leggibili a dimensioni ridotte, risultando più adatti per titoli e contenuti di visualizzazione. Se implementati ad alta risoluzione invece possono anche essere impiegati nella stesura del corpo di testo di riviste e brochure. ULTIMI ANNI ’80 WINDOWS FONT REGOLARI + VARIANTI

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I tratti distintivi tra i due caratteri sono principalmente nell’aspetto e nel posizionamento di particolari forme di lettere. Ad esempio, la J maiuscola in Bodoni si estende al di sotto della linea di base, mentre in Didot si trova esattamente su quella linea. I colpi sul numero 3 in Bodoni invece sono entrambi tondi, mentre in Didot solo il colpo superiore è terminato in quel modo.

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2.0

Storia dei Font

Lo Slab Serif... Il primo carattere di tipo slab serif, anche detto carattere egiziano, apparse nel 1817 sotto il nome di “Antique”, disegnato dal tipografo londinese Vincent Figgins. La principale caratteristica dei font slab serif era la mancanza di curvatura sui caratteri con grazie, che lo rendeva in grado di attirare l’attenzione meglio dei serif tradizionali. Dopo il suo rilascio, la popolarità di Antiqua crebbe rapidamente grazie anche all’ampio utilizzo che ne veniva fatto nella pubblicità stampata, che proprio in quel momento andava ad affermare sempre di più la sua comodità. Alcuni slam serif sono stati sviluppati appositamente per essere utilizzati in formati destinati esclusivamente a questa tipologia di pubblicazioni, ad esempio locandine e poster.

Si trattava di un allontanamento dai precedenti progetti di caratteri su larga scala, che invece si limitavano ad adattare le forme già esistenti dei caratteri impiegati nei libri. Il design pubblicitario su larga scala ha anche portato alla creazione del primo carattere sans serif.

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2.0

...ed il Sans Serif Contemporaneamente agli studi di Figgins, nel 1816 William Caslon IV sviluppò “Two Lines English Egyptian”, noto anche come “Caslon Egyptian”: fu il primo font sans serif mai creato. Prese rapidamente piede, caratterizzando per il suo utilizzo pubblicità ed altri materiali stampati dell’inizio del XIX secolo. Il font sans serif era stato influenzato dalle lettere in grassetto comunemente usate nell’antichità classica, nelle quali le grazie erano minime o mancanti del tutto. Durante i primi anni del 1800, la frenetica ossessione per l’antico egitto che assalì gran parte del mondo occidentale fece sì che sia tipografia che design prendessero spunto dall’arte egizia e dal suo tipico stile a blocchi.

Il successivo sviluppo significativo nel tipo sans serif avvenne 100 anni dopo, quando l’artigiano Edward Johnston progettò l’iconico font omonimo per la metropolitana di Londra, in uso ancora oggi nonostante nel 1980 abbia subito un redesign, sempre da parte dello stesso Johnston. ULTIMI ANNI ’80 WINDOWS FONT REGOLARI + VARIANTI

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2.0

Storia dei Font

Il XX secolo Il primo disegnatore di caratteri a tempo pieno è stato l’americano Frederic Goudy, operativo nel settore dai primi anni del ‘900. A lui si deve la creazione di font iconici ancora in uso al giorno d’oggi, tra cui il Copperplate Gothic del 1901 e il Goudy Old Style, rilasciato nel 1915.

Nel 1957, lo svizzero Max Miedinger disegnò Helvetica, probabilmente il carattere tipografico più iconico del XX secolo. Altri caratteri minimalisti sono stati sviluppati nel XX secolo tra cui Futura, opera di Paul Renner e Optima di Hermann Zapf.

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2.0

Font digitali Il primo font digitale, Digi Grotesk, è stato progettato nel 1968 dal tedesco Rudolf Hell. I primi prototipi digitali erano in formato bitmap, risultando di una leggibilità tutt’altro che ideale a piccole dimensioni. Nel 1974 sono stati sviluppati i primi caratteri di contorno (vettoriali), che hanno portato ad una miglior leggibilità oltre che ad una riduzione significativa delle dimensioni dei file.

Alla fine degli anni ‘80 furono creati i font TrueType, che consentivano sia ai display dei computer che ai dispositivi di output come le stampanti di utilizzare un unico file del font, funzione implementata sulle piattaforme Mac e PC nel 1997 con i font OpenType. ULTIMI ANNI ’80 WINDOWS FONT REGOLARI + VARIANTI

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Nello stesso anno, CSS ha raccolto e incorporato le prime regole di stile riguardanti i caratteri tipografici, e l’anno successivo è stato aggiunto ad Internet Explorer 4 il primo supporto per web font (sebbene non fossero ampiamente adottati in quel momento).

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2.0

Storia dei Font

Il XXI secolo Il XXI secolo ha portato notevoli progressi nel campo dei web font, a partire dal 2009, quando il Web Open Font Format (WOFF) è stato sviluppato e aggiunto alla raccolta di tecnologie gratuite e accessibili per web stilata dal W3C. Questo sviluppo ha aperto la strada all’adozione diffusa dei web font nel 2011, quando tutti i principali browser hanno deciso di adottare in blocco il supporto per WOFF. Il supporto diffuso per i web font ha rivoluzionato il design digitale, consentendo ai designer opzioni praticamente illimitate nella tipografia web e influenzando le tendenze, tra cui la moda della “Big Tipography” e l’uso di font composti solo dal contorno della lettera, chiamato “outline”.

L’introduzione all’interno dello standard OpenType nel 2016 dei font variabili, ovvero in grado cambiare dimensione e peso in base a dove vengono utilizzati in un file di testo, ha rafforzato ulteriormente lo sviluppo della tipografia web, poiché questa flessibilità significa utilizzare meno file di font, con conseguenti tempi di caricamento della pagina più rapidi.

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2.0

Uno sguardo al futuro I font variabili hanno avuto un impatto significativo sul design dei caratteri digitali, ma c’è ancora spazio per l’emergere di nuove tendenze e tecnologie in futuro. Un’area in cui mancano ancora molti caratteri tipografici è la copertura linguistica globale. Infatti mentre molti caratteri tipografici si concentrano sui set di caratteri latini, ci sono altre lingue occidentali (come il greco e il cirillico) che dovrebbero essere incluse più ampiamente come standard nei file di font.

Alcune aree del design cambiano e si evolvono rapidamente, ma la tipografia è stata più lenta ad evolversi nel corso dei secoli. Una tecnologia emergente da tenere d’occhio è lo sviluppo, all’interno del formato OpenType-SVG, di font a colori che consentano ai designer di utilizzare più colori all’interno di un singolo glifo. ULTIMI ANNI ’80 WINDOWS FONT REGOLARI + VARIANTI

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In conclusione, se la storia dei caratteri ha dimostrato qualcosa è che la tipografia continuerà ad evolversi per soddisfare le sempre crescenti esigenze di designer, nuovi formati e lettori.

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TANG RAM


3

TANGRAM

Sostantivo inglese (probabilmente derivato da una voce cinese), al maschile in italiano. Gioco di pazienza, di origine cinese, costituito da un quadrato di materiale rigido sezionato in 7 figure geometriche (cinque triangoli, un quadrato e un parallelogramma), che possono essere variamente combinate in modo da ricostituire la forma originale o per creare ogni volta forme diverse. tratto da “Treccani”


3.0

Tangram

Breve introduzione Il gioco del tangram è conosciuto anche come “le sette pietre di saggezza”, perché in antichità si diceva che la padronanza di questo gioco fosse la chiave per ottenere la saggezza e il talento. È un gioco millenario, che ci proviene dall’antica Cina. Pur essendo comunemente ritenuto di origine molto remota nel tempo, le più antiche fonti conosciute non lo nominano, però, che verso il XVIII secolo. È costituito da sette tavolette del medesimo materiale e del medesimo colore (chiamati tan), che sono disposti inizialmente a formare un quadrato.

Sull’origine del gioco aleggia una leggenda che narra di un monaco, il quale donò ad un suo discepolo un quadrato di porcellana e un pennello, dicendogli di viaggiare e dipingere sulla porcellana le bellezze che avrebbe incontrato nel suo cammino. Il discepolo, emozionato, lasciò cadere il quadrato, che si ruppe in sette pezzi. Nel tentativo di ricomporre il quadrato, formò delle figure interessanti. Da questo capì che non aveva più bisogno di viaggiare, perché poteva rappresentare le bellezze del mondo Uno dei primi libri che ne parla risale al 1817. La “Tavoletta della verità”, come venne anche chiamato questo gioco, in Cina divenne persino oggetto di culto e anche Napoleone Bonaparte divenne un appassionato giocatore di Tangram durante il suo esilio nell’isoletta di Sant’Elena. I Il Tangram, insomma, è un gioco senza tempo, infatti, nel corso dei secoli, sono state inventate migliaia e migliaia di figure differenti con quei sette pezzi. tangram tradizionale (in alto) e alternative più diffuse

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3.0

L’esercitazione L’esercitazione richiedeva la produzione di 6 tavole, realizzate con tangram partendo dalla condizione restrittiva di usare solo 1 tangram per ogni figura attenendosi alle proporzioni dei singoli pezzi, fino ad arrivare all’utilizzo libero delle forme in quantità e dimensioni.

storia inventata: “Il narghilè della trasformazione“

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3.0

Tangram

4 emozioni

calma e rilassamento

stabilità e bilanciamento

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3.0

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dinamismo

[...]Intorno, dietro questo paradiso di paesana tranquillità, compaiono, le facciate gialle dei grattacieli fascisti, degli ultimi cantieri: e sotto, oltre spessi lastroni di vetro, c’è una rimessa, sepolcrale.[...] Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone della rabbia. Un piccolo, sordo, fosco; sentimento che m’intossica esaurimento, dicono, febbrile impazienza dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza.[...] La rabbia - Pier Paolo Pasolini rabbia

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3.0

Tangram

Questo sono io

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ORDINE DI LETTURA


4

‘Secnodo un pfrosseore dlel’Unviesrita’ di Cmabrdige, non imorpta in che oridne apapaino le letetre in una paolra, l’uinca csoa imnorptate e’ che la pimra e la ulimta letetra sinao nel ptoso gituso. Il riustlato può serbmare mloto cnofsuo e noonstatne ttuto si puo’ legerge sezna mloti prleobmi. Qesuto si dvee al ftato che la mtene uanma non lgege ongi ltetera una ad una, ma la paolra nel suo isineme. Cuorsio, no?’ tesi di un docente dell’Università di Cambridge


4.0

Ordine di Lettura

Breve introduzione Questa esercitazione, ideata da Giovanni Anceschi per il suo corso di Basic Design tenuto all’Università IUAV di Venezia, ha come scopo la presa di coscienza da parte dello studente delle differenze di percezione degli elementi disposti su un foglio, a seconda della loro variazione di dimensione e posizione.

L’esercitazione Su un formato A3 verticale, al quale va attribuito un colore piatto a piacere, piazzare le prime cinque cifre (1,2,3,4,5= 12345), nell’ordine, in un carattere tipografico a piacere (non sono ammessi caratteri calligrafati o disegnati ad hoc dallo studente). Le cifre possono essere ingrandite o rimpicciolite ma non deformate, possono essere spostate verso l’alto o abbassate lungo l’asse verticale e ruotate o capovolte ma non rese speculari. In ogni modo i contorni delle cifre non devono mai sovrapporsi, e non devono mai sovrapporsi neppure le bande ideali verticali che contengono le cifre. Anche il colore delle cifre può essere una tinta a piacere piatta ma non sfumata. Si può attribuire una diversa tinta a ciascun numero. È rigorosamente vietato invertire la sequenza orizzontale delle cifre. L’obiettivo consiste nell’ottenere che si legga un numero diverso da dodicimilatrecentoquarantacinque.

1 2 3 4 5 40


5

3

1 2

4

41


2

3

4

1

5 Gambineri



DALL’ ELICA ALLA VESPA


5 45


4.0

Dall’elica alla vespa

Breve introduzione Questa esercitazione richiedeva l’impaginazione di una rivista semplice, di sole 4 pagine, a tema storico, per prendere confidenza con griglie di composizione e una disposizione coerente degli oggetti nella pagina. L’argomento trattato è l’esperienza di Corradino d’Ascanio e l’evoluzione dell’azienda Piaggio. Tramite gli elementi grafici scelti ho voluto rievocare la storicità dei fatti, aggiungendo un tocco “progettuale“ con le bozze delle tavole tecniche e i ritagli di giornale un po’ alla rinfusa.

L’esercitazione Su un foglio di carta a quadretti si progetti un impaginato di 4 pagine (copertina/retrocopertina/due pagine di contenuti) basato sul ¨grid system¨ utilizzando i materiali allegati come base. Tutto il testo e tutte le immagini devono essere utilizzate nell’impaginato, in aggiunta è possibile inserire altri testi e altre immagini. In sostanza occorre usare il materiale allegato ed eventuali nuovi materiali per progettare un impaginato (A4) così composto: copertina con immagine/i e titoli, 2 pagine di contenuti (allegati) ed eventualmente nuovi a piacere, retro copertina.

Corradino D’Ascanio

Dall’elica alla Vespa

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4.0

Copertina

Corradino D’Ascanio

Dall’elica alla Vespa

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4.0

Dall’elica alla vespa

Prima pagina La prima Vespa prende forma nel 1945 e nel 1946 cominciano ad uscire gli esemplari di produzione dai nuovi stabilimenti Piaggio, appena ricostruiti. A livello di design la Vespa non si mostrava aggressiva, la sua rotondità anzi la faceva percepire come veicolo rassicurante ed affidabile, adatto a percorsi sia stradali che sconnessi, non in difficoltà nelle dissestate strade di un paese appena uscito da un conflitto. Il rifiuto di D’Ascanio di partire da un mezzo precedente (il Paperino) gli ha permesso un approccio razionale e sintetico, centrato sugli elementi del problema.

Un anno dopo la prima Vespa, esce la prima versione del motofurgone Ape, che usava all’anteriore la struttura della Vespa cui veniva aggiunto un cassone multifunzionale al posteriore. Nel 1949 la Vespa giunge alla seconda serie e nel 1953 le Vespa prodotte saranno 600.000. Vespa è invece un veicolo strutturalmente semplice, facile da produrre e da manutenere, facilissimo da guidare. La sintesi perfetta del progetto Vespa è nella scocca portante, che risolveva al tempo stesso il problema della struttura e la tipologia della forma. La “morfologia” della Vespa è la sua struttura principale, una fusione tra funzione ed espressività raramente cosi’ presenti e integrate in un prodotto industriale.

La Vespa è un prodotto di design concepito da una mente pragmatica, abituata a risolvere problemi di strutture leggere ed affidabili (come nei progetti aeronautici) ma capace anche di immedesimarsi senza preconcetti nel pubblico per interpretarne le esigenze e richieste di una motorizzazione semplice e diffusa, molto diverse dai concetti della “motocicletta” un veicolo complesso, difficile da guidare e costoso da manutenere, più “sportivo” e meno “turistico”.

La Vespa insomma, deve molto all’elicottero ed è più simile ad una automobile che ad un motociclo di quanto si potrebbe pensare.

IL PRIMO MODELLO DI VESPA

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La Vespa si è sempre saputa rinnovare, anche a dispetto del suo restare sempre simile a se stessa, anche grazie a sapienti operazioni di marketing, campagne promozionali e pubblicitarie anche molto famose ed importanti di cui il Museo Piaggio conserva memoria nei poster, allestimenti speciali, ed altro materiale di promozione che costituisce una testimonianza dell’efficacia della buona comunicazione d’impresa.


4.0

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Seconda pagina L’ing. Corradino D’Ascanio è noto come l’inventore della Vespa, lo scooter per antonomasia, nato nel 1946 dalla riconversione alla produzione civile della Piaggio, dopo la parentesi della guerra. Non è altrettanto noto che D’Ascanio, 16 anni prima (1930) riuscì per la prima volta al mondo a far volare un elicottero. Ed esiste un legame forte tra l’elicottero e la Vespa, o meglio tra il D’Ascanio progettista aeronautico e la filosofia della Vespa come mezzo di motorizzazione di un paese che si risollevava dopo una pesante guerra. D’Ascanio, dopo una carriera brillante nel settore aeronautico, in Italia e negli USA arriva a concretizzare nel 1930 il primo elicottero capace di volare davvero, ben quattro secoli dopo le irrealizzate e disegnate intuizioni di Leonardo Da Vinci. La prima commessa viene dal Ministero dell’Aeronautica, ma il Ministero stesso non vede ancora in quel veicolo ancora così apparentemente fragile una macchina adatta all’uso militare e i finanziamenti sono dirottati altrove. Il rapporto di D’Ascanio con Piaggio deriva proprio dalla sua seguente collaborazione con la Piaggio di Pontedera. Oggetto della collaborazione la progettazione di un’elica per aeroplani, che si dimostrerà talmente efficace da essere diffusa ed acquistata da tantissime fabbriche di aerei in tutto il mondo.

E sempre per Piaggio - nel 1939 D’Ascanio insiste nel realizzare un prototipo del primo elicottero “moderno” molto più maturo dei suoi precedenti e già simile a quelli attuali. Durante un bombardamento nel 1943 (in piena seconda guerra mondiale) questa macchina verrà parzialmente distrutta e solo nel 1949 - a guerra terminata - D’Ascanio potrà ricostruirla e migliorarla, arrivando al prototipo finale del PD3. Macchina che si alzò in volo nel 1950 e dimostrò ottime doti di guidabilità e stabilità.

Enrico Piaggio conferisce nel 1945 a D’Ascanio, il compito di studiare un veicolo capace di rendere possibile ed economico il trasporto privato individuale. Il tema progettuale posto a D’Ascanio riguarda un veicolo a due ruote, poco costoso da produrre e facile da guidare. Enrico Piaggio mostra a D’Ascanio il Paperino, veicolo che Piaggio aveva già assemblato negli stabilimenti di Biella, proprio per cercare di realizzare uno “scooter” per uso generale. Da notare che il tutto avveniva ancora nel pieno disinteresse all’elicottero da parte dell’Aeronautica Militare, assai poco lungimirante, se si pensa al ruolo bellico fondamentale che tale veicolo assumerà solo pochi anni dopo (si pensi agli Apache nella guerra del Vietnam).

Piaggio cesserà di li a poco ogni studio su questo tipo di velivolo, nonostante l’evoluzione netta ottenuta da D’Ascanio con il successivo PD4. Piaggio chiude quindi la sua avventura con l’elicottero per la mancanza di finanziamenti, curioso notare come tale veicolo farà invece - a partire dal 1952 - la fortuna della Augusta, altra azienda Italiana, che ne aveva visto e compreso le potenzialità. Finita la seconda guerra mondiale la Piaggio, oltre al problema di ricostruire gli stabilimenti bombardati, deve riconvertire la produzione in ambito civile dopo la produzione bellica.

D’Ascanio esamina il Paperino ma subito lo scarta, lo ritiene troppo motociclistico e in ogni caso rifiuta un progetto non da lui impostato. Per suo carattere è abituato a gestire un progetto da zero a disegnare e costruire le singole parti direttamente. Ma il Paperino è inadatto anche come concetto, Corradino D’Ascanio vuole un veicolo più comodo, con una maggiore protezione e che possa essere guidato senza sporcarsi i vestiti in ogni condizione meteo, dove si possa sedere con una posizione più automobilistica e dove sia agevole cambiare la ruota bucata se sia necessario farlo, anche grazie alla presenza della ruota di scorta (un concetto prettamente automobilistico).

Per realizzare la Vespa quindi riparte da zero, e affianca soluzioni tecnologiche di derivazione aeronautica (a lui note) come il telaio monotubo per la ruota anteriore a sostituire la forcella. Il telaio della vespa è un telaio di origine automobilistica, autoportante, leggero ma robusto e protettivo. Insomma il D’Ascanio ingegnere aeronautico affronta il tema scooter partendo da presupposti molto diversi dai concetti motociclistici.

49


4.0

Dall’elica alla vespa

Retro di copertina “Motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato, con parafanghi e cofani ricoprenti tutta la parte meccanica” Definizione da brevetto della prima Vespa



LA MASCHE RINA CHE VORREI 52


6


6.0

La mascherina che vorrei

Breve introduzione Oggi le mascherine annullano le identità e mettono in ombra la personalità di coloro che le utilizzano. Mascherine che nel tempo del coronavirus, devono essere indossate da tutti, divenendo parte della nostra immagine. La maschera è lo strumento che permette di oscurare la personalità di un individuo per far emergere un’identità diversa, separata e inventata. Può quindi essere un oggetto che bene si presta ad esercitare la propria creatività. La mascherina che annulla, contro la mascherina che afferma.

L’esercitazione Dopo un brainstorming iniziale e degli schizzi preliminari, l’esercitazione richiedeva la realizzazione fisica del modello di mascherina ideato e progettato al fine di realizzare un albo del corso, prospettiva purtopppo non finalizzata. In alternativa era possibile realizzare autonomamente degli scatti, per mostrare la resa della mascherina applicata al volto

Idea di partenza Già dalla fase iniziale di progettazione ho voluto impostare l’esercitazione su una problematica reale e fastidiosissima, per me per e per tutti coloro che soffrono di problemi di vista. Come abbiamo pututo appurare in questo anno di convivenza, la mascherina non va affatto d’accordo con gli occhiali, che siano da sole o da vista, rendendo azioni quali la lettura e il disegno pressochè impossibili.

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6.0

Fase di progettazione Dal momento che l’opzione di rimuovere la mascherina non è tutt’oggi praticabile, la direzione dei miei studi si è incentrata verso il trovare un materiale che, una volta rivestitavi la mascherina, impedisse all’aria calda di salire verso l’alto e uscire dalla parte superiore della mascherina. Tale materiale si è rivelato poi essere il cotone, che applicato in piccola parte lungo il ferretto posto sopra il naso assorbe il calore egregiamente, risolvendo così il problema appannaggio.

Il bivio In seguito, dopo un confronto con coetanei e familiari, sono voluto risalire all’origine della riluttanza nell’indossare la mascherina che ha caratterizzato un po’ tutti, chi più chi meno, chi prima chi dopo, durante questa pandemia. Da qui il mio progetto si è sdoppiato, seguendo due strade diverse ma parallele: da una parte l’esigenza “estetica“, che prevaleva maggiormente tra i giovani ansiosi di mostrare tutto il loro charme, e dall’altra la richiesta di più comodità, soprattutto da parte di adulti lavoratori, costretti a portare la mascherina per 8-9 ore consecutive al giorno in sede lavorativa per poi tornare a casa con i segni dietro le orecchie e sulla base del naso. Ho realizzato quindi due tipi di mascherina, una “comoda“ e una “bella“: la prima integra il principio del supporto in cotone antiappannaggio anche nel laccetto dietro le orecchie (come spiegato prima, sulla base del naso è già presente); la seconda cerca, tramite una grafica accattivante ed una citazione rivisitata, di invogliare i giovani all’utilizzo di questi scomodo ma necessario dispositivo. Vista la semplicità dell’implemento antiappannaggio, esso è di facile realizzazione domestica tramite pochi attrezzi di bricolage, ma almeno per la mia esperienza la sua applicazione ha visto un cambiamento drastico nella vita quotidiana, rendendomi più facile svolgere moltissime attività.

55


6.1

MASCHERINA “PROTECT YA SELF“


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6.1

Concept “Protect ya Neck“ è il titolo di una famosa traccia del collettivo hip hop newyorchese Wu Tang Clan, pubblicata nel 1993 all’interno dell’iconico album Enter the Wu-Tang (36 Chambers). Ai toni crudi e violenti che caratterizzzano questo brano ho voluto contrapporre il tema della sicurezza, trasformando la minaccia velata nel titolo (letteralmente “proteggiti il collo”, ma che ha il significato di “guardati le spalle“) in un invito alla prudenza, se non per gli altri almeno per sè stessi. Così nasce “Protect ya Self”, un anti-slogan che nell’ambito hip hop non può sfuggire inosservato nemmeno ai primi arrivati. Preciso che di questa proposta non ho realizzato il modello fisico in quanto si limita ad una proposta grafica, di conseguenza non l’ho ritenuto necessario, preferendo effettuare dei rendering.

Grafica vettoriale

57


6.1

Rendering

58


59


6.2

MASCHERINA “PUFF MASK“


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6.2

Concept La proposta grafica coordinata al dispositivo antiappannaggio è derivata proprio dal materiale con cui è stato realizzato l’implemento, ovvero il cotone, dall’aspetto e consistenza soffice e comodo, proprio come le nuvolette che il drago nell’illustrazione sbuffa attorno a sè, allontanandole dalla mascherina come il cotone fa con il calore, permettendo il funzionamento corretto del dispositivo. Il nome si ispira dall’onomatopeico sbuffo di fumo, e contemporaneamente allo sbuffo di frustrazione che puntualmente sfuggiva quando gli occhiali si appannavano.

Grafica vettoriale

61


6.2

La mascherina che vorrei

Rendering

62


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6.2

Realizzazione del modellino fisico

63


6.2

La mascherina che vorrei

Mascherina indossata

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6.2

Problema risolto!

65




3.1

LOGO TIPI


7

LOGOTIPO

Sostantivo maschile (dal greco logos, parola e typos, lettera). 1. In tipografia, gruppo di due o più lettere fuse in un unico pezzo; molto usato nelle antiche composizioni, è oggi ridotto a pochi nessi 2. Nel linguaggio della pubblicità, il modo con cui sono tracciati i segni grafici del nome di una azienda o di un prodotto. Spesso abbreviato in logo. tratto da “Treccani”


7.0

Logotipi

Introduzione: marchi e loghi Con il termine marchio si definisce un insieme di elementi, visuali e testuali, formato da pittogrammi, logotipi e/o scritte, tramite i quali risulta intuitivo identificare il codice comunicativo della marca stessa. Il logotipo logotipo, più comunemente logo, riguarda esclusivamente la componente grafica di un marchio, fondamentale in quanto sempre presente e spesso affiancata da un pittogramma, al fine di rendere immediato il riconoscimento di tale azienda o prodotto ed al tempo stesso di distinguersi dalla concorrenza. Proprio per questo motivo il logo deve cercare di racchiudere al suo interno i valori che rappresentano l’azienda, e per farlo è necessario che venga progettato sin dal principio secondo canoni precisi. Aspetto fondamentale in un buon logo è la riconoscibilità, che deve essere ottima anche a dimensioni ridotte, così da poter applicare tale logo in ambiti diversi senza doversi preoccupare della sua leggibilità. Inoltre, non deve in alcun modo poter essere scambiato per un altro, di conseguenza è preferibile evitare di utilizzare elementi simili a quelli presenti in altri loghi già conosciuti, o addirittura già sfruttati dalle aziende concorrenti. Per quanto riguarda la colorazione, raramente vengono impiegati 3 pigmenti diversi, al fine di creare una palette ben distinguibile e subito associabile al nome dell’azienda o del prodotto (un esempio tra tutti Google). Spesso, per rafforzare ulteriormente l’identità del brand, ai loghi vengono associati altri due elementi: il payoff payoff, formato da un’aggiunta testuale al semplice pittogramma, ed lo slogan slogan, noto anche come claim o headline, che varia da campagna a campagna e serve ad invogliare, tramite frasi accattivanti e provocatorie, l’acquisto di un determinato prodotto.

pittogramma

payoff slogan

70


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7.0

Tipologie di loghi Allusivi La loro forma allude a significati che possono richiamare alla mente del fruitore concetti vicini a quelli rappresentati dal prodotto ma non facilmente interpretabili. L’allusione contenuta nel marchio funziona come richiamo ad un messaggio segreto, da condividere con pochi “iniziati.”

Associativi Possono non contenere il nome del prodotto, ma evocano o richiamano un’associazione diretta con lo stesso. Il loro forte potere comunicativo è frutto di un consolidamento che ha richiesto anni di diffusione del brand ad i massimi livelli.

71


7.0

Logotipi

Astratti Sono simboli dalla scarsa allusività e dal debole significato, spesso sono ideati con strutture grafiche che creano illusioni ottiche o segni che trasmettono energia e movimento.

72

Denominativi Devono la loro unicità ad un nome scritto in un stile grafico particolare, esprimono un messaggio chiaro e diretto al consumatore. Si dimostrano particolarmente appropriati quando il nome è: corto, facile da ricordare o astratto.


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Emblematici Sono formati da un nome racchiuso in un simbolo visivo semplice (ovale, cerchio, riquadro) questo ne rafforza la memoria visiva e ne facilita l’identificazione,il simbolo non ha tuttavia l’espressività necessaria ad imporsi sul nome.

7.0

Figurativi La forma che accompagna la denominazione del marchio ha un valore predominante rispetto alla dicitura di marca. Se si sostituisce il nome del logotipo, la combinazione forma-testo continuerà a trasmettere il valore della marca. Sono quindi logotipi che hanno un design in grado di sfidare qualsiasi manomissione.

73


7.1

LOGO GEOMETRICO


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7.1

Concept iniziale Questa esercitazione richiedeva di realizzare un logo formato da elementi geometrici su una matrice geometrica. Il logo proposto rappresenta un cubo, che racchiude al suo interno uno spazio tridimensionale formato da piani, in progressione traslatoria. Tramite in’illusione ottica, per la quale lo spettatore immagina che i piani proseguano anche dietro le altre facce, viene a crearsi una situazione di paradosso per la quale il cubo presenta contemporaneamente al suo interno 3 tipi di piani, orientati però diversamente tra loro. Per questo logo ho immaginato una destinazione di indirizzo tecnologico, magari per una ditta di impianti hi-tech o di sicurezza informatica.

Progettazione

Schizzi preparativi

75


7.1

Logotipi

Studio della matrice

Composizioni Geometriche

76


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7.1

Deformazioni

Simmetrie

77


7.1

Logotipi

Variazioni dimensionali

78


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7.1

Scala di grigi

79


7.1

Logotipi

Varianti cromatiche

80


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7.1

Varianti cromatiche

81


7.1

Logotipi

Effetti tridimensionali

Effetti grafici e textures

82


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7.1

Varianti

Proposta definitiva

83




7.2

LOGO NATURALE


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7.2

Concept iniziale Questa esercitazione richiedeva di realizzare un logo ispirato a forme naturali. La mia proposta presenta un muso dalle sembianze canine, da interpretarsi come un lupo o un dingo. La scelta dell’animale in questione è riconducibile alla forti caratteristiche a cui viene notoriamente associato, quale l’aggressività ma anche la forte appartenenza al branco e la capacità di sopravvivere in ambienti ostili. Per questo motivo, ho immaginato il logo per un brand di produzione di vestiario ed equipaggiamento per motociclisti.

Progettazione

Schizzi preparativi

87


7.2

Logotipi

Studio della matrice

Composizioni Geometriche

88


Back to Basic Design

7.2

Deformazioni

Simmetrie

89


7.2

Logotipi

Variazioni dimensionali

90


Back to Basic Design

7.2

Scala di grigi

91


7.2

Logotipi

Varianti cromatiche

92


Back to Basic Design

7.2

Varianti cromatiche

93


7.2

Logotipi

Effetti tridimensionali

Effetti grafici e textures

94


Back to Basic Design

7.2

Varianti

Proposta definitiva

95


7.2

Logotipi

Proposte alternative In origine, come si nota dagli schizzi preparativi a inizio paragrafo, questo logo era stato progettato come il primo di tre animali che, posizionati coordinatamente lungo un’asse verticale, avrebbero composto un totem. In seguito la proposta è stata scartata poichè troppo elaborata e difficilmente riducibile.

96


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7.2

Varianti cromatiche

97




7.3

LOGO ACRONIMO


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7.3

Concept iniziale Questa esercitazione richiedeva di realizzare un logo che contenesse le iniziali del proprio nome e cognome. La mia proposta presenta un parallelepipedo posto verticalmente in assonometria cavaliera, le quali facce rappresentano ognuna una delle due iniziali. La scelta di incorporare le lettere in un unico blocco deriva dal significato di compattezza che ho voluto attribuire a questo logo così personale, rendendolo semplice e ordinato ma al tempo stesso imponente e autorevole. Per la sua applicazione ho immaginato uno studio di design, chissà...

Progettazione

Schizzi preparativi

101


7.3

Logotipi

Studio della matrice

Composizioni Geometriche

102


Back to Basic Design

7.3

Deformazioni

Simmetrie

103


7.3

Logotipi

Variazioni dimensionali

104


Back to Basic Design

7.3

Scala di grigi

105


7.3

Logotipi

Varianti cromatiche

106


Back to Basic Design

7.3

Varianti cromatiche

107


7.3

Logotipi

Effetti tridimensionali

Effetti grafici e textures

108


Back to Basic Design

7.3

Varianti

Proposta definitiva

109




7.4

LOGO A LETTURA MULTIPLA


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7.4

Concept iniziale Questa esercitazione richiedeva di realizzare un logo che contenesse molteplici significati. La mia scelta è ricaduta sulla parola “temple“, dall’inglese tempio, poichè la prima lettera della parola già di per sè mi ricorda la forma di un santuario, ed ho elaborato così il seguente concetto. Inoltre, come per il logo geometrico, ho voluto inserire un aspetto di illusione ottica dato dalle forature al suo interno, che riprendono il concetto di piani coesistenti ma distinti. Questo logo, vista l’ispirazione di stampo antico e spirituale, viene progettato per essere destinato ad uno studio di tatuaggi, o in alternativa ad un centro di meditazione e yoga.

Progettazione

Schizzi preparativi

113


7.4

Logotipi

Studio della matrice

Composizioni Geometriche

114


Back to Basic Design

7.4

Deformazioni

Simmetrie

115


7.4

Logotipi

Variazioni dimensionali

116


Back to Basic Design

7.4

Scala di grigi

117


7.4

Logotipi

Varianti cromatiche

118


Back to Basic Design

7.4

Varianti cromatiche

119


7.4

Logotipi

Effetti tridimensionali

Effetti grafici e textures

120


Back to Basic Design

7.4

Varianti

Proposta definitiva

121


7.4

Logotipi

Proposta alternativa n.1 In origine la proposta relativa a questo logo era diversa: dopo aver creato un simil-font, con il quale comporre il payoff “Tattoo Temple“, avrei progettato uno stemma che racchiudesse appunto gli elementi tipografici in una sorta di tempio. Anche questa proposta è stata scartata in quanto troppo elaborata.

122


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7.4

Proposta alternativa n.2 Altra proposta, da cui è derivata quella presentata nelle pagine precedenti, è questo tentativo di costruire con le lettere che formano la parola “Temple“ un vero e proprio altarino. La proposta è stata scartata perchè troppo più vicina ad un’illustrazione che ad un logo, inoltre la riducibilità era praticamente nulla.

123




7.5

LOGO LIBER0


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7.5

Concept iniziale Questa esercitazione richiedeva di realizzare un logo a piacere, senza vincoli di matrice geometrica, purchè avesse un suo significato. Per la progettazione mi sono ispirato al triangolo di Penrose (il cui principio si ispira a quello di Reutersvärd), scomponendo però la forma solitamente unica in 6 cubetti, matrici e basi di tutti gli altri miei loghi, eccetto quello naturale. Per questo logo non ho immaginato alcuna destinazione, in quanto molto astratto ed al tempo stesso versatile, ma lo vedrei bene per una galleria d’arte moderna.

Progettazione

Schizzi preparativi

127


7.5

Logotipi

Studio della matrice

Composizioni Geometriche

128


Back to Basic Design

7.5

Deformazioni

Simmetrie

129


7.5

Logotipi

Variazioni dimensionali

130


Back to Basic Design

7.5

Scala di grigi

131


7.5

Logotipi

Varianti cromatiche

132


Back to Basic Design

7.5

Varianti cromatiche

133


7.5

Logotipi

Effetti tridimensionali

Effetti grafici e textures

134


Back to Basic Design

7.5

Varianti

Proposta definitiva

135




IMMA GINE COORDI NATA


8

IMMAGINE COORDINATA

La locuzione immagine coordinata appartiene al mondo della comunicazione visiva. Ha come oggetto la comunicazione di aziende, società, enti, associazioni e qualsiasi altra entità commerciale, sociale o concettuale che abbia tra i suoi bisogni quello di essere conosciuta da un determinato pubblico. tratto da “Wikipedia”


8.0

Immagine Coordinata

Breve introduzione Prima di andare ad analizzare le finalità dell’esercitazione ritengo necessario introdurre 4 termini, tutti orbitanti intorno al concetto di brand ma ognuno con sfaccettature diverse: brand awareness, brand image, brand reputation e brand identity.

140

Con brand image si intende il modo in cui il consumatore di fatto percepisce il brand in questione. Non si può controllare del tutto il modo in cui siamo considerati dal pubblico, ma si può studiare la brand image per intervenire e operare tutte le correzioni necessarie affinchè la percezione all’esterno resti la migliore.

Non è detto che sia scontato avere una brand image, ma, al contrario, è spesso necessario esporsi con intraprendenza, per farsi notare il più possibile. Con brand awareness ci si riferisce semplicemente a un dato numerico, ovvero se e quanto il pubblico è cosciente della nostra presenza nel mercato.

La brand identity si riferisce all’immagine che l’azienda, il negozio o il privato vogliono proporre al proprio pubblico. Si tratta di una scelta cosciente, maturata in seguito ad attente analisi di mercato ed è il frutto di decisioni strategiche. Sotto questo termine troviamo tutti gli aspetti grafici e visivi, dal logo allo stile del sito internet, fino ai contenuti pubblicitari o di engagement.

Brand identity, image e awareness vengono tutte coinvolte nel generare quella che è la nostra brand reputation, ovvero che tipo di significati il consumatore assegna al nostro brand. Non si tratta solo di cifre stilistiche o contenutistiche, ma di aspetti generali più ampi, che vanno dal nostro operato aziendale fino al comportamento di tutti i soggetti coinvolti, sia sul web che nel mondo reale.


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8.0

Immagine Coordinata L’immagine coordinata (o grafica coordinata) è l’insieme degli elementi grafico-visivi che comunicano, in modo armonioso e coerente, un marchio o un’azienda. Potremmo dire che è il “vestito” che indossa un’azienda, il suo tratto distintivo che la rende immediatamente riconoscibile agli occhi del pubblico. L’immagine coordinata, costituita da vari elementi, non riguarda l’aspetto visivo fine a se stesso, ma serve a veicolare il messaggio aziendale. Per questo motivo è indispensabile che l’agenzia di comunicazione che se ne occupa dedichi del tempo ad un accurato briefing con il cliente per conoscere i valori, lo stile comunicativo e gli obbiettivi della sua azienda. Solo in questo modo riuscirà a confezionare un’immagine coordinata in grado di rappresentare l’azienda e rafforzare la sua brand identity. Tutti gli elementi che compongono la grafica coordinata devono uniformarsi al logo, che ne è l’elemento principale nella maggior parte dei casi: se tutte le parti sono in armonia fra loro, vengono percepite come appartenenti ad un’unica realtà.

L’ esercitazione Per questa esercitazione ci è stato chiesto di produrre, utilizzando uno o più loghi a nostra scelta di quelli ideati nella precedente, un set di immagini coordinate comprendente di busta da lettera, biglietto da visita, carta intestata in doppia copia (foglio principale e secondario) più una serie di opzioni alternative e facoltative, tra cui ho selezionato un’insegna su di un edificio e un cartello luminoso

141


8.1

BIGLIETTO DA VISITA


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8.1

Analisi compositiva

lato frontale cartoncino 350 gr./m², dimensioni 85 x 55 mm

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lato informativo, cartoncino 350 gr./m², dimensioni 85 x 55 mm

143


144


145


8.2

CARTA INTESTATA


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8.2

Analisi compositiva

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foglio principale in versione bianca, formato A4

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foglio secondario in verisone nera, formato A4

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151


8.3

BUSTA DA LETTERE


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8.3

Analisi compositiva

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fronte busta con finestra trasparente, dimensioni 22,9 x 32,4 cm

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retro busta con chiusura, dimensioni 22,9 x 32,4 cm

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6.4

CARTELLO LUMINOSO

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6.5

INSEGNA A PARETE

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OGGETTO IMPOS ELIBIS


9

OGGETTO IMPOSSIBILE

E’ un oggetto che non può essere costruito nella realtà perché in contrasto con le leggi della geometria, sebbene sia possibile disegnarne una rappresentazione bidimensionale. La sua percezione come oggetto verosimile rappresenta un paradosso, ed è per questo motivo un’illusione ottica di tipo cognitivo. tratto da “Wikipedia”


9.0

Oggetto impossibile

Breve introduzione Il termine “impossibile” trae il suo etimo dal latino impossibìle (m), composto di ìn’ (privativo) e possibìlis, ‘possibile’. Quindi, esso indica ciò che non è realizzabile. Nel calcolo delle probabilità, l’evento impossibile è quello che non si verifica mai, ovvero la probabilità che esso si avveri è nulla. Una figura impossibile (o figura indecidibile) è un tipo di illusione ottica. Consiste in una figura bidimensionale, immediatamente e inconsciamente interpretata dal sistema visivo come se rappresentasse la proiezione di un oggetto tridimensionale.

Il primo oggetto impossibile Concordemente riconosciuto come “il padre delle figure impossibili”, lo svedese Oscar Reutersvärd è stato il primo artista grafico ad aprire la strada all’arte dei disegni 3D, oggetti che possono apparire inizialmente fattibili, ma che, in realtà, non possono essere realizzati concretamente.La sua predisposizione in materia si svela quando nel 1934, all’età di soli 18 anni, crea una figura composta da una serie di cubi in prospettiva, conosciuta come il “triangolo impossibile”. Il triangolo impossibile è il primo intenzionale oggetto impossibile conosciuto. È importante sottolineare tale intenzionalità. Oggetti impossibili si erano visti in precedenza in ambito artistico, quando l’artista aveva commesso degli errori, a causa di una mancanza di abilità nella prospettiva. Reutersvärd invece, annoiandosi durante una lezione di latino, iniziò a scarabocchiare una forma di stella a sei punte, e la circondò con cubi a 3 dimensioni. Affascinato dalle illusioni, Reutersvärd sfidò la prospettiva tradizionale, selezionando un “cubo magico” e infilandolo dietro ad un altro cubo invece di sovrapporlo a questo. Tale sorta di “mezza piega” (simile alla “mezza torsione” del Nastro di Moebius) completa il disegno del triangolo impossibile. Moebius

164


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9.0

Un circolo vizioso Nel 1937, Reutersvärd aveva creato le sue prime scale impossibili, molto prima di Escher e Penrose. Il motivo della scala era stato, infatti, sviluppato con oltre un ventennio di anticipo dall'artista svedese, ma né Penrose né Escher erano a conoscenza dei suoi disegni. Nel 1956, lo psichiatra britannico Lionel Penrose e suo figlio, il matematico Roger Penrose (all'epoca ancora studente), inviarono al British Journal of Psychology un breve articolo, dal titolo "Impossible Objects: A Special Type of Visual Illusion", che era illustrato con il triangolo di Penrose e la scala di Penrose. Penrose L'articolo si rifaceva ad Escher, il cui lavoro aveva suscitato l'interesse dei Penrose per l'argomento, ma non a Reutersvärd, all'epoca non conosciuto dai due. Roger Penrose scoprì infatti il lavoro di Reutersvärd soltanto nel 1984. L'articolo, pubblicato nel 1958, fu letto dall'artista svedese, il quale venne così a conoscenza dei due oggetti impossibili, sviluppati dal duo Penrose, padre e figlio, in modo indipendente. M. C. Escher, Escher ispirato a sua volta dall'ormai classico articolo dei Penrose, produsse due stampe di edifici impossibili, Ascending and Descending e Waterfall Waterfall, rispettivamente nel 1960 e nel 1961, due dei suoi ultimi lavori più intriganti. Il primo dei due è una diretta implementazione della scala di Penrose, mentre il secondo rappresenta un corso d'acqua impossibile, costruito da due triangoli di Penrose sovrapposti . Vedere applicati quei concetti, da lui ideati più di 20 anni prima, da parte di matematici e artisti di valore, riaccese l'interesse di Reutersvärd. Nel 1963, creò infatti diverse figure impossibili nuove e originali, che furono esposte in una galleria a Stoccolma. Egli volle creare le sue figure con inchiostro di china su carta di riso giapponese, disegnando a mano libera, senza un righello o qualsiasi altro dispositivo meccanico. Generalmente, utilizzò il "trucco" della "prospettiva giapponese, dove tutte le linee parallele rimangono parallele e non rispondono a punti di convergenza visiva." Confrontando il suo lavoro con quello del più famoso artista dell’impossibile, M.C. Escher, si può osservare la profonda diversità esistente tra i due artisti: Escher costruisce mondi inabitati attorno a oggetti impossibili, mentre i disegni di Reutersvärd constano generalmente di forme geometriche pure.

165


9.0

Oggetto impossibile

Il nastro di Möbius Tutte le superfici della geometria tradizionale sono bilaterali: hanno due facce, una superiore e una inferiore, o una interna e una esterna. Per passare da una faccia all’altra bisogna bucare la superficie o scavalcarne il margine. Il nastro di Möbius è una superficie con una sola faccia. Si ottiene unendo le due estremità di un nastro di carta, ma dopo avergli dato mezzo giro di torsione, unendo cioè l’angolo destro di un lato con torsione quello sinistro dell’altro, a differenza di quanto si fa per formare con un nastro un normale cilindro. \In questo modo si ottiene una superficie dalle proprietà particolari: per esempio, percorrendola come fanno le formiche nell’opera di Escher, ci si ritrova “sotto” il punto di partenza senza bisogno di bucare la carta o di sconfinare oltre il bordo. Così, volendo dipingere una sola faccia del nastro, si dipinge inevitabilmente anche l’altra. Questo non accade nelle normali superfici bilaterali, come il cilindro o la sfera, dove per passare da una parte all’altra occorre appunto attraversare la superficie. Nel nastro di Möbius si ottiene invece un solo nastro di metà altezza e con il perimetro doppio rispetto a quello iniziale. Lo studio del nastro di Möbius è stato molto importante per la storia della matematica e ha contribuito a porre le basi della scienza chiamata topologia. “Striscia di Möbius II“, 1963 applicazione del nastro di Möbius in in una delle xilografie a lui dedicate da Escher.

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9.0

Il nastro di Möbius nell’architettura... Lo Swallow’s Nest (Nido di Rondine) è la proposta spettacolare dello studio Vincent Callebaut Architectures per il futuro centro culturale situato nel nuovo “Gateway Park”, che si trova sul sito del vecchio aeroporto della città di Taichung, a Taiwan. Questa ambiziosa architettura organica nasce da una geometria rigorosa e complessa. Il nastro di Möbius sollevato da terra appoggia su tre pilastri principali che supportano tre enormi volte, che a loro volta ospitano gli spazi espositivi delle opere d’arte del museo e della biblioteca, veri e propri hub di connessione tra il patio centrale e il centro culturale, la città e il parco. Questo concept strutturale permette di liberare completamente il suolo, trasformandolo in un immenso giardino acquatico e floreale.

“Ideato all’immagine del nastro di Möbius, è un centro culturale senza fine, che interrogherà, intrigherà e sveglierà i neuroni dei suoi visitatori” Vincent Callebaut

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9.0

Oggetto impossibile

...e nel design Nell’ambito del design, il nastro di Möbius viene spesso impiegato in loghi o grafiche pubblicitarie proprio perchè, grazie alla sua spettacolare ambiguità, è capace di catturare imediatamente l’attenzione dello spettatore. Un esempio di portata internazionale della sua applicazione in campo di logotipi è il simbolo di riciclaggio dei rifiuti, disegnato nel 1971 da Gary Anderson e composto da tre frecce che formano un nastro di Möbius. Un altro esempio molto popolare è il logo della Renault, che dal 1972 assume la forma di un nastro di Möbius, appiattito a due estremità opposte.

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9.0

Oggetto impossibile Per realizzare questa esercitazione ho inizialmente tagliato una striscia di cartoncino di 30 cm circa, poi dopo aver tracciato il reticolo ho proceduto a ruotare di mezzo giro un’estremità tenendo ferma l’altra, infine ho incollato le estremità con della colla vinilica.

nastro di Möbius prima della piega

Nella prima foto il nastro appare integro, come se non fosse mai stato nè spezzato nè incollato.

Ruotando di poco l’inclinazione della fotocamera si intuisce invece dov’è situato il taglio, soprattutto ponendo il nastro in controluce.

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RADICAL DESIGN


10


10.0

Radical Design

Breve storia del movimento Il design radicale si sviluppò inizialmente in Toscana con i i collettivi Superstudio e Archizoom Archizoom, che nacquero insieme nel dicembre del 1966, affiancati successivamente dagli UFO nel 1967 (grazie anche alle spinte progressiste di alcuni docenti della Facoltà di Architettura di Firenze a seguito delle occupazioni degli anni precedenti, in particolare Umberto Eco, Leonardo Savioli e Danilo Santi). Espanse la sua notorietà in tutta la penisola e poi in Europa, fino ad essere riconosciuto a livello mondiale con la mostra Italy: The New Domestic Landscape, presentata al MoMA di New York nel 1972 da Emilio Ambasz, alla quale parteciparono, oltre ai già citati, altri artisti del calibro di Joe Colombo, Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Alberto Rosselli, Ugo La Pietra, Marco Zanuso e Richard Sapper. Il movimento si esaurì infine verso la metà degli anni Settanta, quando i radical-designer cominciarono ad abbandonare la sperimentazione e l’avanguardia per inaugurare un nuovo indirizzo, quello della collaborazione pragmatica con il mondo della produzione.

Ideologia e concetti Figlio delle rivolte sociali che animarono il 1968, il movimento del radical design nacque in Italia dall’esigenza di alcuni giovani designer di contestare la produzione di design quasi esclusivamente razionalista, strettamente connesso alla sfera del consumismo. Proprio per questi forti aspetti di contro-cultura il design radicale prende anche il nome di Anti-Design o Contro-Design. Il concetto di fondo, ispirato al nuovo approccio rivoluzionario introdotto da Ettore Sottsass, è quello del designer-artista, che secondo un procedimento di novità e provocazioni, tipico delle arti figurative, crea designer-artista nuove sollecitazioni, ricercando sensazioni di stupore nell’occhio di chi osserva. Con Sottsass la materia, il colore, il decoro tornano ad essere strumenti essenziali del progetto, e attraverso di essi la comunicazione di ogni processo emozionale. emozionale Per la prima volta nella storia, un gruppo di architetti, artisti, intellettuali stava cercando di portare all’attenzione del pubblico temi come l’antimaterialismo, l’ecologia, il collettivismo e l’anticonsumismo.

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10.0

copertina della rivista “Casabella” numero 367, edizione dedicata al radical design del 1972

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10.1

SUPERSTUDIO

“Un’opera basata su di una collaborazione teoretica, mentale, del fruitore che deve liberamente interpretare un fatto d’arte già prodotto” Umberto Eco su Superstudio, 1962


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10.1

Dalle macerie Lo studio di architettura Superstudio viene fondato a Firenze nel dicembre del 1966, solo un mese dopo la tragica alluvione, alluvione da un gruppo di giovani neolaureati, in occasione della mostra SUPERARCHITETTURA organizzata da Adolfo Natalini nella galleria d’arte Jolly 2 a Pistoia: dopo aver invitato a partecipare dei colleghi di università, i quali si riunirono sotto il nome di Archizoom, Natalini stesso propose Superstudio come pseudonimo per il suo studio d’architettura, al quale si uniranno nel tempo Cristiano Toraldo di Francia, i fratelli Roberto e Alessandro Magris, Gian Piero Frassinelli e Alessandro Poli. Influenzati dal pensiero neo-Marxista, accusano il design e l’architettura di servire il consumismo, e ipotizzano un “network” (sotto forma di una griglia regolare su sfondo bianco) senza edifici e oggetti, la Supersuperficie – un luogo dove gli uomini possano essere liberi dall’oggetto, e privo di differenze sociali.

Pistoia, 1967 - scatto effettuato durante la mostra SUPERARCHITETTURA al Jolly 2

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10.1

Radical Design

Principali tappe artistiche Alla mostra SUPERARCHITETTURA vengono presentate, progettate da Superstudio (al tempo formato solo da Natalini) e prodotte da Poltronova, Passiflora e Sofo Sofo, rispettivamente una lampada da tavolo e un divano componibile, dalle forme e colori irriverenti e provocanti.

Superstudio concentra successivamente le sue energie nello studio dell’architettura concettuale, la cui opera più famosa è Monumento Monumento Continuo, del 1969. Pur essendo un “modello architettonico per Continuo l’urbanizzazione totale”, il modello era totalmente anti-architettonico e proponeva un sistema di griglie per gestire lo spazio, sistema che nel 1971 si evolverà nel concetto di Supersuperficie Supersuperficie.

Nel 1972 parteciparono alla mostra al MoMA Italy, the New Domestic Landscape.

Insieme agli Archizoom Associati, Ettore Sottsass, il Gruppo 9999 e altri realizzano i laboratori didattici Global Tools, con lo scopo di diffondere le idee portate avanti dal movimento dell’architettura radicale; i seminari dei Global Tools non riscuotono molto successo, e determinano nel 1973 la separazione dei gruppi e il termine delle ricerca progettuale dei Superstudio.

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10.1

Elementi di design La lampada Gherpe non appartiene alle tradizionali tipologie di apparecchi d’illuminazione da tavolo, sia per la sua forma, simile al guscio di una creatura marina, sia per i materiali di uso industriale, quali il metacrilato. Rappresenta uno dei primi esempi di corpo illuminante interattivo che, grazie alla relazione con l’utente, è in grado di cambiare le tonalità: dalla luce bianca per illuminare a quella colorata per trasformare la percezione emotiva di un ambiente. Il Sofo è una seduta da mettere in fila, come un treno, o da sovrapporre per costruire solide montagne colorate. È solo un blocco, ricavato mediante un taglio a “S”, da un cubo di poliuretano, rivestito con un tessuto solcato da due grandi righe. È il risultato di una operazione molto semplice, senza spreco, né di materiale, né di pensiero. Si presenta come un oggetto compatto, compatto astratto e colorato, che trasmette gioia di vivere, come le cose che arrivano da un altro mondo. Quando Superstudio si inizia ad interessarsi alla città intesa in senso ampio, priva di costrizioni e di gerarchie, concepisce il Monumento ampio Continuo, una raccolta di fotomontaggi che fondono natura e città. Il Monumento Continuo è connessione, è l’idea di un’architettura collegata a tutta la terra che elimina sé stessa in quanto tale per essere sostituita da un oggetto unico, potenzialmente infinito. Un’architettura architettura globale, globale anzi radicale, un’architettura modulare quadrettata che interseca natura e civiltà. Tutto ciò implica un rifiuto dell’architettura come sfruttamento sconsiderato del territorio, anticipando quella linea di sviluppo dell’architettura come possibilità di relazioni dinamiche all’interno di una galassia territoriale; linea ancora oggi condivisa da alcuni architetti come Kazuyo Sejima o Rem Koolhaas.

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10.2 ARCHIZOOM

“La Non-Stop City si colloca in un pensiero che non è del tutto interno all’architettura, ma piuttosto ad un punto di vista sull’architettura che appartiene agli artisti” Andrea Branzi sulla Non-Stop City


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8.2

Senza confini Archizoom Associati viene fondata a Firenze nel 1966 in occasione della mostra SUPERARCHITETTURA da Andrea Branzi, Branzi Gilberto Corretti, Paolo Deganello e Massimo Morozzi. Si aggiungono nel 1968 i fratelli Dario e Lucia Bartolini. Il gruppo era nato a seguito di un corso sullo spazio di coinvolgimento tenuto a Firenze da Leonardo Savioli e Danilo Santi, al quale erano intervenuti Ugo La Pietra e Ettore Sottsass, da cui scaturiranno le tesi dell’architettura architettura radicale. radicale Partendo dal presupposto che il mito dell’architettura come “creazione spaziale” è dissolto, Archizoom aspira proprio a disfarsi dell’architettura, dell’architettura credendo in un’umanità liberata dai vincoli e che lotta per affermare concetti culturali alternativi, sperando in uno stile di vita anticonformista e di totale libertà.

scatto effettuato durante l’installazione di un prototipo di Non-Stop City, 1970

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10.2

Radical Design

Principali tappe artistiche Alla mostra SUPERARCHITETTURA del 1966 a Pistoia Archizoom Associati presenta, tra gli altri, il divano componibile Superonda Superonda, uno dei primi divani senza scheletro, sfida alle convenzioni borghesi per un modo di vivere libero.

La ricerca di Archizoom culmina nella Non-Stop City, City una delle visioni più enigmatiche e radicali della città del futuro, senza confini, illuminata artificialmente. Per utilizzare e popolare Non-Stop City Archizoom ha ideato e realizzato mobili multifunzionali e abbigliamento per gli abitanti dell’ambiente altamente artificiale.

Una ricerca continua, che conduce Archizoom ad elevare il concetto di superarchitettura a sistema produttivo, che per la creazione di oggetti eclettici e kitsch si impegna nella distruzione del patrimonio criticofunzionalista e del concetto spaziale del movimento moderno. Tale sistema porta infine Archizoom alla scoperta del concetto del vuoto e di neutro, caratteristico per i progetti di loro ultimo periodo di attività.

Nel 1973 prendono parte al progetto Global Tools, tenendo seminari con lo scopo di diffondere le idee portate avanti dal movimento dell’architettura radicale. Visto lo scarso successo, la loro partecipazione termina rapidamente nello stesso anno. Il gruppo si scioglie nel 1974.

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10.2

Elementi di design Progettato dal gruppo Archizoom Associati, Superonda è uno dei primi divani senza un telaio convenzionale. In nome di un modo di vivere più libero incoraggiato dalle sue superfici ondulate, questo elemento d’arredo è destinato a sfidare la restrizione della classe media. Come tutti gli oggetti progettati da Archizoom, ha lo scopo di ispirare la creatività e l’immaginazione. Il suo carattere modulare e la sua leggerezza permettono di cambiare il suo utilizzo a proprio piacimento: può essere un letto, un divano o una chaise longue. La No Stop City è una proposta operativa che indica un metodo di agire nell’esistente, spazzando via dall’orizzonte dell’architetto zavorre convenzionali e residui di pensiero ormai inutili. Non propone una città migliore, bensì una città adeguata alla nuova modernità, dove il design prevale sull’architettura, sull’architettura che non ricerca più progetti definitivi, forti e concentrati, ma si approccia a progetti provvisori, mobili e incompleti che possono cambiare adattandosi alla storia del tempo. Ettore Sottsass chiese a ciascuno degli Archizoom di disegnare un letto in un ambiente in scala 1:10, per introdurre il gruppo nel numero 455 di Domus. L’opera che ne scaturì, 4 letti, letti rappresenta perfettamente il manifesto dell’Architettura Radicale. Qui si sostiene che l’invenzione che precede il prodotto è la sua invenzione tipologica, tipologica che l’oggetto del design non è un archetipo, una forma geometrica astratta quanto più elementare possibile, per meglio soddisfare i cosiddetti principi di fabbricazione razionale, ma la rappresentazione di un’immaginazione, un pezzo di vita che attrae uno specifico fruitore che sogna arcobaleni e ama Dylan, e che riconosce che l’immaginario pop è una rivalutazione del gusto popolare, kitsch, contro il buon gusto dell’elegante, composto, geometrico design in stile Braun bianco.

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10.3 UFO

“Siamo disturbatori di riti e miti sociourbani in scala 1:1, chiromanti operanti nella città, angeli della città” dichiarazione degli UFO, 1968


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10.3

Irriverenti agitatori Fondato a Firenze nel 1967 da Lapo Binazzi, Carlo Bachi, Sandro Gioli, Riccardo Foresi, Titti Maschietto, Patrizia Cammeo, UFO adottò fin dall’inizio un atteggiamento dissacratorio e ironico nei confronti delle abitudini borghesi. Capitanato da Lapo Binazzi, Binazzi il gruppo assunse la semiologia teorizzata in quegli anni da Umberto Eco, Eco docente di Semiologia delle Comunicazioni Visive alla Facoltà di Architettura di Firenze, come elemento fondante delle azioni nello spazio pubblico. È proprio lo spazio pubblico, la piazza, che diventa un luogo importante per le performance del gruppo fiorentino, che opera una spettacolarizzazione dell’architettura nel tentativo di trasformarla in evento, azione di ‘guerriglia’ urbana e ambientale. La parodia, insieme all’ironia e al piacere dell’utopia, è la chiave di lettura della ricerca degli UFO, evidente in tutta la loro produzione: azioni, happening, design, fotografie, architetture d’interni.

Urboeffimero Numero 3 in Piazza Signoria, 1968

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10.3

Radical Design

Principali tappe artistiche Nel 1968 si rivelano per la prima volta come collettivo con l’apertura di un “cantiere” alla Facoltà di Architettura in San Clemente, e con la realizzazione di una serie di Urboeffimeri Urboeffimeri, elementi gonfiabili a scala urbana utilizzati per azioni ripetute di disturbo delle abitudini sociali e dei riferimenti architettonici della città. Sempre nel 1968 partecipano alla Triennale di Milano, occupando un padiglione di documentazione sugli Urboeffimeri e dando vita a un superhappening al Premio Masaccio di San Giovanni Valdarno, con un crescendo installativo-performativo ricco di invenzioni sceniche, improvvisazioni teatrali, suggestioni visive e letterarie. L’anno seguente il collettivo installa nel giardino della Facoltà di Architettura di Firenze una Casa Casa ANAS in ANAS versione gonfiabile, tra le opere più fortunate della loro storia creativa. Gli UFO, in quanto esponenti del design radicale, progettano in parallelo oggetti di design come le lampade Dollaro e Paramount Paramount, ripercorrendo una iconografia pop con l’intento di crearne una parodia dissacrante, ma anche interni di negozi e discoteche (ristorante Sherwood a Firenze, discoteca Bamba Issa a Forte dei Marmi, le boutique You Tarzan Me Jane a Firenze e Mago di Oz a Viareggio) in cui scenografia, allestimento effimero e arredamento finiscono per identificarsi attraverso l’uso di materiali quali la cartapesta, il poliuretano, i gonfiabili. Nel 1973 aderiscono alla Global Tools nella quale continuano la loro ricerca di avanguardia, affiancando al nichilismo progettuale e alla ricerca sul linguaggio un impegno ideologico e un’attenzione particolare verso il comportamento politico e sociale.

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10.3

Elementi di design Gli Urboeffimeri Urboeffimeri sono strutture tubolari gonfiabili di polietilene, che instaurano un dialogo con i partecipanti ai vari happening (contro la guerra americana al Vietnam, sottolineando le affermazioni “Colgate con Vietcong” e “Potere agli Studenti”). Queste architetture effimere occupano lo spazio, lo invadono e si disperdono nella folla del movimento studentesco diventando una loro icona. I gonfiabili rappresentano infatti un modo alternativo per contrastare il potere pesante dell’accademia attraverso un’architettura di aria.

L’ispirazione nasce dai fumetti di Walt Disney, dalla lampada sulla scrivania di Zio Paperone che ha il simbolo del dollaro: come la ricchezza che ci avrebbe arriso con questo lavoro” così Lapo Binazzi racconta Ufo, una lampada “a contenuto semiotico”.

Umberto Eco, Eco simpaticamente preso a forchettate e coltellate dagli UFO. Così lo vediamo rappresentato in un celebre scatto del 1968: UFO disteso sul tavolo di un ristorante, a braccia conserte, le maniche di camicia arrotolate, la testa sulla tovaglia, tra un pezzo di pane e un bicchiere di vino, con gli UFO raccolti attorno. Consumata l’ultima cena, gli UFO mangeranno il professore a bocconi, come in un rito pagano ed antropofago secondo cui il sapere ha un suo sapore. sapore Centrale del resto è il ruolo del corpo in tutta l’esperienza di design ed architettura radicale: il vestito si fa architettura portatile, da indossare, come in Vestirsi è facile, titolo di un progetto di Lucia e Dario Bartolini pubblicato su “Casabella” nel dicembre 1973, o nel Dressing Design di Archizoom (1973).

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10.4

ITALY: THE NEW DOMESTIC LANDSCAPE

La mostra, suddivisa per sezioni tematiche, ebbe l’obiettivo di far conoscere gli anni in cui il movimento si formò e operò, esplicitando sia il contesto internazionale, sia l’eredità che le ricerche radicali hanno lasciato alle generazioni successive (si pensi a Bernard Tschumi, Zaha Hadid, Rem Koolhaas, per citarne alcuni), e fa emergere gli intrecci fra arte, design e architettura, ma anche con la musica e il mondo dei grandi concerti, quello delle discoteche e dei club, dallo Space Electronic dei 9999 a Firenze al Bamba Issa degli UFO a Forte dei Marmi.


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10.4

Trecentoventi opere costituiscono un mosaico colorato di progetti e opere di quella che è stata considerata come l’ultima avanguardia italiana. C’è Archizoom Associati col divano Superonda e Safari, i letti Dream Beds, la poltrona Mies, la Non-Stop City, i gazebo ideati per “Pianeta Fresco”, rivista di Sottsass e Fernanda Pivano, Pivano con Allen Ginsberg nelle vesti di “direttore irresponsabile”. Ci sono gli Istogrammi d’architettura e il Monumento Continuo di Superstudio del 1969, “modello architettonico di urbanizzazione totale” C’è Gianni Pettena con il Rumble Sofa, la trilogia politica Carabinieri, Milite Ignoto, Grazia & Giustizia, le Wearable Chairs. C’è 9999 con l’happening di video-proiezioni su Ponte Vecchio nel 1968, l’environment audiovisivo del locale notturno fiorentino Space Electronic, la casa-orto. Ci sono gli UFO con gli Urboeffimeri, le versioni gonfiabili delle Case cantoniere ANAS ed il progetto “fantaurbanistico” del Giro d’Italia. Ci sono i piatti di architettura, i gioielli in ceramica e la lampada Star’s dell’“archigiano” Remo Buti. But C’è Zzigurat Zzigurat, dalle piazze fiorentine immerse nel verde al progetto Archeologia del futuro presentato alla Biennale di Venezia nel 1978.

copertine del libro edito a seguito della mostra

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AMBI GUE PERC EZIONI


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La percezione è il processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato generando un’esperienza complessa. Il mondo ci arriva spesso in forme ambigue. L’ambiguità a livello sensoriale può produrre interpretazioni contrastanti.


11.0

Ambigue Percezioni

Breve introduzione In ambito di percezioni la massima autorità è senza dubbio la psicologia della Gestalt, che si sviluppa in Germania all’inizio del XX secolo e che avrà un impatto potentissimo sul futuro della psicologia e di tutte le discipline sensoriali. L’obbietivo che si pone la Gestalt è di abbattere la teoria del comportamentismo, basato sul sistema tentativo-errore, e analizzare più a fondo il modello intuitivo, rintracciando le basi del comportamento umano rispetto alla realtà per come appare, e non per come è. Inoltre, sempre sulla scia dell’esperienza umana in relazione alle sensazioni, la Gestalt si occupò di formulare precise leggi sulla percezione, utili ancora oggi per spiegare e categorizzare le tipologie di illusioni ottiche.

8 regole Buona forma (la struttura percepita è sempre la più semplice); figura-sfondo (tutte le parti di una zona si possono interpretare sia come oggetto sia come sfondo); prossimità (gli elementi sono raggruppati in funzione delle distanze); destino comune (se gli elementi sono in movimento, vengono raggruppati quelli con uno spostamento coerente); somiglianza (tendenza a raggruppare gli elementi simili); buona continuità (tutti gli elementi sono percepiti come appartenenti ad un insieme coerente e continuo); movimento indotto (uno schema di riferimento formato da alcune strutture che consente la percezione degli oggetti); pregnanza (nel caso gli stimoli siano ambigui, la percezione sarà buona in base alle informazioni prese dalla retina).

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11.0

L’esercitazione Per questa esercitazione era richiesto lo svolgimento di 2 tavole grafiche ispirate a due tra tre argomenti a scelta quali illusioni ottiche, effetti cinetici o variazioni della percezione di un oggetto per effetto di diversi disegni sulle superfici. Io ho selezionato la prima e l’ultima, effettuando una rielaborazione di un’opera di Escher, “Waterfall“, ed un ritratto secondo una tecnica ispirata alle regole poste in precedenza.

Waterfall L’illustrazione riprende la grafica di Monument Valley, celebre gioco per iOS premiato con l’Apple Design Award nel 2014, la cui meccanica si ispira totalmente alle illusioni ottiche di Escher e Penrose creando vere e proprie opere d’arte.

Biggie La seconda tavola ritrae Christopher Wallace, in arte The Notorius B.I.G o più semplicemente Biggie, rapper newyorchese defunto nel ‘97. Il principio ottico sta nel fatto che, nonostante il disegno sia realizzato esclusivamente con linee parallele di spessore più o meno costante, nei tratti in cui questo spessore viene meno si creano zone bianche, che se osservate da lontano compongono questa silhouette.

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11.0

Ambigue Percezioni

Waterfall

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11.0

Biggie

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