Ad un passo dal cielo

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Ad un passo dal cielo . . . MILLEOTTOCENTOSESSANTATRE. Agosto, Quintino Sella ed un gruppo di amici salivano il Monte Monviso: tra un passo e l’altro quel giorno idealmente fu fondato il Club Alpino Italiano. Passarono appena due mesi (ottobre 1863) e a Torino il nostro sodalizio vide ufficialmente la luce.

MILLEOTTOCENTOSESSANTAQUATTRO. Tra gli Stati americani infuria la guerra civile. La milizia del Colorado si macchia del massacro di Sand Creek, che sarà poi cantato da Fabrizio De André. In Europa Karl Marx fonda la prima Internazionale. I disordini a Torino contro lo spostamento della capitale a Firenze costano oltre cinquanta morti. Quello di 150 anni fa era, insomma, un altro mondo. In larga parte incognito, ancora pieno di mistero. Come quella parte di Alpi che si presentò agli occhi dei due viaggiatori inglesi, Gilbert e Churchill, che per primi decisero di battezzare tanta bellezza ancora ignota: Dolomiti. 1


A quel tempo, l'Antartide era stato avvistato appena da quarant'anni. Gli esploratori continuavano ad accapigliarsi su quali fossero le vere sorgenti del Nilo. Il monte Everest, la cui altezza era stata da poco misurata, avrebbe ricevuto il suo nome soltanto l'anno dopo: restava indicato sulle mappe come "Peak XV". Centocinquant'anni fa le terre inesplorate non si scondevano soltanto ai Poli o nel cuore dell'Africa. E anche la vecchia Europa conservava segreti. Bastava salire un po' in quota per trovarvi ancora Untrodden Peaks and Unfrequented Valleys, cime inviolate e valli sconosciute, come reciterà, nel 1873, il bel titolo del libro della viaggiatrice inglese Amelia Edwards. Il mondo alpestre rimaneva in larga parte chiuso, di ostico accesso, privo di vie di collegamento, poco comunicante, poverissimo. Geograficamente, etnologicamente introverso. Pieno di monti celati nel silenzio e nel sole. Chi si ostinava, per curiosità o per diletto, a spingersi lassù, aveva le sue fatiche da affrontare. Lunghi spostamenti a piedi, talora a dorso di cavallo o di mulo, raramente in carretto. Sentieri anziché strade, fienili anziché letti, ciotole di legno come piatti, cibo improbabile, stanchezza e freddo. E la scoperta di meraviglie naturali che già da un paio di generazioni, con il gusto per il Pittoresco ed il Sublime, gli animi colti avevano imparato ad ammirare. Vette, dirupi, ghiacciai, gole, cascate. Le Alpi andavano diventando terreno di esplorazione, di avventura e godimento estetico. Dapprima quelle occidentali: la Savoia, sulla scia della prima ascensione del Monte Bianco da parte di Balmat e Piccard l'8 agosto 1786; poi l'Oberland bernese, il Delfinato. Quasi per nulla frequentate invece le isolate Alpi orientali, all'epoca note sotto il nome generico di Deutschen Alpen, Alpi germaniche, incorporate nei vasti confini dell'Impero austriaco. Da quelle parti si facevano vedere soltanto topografi militari e geologi, i quali avevano base all'albergo Nave d'Oro di Predazzo, uno dei pochissimi in grado di ospitare degnamente un gentiluomo. Era stato proprio uno di questi, il figlio di un marchese francese dalle simpatie rivoluzionarie, Déodat de Dolomieu, ad accorgersi, passando decenni prima nella zona - più o meno negli stessi giorni in cui i parigini avevano dato l'assalto alla Bastiglia - che quelle guglie rocciose erano fatte di un minerale particolarissimo. Un calcare che, a differenza degli altri, non dava luogo a effervescenza quando veniva trattato con acido cloridrico. La dotta 2


cerchia degli studiosi prese debitamente nota e chiamò quella pietra, in onore del suo scopritore, "dolomia". Queste le scarne conoscenze su quelle plaghe remote, abitate da montanari dei quali il viaggiatore francese Jules Leclercq scriverà nel 1880 che "i selvaggi dell'Africa centrale provano meno stupore di loro alla vista di uno straniero". Ma tutte queste notizie, che raccogliamo dalla ineguagliata Enciclopedia delle Dolomiti di Franco de Battaglia e Luciano Marisaldi (Zanichelli), stavano per essere travolte dalla novità. Sembrava un mondo immobile, e invece si apprestava a cambiare per sempre. A trasformarlo sarebbe stata una parola. I suoi inventori furono dunque due viaggiatori britannici, Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill. Churchill era lo scienziato, naturalista e botanico; Gilbert l'artista, abile col disegno e l'acquerello. Amavano avventurarsi alla scoperta di regioni sconosciute insieme alle loro mogli, il

che ce li rende immediatamente simpatici. I due sottolineano che la presenza delle signore condiziona il loro modo di viaggiare attraverso le Alpi: "Non eravamo attrezzati con ascia né corda, né possiamo vantare perigliose ascensioni o notti trascorse nei sacchi a pelo". Ma alle loro "S. e A.", aggiungono con affetto, debbono "l'aver avuto accesso a molte case e cuori contadini che altrimenti ci sarebbero rimasti interdetti". 3


Gilbert, Churchill e consorti erano colti, curiosi, spiritosi, sensibili e ricchi. Se ne andavano in quattro, "Churchill con il raccoglitore sempre sotto il braccio, il suo amico col blocco da disegno, A. armata di matite e pennelli e S. nel ruolo di lettrice della compagnia, sia quando il tempo costringeva a stare al chiuso, sia, all'aperto, mentre i disegnatori erano affaccendati". S'innamorarono di quel territorio, tornandovi per tre anni successivi - 1861, 1862, 1863 - ed esplorandolo valle a valle. I due appassionati descrivono rupi "come absidi di enormi cattedrali" e crinali simili a "muri di abbazie in rovina". Venuto il momento di pubblicare in un volume il resoconto dei loro viaggi, meravigliosamente illustrato da Gilbert, ebbero il colpo di genio: dare un nome nuovo a quelle montagne. Fu cosÏ che esattamente un secolo e mezzo fa, nel 1864 a Londra, venne dato alle stampe, per i tipi di Longman, Roberts & Green, The Dolomite Mountains, scrivendo per la prima volta il nome che oggi è sulla bocca di tutti. Volendo "colmare un vuoto nella letteratura alpina", come dichiarano nella prefazione, i due amici avevano inventato le Dolomiti e con esse un brand destinato a straordinaria fortuna e fatturato miliardario. La parola ebbe successo immediato. I viaggiatori successivi l'adottarono subito, nuovi libri di altri autori la ripresero. Le Dolomiti divennero una moda elegante, certamente molto elitaria: Gilbert e Churchill scrivono che "per otto settimane e in oltre duecento miglia non incontrammo neanche un membro della confraternita turistica e in molti luoghi fummo i primi inglesi che si fossero mai visti". Ancora nell'estate del 1869 furono registrati a Cortina appena 236 visitatori. L'èra dei rocciatori doveva ancora venire. Sempre secondo i nostri due eroi, "le Dolomiti non sono particolarmente adatte agli scalatori". Ma inesorabilmente la fama di quelle montagne crebbe con l'apertura di ardite strade carrozzabili, di nuovi alberghi e con il soggiorno dell'imperatrice Sissi al Grand Hotel Karezza nell'agosto del 1897. Qualcuno tentò di bocciare il nuovo nome, come l'arcigno paleontologo viennese Rudolph Hoernes, con l'argomento che non si potevano designare interi gruppi montuosi col nome del minerale che ne componeva solo alcuni strati. Perse, naturalmente. Pur avendo, a rigor di logica, ragione. Ma queste sono storie d'altri tempi. Oggi le magnifiche Dolomiti sono un sito Unesco, un copyright e un carosello di camper e turisti dal quale gli incauti Gilbert e Churchill cercherebbero invano rifugio.

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. . . IL VALLONE CHE ABBIAMO FATICOSAMENTE RISALITO inizia dal Lago di Bràies, uno dei più fotografati e romantici del Monti Pallidi, circondato da scure foreste di abeti. La sella al termine della salita è la Porta Sora ‘l Forn, il primo dei molti valichi scavalcati dall’Alta Via n. 1. Le cime che compaiono all’orizzonte quando si sbuca sull’altopiano sono le Tre Cime di Lavaredo, il Sella, le Odle e molti altri massicci dolomitici. Verso nord, oltre la Val Pusteria, appaiono le Vedrette di Ries e i loro ghiacciai. Le bandiere di preghiera non segnalano un chorten o un monastero buddista, ma sono legate ai muri e all’asta della bandiera del Rifugio Biella, il primo posto-tappa dell’Alta Via. Non testimoniano della fede dei monaci, ma del fatto che Guido Salton, il gestore del rifugio, ha lavorato per anni alla Piramide, il laboratorio italiano ai piedi del versante nepalese dell’Everest. La Porta Sora ‘l Forn, insieme al Rifugio Biella, è uno dei punti in cui l’Alta Via n. 1 cambia volto. All’ambiente aspro e roccioso della salita dal Lago di Bràies al rifugio segue la traversata degli ondulati altipiani di Sennes e di Fanes, celebri per le loro leggende e popolati da camosci e marmotte. Un giorno e mezzo di cammino più avanti, l’atmosfera cambia di nuovo all’aerea Forcella del Lago, dove si lasciano i campi carsici degli altipiani per entrare nello spettacolare ambiente dolomitico del Vallone di Lagazuoi, sorvegliato dalla Cima Scotoni. Il fascino della prima Alta Via dolomitica, d’altronde, sta anche nelle differenze tra i luoghi e gli ambienti che attraversa. Dopo aver costeggiato le grandi pareti della Cima Scotoni e della Tofana di Ròzes, il sentiero costeggia la conca di Cortina d’Ampezzo toccando le bizzarre ma modeste cime delle Cinque Torri, dell’Averau e della Croda da Lago. Oltre Forcella Ambrizzola si torna tra le grandi pareti, costeggiando il Pelmo, la Civetta e le sue ciclopiche torri, e la meno nota ma non meno spettacolare Moiazza.

Il percorso che abbiamo scelto, con i buoni collegamenti stradali tra la Val Pusteria e Cortina che rendono tra i più comodi dal punto di vista logistico, permette di scoprire all’inizio un’ambiente diverso da quello delle Dolomiti più famose. Nel Parco di Fanes-Sennes-Bràies, che si attraversa da nord a sud, i boschi di larice e abete si alternano ai cespuglietti di rododendro e mirtillo, mentre tra le rocce compaiono le sassifraghe e l’androsace. In cielo si vede frequentemente l’aquila, che plana sui pascoli a caccia di marmotte. Lo stambecco, reintrodotto da qualche anno, è sempre 5


più facile da avvistare. I camosci, timorosi dell’uomo come in tutti i parchi alpini dov’è consentita la caccia, fuggono davanti a chi si sposta a piedi o in mountain-bike, ma si lasciano avvicinare dagli escursionisti a cavallo. LE DOLOMITI DEGLI ALPINISTI sembrano molto lontane dai Fanes, ma questa è un’impressione sbagliata. Le placche della Sasso delle Nove (Sass da les Nu in ladino) ben visibili dai rifugi Fanes e La Varella, sono state percorse quarant’anni fa dal giovane Reinhold Messner, che vi tracciò alcuni itinerari impegnativi. Il Sasso della Croce, che appare da Fanes come un modesto cocuzzolo ghiaioso, precipita verso la Val Badia con una delle pareti più difficili dei Monti Pallidi.

Le Dolomiti sono anche chiamati Monti Pallidi a seguito di un prodigioso incantesimo avvenuto ai tempi dell’antico Regno delle Dolomiti, quando la roccia delle montagne aveva lo stesso colore delle Alpi. Tale regno era ricoperto di prati fioriti, boschi lussureggianti e laghi incantati. Ovunque si poteva respirare aria di felicità e armonia meno che nel castello reale. Bisogna infatti sapere che il figlio del re aveva sposato la principessa della luna, ma un triste destino condannava i due giovani amanti a vivere eternamente separati. L'uno non poteva sopportare l'intensa luce della luna che l'avrebbe reso cieco, l'altra sfuggiva la vista delle cupe montagne e degli ombrosi boschi che le causavano una malinconia talmente profonda da farla ammalare gravemente. Ormai ogni gioia sembrava svanita e solamente le oscure foreste facevano da solitario rifugio al povero principe. Ma si sa, però, che proprio le ombrose selve sono luoghi popolati da curiosi personaggi, ricchi di poteri sorprendenti e capaci di rovesciare inaspettatamente il corso degli eventi. Ed è così che un giorno, nel suo disperato vagare, il principe si imbattè nel re dei Salvani, un piccolo e simpatico gnomo in cerca di una terra per il suo popolo. Dopo aver ascoltato la triste storia del giovane sposo, il re dei Salvani gli propose, in cambio del permesso di abitare con la propria gente questi boschi, di rendere lucenti le montagne del suo regno. Siglato il patto, gli gnomi tessero per un'intera notte la luce della luna e ne ricoprirono tutte le rocce. La principessa potè così tornare sulla terra per vivere felicemente assieme al suo sposo e le Dolomiti presero il nome di Monti Pallidi. Tra il Vallone diLagazuoi e le Cinque Torri, invece, si attraversa la linea del fronte della Grande Guerra, che ha visto le truppe italiane e quelle dell’Impero Austroungarico scontrarsi duramente tra la primavera del 1915 e l’autunno del 1917. Si inizia seguendo le linee di rifornimento austriache nel Vallone di Lagazuoi, si lascia la zona di guerra ai piedi delle Cinque Torri, dove postazioni recentemente restaurate ospitavano i grossi calibri italiani che tiravano su Lagazuoi e Valparola. Ma il luogo più 6


impressionante di tutti è la grande galleria del Lagazuoi, che sale a spirale dalla cengia Martini in direzione della vetta, e che alpini e genieri italiani hanno costruito con straordinaria fatica. Non occorerre essere alpinisti, e nemmeno frequentatori di vie ferrate, per seguire questo emozionante percorso che è stato restaurato negli anni ’90 da militari e volontari italiani, austriaci e tedeschi. Questi luoghi di sofferenza e di sangue sono diventati un punto di incontro tra appassionati di montagna provenienti da ogni parte d’Europa.

Il trekking 1° giorno, domenica 27 luglio Dal Lago di Braies al Rifugio Biella Dislivello in salita: 900m, in discesa: 60m Tempo: 3,30h – 6 km Dagli alberghi (1495m) sulle rive del Lago di Braies, si segue la sterrata che aggira a destra (ovest) il bacino. Dove questa inizia a salire verso la Val Foresta la si lascia per seguire il sentiero che inizia a salire in un severo vallone dominato dalla Croda del Becco. Alcuni tornanti su un ripido pendio ghiaioso portano a un bivio (1950m, 1,30h), Si va a destra, ci si affaccia sul piccolo Lago del Giovo, si sbuca su un tracciato più comodo e lo si segue a destra fino all’ampia Porta Sora ‘l Forn (2388m), da cui appaiono

le

Tre

Cime di Lavaredo, la Croda Sella

Rossa, e

Poche

le

il

Odle.

decine

di

metri oltre il valico è il rifugio Biella (2327m,

2h),

il

primo posto tappa dell’Alta Via.

7


Facoltativa la salita alla Croda del Becco. Dalla Porta Sora ‘l Forn si segue il sentiero che sale a tornanti un ripido pendio roccioso. Raggiunto un esposto crinale roccioso lo si segue (corde fisse, attenzione alle rocce levigate dai passaggi) e si prosegue per comode ghiaie fino alla vetta della Croda del Becco 2810m (2,30h a/r,

+420m). Questa digressione offre uno straordinario panorama sulle Dolomiti e la catena di confine, oltre al magnifico spettacolo che dalla vetta si ha sul Lago di Braies.

2° giorno, lunedì 28 luglio – Dal Rifugio Biella al Rifugio Fanes Dislivello in salita: 800m, in discesa 1050m – Tempo: 4h – 14 km Lasciato il rifugio, si segue la strada sterrata. La si lascia per un sentiero a saliscendi, si scavalcano dei dossi carsici e si scende al rifugio Sennes (2116m, 1h), sui pascoli dominati dalla Muntejela de Sennes. Dopo la sosta si prosegue sulla sterrata che scende costeggiando una pista di atterraggio; si continua per una vecchia mulattiera tra mughi e larici e si raggiunge il rifugio Fodara Vedla (1966m, 0,45h), affiancato da un bel nucleo di baite. Ancora sulla sterrata, che scende a tornanti in una gola rocciosa, si raggiunge il rifugio Pederù (1548m, 0,45h), a cui si può accedere da una strada che sale da San Vigilio di Marebbe. Si riprende a salire sul sentiero, a destra della sterrata, che supera un gradino sassoso e riporta alla carrareccia, che sale a mezza costa nel vallone scavato dalle acque del Ru d’Al Plan. Superato il laghetto di 8


Piciodèl, ci si affaccia sulla conca dove sono il rifugio Fanes (2060m, 1,30h) e, più in basso, il rifugio La Varella (2042m). Tra i due si trova il Lago Verde, mentre le placche del Sasso delle Nove dominano la zona.

3° giorno, martedì 29 luglio – Dal Rifugio Fanes al Rifugio Lagazuoi Dislivello in salita: 1100m, in discesa 450m – Tempo: 4,45h – 11 km La lunga e spettacolare giornata che occorre per raggiungere il Vallone di Lagazuoi e l’omonimo rifugio offre all’inizio atmosfere analoghe a quelle della tappa precedente, per poi portare alla parete sud-ovest della Cima Scotoni, una delle più spettacolari e difficili dei Monti Pallidi. L’idiliaco Lago di Lagazuoi, nelle giornate di sole, invita a una sosta e a un bagno. Dal rifugio Fanes si riparte sulla carrareccia che si alza a tornanti, tocca una croce che offre un magnifico panorama sull’altopiano di Fanes e raggiunge il Valico (Ju) de Limo (2159m), seguito dall’omonimo lago dal quale appaiono le Tofane. Si scende alla Malga Fanes Grande (2104m, 0,45h), si lascia a sinistra la sterrata della Valle di Fanes che scende in direzione di Cortina e si risale al Passo Tadega/Ju de l’Ega (2157m), ai piedi di una grande frana di grossi blocchi. Traversati i pascoli del Gran Plan si raggiunge un bivio (2117m, 0,30h) dove si va a sinistra. Il sentiero risale obliquamente nel Vallone del Ciampestrin e sale con un tratto faticoso alla Forcella del Lago (2480m, 1,15h) da cui scende per un ripido ghiaione al Lago Lagazuoi (2182m, 0,30h), dominato dalla Cima Scotoni e dalla Torre del Lago che invita ad una sosta. Si prosegue sul buon sentiero che sale dal rifugio Scotoni, si raggiunge un crinale e lo si segue; poi si continua su desolati ghiaioni ai piedi delle Cime di Fanes. Un’ultima salita sulle piste da sci e passando vicino a trincee e gallerie della Grande Guerra, porta al rifugio Lagazuoi (2752m, 1,30h), belvedere giustamente celebrato su gran parte dei Monti Pallidi. 9


Il Monte Lagazuoi è stato teatro durante la prima Guerra Mondiale di accaniti combattimenti fra i reparti italiani ed austriaci. Le postazioni italiane della cengia sottostante alla vetta del monte hanno costituito per ben due anni un caposaldo di primissimo ordine del fronte dolomitico. La cengia stessa ha preso il nome del comandante del settore, allora capitano Martini. La sommità del monte era saldamente presidiata dagli austriaci. Per effettuare la conquista di queste posizioni il comando italiano progettò e realizzò una galleria all’interno del monte con partenza in prossimità della “Cengia Martini”.

Le gallerie del Lagazuoi - La direzione e progettazione dell’impresa venne affidata agli stessi ufficiali che diressero i lavori per la mina del Castelletto (galleria che oggigiorno porta alla partenza della via ferrata Lipella Tofana): i tenenti Malvezzi e Cadorin. I lavori, con qualche sospensione, durarono circa 6 mesi durante i quali furono scavati ben 1100 metri di galleria principale oltre ad altri condotti secondari. Il 19.06.1917 fu completato il caricamento dell’esplosivo nella camera di scoppio. Vennero impiegati 33 mila Kg di gelatina, quantitativo quasi eguale a quello impiegato al Castelletto. Alle ore 23.00 del 20.06.1917 venne dato fuoco agli inneschi. Gli austriaci però avevano nel frattempo abbandonato la posizione quota 2668 indotti a ciò dall’allarme provocati dai lavori di mina e dal disturbo conseguente altre azioni offensive che rendevano difficile il loro rifornimento. Gli alpini occuparono il cratere della mina ma non riuscirono a progredire malgrado eroici sforzi a causa di un fortissimo concentramento di tiro di mitragliatrice. La punta demolita dalla mina ha preso nome del comandante della posizione, capitano Berrino. La società Lagazuoi, nel 1996 ha iniziato i lavori di ripristino della galleria, mettendo anche in opera un cordino che serve da corrimano lungo tutta la tratta. Meno di un anno dopo gli alpini del Col. Mora portano il loro aiuto aprendo le gallerie laterali e completando i lavori alla galleria principale, rendendo così agevole il transito dei visitatori. Da rilevare anche il contributo dato ai lavori dalle forze dell'esercito austriaco; la montagna simbolo della "Grande Guerra" è diventata simbolo di pace e tolleranza. La galleria è percorribile dall’alto in basso. Si accede all’imbocco della stazione a monte della funivia in meno di 10 minuti, a mezzo comodo sentiero. Il percorso in galleria presenta un notevole interesse per le numerose finestre aperte in piena parete e per la formazione elicoidale del tracciato. Il sentiero della Cengia Martini che porta alla stazione a valle della funivia Lagazuoi è marcato col segno bianco rosso CAI con la G nera in centro.

10


4° giorno, mercoledì 30 luglio – Dal Rif.Lagazuoi al Rif.Croda da Lago Dislivello: in salita 900m, in discesa 1550m – Tempo: 5,45h – 14 km Lasciato il rifugio Lagazuoi si imbocca il sentiero che porta alla Galleria del Castelletto, lungo un itinerario ricco di storia, che consente di toccare con mano cosa è stata realmente la “Grande Guerra” e come è stata combattuta sulle montagne che a quel tempo erano di confine. Sent.CAI 401 e 402. Indispensabili lampada frontale

o

torcia

e

caschetto;

utili

cordino

con

moschettone. Lasciate le gallerie, si scende al passo Falzarego (2105m, 2h) e si prosegue lungo la SS 48 direzione Cortina. Superata un’ampia curva a quota 1985m, si prosegue per 300 metri fino ad imboccare il Sent.CAI 440 che sale ripido per boschi e raggiunge l’ampio dosso tra l’Averau (2647m) e le Cinque Torri. Lasciato il 440 che indica l’Alta Via, si entra sul 439 a sinistra che conduce ai rifugi Scoiattoli e Cinque Torri che si raggiunge a quota 2137m e dopo ore 1,45 di cammino. Dopo la sosta al Cinque Torri, un sentiero segnato si abbassa per prati a est, rientra nel bosco e raggiunge la strada per Passo Giau poco a valle del Ponte di Rucurto (1708m, 0,45h). Si riparte traversando due torrenti e poi riprendendo a salire nel bosco di Lavina. Traversata la Val Formin, si raggiungono i pascoli del Cason di Formin (1843m, 0,45h) e un sentiero che sale dal Ponte Pezziè de Parù. Si va a destra, si lascia a destra un sentiero per l’Alta Val Formin e Forcella Ambrizzola, si sale a tornanti nel bosco e si scavalca (2050m circa) il boscoso crinale a nord della Croda da Lago. La comoda Val Negra, sorvegliata dalla Croda da Lago, porta al Lago Federa e al rifugio Croda da Lago/Palmieri (2046m, 0,45h).

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5° giorno, giovedì 31 luglio – Dal Rifugio Croda da Lago a Cortina Dislivelli: discesa 950m, salita per Cortina 100m – Tempo 3h - 6 km Dal rifugio Palmieri/Croda da Lago si segue la strada sterrata che scende con ripide rampe, traversa un pianoro acquitrinoso, tocca Malga Federa (1816m), supera una sbarra ed entra nel bosco di abeti.

Una serie di

tornanti

porta a un ponte sul Rio Federa (1603m, 0,45h). Si continua a scendere

sulla

sterrata

percorso

lungo

ma

Lasciata

a

con

piacevole.

destra

una

diramazione per Pianòzes e a sinistra una per il Lago di Aiàl si raggiunge

Campo

di

Sotto

(1127m, 1,30h). Per raggiungere Cortina e da qui l’hotel Argentina a Pocol si utilizzerà il servizio di pullman.

La via ferrata 6°

giorno,

venerdì

agosto

Gruppo

del

Monte

Via ferrata Ivano Dibona – Da Forcella Staunies a Ospitale Lungo itinerario che si svolge, prevalentemente in discesa, seguendo magnifici e aerei percorsi di cengia della prima guerra mondiale. Caratteristico l’attraversamento del ponte sospeso all’inizio della via. Realizzato tra il 1969 e 1970 il sentiero Dibona può essere annoverato tra i percorsi in quota più suggestivi delle Dolomiti. Si estende dal rifugio Lorenzi Monte Cristallo- alla località Ospitale. 12

Cristallo


ACCESSO GENERALE - Da Cortina per la SS 48 del Passo Tre Croci fino alla Capanna Rio Gere e al parcheggio della stazione di valle della Seggiovia Son Forca (1698m) al Cristallo.

ITINERARIO L'attacco della via ferrata avviene direttamente dalla stazione a monte degli impianti di risalita in partenza da Rio Gere ovvero con seggiovia fino a rifugio Son Forca 2215mt- e successiva, vecchia e lenta, bidonvia a Forcella Staunies 2919m (rifugio Lorenzi). Volendo invece salire a piedi, è consigliabile parcheggiare al passo 3 Croci, quindi percorrere i 400 metri di dislivello per il rifugio Son Forca, dal quale si può prosegue ancora a piedi -700 metri dislivello- fino alla Forcella Staunies. Dalla stazione a monte della bidonvia si sale al piano superiore dove una serie di passerelle metalliche incastonate nella roccia conducono all'attacco della via dove si trova la targa in bronzo con la foto della giovane guida Ivano Dibona alla quale il sentiero è intitolato.

LA FERRATA Dislivello: in salita 100m, in discesa 1534m Dificoltà: EEA - Tempo 8h Attrezzatura: imbraco, kit da ferrata, casco, guanti da ferrata, 3 mt cordino da 8mm, 2 moschettoni, oppure n. 1 rinvio Il sentiero Dibona, inaugurato nel 1970, occuperebbe senz'altro uno dei primi posti nella classifica delle ferrate dell' Ampezzano; il suo percorso si svolge a grande altitudine, "ad un passo dal cielo degli alpinisti", come afferma chi è passato di qui col bel tempo. Basta gettare uno sguardo al tracciato del percorso per comprendere tanto entusiasmo. Dalla stazione della funicolare alla Forcella Staunies (2918 m), il Sentiero ferrato Ivano Dibona segue il lungo crinale occidentale del massiccio del Cristallo, correndo quasi sempre lungo lo 13


spigolo o il soleggiato fianco meridionale, toccando il punto piÚ alto al Cristallino d'Ampezzo (3008 m), e scendendo fuori sulla spalla verdeggiante del Col dei Stombi (2017 m): un percorso tutto panoramico, assicurato per lunghi tratti, ma mai veramente difficile. Pezzo forte della ferrata è il Ponte Cristallo, il (solido!) ponte sospeso lungo 27 metri (dove fu anche girata una scena del film d'azione Cliffhanger - l'ultima sfida, con Silvester Stallone). Dalla stazione della funicolare alla Forcella Staunies (2918 m), si salgono scale di ferro fino ad un breve tunnel, quindi si percorre l'ex linea di fronte fino al Ponte Cristallo, che oscilla leggermente sopra una profonda

fenditura

dello

spigolo

roccioso.

Oltrepassato il ponte, per mezzo di due scale si supera un'erta gobba (2980 m). Poco piĂš avanti a sinistra c'e il sentiero marcato che permette una puntata al Cristallino d'Ampezzo (20 minuti andata e ritorno). Sull'alta via, degli scalini di roccia permettono di salire ben assicurati alla Forcella Granda (2874 m). Percorrendo barre e ponticelli di legno si attraversa il fianco sud della Cresta Bianca (2932 m) e si giunge alla Forcella Padeon (2760 m), dove si trovano i resti di una funicolare ed una vecchia capanna militare adibita a ricovero di fortuna. Il Sentiero Dibona prosegue tagliando il bianco cono ghiaioso del Col Padeon (2862 m); quindi il sentierino, che corre nuovamente lungo barre rocciose, passa lungo il fianco sud del Vecio de Forame (2868 m) fino alla Forc. Alta (ca. 2640 m). Lungo un ghiaione si scende con cautela alla Forcella Bassa (2417 m; temporanea discesa alla Val Padeon). A destra, dopo una breve risalita si scende

ripidamente

sui

fianco

occidentale della Cresta Zurlon, dove ci si imbatte nuovamente nei ruderi di costruzioni di guerra italiane (guida itinerari, 2379 m). Si supera ora la Cresta Zurlon (2363 m), poi si scende attraverso una fenditura fino all'ex 14


postazione d'artiglieria Col dei Strombi. Una mulattiera scende serpeggiando nella Val Padeon tra pini mughi e bosco rado. Si percorre la stradina a valle scendendo ad Ospitale (1474 m) sulla Strada d'Alemagna (bus), oppure in circa un'ora e mezza si può salire alla stazione della funicolare presso il Rifugio Son Forca (2215 m).

NOTE Senza dubbio una delle più belle escursioni delle Dolomiti Ampezzane, che unisce sentiero storico, camminata con vista e via ferrata. La comodità del punto di partenza, già ad alta quota, non deve far dimenticare che si tratta di una traversata di tipo prettamente alpinistico. Se c’è pericolo di temporali, o se le condizioni atmosferiche peggiorano, di deve assolutamente scendere e tornare indietro! Discese di emergenza dalla Forc. Granda (senza marcatura, ghiaione) e dalla Forc. Bassa (con marcatura, ma con pericolo di caduta sassi). Punto di riparo aperto nei pressi di Forc. Padeon.

Carpe diem Tu non cercare, non è dato saperlo, quale a me, quale a te termine ultimo gli dei abbiano dato, Leucono, e non tentare i calcoli babilonesi. Quant’è meglio sopportare tutto ciò che accadrà, quale che esso sia! Sia che Giove abbia assegnato molti inverni, sia che (abbia assegnato) come ultimo (inverno) questo che ora fiacca contro le opposte scogliere il mar Tirreno: sii saggia, filtra i vini e, poiché il Tempo è breve, riduci la luna speranza. Mentre parliamo, il Tempo invidioso sarà già fuggito: cogli l’attimo il meno possibile fiduciosa nel domani.

Orazio, 65 – 8 a.c.

Francesco Sulpizio

15


Sezione di Ortona

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