Annapurna trek 2010

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Namastè II


23 settembre – 15 ottobre 2010 Trekking alpinistico del ventennale

Nepal Himalaya Il circuito dell’Annapurna Appunti di viaggio di Francesco Sulpizio La catena dell’Annapurna si trova al centro dell’Himalaya nepalese racchiusa tra i corsi del Marsyangdi, uno dei principali fiumi della regione, e del Kali Gandaki, uno degli affluenti del Gange. Il Circuito dell’Annapurna è uno dei trekking più completi del Nepal, che porta dal clima subtropicale a quello alpino e, oltre il Thorong-La Pass (5416mt), nel deserto transhimalayano. Una nuova avventura, affascinante fin dal principio, che suscita in me interesse, curiosità, aspettativa di conferme, ricerca di nuove sensazioni ed emozioni. Kathmandu con le sue bellezze architettoniche, le sue contrastanti realtà, la sua confusione, la sua povertà. L’Himalaya con le sue verdi vallate, i suoi impetuosi corsi d’acqua, i suoi villaggi, le sue genti, i suoi 8000. Una spedizione extraeuropea importante per la Sezione di Ortona del Club Alpino Italiano, di cui mi onoro essere Presidente fin dal 1991, programmata, voluta e realizzata per festeggiare un importante anniversario: 20 anni di vita.


Ancora una volta un progetto di spedizione nasce sull’altipiano di Campo Imperatore, il piccolo Tibet d’Abruzzo; e ancora una volta ne parlo con Bruno camminando verso la Grotta della Valianara per il Presepe Vivente organizzato dalla Sezione CAI di Guardiagrele. C’è anche Lucio, e questa è una bella occasione per stare insieme. Bruno e Lucio sono grandi amici ed hanno condiviso esperienze importanti nel campo dell’Alpinismo Giovanile Nazionale e sono stati compagni in alcune spedizioni scientifiche in Himalaya e Cina. Tutti e tre insieme, nel 2007, abbiamo fatto un bellissimo viaggio in Perù alla scoperta della Cordigliera delle Ande e della civiltà Inca; un viaggio che ha lasciato dentro di me un sentimento d’amore verso i bambini che abbiamo incrociato in montagna, nei villaggi e nelle città tanto da spingermi alla raccolta di fondi a favore di una scuola della Valle dell’Urubamba, attraverso la scrittura di un libro che lo racconta. Quando penso ai bimbi, e non solo del Perù, che vivono in condizioni di disagio, che soffrono per malattie, per soprusi, per la miseria del loro stato, per le guerre, per la stoltezza di noi adulti, per non essere stati fortunati nel nascere in zone della terra a rischio di sopravvivenza umana, un senso di disagio ed impotenza vorrebbe mettere a tacere la mia coscienza che però si ribella dando vita ad una reazione che sfocia nella necessità di dover fare qualcosa per loro. E così come è stato per i bambini del Perù a cui ho pensato durante e dopo il viaggio, per quelli del Nepal, questa volta ci penserò prima. Si perché il prossimo viaggio mi riporterà dopo 7 anni sull’Himalaya nepalese. La mia mente torna indietro e con nostalgia ripenso all’emozione che ho provato quando ho visto per la prima volta la montagna più alta del Mondo: l’Everest. Quel mattino del 5 ottobre 2003, sulla vetta del Kalapattar a 5540 metri di quota, non sentivo il freddo pungente e le sferzate di vento gelido che pulivano l’aria tersa e rarefatta. Ero preso da quella emozionante visione delle cime himalayane più importanti e tutto ciò lo condividevo con i miei compagni di spedizione. Ma allora mi chiedo: se quella esperienza mi ha gratificato tanto, perché non ritornare di nuovo sull’Himalaya. Mi piacerebbe rifare la salita al Campo Base dell’Everest e concludere quel giro che non abbiamo potuto fare


ridiscendendo verso Namche Bazar per la valle di Machermo e i laghi del Gokyo. Forse un giorno, se Dio vorrà, tornerò ai piedi del Sagarmatha. Cosa andremo a fare di nuovo in quel lontano paese dell’Asia? In quel paese sovrastato dalle più alte montagne del mondo, in quel paese dove tanti anni fa si respirava un’aria di grande libertà ideologica e dove ora regna il caos politico che costringe le classi più deboli a vivere ai margini della sopravvivenza, in quel paese impregnato della devozione per divinità induiste, buddiste e mussulmane che convivono in un precario equilibrio a due passi dalla potente repubblica cinese. La scelta e la proposta di Bruno ricadono su una zona del Nepal quasi al confine con l’India e il Tibet, su una parte dell’Himalaya un po’ staccata dalla catena principale ma che racchiude fra le sue valli gruppi importanti come Dhaulagiri, Manaslu e Annapurna. Andremo a camminare intorno a quest’ultima cercando di effettuare il suo periplo: il Giro dell’Annapurna. I mesi che ci separano dalla partenza sono intensi di contatti e riunioni tra i partecipanti e le escursioni per la preparazione fisica sono tante. Su e giù su Majella e Gran Sasso, sui sentieri della Val Badia durante la gita sociale della sezione. In ogni salita aumentano dislivello e lunghezza per testare la resistenza. Cerco di arrivare più volte alle porte dei tremila metri ma qui da noi sono poche le vette che ci si avvicinano per altitudine. Laggiù in Himalaya per parecchi giorni saremo oltre i 4000 per poi affrontare un passo a oltre 5400 metri; sarà dura ma spero di riuscire anche questa volta. Ce la metterò tutta. I giorni si susseguono velocemente e arriva finalmente il giorno della partenza. Giovedì 23.9 – Partiamo da Pescara alle 11,05 e adesso, ore 16,45, siamo seduti sul volo che per la prima parte ci porterà a Doha, in Qatar. Fra poco alle 17,05 con i miei 10 compagni (Bruno, Lucio, Peppino, Patrizia, Sergio, Giancarlo, Marco, Edoardo, Giacomo e Luca) inizio questa nuova avventura. Alle 22,35


ora italiana, dopo 5,30 ore di volo, atterriamo a Doha (23,35 ora locale). La temperatura esterna, nonostante sia notte, è abbastanza elevata: oltre 30°. Ore 24 siamo sulla navetta per il 2° imbarco verso Kathmandu (Ktm). Venerdì 24.9 – Ore 1,15 – Di nuovo sull’aereo e sediamo tutti vicini. Ho visto sorgere l’alba ad oriente da 10.000 mt di altezza. Dormire niente; però sono abbastanza riposato. Ore 8,20, atterriamo a Ktm dopo un volo molto tranquillo. In Italia sono le 4,35 (meno 3h,45m). Recuperati i bagagli usciamo dall’aeroporto dove troviamo ad attenderci la guida Narayn che ci accompagna al nostro hotel, ll Malla Hotel, nel mezzo del caos di Ktm. Facciamo conoscenza con i responsabili dell’Agenzia che cura la nostra permanenza in Nepal con un aperitivo di benvenuto. Ci assegnano le camere e sono le 10,23. Dopo una foto di gruppo nel bel giardino, con il mio amico Peppe, compagno di tenda in Perù e di stanza qui in Nepal, salgo in camera e ne approfitto per fare una doccia ristoratrice. Alle 12 usciamo in 6 (Peppino, Lucio, Marco, Giancarlo, Edoardo ed io) e ci “tuffiamo” nelle popolose vie di Thamel, a me familiari. Tra un acquisto e l’altro, un hot-dog e una birra, alle 16 torniamo in htl per un incontro con i responsabili dell’agenzia. Dobbiamo pianificare e conoscere il trekking che ci aspetta. Ho portato con me un po’ di materiale scolastico per i bambini, quaderni, colori, penne, matite ecc. che mia figlia Angela ha voluto affidarmi. Anche Laura ha voluto che portassi qualche contributo solidale come pure Consuelo con i confetti del suo matrimonio. Patrizia e Sergio pure hanno portato del materiale da donare. Mettiamo tutto insieme e sotto


l’indicazione e guida di Narayn ci rechiamo all’Orfanotrofio “Helpless Children Mother Centre”, attraversando gran parte di Ktm, percorrendo strade sconnesse, polverose e intasate di moto, auto e biciclette. L’inquinamento dell’aria, ma anche quello acustico, secondo me, è peggiorato in 7 anni: sono stato qui nel 2003 per la spedizione al Campo Base dell’Everest e non era così. Nell’Orfanotrofio ci sono una ventina di bambini dai 2/3 anni e fino ai 18 e oltre. Di loro si occupa una coppia di coniugi, che assicura loro un posto per mangiare, studiare, dormire. Come mi succede da un po’ di tempo visitando questi paesi, rimango colpito dalle condizioni in cui vivono. Riflessioni mie, personalissime che ancora mi tengo dentro, come mi sono tenuto negli occhi e non nella macchina fotografica la loro camera da letto, la stanza dove c’è solo un vecchio televisore e il terrazzo dove studiano. Facciamo una foto insieme ai bambini nel cortile della loro “casa” e rientriamo in hotel rituffandoci nel caos del traffico. Ripercorriamo la via in silenzio, ognuno con i nostri pensieri, con le nostre riflessioni. In serata ceniamo in un ristorantino nelle vicinanze dell’albergo (tagliatelle ??? e pizza ???). Al rientro continuo a scrivere le cartoline facendo 4 chiacchiere con Patrizia soffermandoci sulle considerazioni e le impressioni avute durante la visita all’orfanotrofio. Si sono fatte le 23 e decido, prima di andare finalmente a letto e dopo oltre 40 ore che sto in piedi, di telefonare a Wanda. Ci riesco tramite il centralino dell’htl, ma non con il mio cellulare; 8$ per scarsi 3 minuti di conversazione e sono contento che a casa tutto vada bene. Ora a letto. Che nottata! Ho dormito abbastanza bene e solo il bussare di Bruno alla porta ci risveglia. Sono le 8 di sabato


25.9 e con Peppe, dopo essermi vestito frettolosamente, scendo a fare colazione nell’ampio salone ristorante dell’htl. Partiamo alle 9,00 per una visita a Swayambhunath e Bouddhanath. Dopo 7 anni tutto è uguale: sempre il medesimo fascino. Le visito con un altro spirito andando alla ricerca di piccoli particolari o altre inquadrature per la mia macchina fotografica. Pranziamo in un locale nelle vicinanze di Thamel, con birra fresca e pizza. Ambiente molto allegro, frequentato da trekkers e turisti che vengono da tutte le parti del mondo. Nel pomeriggio finisco di scrivere le cartoline (una sessantina) e se ho dimenticato qualcuno, non me ne voglia. Domani si parte per la regione dell’Annapurna: finalmente!!! Non ne posso più di stare qui a Ktm. Ho dormito poco però ho riposato. Mi sveglio alle 6,30 di domenica 26.9, sentendo Peppe che si è già alzato. Inizio a prepararmi per la partenza. Riordino il borsone, lo zaino e la sacca da lasciare in htl per il rientro previsto per il 12.10. Dentro la sacca c’è il cambio di biancheria e abbigliamento, oltre a tutti gli acquisti fatti in questi giorni. Colazione alle 7 con latte, caffè, frutta, yogurt, qualche dolce. Il buffet è veramente ricco di tante cibarie tenute al caldo in contenitori d’acciaio riscaldato da piccoli fornellini. Sono le 8,30 e ci stiamo radunando con calma nella hall e pronti a partire. La nostra tappa di trasferimento, con sosta verso le 13,30 per un pasto con menù nepalese, ci porta a Besi Sahahr (850mt) dove arriviamo alle 17,30. Questa cittadina si trova a circa 200 km da Ktm. Il viaggio è stato lungo e stancante, per strade polverose, strette e intasate di colonne di camion che vanno verso Ktm, da cui siamo usciti dopo quasi 2 ore. Scendiamo fino a toccare quota 300m slm con caldo e tasso di umidità molto elevati. Transitiamo attraverso numerosi centri abitati; tanta immondizia per le strade ma tanti bambini che vanno e tornano da scuola nelle loro divise celesti, rosso amaranto o marrone a seconda della regione attraversata. Abbiamo lasciato il grande traffico di camion che per la maggioranza va verso l’India, percorrendo strade meno affollate ma molto dissestate. Alla fine siamo qui con qualche km in più da fare a piedi dato che il villaggio programmato per la partenza non è raggiungibile in macchina. Dopo una doccia ristoratrice giunge subito l’oscurità e subito dopo cena


andiamo a letto anche se è presto e si potrebbero fare 4 passi per il villaggio ma è tutto buio, non c’è illuminazione e camminare di notte per strade sconosciute non è molto sicuro. Una nottata molto calda e rumorosa; cani che abbaiano per strada, rumore di ventilatori accesi. Come inizio non c’è male. Mi sveglio presto, le 6 di lunedì 27 settembre; inizia il nostro trekking con una bella tappa di oltre 20km per raggiungere Ngadi. Con calma ci prepariamo e consegniamo i borsoni ai portatori che sono stati reclutati da Narayn. Sono tutti ragazzi intorno ai vent’anni e qualcuno di loro dovrà portarne due di bagagli. Noi siamo 11, loro 7 e questo mi addolora se penso alla loro fatica. Partiamo alle 8,20 e subito entriamo nella boscaglia. Passiamo vicino a delle risaie e attraversiamo il primo ponte. Seguiamo la carrareccia che risale la valle sulla sinistra del Marsyangdi Nadi, fiume impetuoso che nasce dai ghiacciai dell’Annapurna, 5000 metri più in alto. Facciamo una prima sosta alle 10 con una bevanda fresca visto il gran caldo e la bella giornata di sole. Abbiamo incontrato anche qualche jeep e bus pieni di gente locale ma sinceramente è meglio andare a piedi. A Bhulbhule dobbiamo registrarci all’ingresso dell’Annapurna Conservation Area con una simpatica accoglienza con apposizione sulla fronte del simbolo della pace e qualche foto dato che oggi, ci dicono, è la giornata del trekker, ma soprattutto per documentare ed autorizzare il nostro passaggio che risulta essere il primo della stagione dopo la fine dei monsoni. La nostra è la prima carovana che risale la valle del Marsyangdi. Alle 12, dopo il 4° attraversamento del fiume, ci fermiamo per il pranzo. Arriviamo a Ngadi (930mt) alle 15 e facciamo sosta al Kamala Lodge. Doccia calda e ci voleva dopo questa lunga camminata, 1° giorno di trekking. Non abbiamo guadagnato in altitudine ma in compenso siamo dentro questa verde valle e in un villaggio lungo una stradina lastricata e molto stretta che l’attraversa ed ai cui lati ci sono alcuni lodge e negozietti. I bimbi non mancano e ce ne sono alcuni che appena ci vedono salutano con le manine giunte dicendo “Namastè”. Ne ho incontrati parecchi salendo fin qui e ad alcuni ho lasciato qualcosa da mangiare, qualche rupia o dollaro. La gente del villaggio è molto cordiale ma una bimba richiama la nostra attenzione per il suono che


fanno le sue ciabattine quando cammina. Mi ricorda la mia nipotina Vanessa. Sono le 19,30 e abbiamo già cenato con momo (una specie di tortello ripieno di carne o verdura) al vapore, patate e birra; ormai è diventata la nostra bevanda ufficiale. Certo che andare a dormire a quest’ora non è proprio il massimo però qualcosa ci tiene impegnati per un’oretta. Camminando alla luce delle lampade frontali, ci affacciamo ad un negozietto a pochi metri di distanza. Avranno saputo che abbiamo dei medici e allora richiedono il loro intervento per una donna che ha qualche problema dermatologico. Patrizia e Sergio, i nostri dottori, dopo aver preso lo zaino farmacia, si prodigano nel curarla. Sono anche riuscito a mandare notizie a casa tramite SMS; cosa strana, i messaggi partono e arrivano ma non la chiamata vocale. Comunque meglio che niente. Mia moglie mi ha rassicurato che a casa stanno tutti bene, nipotini innanzitutto. La notte è trascorsa tra un canto del gallo e una sudata nel sacco a pelo. Ma quante volte avrà cantato? Oggi è martedì 28 settembre e alle 6 sono già sveglio fresco e pimpante. Un po’ di toilette, borsone chiuso e ci raduniamo tutti per la colazione: ciapati, marmellata, latte, caffè, the e omelette e siamo pronti per questa seconda tappa che ci porterà a raggiungere Jagat a 1300mt di quota. Prima di lasciare Ngadi mi viene spontaneo lasciare un pensierino alle ragazze del lodge: Sara, 11 anni, e Susma di 13. Prendiamo a camminare molto tranquillamente godendo degli ambienti che ci circondano, costeggiando e attraversando il Marsyangdi numerose volte. Alle 10, dopo aver finalmente superato quota 1000, facciamo una sosta per poi continuare, per saliscendi, lungo la strada che risale la sinistra del fiume. Molte frane e pale meccaniche che riaprono la strada dopo la rovinosa stagione dei monsoni. Per il pranzo ci fermiamo a Syange (1020mt) sotto spumeggianti cascate. Un bel piatto di spaghetti al sugo e cipolla, e a seguire patate fritte, birra e un bicchierino di rhum nepalese ci caricano per affrontare il cammino che riprendiamo alle 14,10 ancora lungo la strada devastata da numerose frane. Saliamo per tornanti superando numerosi portatori che trasportano di


tutto. La maggior parte di essi procedono curvi e a passo lento, interrotto dalle numerose soste per riposare: portano onduline di lamiera zincata. Devono pesare molto e, per rendermi conto e fare una valutazione approssimativa, ad uno di essi riesco a contarne ben 14. Insieme a Lucio facciamo un rapido calcolo, dando un peso a una di esse di 5kg (pensiamo che sia poco). E allora quel portatore trasporta una settantina di chili. Che vita per guadagnarsi la giornata!!! Arriviamo a Jagat alle 15,45 ed anche qui nel lodge “North Face Hotel” (bello con i suoi vivaci colori) possiamo farci una doccia calda. Dopo il the con biscotti, osservando anche le evoluzioni di un elicottero che preleva un malato, facciamo un giretto per il villaggio dal tipico aspetto medievale: le case si susseguono lungo l’unica strada mezza lastricata e infangata. Alcuni ragazzi giocano a pallavolo, altri più piccini salutano sorridenti. Incrociamo parecchi trekkers con cui ci si vede fin dalla partenza. D’altronde facciamo tutti la stessa strada. Passando davanti ad un negozietto noto che ha dei telefoni sul bancone. E’ l’occasione buona per telefonare a casa. Prendo subito la linea e sento la voce di Wanda “parla, parla ti sento” continua a ripetere mia moglie anche se la conversazione è disturbata riesco ad avere notizie positive da casa. Le dico “Auguri tesoro per domani” (29.9.1974-36 anni di matrimonio e per la seconda volta sono in Nepal) anticipandoli anche perché domani non so se potrò comunicare. Ma devo chiudere. Ho parlato 3 minuti pagando 300 Rps (quasi 3 euro) e rimango perplesso perché a Ktm, in htl, mi hanno fatto pagare 8$, il doppio, e per un tempo inferiore. Meglio così. Che bello aver risentito la tua voce, Wanda, dalla quale si percepiva tutta la tua emozione. Vanessa va all’asilo e vi rimane anche il pomeriggio. Anche Andrea sta bene. Belle notizie e buone anche per mia madre. Torno al lodge e faccio un riposino anche perché e già notte. Finalmente arrivano le 19 per la cena. Alle 21, dopo averla tirata per le lunghe, conversando e bevendo una birra, andiamo a dormire. Ancora caldo durante la notte e mi alzo, sempre alle 6, con un leggero mal di testa. Comunque Peppe ed io stiamo già prendendo il diamox (1/2 pillola, più in alto passeremo ad una intera) in modo da non farci trovare scoperti da quel subdolo e imprevedibile malessere chiamato “mal di montagna”. Oggi è il 29 settembre, l’anniversario del mio matrimonio e, come nel 2003, sono lontano. Quando torno però faremo festa oppure tu, Wanda, mi farai la festa. Tappa lunga quella di oggi fino a Dharapani (1900mt) con 600 metri di dislivello. Risaliamo ora la destra del fiume facendo numerose soste. Sull’altro versante stanno costruendo la strada aprendosi dei varchi sulle pareti rocciose. Sentiamo i massi che rotolano sulle pareti sottostanti cadendo nel fiume con rumore cupo. Alle 11,20 ci fermano lungo il sentiero perché più a monte devono


far brillare delle cariche di tritolo. Aspettiamo all’ombra di alcuni alberi lungo il sentiero che passa un centinaio di metri sopra il fiume che scende con fragore verso valle. Una serie di esplosioni sul versante opposto per aprire un varco nella parete rocciosa (stanno costruendo la strada) e poi possiamo ripartire. Siamo stati fermi circa 1 ora che provoca una sosta ritardata per mangiare qualcosa e programmata da Narayn a Tal (1770mt) dove arriviamo alle 13,40. Siamo in ritardo e quindi ripartiamo dopo solo 50 minuti proseguendo la salita per un lungo tratto sulle sponde sabbiose del fiume, salendo e scendendo costoni rocciosi; passiamo sotto cascate che scendono fragorose e spumeggianti dalle pareti che costeggiano l’alveo. E’ divertente ed emozionante, mi sembra una scena di “Mission”. Alle 18,10, quasi notte, giungiamo a Dharapani (1860mt). Fino a ieri sera i lodge sono stati discreti, anzi buoni, ma questo in cui ci siamo fermati stasera lascia molto a desiderare. Le stanze sono molto strette ed è difficile muoversi in due, non c’è luce, c’è una sola doccia e un solo gabinetto per tanti trekkers e porters. Speriamo bene per le prossime tappe però sarà difficile dato che più si sale e meno sono le sistemazioni ottimali e funzionali. Anche questa notte un gran caldo nel sacco a pelo. Riesco a mandare dei messaggi ad Angela, Anna (mia nipote) ed Enzo (mio fratello - oggi è l’anniversario del suo matrimonio con Berta). Ho fatto loro gli auguri contracambiando quelli ricevuti per il mio. Si perché oggi siamo a Giovedì 30 settembre e alle 5,50 sono già sveglio. Mi alzo con calma e sono pronto per la 4^ tappa fino a Chame, circa 800 metri di dislivello. Partiamo alle 7,40 proseguendo la risalita del Marsyangdi in mezzo a boschi di rododendri lungo un sentiero fatto a gradoni. Attraversiamo alcuni villaggi ed anche qui i bimbi ci salutano al passaggio e facciamo una sosta alle 11,15 a Timang (quota 2270) che gode di una bella vista sul Manaslu, in parte coperto da nuvole. In questo villaggio c’è molto movimento: una famiglia seziona delle canne di bambù, una mamma lava il suo piccolo alla fonte, un uomo compone un tappeto di bambù, dei bambini transitano vestiti della loro divisa scolastica con tanto di cravatta


blu, bufali, cavalli e muli che pascolano nella campagna circostante, donne che raccolgono patate e altre che le suddividono per grandezza; insomma c’è molta attività ed esserci fermati in questo lodge che ha dei tavoli sopra un terrazzo ci consente di osservare quello che succede intorno. Alle 12,30 pranziamo con riso, patate fritte, momo di carne e l’immancabile birra che prima o poi dovremo lasciare per fare posto solo all’acqua. Un caffè e riprendiamo a camminare verso Chame dove arriviamo alle 15,45. Siamo a quota 2670 per la mappa, anche se il mio altimetro segna 2655. Nell’attraversamento di un villaggio una piccola venditrice di mele attira la mia attenzione per la forte somiglianza che ha con la mia nipotina Vanessa: infilo le mani in tasca e prendo dei soldi ma non per comprare mele. Un sorriso e la ringrazio per la foto che mi consente di scattare. Rimarrà sempre nel mio cuore. Dobbiamo attraversare il fiume, superando un ponte ricco di bandiere delle preghiere che sventolano al vento, per giungere al lodge di questa sera situato sulla sponda destra dell’impetuoso Marsyangdi. Ci vorrebbe un riposino però ci hanno detto che nelle vicinanze ci sono delle sorgenti termali e la curiosità ci spinge ad andarci ma l’acqua è troppo calda, una sessantina di gradi; è meglio fare una semplice doccia calda. Qui manca la luce da una decina di giorni per via dell’avaria ad una turbina che produce corrente elettrica. Prima che scenda l’oscurità faccio un giro per questo villaggio e passando davanti ad una casa vedo che ci sono dei bambini che giocano. Sono appena coperti da sporchi e lacerati vestiti. Entro in un negozietto che vende roba da mangiare e compro dei biscotti per loro. La mancanza di corrente ci fa sentire più freddo di quello che sembra e quindi ben più presto delle altre sere ci ritroviamo nella sala ristoro, vicino alla calda cucina che invadiamo bonariamente insieme a Narayn, per cenare a lume di candela: molto suggestivo. Anche senza luce la nostra dottoressa Patrizia è chiamata ad un consulto medico: una delle donne del lodge ha problemi oftalmici. Quindi apertura del nostro fornitissimo zaino farmacia e ricerca dei medicinali.


1° ottobre. Partiamo alle 7,50 per Pisang e oggi supereremo finalmente i 3000 metri. Oltrepassiamo il caratteristico Chorten con cupola dorata, ruote della preghiera e coloratissimi disegni di divinità che, con il mandala dipinto sotto la cupola, è posto all’uscita, per noi, del villaggio. Sfiliamo lungo il largo e comodo sentiero che con lieve pendenza risale un ben tenuto bosco incontrando numerosi mani (cumuli di pietre sacre) con le classiche lastre di granito su cui sono scritti i versi del mantra buddista in tibetano e le aste con le preghiere poste all’inizio e al termine di ognuno di essi. È ovvio che, per rispetto e usanza della religione che esse rappresentano, passiamo sempre alla loro sinistra. Le bandiere delle preghiere o cavalli del vento sono il simbolo della religione buddista-tibetana e sono di 5 colori inseriti in rigorosa successione (bianco, blu, giallo, verde e rosso) che rappresentano in successione: la neve, il cielo, i campi d’orzo, la terra e la spiritualità. La via, scavata nella roccia, ora passa sotto pareti verticali sopra qualche centinaio di metri sul corso del fiume. Oltrepassato un ponte entriamo in un bellissimo bosco di pini e abeti superando per la prima volta i 3000mt. Prima di mezzogiorno ci fermiamo in un villaggio pieno di lodge molto accoglienti; siamo a Dhikur Pokhari e manca poco al raggiungimento di Pisang che raggiungiamo nel primo pomeriggio. Siamo a 3200 e il lodge che occupiamo oggi, raggiungibile dal sentiero con una ripida e lunga scalinata in legno, offre una splendida vista sul fiume e la lunga catena che si innalza dapprima dolce e poi ripida. Su un costone è posta la vecchia Pisang, tipicamente tibetana, che nella parte più alta ospita un Gompa con una bianca cupola. Dopo esserci sistemati nelle stanze assegnateci che sono abbastanza spaziose e dotate anche di prese di corrente (ne approfittiamo per ricaricare le batterie di macchine fotografiche e cellulari) con Peppe, Giancarlo, Edoardo e Marco, usciamo per un giro del villaggio. Ridiscendiamo la lunga scalinata pensando che la dovremo risalire al rientro e con la stanchezza accumulata in questa lunga tappa sarà un po’ dura. Superiamo un lungo chorten, bianchissimo e pieno di ruote delle preghiere, che si trova al centro del villaggio e, come facciamo ormai sempre, le facciamo girare tutte. Una serie di mani e chorten si


susseguono sulla collinetta al di là del fiume. La raggiungiamo e abbiamo la fortuna di poter osservare le vertiginose pareti innevate di Annapurna II (7937mt) che si erge oltre 4000 metri più in alto. Fino ad oggi abbiamo sempre avuto tempo buono e questa prima visione del gruppo di montagne che stiamo aggirando ci rende euforici e pronti a scattare tante fotografie anche se siamo un po’ contro luce. Rientriamo perché comincia a fare freddo e un riposino prima di cena al caldo del sacco a pelo è il modo migliore per recuperare forze a calore. È il 2 ottobre, sabato, e inizia la nostra 6^ tappa, quella in cui raggiungeremo il villaggio di Manang e dove staremo fermi anche domani per l’acclimatamento. La prima parte un po’ noiosa risale ancora lungo la valle fino ad un passo a quota 3335 che apre la vista su un esteso altipiano dominato a sinistra da una serie di cime innevate quali Annapurna IV, Annapurna III e Ganggapurna, tutte sui 7500 metri di altezza, e a destra dalla catena del Chulu, composta da una serie di vette, meno innevate, ma alte intorno ai 6500. Una sosta con hot-lemon e un dolce molto buono acquistato ad una tibetana la facciamo a Humde e abbiamo guadagnato solo 80 metri in altitudine. In questo villaggio, posizionato ai margini di una estesa zona pianeggiante, c’è anche un aeroporto che ha funzionato fino alla scorsa stagione. Ora è chiuso e lo rimarrà per altri 2 anni a causa di lavori di ampliamento. Diventerà il “Manang Airport” importante per le popolazioni locali e per i turisti che vorranno raggiungere in breve tempo la parte alta della valle del Marsyangdi prima di fare il grande salto del ThorongLa. Proseguiamo ancora con poco dislivello e a lungo per la valle con scorci bellissimi su calanchi, campi coltivati a lenticchie ma con poche case o villaggi data la scarsità di corsi d’acqua. Abbiamo incrociato anche un motociclista e un ciclista, cosa rara e inusuale quassù. Però la regolarità del territorio e la carrareccia percorribile consentono di usare facilmente questi mezzi di locomozione e trasporto. Ci fermiamo per il pranzo a Mungie in un accogliente e coloratissimo lodge; in questa zona sembra quasi di essere sulle montagne di casa nostra. Possiamo stare fermi per una lunga sosta anche perché manca poco


alla meta di oggi. Raggiungiamo Manang (3540mt) alle 15 e devo dire che rimango affascinato da questo posto, con negozi, pasticcerie, lodge e una zona molto suggestiva con vicoli stretti e case con piccoli atri. Siamo proprio in un villaggio tibetano: affascinante e misterioso. Purtroppo abbiamo una sistemazione poco simpatica in un lodge abbastanza scadente per quanto riguarda le camere. Insieme a Giancarlo facciamo presente a Narayn il problema e lui capisce trovandoci un’altra sistemazione in un lodge vicino. Qui le camere sono molto più ampie e i servizi migliori. Meglio così per me e Peppe visto che staremo qui anche domani. Ci spostiamo e non facciamo in tempo a disfare un po’ il borsone che siamo già in giro per Manang. Visitiamo la parte vecchia che sembra essere abbandonata ma i fiori nei cortiletti e sulle finestre smentisce la mia valutazione. Arriviamo fino alle ultime case uscendo dal villaggio dalla parte opposta da cui siamo entrati e lo sguardo si apre su campi coltivati a grano saraceno. Molti lavorano alla raccolta e alla confezione di fascine che poi battono su apposite tavolozze che servono per raccoglierne i

chicchi di grano. È uno spettacolo bellissimo e vale proprio la pena rimanere ad osservare alcuni particolari mentre tutto si svolge con il tramonto che si avvicina. A cena presso il lodge dove sono rimasti tutti gli altri e devo dire che in fatto di cucina è stato molto soddisfacente anche perché ha cucinato Narayn che fa il cuoco in Italia nei primi mesi dell’anno presso il Rif.Città di Arona all’Alpe Veglia (ma guarda un po’ la coincidenza: anche Jacinto, la guida peruviana che ci ha accompagnato nel trekking sulle Ande nel 2007, faceva il cuoco). A cena abbiamo la bistecca di yak e questo è importante dato che è una settimana che non mangiamo carne di una certa consistenza proteica. Abbiamo anche smesso di bere birra; da ora in poi solo acqua, hot-lemon e the per via dell’altitudine e del freddo. Durante la notte numerose spedizioni in bagno per via di diamox e quantità di liquidi ingeriti durante la giornata. A queste quote bisogna bere molto, 2/3 litri di liquidi al giorno.


Alle 6,20 di oggi domenica 3 ottobre, sono già in piedi e alle 7,30 sono già fuori dal lodge e cammino lungo l’unica via del villaggio. Entro in un negozio di dolci, dove fanno anche del caffè espresso, e acquisto del pane tibetano, del pane all’anice e un dolce ripieno di cioccolato che metto sul tavolo della nostra colazione. Un dolcetto al mattino non fa male ed i miei compagni sono contenti di questa sorpresa. Decidiamo di salire al Gompa che si intravvede sotto roccia, incastonato nella parete che sovrasta ad oriente Manang. Sarà un buon esercizio di acclimatamento risalire fin quasi a 4000mt. Siamo in 6 e partiamo alle 9,45. Attraversiamo e, usciti dal villaggio, iniziamo a salire e subito la pendenza del sentiero si fa sentire. Passiamo vicino a campi coltivati dove lavorano intere famiglie ma soprattutto donne: raccolgono il grano e, dopo averlo radunato in fascine, lo battono per separare i chicchi. Un pianoro dove incontriamo anche delle stelle alpine e ci siamo elevati un bel po’ dal villaggio che vediamo sotto di noi. Continuiamo per un ripido sentiero polveroso e alle 11 arriviamo al Gompa dove vive un monaco buddista che riceve e da la benedizione ai visitatori. Anche noi, dopo esserci tolti gli scarponi, veniamo ricevuti uno alla volta e riceviamo la sua benedizione con l’appoggio del libro del Mantra sulle nostre teste; poi tutti insieme beviamo una tazza di the. Una piccola offerta e l’acquisto del rosario tibetano per ritrovarci davanti a questo monastero costruito nella roccia, che gode della stupenda veduta sulla montagna dell’Annapurna, su Manang e sulla valle illuminata da un sole sfavillante. Laggiù si definisce bene la morena del Gonggapurna alla cui base forma un ampio lago. Verso nord una corona di montagne con picchi innevati: in quella direzione andremo domani. Abbiamo toccato quota 3930 e, alla ripida salita di quasi 400 metri ora segue la discesa che in meno di 40 minuti ci riporta giù nella valle passando prima su una collinetta dove c’è un bianco Chorten pieno di cavalli del vento, vento che qui soffia forte e freddo. Alle 13 pranzo con spaghetti alla “carbonara” senza pancetta di maiale (che carbonara è?) e nel pomeriggio un bel riposino al sole comodamente sdraiati sul terrazzo del lodge. Quattro chiacchiere prima di una doccia calda e siamo ancora in giro per il villaggio a fare acquisti, a prendere un caffè, a mangiare


una fetta di torta alle mele. L’oscurità quassù arriva presto e, insieme al freddo, ci spinge verso il calduccio della sala ristorante del lodge dove, dopo cena rimaniamo fino alle 21 a chiacchierare e parlare della tappa di domani. E’ stata una bella ed intensa giornata di riposo, piena di sole e di momenti interessanti. Forse è un peccato andare a letto così presto ma, non è perché qui mancano le discoteche, domani ci dobbiamo alzare presto e sarà una tappa impegnativa. La notte trascorre tranquilla e non ha fatto neanche molto freddo però il tepore del sacco a pelo ha contribuito al mio recupero fisico tanto da farmi schizzare fuori dalla stanza alle 6,30 ed oggi è il mio onomastico, 4 ottobre, San Francesco e non poteva essere giornata migliore visto il sereno che risplende su questa valle. Saliremo fino ai 4200 di Ledar con un dislivello da superare di quasi 700mt.; il gioco inizia a farsi duro però ce la metteremo tutta, specialmente il mio amico Peppe che da qualche giorno ha disturbi di stomaco. Partiamo alle 8 uscendo da Manang e in direzione N/E. Man mano che saliamo la valle dietro di noi si apre allo sguardo e lo spettacolo è grandioso con le vette dell’Annapurna che dominano a sud, il Marsyangdi che scorre sinuoso nell’ampio alveo che si è scavato nel corso delle ere, il ghiacciaio del Ganggapurna con i suoi alti seracchi che ci sovrastano ad ovest, la valle che a nord si stringe tra pareti rocciose, aspre e prive di vegetazione e noi che ci inoltriamo in mezzo ad esse salendo sempre più su, dove l’aria è più rarefatta. La lunga fila formatasi da gruppi di trekkers si snoda lungo il sentiero che passa tra campi coltivati; ormai siamo in parecchi e a Manang quasi tutti i gruppi si sono fermati per riposare. Andiamo tutti nella stessa direzione e per l’unico sentiero che sale verso il Thorong-La. All’ingresso del primo villaggio veniamo fermati da una guida che ci chiede assistenza medica per un ragazzo tedesco che non si sente bene. Ancora una volta il nostro 118 e i nostri dottori sono chiamati all’opera. Saliamo moderatamente, senza nemmeno troppa fatica. Lascio che lo sguardo spazi dalla valle alle cime innevate che s’innalzano davanti a me. Il sentiero è comodo, battuto dalle migliaia di trekkers che ogni anno vi transitano, circa 70.000. Alle 10,10 ci


fermiamo ad un lodge posizionato su un punto panoramico veramente spettacolare, con stupenda vista su Annapurna II. È gestito da una signora francese che da qualche anno, sposata ad un nepalese, si è trasferita qui. Non ancora superiamo i 4000, mancano 100 metri. Dopo un hot-lemon e qualche foto riprendiamo a salire ancora gradatamente, senza forti strappi di pendenza. Ci lasciamo alle spalle la vista dell’Annapurna fino a perderla dietro la montagna che stiamo costeggiando. La vegetazione alta ormai non c’è più, ha lasciato il posto ai cespugli di ginepro. L’attraversamento di un ennesimo ponte ci porta sul versante sinistro di questa gola che si fa sempre più stretta e sinuosa tale da non lasciar vedere dove essa inizierà a innalzarsi verso il passo. Scoscese pareti di roccia liscia si ergono verso l’alto lasciando all’osservazione più attenta il movimento della montagna durante le ere geologiche e la spinta che la piattaforma asiatica esercita sulla zolla himalayana. L’ambiente ora si apre su ampie radure pascolive intervallate da profondi canyon a calanchi. La salita procede fino al superamento di quota 4000 e alle 12,30 ci fermiamo nel villaggio Yak Kharka per il pranzo; spaghetti con le verdure e hot-lemon per mantenerci leggeri e pronti ad affrontare la seconda parte di questa tappa. Resta poco alla sosta definitiva della giornata prevista nel villaggio di Ledar a 4200mt. Tutto il gruppo sta abbastanza bene; i ragazzi vanno che è una meraviglia e stanno sempre davanti discorrendo con Kumar e Rinjèe. Sergio trova anche il tempo di schiacciare un pisolino non potendo leggere il suo quotidiano e Patrizia non sente affatto la fatica presa com’è dallo scattare foto. Insomma tutto procede per il meglio. La via è ben tracciata, passa in mezzo a cespugli di ginepro, tra mani, chorten e omini di pietra che segnalano la via da seguire. Un omino di pietra, anzi un omone per esagerare perché non ne avevo mai visto uno così grande, attira la mia attenzione: un blocco quadrato di granito alto qualche metro, con iscrizioni in tibetano e con sopra il classico cumulo a piramide di pietre che stona per la sua ridotta dimensione, si staglia sovrano al centro dell’orizzonte e quasi a chiudere la visuale sulla corona di monti e sulla nuvolaglia che copre il sole. Devo ricordarmi


di inviare questa foto a Bruno Marconi per il notiziario della sezione aquilana: “L’omino di pietra”. Alle 14,30 siamo a Ledar. Sistematici nelle camere abbiamo tutto il pomeriggio da riempire però è piacevole prendere un bel the caldo con biscotti stando al calduccio della veranda riscaldata dal sole che ormai va verso il tramonto. Sulle vette più alte c’è stata qualche spruzzata di neve per un temporaneo peggioramento del tempo. Ora tutto intorno è sereno e le creste delle montagne ricamano il cielo che, col trascorrere del tempo, assume le varie tonalità di blù prima di raccogliere il colore della notte. Anche questa sera si cena presto, alle 18,45, alla luce fievole di una lampadina che dovrebbe illuminare tutto il locale ristoro. Veramente ci sono 2 punti luce ma non possono rimanere accesi insieme perché l’energia accumulata in una batteria e proveniente da un impianto fotovoltaico non è sufficiente, quindi mangiamo prima noi e poi i portatori. Gli altri trekkers che si sono fermati qui stanno già dormendo ma noi, che abbiamo iniziato una partita a carte senza finirla e gustato zuppa calda all’aglio, riso e patate fritte, ora ci possiamo rifare con parmigiano e salsiccine che mi sono portato dall’Italia per festeggiare il mio onomastico. A letto alle 20,30 ed è stata dura arrivare a stamattina 5 ottobre, martedì, pronto ad affrontare la tappa di oggi che si presenta abbastanza impegnativa: dobbiamo raggiungere la quota di 4900mt dove è posto il Campo Base del Thorong-La. Partiamo alle 8 con passo lento nonostante la pendenza moderata. Superato un ponticello di legno sul Kone Khola, affrontiamo una ripida salita che ci ricorda la quota a cui ci troviamo. Il respiro si fa affannoso e le gambe legnose. Non forzo il passo, la cadenza è ritmata dal battito del cuore e dal conteggio che mentalmente porto, passo dopo passo, tra una sosta e l’altra. È breve ma sembra interminabile fino al raggiungimento di un punto di sosta molto panoramico sulla valle, su Annapurna III e Ganggapurna. C’è un piccolo ristoro dove tutti si fermano per un hot-lemon, un the o una bevanda dissetante. Mangio anche una mela buonissima tra una foto e l’altra anche se sono contro sole. Il panorama è stupendo. Il leggero venticello invita a coprirsi con giubbetto e berretto. Non si


deve offrire il fianco al nemico che a queste quote è sempre in agguato: l’infreddatura. Ancora lentamente, giungiamo alle 10,15 a Thorong Phedi, quota 4450, l’ultimo villaggio della valle, fatto di lodge e importante punto di sosta prima di iniziare la salita al passo; molti si fermano qui per passare la notte e poi l’indomani affrontare il dislivello di 1000 metri. C’è poco vento e il bel sole ci riscalda mentre seduti beviamo un the o un hot-lemon. Alcuni ragazzi intonano canzoni accompagnandosi con le chitarre ed è piacevole girarsi intorno ad osservare le montagne che ci sovrastano, pareti rocciose unite da una lunghissima preghiera, l’Annapurna con le bianche cime abbaglianti dal sole, crinali scoscesi e sassosi che si perdono sotto la verticalità di rocce che s’innalzano verso il cielo. Che spettacolo e che posto magico. Alle 11 riprendiamo il cammino prendendo il sentiero che adesso sale con buona pendenza e per tornanti che consentono di tenere sotto controllo il procedere di tutti. Abbiamo dei differenti passi e facciamo frequenti soste per ricomporre il gruppo. I più giovani salgono con le guide con passo leggero e spedito ma noi più vecchietti ci teniamo a stretto contatto per darci una mano a vicenda, per incoraggiarci ed essere pronti a qualsiasi cedimento. Riaffiora alla menta il vecchio esercizio mnemonico della conta dei passi che ci aveva suggerito Nima durante la salita al Kalapattar nella Valle del Kumbu (2003): 20/30 passi e sosta per riprendere fiato in quest’aria rarefatta che brucia le narici. Il battito del cuore si fa accelerato, il sangue affluisce con forza alle tempie, le gambe diventano di legno e i bastoncini si rivelano un’indispensabile alleato per appoggiarsi. Non abbiamo problemi d’orario e sappiamo che lassù c’è il rifugio del Campo Base, quindi non ci facciamo prendere dalla fretta tant’è che abbiamo anche il tempo di cercare qualche bella pietra da riportare come ricordo. Ancora uno sforzo e ci siamo. Sono le 13, quando raggiungiamo tutti la meta di questa tappa a 4900 metri di altezza, sotto il passo di soli 516 metri. Fa freddo e un bicchiere di limonata calda ci ristora prima di mangiare qualcosa e dopo esserci sistemati nelle stanze. Qualcuno va a riposare lasciandosi scaldare dal sacco a pelo, ma io insieme a Patrizia, Sergio, Lucio, Giacomo e Marco, salgo sulla collina dietro il lodge piena di piccoli chorten di pietra.


Sulla sommità una catasta di pietre segna la conclusione della nostra salita. Le bandiere della preghiera sventolano sotto lo sferzante e gelido vento che ci esorta a scattare velocemente delle foto e poi riscendere alla base che da quassù ci appare piccola e lontana. Siamo ripagati dalla vista che si gode da quassù e ci rendiamo conto del cammino fatto in questi giorni per risalire la valle sottostante. L’Annapurna II che vedevamo sovrastarci molto vicina ora è quasi nascosta dalla catena del Gonggapurna, laggiù tra le nuvole verso sud. Riscendiamo da questa collina brulla e polverosa soddisfatti di esserci saliti. Però io e Lucio, lasciati gli altri al tepore del lodge, continuiamo a risalire il sentiero che dovremo fare domattina e per una buona mezz’ora ci spingiamo fino a superare i 5000m e su per la morena che ha aperto un ampio varco nella gola. Ci fermiamo all’attraversamento di un ponte convinti che per oggi può bastare. Tornati giù trascorriamo un po’ il tempo a giocare a carte in attesa della cena che consumiamo alle 18,30 con l’oscurità che ormai è scesa. Un gruppo di iraniani fa un gran baccano con canti e balli. Sono contenti perché 3 di loro hanno fatto la salita al Chulu (6500mt) e insieme domani saliranno al Thorung-La. Ultime comunicazioni per domani mattina da parte di Narayn e l’accettazione consapevole che si parte alle 5; quindi sveglia alle 4 e colazione alle 4,30. Sono le 19,30, fa freddo ma non quello eccezionale, andiamo a dormire o per lo meno ci proviamo. Infatti io ci ho provato ma non ci sono riuscito ed è stata dura arrivare all’alzata di oggi 6 ottobre. La luce non c’è, mi vesto a memoria, chiudo il borsone e mi trasferisco con gli altri nel salone del lodge dove facciamo colazione illuminati, si fa per dire, e intossicati da una lampada a kerosene. Sono le 5, si parte. Non fa freddo e non c’è vento. Situazione perfetta mentre ad est inizia l’aurora. Alla luce delle lampade frontali, uno dietro l’altro, iniziamo a salire. Nessuno parla chiusi nelle giacche a vento, con i passamontagna calati sulla faccia. Mi ricordo della salita alla vetta del Monte Bianco nell’ormai lontano 7 luglio 1993. Erano le 3 di un mattino polare ma limpido perché il vento, dopo la bufera di neve, aveva spazzato via tutte le nuvole. Anche quel giorno il lunghissimo serpentone di alpinisti si era spinto verso il cielo. Era la mia prima salita importante, impegnativa e sulla vetta più alta d’Europa, insieme a cari compagni di cordata (Franco, Cesare, Gianluca, Nino, Enzino) con alcuni dei quali ho condiviso la conquista del Campo Base dell’Everest. Bellissime esperienze, tanta sofferenza che alla fine sono appaganti e gratificanti. La stessa emozione ora mi stringe la gola nel ricordo mentre sto salendo nel chiarore dell’alba che anticipa il sole abbagliante. Pian piano tutto s’illumina su scenari stupendi ripagandoci della fatica che stiamo affrontando. Siamo tutti vicini. Ci fermiamo


tutti insieme per riposarci e riprendiamo a camminare sempre dietro Kumar che ci guida verso la conquista del valico. Non c’è neve e questa è una fortuna perché molto spesso quassù vento e neve la fanno da padrone. Ci supera il gruppo degli iraniani che continua a cantare e, in una sosta, tre di loro accennano dei passi di danza. Certo che a quest’altezza dove tutto è silenzio, anche le pietre potrebbero svegliarsi con questo baccano. Ora tutto è illuminato da un sole splendente e sopra di noi, verso la sommità del valico, il sentiero si perde verso l’alto tra colline e pietraie. Uno sguardo dietro per osservare le montagne ad est e la salita che abbiamo percorso è un buon motivo per scattare foto in controluce con l’ausilio della lente degli occhiali da sole a modo di filtro. Verranno bene? . . . . . Chissà! Siamo quasi vicino al passo. Non fa freddo e l’altimetro ormai segna 5400. Ancora uno sforzo e alle 8 raggiungiamo il Thorong-La: 5416mt. È fatta. Ce l’abbiamo fatta tutti e tutti ci abbracciamo con qualche lacrima che brilla negli occhi di molti di noi. Non siamo soli e facciamo fatica a fare la foto vicino al cumulo di pietre, coperto dalle preghiere, che racchiude l’iscrizione del passo con le congratulazioni a chi è arrivato fin quassù. Non so dove guardare prima per scattare foto in direzione dei 4 punti cardinali. La nostra guida Narayn ci porge un bicchiere di hot-lemon e noi brindiamo al successo. Finalmente, dopo le foto di rito, razionalizzo e mi emoziono fino ad alzare le braccia al cielo in segno di gratitudine verso il Signore che mi ha dato ancora una volta la forza di raggiungere la meta e la volontà di superare fatica e pericoli. La vista quassù è stupenda, quasi inebriante. C’è da perdersi con lo sguardo su queste vette himalayane che ci circondano ed è giusto descrivere tutto ciò. Ad est il gruppo del Purbung Himal (6500mt), a sud il Khatungkang e il Syagang (6484 e 6026mt.) coprono la vista sull’Annapurna, ad ovest la catena del Muktinath Himal con il Thorung Peak (6144mt) ci sovrasta con le sue pareti innevate, mentre a nord lo Yakwakang (6482mt) completa il quadro stupendo che fa da cornice alla valle che ora a nord-ovest ci si apre davanti.


Laggiù c’è il Tibet. Non ci credo eppure è vero. Anche se è lontano all’orizzonte, però là, dove si perde il mio sguardo, il Tibet con i suoi altipiani aridi e freddi, con la sua storia, la sua religione, il suo popolo oppresso dai cinesi, Lhasa. Qualche hanno fa avevo il grande desiderio di andarci ma ora che tutto è stato cancellato dall’invasione cinese preferisco conservare ciò che ho letto e visto sui libri. Di nuovo in cammino ma questa volta in discesa verso Muktinath, 1600 metri più in basso. Passiamo alla base della slavina che abbiamo sentito cadere ieri salendo la collina dietro al Campo Base intorno alle 14,30. È enorme, estesa ed ha ricoperto parte del sentiero con blocchi di ghiaccio sparsi qua e là. Certo che chi transitava qui ieri ha avuto un incontro ravvicinato con un evento della natura di incredibile potenza e capacità distruttiva. Man mano che perdiamo quota la valle si apre dinanzi a noi sempre di più lasciando scoprire la via che dovremo percorrere. La pendenza è abbastanza marcata e sui numerosi tornanti si riposano i porters con i loro pesanti carichi. Incontriamo solo pochissimi trekkers che risalgono da questo versante povero di lodge e ripari, però qualcuno è veramente intrepido e forse un po’ matto da voler effettuare il percorso anche con la mountain-bike. Infatti alla sosta che facciamo alle 11,45 presso un punto ristoro a 4200mt ci sono 2 ragazzi che con le loro bici sostano prima di ricominciare a salire. Forse stanno riflettendo se è il caso di proseguire? Non hanno le idee chiare: metteranno le bici sui muli e poi, raggiunto il passo scenderanno verso Manang. Mangiamo qualcosa e riprendiamo a scendere attraversando qualche ruscello, percorrendo canaline e praterie, morene di ghiacciai che nel loro lento progredire hanno scavato profondi letti detritici. Stiamo camminando in direzione ovest e la discesa si fa sentire nelle gambe. Però siamo quasi giunti all’ingresso del villaggio quando Narayn ci propone la visita a due monasteri che si trovano lungo la strada. Il primo è induista, dove i fedeli si bagnano sotto le fonti di acqua sacra, si immergono in piscine di acqua non tanto pulita, fanno visita al “sacerdote” che sta dentro il piccolo stupa, mentre l’altro monastero è di religione buddista. Entriamo in quest’ultimo e abbiamo la fortuna di poter osservare uno strano fenomeno: in una piccola cavità posta poco al di sotto del pavimento galleggia


una fiammella sopra l’acqua. Miracolo? Narayn ci spiega che c’è una piccola fuoruscita di gas dal sottosuolo sotto la polla d’acqua e quindi la fiammella arde sempre richiamando fedeli da ogni parte della valle anche perché questo è il suo più importante centro monastico. Peccato che non abbiamo potuto scattare neanche una foto in quest’ultimo, mentre per quanto riguarda quello induista mi è successo una cosa strana. Le foto che ho scattato, tante e interessanti, sono risultate tutte mosse. Perché? mi chiedo se fino a poco prima di entrare dentro al monastero ho scattato foto come ho fatto sempre. Solo quelle non sono venute bene. Devo dare una spiegazione irrazionale? Ma forse ho sbagliato io. Però il dubbio mi rimane. Usciamo dal monastero superando un arco molto colorato nei pressi del quale e lungo scalinate ci sono venditori di nastri di stoffa colorati, braccialetti, collane e altri piccoli souvenir dell’artigianato tibetano. Un’altra porta ci da l’ingresso al villaggio di Muktinath che si sviluppa lungo l’unica strada in terra battuta che l’attraversa. Anche qui tante bancarelle ai lati della strada, lodge che si susseguono e rivediamo alcune motorette. Arriviamo al lodge finalmente e, dopo la complessa sistemazione nelle camere, una doccia ci starebbe bene ma, la lunga fila degli utenti, mi fa desistere dal progetto visto che c’è un solo servizio e forse quando sarà il mio turno mi toccherà farla fredda. D’altronde non ho sudato molto e posso aspettare domani perché senz’altro sarà meno problematico. Naturalmente una bella rinfrescata è doveroso darsela ma prima una meritata e fresca birra sulla terrazza insieme ai compagni di viaggio è il giusto premio alla fine di questa giornata importante. Intanto Patrizia e Sergio devono curare il piede di un portatore, guarda il caso è proprio il mio, che si è tagliato l’alluce procedendo con gli infradito. Siamo alle solite: noi con comodi e tecnologici scarponi e loro chi con le ciabatte e chi, i più fortunati, con scarpe da ginnastica. L’ora della cena arriva molto velocemente e alle 19 siamo tutti seduti intorno al tavolo per gustarci pollo arrosto con salsa, verdure e patate fritte. Prima della cena Narayn mi ha pregato di scegliere 2 bottiglie di vino nel negozietto del lodge. Vuole offrirle per festeggiare la tappa e soprattutto perché oggi è l’onomastico di Bruno, il nostro capo spedizione, che a sua volta


mette sulla tavola parmigiano e cioccolato. Dulcis in fundo, un goccetto di grappa che ho portato dall’Italia e destinato al brindisi per il superamento del Thorong-La Pass. Ancora una volta, la terza nella mia vita, sono andato oltre i 5000 metri e sono sincero nel dire che questa salita, per me, è stata meno faticosa delle precedenti. La preparazione fatta durante l’anno ha dato i suoi frutti: sono felice di esserci riuscito. Questa notte finalmente ho dormito, ho fatto tutta una tirata ed ho recuperato sul piano fisico e psicologico. Sveglia presto per questa tappa di assoluto riposo. Oggi è il 7 ottobre. Scendiamo a Kalopani in fuoristrada passando x Jomsom lungo la valle attraversata dal Kali Gandaki. Facciamo 2 tappe in una giornata per recuperare quella di partenza iniziata a Besi Shahar e non da Bhulbhule come programmato, e anche per dividere in due la penultima che prevede il superamento di un dislivello di 1700 metri in salita. Usciamo da Muktinath dirigendoci verso Purang dove è posta la stazione delle jeep. C’è tanta gente che arriva e altra che parte tutta stipata dentro jeep capaci di trasportare 12/13 passeggeri. La stazione è un punto d‘incontro importante e c’è persino un ristoro ricavato tra le mura di una vecchia casa. Jeep che arrivano sollevando nuvole di polvere e che rendono l’aria irrespirabile. E finalmente arriva anche la nostra dove dobbiamo entrarci tutti e sarà un’impresa perché noi siamo più corpulenti dei nepalesi. Infatti ci stiamo come sardine e non sappiamo ancora come sarà la strada. Partiamo alle 9 e subito ci rendiamo conto che sarà un’avventura. Strada polverosa e piena di buche, con continui attraversamenti di ruscelli. Tornanti che si affacciano su pareti a strapiombo su gole di cui non si vede il fondo. Tanta polvere sollevata dalla nostra e dalle jeep che salgono. Questa è anche l’unica via, da questo versante nepalese, che porta verso il Mustang, una regione autonoma del Nepal. Anche stando dentro la macchina siamo costretti a coprirci bocca e naso con fazzoletti o foulard perché la polvere penetra dappertutto. Non ci possiamo muovere per troppo che stiamo stretti ed alcuni di noi accusano dei crampi o dolori muscolari. Riesco a scattare qualche foto e chissà


come usciranno per i sobbalzi continui della jeep. La strada, se così si può chiamare, scende ripida verso il letto del Kali Gandaki e sulle cui sponde ci sono alcuni villaggi all’apparenza rigogliosi. 2 ore per fare 21 km e per scendere di 1000 metri fino a Jomsom (2720mt). Almeno questo primo tratto l’abbiamo fatto e all’uscita dalla jeep non mi sembra vero di essere ancora tutt’intero. Attraversiamo tutta la cittadina che si sviluppa lungo il fiume e verso l’aeroporto. Questo è un importante centro; molti utilizzano l’aereo per arrivare a questa quota e iniziare la salita verso il Mustang, il Tibet, il Thorong-La oppure ascensioni delle tante vette che si spingono oltre i 6/7000 metri tra cui il Tilicho Peak e il Nilgiri. Dopo il pranzo a base di nepali-food, alle 13 saliamo, insieme a portatori e guide, su un pullman per affrontare i 27 km che ci separano dal villaggio di Kalopani che raggiungiamo alle 14,45. Le condizioni della strada sono sempre le stesse: buche, polvere, attraversamento di fiumi e villaggi; comunque devo fare un apprezzamento agli autisti che sono stati bravissimi anche se in alcuni punti dei due tratti percorsi la tensione è stata tanta. Tutto è bene ciò che finisce bene. E finisce bene anche la sistemazione nel lodge dove trascorreremo la notte: camera con bagno. Evviva !!!! Ieri mattina alle 8 eravamo a 5416 metri di altezza e ora siamo a 2530mt sotto di quasi 3000 metri. Però questa discesa con i mezzi è stata molto emozionante, sembrava di essere sulle montagne russe di un luna park. Certo che se dovevamo percorrerla a piedi, l’avremmo pure fatta, ma forse è stato meglio così. Prima di cena ci riuniamo tutti per rivedere il programma delle prossime tappe e per apportare alcune modifiche. Domani scenderemo a Tatopani, perdendo altri 1340 metri di quota, con un fuoristrada ma dovremo suddividerci in due gruppi e l’autista dovrà fare 2 viaggi perché non ci stiamo tutti e compreso i bagagli. Questa notte non abbiamo aperto i sacchi a pelo perché abbiamo lenzuola pulite, coperte e un letto ampio. Nonostante queste comodità il mio sonno è sempre leggero e la notte la trascorro ripassando i giorni di cammino e quest’ultima avventurosa giornata in auto. Finalmente arriva l’alba di questo nuovo giorno, venerdì 8 ottobre. Esco dalla camera con lo zaino sistemato e il borsone già chiuso per il portatore. Una bella vista limpida sul Tukuche West che spicca a nord dall’alto dei suoi 6848 mt.. Peccato che non si veda il Dhaulagiri che sta a pochissima distanza da qui verso nord/ovest perchè coperto da un’altra montagna il cui nome è difficile sia da pronunciare che da scrivere: Mulibumingkarka. I bambini sono già in piedi e uno di essi sta appeso alla schiena della sua mamma al caldo di una coperta: merita una foto. Dopo l’abbondante colazione con the, latte, biscotti, pane e marmellata inizia questa lunga mattinata. Alle 7,55, con il primo viaggio, ci


sistemiamo nel Toyota Pik-up, oltre all’autista, io, Patrizia, Sergio, Peppino e Giacomo nella cabina; mentre fuori, nel cassone, tutti i nostri bagagli, gli zaini, Narayn, 4 portatori e Rinjèe-Sherpa, il nostro 118 con lo zaino dei farmaci. La strada è molto accidentata, stretta e infangata. All’uscita di un villaggio una frana ci costringe ad una fermata imprevista e restiamo fermi una mezz’ora prima di poter riuscire a passare. Lo facciamo a piedi e di corsa per alleggerire il carico della nostra auto che ci segue subito dopo superando il varco che è stato riaperto da alcuni uomini del villaggio. Finalmente, alle 9,55, giungiamo a Tatopani ma ora dobbiamo attendere che l’auto ritorni su a prendere il resto del gruppo che non giungerà qui prima di 3 ore. Ne approfitto a fare un giro per il villaggio che, come i tanti altri che abbiamo attraversato, si sviluppa lungo un'unica strada lastricata su cui si affacciano piccoli lodge, ristorantini e negozietti che vendono i prodotti tipici locali, dall’abbigliamento alla bijotteria. Fuori dal villaggio ci sono anche delle piscine termali e alcuni di noi preferiscono andare a visitarle per ammazzare il tempo di attesa. Mentre siamo all’interno del lodge, in una saletta che abbiamo preso come base e che si affaccia sulla valle attraversata sempre dal Kali Gandaki, la mia attenzione è attratta da una farfalla posata sulla vetrata. Chiusa è una foglia di colore marrone con tutte le sue venature ma quando dischiude le ali mette in mostra bellissimi colori che vanno dal giallo al grigio, dal nero al marrone, rendendo il suo manto prezioso come un ricamo. Scatto tante foto senza disturbarla però ad un certo momento mi faccio più intraprendente. Avvicino l’indice della mano sinistra alle sue zampine e lei ci sale sopra senza mostrare nessun timore. Continua ad aprire e chiudere le ali per una decina di minuti offrendomi la possibilità di fotografarla in tutte le maniere. Alla fine dischiude le ali e vola via verso la libertà. Che incontro stupendo con questo delicato essere che mi ha subito ricordato il nome della mia nipotina Vanessa. Certo la chiamerò così. Alle 13,25 arriva il resto del gruppo un pò strapazzato e affamato. Spaghetti e patate fritte per placare la fame e per ricominciare a camminare. Meno male perché questa discesa in macchina è stata micidiale e mi sento le gambe di legno. Ma ora ci aspetta una bella salita di oltre 700 metri di dislivello fino al villaggio di Shikha.


Scendiamo dapprima lungo la strada polverosa e dopo 15 minuti superiamo un ponte sul fiume ed entriamo in un’altra dimensione, tra campi coltivati e risaie. Passiamo tra piccoli villaggi, in mezzo ai bambini e alla gente che ci saluta cordialmente. Saliamo scalinate ben tenute e pulite, superiamo alcune frane e giungiamo alle 18,15 al fine tappa, quasi con il buio. Il tempo di sistemarci nelle camere, darci una rinfrescata dopo la gran sudata fatta in questa salita e ci ritroviamo a bere una birra, giusta conclusione di questa giornata iniziata con un’avventurosa discesa in fuoristrada e continuata con una bella escursione in mezzo alla vegetazione tropicale. Cena abbondante con pollo arrosto, insalata mista, riso e le immancabili patate fritte. La serata continua allietata con canti e balli delle ragazze del villaggio, molto carine e aggraziate. Insolitamente da come accade dall’inizio del trekking, andiamo a dormire molto tardi, alle 22,30, dopo aver trascorso una particolare e piacevole serata, durante la quale si sono divertiti anche i nostri portatori che hanno ballato e cantato. Finalmente una discreta nottata ma alle 5,50 di oggi 9 ottobre mi risveglia il suono ritmato e progressivo di un tamburello; penso che possa essere la sveglia per tutto il villaggio ma più tardi conoscerò il vero motivo che è quello di una chiamata alla preghiera del sabato con adunata presso il monastero più importante della zona. La vista dalla finestra della camera mi regala la bella visione del Dhaulagiri che si innalza oltre la valle, a nord, al di sopra dell’impalpabile e silenziosa bruma mattutina, con la sua tagliente cresta est e la verticale parete ovest, intagliata di canaline e ornata di ghiacciai pensili. Che meraviglia e quanta imponenza. Dopo la colazione partiamo e sempre in salita, per scalinate e brevi falsi piani, tra villaggi molto puliti, in mezzo agli abitanti che, anche se oggi è sabato, lavorano lo stesso nei campi. Alcuni gruppi familiari si dividono la carne del bufalo appena macellato, altri lavano alla fonte gli indumenti, mentre le donne accudiscono ai piccoli e i pastori spingono greggi di capre verso pascoli o ricoveri. È una immersione totale nella vita contadina sull’Himalaya. Saliamo sempre, concedendoci delle brevi soste in caratteristici gazebo di bambù e paglia posti


in punti panoramici e agli incroci di altri sentieri che vanno verso altri villaggi. L’ambiente è principalmente tropicale, con vegetazione lussureggiante, corsi d’acqua e campi coltivati a riso, miglio e granturco. Non c’è casa o capanna che non abbia un bambino fuori dall’uscio a giocare, mentre quelli più piccoli stanno in grembo alle loro mamme o nonne. Procediamo lentamente risalendo interminabili scalinate e alle 13 giungiamo a Ghorepani (2860mt) coprendo 900 metri di dislivello che, dopo tanti giorni di cammino, si sentono tutti nelle gambe. Il lodge gode di un’ottima veduta su tutto il villaggio e in direzione di Annapurna I che purtroppo è coperto da nuvole. Il tempo è peggiorato e inizia anche a piovigginare ma, nonostante la pioggia, dopo la bella doccia calda, un bel piatto di spaghetti e un bicchiere di birra, scendiamo al centro del villaggio a spendere qualche altra rupia o dollaro. Peccato che tutt’intorno è coperto da nuvole altrimenti avremmo una vista stupenda anche su Manaslu e Dhaulagiri. Speriamo che le nuvole si diradino per poter vedere questo bellissimo spettacolo degli 8000 che ci circondano, un vero Santuario. Purtroppo niente da fare perché la notte arriva presto insieme ad una fitta nebbia che non ci fa ben sperare per il salto di domani mattina presto su a Poon Hill per osservare l’alba nascere sull’Annapurna. Al centro dell’ampia sala pranzo del lodge c’è una rudimentale ma molto funzionale stufa a legna. È fatta con un fusto di carburante messo in verticale. La legna viene inserita per un sportellino ricavato alla base di esso e, oltre a riscaldare l’ambiente, è utilissimo per asciugare indumenti e asciugamani bagnati dei numerosi ospiti. Non c’è un posto libero intorno ad esso e siamo presi dalla conversazione con una bella mamma di origine nepalese, residente in Europa con marito svedese, ed uno stupendo bimbo di poco più di un anno. Sono qui in vacanza e presso i genitori di lei che risiedono a Ktm. Appena dopo cena facciamo il punto del programma di domani e, tranne Giancarlo e Edoardo, nessun’altro si sveglierà alle 3 per affrontare la salita alla balconata di Poon Hill, 300 metri più in alto. Il tempo è molto incerto e, a meno di una schiarita non prevista, non serve fare un’altra faticata e non poter vedere niente. D’altronde se schiarita ci dovesse essere, anche da qui la vista sarebbe superba. E infatti, quando è ancora notte, sento passare sotto la finestra tante persone che vanno su ma, qualche ora dopo di questo 10 ottobre, domenica, sono risvegliato ancora da quelli che ridiscendono sotto una fitta nebbia. Anche Giancarlo e Edoardo sono fuori ma non sono saliti. Bene, siamo pronti per partire e affrontare la lunga discesa di questa penultima tappa, 1400 metri. La giornata si presenta fredda e umida però è allietata dalla presenza di una bella venditrice di monili tibetani e nepalesi che, di buon ora, ha aperto la sua bottega viaggiante davanti al nostro lodge. Sulle coperte stese


per terra ci sono tanti oggetti che attraggono tanti trekkers e io non mi faccio pregare ad acquistare qualche altro braccialetto o collana. Mi piace tantissimo comprare e riportare a casa. Mi piace tantissimo, e questa è la ragione principale, aiutare con l’acquisto la gente dei luoghi che visito. Sarebbe offensivo, credo, dare solo soldi come fosse elemosina. La nebbia che sale dalla valle non ci lascia vedere totalmente, almeno, l’Annapurna Sud (7219mt). La prima parte della via si inoltra nella lussureggiante boscaglia molto umida. Siamo nella fascia tropicale e questa tipologia di ambiente molto fitta e ricca di alberi altissimi che si spingono verso il cielo alla ricerca della luce. Ad essi sono avvinghiati, come parassiti, muschi, licheni e felci. Scendiamo gradualmente ora lungo scalinate di cui non si vede mai la fine, su sentieri fangosi e bagnati da rivoli d’acqua. Attraversiamo diversi villaggi con lodge dipinti di tanti colori e tra cui spicca sempre il blu. Questa valle è interminabile, non se ne vede il fondo. E non riusciamo a vedere neanche dietro di noi, verso le cime delle montagne che ci stiamo lasciando alle spalle, per la fitta nuvolaglia che la opprime. Ma arriva una schiarita quando alle 11,30 ci fermiamo per il pranzo in un villaggio molto pulito, con case ben tenute e dipinte, in un ristorantino con felice vista sulla valle. Siamo a quota 2110. Una ragazza, ci dice che è studentessa universitaria, espone i suoi oggetti che si offrono ad altri acquisti. Per pranzo i soliti spaghetti, momo di carne e dopo il caffè preparato da Kumar, ripartiamo di nuovo continuando a scendere verso il fondo di questa valle e sempre per gradini e gradoni di granito, facendo attenzione a non scivolare e ad ammortizzare con movimenti sempre diversi le infinite compressioni a ginocchia e spina dorsale. Arriviamo finalmente ad un ponte tibetano che immette in un villaggio e subito dopo ne attraversiamo ancora un altro e questa volta risaliamo leggermente verso un villaggio. Siamo a Tikhedhungga (1480mt) dove finisce la tappa di oggi. Trascorriamo il pomeriggio a poltrire, a giocare a carte o semplicemente stando seduti davanti al lodge ad osservare i tanti trekkers e nepalesi che passano. Dopo la cena con pollo fritto, insalata mista, patate fritte e gli immancabili momo, questa volta ripieni di patate, rimaniamo fuori dal lodge fino a tardi tra canti e balli delle


nostre guide che, insieme ai portatori, vogliono festeggiare la conclusione di questo trekking. Ci lasciamo convincere anche a bere del rhum con acqua calda che, con la temperatura un po’ bassa, ci riscalda e ci tiene allegri. Ci divertiamo parecchio anche perché arrivano anche altri ragazzi e ragazze del villaggio che, udendo la musica, si uniscono a noi. I nepalesi sono sempre molto allegri e ascoltano continuamente la musica tenendo i loro cellulari sempre accesi e su cui hanno memorizzato musiche e canzoni. Ascoltano musica soprattutto durante il pesante cammino lasciandosi trasportare, mentalmente, dalle note preferite e cantando anche loro. Sarà stato per il rhum bevuto, però ho dormito saporitamente e questa mattina 11 ottobre, sono pronto per effettuare l’ultima tappa. Durante la colazione, Bruno consegna a portatori e guide la meritata mancia e noi siamo soddisfatti del servizio che ci hanno reso. Un po’ di commozione ci prende perché abbiamo instaurato con tutti un bel rapporto amichevole, rispettoso certamente dei ruoli, ma grati della loro educazione e disponibilità. Sono tutti giovanissimi e fanno un lavoro durissimo, dietro compenso di soli 7$ al giorno. I nostri giovani lo farebbero? Non voglio rispondere perché qualsiasi sia la mia risposta, potrebbe essere dettata dal fatto che oggi io sono qua ma domani tornerò nella mia bella società in cui tutto è dovuto ma niente è scontato. Oggi la maggior parte di loro, all’arrivo a Pokhara, ci lascerà per fare ritorno a Besi Shahar, la cittadina dove è iniziato il nostro trekking all’interno dell’Annapurna Conservation Area. Partiamo alle 8 continuando a scendere e in alcuni tratti a risalire lungo il fiume che costeggiamo fino a Birethanti dove ritroviamo macchine e confusione e da qui, ancora a piedi, e per un bel tratto di strada in terra battuta arriviamo a Nayapul (1070mt) dove finiamo di camminare. Ore 10,30 di lunedì 11 ottobre dopo 15 giorni, 320 km circa percorsi, di cui 70 in jeep, bus e fuoristrada, quindi 250 km a piedi, 20.000metri circa di salita e altrettanti di discesa, si chiude il nostro Circuito dell’Annapurna. Entusiasmante??? Emozionante??? Faticoso??? Ci

sarebbero

ancora

tanti


aggettivi da elencare per etichettare ciò che abbiamo fatto, ciò che ho realizzato ma uno solo può sintetizzare gli altri: UNICO. Siamo ora in attesa del mezzo che ci porterà fino a Pokhara e ne approfittiamo per brindare con una bella birra. Salutiamo le guide e i portatori che ci lasciano e non ci penso su due volte a mettere nelle mani del mio portatore e Rinjèe qualche dollaro prima di scattare una foto con loro. Grazie ragazzi. Il pullman che ci porta a Pokhara risale tutta la collina con fatica e lungo la strada molto dissestata, piena di buche e con quel poco di asfalto che è rimasto. Risale i tornanti che portano ai 1600 metri di Lumle, per poi buttarsi nella lunga discesa verso la valle di Pokhara che, adagiata sull’omonimo lago, a 820 mt di quota, raggiungiamo alle 13. L’hotel Lake Place è confortevole e situato in una zona tranquilla, piena di alberghi, lontano dal chiasso di una delle sue vie principali. Una veloce doccia e tutti insieme andiamo a mangiare qualcosa. Pokhara è meno inquinata di Ktm ma l’umidità dell’aria è molto elevata e, a ciò, contribuisce la vicinanza al lago che si estende per parecchi km quadrati. Sono riuscito anche a farmi la barba anche se è stato molto faticoso e doloroso per la lunghezza che aveva raggiunto. Ma dovevo farlo assolutamente, non voglio tornare a casa con la barba lunga come mi è successo al ritorno dal Perù nel 2007. All’imbrunire con Peppe esco a fare un giro lungo la strada principale di questo rione di Pokhara. Ci sono parecchi negozi e comprare altri oggettini è un richiamo troppo forte. In uno di essi trovo un cd di musica che in Italia non sono riuscito a reperire; è la colonna sonora di un film ambientato in Tibet e che mi ha appassionato molto. Ancora 4 giorni e poi sarò finalmente a casa vicino alla mia splendida famiglia e ci sarà anche la mia cara mamma. Alle 6,20 del 12 ottobre (scoperta dell’America) sono sveglio e riposato anche se il letto molto rigido non prospettava una notte molto tranquilla. Colazione, bagagli sul pullmino, aeroporto di Pokhara e adesso siamo in attesa del volo per Kathmandu. I piccoli aerei ad elica decollano in continuazione da questo scalo importante della Regione dell’Annapurna. La maggior parte di essi volano verso la capitale e la gente locale si mescola a turisti e trekkers che partono o arrivano. In volo alle 9,25 e subito abbiamo suggestivi scorci sulla catena dell’Himalaya e vorrei dare il nome a tutti i picchi che si intravvedono se solo conoscessi a memoria la successione delle vette. Ma non importa perché sono tutte meravigliose, incappucciate dei loro manti nevosi. L’oretta di volo trascorre velocemente, quasi non me ne sono accorto, e il nostro aereo atterra scaricandoci di nuovo nel caos della capitale del Nepal. Ci ributtiamo nel traffico caotico e chiassoso transitando nei pressi di siti già visitati, per strade già percorse ma non andiamo in albergo, bensì a casa di Narayn che vuole


farci conoscere la propria famiglia invitandoci a pranzo. Ad accoglierci nella sua bella casa ci sono i genitori, i nipoti, il fratello e soprattutto il figlioletto di 3 anni vestito come un principino indiano, la figlia di 12 anni e la graziosa moglie. Il pranzo che consumiamo stando seduti per terra, su morbidi cuscini, è ottimo e l’ambiente familiare così caloroso ci fa sentire a casa nostra. Complimenti a Narayn che ci ha offerto uno spicchio della sua vita privata. Alle 13,10 siamo in htl, sempre il Malla, e ci riposiamo un po’ prima di tornare a scorrazzare per le strade di Thamel a spendere ancora soldi. Cena in pizzeria, notte molto tranquilla e mi sveglio alle 6,30 di questo 13 ottobre, compleanno di mia figlia Angela. Alle 8,30 usciamo per visitare Patan, Bhaktapur e Pashupatinath che ricordo molto bene e che non sono cambiate molto dalla mia visita del 2003. È cambiata nel complesso tutta la città. Sono aumentati i mezzi di locomozione, specialmente le motociclette, e l’inquinamento dell’aria è mortale. A sera siamo a cena nello stesso ristorante in cui siamo stati nel 2003; tante portate stuzzicanti e gustose, il cameriere che versa il kirsh in piccoli bicchieri, stando in piedi sopra di noi che stiamo seduti quasi per terra, con una precisione incredibile e non una goccia fuori, e lo spettacolo di danze e canti. Questa cena ci è stata offerta dall’agenzia che ha curato il nostro soggiorno e trekking. Al ritorno in htl ci soffermiamo a chiacchierare un po’ nella hall ma alle 22 andiamo a dormire in questa ultima notte in Nepal. Questa mattina, giovedì 14 ottobre, mi sveglio molto presto, alle 6,24, e subito una bella doccia mi ritempra e prepara per la lunga giornata in attesa del viaggio di rientro a casa. Prima di salutare definitivamente Narayn gli consegniamo tutti i farmaci contenuti nello zaino farmacia e che non abbiamo utilizzato durante la nostra permanenza in Nepal. Lui li consegnerà ad un presidio ospedaliero molto vicino all’Orfanotrofio che abbiamo visitato il 25 settembre. Passiamo parte della giornata tra la hall dell’albergo e Thamel, ed è veramente lunga e snervante arrivare fino alle 20,40, ora del decollo dell’aereo per Doha, dove atterriamo durante la notte. Di nuovo in volo verso l’Italia,


destinazione Roma, dove atterriamo alle 6,30 di oggi 15 ottobre, rientrando finalmente in Italia. Anche questo viaggio si è concluso. Un altro lungo trekking sulle montagne più alte del mondo è stato felicemente portato a termine. Forse non è stato emozionante come il primo effettuato nel 2003 che ci ha portato fino ai piedi della montagna più alta del mondo, al Campo Base dell’Everest, perché era il primo approccio con un mondo tanto lontano e irraggiungibile, ma è stato affascinante per la varietà degli ambienti incontrati, per la gente che abita i villaggi, per i bambini che vivono una quotidianità unica e, sotto certi aspetti, invidiabile. Sono soddisfatto e contento di averlo fatto grazie soprattutto alla compagna della vita, mia moglie Wanda, che ancora una volta mi ha lasciato partire per vedermi realizzato e felice. Francesco Sulpizio


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