My Way to Wolfgang Wiengart - Volume uno

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My way to Wolfgang Weingart Retrospettiva tipografica in tre volumi a cura di Francesca Coluzzi

«Il fascino della tipografia risiede nella sua capacità di trasformare un pezzo di carta, muto e non stampato, in una forma dinamica di comunicazione» W.W.


Realizzato durante il laboratorio di Tipografia tenuto da Leonardo Sonnoli nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2009 presso lo IUAV di Venezia. Progetto editoriale e grafico a cura di Francesca Coluzzi. Impaginato con Adobe InDesign. I font utilizzati sono: Meridien roman, italic e bold. Univers 55 roman e oblique, 65 bold.


Indice

Volume uno 3 Dal nieuwe bleeding alla new wave di Sergio Polano tratto da Casabella 655, 1998 19 Come fare tipografia svizzera? di Wolfgang Weingart tratto da Casabella 655, 1998 Volume due 33 Esperimenti tipografici di Wolfgang Weingart tratto da Typography. My way to typography Volume tre 65 Sguardi foto-grafici nella cittĂ Appendice 87 Bibliografia



My way to Wolfgang Weingart Volume uno



Dal nieuwe bleeding alla new wave di Sergio Polano

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Un complesso e assai poco esplorato itinerario storico porta al formarsi in Germania, negli anni tra le due guerre, di una particolare grafica sistematica, incline al rigore informativo, all’economia dei mezzi, ai fini socio-comunicativi, ai linguaggi universali piuttosto che al gusto espressivo, alle urgenze artistiche, al gioco formale, alle ricerche personali. È il fenomeno divenuto in seguito, dopo aver favorevolmente incubato in terra elvetica, comunemente noto coll’epiteto geografico di grafica svizzera, che si è tradotto in una sorta di Internationale Style visivo, imperante nel globo dagli anni cinquanta ai settanta, salvo tardivo-nostalgici epigoni attuali. Costretti dalla tirannia di spazio e dalla coerenza con il tema del Forum a trascurare altri contributi fondamentali (quali quelli di Otto Neurath o di Kurt Schwitters, piuttosto che quelli di Herbert Bayer, di Lazlo Moholy-Nagy o di El Lisickij, inter allii), vorremmo almeno suggerire qui –assai succintamente, tramite alcuni episodi rilevanti– una traccia a nostro avviso significativa di tale storia, che si snoda lungo anse inedite.

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1922

Nieuwe Beelding > 1922: una figura chiave di «De Stijl», l’organo di diffusione dell’ascetica astrazione del Nieuwe beelding (neoplasticismo) olandese, quale il geniale agit-prop culturale C.E.M. Küper –meglio noto come Teo van Doesburg– tiene un polemico corso a Weimar, mirato a dimostrare a maestri e allievi del Bauhaus i «principi di un nuovo e radicale processo creativo» e gli esiti di una impostazione cromoplastica «esatta» dei problemi artistici. Tra gli allievi studenti del Bauhaus stesso, quali Max Burchartz, Werner Gräff, Peter Röhl, con precedenti pittorici, recenti incursioni espressioniste, vocazione e formazioni artistica; si tratta, per loro, di una sorta di conversione sulla via di Weimar. Li ritroviamo tutti, di lì a poco, impegnati professionalmente nella progettazione di artefatti comunicativi, pubblici e privati, di forte afflato sistematico.

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1923-1926

1923: Gräff elabora il suo Material zum Problem einer Internationalen Verkehrs-Zeichen-Sprache, un progetto di segnaletica internazionale per la circolazione stradale, fondato sull’uso del colore e l’unificazione dei tipi.

1926: Röhl prospetta un’ancor più radicale unificazione segnaletica, con una famiglia universale di pittogrammi per i luoghi pubblici.

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1924-1927

1924-27: per parte sua, abbandonata l’attività di pittore-artista, Burchartz (partner di Johannes Canis nel 1924-27, nello studio di grafica werbe-bau a Bochum) progetta una delle prime pagine segnaletiche sistematiche conosciute per un edificio, basata sull’uso del colore, nella Hans-Sachs-Haus di Alfred Fischer a Gelsenkirchen (1924-27). Al contempo, le formulazioni di Burchartz a proposito di Gestaltung der Reklame, pubblicate da «Die Form» nel 1926 ma già note nel 1924, si rivelano di eccezionale importanza nella storia della progettazione visuale contemporanea. «In questo lungo articolo –scrive al proposito Richard Hollis, in Graphic Design. A Concise History, London 1994, forse la migliore sintesi storica sulla grafica moderna–, Burchartz analizza la funzione della pubblicità, che cosa la rende efficacie e in che modo ne è coinvolto il fruitore. Il concetto di messaggio e di riceione, che divenne un modo comune di considerare la comunicazione negli anni cinquanta, viene qui introdotto da Burchartz. Ma la massima parte dell’articolo [...] e dedicata alla «organizzazione estetica dei mezzi della comunicazione persuasiva». [...] Burchartz elabora questi principi in una serie di progetti che definirono il volto grafico del modernismo internazionale, destinato a sopravvivere al nazizmo per riemergere negli anni sessanta con il nome di grafica svizzera».

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1927-1929

1927-29: le città di Bochum e di Dortmund, primi esempi noti nella storia, affidano la loro comunicazione d’identità pubblica a stampa, rispettivamente nel 1927 ad Anton Stankowski (il quale nel 1927-29 è allievo di Burchartz alla Folkwangschule di Essen e, contemporaneamente, free-lance nell’agenzia di Canis a Bochum) e nel 1929 a Burchartz.

1929: Stankowski, trasferitosi in Svizzera, lavora presso la Max Dalang Agentur a Zurigo, fino al 1937; è un vero pioniere della grafica induztriale, esatto opposto della grafica d’illustrazione: essenzialità, asimmetria, libertà compositiva, ricorso esclusivo al bastoncino Akzidenz Grotesk.

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1933

1933: Jan Tschichold, sovversivo fautore della grafica asimmetrica, “bolscevicoâ€? propugnatore della elementare typographie (1925), autore del celeberrimo Die Neue Typographie (1928), emigra dalla Germania nazista (dopo sei settimane di schtzhaft con la moglie) e si rifugia a Basilea, cittĂ in cui matura una controversa svolta verso la tradizione, eleggendo a sua seconda patria la Svizzera (ove vive fino al 1974, se si eccettua il soggiorno londinese del 1946-49).

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1939-1946 1939-45: durante la guerra, nella neutrale confederazione elvetica si sviluppano tutti questi semi, impiantandosi nel fertile terreno locale e incrociandosi con quelli indigeni (Max Bill, Cyliax, Walter Herdeg, Herbert Matter, Emil Schulthess, Alfred Willimann et alii, specialmente legati all’arte concreta e al movimento Abstraction-Création. Art non figuratif –al cui proposito, v. «Casabella», 1997, novembre, 650, p.84). 1946: dopo che, sotto la guida di Emil Ruder, gli studenti della Allgemeine Kunstgewerberschule di Basilea hanno ristampato alcuni capolavori della grafica degli anni venti, si innesca una violenta polemica tra Bill e Tschichold sul senso della modernità nella grafica, progressivo-trasgressiva per il primo, realistico-riflessiva per il secondo.

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1955-1958

1955: Karl Gerstner, grafico di Basilea (in partnership con Markus Kutter) preso ad esempio di capacità innovative da Bill, progetta e impagina un importante numero monografico di «Werk», dedicato alla grafica, che illustra –per il versante “persuasivo”– con il lavoro dello studio zurighese Odermatt & Tissi: è l’occasione per mettere a punto un concetto sachlich di “griglia”, quale tracciato regolatore e ordinatore nel progetto degli stampati. 1957: Max Miedinger, su richiesta di Edouard Hoffmann, disegna per la fonderia svizzera Haas un bastoncino destinato a planetaria fama e successo, il Neue Haas Grotesk, basato sull’Akzidenz Grotesk di stankowskiano apprezzamento: per la distribuzione sul mercato tedesco, da parte della stempel nel 1961, viene ridenominato (omen nomen) Helvetica, un tipo fin troppo a tutti noto.

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1958: inizia le pubblicazioni la rivista trilingue elvetica «Neue Grafik», con l’intento di «creare una base internazionale per la discussione della grafica moderna e delle arti applicate», frutto dell’impegno senza compromessi della “banda dei quattro”: Richard P. Lohse (responsabile di una fondamentale antologia, peraltro, sull’exhibition design); Josef Müller-Brockmann (autore, tra i vari testi standard, di Gestaltungsprobleme des Grafikers, prima sistematizzazione del Raster Systeme); Hans Neuburg, collaboratore di Stankowski; Carlo Vivarelli, collaboratore di Antonio Boggeri (v. «Casabella», 1997, novembre, 650).

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1967

1967: «È nelle scuole di progettazione visuale di Basilea e Zurigo –spiega ancora Hollis, nel volume citato– che la grafica svizzera [...] si consolida e si sviluppa. Negli anni settanta e ottanta, sia alcuni grafici affermati [...] che una nuova brillante generazione di progettisti di manifesti lavorano liberamente su tali fondamenta. Adottano i loro metodi alla specificità di ogni singolo incarico, senza limitarsi alla specificità di ogni singolo incarico, senza limitarsi all’ Akzidenz Grotesk e al Helvetica o alle impaginazioni ortogonali che avevano tipizzato in stile la grafica svizzera. L’Akzidenz Grotesk, specialmente nei paesi più scuri, resta comunque il tipo preferito da Wolfgang Weingart, il più influente all’estero tra i giovani grafici svizzeri. [...] Sin dsal 1967, Weingart [...] ha sostenuto con garbo il ruolo di enfant terrible, mettendo entusiasticamente in questione attitudini ereditate, provandosi in prima persona in una notevole produzione sperimentale. Suo portavoce è allora il mensile «Typographische Monatsblätter», le cui copertine (15 nel 1972 e 1973) [...] vengono progettate per spingere il lettore «passo passo attraverso un lessico definito dai vari teorici della progettazione e della comunicazione [...] la forma ignora i dogmi della composizione tradizionale e sfida le ideologie di progetto». Weingart tiene un lungo tour di conferenze negli Usa nel 1972 e 1973; pubblica la conferenza –il cui tema è l’insegnamento a Basilea– nel 1967, con il titolo How Can One Make Swiss Typography? [...] Weingart ha risospinto la

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grafica verso il campo dell’espressione personale, raggiungendo l’apice nella copertina che disegna per l’accademica rivista statunitense «Visible Language» nel 1974, ove scarabocchia No idea for this fucking cover today. Ma l’importanza di Weingart sta nel precoce suo riconoscimento delle nuove tecnologie [...] si è confrontato in questa sfida con gusto inventivo, esplorando la fotocomposizione e la pellicola fotografica nel verso del collage di alfabeto e immagine».

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1987

1987 > New Wave: «Nel 1968, quando ho iniziato ad insegnare nella Allgemeine Kunstgewerbeschule di Basilea –commenta, nell’introduzione all’ediazione inglese della conferenza che pubblichiamo qui, Weingart stesso, chiamato a insegnare a Basilea da Armin Hofmann (visiting professor anche presso la Philadelphia Museum Scool of Art e la Yale University sin dagli anni cinquanta)–, mi era chiaro che dovevo radicalmente ampòiare le idee, le teorie e i limiti visuali della cosiddetta tipografia svizzera. [...] Fondamentalmente, sono un autodidatta. Ciò mi ha permesso di non seguire mode, movimenti o stili. Tuttavia, la libertà che mi sono conquitato reclama una severa disciplina e senso di responsabilità. [...] Allora, oltre vent’anni fa, nessuno poteva pensare che questo nuovo approccio visuale e questo metodo sperimentale potessero essere alle origini di quanto oggi è noto come New Wave. Negli ultimi due decenni, sono passati per il corso avanzato di grafica studenti di quasi 25 paesi, che oggi sono sparsi in tutto il mondo». La omologante New Wave americana, la Hybrid Imagery digitale narrata da April Greiman per prima, il decostruzionismo visuale statunitense affondano dunque le loro radici nella vecchia Europa, soprattutto forse nella radicale critica weingartiana di una “grafica svizzera” ormai ridotta a vuoti stilemi. Negli anni ottanta, la New Wave si nutre di (talora maldigerite) idee del Vecchio Mondo, prima di dilagare ovunque nei no-

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vanta, muovendo dalla California (ove si fa notare precocemente appunto Greiman, allieva di Weingart a Basilea, oltre a Lucille Tenazas, al sociologo David Carson che ha studiato grafica in Svizzera e, soprattutto, agli emigrés europei Rudy Van der Lans e Zuzanna Licko), dalla Cranbrook Academy of Art (grazie all’azione pluriventennale congiunta dei McCoy; al proposito, v. «Casabella», 1997, aprile, 644, e giugno, 646), dal MIT (col seminale Visible Language Workshop di Muriel Cooper, editor di «Visible Language»), da Yale (luogo d’insegnamento si Dan Friedman, studente a Basilea e a Ulm, organizzatore del primo tour americano di Weingart, autore di Radical Modernism) e da New York (con l’anti-design, ad esempio, della M&Co. di Tibor Kalman –in seguito editor di «Colors»–, lo stile freddo di Willi Kunz –studente a Basilea–, il gusto olandese di Duoblespace –un duo formatisi a Cranbrook). Nella sua lunga marcia, sospinta da tramontana, la grafica svizzera, cavalcando la propria crisi dopo l’era passata di dominio imperiale del mondo, ha osato ancor volger la prua a Oriente, per tornare a buscar Occidente.

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Come fare tipografia svizzera? di Wolfgang Weingart Tratto da Casabella 655, 1998

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Sulla tipografia svizzera

Possiamo tentare di spiegare questo complesso concetto, forse, con l’aiuto di esempi tipici. Grazie a questi esempi, noterete come alcuni principi di progetto siano dominanti. Vale a dire che alcune caratteristiche (come la scelta del carattere, la struttura compositiva e il valore del grigio) diventano immediatamente riconoscibili per l’osservatore allenato. Ogni elemento si basa sull’ortogonalità ed è ordinato in rapporto ai materiali e al processo di composizione manuale. L’obiettivo essenziale è implicare lo spazio bianco, quello non stampato, quale fattore di progetto. I criteri necessari di questo processo sono due concetti alquanto puritani, quelli di “informazione” e di “leggibilità” dell’informazione stessa, indipendentemente da quanto questi fenomeni, nel loro complesso significato, siano comunque semplificati. É opinione comune che, nonostante i progressi e le conoscenze acquisite nella ricerca sulla comunicazione, non esista oggi una definizione affidabile di cosa sia un messaggio ragionevole, onesto e non manipolato, a prescindere dalla questione se sia giusto o possilibe ricercare una simile definizione. È inoltre anche molto difficile spiegare in che modo sia possibile tradurre un simile messaggio in termini tipografici e mantenerne l’efficacia.

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È da qui che ho cominciato, perché se tutte le domande precedenti rimangono senza risposta, la “tipografia svizzera” non può essere altro che una delle direzioni possibili e nemmeno lontanamente, come invece alcuni dei suoi sostenitori credono, la “tipografia assoluta”. Il fattore decisivo, per me, è assumerei i criteri progettuali della “tipografia svizzera” come un punto di partenza razionale e sviluppare, attraverso l’insegnamento e la sperimentazione, nuovi modelli.

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Metodo d’insegnamento

Credo di dover spiegare cosa intendo con le espressioni “metodo di insegnamento” e “scuola”. Mi sembra importante, perché questa definizione renderà assai più comprensibile quanto illustrerò. La “scuola” per me è un’istituzione che, attraverso un dato programma di insegnamento, tenta di chiarire una certa quantità d’informazioni. Queste informazioni sono essenzialmente indipendenti dalle esigenze concrete, espresse dagli standard professionali. I programmi di insegnamento sono aperti e svincolati da opinioni preconcette. Il contenuto del programma è determinato e costantemente sviluppato all’interno della scuola. È importante che la “scuola” mantenga un carattere sperimentale. Gli studenti non devono essere i destinatari di conoscenze o valori indiscutibili ma, al contrario, occorre che abbiano la possibilità di arrivare, attraverso una ricerca indipendente, a tali valori e a tale conoscenza, per poi svilupparli e imparare ad applicarli.

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Basilea

Il risultato di questa preparazione non è un tipografo inquadrato o un grafico che ha il controllo, come punto di partenza nella sua attività pratica, delle possibilità e delle potenzialità del progetto tipografico. Questa linea è proprio il marchio di fabbrica della scuola di Basilea: la trasmissione di una conoscenza di base e completa del progetto; uno sviluppo e un incremento costante di tale conoscenza. Il tentativo non è quello di individuare modalità progettuali prestabilite ma di esercitare i sensi a riconoscere indirizzi progettuali alternativi e assegnare uguale importanza all’utilizzo di ciascuna di queste scelte. Invece di ricercare l’”espressione” tipografica, nostro obiettivo educativo è individuare soluzioni tipografiche differenziate. Nel mio corso di tipografia si ricorre sia a soluzioni simmetriche tradizionali che a impostazioni sistemiche a griglia, accanto a esercizi più liberi ede elastici. L’unico elemento imprescindibile è che, per ogni soluzione, occorre sviluppare un criterio progettuale. La libertà individuale è quindi così ampia che una soluzione da “brutta” può diventare “bella”.

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Sulla neutralità

Che cosa rende le mie idee diverse dalle altre? per risposta, vorrei accennare ad alcuni esempi tipici della “tipografia svizzera”, quali i lavori di Emil Ruder e dei suoi studenti. Il criterio principale a sostegno di questa forma di progettazione tipografica è la “leggibilità”: è il fattore dominante, nella selezione e nell’organizzazione ottica dei segni tipografici. Il “messaggio” da comunicare non è intensificato attraverso l’utilizzo di materiale aggiuntivo, di natura sintattica o semantica. Mettere in discussione la motivazione che regge un approccio alla tipografia di questo genere, significa mattere in discussione l’approccio alla comunicazione in generale. La “tipografia svizzera” è stata a lungo dominata da una tendenza a trasmettere messaggi in modo “neutrale”, dal punto di vista dei valori. “Neutrale” significa presentare un messaggio semplicemente, senzadotarlo di caratteristiche visuali aggiuntive, che ne accentuino l’efficacia semantica e persuasiva. Questa scelta chiama potentemente in causa la posizione etica del grafico.

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Senza addentrarci in una discussione etica, possiamo dire che questo atteggiamento “neutrale” verso un “messaggio” non è che una tra le tante alternative. E tuttavia, anche l’informazione più obiettiva, con la presentazione visiva più sobria, non manca di mettere il destinatario a contatto con valori personali. Questa idea –di pura organizzazione funzionale, con una griglia, un carattere e un corpo unificato e tanta sobrietà semantica–, propria della “tipografia svizzera”, ricercata in Svizzera e in altri paesi, non è che una vana chimera, perché non può essere che una parte soltanto della complessa funzione che identifica la tipografia quale mezzo di comunicazione.

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Progettazione pura – tipografia come “pittura” Nel caso abbiate la sensazione che lavoriamo in una sorta di vuoto, vorrei mostrarvi cosa significa davvero lavorare in un vuoto. Nel corso di tutto il nostro lavoro, siamo coscienti di avere a che fare con uno spazio vuoto, un vuoto pneumatico, che dobbiamo occupare con elementi tipografici. Il fascino della tipografia, sia per i miei studenti che per me, risiede nella sua capacità di trasformare un pezzo di carta, muto e non stampato, in una forma dinamica di comunicazione.

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Sulla sintassi

A un esame critico più attento, si comprende che la vita del progetto scaturisce dai suoi valori sintattici, dalla connessione, cioè, tra elementi come il tipo, il formato e la composizione. Ritengo che sia proprio qui, nell’espressione del momento sintattico, che risiedano i criteri decisivi, nel senso che qui si rende fruibile la configurazione grafica, la definizione globale. Un esempio parallelo: una parola stampata può funzionare solo quando le lettere sono collocate nel corretto ordine. Vedendo la parola, l’importanza del ruolo della sintassi non risulta immediatamente chiara. In altre parole, la si coglie solo quando una delle lettere si trova nella posizione sbagliata. Per una persona di lingua tedesca, la parola Basel risulta leggibile e sta ad indicare una localizzazione geografica, al contrario della parola Basle. D’altro canto, la parola Basle è comprensibile a una persona di lingua inglese. Basel: tedesco, Basle: inglese.

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Sul segno

Il punto di partenza è ciò che si intende per “segno”. Esaminiamo la parola “breast”, tipograficamente collocata in uno spazio dato. La parola “breast” in inglese ha due significati: il petto dell’uomo e il seno della donna. È una parola con due significati completamente diversi. Questa parola stampata non è semplicemente collocata in quel preciso punto: significa qualcosa, un certo “petto”, che nel nostro caso sarà il petto di un uomo. Il fatto che un segno funzioni come tale, solo quando si riferisce a qualcosa o quando dovrebbe riferirsi a qualcosa, è definito “segnofunzione semantica”. La parola-immagine tipografica “breast” è composta da segni (ossia lettere) elementari diversi. Il rapporto tra le lettere e delle lettere con la carta è definito “segno-funzione sintattica”. E naturalmente, è chiaro che un segno può funzionare come segno, solo quando esiste qualcuno che lo legge, come dire che un segno deve essere fatto in modo da poter essere visto, letto e capito. Questo “effetto” di un segno appartiene all’area “segnofunzione pragmatica”. Questo semplice modello spiega un processo di comunicazione che non sempre funziona, tuttavia. Il destinatario del messaggio “breast” pensa al seno di una donna, che non è esattamente ciò che l’emittente del messaggio intendeva. Si tratta di un problema che investe tutti noi. I nostri progetti producono effetti diversi. I nostri segni possono acquisire un significato diverso da quello che intendevamo trasmettere.

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Fino a che punto possiamo modificare la natura della lettera “ö”? Fino a che punto possiamo identificarla come “ö”? in altre parole, qual’è la caratteristica visiva tipica, sena la quale non è possibile riconoscerla? È possibile modificare il valore semantico della lettera maiuscola “H”? In che modo si sviluppa il suo significato attraverso la differenziazione, in termini di peso e proporzione della sequenza di parole?

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