N°43 GENNAIO-FEBBRAIO 2021 -
periodico bimestrale d’Arte e Cultura
ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE
VITTORIO MIELE w w w.facebook.com/Rivista20
Edito dal Centro Culturale ARIELE
ENZO BRISCESE
BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE
del Centro Culturale Ariele
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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Rocco Zani Miele Lodovico Gierut Franco Margari Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Virginia Magoga Enzo Briscese Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Concetta Leto Claudio Giulianelli
www. f a c e b o o k . c o m/ Riv is t a 2 0 ----------------------------------------------------------
L’isola dei morti - 2008 - olio su tela - cm 40x50
Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com -----------------------------------------------------
Personaggio -2008 - t.m. su tela - cm 40x50
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In copertina: Vittorio Miele
A CASSINO IL LICEO ARTISTICO “VITTORIO MIELE”. LA NUOVA STORIA di Rocco Zani
Immagine di Vittorio Miele - anni ‘90
A cinquant’anni dalla sua fondazione l’Istituto avrà un nuovo nome. Quello di un artista storico del territorio. Prende il nome di “Vittorio Miele” il Liceo Artistico di Cassino a cinquant’anni esatti dalla sua fondazione. La cerimonia inaugurale di questo nuovo percorso si terrà nella prossima primavera ma già da oggi possiamo vivere un momento altamente significativo per la storia del Liceo e per quella dell’artista. Ed è forse questo il riconoscimento più ambito - seppur postumo – per quello che Duccio Trombadori volle definire nel 1999, a pochi mesi dalla sua scomparsa, “il poeta del silenzio”. Ma l’intitolazione del Liceo Artistico al pittore cassinate ha valenze e fondamenta decisamente più marcate. E’ la rifinitura di un viaggio lungo e appassionante che ha visto concentrarsi l’attenzione “istituzionale” nei confronti di un autore schivo e appartato che ha dato voce, con la sua pittura, alle intime afflizioni del “secolo buio” facendosi portatore di immagini e narrazioni indelebili nel panorama artistico contemporaneo. Un percorso che ha lasciato dietro di se testimonianze e scie di altissimo valore artistico culturale come se la città e il territorio avessero compreso il senso (invero la sostanza) di una storia densa di indizi e indirizzi che Vittorio Miele ha “offerto” (e sofferto) come dimensione comune. Già il Museo dell’Abbazia di Montecassino, circa un anno fa, ha acquisito una delle opere più significative dell’artista, il “Cristo” che Vittorio Miele realizzò negli anni settanta; successivamente, nello scorso gennaio, l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale ha inaugurato nel Palazzo degli studi del campus Universitario la “Donazione Vittorio Miele”, un’ampia raccolta di opere grafiche che l’autore dedicò ai momenti più tragici della storia della sua città. Nato a Cassino nel 1926 Vittorio Miele sopravvive, forse involontariamente, al terrore indefinibile di una guerra senza confini che vede la sua città completamente annientata. Negli uomini e nelle cose. “…una dispe-
Vittorio Miele - Mondo contadino - anni ‘80
razione assoluta e un orrore che pietrifica e un bestiario ripugnante…e un senso di colpa, come un dolore lampeggiante, per essere sopravvissuti…” scrive, in un mirabile testo, Marcello Carlino. Un evento, quello bellico, che lo segna nel corpo e nell’anima. Soprattutto nello sguardo. “Miele si porta dentro il suo teatro di dolore” sottolinea Umberto Mastroianni “la sua personale apocalisse”. Da quel teatro di morte si allontana al termine della guerra; va a Nord e scopre “passioni” nuove, quelle che forse, l’irrimediabilità della follia umana, gli aveva sottratto. Ad Urbino segue i corsi di pittura e partecipa intensamente alla vita artistica e culturale della città. Lavora freneticamente, quasi ad assorbire i ricorsi della memoria. Nel 1958 partecipa alla Mostra Nazionale Città di Mantova e sempre in quell’anno alla sua prima Marguttiana.
A sinistra la Vicepreside Prof.ssa Teresa Murro - a destra la Prof.ssa Licia Pietroluongo, Dirigente scolastico IIS Carducci
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Vittorio Miele - Adolescenza - anni ‘70
Da allora una lunga serie di appuntamenti espositivi, in Italia e all’estero; negli anni ’70 i lunghi soggiorni in Canada e negli Stati Uniti con le personali tenute a Detroit, Montreal, Willowdale e la partecipazione ad una importante collettiva, con i maggiori maestri dell’arte contemporanea, alla Fine Arts Gallery di Toronto. Rientrato in Italia presenta le sue opere “americane” alla Galleria Michelangelo di Pescara, alla Ponterosso di Milano e alla Nuova Scaligera di Verona. Alla fine di quel decennio un nuovo viaggio e un lungo soggiorno nella ex Jugoslavia, nella Colonia artistica di Pocitelij. Incontra pittori, poeti, scultori, musicisti provenienti da paesi ed esperienze diverse. Negli anni ’80 sembrano riaprirsi vecchie ferite e la “memoria” – la sostanza intima del ricordo - si fa tema centrale della sua nuova poetica. Nascono le opere della “Testimonianza”, un’ampia raccolta grafica con immagini agghiaccianti nelle quali ripropone i giorni dell’orrore e dell’aberrazione. Nel 1984 l’Amministrazione Provinciale di Frosinone dedica a Miele una esauriente antologica che completa un trittico di eventi che vede inoltre protagonisti Umberto Mastroianni e Giovanni Colacicchi. Nel 1987 la sua personale alla Galleria Il Trittico di Roma che suscita l’interesse degli storici Luigi Tallarico e Renato Civello che dedicheranno all’artista pagine di grande intensità. All’inizio degli anni ’90 la Galleria Gagliardi di San Gimignano diviene la sua galleria di riferimento, fino alla sua scomparsa, a Cassino, il 18 novembre 1999. Gli anni successivi vedranno protagonista la sua opera nell’antologica promossa dal Comune di Boville Ernica curata da Duccio Trombadori e in quella tenuta a dieci anni dalla morte a Frosinone a cura della Fondazione Umberto Mastroianni. Ecco allora che la decisione e il desiderio di intitolare a Vittorio Miele il Liceo Artistico della città di Cassino suggerisce, da un lato una sorta di definitivo e ideale ricongiungimento dell’artista alla sua
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Vittorio Miele - Autoritratto - anni ‘70
città; dall’altro sottolinea l’attenzione di questo storico Istituto per sostenere ed alimentare quel senso forte di “appartenenza” al proprio territorio. Attraverso gli uomini, la storia, la cultura.
Vittorio Miele - Contadino del Sud - anni ‘70
…La storia del Liceo Artistico mi è arrivata attraverso il racconto, ma soprattutto la dedizione e la passione di alcuni docenti “storici” che mi accompagnano nelle scelte organizzative e didattiche che quotidianamente affronto. Ho seguito la convinzione e la risolutezza di alcuni di loro nel riprendere l’iter della pratica dell’intitolazione della scuola al pittore Vittorio Miele, intrapresa dai colleghi che mi hanno preceduto… Gli alunni, dal canto loro, sentono che i loro talenti vengono accompagnati e valorizzati, la loro diversità trova il comune denominatore nella passione per l’arte che nel nostro liceo può essere coltivata sotto diverse sfaccettature, grazie agli indirizzi di arti figurative, di grafica, di design e architettura e ambiente... Desidero ringraziare tutte le Istituzioni che ci hanno permesso di ottenere l’intitolazione. Siamo impazienti di organizzare, non appena la situazione epidemiologica lo consentirà, un evento che celebri degnamente l’intitolazione e la ricorrenza dei 50 anni di fondazione del Liceo Artistico. Prof.ssa Licia Pietroluongo, Dirigente Scolastico L’intitolazione del Liceo Artistico di Cassino all’artista Vittorio Miele si concretizza proprio al compimento del 50° anno dalla fondazione… Dal 1970 ad oggi migliaia di studenti provenienti da tre regioni e da quattro province si avvicendano alla fonte dell’arte per apprendere le tecniche ma soprattutto per mettere a frutto quella sensibilità innata che unita alla conoscenza, alla capacità e alla competenza permette di creare… È dai primi anni di questo secolo, all’indomani della scomparsa
dell’artista Vittorio Miele, che incominciammo a riparlare di intitolazione con la viva convinzione di proporre questo nome…Oggi il Liceo Artistico “Vittorio Miele” ha una responsabilità in più, onorare il nome che porta, e sono sicura che saprà farlo. Prof.ssa Teresa Murro, Vicepreside
Vittorio Miele - Autoritratto - 1977
TESTIMONIANZE. VOCI DAL LICEO Il Nome, unitamente all’Immagine, permette di individuare e identificare un soggetto o una determinata cosa. Non a caso l’Immagine è uno dei temi fondanti e il filo conduttore di tutte le espressioni artistiche e proprio nell’anno in cui ricorre il suo Cinquantesimo Anniversario, il Liceo Artistico di Cassino avrà il Nome di uno dei più affermati artisti del territorio, Vittorio Miele. Sono una Docente di Discipline Pittoriche che professionalmente ed umanamente è cresciuta all’interno di questo Liceo. Ho sempre avvertito la responsabilità di mantenere vivo l’impegno di quei Docenti/Maestri “storici” che sin dai primi anni dalla nascita di questa Scuola hanno contribuito a farla crescere. Ho una formazione artistica e un’esperienza di artista/decoratrice/ restauratrice, che in questi anni di insegnamento si è arricchita notevolmente grazie al rapporto esclusivo che si crea con gli studenti di questo Liceo Artistico. Questa è una scuola speciale e a renderla tale sono proprio loro, i Ragazzi che si avvicendano anno dopo anno. Loro sono Speciali, non perché fuori dall’ordinario, o perché persone particolari, singolari, fuori dal comune, come spesso si pensa! Sono ragazzi normalissimi, come ogni ragazzo della loro età. Hanno solo una particolarità, che è la loro marcia in più. Sono Sensibili. Inclini per natura a recepire gli stimoli esterni e a tradurli in immagini. Attraverso i sensi e le emozioni guardano il mondo con occhi “diversi”; lo percepiscono, lo interiorizzano e lo rappresentano (il loro mondo), attraverso le tecniche artistiche proprie del loro indirizzo di studio. Tutti, a loro modo, hanno voglia e bisogno di esprimersi e il nostro
compito di Docenti di materie artistiche è quello di indi viduare la loro espressione creativa e indirizzarli verso quella strada. Con ognuno di loro si instaura un rapporto di fiducia e di scambio reciproco e continuo, dettato dalla particolarità della materia che insegno e ancor di più dalla loro unicità. È proprio il contatto diretto con loro che giorno dopo giorno ha arricchito e arricchisce la mia esperienza di Docente del Liceo Artistico Vittorio Miele di Cassino. Prof.ssa Katiuscia Pessia
Vittorio Miele - Bagnanti - anni ‘80
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Vittorio Miele - Mondo contadino - anni ‘80
Era il Settembre del 1998 quando per la prima volta da studente entrai nel Liceo Artistico di Cassino. Nel corso degli studi ho avuto la fortuna di avere come insegnanti dei veri maestri d’arte, tra i tanti ricordo in particolare Ermelindo Fiore, Alessandro Parisi e Michele Peri che mi hanno trasmesso le loro conoscenze tecnico-pratiche nella pittura, scultura e restauro. La loro figura mi è servita come stimolo perché continuassi gli studi presso l’Accademia di Belle Arti. Oggi mi sento in dovere di ringraziare il Liceo Artistico di Cassino per le basi che ha fornito per il mio sviluppo professionale. Oltre ad essere un Grafico d’arte, da sette anni insegno presso questo istituto Laboratorio di Grafica e giorno dopo giorno cerco di infondere la passione per la materia ed essere un esempio per i miei studenti come lo sono stati per me i miei docenti. Prof. Francesco Vignola
Vittorio Miele - Inverno - anni ‘80
Vittorio Miele - Primavera - anni '70
Vittorio Miele - Pierrot - anni '70
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È il terzo anno che sono al Liceo Artistico di Cassino. Qui capisco meglio che insegnare la mia materia in un Liceo Artistico è da privilegiati: significa avere, di default, il doppio delle soddisfazioni e la metà dei problemi dei colleghi. Ma è anche faticoso, per me, per una infinità di ragioni. Per una sola ragione, però, è semplice ed entusiasmante. Non credo sia una mia capacità o genialità particolare a rendermi ancora interessante questo lavoro, ma il fatto che, per sua natura, si rinnova sempre. Rispetto alla mia esperienza precedente in una scuola paritaria sono dovuto scendere a compromessi su molte cose per adattarmi alla nuova circostanza, constatando che se anche non era possibile lavorare come prima, non mi era tolta la risorsa principale: gli studenti. Quello che succede con loro credo sia ben descritto dal brano di Carver riportato sopra. Prof. Alberto Montorfano
Vittorio Miele - Natura morta - anni '70
«Dicembre 2020, il tempo scorre, presto anche per me arriverà l’ora di lasciare il Liceo, di “abbandonare il nido”. Utilizzo questa espressione perché per me la nostra scuola è sempre stata come una seconda casa. Stanno per concludersi cinque degli anni più importanti della mia vita e di molti altri studenti; anni di crescita spirituale ed intellettuale in cui il Liceo Artistico ha inciso notevolmente. Una scuola in cui non si apprende solo un sapere ampio e si fonda un metodo di studio in vista dell’Università o dell’Accademia; ma una scuola dove si afferma una sensibilità particolare nei confronti del patrimonio artistico e culturale e, in generale, verso la realtà che ci circonda e che percepiamo. In questo Liceo ho riscontrato una piccola società utopica, dove ognuno si trova a suo agio e ha la possibilità di esprimersi attraverso un linguaggio personale espressivo e artistico. Con questo non voglio dire che tutti ve-
Sposalizio
stiamo indumenti giudicati “appariscenti”, o abbiamo piercing, tatuaggi o capelli tinti: personalmente, come molti altri, mi ritengo un ragazzo abbastanza “ordinario”, lontano dallo stereotipo dello studente del Liceo Artistico. In questa realtà ognuno di noi non si sente giudicato, ma apprezzato per quello che è. All’interno della nostra scuola ho conosciuto tante amiche e amici importanti e un corpo docente umano e preparato che ha saputo indirizzarmi e aiutarmi in questo bellissimo percorso. Grazie a tutti loro ho imparato a volare e sono pronto, a malincuore, a lasciare il nido.» Yuri Frongione, 5A Liceo Artistico Vittorio Miele
Vittorio Miele - Figura - 1977
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Sono Giorgia Gaudino, una studentessa che frequenta il terzo anno del Liceo Artistico di Cassino. Vengo da Gaeta e, come si può immaginare, ogni giorno devo affrontare un viaggio abbastanza lungo. Non è una scelta che tutti i ragazzi sentono di prendere in considerazione, ma a me non è mai sembrata un’idea così folle e pesante, si sa quando c’è una passione profonda, come la mia per l’arte, si è pronti a qualsiasi sacrificio. Non vorrei essere di parte, ma penso che questa scuola offra grandi opportunità. In questo liceo non solo sono stata spronata nel campo delle discipline artistiche o in generale in ambito didattico, ma anche in altre passioni che coltivo; spesso i professori credono in me più di quanto io creda in me stessa . Mi ricordo il primo giorno di liceo, mi dissi che mi sarei impegnata per-
ché potevo avere un’occasione per iniziare a crescere e maturare, non solo facendo un percorso scolastico, ma iniziando un percorso di vita, con l’unico obiettivo di mostrare il meglio di me. Ho scelto di proseguire, dopo il biennio comune, nell’indirizzo di architettura perché credo sia la madre delle arti e spero sia l’ambito dove potrò realizzare al meglio i miei sogni. Sono nel mezzo del percorso e il viaggio per me ancora non è finito; di conseguenza, il finale della mia storia deve ancora essere scritto! Certo, da oggi frequenterò il Liceo Artistico “Vittorio Miele”, ciò mi riempie di orgoglio e mi dà una spinta in più ad alzarmi presto al mattino ed essere pronta a percorrere ottanta chilometri tra l’andata e il ritorno. Giorgia Gaudino, 3b Architettura e Ambiente
Sono Stefania Ciocca, una studentessa di Arti Figurative, e frequento il quinto anno del Liceo Artistico di Cassino. In occasione del Cinquantesimo Anniversario dalla nascita della nostra scuola, ho realizzato un’opera, per commemorare quest’evento, che allo stesso tempo è ispirata all’artista del territorio, Vittorio Miele, a cui verrà intitolata la nostra scuola. L’elaborato raffigura l’impronta di una mano con al suo interno un’opera del pittore (Vita contadina, 1980 ca.). Inoltre le dita della mano rappresentano il numero 5 e il vuoto all’interno del palmo rappresenta lo zero; è così che ho scelto di simboleggiare il numero 50 per celebrare il Cinquantesimo Anniversario. L’impronta, ingrandita in scala, sarà posta su una delle pareti esterne dell’edificio scolastico. La scelta che mi ha portato a ideare e realizzare tale soggetto è dettata dalla visione figurata per cui, nel momento in cui gli viene intitolata la scuola con il suo nome, l’artista Vittorio Miele lascia la sua impronta sull’edificio, come a suggellare tale evento. Una traccia d’artista, significativa e indelebile, e chissà che possa essere di buon auspicio affinché tutti noi studenti del Liceo Artistico possiamo, un giorno, trovare il giusto riconoscimento delle nostre espressioni artistiche. Ciocca Stefania, 5°A-Arti Figurative, Liceo Artistico Vittorio Miele di Cassino
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GIORGIO BILLIA
Ha frequentato il liceo artistico e l’ Accademia di belle arti di Torino - insegna materie artistiche al liceo artistico “ A. PASSONI” di Torino. Vive e lavora a Rivoli (TO). Mostre collettive e personali dal 1987 al 2018 ...le opere di Billia rivelano un’inquietudine categoriale che le rende sfuggenti, come del resto sono sfuggenti le sue immagini, costruite con particolari tanto eloquenti quanto evasivi, che colpiscono per la loro intensità, mai per la loro completezza. Questa continua indicibilità, questo continuo sottrarsi non è un’esigenza formale. E’ un’esigenza mentale. Il problema di Billia non è tanto quello di superare i generi espressivi. E’ già stato fatto. Il suo problema è quello di suggerire contrasti e irriducibilità, anche avvalendosi dell’opposizione dei mezzi espressivi. Elena Pontiggia
mail : giorgio.bil21@gmail.com Cell: 338.50 00 741
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NICOLE GRAMMI
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ARTI VISIVE ATTUALI Nell’800, sotto la spinta delle nuove scoperte, in special modo dietro l’incalzare e al diffondersi della nuova ed entusiasmante scoperta, la macchina fotografica, ipittori e, più in generale, i creativi delle arti visive tradizionali, iniziavano a studiare e a sperimentare alternative potenzialità artistiche, tali da sostituire la fedele rappresentazione del mondo che la fotografia riproduceva benissimo. La cosiddetta “modernità”, in campo artistico, divenne una fucina sorprendente, ricca di iniziative con una vitalità esplosiva. Il Novecento iniziò con queste allettanti premesse che non ci deluseroperché ci lasciarono in eredità capolavori e maestri d’arte inestimabili. La seconda metà del secolo breve ebbe un decorso più “tormentato” e, seppure generosa nel dispensare energie creative e geniali figure, numerose delle quali non ancora sufficientemente apprezzate, subì, specialmente negli ultimi decenni, una diffusa e progressiva degenerazione. Nel contempo le scoperte in ambito scientifico e tecnologico hanno raggiunto livelli d’eccellenza, non immaginabili fino a qualche tempo fa, rivoluzionando profondamenteogni settore della società. Sono progressi che, per certi versi, accentuano la crisi in atto ma che, nel contempo, se vengono accompagnati da una adeguata gestione, sono in grado di stimolare, accelerare e favorire processi innovativi in ogni settore, compreso quello artistico. Le nuove sperimentazioni che l’era digitale mette in campo rappresentano utili strumenti che i giovani artisti abitualmente usano sotto la guida di validi maestri. Ed è proprio di questi ultimi che vorremmo lasciare qualche traccia diprofilo. Astrazione, figurazione, sono da considerarsi fra le principali modalità espressive lasciateci in eredità dal secolo breve e di cui parecchi artisti attivi oggi danno testimonianza. Quanto sto scrivendo è materia viva: l’astratto-informale, l’astratto geometrico, la figura, hanno alimentato dibattiti, divisioni, passaggi di percorso, elementi fondanti del tessuto pittorico e/o plastico di ciascuno. Seguo in breve una pallida traccia di un “grande”,Nino Aimone “..la sua è una maniera di tendere ..un agguato alle ragioni ultime dell’espressione, di tentarne i fianchi scoperti, di strapparne ad una ad una le maschere, rivelando..la molteplicità di volti con cui l’immagine fondamentale, la cifra della parola assoluta si offre all’artista”(A. Galvano). La sua storia artistica intreccia, separa , interseca l’astrazione e la figurazione. Un altro gigante poco riconosciuto è Giacomo Soffiantino che di sé scrive: “ Lavoro per una verità a cui provo a dar vita solo mediante il colore, la linea, la struttura e la forma, anche se la pittura è la logica di ciò che è illogico”. Nel suo studio il colore, il gesto, il segno convivevano con il groviglio delle ”cose”, nature morte, fossili.. il tutto si animava nelle sue opere. Sarebbe interessante aprire un dibattito su cosa significhi FARE ARTE OGGI ,tralasciando ovviamente di attardarsi sul cascame che in abbondanza ci circonda e che abbiamo più volte smascherato sulle nostre pagine. Avanziamo la nostra ipotesi sul fare arte partendo da più lontano. Anzitutto occorre rendere giustizia al valido mestiere dell’artigiano: avere dimestichezza con il mestiere è la garanzia della sua professionalità
intesa come rigorosa competenza, quale conoscenza dei “segreti” del suo operato, abilità e padronanza nell’uso degli strumenti di lavoro, ossia un insieme di saperi e qualità affinate con una pratica continua che è una sorta di consumata esperienza soggetta ad un serio e qualificato aggiornamento. Sarebbe interessante aprire un dibattito su cosa significhi FARE ARTE OGGI ,tralasciando ovviamente di attardarsi sul cascame che in abbondanza ci circonda e che abbiamo più volte smascherato sulle nostre pagine. Avanziamo la nostra ipotesi sul fare arte partendo da più lontano. Anzitutto occorre rendere giustizia al valido mestiere dell’artigiano: avere dimestichezza con il mestiere è la garanzia della sua professionalità intesa come rigorosa competenza, quale conoscenza dei “segreti” del suo operato, abilità e padronanza nell’uso degli strumenti di lavoro, ossia un insieme di saperi e qualità affinate con una pratica continua che è una sorta di consumata esperienza soggetta ad
un serio e qualificato aggiornamento. Non è concepibile pensare ad un bravo artigiano sprovvisto di questi requisiti, di vero interesse e di curiosità, capacità di iniziativa e di inventiva. L’artista è anche un bravo artigiano. Ma non solo. Il creativo racchiude in sé concretezza, ampiezza di orizzonti, solidità etica, immaginazione, desiderio di comunicare, ed un “quid” inesprimibile di sensibilità che gli permette di emozionare, di sfiorare corde dell’animo umano altrimenti irraggiungibili. Ciò che ci preme aggiungere è che il profilo appena abbozzato non ha altra pretesa se non quella di trasmettere il livello di tensione con cui relazionarci e dal quale trarre stimoli positivi. Attendiamo con piacere un confronto auspicando che i cambiamenti epocali in corso non siano solo portatori di crisi: mettersi in gioco è l’alternativa positiva possibile. Giovanna Arancio
GIULIANO CENSINI
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ENZO BRISCESE
La nuda verità- 2013 - t. m. e olio su tela - cm70x80
Enzo Briscese è autore di visioni rivissute in una dialettica di momenti coinvolgenti. Egli privilegia la scomposizione di piani, come esplorazione visionaria, e colta ricerca concettuale, che riprende il pensiero cubista e costruttivista del primo Novecento. Questa pittura riafferma con garbo la possibilità di momenti arcani, grazie a uno scenario dove reminiscenze figurali, più o meno esplicitate, si coniugano in un contesto liricamente informale, mettendo a punto un microcosmo che si ricompone in un unicum ragionato e reso coerente, tramite segnali e richiami allusivi. Vibrano Sentimenti inespressi in queste ricognizioni di eventi, il cui significato resta comunque sospeso e accessibile solo come intuizione. Il percorso visivo si traduce in un segno rapido, elegante, e in una materia trasparente, leggera, a suo modo dialogante, e poeticamente armonizzata nei giochi tonali. Si può ben dire quanto Briscese sia pittore della
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positività, anche nel momento in cui le sue visioni assumono le sembianze di una realtà sfuggente; non c’è infatti conflitto in queste composizioni dove l’inconscio non è tenebra perturbante, ma processo chiarificatore, autobiografico si direbbe, che si apre allo sguardo come accogliente repertorio di oggetti teneramente quotidiani, avvolti nella dolcezza ipnotica e nel silenzio ovattato di uno spazio metafisico. Briscese si rivela qui come abile manipolatore di una realtà estremizzata fino ai limiti dell’assurdo, e tuttavia autore di una narrazione veritiera, attendibile, aperta alla condivisione. La sua cultura pittorica, superando il conflitto tra figurazione e informale, si radica nel Museo del secolo scorso, ma va anche detto che questo richiamo spiega solo in parte la verità poliedrica del suo operare, dove risuonano chiari gli echi della nostra inquietante quotidianità. Paolo Levi
a cura di Francesco De Bartolomeis
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SOCIETA DELLE BELLE ARTI CIRCOLO DEGLI ARTISTI “CASA DI DANTE” SABATO 17 OTTOBRE 2020 ORE 17 INAUGURAZIONE MOSTRA COLLETTIVA
KOREART A FIRENZE
LA MOSTRA PROSEGUIRA’ FINO A GIOVEDI’ 29 OTTOBRE COMPRESO
ORARIO DELLA GALLERIA 10:00-12:00/16:00-19:00 - GIORNO DI CHIUSURA LUNEDI MARTEDI E DOMENICA POMERIGGIO 15/18 VIA SANTA MARGHERITA 1R - 50122 FIRENZE +39 055 218 402 infocircoloartisticasadante.com circoloartisticasadante.com
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Questa mostra presenta le opere di 19 artisti della ARCOI, Associazione Artisti Coreani in Italia, provenienti da diverse zone del paese, riuniti in un evento unico a Firenze, proponendo per l’occasione un viaggio interculturale, tra pittura, scultura, fotografia e design. Possiamo ammirare tra l’altro, opere lavorate in chiave
contemporanea, realizzate con materiali tradizionali della cultura coreana come la carta hanji. La pittura e la scultura, rappresentati da artisti di grande talento, che hanno partecipato a mostre personali e collettive in tutto il mondo. Andiamo dalla figurazione contemporanea alla scultura metaforica, passando per l’astrattismo e l’espressionismo di avanguardia. Ma la vera forza di questa mostra sta proprio nel talento, individuale e collettivo, di artisti nati in Corea che hanno deciso di intraprendere la strada tortuosa dell’arte internazionale, sempre puntando sulla qualità, la tecnica e la ricerca. Ad ospitarliil 17 ottobre ore 17.30, è stata la Galleria SOCIETA’ DELLE BELLE ARTI -CIRCOLO DEGLI ARTISTI “Casa di Dante”, cornice storica e prestigiosa nel cuore di Firenze, testimone nel tempo, di talenti artistici di diverse discipline.
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TOSCANA
PIETRO ANNIGONI
un Maestro italiano del Novecento
Rispondendo ad una recente intervista fattami qualche tempo fa nel corso della quale mi si chiedeva chi fossero i cosiddetti “Maestri del Novecento” che avevo conosciuto, o che ritenevo tali, la mia sintetica risposta è subito iniziata con un nome: Pietro Annigoni, al di là delle motivazioni legate però più ad un fattore contenutistico, che alla notorietà Senza entrare polemicamente in contrasto con un certo ambiente legato al fatto mercantilistico, che purtroppo va inquinando sempre più il mondo dell’arte ingenerando confusione, penso di essere nel giusto dedicando il mio odierno spazio alla sua figura professionale nata e cresciuta subito dopo il suo arrivo a Firenze, da Milano, verso la fine degli anni Venti. Ma perché proprio Annigoni? Forse perché è conosciuto nell’intero pianeta e al cui
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lavoro si sono interessati migliaia di esperti d’arte, letterati, giornalisti, colleghi e altri come Ferruccio Ulivi, Luciano Luisi, Giovanni Arcidiacono, Vittorio Sgarbi, Maurizio Fagiolo dell’Arco, Antonio Russo, Tommaso Paloscia, Indro Montanelli, Antonio Paolucci, Raffaele De Grada e via dicendo? No. Credo che la forza dell’opera di un artista versatile quale sia stato Pietro Annigoni, debba essere anche legata all’attualità. Qualcuno potrebbe contraddirmi dicendo che l’attualità oggi non risulta dalle immense capacità tecniche che tuttavia egli aveva, e che Annigoni è morto a Firenze nel 1988, da allora sotto i ponti è passata tanta acqua, e che i codici espressivi sono mutati poiché viviamo in tempi in cui il cosiddetto concettuale vale più del saper disegnare e dipingere. No. Ancora no.
Aveva ragione Giorgio de Chirico, nato ventidue anni prima di Annigoni, ad affermare che “... a Firenze vi è pure il pittore Pietro Annigoni, artista di grande talento...” che “... lavora seriamente e va diritto per la sua strada senza badare alle chiacchiere, agli snobismi, agli intellettualismi e alle scemenze di questa nostra triste epoca...”. Né, da meno, è la frase dello storico dell’arte Bernard Berenson, là dove ha scritto che “Pietro Annigoni... è anche in grado di competere alla pari con i più grandi pittori di tutti i secoli. Egli rimarrà nella storia dell’arte come il contestatore di un’epoca buia per la pittura. Occorre avere mente eletta per comprendere la sua opera, eppure è capito da tutto il popolo, perché sa parlare al popolo il linguaggio che è dei cuori puri...”. Osservandone il lavoro se ne deduce un eclettismo grafico/pittorico e una interiorità, un qualcosa che è dentro le persone e le cose, sia che si osservino quegli affreschi di natura sacra ricchi di profonda spiritualità, frutto anche di un autonomo percorso di crescita, collocati nel Convento di San Marco a Firenze, nel Santuario della Madonna del Buon Consiglio a Ponte Buggianese, nella Basilica di Sant’Antonio a Padova..., o che siano i ritratti fatti a Papa Giovanni e a Papa Paolo VI, alla Regina Elisabetta II e al Duca di Edimburgo, allo Scià di Persia Reza Palhavi e a Farah Dibah, o al Presidente degli U.S.A. John Fitzgerald Kennedy..., come pure la magnifica sfera paesistica del lago toscano del Massaciuccoli di pucciniana memoria conservata con innumerevoli altri lavori anche nelle maggiori collezioni pubbliche e private, Mi ritengo onorato per averlo conosciuto e frequentato a Firenze e in Versilia sin dai miei primi passi nel settore del giornalismo e della critica d’arte, per averlo visto dipingere direttamente – indimenticabile il ciclo titolato “lo splendore del tempo” con dipinti legati alla zona
viareggina, a Marina di Pietrasanta, a Seravezza e alla montagna dello stazzemese che conosceva in pratica da sempre e dove aveva amici come Mario Parri e Leone Tommasi, e quindi ho constatato la sua integrità professionale e la grandissima cultura. Ciò che ancora oggi ho ben presente, lo ripeto, è la capacità introspettiva di cogliere anche semplicemente, con veloci schizzi ad inchiostro, la personalità dei soggetti fisici che sceglieva, nonché l’unicità, ovvero l’autonomia nel fermare la realtà inglobandola nel tempo e oltre il tempo. Non è facile, a parole, descrivere la sua personalità, tant’è che mi sento di dire che, se non avesse scelto di fare l’artista, sarebbe stato sicuramente un eccellente scrittore o un filosofo. A questo punto se io ogni tanto non posso fare a meno di sfogliare i non pochi cataloghi che conservo gelosamente nel mio archivio (di Annigoni rimangono anche certi scritti, dai suoi diari, a definirlo in pieno), è la sua naturale potenza espressiva e l’incisività del tutto che ci accompagnano in un viaggio artistico fissato in ogni dove, cioè nelle ariose “Solitudini” e negli oli e nelle tempere grasse su Venezia, dove la città lagunare è vista con acque sconvolte, preda di pensieri carontici e di case prive di finestre. Anche lì c’è l’Annigoni attuale, che potrebbe essere persino l’amanuense, il diarista/artista di questo nuovo Millennio dove a qualche luce si contrappongono ferite profonde e dolorose per insensatezza egoistica di certi esseri che a torto si considerano ‘umani’. In Pietro Annigoni esiste un alto lirismo, una poetica che sa offrirci serenità, e d’altro canto un tangibile esempio è contenuto nel volume prefazionato da Luigi Testaferrara “Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam” stampato nel 1978 e contenente trentuno tavole, ma l’artista ha saputo affrontare da par suo qualsiasi altra tematica. In tutto il suo operato espresso in Italia ma anche in Inghilterra, negli Stati uniti d’America, in India... (ha sempre viaggiato e lavorato, sin da giovanissimo), è facile capire che ha voluto essere sempre se stesso, coerente, libero da quegli ‘ingabbiamenti’ di cui sono stati e sono facile preda molti che, pur capaci, per stanchezza, per rilassamento o per altre cause si inaridiscono diventando copisti di stessi.
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Troppi infatti magari famosi forniscono quella che chiamo “polvere di niente”, riempiendo persino certe “stanze ufficiali”, trappole per chi non ha sensibilità o minima preparazione. Che dire ancora di questo Maestro del Novecento? Potrei elencare le sue personali partendo da una del 1939 presentata da Renzo Simi che ne esaltò giustamente la “probità artistica, lo spirito di abnegazione, il rispetto dell’arte e del proprio lavoro”, sottolineandone perlomeno alcune successive alla Royal Academy di Londra, alla Globarte di Milano, alla Galleria “La Gradiva” di Roma, da “Wildenstein” a New York..., ma potrei dirne altre a Lugano, Buffalo, San Francisco, Nancy... Non posso non rammentare una retrospettiva del 2013
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presso la sede della Fondazione della Cassa di Risparmio di Firenze che intelligentemente ne conserva varie opere. Chiudo questo mio omaggio al Maestro dicendo che se qualcuno non lo conoscesse a fondo, può verificare di persona la sua grandezza, visitando i vari Musei che posseggono i suoi lavori, uno è quello fiorentino degli Uffizi, oppure sfogliando le pubblicazioni che lo riguardano reperibili in una miriade di Biblioteche Pubbliche e in Archivi specializzati, oppure su internet. Personalmente gli ripeto solamente “grazie Maestro, grazie per aver contributo all’eternità dell’Arte”. Lodovico Gierut*
PREMIO CHIERI ARTE 2020/21 – VI EDIZIONE REGOLAMENTO CONCORSO ARTISTICO “OLTRE L’IMMAGINE”
Art. 1 - FINALITA’ L’associazione Unione Artisti del Chierese rinnova come di consuetudine l’appuntamento annuale con la tradizionale mostra - concorso “Oltre l’immagine – premio Chieri Arte”. Tale mostra, giunta quest’anno alla sua VI° edizione, si svolgerà dal 7 gennaio 2021 per tutta la primavera 2021 attraverso la pubblicazione sul Corriere di Chieri, nonché la mostra presso la Galleria Palazzo Opesso durante l’anno 2021 appena ci saranno le condizioni per poterla realizzare, compatibilmente con la pandemia. L’ evento artistico, segnala inoltre il XXVII° incontro fra Chieri ed Epinal. Scopo del concorso è quello di promuovere e valorizzare l’arte a livello chierese. Art. 2 – CRITERI DI AMMISSIONE Il concorso è rivolto a tutti gli artisti senza limiti di età, i soci dell’ Unione Artisti del Chierese, ed a qualsiasi artista esterno cui volesse partecipare. Alla mostra saranno ammesse opere realizzate con qualsiasi tecnica e su qualsiasi supporto (es: pittura, scultura, fotografia, incisione, fiberart, tecniche miste, arti varie, ecc..). Ogni artista può partecipare presentando esclusivamente un’opera . La dimensione massima consentita è di 100 x 100 cm. Tale opera dovrà essere inedita (per inedita s’intende un’opera che non è mai stata presentata in alcuna mostra, evento o pubblicazione). Pertanto, il direttivo dell’associazione si ritiene libero di non accettare opere che non rispettino i suddetti criteri di ammissione. Il concorso è a “tema libero”. Art. 3 – QUOTA ISCRIZIONE E MODALITA’ DI CONSEGNA Gli artisti interessati sono tenuti a consegnare tramite mail f8chieri@gmail.com una fotografia in alta risoluzione dell’opera in concorso, compresi i dati dell’artista e dell’opera. All’atto dell’invio, l’artista dovrà allegare copia del versamento della quota di partecipazione.Tale quota è pari a 20 euro e comprende la tessera associativa per l’anno 2021 dell’Unione Artisti del Chierese. Modalità di versamento della quota partecipazione: bonifico o satispay Dati bonifico: UNIONE ARTISTI DEL CHIERESE IBAN: IT25E0306909606100000112117 Causale: nome e cognome tessera 2021 Oltre l’immagine Oppure tramite Satispay, versando la somma al numero 3382264331, specificando nome e cognome.
Art. 4 – GIURIA E CRITERI DI SELEZIONE
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Dalla materia all’opera.
Francesco Preverino, Ermanno Barovero, Raffaele Mondazzi
Francesco Preverino - ...poi... (trittico) - 2012 - t.m. e riporti ferrosi su tela - cm 200x 600
Nell’ambito di una azione di valorizzazione di quello straordinario patrimonio culturale fornito dai docenti e dagli studenti che hanno, nel corso del Novecento e fino ai giorni nostri, frequentato l’Accademia Albertina, dandole in dote la loro vocazione didattica ed il loro giovanile fermento culturale, un evento di primaria importanza, collocato nel neonato Ipogeo della Rotonda del Talucchi, di cui si sono da poco conclusi gli imponenti lavori di ristrutturazione, è quello che vede riuniti tre importanti docenti emeriti della nostra Istituzione. Ermanno Barovero e Francesco Preverino sono due tra i più significativi autori della generazione post concettuale torinese ed italiana, emersa a partire dai primi anni Ottanta. Entrambi, dopo aver operato nell’ambito dell’installazione ed in quello della scultura tesa alla sperimentazione di nuove forme e materiali, hanno indirizzato la loro ricerca in direzione di una pittura intensa, simbolica ed espressionista al tempo stesso, dotata di un equilibrio non facile da raggiungere tra questi due elementi fondanti, in grado di parlare della realtà senza appiattirsi sul dato della quotidianità, e memore della grande tradizione di questa disciplina, dai due artisti sapientemente declinata al presente, a fugare qualsiasi concessione al “già visto”. Ermanno Barovero è un esponente di quella generazione artistica venuta fuori subito dopo l’ondata della Transavanguardia a partire dai primi anni ’80, inserita quindi nel clima di citazione eclettica della post modernità ma, nel caso suo e di altri, influenzata più che dall’universo riconducibile storicamente alla Pop, dalla stagione dell’Informale che si apre e si sviluppa in seguito nell’esperienza concettuale, in particolare quella dell’ Arte Povera. Quindi si può dire che lo stile di Barovero, assolutamente
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autonomo ed originale, abbia le sue radici in quella recente tradizione dell’avanguardia. L’artista, fortemente attaccato alla pittura ma molto attivo anche nell’incisione che ha insegnato all’Accademia Albertina, negli anni Ottanta si cimenta prevalentemente nell’installazione, realizzando composizioni ambientali rigorose dove largheggia l’uso del ferro e della lamiera, da lui spesso usati come supporto bidimensionale per opere di matrice aniconica. In anni recenti ritorna prepotentemente in Barovero la vocazione alla pittura, come testimoniato dalle ultime prove, oli su tela di grande impatto ed emozione visiva dove astrazione e paesaggio si fondano armonicamente con afflato neo romantico ed una vera e propria positiva ossessione per la natura. Come detto dall’artista : “Del resto, per me, il legame tra pittura e natura è stato sempre essenziale”. Francesco Preverino persegue con forza, al pari degli altri due autori, come sottolineato nel testo di Pino Mantovani, con ancora più decisa convinzione , quella che è una visione partecipe ma non ottimista dell’esistenza, l’esigenza di usare lo strumento pittorico per rivendicarne l’importanza e la necessità, per difenderlo dalle illogiche accuse di inattualità, per ribadire come esso sia la casa di tutte le narrazioni, strumento dove l’esigenza espressiva asseconda e rende intellegibile il pensiero, la riflessione concettuale, la tensione spirituale. La pittura di Preverino, un equilibrato alternarsi di iconico ed aniconico, di sintesi formale ed espressionismo, rappresenta l’istinto che, sulla spazio della tela, si placa per dare corpo ad una immagine compiuta, ad una urgenza inespressa che si quieta nella composizione, dove spesso si integra in una dimensione polimaterica.
Ermanno Barovero - Il lupo ovvero l’inverno - 2002 - olio su tavola - cm 254x450
In mostra una serie ragionata di opere, dai ritratti del 1976 fino ai tempi recenti. La tematica del corpo, prioritaria nell’opera di Raffaele Mondazzi, è elemento centrale al dibattito artistico contemporaneo. A patto che essa venga interpretata e divulgata nella sua corretta dimensione, che non è certo quella di una statica citazione delle esperienze estreme, ed all’epoca giustificate, tipiche della Body Art degli anni ’70, in cui il corpo era riscoperto nella sua funzione di elemento comunicante, nella fase in cui l’espressione artistica radicalmente si liberava, una volta per tutte, dall’involucro bidimensionale, andando ad abbracciare l’esterno partendo dalla propria interiorità. Ai giorni nostri i termini della questione, gli elementi dialettici, sono rinvenibili all’interno di un diffuso tentativo di ricostruire una identità individuale, sottraendola alla dispersione cui pare destinata dai molteplici effetti dell’innovazione tecnologica. Al pensiero dell’ ”assenza” si contrappone quello della “presenza”, suo alter ego e necessario complemento. Quindi all’identità dispersa e frammentata, pura forma e significante ridotto a monade incapace di intrattenere rapporti con gli altri da sé, con cui si limita a fugaci ed effimeri contatti, eteree toccate e repentine fughe, in un perpetuo movimento, si sostituisce il contenuto capace di dare significato all’esistenza, di coniugare la “res cogitans” alla “res extensa” per approdare alla completezza di un essere pacificato in grado di fondersi con il mondo e l’ambiente esterni, di dare vita ad una materia inanimata ed inerte. Le sculture di Raffaele Mondazzi, altro tenace seppure ironico assertore della necessità della tradizione come fondamentale strumento per comprendere il presente, riproducono il corpo con modalità che richiamano la tradizione della classicità greca dove l’anatomia viene rappresentata nella sua esemplarità e nella dimensione dell’ atarassia, cioè di liberazione dalla passione in virtù di una sostanza ultraterrena che conduce verso una visione di universalità metafisica, anche se spesso
il pendolo di Mondazzi oscilla più sul polo dionisiaco che su quello apolinneo. Dimensione magica e legata all’inconscio che riprende i temi della scultura del Novecento, in particolare nella interpretazione che ne diede Arturo Martini, tramite l’impiego di tecniche varie che denuncia la grande manualità dell’autore, gesso, bronzo, ceramica, terracotta e marmo, e rende le sculture di Raffaele Mondazzi presenze provenienti da un futuro non localizzabile temporalmente, in un corto circuito spazio-temporale arguto e spiazzante. Edoardo Di Mauro Direttore Accademia Albertina
Raffaele Mondazzi - Leucotea - 1976 - bronzo - hcm 65
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“ I Macchiaioli. Capolavori dell’Italia che risorge” PADOVA - 15 gennaio -18 aprile 2021
L’imponente mostra padovana sul fenomeno artistico dei Macchiaioli resterà chiusa, causa pandemia da Covid 19, fino al 15 gennaio. Sono garantite tutte le norme di sicurezza affinchè il pubblico possa visitare con l’attenzione e il piacere c ile meritano, i cento capolavori sistemati nel Palazzo Zabarella, in pieno centro città, e organizzati,dopo un’accurata indagine, in sei sezioni del prestigioso edificio. Nella seconda metà dell’800 l’Italia, in particolare la Toscana, è protagonista dello sviluppo di un’esperienza artistica che precorre i tempi con tematiche e interessi che saranno ripresi in seguito da Van Gogh, Gauguin, Monet. Un gruppo di artisti, formatosi in Toscana, propone una nuova estetica antiaccademica e rivendica una nuova pittura, legata alla realtà, al vero, ad una quotidianità che valorizzala vita, la natura, rinunciando ai soggetti storici e mitologici allora
in voga, dichiarando apertamente di essere anticlassica e antiromantica E’ un periodo ricco di stimoli, di dibattiti, tra artisti provenienti dai più diversi strati sociali, intorno al 1855, e solitamente abituati a riunirsi a Firenze, allora chiamata “Atene d’italia”, scegliendo come centro di ritrovo il “Caffè Michelangelo” che diviene famoso punto di riferimento per tutti i giovani macchiaioli e la sua fama come cenacolo oltrepassa i confini nazionali, specie a Parigi, ma non solo, anche tramite i viaggi e il passaparola. L’esperienza macchiaiola italiana rappresenta un capitolo importante per la storia dell’arte, a lungo sottovalutato ed ora riveduto con rigorosa ricerca anche su nuove fonti inedite riscoprendone tutta la portata innovativa e diversi aspetti rimasti in ombra.
Palazzo Zabarella Via Zabarella 11 Curatela: Giuliano Matteucci, Fernando Mazzocca Informazioni, Prenotazioni: 39 049 875 3100 Orari del sito Zabarella informazioni: dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 13.00 Costo:13 euro intero; 11 euro ridotto Catalogo: Silvio Balloni, Claudia Fulgeri
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Accanto ai capolavori più noti di Fattori, Signorini, Lega, sono in mostra opere di pittori validissimi ma meno conosciuti. Le opere di Cabianca, Abbati ,Borrani ,Sernesi, e molti altri ancora, sono tutti riuniti a rappresentare una florida stagione dell’Italia artistica che durerà circa un ventennio ( 1855-1870) .I critici del gruppo sono Martelli e Cecioni,specialmente Martelli è ricordato per la generosità sempre dimostrata verso tutti i pittori mettendo a disposizione la sua casa di Castiglioncello, vera oasi di mare e pineta, sempre affollata di ospiti creativi che egli aiuta e favorisce, sicuro del loro valore artistico. I Macchiaioli ebbero la fortuna di trovare un mecenatismo in grado di sorreggerli e finanziarli: tra questi spicca Gordigiani e Banti, entrambi facoltosi ma vi furono anche numerose famiglie benestanti che offrirono sostegno, accoglienza, stima. Nell’esposizione si può constatare dal vivo come la forma venga creata dalla luce attraverso macchie di colore, distinte, accostate, originando un’innovazione pittorica rivoluzionaria e precorritrice, frutto di un lavoro collettivo. Il movimento macchiaiolo è il primo esempio di un gruppo di creativi indipendenti che ha rovesciato, grazie
ad una tecnica inedita e un modo nuovo di concepire la vita, il tradizionale concetto di estetica ottocentesca. E’ da rilevare che nella seconda metà dell’800, mentre la società francese è in evoluzione, quella italiana è in piena rivoluzione (le guerre d’indipendenza nazionale). Alle guerre che si susseguono partecipano anche gli artisti e alcuni di loro perdono la vita. Il termine “macchiaiolo” è a loro attribuito da un critico d’arte in senso spregiativo ma, come in altri casi, finisce con l’essere adottato per definire ufficialmente il gruppo. Tra gli artisti più famosi, meritatamente, si distingue Giovanni Fattori con uno straordinario senso del colore. Le sue raffigurazioni dirette della più comune vita degli uomini, degli animali, degli aspetti più ordinari dei paesi e delle cose si riflettono nel suo occhio, e per questo tramite, nel suo animo franco di pittore-poeta. Alle soglie del 900 Fattori percepisce acutamente la verità delle ragioni che sono alla base del verismo: “..Ho frugato nelle piaghe sociali e ho trovato un povero barrocciaio che gli more il cavallo-miseria-“ E’ una mostra che, nel rispetto delle norme di sicurezza messe in atto, merita di essere visitata..
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ANNA MOSTACCI
Diplomata al Primo Liceo Artistico di Torino nel 1969, allieva di Casorati, Terzolo e Chessa. Regista, attrice, esperta di Teatro d’Ombre e del colore nell’Ombra torna a dipingere nel 2013 per approfondire questa forma espressiva, dare risposta alle domande della sua anima e mantenere vivo il fuoco della passione e l’entusiasmo della creatività. Anna appartiene alla categoria dei curiosi del mondo e della vita e come tale la strada che ha scelto nella pittura è quella della ricerca estetica della sperimentazione dove il gesto, il segno, la luce e il colore sono protagonisti. Attratta dalla figura , dalla luce che la lambisce e la penetra, che la scompone e la trasforma facendola vibrare. Ama dipingere forme femminili che si lasciano trasportare dai loro pensieri che irrompono nella composizione pittorica diventando tangibili e presenti nella costruzione del dipinto come le figure stesse.
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Figure aggraziate, ma tutt’altro che “solo belle”. Sono figure che vivono, che soffrono che gioiscono, che diventano ambigue e capaci di coinvolgere chi le guarda fino ad obbligarlo a porsi le stesse domande. Identifica nella pittura ad olio il linguaggio più adatto al proprio sentire, ma spesso si lascia incuriosire dalle tonalità che offrono gli acrilici, dalla matericità della sabbia che impastata al colore conferisce tridimensionalità alle sue figure aumentandone la sensazione di “presenza” fuori dalla tela. Ultimamente la sua ricerca verte sulle trasparenze e sui colori tenui e si lascia trasportare dai pensieri e dalle emozioni che animano la figura o figure protagoniste del quadro comunicando uno scorcio del suo delicato mondo interiore. Anna Mostacci è socia del Centro Culturale Ariele di Torino. Pagina facebook : anna mostacci art
ASTRATTISTI dalle 20 regioni Italiane un’ esposizione d’arte astratta contemporanea di artisti provenienti da tutte le regioni italiane, artisti scrupolosamente selezionati, che assurgeranno ad emblema della vera arte nella sua più profonda essenza, un’arte che sia lontana e completamente svincolata dalla comune provocazione che in questo particolare momento storico la fa da padrona nel panorama artistico contemporaneo. L’evento si terrà nel 2021 presso diverse location in Italia INFO & CONTATTI Mail: galleriariele@gmail.com
www.facebook.com/groups/300965449963543 cell. 347 99 39 710 25
Francesca Costa di Pordenone nella personale fotografica “IN-VISIBILITA è OLTRE”
Francesca Costa fotografa e poeta, è nata a Codroipo (Ud) residente Pordenone, insegna in un liceo di Pordenone ed è docente a contratto presso l’Università degli Studi di Udine. Molti dei suoi testi sono presenti in svariate raccolte antologiche, anche internazionali, alcune delle sue poesie sono state tradotte in spagnolo e rumeno. Ha partecipato alla BID Internazionale in Porto Vecchio-Trieste con le opere tradotte in grafica e con versi e foto su tela. Alla mostra “SINTONIE”, dedicata a Hypatia nella galleria M. Bambic a Opicina (TS). Ora la personale di fotografia organizzata da Graziella Valeria Rota è intitolata <IN-VISIBILITA è OLTRE> ed è esposta al CHOCOLATE COFFE di Trieste .
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GRAZIELLA VALERIA ROTA FRIULI VENEZIA GIULIA Il Chocolate Coffee di Trieste
A Trieste in un luogo ospitale offerto da Cesar Torre F&B Manager si espone al Chocolate Coffee, dove in varie occasioni le mostre fotografiche personali hanno dato luogo ad incontri professionali nell’arte e dove le Muse si espongono agli sguardi attenti con artiste e artisti nell’esposizione dei loro progetti visivi tra Reading poetici, presentazione di avvenimenti durante gli incontri per la diffusione della creatività nelle varie tecniche artistiche.
La proposta nel Chocolate Coffee è progettuale e riguarda lo sviluppo e l’organizzazione di eventi culturali, mostre, performance, musicali e poetiche affinché gli artisti e le artiste giovani e non, si possano incontrare confrontarsi nel percorso attuato e diffondano il loro sapere, in collaborazione <Sintonie Creative> il gruppo di artisti di varie discipline, curatori e storici dell’arte che da alcuni anni organizza nella Regione Friuli Venezia Giulia diversi eventi pubblici e Laboratori pratici e teorici di Tecniche artistiche classiche e sperimentali. Info mail: bid.eventi@email.it per Sintonie Creative Organizzazione Per visitare www.chocolatecoffee.it -facebook – istagram -
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MICHELE ROCCOTELLI
Michele Roccotelli, nato a Minervino Murge, ha cominciato ad esporre nel 1968 e da allora ha allestito numerosissime personali. Presente in importanti rassegne nazionali e fiere d’arte contemporanea, sempre ospitato da prestigiose gallerie italiane dove espone in permanenza da circa trenta anni, come negli spazi espositivi della Ghelfi di Verona. Presente a Napoli, nel Castel dell’Ovo, con la personale “mediTERRANEO”, mostra trasferita poi a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo. Torna a Napoli esponendo le sue più importanti opere sul tema “La Camera delle Meraviglie” che ha proposto negli spazi espositivi in Germania, Austria e Svizzera. Intanto viene continuamente convocato per personali e retrospettive quale significativo rappresentante della
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pittura locale e si dedica alla ceramica prendendo spunto dalle forme e tecniche pugliesi per invenzioni sempre nuove. Partecipa alle Biennali d’arte ed è più volte insignito di importanti premi. Numerosi e di prestigio i cataloghi pubblicatigli da rinomati istituti culturali, con interventi di critici di chiara fama conservati al Thomas J Waston Library del The Metropolitan Museum of Art di New York. Le ultime personali inglobano opere di pittura di grande formato, ceramiche, sculture, lavori di riciclo di oggetti di scarto ma rivissuti con il suo particolare timbro creativo, fatto di colori e materie. Instancabile maestro d’arte per allievi di talento nell’Accademia Margherita di Bari, prepara con loro mostre in gallerie d’arte e spazi espositivi pubblici e privati.
Il maestro nel colore 29
L’Associazione MEGA ART (Web Art Gallery MEGA ART)
Nasce nel lontano 2007 con l’aiuto di una prestigiosa galleria d’arte romana, la Tartaglia Arte, essa risiedeva in quello che era stato lo studio del grande pittore informale PIERO TARTAGLIA, poi trasformatosi in quella prestigiosa galleria che comunemente esponeva i maestri italiani del ‘900. Con il passare del tempo alla nascente MEGA ART si unirono, nel tempo artisti di livello nazionale ed internazionale che proponevano le loro opere sul web. Nel tempo iniziarono a collaborare con la nostra Associazione altre gallerie e musei sul territorio nazionale ed all’estero. Caratteristica fondamentale di questa Associazione è la cura nel selezionare i propri artisti dando estrema importanza alla qualità delle loro opere. Nel 2017, MEGA ART diviene anche una galleria d’arte, la nostra prima sede è stata nei locali della FCO - Fondazione Corchiano Monumento Naturale - e in lì organizzammo delle mostre di alto livello esponendo opere da quasi tutto il mondo. Citando una delle tante mostre “La Grande Arte Cinese espone in Italia” ove vennero mostrate opere di artisti provenienti da diverse città dalle Cina anche di due metri di larghezza.... Dal 23 febbraio 2019 ci siamo trasferiti in Via Roma 29/ b nella via centrale di Corchiano, cuore nevralgico del paese.. Il nostro scopo è quello di dare la possibilità agli artisti di alto talento di poter proporre le loro opere in galleria e nel
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web a costi minimi... ci piace dire “C’è nell’aria un vento nuovo”. Nella nuova galleria vengono organizzati corsi di pittura, concorsi d’arte, presentazioni di libri poiché essa sta diventando un polo culturale della Tuscia Viterbese. MEGA ART collabora anche con altre importanti gallerie di Roma, Firenze, Venezia ed un museo in America.
INES DANIELA BERTOLINO e-mail:. inesdanielabertolino@gmail.com sito: www.inesdanielabertolino.it cell. 3406771992 “L’artista del Silenzio s’inebria del sogno, ed allora lo spettatore che guarda un’opera fatta e costituita da linguaggi di silenziosi spazi, s’accosterà a quest’arte del racconto pittorico come a un paesaggio proprio, a un paesaggio interiore, a un paesaggio di contemplazione…” Nata a Torino dove avviene la sua formazione artistica. Si diploma al Liceo Artistico di Torino e consegue l’abilitazione per l’insegnamento dell’educazione artistica. Approfondisce la sua formazione frequentando l’Accademia di Belle Arti e i corsi di grafica pubblicitaria, successivamente si specializza per l’insegnamento agli alunni portatori di handicap. Frequenta il Corso Internazionale per l’incisione artistica presso l’ISIA di Urbino.
La sua passione per la pittura è molto precoce, fin da bambina manifesta un’attrazione particolare per il disegno e per i colori. Esordisce nel 1983 con la sua prima personale presso la galleria “Bodoni studio” di Torino. A questa prima esposizione seguono numerose mostre personali, collettive, riconoscimenti e premi tra i quali citiamo:
nell’anno 1986 il secondo premio al Concorso Nazionale “Premio ARTE Mondadori”, nell’anno 1996 il primo premio “F.Vasapolli” di Avigliana per cui dipinge anche il Palio per il torneo storico, nell’anno 1998 e 2000 allestisce due ampie mostre personali presso le sale delle gallerie FOGLIATO e FOGOLA di Torino, nell’anno 2002 presso la galleria “LE COUP DE COEUR” di Losanna partecipa ad una interessante rassegna artistica sul tema delle ROSE.
Nell’anno 2004 vince il premio- selezione e pubblicazione presso la libreria “BOCCA” di Milano.Ha esposto le proprie opere presso la galleria ART LINE di Mannheim. Figura tra i soci fondatori del Piemonte Artistico e Culturale ed è stata socia della Promotrice delle Belle Arti. Di lei hanno scritto: C. Accostato, F. Albertazzi, A. Allegretti, C. Armando, G. Auneddu, M. Battista, G. Biasutti, D. Bionda, V. Bottino, Calascibetta, A. Calella, P.L. Camparini, A. Capri, M. Centini, M. Cerreti, G. Dangelo, C. Ferraresi, Gallo, E. Ghigo, S. Greco, La Penna, P. Levi, P. Masetta, G. G. Massara, G. Milani, A. Mistrangelo, A. Miredi, A. Oberti, S. Origliasso, G. Polinetti, G. Reverdini, Tavernari.
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LORENZO CURIONI
Lorenzo Curioni, pittore brianzolo, intesse sulla tela un profondo rapporto tra l’uomo e lo spazio, una relazione per lo più giocata nell’habitat urbano dove la presenza umana traccia la sua storia e si affaccia facendo sentire i diversi ritmi della sua quotidianità o impregna di sé attraverso i segni del suo passato con cui ha imparato da sempre a coabitare. L’artista dipinge questa realtà complessa, ne conosce luci ed ombre. Inoltrandosi nelle sue periferie, facendosi largo tra gli interni dei suoi angoli più degradati od occhieggiando i luoghi deserti delle sue fabbriche dismesse si rimane catturati ascoltando il silenzio che ci investe e ci avvolge in un’atmosfera intrisa da questo inquieto legame uomo-spazio. Sono opere senza retorici rimpianti che ritraggono un mondo trascorso di intensa vita vissuta. Il novecento lombardo, con la sua rapida industrializzazione, ha lasciato un ricco bagaglio di fermenti, testimonianze, e nondimeno di arte, che arriva fino ai nostri giorni e con il quale il terzo millennio fa i conti. I pietrificati silenzi dei paesaggi ur-
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bani sironiani, le irrequietezze chiariste, i disagi e le speranze, che si vissero nell’epoca dell’inurbamento, si ritrovano in quella tradizione lombarda di cui Curioni porta i segni, naturalmente ormai lontani e rivisitati. In queste aree, che l’artista ricrea,viene tratteggiata la fine irreversibile di un’epoca e nel contempo ciò che appare in questa prima parte del terzo millennio: infatti gli spazi periferici , seppure anonimi, rivendicano una loro attuale identità collettiva, rivelano un loro modo d’essere all’interno di una tavolozza chiara fra gamme di grigi e celestini, terre tenui aranciate od ocracee, luci pacate e soffuse. I contorni delle cose sono leggeri, spesso al limite dell’accenno, mentre i piani cromatici si susseguono in profondità all’interno di una composizione di rigorosa coerenza. Giovanna Arancio
mail: curionilorenzo@tiscali.it cell.: 340.97 24 174
ROBERTO VIONE
Nato a Torino il 30 aprile 1954, diplomato al Liceo Artistico di Torino. Allievo di Tabusso, Soffiantino, Chessa, Surbone, Cordero, Brazzani, ma soprattutto di Beppe Devalle, che a soli 15 anni lo chiama nel suo studio per lavorare alla ricerca concettuale per la realizzazione di una grande opera di pittura-scultura sulla scia dell’opera African Tree. Durante questo periodo porta a casa dallo studio i “compiti” per giocare con i colori, (Klee, Kandinski, Mirò e Picasso sono i punti di riferimento) fino al trasferimento del maestro Devalle a Brera. Il momento del distacco dal maestro Devalle segna un primo grande momento di crisi che sfocia nel tentativo di allargare lo spazio creativo a tutti i livelli. Attore, autore di testi teatrali e pittore, dal 1976 al 2004 lavora in laboratori di arti figurative ed espressione pittorica nelle scuole di Torino ( Coop. Della Svolta, Teatro del Canto, Teatro in Rivolta, Progetto Mus-e), lavorando nel frattempo come mimo lirico e acrobata al Teatro Regio di Torino. Viaggia per molti anni in India e Nepal per riempirsi gli occhi di colori e per assorbire le violente emozioni di paesi che vivono mille contraddizioni. I colori dell’oriente sono gli stessi che cercherà di trasferire nella vita e nei quadri. L’anima del viaggiatore è come uno spazio vuoto bisognoso di riempirsi di immagini ma il viaggio non è cosa semplice, non è un movimento da A a B, neppure è solamente un leggero tocco di pennello o uno svolazzare di un foulard di seta, il più delle volte è una ragnatela di linee e curve che nascondono il punto di arrivo e il punto di ritorno, basta un piccolo passo in più o in meno e tutto cambia, anche la prospettiva di una sfera perfetta. Preferisce non stilare un elenco di partecipazioni a mostre e collettive ma preferisce citare le realtà in cui è stato coinvolto che non prevedevano nessuna logica di profitto, quali la partecipazione a varie mostre con il Centro Culturale Ariele di Torino e l’Associazione MegaArt di Corchiano, la pubblicazione sul catalogo YearBook 2019 dell’Associazione Scacchistica Italiana giocatori per corrispondenza ( e qua bisogna ricordare che Marcel Duchamp giocò a scacchi anche per corrispondenza) di otto pagine con 14
immagini di quadri dedicati al gioco degli scacchi, grazie all’interessamento e alla ricerca di Maurizio Sampieri, capo redattore del Catalogo, gli inviti della gastronomia Sapori di Gea di Bussoleno e del Comune di Bussoleno (che mette a disposizione la prestigiosissima Casa Aschieri, la casa medioevale che fu modello per la realizzazione delle case del Borgo Medioevale di Torino) per la realizzazione di mostre personali. Pagina facebook : vione roberto art
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FRANCO BOLZONI e-mail: info@francobolzoni.it sito: www.francobolzoni.it tel. 349.23 44 880 Diplomato al liceo artistico di Torino nel 74, un po’ di Accademia, un po’ di Architettura e tanta pittura. Nel 1977 inizio ad occuparmi di illustrazione e di grafica come free lance e come art director in importanti agenzie pubblicitarie. Nel 2006, riprendo la mia ricerca artistica, i primi studi, i primi tentativi, le prime garze colorate. Sono nati così i primi oggetti mummia, oggetti d’uso comune come una bottiglia, un libro, una fetta d’anguria, oppure animali, animali che mantengono la loro forma, la loro struttura, animali “vivi” che a tratti emergono dalle fasce che li avvolgono e li costringono.
I curiosi e intriganti quadri mummia di Franco Bolzoni. Formatosi al Liceo Artistico, ha lungamente lavorato nel campo dell’illustrazione e della pubblicità come art director dell’agenzia Armando Testa, mentre alla fine degli anni Settanta ha allestito una personale alla Galleria Quaglino di Torino con opere classicamente figurative. Ora la sua esperienza si identifica con una ricerca intorno alle mummie, a un universo di immagini celate dalle fasce, a una realtà negata all’osservatore, ma sicuramente misteriosa e, talvolta, sottilmente inquietante: «Rappresentare un oggetto qualsiasi - suggerisce il pittore - da un animale ad una fetta d’anguria, senza mostrarlo nei suoi colori, nelle sue superfici e materiali, apre ampi spazi di libertà...».
E’ la libertà dell’immaginazione che unisce la forma di un pesce verde a quella di una bottiglia blu o di una tazzina arancio. Così le scarpe dal colore oro, i sassi grigi, una stilografica e un libro aperto avvolto con strisce di tela,
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diventano altrettanti capitoli di un racconto che si snoda sulle pareti della galleria in una sorta di percorso tra immaginazione, sogno e affiorante struttura degli oggetti. In particolare, le composizioni di Bolzoni possono essere viste e «lette» come quadri-sculture estremamente essenziali, nitidi, caratterizzati dall’impiego del colore acrilico e dal poliuretano per formare l’immagine: «Desidero che in qualche modo siano vissuti ancora come veri e propri quadri e cerco più che altro il gioco, l’ironia, il divertimento anche a rischio di apparire ingenuo». Non solo gioco. Perchè tra le opere esposte si nota l’opera «Aviaria gallina rossa»: un documento dell’angoscia che ha coinvolto la popolazione mondiale. Angelo Mistrangelo La Stampa 17-12-2007
museo d’arte contemporanea statale
MACS Museo di Arte Contemporanea Statale Il MACS, Museo di Arte Contemporanea Statale, è stato inaugurato l’8 ottobre 2016. Il Museo, oggi, possiede una collezione di circa 500 opere di arte, donate da numerosi artisti di fama nazionale e internazionale. E’ situato in via Napoli, vico II, presso la sede del Liceo Artistico Statale “Solimena” di Santa Maria Capua Vetere ed è aperto al pubblico dal lunedì al sabato dalle ore 08.00 alle ore 14.00.
La raccolta, conservazione e l’esposizione di opere consente al Liceo Artistico di formalizzarsi quale polo culturale e sperimentale, diventando punto di incontro reale ed effettivo tra l’arte, cultura e scuola, realizzando uno spazio di libero confronto nel senso più ampio del termine, assicurando contaminazioni creative fra esperienze, stili, linguaggi, territori e generazioni.
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SULLE STRADE DELLA PITTURA E SCULTURA ATTUALI IN ITALIA
Renato Guttuso
Negli anni sessanta in Italia la pittura e la scultura prevalentemente visibili negli spazi espositivi, pubblici e privati, sono di orientamento astratto. E’ un tempo carico di tensioni e di voglia di fare. All’epoca il dibattito in corso all’interno del campo delle arti visive tra figurazione e astrazione si mostra assai vivace ed è rappresentato da voci contrastanti. Nell’area dell’ortodossia comunista si sostiene il primato del figurativo che viene vissuto come il necessario contributo dell’arte alle nuove esigenze di impegno sociale. Intanto a partire dall’Inghilterra e dall’America si sta diffondendo la Pop Art destinata ad influire, almeno in parte, sul figurativismo italiano. La stagione astratta nel nostro paese però continua ad affermarsi in una sorta di “muro contro muro” nei confronti del nuovo linguaggio figurativo: in realtà la situazione artistica non è così appiattita. Se è vero che a sinistra la pittura di Guttuso è ideologicamente contrastante con quella astratta è altrettanto interessante rilevare che tale posizione non è
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univoca tra i figurativi tant’è che un folto gruppo di essi sconfina nell’astrazione restando così sul cosiddetto “crinale” tra i due generi. E’ significativo che il linguaggio figurale non abbia mai cessato di far sentire la sua voce anche negli anni difficili della seconda guerra mondiale e in quelli postbellici, altrettanto complessi. Gli astrattismi dominanti mettono in ombra le poetiche figurative che tuttavia esistono e questa presenza trascurata viene a originare un vuoto artistico di conoscenza. Vale a dire che il contesto di quel periodo storico è attraversato non soltanto da un rigido scontro tra i due generi artistici ma anche da una posizione più variegata e poco nota che contamina i diversi linguaggi e si intreccia in seguito con il controverso “ritorno alla pittura” degli anni ottanta. E’ da tener presente che negli anni sessanta le Biennali di Venezia sono riformate e le rassegne si articolano progressivamente verso nuove forme sperimentali in linea con
l’avanzante gusto internazionale. Lo spostamento dell’attenzione al polo culturale statunitense contribuisce alla riduzione di interesse verso quella che è stata, ed è, la pittura e la scultura europee e, per quanto ci riguarda, in Italia. Le Biennali veneziane di quel decennio diventano una sorta di laboratorio permanente in cui ogni idea è raccolta senza vincoli con un ridimensionamento delle rassegne di opere, considerate “conservatrici”: si prende atto, da parte della dirigenza dell’istituzione, che l’arte sta via via assumendo forme che non sono più paragonabili a quelle fino ad allora consuete e ciò rappresenta un problema al quale far fronte. Con un certo disagio e sottotono continuano le mostre dei figurativi: tra questi artisti della figurazione se ne annoverano diversi dotati di rigorosa professionalità e poetica.
Pablo Picasso Ragazza di fronte allo specchio
Tale è l’atmosfera in cui si costituisce il programma denominato “Rinnovamento” della Biennale di Venezia del sessantotto legittimando il superamento del significato di tradizione: sono anni durante i quali non si trascura occasione per scardinare ogni riferimento di memoria storica. Fatto è che per molto tempo si tenta di mettere sullo stesso piano e, addirittura identificare i termini novità-qualità. A tutto quel che si presenta di nuovo si attribuisce subito valore qualitativo. Il segretario generale della Biennale di quell’anno (sessantotto) asserisce che “alle dispute fra astratti e figurativi sono succedute forme ben più radicali di polemica e contestazione che chiamano anzitutto in causa le basi e i condizionamenti sociologici dell’operare degli artisti e le odierne modalità di fruizione e trasmissione dei loro prodotti”.
Andy Warhol, Reigning Queens
Quando scoppia il sessantotto in occidente viene coinvolto l’intero assetto sociale italiano; il movimento si caratterizza per i suoi entusiasmi ed eccessi, e si rivolge in particolar modo agli studenti e agli operai nel segno “immaginazione al potere”. Purtroppo è anche l’epoca in cui si parla di “ morte del linguaggio artistico tradizionale incapace di comunicare quello che sta accadendo perché ormai arcaico e obsoleto in confronto ai risultati e alla forza del linguaggio poetico ed artistico, specialmente nel contesto dell’opposizione contro la società fra la gioventù protestataria e ribelle” (Marcuse). Anche l’arte vive in quel tempo di lotte, ideologie, ideali, rischi. Le rassegne ufficiali come le Biennali veneziane e in seguito le Quadriennali romane maturano quindi le condizioni per un mutamento della loro originaria prospettiva di confronto internazionale delle esperienze artistiche: viene a mutare lo stesso concetto di arte con evidenti conseguenze per lo sviluppo della creatività e per tutto ciò che con questa entra in relazione.
Giorgio Ramella
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Giacomo Soffiantino
Si tratta di una stagione iconoclasta che continua negli anni settanta. Le grandi mostre accentuano il carattere di “sperimentazione in atto”, tendendo a consumare tutto nella febbre dell’accadimento fisico. La pittura e la scultura (non più solo quelle di figurazione) devono sempre più fronteggiare il complessivo allontanamento dall’ufficialità delle grandi mostre, salvo qualche caso, e spostare le loro esposizioni verso alcune gallerie civiche così come verso quelle private. Anche la X Quadriennale romana, grande rassegna negli anni settanta, che dà ancora spazio ai giovani pittori e scultori va evidenziando il carattere spontaneistico implicito nel criterio del suo settore “Nuova generazione”: non pochi sono “ i prescelti che appaiono ripetitivi e che traducono in deboli immagini stereotipi di banalità. Si avvertono false prospettive oniriche, espressionismi orecchiati, sterili virtuosismi, inutili arcaismi plastici, illustrazioni banali di sentimenti non sentiti, e ancora pretesti tematici e fabulismi per sentito dire” (D. Guzzi). Questa retorica che resta interna al percorso artistico nuoce non poco alla pittura e alla scultura: viene a mancare la ricerca, quella vera, che da sempre connota l’arte. Nonostante vi siano tali carenze di serietà, amplificate spesso dall’ideologia, le arti dette tradizionali possono contare talenti che, sebbene trascurati, proseguono la loro strada , non di rado procedendo per cicli nei quali esprimono il loro essere consapevoli, dentro la storia, a partire dalle più diverse poetiche: le recettive città di provincia danno risalto alle loro voci e permettono una relativa visibilità.
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Ennio Calabria
Renzo Vespignani
Alla fine degli anni settanta e agli inizi (ed oltre) di quelli ottanta il termine memoria ritrova una rispondenza ampia e significativa e, sebbene vi sia il disaccordo manifesto del nuovo sperimentalismo, si fa largo l’ipotesi di un “ritorno alla pittura”, anche se di fatto l’arte pittorica non ha mai smesso di esistere. Piuttosto si può intendere questa rivalutazione della memoria come una riflessiva svolta, una resa fondamentalmente concettuale di una realtà. Detto in altre parole si tratta di un recupero esplicito, dunque, non più abiura ma elezione ad archetipo della memoria. La concettualità non è stata, e non può essere considerata, prerogativa unica dell”arte concettuale” perché non c’è esperienza artistica che non abbia un aspetto che non possa asserirsi concettuale. In questa chiave, e con diverse soluzioni, lo sono state quella pittura e quella scultura che, in anni difficili, vanno recuperando allo scoperto quella memoria storica, mai dispersa se non artatamente. Negli anni ottanta riaffiora anche il gusto per una riaffermata manualità. E’ un processo identitario di lunga durata che caratterizza gli ultimi decenni del novecento e che va ad interagire con le nuove espressioni spaziali e formali. Di certo non si fa riferimento alle manifestazioni che imperversano ancora in questi primi decenni del duemila occupando molte delle vetrine internazionali all’insegna della provocazione esasperata e fuori tempo massimo.
Nino Aimone
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Giuseppe Guerreschi
Continua ancora oggi una relativa marginalità dell’arte pittorica e plastica attuali a fronte di un prodotto estetico di consumo e di basso livello lavorato da una dubbia minoranza protetta e guidato dal vento dei mercati finanziari, sempre più lontani ed inaccessibili. Un altro aspetto da rimarcare è che le circolanti e false novità, gonfiate e provocatorie, replicano con superficialità il primo periodo del novecento allorquando la provocazione in ambito artistico prende senso dal suo peculiare e storico riferirsi ad accadimenti dell’’epoca. Oggi il semplice provocare non può che essere considerato, nel migliore dei casi, che un manierismo rovinoso. Non basta poggiare quattro ciarabattole o appendere un asino al soffitto oppure ancora digitare supinamente, da dilettanti, un programma di grafica al computer. Questo panorama deprimente viene chiamato sperimentale ma è giocato senza cosciente memoria sull’onda dell’approssimazione e dell’effetto a a tutti i costi, fosse anche un effetto di disgusto e di perplessità. E’ in molti casi un vuoto e si ha l’impressione che là dove esista un’ idea manchi la coscienza del fare e dove questa ci sia quello che difetti sia l’’idea. Ciò snatura gli scopi e la natura stessa dell’arte provocando disorientamento e la falsa convinzione di poter affollare il reale campo creativo con chiunque si improvvisi artista. Intanto il misconoscimento
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e la latitanza istituzionale rendono ancora stentata la via della seria ricerca artistica.
Mario Surbone - tempera su cartone cm 70x70
Nino Aimone
La questione attualità-futuro in rapporto al trascorso è tutta in divenire: l’oggi, e ancora di più il domani, è segnato dalla virtualità. Il nuovo millennio si manifesta con un inquietante scenario globalizzato a dominanza tecnologica e non si può tornare indietro. Bruciano di continuo i modelli di riferimento e la comunicazione on-line senza regole spesso sostituisce e nasconde il dialogo, valore fondante di una comunità. E’ un processo strutturale e culturale in corso che esige una gestione intelligente e fondamentali cardini etici. Le arti visive affondano radici profonde nel nostro paese e la pittura e la scultura attuali non possono ritirarsi di fronte agli ostacoli essendo parte integrante della ricerca di senso e della comprensione del nostro futuro. Giovanna Arancio
Mario Schifano
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Discepolo Girardi
Dalle sue opere emergono una sicurezza e una padronanza cromatica, che discendono dallo studio dei grandi maestri del novecento italiano come Renato Guttuso e Renzo Vespignani nonché dall’espressionismo tedesco ma con un suo modo di interpretazione e sopratutto con una forte personalità. Discepolo Girardi potrebbe anche non firmare le sue opere perché come pochi artisti ha un modo di impostare l’opera nonché una intrigata e complessalorazione che sono uniche e inderogabili. Una ricerca pittorica, dunque, a tutto tondo, capace di interpretare le varie tematiche dal paesaggio alle nature morte, dalla ritrattistica con pari
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efficacia,conferitagli da una minuziosa e incontentabile ricerca e da-- una fortissima ricerca e da una fortissima autocritica............................................................. Un’opera particolarmente intrigante è rapsodia di bicicletta si tratta di un olio su tela di ispirazione informale che presenta una tavolozza di colori diversa dalle altre opere basandosi infatti su rapporti cromatici chiari quasi una sintesi di tutta la pittura di Discepolo, è informale ma con tratti figurativi molto ben costruiti, che fanno sconfinare questo quadro in una sinf.nia musicale di note affascinanti.. Alessandro Ferrara e Teresa Esposito
RENZO SBOLCI e-mail: racconti47@hotmail.it . tel. 340.25 43 732
“Se Ingres ha posto ordine alla quiete, io vorrei, al di là del pathos, porre ordine al movimento”. Ernst Paul Klee, grande interprete dell’astrattismo, intendeva l’arte come un preciso discorso sulla realtà, e non solo come “riproduzione” della realtà. Questo pensiero nitido e complesso, assolutamente sincero, è la via che Sbolci percorre da sempre. Abbandonate le tele e gli oli, ha trasportato il suo mondo, o meglio, la sua visione del mondo e della realtà coniugata attraverso l’astratto, sulla tavola lignea, sagomata e lavorata come fosse materiale plastico. Forandola come fece Fontana con le tele, muovendone bordi e superfici interne alla ricerca della plasticità, non stando nella volumetria di un Mastroianni ma cercando quel connubio tra pittura e scultura e rapporti dimensionali che fanno divenire le sue opere e i suoi Totem una “terza via” espressiva. L’olio ha lasciato il posto al pastello e alla matita acquerellabile, utilizzati con maestria e leggerezza, con intensità o delicatezza, e con un risultato astratto e di profondità di segno molto interessante.
ne dell’astratto che Sbolci persegue. Al fruitore le opere di Sbolci offrono così uno straordinario risultato di lettura, che vede sviscerato ed esaltato tutto il senso della ricerca di quel “movimento ordinato del caos” e il dialogo che l’artista compie nell’incontro-scontro tra pieni e vuoti, tra assenza e essenza, tra interno ed intorno. Un dialogo sentito e profondamente vissuto e sofferto, ma esposto in maniera gioiosa, “danzando” sulla tavola lignea come a volteggiare sul palcoscenico della realtà. Un confronto teso e costante, sincero e colmo di domande sulla realtà che lo circonda o che lo colpisce e sulla Vita nell’accezione più vasta del termine, con spunti improvvisi, riflessioni, punti interrogativi, dubbi che Sbolci esprime con sincerità, sdrammatizzando con la sua ironia toscana le brutture, e in definitiva materializzando in Arte il suo personale pensiero di Uomo ed Artista. Torino, il 25-01-2018 Michele Franco
La matericità ha lasciato posto a campiture di stratificazioni cromatiche leggere che senza spessori arrivano a evidenze coloristiche anche intense quando non urlate, oppure al contrario molto tenui, e in ogni caso sempre elaborate in modo astratto. Le definizioni e le separazioni delle campiture cromatiche nette, effettuate con tratti neri o molto scuri sia abbozzati che marcati, i volumi ascritti a piani di composizione e di lettura, l’iterazione di segni e segmenti, la successione di linee curve e spigolosità, le alternanze di gamme estese di cromie: tutto contribuisce a restituire profondità e dinamismo alle tavole senza mai perdere di vista ricerca e riproposizione della personale interpretazio
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PUGLIA
ENRICO MEO
Nasce a Grottaglie (Ta) il 20 aprile 1943. Vive a Reggio Calabria, dove si è trasferito terminata la carriera di docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico di Cosenza. Ricerca, sperimenta e realizza i suoi lavori nello studio privato a Gallico Marina (RC). Artista versatile e meditativo, Enrico Meo può davvero definirsi un maestro completo, esperto in varie tecniche artigiane e in espressioni pittoriche che affondano le radici, in primis, nella sua formazione di bottega e poi in esperienze creative aggiornate ai linguaggi del concettuale. La sua arte spazia in vasti repertori figurativi rivelatori di una poetica tesa alla speculazione e alla ricerca mistica sui temi esistenziali dell’uomo, rivelati attraverso immagini o forme archetipe e composizioni di sapore surrealista. Meo ci conduce quindi all’interno di un universo misterioso, enigmatico, dove una moltitudine di figure, uomini, donne, angeli, demoni, ominidi, come la serie degli acefali, si muovono solitarie o dialogano all’interno di scenari naturali estremi, quasi primitivi, o in ambienti metafisici sinteticamente evocati, che sembrano affiorare alla memoria da una dimensione interiore. Tutto nella sua pittura si rivela attraverso un repertorio iconografico polisemantico, simbolico, al quale non è estranea la profonda conoscenza della figurazione bizantina, sia nella qualità del colore sia nella stesura per campiture, sia nelle immagini, declinate secondo tipologie “ortodosse“, come la serie dei ritratti-icone, o nelle geometrie compositive con l’impiego del ribaltamento dei piani o nell’alterazione delle proporzioni. Le opere in mostra appartengono a varie fasi della produzione di Meo, ma in tutte si riconosce una costante poetica/ espressiva, una tensione spirituale tesa alla ricerca dell’origine, al mistero dell’esistenza, al desiderio di allontanarsi dalla pesantezza o ottusità del quotidiano, alla volontà catartica e rigeneratrice di superare la frammentarietà e superficialità nella quale l’umanità spesso si adagia. Alcune tele rivelano già nel titolo tutta l’indagine del maestro, come il dipinto ἀυτό εἴναι ὀ ἄνθρωπος, o ecce homo, opera inedita concepita all’interno di un ciclo pittorico sul tema “Che cos’è l’uomo”. Un volto umano, indefinito nella sua restituzione grafico-pittorica, contiene quello definito di Cristo che qui non riveste il significato confessionale del dio cristiano, ma è simbolo del divino/umano o essenza interiore spirituale dell’uomo. La sua posizione fissata nel
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punto percettivo/compositivo della tela coincide con il centro della croce, simbolo arcano, che sintetizza la vita nell’ortogonalità degli assi, verticale e orizzontale, coordinate spaziali e segni lineari opposti che si equilibrano in uno spazio infinito, un colore-spazio che esprime un forte simbolismo mistico, simile a quello delle pale medievali. L’umanità, quindi, nella sua essenza di materia –spirito, e nel suo libero determinismo tra bene- male è l’elemento distintivo dell’immaginario di Meo che si dipana anche nella serie de “Gli Angeli” o nei ritratti, “I Tipi”, o “Protesi”, come in altre composizioni.
L’angelo in opposizione al “demone” appare come una sorta di alter ego, una proiezione di sé, una guida interiore che interpella la coscienza e la libertà di scelta dell’uomo. La sua immagine è presenza costante, muta e imponente, sulla quale si proiettano le ombre o i pensieri dell’artista, come nell’opera “L’Altro”; «Il messaggio racchiuso nella figura alata richiama gli artisti alla funzione di educare a vedere oltre la superficie, a suscitare percezioni non puramente sensoriali ma profonde, capaci di portare nuovo humus sul terreno dei valori e della scoperta» . Nei ritratti, icone moderne della contemporaneità, misurate sui caratteri greco-bizantini della frontalità e fissità, si concentra l’indagine critica dell’artista che sembra invitarci a una riflessione sulla condizione esistenziale dell’uomo. A volte lo sguardo del maestro ironizza sul tema, servendosi d’immagini combinate sui paradossi o sul gioco di elementi iconici surreali, affini al repertorio visionario di Magritte, come nel dittico “Protesi”. La visione frontale/tergale della figura, schermata dalle protesi-occhiali, diventa metafora di un’umanità “cieca”, distratta, concentrata sulla materialità o vanità del contingente, e quindi impossibilitata a proiettare lo sguardo nel proprio mondo interiore. Altre opere nascono semplicemente da suggestioni o paure ataviche, in esse si distinguono i segni di fratture emotive o proiezioni del vissuto personale, paradigmatiche della condizione umana, in tutte traspare una grande poesia che ha il potere di condurci verso i sentieri più profondi dell’animo umano nei quali ognuno può riconoscere la propria fragilità come pure l’unicità e sacralità dell’esistenza. L’arte di Meo sembra quindi invitarci a una sorta
di viaggio interiore alla ricerca dell’origine-uomo: “Da dove veniamo, Chi siamo, Dove andiamo”? Paul Gauguin, 1897-98. Roberta Filardi
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PUGLIA
GIOVANNI CARPIGNANO
Diplomato al Liceo Artistico di Taranto, ha completato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bari.La sua ricerca muove tra identità storica e archeologia dell’anima, dai RitrovaMenti alla RiCreazione attraverso genetica, corpo, memoria e spirito. Nel 1987 viene segnalato al “Premio Italia per le Arti Visive” a Firenze da “Eco d’Arte Moderna”, con mostra premio presso la galleria “Il Candelaio” del capoluogo toscano. Nel 2011 è stato invitato a partecipare alla 54a
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Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Regione Puglia – Lecce, a cura di Vittorio Sgarbi. Dal dicembre 2012 con l’opera “Guerriero o Contadino” (2007) viene invitato da Massimo Guastella ad aderire al progetto “Simposio della scultura”, raccolta permanente del Museo Mediterraneo dell’Arte Presente (MAP) allestito da CRACC, spin-off dell’Università del Salento, nell’ex chiesa di San Michele Arcangelo a Brindisi.
DOMENICO LASALA
Musicista errante - 2018 - olio su tela - cm100x100 Domenico Lasala non imita la realtà ma la reinventa; e nella sua invenzione scenica le forme tendono a perdere il loro peso materiale per assumere una levità incantata, sospesa, nell’incanto generale dell’atmosfera, dello spazio, del tempo. Un senso di lontananza dalle coordinate del reale conferisce dignità e sogno alla sua opera. “Le opere di Domenico Lasala si evidenziano per un uso sapiente del colore, ordinato per contrasti simultanei; per una rigida idealizzazione geometrica delle forme che s’accompagna alla suggestione del racconto, con un effetto di incantata attesa, e per i temi spesso legati all’arte dei suoni. Se da una parte si può scorgere una tendenza arcaicizzante dall’altra la stilizzazione delle sagome, in un’atmosfera di fluidità musicale, rendono personale la sua maniera, che
viene sottoposta a un continuo processo di trasfigurazione, ove figure pulite e ferme stanno nella fissità di statue viventi. Questo pittore cerca la bellezza, con passione instancabile e tenta di fissarla sulle tele con immagini che, se non hanno lo scorrere caldo del sangue, il respiro stesso della vita, possiedono un senso plastico dei volumi e profondi sentimenti trascendenti.” Paolo Levi
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ALBINO CARAMAZZA
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CAMPANIA
La fotografia naturalistica di Giuseppe Ivan Persico di Letizia Caiazzo
“ Felicità è trovarsi con la natura: vederla, parlarle”. Con queste parole di Tolstoj posso descrivere quello che certamente prova Ivan nel fotografare le bellezze naturalistiche che popolano la sua Terra: la splendida penisola Sorrentina . Ed è questo uno dei motivi per cui le sue foto incantano e incontrano sempre il consenso e l’apprezzamento di chi le osserva e le vede. Le sue immagini regalano bellezza, serenità, purezza, pace; esse però hanno ancora molto da dire, perchè quando si fotografa la natura con lo spirito e il cuore, come fa lui, si dimostra che la si conosce bene e le si porta rispetto. Giuseppe Ivan fotografa anche per sensibilizzare le coscienze di tutti noi a salvaguardare l’integrità del paesaggio e conoscerne le fragilità . Una missione, la sua, di salvaguardia affinchè anche le prossime generazioni
possano godere delle bellezze che la natura ci dona. I suoi scatti sanno catturare la luce che evidenzia i soggetti fotografati, la scena e i dettagli aggiungendo una forte potenza espressiva. Le sue immagini, comprese le macro, sono perfette non solo dal punto di vista tecnico ma anche perchè trasmettono emozioni intense, che affascinano e trascendono l’aspetto scientifico. Scelto alla Mostra di Selezione, svoltasi a Piano di Sorrento e organizzata dall’Associazione culturale Ars Harmonia Mundi, parteciperà alla seconda sessione della XIII Biennale di ROMA CIAC ad aprile 2021, nel Museo Stadio Domiziano. giuseppeivanpersico@hotmail.com ,cell.3386303829
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CAMPANIA
Il Museo Navale Mario Maresca:
memorie di storia della marineria Sorrentina.
Un palazzo settecentesco in Vicolo I Santo Stefano a Meta ospita il Museo Navale Mario Maresca , un luogo affascinante che, attraverso cimeli e documenti di notevole importanza, ci aiuta a ripercorrere la storia della navigazione a vela degli equipaggi della Costiera Sorrentina, testimonianza di una storia, quella della marineria, che costituiva una delle attività trainanti della Penisola Sorrentina nel XIX secolo. Allestito dall’ingegner Mario Maresca, erede di una famiglia di gente di mare, riunisce modelli di brigantini a palo, piani di costruzione, piani velici, polene, ritratti di velieri, ex voto marinari. Espone, inoltre, una raccolta di strumenti nautici e conserva un rilevante fondo di documenti dell’epoca. La collezione è formata da quattro sezioni principali. Nella prima vi sono modelli e disegni navali. La se-
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conda raccoglie oggetti di arte marinara: gli ornamenti delle navi e le loro rappresentazioni. La terza espone strumenti nautici e utensili. La quarta è costituita da un archivio di documenti e fotografie. Merita una menzione a parte un modellino (1 a 100) del Cavaliere Ciampa, a questo riguardo bisogna ricordare rappresentazione che l’armatore Ciampa fu uno dei pochi che si fece costruire navi d’acciaio nuove, in Inghilterra ed in Svezia. In un volume edito da Nicola Longobardi editore è stato pubblicato il catalogo del Museo dal titolo “Il Museo Navale Mario Maresca di Meta”, un lavoro ben fatto per avere un’idea organica di quanto racchiuso tra le mura di questo elegante e sobrio antico palazzo metese, oggi appartenente a Massimo, figlio di Mario Maresca. Adele Paturzo
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CALABRIA
La Basilica di Bivongi
La Basilica di Bivongi è consacrata a San Giovanni Theristis, il mietitore ed è di origine greco- normanna. Un tempo al posto della basilica sorgeva l’unico cenobio italiano fondato dai monaci greci del monte Athos. E’ tra le poche chiese in Calabria a conservare il rito ortodosso. I pilastri angolari in stile normanno, all’interno della basilica, sono collegati da quattro archi che reggono la cupola. In stile gotico sonogli archi a sesto acuto della navata e del presbiterio. La cupola poggia su base cubica che diventa poi ottagonale. I muri perimetrali esterni sono realizzati con pietra concia ecotto e sono in stile bizantino. Gli elementiarchitettonici più antichi sono in stile arabo: lesene esterne dell’abside che formano archi ogivali. San Giovanni Theristis, al quale è consacrato il monastero ortodosso, era un monaco del XI secolo, ricordato per tanti miracoli, comela prestigiosa mietitura dei campi di grano. Da qui l’appellativo Theristis (in greco vuol dire mietitori). Saputa la notizia del miracolo Ruggero il Normanno concesse numerose regalie al monastero. Nel XVI secolo il monastero fu rilevato dall’ordine basiliano. Nel secolosuccessivo venne abbandonato a causa delle incursioni dei briganti e i monaci si trasferirono nel monastero di Stilo traslando le reliquie di San Giovanni Theristis edei Santi Nicola e Ambrogio. La basilica divenne proprietà del comune di Bivongi all’inizio del XIX secolo con le leggi napoleoniche e i monaci del monte Athos oggi vivono nel monastero attiguo allabasilica dal 1994. Alessandra Primicerio (critico d’arte)
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IL LUPO DELLA SILA DI MIMMO ROTELLA A COSENZA.
Il Lupo della Sila di Rotella, collocato in piazza Kennedy a Cosenza, è stato eseguito nel 2005 e acquistato nel 2007. L’opera è realizzata con lamine di granito verde dagli scalpellini di Carrara. Rotella morì prima di vedere l’opera concretizzata. La scultura venne autenticata in seguito dalla Fondazione Mimmo Rotella. L’artista rappresenta il momento in cui l’animale solleva la testa al cielo e ulula sottolineandone l’energia, i muscoli tesi , i nervi contratti e la forza dinamica. È un simbolo per tutti i Calabresi che li richiama allegoricamente alla indipendenza e al riscatto. Rotella artista poliedrico dal gusto avanguardistico, nasce a Catanzaro il 7 ottobre 1918 e, conseguita la maturità artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, si stabilisce a Roma nel 1945. La prima fase della sua attività è caratterizzata dalla sperimentazione di stili pittorici diversi. Frequenta la famosa Università di Kansas City. Tornato in Italia inventa la tecnica del décollage, caratterizzata dallo strappo di manifesti pubblicitari affissi nelle strade i cui frammenti, recto o verso, sono incollati sulla tela. Sono degli anni ‘60 e seguenti i lavori dedicati alle affiches del cinema mondiale con i volti dei grandi miti di Hollywood. Trasferitosi a Parigi nel 1964 lavora su una nuova tecnica, la Mec Art, con cui realizza opere servendosi di procedimenti meccanici su tele emulsionate. Continua la sperimentazione con la serie degli Artypo, prove di stampa tipografiche scelte e incollate liberamente sulla tela. Gli anni ‘70 sono segnati da frequenti viaggi in USA, India, Nepal, per stabilirsi definitivamente a Milano nel 1980. Appartengono agli inizi degli anni ‘80 le “Coperture”, manifesti pubblicitari ricoperti da fogli che occultano l’immagine sottostante. Torna alla pittura alla metà del decennio con il ciclo “Cinecittà 2” in cui riprende il tema del cinema affrontato in tele di grandi dimensioni e con la serie “Sovrapitture” su décollage e su lamiera: questi interventi pittorici su manifesti lacerati e incollati su pannelli metallici caratterizzano la stagione più recente dell’artista. Mimmo Rotella muore a Milano il 9 gennaio 2006. Alessandra Primicerio (critico d’arte)
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CALABRIA
Arte e tecnologia nelle opere di Francesco Ferro.
Francesco Ferro nato a Luzzi (CS) oggi vive ed opera a Caronno Pertusella (VA).L’artista ricerca, perfeziona e sperimenta continuamente diverse tecniche: olio, acrilico, acqueforti. Ha partecipato a tante collettive e personali . Intanto la tecnologia progredisce e Ferro prova forme d’arte sperimentali con successo. Oltre che nel nord Italia, l’artista ha esposto anche in Calabria, sua terra natia e musa ispiratrice. Non si esprime solo con olio o acrilico ma inizia a realizzare anche delle acqueforti. Il suo colore preferito è il blu. E’ paziente, attento e pieno di inventiva.Acuto osservatore, trae ispirazione dalle piccole cose che cattura con uno schizzo o una foto, per poi far rivivere quell’emozione nel suo studio e dare così vita alla sua ispirazione. Sperimenta anche l’arte della ceramica, dove dimostra la sua bravura. Le sue opere religiose evocano armonia interiore e portano pace nel cuore.Conosciamo insieme meglio l’artista. D. Come è nata la sua passione per l’incisione? R. Ho iniziato a dipingere come autodidatta. Da ragazzo ricopiavo spesso a matita le figure dei libri ma terminate le scuole nel mio paese natio (Luzzi) non ho più toccato la matita. Un giorno capitai in casa del grande maestro Emilio Iuso, che operava a Luzzi, li la mia prima emozione. A 17 anni emigrai in Germania. Dopo circa tre anni rientrai in Italia, in Lombardia. Spesso mi recavo a vedere mostre di pittura ed esposizione lungo il naviglio. Il 10 maggio 1974 sono diventato papà: corsa in ospedale, emozione alle stelle. Al ritorno passai davanti un colorificio e decisi di comprare l’occorrente per dipingere. Da quel momento non mi sono più fermato. Dopo circa 15 anni da autodidatta mi sono iscritto a un corso di pittura. In questa scuola,saltuariamente, si affrontavano serate a tema. Un giorno il tema fu l’acquaforte, una tecnica d’incisione: fu amore a prima vista. Ho approfondito la tecnica frequentando anche dei corsi a Urbino. D. Quando vale un’incisione?
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R. L’amore per l’incisione non ha prezzo. Fra i lettori più sensibili si va delineando la figura dell’intenditore ed amatore di “Immagini a stampa” che vanno assumendo la dignità d’opere d’arte. ROMA prima, PARIGI poi, sono città che vivono intensamente i magici momenti della STAMPA d’ARTE. H. DAUMIER, che coglie della società del tempo pregi e difetti, non esita a fare dell’uomo, che ricerca stampe di pregio, una figura caratterizzante quel momento storico: infatti “L’AMATORE DI STAMPE”, è il tema che egli ha tratto ripetutamente, mostrando nell’atteggiamento della figura, curva sulla cartella che raccoglie le stampe, tutto l’impegno e l’amore per la stampa d’arte. D. Quali temi sceglie per realizzare i suoi progetti? R. Saper riconoscere le cose belle e brutte fra le tante cose che ci circondano è una personale conquista, frutto di impegno, osservazione, attenzione. Quando questa esigenza affiora alla coscienza, trova nella ragione la spinta ad affinarsi; da necessità essa diviene amore e passione. E’ quanto avviene per l’arte e le sue molteplici applicazioni. D. Ricorda con affetto particolarequalche suo lavoro e perchè? R. Ricordo un Premio prestigioso conferitomi: la Medaglia d’argento, offerta dalla Camera dei Deputati con l’opera “1924”, dedicata alla RAI, (vecchia U.R.I.) in ricordo dell’anno in cui mandò in onda il primo programma radiofonico.Ricordo che questo premio fu inaspettato. Gareggiavo con circa mille partecipanti Era la prima opera, funzionante, di una lunga serie tecnologica. D. Quali sono i suoi progetti? R. Lavorare sodo. Alla fine se ci sono opere interessanti organizzare una mostra antologica. Alessandra Primicerio (critico d’arte)
La dimensione artistica di Gerardo Marzullo tra architettura, musica e pittura.
Gerardo MARZULLO architetto, artista e docente campanoè presente sulla scena artistica nazionale e internazionale dal 1989 con personali e collettive dal 1989. La sua arte è poesia, luce e colore. Le sue opere sono ricche di simbologie iconografiche.Riesce ad evocare ritmi e tonalità sulla tela costruendo un dialogo compiuto tra arte e musica. Esiste una dimensione che non si può esprimere con le parole ma solo con un’arte pura come l’architettura, la musica e la pittura. Ho intervistato l’architetto Gerardo Marzullo per comprendere meglio il suo lavoro e capire l’affinità che esiste fra le arti, in particolare fra musica e pittura come osservava Vasilij Kandinskij. D. Quando ha deciso di fare l’artista? E in che misura la sua formazione di architetto ha influenzato la sua pratica artistica? R. L’Artista non si decide, è dentro di noi. Conoscere e praticare l’architettura è importante per la formazione. L’architettura è una scultura con volumi pieni e vuoti, importante per il cammino dell’uomo nel tempo ed è inserita nella natura senza toccare la sua bellezza. Nei miei progetti ho sempre pensato di mettere insieme architettura, scultura e pittura. La pittura si pratica su una superficie, il volume che si rappresenta non è reale , quindi preferisco non rappresentarlo. Il Segno e il colore si percepiscono subito, si ha un’emozione, una gioia immediata, ognuno può interpretare quello che vuole. Quando ascoltiamo un brano musicale anche se non sappiamo suonare e non conosciamo le parole lo ascoltiamo con piacere: la pittura è uguale. D. La musica ha influito sulle sue opere? R. Attraverso la pittura ho conosciuto la Musica. I miei segni, colori e suoni sono sempre nelle mie opere. Le note musicali sono come i colori: ogni colore ha un pro-
prio suono che sento dipingendo. Non solo la musica ha influito nelle mie opere ma anche la poesia, il teatro. Ho installato due sculture “Il Suonatore Jazz” e il “ Suonatore di Zampogna” in alcuni Comuni italiani. D.Quali figure sono state importanti per lei e la sua formazione? R. Sono stato sempre appassionato del segno – disegno. Da piccolo disegnavo alcuni personaggi dei giornalini, gli eroi della mia adolescenza: Capitan Miki, Blek,Tex, la pittura e scultura rupestre, l’arte classica “ l’armonia e proporzione”,il realismo di Giotto, la Pietà Rondanini di Michelangelo, l’arte romantica di Caspar David Friedrich, l’espressionismo di Van Gogh, la pittura e l’architettura di Le Corbusier. Non mi riconosco come Architetto, prima di tutto sono un pittore. Mi sono sempre confrontato con altri Artisti.Ho frequentato il Maestro Nino Aiello e l’artista Luigi Franzese. Ho realizzato molte mostre con loro. Ricordo che si discuteva sempre di arte. Il critico d’arte Antonella Nigro mi ha seguito quasi sempre nel mio percorso artistico, ha presentato le mie mostre, un ringraziamento va soprattutto a lei. D. Con quali parole descriverebbe il suo stile pittorico? R. Io parto dal segno. A volte prendo il carbone e un foglio bianco e inizio a tracciare dei segni primitivi. Il segno è una forma antica di comunicazione ma per me sempre più attuale nel mondo contemporaneo. I temi più cari alla mia ricerca pittorica sono la musica, il mare, la notte con il chiarore della luna che studio attraverso l’incisività del segno e l’evocazione del colore. D. I suoi colori esprimono anche stati d’animo? R. Soprattutto stati d’animo, l’arte è l’espressione del sentimento, è emozione, gioia, messaggio, bellezza, amore e colore. Alessandra Primicerio (critico d’arte)
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SICILIA
Lorenzo Chinnici
Nato a Merì (Me) nel 1942, Lorenzo, appartenente alla stesso ceppo familiare di Rocco Chinnici, si interessa fin dall’infanzia ai colori e all’arte. Il primo insegnamento lo riceve da Renato Guttuso che conosce nel 1953 a Barcellona Pozzo di Gotto in occasione di una esposizione. Il Maestro, colpito dall’attenzione ai dipinti di quel “picciriddu” si offre di insegnargli a dipingere. Più lungo sarà il sodalizio con un pittore compaesano: Salvatore La Rosa, noto con lo pseudonimo Furnari. Questi, già stabilitosi in Liguria, nei suoi rientri in Sicilia al paese natio conosce il piccolo Lorenzo che dopo l’incontro con Guttuso è ormai irrimediabilmente attratto dall’Arte pittorica. Sarà Furnari a regalare a Chinnici i primi colori e ad iniziarlo ai segreti dell’arte. Diverse volte Furnari esporrà col suo allievo, almeno fino all’inizio degli anni 60 del ‘900. Nel 1965, nel corso di un’estemporanea frequentatissima, Lorenzo Chinnici è notato e premiato da Salvatore Pugliatti, emerito giurista e Rettore dell’Università di Messina , noto estimatore delle arti. Nel frattempo Lorenzo Chinnici si è diplomato e diventa così Artista professionista. Nel corso della sua vita saranno molti gli incontri con altri artisti, spesso derivati dalla frequentazione con l’illuminato gallerista della Meceden di Milazzo, Nino Caruso, che dal 1969 in Sicilia e anche all’estero si occupa dell’arte di Chinnici. Lorenzo ha anche modo di frequentare la Bottega d’Arte di
Salvatore Fiume, con cui stringe un forte rapporto umano che vede anche lo scambio di dipinti tra i due in occasione di avvenimenti familiari. Procedendo negli anni si infittiscono le conoscenze con altri grandi artisti: Mario Rossello, Giuseppe Migneco, Aligi Sassu, Ernesto Treccani, Ugo Nespolo. Sempre in queste frequentazioni Chinnici ha dei riscontri positivi dai colleghi, riscontri che sempre più lo consolidano nella sua vocazione e nel suo impegno artistico, fortificandolo nel dolore della malattia che lo affligge da sempre. Dopo i 40 anni il carico di dolore aumenta e Lorenzo, che non perde mai il fuoco della passione artistica e dell’amore per la sua terra, se ne strappa, negli anni ’80 e ’90 del ‘900, per ritiri spirituali ad Assisi. Questi momenti di profonda introspezione aiutano l’Artista a ritornare alla pittura nuovamente forte e determinato a fare sempre più e sempre meglio. Schivo dalla notorietà, disinteressato alla pittura commerciale, al facile successo, Lorenzo Chinnici afferma di dipingere per sè stesso, solo per elaborare e tirar fuori gli stati d’animo che si avvicendano in lui. Chinnici ha seguito, negli anni, la sua ampia vena artistica, che gli fa praticare qualunque tecnica, dall’acquarello al murales, dall’affresco al sasso. Continua a vivere e a lavorare in Sicilia. Da tempo è testimonial per le Maculopatie, attualmente in lavorazione la Monografia di Lorenzo Chinnici, con la critica e redatta interamente da Vittorio Sgarbi. Hanno scritto di lui critici: L. Barbera, M. Truscello, G. C. Capritti, Maugeri, Nasillo, N. Billè, S. Greco, N. Ferrau, S. Pugliatti, E. Caruso, N. Cacia, M. Danzè, G. Anania, N. Ferrara, A. Sciuto, M. Francolini, F. Pasini, G. Gaudio, F. Baglini, S. Feder, B. Nickolls, C. Carducci, E. Comey, G. Cardone, T. Forrest, YM. Lamine, E. Catalano, Deborah Blakeley, Cav. F. Di Gregorio, C. Vannuzzi Landini, A. Lombardo, R. PachecoEscalona, F. Bellola, J. Tatano, G. Gorga, V.Sgarbi. Il suo nome figura nelle più note e accreditate pubblicazioni d’arte italiana contemporanea.
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CORRADO ALDERUCCI
Se guardiamo un’opera di Corrado Alderuccisorge naturale notare alcuni canoni che richiamano in parte il movimento artistico del Simbolismo. Non parlo del classico simbolismo di Moreau ma vorrei sottolineare come sia importante l’”idea” concepita come protagonista dei quadri di Alderucci e come elemento di incontro tra variepercezioni, sia materiali che più spirituali. L’arte pittorica di Alderucci è molto raffinata, e si contraddistingue per un’aurea artistica che rapisce l’osservatore. Il suo percorso artistico è molto ricco di partecipazioni ad importanti collettive ed eventi di notevole rilevanza e ciò dimostra che la sua arte è molto apprezzata sia dagli addetti ai lavori che dagli appassionati. Le matite, le barchette di carta proposte dall’artista nei suoi più recenti lavori, si manifestano come segni di un
universo di disarmante semplicità, sono le testimonianze di un passato, le tracce di quell’uomo faber che rappresentava attraverso la sua operatività manuale, l’ancestrale pulsione umana al conoscere attraverso l’esperienza. Il modello conoscitivo contemporaneo passa attraverso una percezione virtuale della realtà, la simulaziome elettronica esclude le mani dal processo dal fare e produrre. L’artista propone la matita come simbolo e archetipo, il medium tra l’immaginazione e l’azione creativa.
sito web www.artavita.com mail: corrado.alderucci@asa-pro.it cell.: 393.17 16 518
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SICILIA
GIUSEPPE GRECA
“ L’arte è la mia passione, un modo d’esperienza viva” ( Giuseppe Greca) E’ stato Brancati a parlare della passione degli artisti siciliani per il paesaggio, quasi a costruire una segreta corrispondenza con una struggente malia. Schivo e anticonformista, “istinto per natura e autodidatta
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per vocazione” Giuseppe Greca, pittore e scultore ennese, s’inquadra a pieno titolo in questa visione culturale attuale A partire dal 1975 l’interesse per la pittura lo induce ad intraprendere uno studio sistematico e metodico e a sperimentare al di fuori di formule preordinate e secondo libere direttrici culturali.
L’artista manifesta un peculiare astrattismo che gli consente magistralmente di rendere autonoma la sua arte eliminando del tutto il soggetto reale e la sua raffigurazione senza rinunciare ad un deciso impatto visivo ed emozionale. A proposito degli sviluppi più recenti della sua poetica Greca afferma una concezione del sociale inquietante:”Quanto più è spaventoso questo mondo ( come oggi) tanto più astratta è l’arte” (in “ Enna Arte). L’autore, spesso col titolo “Catrame” “Quasi un paesaggio” ci presenta lavori in cui domina la forza espressiva del colore; troviamo spesso il giallo che rappresenta il grano,
il rosso simbolo di protesta ed infine il nero racchiuso in un triangolo che urla al cambiamento. Greca coglie l’essenza delle cose mediante la felice individuazione di una realtà trasferita in simboli. Immaginate nello stesso tempo un artista e un linguaggio di nuovo conio che spiazzano lo spettatore evocando inconsuete dimensioni spirituali, immagini mentali di potente efficacia descrittiva e un commosso amore per la natura. Le sue opere sono infatti la rappresentazione di paesaggi, i quali scolpiscono l’eterno che è insito nella nostra effimera realtà.
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