N°61 GENNAIO-FEBBRAIO 2024 -
periodico bimestrale d’Arte e Cultura
AURORA CUBICCIOTTI
Edito dal Centro Culturale ARIELE
www.facebook.com/Rivista20
ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE
ENZO BRISCESE
BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE
del Centro Culturale Ariele
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Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Rocco Zani Miele Lodovico Gierut Franco Margari Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Enzo Briscese Giovanni Cardone Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Concetta Leto Claudio Giulianelli
Ragazzi del 2000 - 2023 - t.mista olio su tela - cm70x80
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Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com www.facebook.com/Rivista20 -----------------------------------------------------
Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80
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In copertina:Rla
16 - 18 FEBBRAIO 2024 Fiera di Genova - Padiglione Blu venerdì, sabato, domenica ore 10,00 - 20,00
Enzo Briscese
Fausto Beretti
Aurora cubicciotti
Gabriele Ieronimo
Leonardo cherubini
Enrica Maravalle
Angelo Buono
Monica Macchiarini
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ENZO BRISCESE
La suggestiva pittura dell’ultimo ciclo tematico di Enzo Briscese centra un nodo cruciale e lacerante della realtà odierna, ossia la “comunicazione”,peggiorata anche dall’inaspettato dramma della separatezza sanitaria di lungo periodo per la pandemia da covid, a cui abbiamo sopra accennato. Questo nodo centrale, toccato dall’arte di Briscese in uno dei suoi aspetti più conturbanti, contribuisce ad originare la scarsa qualità della vita dei giovani. L’artista si accosta con un’attenzione discreta, un interesse partecipato e preoccupato. Egli dipinge cioè con delicatezza la precarietà comunicativa vissuta dai ragazzi di adesso. Nei suoi quadri essi sfilano con i telefonini in mano. Tali opere sono la messa a fuoco di una realtà e una dinamica inquadratura che non diventa mai un banale sfogo per provocare una delle tante denunce lamentevoli.Enzo Briscese, pittore, vive nelsuo tempo e lavora con gli strumenti che gli competono: tele, colori, e infine quadri che parlano. La concezione di libertà è strettamente legata al rispetto: riteniamo pertanto che prima i giovani necessitino di amorevoli e competenti guide e in seguito abbiano bisogno di
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un inserimento critico nella collettività attiva in un clima che è sicuramente problematico ma dovrebbe essere anche di dialogo fattivo. Il ciclo pittorico “I ragazzi del duemila” introduce lo spettatore nella nuova fase artistica di Briscese, evidenziata da una felice presenza di un dinamico figurativo, valorizzata da una ricca tavolozza e da un’elaborata composizione. Il suo complesso linguaggio pittorico è più vitale che mai, “metabolizzato” all’interno del quadro. Le figure sono dapprima sommerse da un confusivo caos di immagini e informazioni mentre negli ultimi lavori si configura un particolare assestamento stilistico. La rappresentazione del giovane evidenzia la sua fuga dall’oppressione che lo attornia e le ultime tele mostrano uno spazio vuoto intorno alla figura che rende visivamente il totale “nulla” in cui il ragazzo si rifugia,, ossia un radicale distacco dalla realtà . Si tratta di una fuga illusoria che sul dipinto si colora di tinte pallide e tenui. Questa serie pittorica, visionaria e realista nello stesso tempo, merita di essere messa inmostra e visitata con particolare cura. Giovanna Arancio
Nasce a Venosa in Basilicata. Vive e lavora a Torino. Segue i primi studi artistici presso il maestro Lillo Dellino di Bari. Cresce in un ambiente intellettualmente stimolante, frequentato da musicisti, letterati ed artisti. Nella prima giovinezza si trasferisce a Torino dove frequenta lo studio di disegno del maestro Giacomo Soffiantino e in seguito l’atelier di Giorgio Ramella. Nella città di Torino, dove apre un laboratorio di disegno e pittura, si confronta con diverse ed importanti esperienze nel campo delle arti visive. Fra queste sono da evidenziare l’avvio del Centro Culturale Ariele, tuttora vitale, la gestione di spazi espositivi, la realizzazione di unna rivista d’arte diffusa a livello nazionale. Come pittore elabora, attraverso una personale e rigorosa ricerca, una poetica coerente con il suo impegno sociale ma, soprattutto, capace di comunicare la sua forza espressiva grazie alla resa sicura del segno e ad un colorismo raffinato. I cicli tematici si susseguono declinando diversi linguaggi all’interno dei percorsi del figurativo e dell’astratto, densi di rimandi storici e di sapienti contaminazioni. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali. 2015 - Personale Galleria20 – “Linguaggi in movimento” - Collettiva Galleria20 – Torino 2016 - Collettiva Galleria20- “Orizzonte dell’arte attuale” - Collettiva Galleria A. - da Messina - “Contempo ranea ovest” - Legnano (MI) - Collettiva Galleria20– “Percorsi di ricerca” - Collettiva Ecomuseo Torino – Torino
2017 - Collettiva Palazzo Opesso - “Primavera in arte” - Collettiva Galleria A. da Messina “Abstract Expressionism&InformalArt”- Legnano - Collettiva Fonderia delle Arti - Roma - Collettiva Macro Testaccio - Roma - Collettiva Ecomuseo - “Summer Art Expo” - To - Collettiva Astrattissima - Ecomuseo - Torino - Collettiva- “Christmas Art Expo”- Ecomuseo - To 2018 – Collettiva “ArtParmaFair” - Parma - Collettiva Galleria Simultanea Arte - “Dal segno al colore”- Firenze 2019 - Astrattissima 2019 - ArtParmaFair – Parma marzo - Fiera di Bari - ArtParmaFair – Parma ottobre 2020 - ArtParmaFair – Parma marzo 2021 - ArtParmaFair – Parma ottobre - personale Museo del conte verde (Rivoli) 2022 - ArtParmaFair – Parma marzo - ArtParmaFair – Parma ottobre - Personale presso SpazioE - Astrattissima 2022 2023 - ArtParmaFair – Parma marzo - Personale _ Arte Città Amica - ArtParmaFair – Parma settembre-ottobre - MACS museo di arte contemporanea
mail.: enzobriscese6@gmail.com www.facebook.com/enzo.briscese.9/ tel. 347.99 39 710
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LEONARDO CHERUBINI
Leonardo Cherubini nasce a San Giovanni Valdarno (Arezzo) il 17luglio 1963, vive in provincia di Firenze, a Reggello dove svolge l’attività di pittore e architetto.
Ha partecipato a varie mostre e rassegne di pittura in luoghi diversi eduranteeventiorganizzatidacomuni,associazio niculturalieinspazidedicatiall’arte,insintoniaconilprincipi ochel’artedebbauscireallo scoperto e diventare fruibile da tutti. Fra queste si può ricordare:mostrapersonalenellevied elcentrostoricoaSanGiovanniValdarno,partecipazionealla XXVRassegnad’arteinternazionaledipitturae scultura – La Telaccia D’oro a Torino, partecipazione al I° PremioModigliani a Montevarchi, alla rassegna d’arte “Progetto per un mani-festo” in occasione degli 80 anni dalla fondazione del quotidiano l’U-nità, partecipazione all’evento culturale “Antonio Possenti incontra ipittori dell’ Ardengo Soffiici”
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a Rignano Sull’Arno, alla rassegna d’arte“KunstvonUns”a RosdorfsinGermania,all’eventoculturale“Don-ne e muse” presso il Museo delle Miniere e del Territorio nel Borgo diCastelnuovodeiSabbioniaCavriglia. E stato presente più volte all’ “Art Parma Fair – Mostra Mercato di Arte Moderna e Contemporanea”. La pittura, afferma Balthus, “è un lungo processo che consiste nel far sì che ogni colore, paragonabile a una nota musicale, sì assembli agli altri e produca insieme il suono giusto……un colore assume il suo ruolo, il suo timbro, soltanto se ce n’è un altro accanto, in simbiosi”. Dipingere allora è come suonare uno strumento musicale, e come il musicista fa scaturire le note direttamente dalla sua anima, così il pittore attraverso il silenzio dei suoi colori si predispone ad ascoltare le voci che provengono dal suo mondo interiore e a penetrarne i segreti più intimi fino a raggiungere mondi sconosciuti.
“Potrei andare in Norvegia a dipingere i fiordi, potrei andare in America a dipingere i grattaceli, invece sto a Poggio a Caiano da decine di anni e dipingo sempre di nuovo quel campo, quel filare di viti, quel gruppo di alberi, ma ogni volta sento di andare più profondo nella realtà, di avvicinarmi maggiormente alla verità” (A. Soffici). Scavare così nel segreto profondo del proprio spirito, dipingere per raccontare quello che sta all’interno e svelarne il mistero; creare “oggetti a reazione poetica” ed estrarre, dalle profondità dell’anima, verità appena percepite, rivelando le proprie emozioni più intime. Arte come aspirazione sublime a produrre bellezza, con l’armonia dei colori, la brillantezza dell’oro, la padronanza della materia che si evolve e si trasforma in stratificazionisuccessive fino a generare alchimie oltre l’immaginario, nella ricerca di suggestioni e passione. Leonardo Cherubini LA POETICA DELL’IMMAGINARIO NEI DIPINTI DI LEONARDO CHERUBINI Il dipinto appare come un’emozione d’animo: un orizzonte che si apre alla luce ed all’aria, mentre leggeri vapori colorano di nostalgiche rimembranze i paesaggi di sogno nei dipinti da Leonardo Cherubini. La sua narrazione figurativa è fatta di sfuggevoli sensazioni: lo sguardo le raccoglie, mentre la fantasia creativa le esalta in un mondo evocativo nella poetica dell’immaginario. Ecco che allora, le immagini escono dalla fisicità dei paesaggi: le accompagna la fuga dei pensieri, dove le vedute si dissolvono in una particolare luminosità che diviene sogno del reale ed un velo leggero di vapori dissolve le visioni in un alone di magica poesia. Tutto pare lievitare nelle velature finissime dell’aria umida, dove la raffinata trama pittorica, rivela una costruzione e decostruzione delle immagini nella coniugazione, tra poesia ed enigma, fantasia del reale ed una nuova geometria, razionalità e pulsione senti- mentale, in cui si Svelano vedute nebbiose dai vapori dell’atmosfera con squisite morbidezze tonali, improvvise accensioni, tra i gialli dorati, i rossi fiamminghi, i preziosi valori dei verdi, i grigi perlacei e gli azzurri polverosi che rendono i
paesaggi incantati nei silenzi d’animo e nei misteri dell’esistenza. Ecco perché, in un clima metafisico e sognante, scorre la splendida pittura di Leonardo Cherubini: ora dolcemente apollinea, ora con un filo di malinconia, mentre i borghi antichi che parlano di storia e le incantate vedute appaiono in una dorata luminosità soffusa, mentre la luna nel blu giottesco, saluta poeticamente lo spettatore. Alla fine, sensazioni fermate nel loro momento evocativo ed attimi preziosi si fondono nel colore e nella luce in una pitturaconaccentua-zioni quattrocentesche, dove la narrazione simbolica diviene allusiva, quanto,fantastica,mentrelearm onienaturalie le figure femminili di classica bellezzaprimeggiano nelle visioni di fascino, svelando un candore compositivo nelle vocisegretedell’armoniapittorica. Carla d’Aquino Mineo
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AURORA CUBICCIOTTI Il Sociale nell’Arte di Salvatore Russo
L’intimità di dialoghi perduti in un “tempo contemporaneo” che inizia a scorrere forse troppo velocemente. Una spiritualità interiore, viene rappresentata attraverso dipinti ad olio e carta che ci parlano di uomini e donne, che vivono nel nostro tempo. Lacerazioni dell’anima. Speranze ricercate, per poi essere ritrovate. La pittura di Aurora Cubicciotti si muove in un contesto sociale, poco esplorato dagli altri Artisti. L’idea di pittura classica tradizionale, viene abbandonata, per dare maggiore spazio a quel processo di significazione, alla base di ogni lavoro di Cubicciotti. “Mi piace incollare la carta - spiega - e seguirla, perché, a mano a mano che la strappo, è lei a suggerirmi la strada da intraprendere: sono affascinata dall’effetto che si ottiene, restituisce il concetto di non finito, di antico e consumato. La formazione che ho ricevuto, la mia professione da insegnante, la conoscenza del restauro, della chimica dei colori - a volte mi preparo i pigmenti da sola - mi conduce a sperimentare, a far convivere diversi linguaggi, ad innovare, il tutto senza dimenticare la bellezza delle forme dell’arte classica”. La sua visione artistica è ben delineata: “Serve la tecnica, bisogna studiare le basi per dare corpo e anima alla propria creatività. L’artista - come spiega Aurora - ha il dovere di usare al meglio i propri mezzi espressivi affinché la sua arte agisca fortemente sulla sensibilità dello spettatore; l’opera d’arte deve essere la voce scavata tra i colori che in maniera assillante scuote gli animi umani per obbligarli a vedere la realtà”. Possiamo collocare la pittura di Cubicciotti all’interno dello spazio/tempo Caravaggesco, nel quale la dicotomia buio/luce diventa il punto di partenza per un nuovo racconto pittorico. Il contrasto tra luce e oscurità non crea dissonanza, piuttosto i due elementi opposti si completano, mettendo in evidenza un
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fatto importante: la luce diventa protagonista del messaggio della pittrice.
Lo sfondo non esiste più. Ci troviamo davanti a un chiaroscuro enigmatico che sollecita l’anima. Una dicotomia che può essere paragonata a quella tra vita e morte. È proprio questo ultimo tema che è al centro dell’ultima analisi pittorica della Cubicciotti. Un mondo contemporaneo che da circa un anno sta combattendo una delle sue più dure battaglie contro un nemico invisibile, il covid19, che sta preoccupando, e non poco, tutto il mondo. Le opere “Andrà tutto bene” e “Amore19” sono la rappresentazione pittorica di questo particolare momento storico. Addormentarci o abbracciarci con la mascherina sarà la nuova normalità? Il grande merito dell’artista è quello di saper narrare, meglio di chiunque altro, il “sociale” nell’arte contemporanea. Un’artista che ho scoperto casualmente e che ho voluto fortemente portare con la sua opera “Il Pulcinella crocifisso” all’inaugurazione del Magma Museum di Roccamonfina. Le pitture di Cubicciotti fanno discutere. Fanno riflettere e pongono interessanti interrogativi. Portano sotto la lente di ingrandimento problematiche legate alla pedofilia, camorra, mafia, corruzione politica, traffico di organi, inquinamento, Auschwitz e le sue memorie. L’arte di Cubicciotti è un’arte di Denuncia. Denuncia i mali della vita e le ingiustizie sociali con le quali noi conviviamo tutti i giorni. Come la più coraggiosa delle eroine, Aurora indossa la sua armatura, impugna il suo pennello e ritrae queste tristi realtà. Il mondo contemporaneo, apparentemente dominato dalla bellezza, ha in realtà dentro di sé un profondo male: un cancro sociale che deve essere combattuto. Come ci ricorda Aurora, la tecnica pittorica deve essere alla base di ogni buona realizzazione; ma questa da sola non basta. Un’opera ha bisogno di sentimento. Un’opera deve saper raccontare. Deve saper “parlare” allo spettatore. Deve instaurare con esso un dialogo intimo. Penso che il mondo non abbia più bisogno di iperrealisti del segno; ma che abbia bisogno di chi, ci sappia parlare di ciò che viviamo. Di chi, sia in grado di raccontare la realtà che ogni
giorno ci troviamo a dover affrontare. Una realtà nuda e cruda. Una realtà che può fare paura, ma che deve essere affrontata attraverso il coraggio di chi, come Aurora Cubicciotti, ha deciso di lottare per far sentire il suo “urlo” di giustizia.
mail.: cubyaurora@gmail.com Sito: www.facebook.com/ aurora.cubicciotti tel. 339.18 38 913
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ANGELO BUONO
Davanti alle opere di Angelo Buono, c’è da chiedersi dà cosa nasca la sua volontà pittorica, s’è non dal fascino dei colori e della luce. C’è quindi alla radice del suo far pittura un input,una sorta di sollecitazione intrinseca che lo porta ad esplicitare nella sua varietà del segno e nella molteplicità delle assonanze cromatiche,tutto un mondo interiore. Affiorano così allo sguardo tutta una serie di esplicitazioni spesso decisamente informali perché interviene direttamente nella materia con un segno espressivo e un gesto spontanee, in cui le modulazioni cromatiche stesse sembrano essere ricondotte al servizio di un serrato impianto costruttivo organizzato talvolta su una griglia spaziale,e la fantasia a fare da supporto ideale x questa trascrizione di segni e di impulsi che si rifanno alla sfera tipicamente sensoriale. Sappiamo che segno,e gesto e materia sono alla radice della poetica “informale”, perché un linguaggio del genere nasce e si origina dal dominio della pulsione. Ebbene in Buono si avverte, sia pure in una alternanza
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semantica significativa questa condizione particolare, questo muoversi e voler scoprire un “reale fantastico” ,una trasfigurazione immaginifica, in tal modo l’opera vive allora come in una doppia tensione,tra flusso espressivo e suo annientamento, sulla scia di una intuibile ricerca di dimensioni e di spazi evocativi destinati a respiri più ampi e come se dai gorghi della memoria dovessero emergere i termini di una poetica continuamente oscillante tra visibile e invisibile,tra superficie e profondità. Alla radice c’è senza dubbio una irrequietezza come supporto ideativo, per cui il rapporto che viene a stabilirsi è attivato al rimando tra fattori di contrazione e di espansione,di parcellizzazione e di ricomposizione globale. Salvatore Flavio Raiola mail.: angelo.buono49@gmail.com www.facebook.com/profile.php?id=100009137654439 tel. 346.72 40 502
La figurazione è per Buono una necessità primaria, è parte integrante della sua concezione della realtà prima ancora di essere una scelta estetica.Egli è figurativo perché vuole comunicare e rappresentare, perché vuole esprimere sensazioni precise, pensieri precisi non solo stati d’animo o percezioni generiche. Egli è convinto che non si possono esprimere i sentimenti senza dipingere i volti.la figurazione di Buono è una figurazione moderna perché ha saputo assimilare quando di valido c’era nella ricerca artistica
contemporanea, ha tirato il suo bene anche da esperienze che nek suo insieme rifiuta. Il suo colore inscindibile dai valori grafici, privo di sensibilismi e approssimazioni, qualità che fanno si che i suoi quadri assumano caratteri ben definiti di forza, plasticità e di veemente suggestione cromatica. Egli dice: la mia pittura può essere tragica, allegorica,erotica,quasi nichilista, psicologica, ma sempre rigorosamente figurativa. Gianluigi Guarneri
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FAUSTO BERETTI
O DEL TURBINOSO VORTICE DELLE PASSIONI La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. Dante Alighieri, Inferno, V canto, vv. 31-33
SIBILLA DELFICA lato frontale semigres nero h72x38x30 cm - 2020
SIBILLA. lato posteriore semigres nero h72x38x30 cm - 2020
La ricerca di Fausto Beretti è tutta ispirata alla buona tradizione del modellato di figura nel quale è andato specializzandosi in lunghi e proficui decenni d’intensa attività. La passionalità travolgente del suo approccio al lavoro è del tutto sorprendente, anche perché non traspare affatto agli occhi di chi poco lo conosce. Le figure paiono quasi modellarsi da sole sotto le sue mani. Il facitore disegna, dipinge, modella quasi come se non ci fosse scampo, con l’urgenza di esprimersi nel linguaggio a lui più congeniale, forse più ancora di quello verbale. Gli anni di studio, il lavoro costante, l’impegno del magistero artistico non paiono in alcun modo aver smorzato in lui l’entusiasmo poetico e l’incontenibile necessità di fare, che interi connotano tutta la sua produzione. La nostra quotidiana frequentazione mi ha trasmesso parte della sua potente energia: non credo che gliene mancherà per proseguire nella sua instancabile ricerca espressiva. La materia plastica, l’argilla che sotto le sue mani si fa sicura terracotta, pare assumere spontaneamente tutte le forme che il suo desiderio le impone. Una sensualità intensa fluisce sicura, dal progetto su carta, alla tela, fino alla concreta tridimensionalità. La prima opera presentata in mostra, “Passaggio”, una scultura in semigres in tre elementi, è quasi una piccola preziosa installazione. La qualità barocca del
modellato si sposa con l’idea più moderna del trittico di steli. Con questo binomio diacronico, Beretti si offre come un classico della contemporaneità. Le morfologie anatomiche, reali e immaginarie, intraprendono come altrove un percorso trascendente, quasi come in un’allusione ad un profano giudizio universale. Oppure no, forse è tutta una metafora di una “ascesa e caduta” affatto umana. Pare un traforo in avorio “Labirinto”, la seconda opera, e si presenta ai nostri occhi in tutta la sua complessità. Figure antropomorfe e volti si incrostano come mitili intorno a un palo lagunare. Espressioni e corpi riportano alla mente l’iconografia dantesca e, in particolar modo, il secondo cerchio, quello dei lussuriosi. Come in un turbine di passione, così le figure girano vorticosamente attorno ad un centro. Dal primo bozzetto, in cui le linee solo alludono ai volumi, alle tele monocrome di un olio sanguigno, fino al plastico cilindro – tra addizioni e sottrazioni – l’opera ha preso forma. Gli altorilievi paiono risalire la colonna, quasi inerpicandosi gli uni sugli altri, creando una perfetta illusione di movimento. Vittime e carnefici così troppo umani da spaventarci, ci affascinano e, seducendoci, ci guidano in un percorso a tutto tondo dentro un luminoso eppur torbido subcosciente. Mauro Carrera
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La caduta di Fetonte - semigres nero cm h.105x27x26,5 anno 2023
TRASMUTAZIONE semigres nero 105x107 cm anno 2018
LABIRINTO - semigres nero h112x42x38 cm -2018
PRAEVARICATOR terracotta cm 80x61x57 - 2014
Nasce a Reggio Emilia nel 1962. Nel 1980 consegue il diploma di Maturità Artistica al Liceo Artistico di Bologna e frequenta il Corso di Scultura diplomandosi nel 1984 come Maestro Scultore all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Negli anni della sua formazione è stato allievo di Ugo Guidi, Enzo Pasqualini e Quinto Ghermandi. Dal 1984 al 1988 lavora per la curia di Reggio Emilia eseguendo copie di quadri antichi per numerose chiese della diocesi, appassionandosi alle tecniche antiche. Dal 1987 al ’90 insegna Discipline Plastiche all’Istituto d’Arte “G.Chierici” di Reggio Emilia. Dal 1990 al 1992 ha vissuto e lavorato a Parigi eseguendo una serie di quattro grandi tele dedicate al ballerino russo Nijinsky, per il collezionista R. Bocobza.
Nel 1991 incontra a Parigi lo scultore Jacques Canonici con il quale condividerà una solida amicizia e un intenso periodo di creazione artistica. Dal 1992 al ’94 collabora con la ditta “Archè Restauri” di Parma, lavorando in Italia e all’estero. Nel 1995 ottiene la cattedra di discipline plastiche all’Istituto d’Arte “P.Toschi” di Parma dove tuttora insegna. Nel 2019 entra a far parte della prestigiosa associazione di artisti bolognesi “Francesco Francia”. Disegnatore, pittore ma soprattutto scultore, si rifà alla tradizione rinascimentale e manierista italiana, Michelangelo, Giambologna, Pontormo, e ai grandi scultori francesi dell’ottocento Dalau, Carpeaux e Rodin, studiando la figura in movimento e rievocando temi classici e mitologici.
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GABRIELE IERONIMO
Gabriele Ieronimo nato nel “59, figlio di un paesino dei monti Dauni, fin da piccolo mostra una spiccata passione per il disegno e i colori, che lo portò a frequentare l’Istituto d’Arte Fausto Melotti di Cantù.
Magazine” e “Rivista 20”. Nel 2019 partecipa alla collettiva “Astrattissima” a Chieri, curata da Enzo Briscese, Giovanna Arancio e presentata dal critico d’arte Giovanni Cordero.
Da giovane frequenta per diversi anni lo studio del Professor Paolo Minoli. Il lavoro da project manager lo tiene lontano, per un po’, dal mondo dell’arte, ma nel 2000 la passione per la pittura, mai sopita, riemerge prepotentemente. Ieronimo realizza numerose opere ripartendo da soggetti geometrici e figurativi finché la sua continua ricerca lo porta alla realizzazione di opere astratte. Significativa è la personale allestita nel 2017 alla corte san rocco di Cantù “Dinamismo e colori dell’anima” con una quarantina di opere astratte che rispecchiano le diverse fasi evolutive della sua crescita artistica. La tecnica pittorica si evolve con la necessità dell’inserimento gestuale che porta a valorizzare le opere con interventi di action painting che permettono all’artista di esprimere al meglio le proprie emozioni. Le sue opere sono esposte in numerose iniziative artistiche e pubblicate su riviste d’arte quali “IconArt
Nel 2020 partecipa ad “Arte Parma” con la galleria Ariele ed al premio “Icon Art 2020” indetto dalla rivista IconArt Magazine. Nel 2021 partecipa al premio “maestri a Milano” con la video esposizione al teatro Manzoni di Milano. Nel 2022 partecipa al premio “Giotto per le arti visive” con alcune opere sia astratte che figurative. Nello stesso anno partecipa ad alcune aste organizzate dall’associazione ART CODE di Armando Principe che attestano valutazione e certificazione alle varie opere. A maggio del 2022 partecipa, sempre con l’organizzazione Armando Principe, ad un’importantissima fiera “Affordable art fair” ad Hampstead Londra.
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mail.: Gabriele.ieronimo@live.com sito.: https://gabrieleieronimo.it/ tel. 348.52 62 074
Le delicate sinuosità che accompagnano le opere di Gabriele Ieronimo connotano un animo gentile e premuroso verso le forme che delinea sulla tela. Scatti di imprevedibilità scandiscono il ritmo del contesto armonioso fatto di colore, figure e simbolismi, definendo molteplici spunti riflessivi ricchi di aspetti reconditi. In opere come “Violoncellista sexy” la sensualità è resa protagonista attraverso la resa informale della donna nell’atto di suonare lo strumento: un gesto profondamente sentito che viene rappresentato quasi come un atto d’amore nei confronti del violoncello stesso. Il modo in cui viene toccato e guardato lascia trasparire un forte pathos, messo ancor più in risalto attraverso il gioco cromatico. Artista dalle molteplici capacità, il quale non sente la necessità di esprimere il proprio messaggio solo facendo ricorso a figure, ma si impone come padrone della pittura riuscendo a mettere in atto il proprio linguaggio artistico
anche solo riversando sulla tela forme e colori. Nelle opere astratte, emerge il, lato più nascosto dell’artista, il quale cela dentro di sé diversi aspetti percettivi che vuole trasmettere attraverso l’uso di cromatismi danzanti. La gestualità è la vera regina della sua arte: grazie ad essa si riesce a percepire quanto di più intenso si impregna nella sua spiritualità, realizzando opere che sono il prodotto finito dei suoi dettami interiori. Attraverso le vibrazioni tonali, si entra in contatto con emozioni palpabili che chiedono a gran voce di essere ascoltate e poi raccontate. Arte che non conosce confini nè regole, ma che impone come la vera affermazione di unachiara intenzione sentimentale, Osservando le sue opere, si ha la certezza di avere davanti lavori che rappresentano a pieno l’arte,con la A maiuscola. Dott.ssa Rosanna Chetta(criticod’arte)
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ENRICA MARAVALLE
La fruttiera - 2019 - Olio su tela -cm 60 x 80
Nata a Roma, si è diplomata al Liceo artistico ed ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento del disegno nelle scuole medie e nei licei scientifici. Dopo successivi corsi di specializzazione ha insegnato per alcuni anni in vari istituti a Roma e, in seguito, a Canelli, in Piemonte. Il suo è stato un lungo percorso artistico con la partecipazione a mostre collettive e personali. Sue opere sono presenti in collezioni in Italia e all’estero. Nelle opere di Enrica Maravalle si percepisce una personalità forte, introspettiva, ricca di riferimenti culturali. La ricerca della forma e del colore è improntata ad un rigore geometrico che si potrebbe avvicinare al cubismo, al simbolismo ed alla metafisica, che sono elementi che le appartengono e le consentono di elaborare un linguaggio proprio.
Fantasia - 2011 - olio su tela - cm70x100
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Il rigore ed il pensiero che precedono l’opera sono una lunga elaborazione mentale. I sentimenti sono espressi attraverso il dipinto in forme e colori. L’artista si emoziona, la fantasia prende il sopravvento, i colori diventano il linguaggio espressivo più forte: tinte pure e di impatto o mischiate in toni e sotto toni. C’è sempre una evoluzione nella sua arte, non c’è ripetitività, i soggetti variano. Enrica percorre strade diverse, dai personaggi fantastici e giocosi, alle opere astratte, ricche di movimento e di musicalità, alle composizioni ieratiche che fissano un tempo indeterminato. I soggetti, dalla figura umana, al paesaggio, alla natura “viva”, appaiono sulla tela come una sorta di rappresentazione con le parti assegnate ben definite, mai scontate, mai casuali. Una particolare visione ideale della realtà; l’artista libera la sua idea dalla prigione della mente per mostrare l’opera estetica. Chi osserva deve comprendere l’invisibile oltre al visibile. È una visione del mondo, un processo creativo che porta alla realizzazione di lavori emozionanti al di là del tempo e dello spazio. Il suo è un discorso in continua evoluzione, sempre alla ricerca di vie nuove. Enrica Maravalle è presente nel “CAM - Catalogo dell’Arte Moderna” edito dalla Editoriale Giorgio Mondadori e dedicato agli Artisti italiani dal primo Novecento ad oggi.
Mail: enrica.merlino@gmail.com Sito: https://enricamaravalle.com/ Tel. +39 320 703 4545
Il ritratto, 2023 - Olio su tela - cm70 x 70
La torre dei Contini - 2021 - Olio su tela - cm80 x 80
Ricordo di un’infanzia felice - 2019 - Olio su tela- cm 79x59
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MONICA MACCHIARINI
Le opere di Monica Macchiarini rappresentano Donne senza tempo, Dee, Sibille, Sacerdotesse e Oracoli… opere che invitano alla riflessione/meditazione sul valore dei “segni” che la Natura ci offre generosa e che da sempre sono sotto i nostri occhi anche se non li sappiamo più “leggere” perché guardiamo distrattamente. Segni comunicanti che svelano il nostro essere interdipendenti e in connessione permanente, Segni che richiamano alla Sacralità della vita, al Divino Femminile, alla Madre Terra e alla Creazione in tutte le sue forme preziose di Energia vitale. Il materiale che Monica Macchiariniprivilegia per le sue
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creazioni è l’argilla, terra primitiva che ci riporta a gesti antichi, ripetuti sempre uguali da millenni, gli stessi identici con cui anche oggi realizziamo vasi e sculture. L’argilla è materia viva, quando è ancora fresca contiene terra e acqua ma ha bisogno di aria per seccare e di fuoco per cuocere: i quattro elementi primordiali necessari alla creazione della vita. Per questo l’argilla è materiale povero ma allo stesso tempo il più prezioso perché simbolicamente rappresenta l’Origine. Un materiale perfetto per raccontare emotivamente percorsi interiori che vengono alla luce attraverso simboli ancestrali, archetipi, ‘incantamenti’.
Negli anni Monica Macchiarini ha partecipato a mostre collettive ed eventi artistici e culturali incrociando spesso percorsi alternativi che l’hanno sempre ricondotta alla sua vera passione, la Scultura. Nel 2001 fino al 2007, a Sasso Marconi, inizia un’importante esperienza di artigianato artistico con la bottega “L’Altrarte” che contribuisce a fondare realizzando: “Le ceramiche di Nicolosa Sanuti” e “Le ceramiche di Guglielmo Marconi” per il MUSEO della Fondazione Guglielmo Marconi. Corsi e Workshop di tecniche artistiche: ceramica, scultura, disegno, intaglio del legno. Attività terapeutica rivolta alle persone con disabilità con ciclo completo dalla creta alla ceramica in collaborazione con Comuni, Asl, Associazioni. Nel 2007 inaugura un percorso individuale che la vede impegnata come scultrice-ceramista e come docente di laboratori didattici e corsi specifici in campo artistico. Realizza il nuovo Stemma del Comune di Sasso Marconi (bassorilievo in semigres dipinto) collocato nella facciata del Comune e le piastrelle con “I segni della Dea” collocati nella facciata della Sala Mostre Renato Giorgi. Nel 2008 diventa Coordinatrice Artistica di un importante Atelier di Art Brut per persone adulte con disabilità “Marakanda: arte e capacità in corso d’opera” a Borgonuovo di Sasso Marconi (BO) della coop. Sociale Open Group, per il quale organizza numerosi eventi e mostre. Nel 2020, in piena pandemia da Covid_19, Monica Macchiarini apre uno Studio artistico in via Saragozza 153 a Bologna, insieme all’artista e compagno di vita Fausto Beretti. Una risposta creativa per reagire alla paura e all’isolamento di quei giorni. Un piccolo spazio con vetrina dove lavorano ed espongono le loro opere. Nel 2022 entra a far parte della “Francesco Francia” associazione per le Arti di Bologna dal 1894.
Mail - monicamacchiarini@gmail.com Sito -https://www.monicamacchiarini.it/opere/ tel. - + 39 338 4894234
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LA MOSTRA ITALO-POLACCA “COMPLEANNO”
sarà a LECCE alla sede della FONDAZIONE PALMIERI dal 9 al 18 febbraio 2024
Enzo BRISCESE
Paola VALORI
Maria Luisa SIMONE DE GRADA-
L’esposizione internazionale itinerante , ideata e organizzata dai curatori Daniela Gilardoni (La Casa delle Artiste di Milano) e Leszek Żebrowski (Galeria Labirynt), che ha visto esposti, dal 13 al 22 ottobre 2023, opere e video di ventisei artisti, tra polacchi e italiani, alla galleria (della Zona 6 del Comune di Milano ) Ex Fornace Gola sul naviglio Pavese, sarà accolta come seconda tappa nella sede della Fondazione Palmieri di Lecce presso l’antica chiesa di San Sebastiano, vicolo dei sotterranei, dal 9 al 18 febbraio 2024. il progetto è patrocinato ldal’Associazione Odin Innovation Forum di Cracovia , in sinergia con l’Associazione La Casa Delle Artiste di Milano e con il patrocinio del Consolato Generale di Polonia a Milano e del Consiglio Zona 6 del Comune di Milano, in occasione del centenario della poetessa Wisława Szymborska , premio Nobel per la letteratura 1996. La mostra “COMPLEANNO”-Tanto mondo tutto in una volta (“Birthday” - So Much at Once world from all over the world), dedicata e ispirata al suo lavoro è patrocinata,
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Raffaella PINNA
Giulia LUNGO
Andia Asfar KESHMIRI
e inclusa nel programma ufficiale degli Eventi dell’Anno, anche dalla Fondazione Wisława Szymborska di Cracovia. Espongono : per la Polonia Jacek Balicki, Aleksandra Zuba-Benn, Magdalena Cywicka, Dariusz Stanisław Grabowski, Jerzy Plucha, Marek Pokrywka, Maria Luiza Pyrlik, Antonina Janus-Szybist , Anna Śliwińska ,Jolanta Więcław, Grzegorz Wnęk, Joanna Zemanek, e Teresa M. Żebrowska. Per l’Italia: Alessandra Bisi. Enzo Briscese, Andia Asfar Keshmiri, Cinzia Fantozzi, Cristina Gentile, Daniela Gilardoni, Giulia Lungo, Gabriella Maldifassi, Raffaella Pinna, Paola Scialpi, Maria Luisa Simone De Grada, Vittorio Tonon, Paola Valori, Durante il vernissage godremo anche di letture e approfondimenti sulla poesia e la vita della poetessa. Godremo del patrocinio dell’ambasciata polacca.e della presenza di rappresentanti delle istituzioni cittadine e di consolato. Daniela Gilardoni
Daniela GILARDONI
Alessandra BISI
Vittorio TONON End
Cinzia FANTOZZI
Paola SCIALPI
Cristina GENTILE
Gabriella MALDIFASSI
Magdalena CYWICKA
Teresa M. Żebrowska LABYRINT
Grzegorz WNEK
Maria Luiza PYRLIK
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Dariusz Grabowski
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Anna Śliwińska
Antonina Januz-Szybist
Joanna Zemanek
M. Pokrywka
Aleksandra Zuba-Benn
Jolanta Więcław
Jerzy Plucha
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Il Ritorno alla Figurazione da Sironi a Guttuso di Giovanni Cardone
Essendo uno studioso del Novecento da un mio Saggio scritto a quattro mani con Rosario Pinto Valori Plastici E il Clima di Ritorno all’Ordine edito da Printart Edizioni Salerno apro il saggio dicendo: Fu proprio sulla questione legata alla città portuale che l’Italia aveva trovato la grande ostilità di Wilson, il quale, il 19 aprile 1919, avanzò la proposta di creare uno stato libero di Fiume, spiegando che la città istriana doveva essere un porto utile per tutta l’Europa balcanica e che le rivendicazioni dell’Italia nei territori a est del Mare Adriatico andavano contro i quattordici punti, tanto da essere additate come ‘imperialiste’. Fece pubblicare, sui giornali francesi, un suo articolo che ribadiva questi concetti. Nello stesso giorno, il primo ministro italiano lasciò polemicamente Parigi: al suo rientro in Italia, le piazze lo accolsero con grande calore, ma nelle più grandi città italiane si verificarono disordini presso le ambasciate britanniche, francesi e statunitensi. Orlando fece ritorno a Parigi il 7 maggio 1919, ma al suo arrivo nella capitale francese, il politico italiano trovò un clima decisamente ostile nei suoi confronti, tanto che si rese conto dell’impossibilità di proseguire sulla propria linea e rassegnò le dimissioni. Il nuovo governo fu presieduto da Francesco Saverio Nitti, nuovo ministro degli esteri fu Tommaso Tittoni. Il 10 settembre 1919, Nitti sottoscrisse il Trattato di Saint-Germain, che definiva i confini italoaustriaci (quindi il confine del Brennero), ma non quelli orientali. Le potenze alleate, infatti, avevano autorizzato l’Italia e il neo-costituito il Regno dei Serbi, Croati e Slo-
veni (che nel 1929 avrebbe assunto il nome di Jugoslavia) a definire congiuntamente i propri confini. Immediatamente (12 settembre 1919), una forza volontaria irregolare di nazionalisti ed ex-combattenti italiani, guidata dal poeta Gabriele d’Annunzio, occupò militarmente la città di Fiume chiedendo l’annessione all’Italia. Tra il popolo era dunque cresciuta la delusione per la ‘vittoria mutilata’ e la sfiducia verso le istituzioni era largamente aumentata, soprattutto dopo la firma del trattato di pace con la sola Austria. Tra alterne vicende, la questione adriatica di definizione dei confini orientali si protrasse fino al novembre del 1920. Il nuovo ministro degli esteri italiano Carlo Sforza, uomo esperto di politica estera e personalmente in contatto con i politici serbi sin dal periodo bellico, per ottenere l’auspicata normalizzazione dei rapporti italo-jugoslavi, aveva, frattanto, ritirato le truppe italiane d’occupazione in Albania e promesso la rinuncia italiana all’annessione della città di Fiume. Pur facendo tali concessioni a testimonianza della volontà italiana di risolvere il problema adriatico e riprendere le trattative, Carlo Sforza precisò agli interlocutori di considerare essenziale che il confine tra i due Regni fosse fissato sulle Alpi Giulie e fosse coincidente con quello naturale; considerava, altresì, essenziale l’integrazione in favore dell’Italia di alcune isole adriatiche, quali Cherso e Lussino, più altre da definire. Fece sapere, infine, di essere disposto ad affrontare qualsiasi passeggera impopolarità nel suo paese, pur di difendere gli interessi permanenti dell’Italia e della pace tra i due Regni.
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Da questo momento in poi l’Italia come disse lo stesso D’Annunzio fece la famosa ‘Vittoria Mutilata’ molti deputati si trovarono d’accordo con il grande poeta anche l’allora direttore dell’Avanti Benito Mussolini che alla fine ci portò al Fascismo e alle famose Leggi Razziali. Nel mondo dell’arte che cosa succedeva? Che i primi cinquant’anni del XX secolo si potrebbe prendere spunto da una frase lapidaria ma pregna di significato di Robert Hughes a proposito del Futurismo, il primo grande movimento italiano d’avanguardia, che nel nostro Paese inaugurò l’avvento del Ventesimo secolo. Tra le due guerre l’arte europea, accantonando l’impeto destabilizzante delle Avanguardie, è pronta a rivalutare il realismo classico, in Italia Margherita Grassini Sarfatti auspica appunto un ritorno al classicismo. Con entusiasmo dà corpo al suo progetto, che intende coniugare la modernità con la monumentalità del Rinascimento. Infatti, nel 1922 fonda il gruppo noto come Novecento, al quale inizialmente aderiscono sette pittori A. Funi, P. Marussig, L. Dudreville, E. Malerba, M. Sironi, U. Oppi e A. Bucci; alcuni di loro se ne allontanano presto per timore di essere strumentalizzati, ma il gruppo si ricostituisce nel 1926 con il nome di Novecento Italiano e raccoglie, data la protezione assicurata dal regime, un numero assai alto di adesioni. Nonostante le pressioni di chi vuole ridurre la cultura a semplice strumento di regime, per qualche tempo la Sarfatti riesce a mantenere questa iniziativa lontana dai toni più volgarmente propagandistici, tenendo fede alle motivazioni artistico culturali che la animano. Negli anni successivi la Grassini si interessa all’architettura razionalista, privilegiando progettisti volti al contemporaneo come Terragni, Figini, Michelucci e Pollini. Proprio al giovanissimo Terragni, di cui capisce e protegge il talento, Margherita commissiona il monumento
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funebre per il figlio Roberto, ignorando altri professionisti più in vista, ma non ugualmente radicali. Inoltre promuove la valorizzazione delle arti applicate con il fine di coniugare modernità e tradizione, rinnova la Biennale di Monza e istituisce la Triennale di Milano, facendovi costruire il Palazzo dell’Arte. Sebbene aspiri a raccogliere in Novecento l’intera ultima produzione artistica italiana, Margherita è comunque aperta a tutti i fenomeni emergenti e interessata alle differenze estetiche ma nel frattempo il Ministero della cultura si trasforma in un rissoso centro di potere, da cui le arrivano attacchi sempre più numerosi. Mentre all’estero le finalità artistiche di Novecento riscuotono grande successo, in Italia alla Sarfatti viene meno buona parte degli appoggi. L’emarginazione di questa lucida intellettuale coincide in architettura con l’adozione da parte del regime di un freddo e retorico stile littorio, ben lontano dalla sobrietà formale del razionalismo. Il tentativo grassiniano di dare al fascismo una piattaforma ideale ormai è diventato ingombrante, Margherita non concorda con le imprese coloniali, non approva l’intensificarsi dei rapporti con la Germania nazista, si scontra con l’ostilità di gerarchi avidi e senza scrupoli come Farinacci e Starace e nel contempo percepisce la perdita di interesse nei suoi confronti da parte di Mussolini. Nel 1938, di fronte al clima così mutato, la Sarfatti fugge all’estero; la sua famiglia invece vive in pieno le vicende del totalitarismo antisemita, tanto che una sorella Nella Grassini Errera rimarrà vittima del lager ad Auschwitz. Margherita soggiorna prima a Parigi dove frequenta tra gli altri Jean Cocteau, Colette e Alma Mahler e infine si stabilisce in Sud America, dato che il suo desiderio di essere accolta negli USA non ha trovato risposta. Ritorna in Italia alla fine della guerra e nel 1955 riesce a far stampare una autobiografia dal titolo ‘Acqua Passata’,
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dove il rapporto con Mussolini è quasi ignorato. Resta invece inedito a lungo il primo manoscritto delle sue memorie intitolato ‘Mea culpa’, pubblicato solo post mortem con il titolo My fault. Negli ultimi anni Margherita si isola nella sua villa di Cavallasca, vicino a Como, dove morirà nel 1961. L’interesse per l’arte oppure per le ‘arti’ nasce precocemente e si esprime compiutamente in occasione dell’Esposizione Internazionale di arti decorative e industriali moderne tenuta a Parigi nel 1925 e delle Biennali di Monza e poi le Triennali di Milano, occasioni cui ella partecipa direttamente. I suoi interventi in questi ambiti sono stati oggetto di studi specifici ad opera di storici delle rispettive discipline pur tuttavia, ho deciso di riportarle in questo saggio per meglio capire la sua figura di Critico d’Arte e di donna ed i vari movimenti artistici che hanno caratterizzato il primo novecento. Come non ricordare il “ritorno a Ingres“ di Picasso, con la serie dei piccoli disegni naturalistici e dei ritratti di Ambroise Vollard e di Max Jacob, dipinti dal pittore spagnolo verso il 1915, testimonianza di uno dei “ritorni” più celebri della storia dell’arte del ’900, o quello altrettanto significativo del pittore italiano Gino Severini, che nel 1916 dipinse “in una forma semplice che rammenta i nostri primitivi toscani” il Ritratto di Jeanne e La maternità? Ma quale fu la pittura che deviò il suo corso nel nuovo classico del ’900? Secondo Franz Roh, il teorico tedesco del realismo magico, tutta la migliore pittura europea, dal cubismo al futurismo, all’espressionismo, fu interessata da questo “ritorno all’ordine” e la maggior parte degli autori che avevano propugnato le tesi dell’avanguardia si ritrovarono verso la fine del secondo decennio del secolo a ripassare la lezione degli antichi maestri. Nell’elenco delle tendenze realiste comparse tra
la fine dei secondi anni Dieci e i primi anni Venti, Roh cita il naturalismo di Derain, il purismo di Ozenfant e Janneret, il classicismo di Valori Plastici, la scuola di Rousseau, il verismo di Dix e Grosz, il nuovo linearismo di Beckmann e Hofer. All’origine di questa sorta neo figurativa, che attribuiva alla pittura una funzione ermeneutica della realtà profonda attraverso lo studio delle apparenze, stava l’idea del ritorno inteso non come reazione all’avanguardia, bensì come richiamo dell’antico e del classico alla contemporaneità. Mario Sironi fu tra i molti che si ritrovarono a dover fare i conti con le grandi committenze pubbliche, destinate a celebrare i sogni di gloria del regime, i suoi luoghi comuni, le sue virtù. Avvezzo ad una straordinaria e colta frequentazione dei repertori classici, frammista ad una pressoché unica capacità di governare con il suo gesto creativo la tettonica degli spazi delle grandi composizioni, il suo contributo emerse per qualità e altezza dei risultati pittorici, certo non secondi a quell’autentica vocazione magico realista, che nel corso degli anni Venti, nelle sue misteriose composizioni, come per esempio nel superbo dipinto del 1924 L’allieva, aveva offerto uno dei più significativi contributi del XX secolo alla rappresentazione della tragica melanconia dell’uomo contemporaneo. Mentre la pittura di Guttuso fu inizialmente orientata in senso fortemente espressionista, sfuggendo ad ogni sospetto di classicità: il suo tragitto partiva da rappresentazioni nelle quali forma e colore, nell’esasperazione delle linee e dei toni, si mescolavano sulla tela come parti indistinguibili di una realtà nella quale, forse solo in misura pari alle visionarie tele di Scipione, si coagulava la ribellione alle regole e alla misura di Novecento.
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HAYEZ. L’officina del pittore romantico 17 Ottobre 2023 - 1 Aprile 2024
Arte, storia e politica si intrecciano nella grande mostra che la GAM di Torinodedica al genio romantico di Francesco Hayez (Venezia 1791 - Milano 1882), accompagnando il pubblico alla scoperta del mondo dell’artista, all’interno dell’officina del pittore, per svelarne tecniche e segreti. Un percorso originale che pone a confronto dipinti e disegni, con oltre 100 opere provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private cui si aggiungono alcuni importanti dipinti dell’artista custoditi alla GAM, come il Ritratto di Carolina Zucchi a letto (L’ammalata) e l’Angelo annunziatore. Aperta al pubblico dal 17 ottobre 2023 al 1° aprile 2024, l’esposizione “Hayez. L’officina del pittore romantico” è organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, a cura di Fernando Mazzoccaed Elena Lissoni, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, da cui proviene un importante nucleo di circa cinquanta disegni e alcuni tra i più importanti dipinti, molti dei quali si trovavano nello studio del pittore, per quarant’anni professore di pittura all’Accademia. Oltre alle opere inedite o poco viste, si potranno ammirare in mostra alcuni dei capolavori più popolari, come La Meditazionedei Musei Civici di Verona - Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e l’Accusa segreta dei Musei Civici del Castello Visconteo di Pavia, cui è accostato Il Consiglio alla Vendetta, prestigioso prestito proveniente da Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz–Vienna.
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Attraverso dieci sezioni in successione cronologica, il percorso espositivo inizia dagli anni della formazione tra Venezia e Roma, dove Hayez ha goduto della protezione e dell’amicizia di Canova, fino alla prima affermazione a Milano e alle ultime prove della maturità. Una speciale sezione focus è dedicata ai disegni per la Sete dei Crociati, la sua opera più ambiziosa e impegnativa, che il pittore aveva programmato come il suo capolavoro, eseguita tra il 1833 e il 1850 e destinata al Palazzo Reale di Torino, dove si può ancora ammirare. La mostra rievoca l’intensa vicenda biografica e il percorso creativo dell’artista, indiscusso protagonista del Romanticismo. “Pittore civile”, interprete dei destini della nazione italiana, capace di estendere il respiro della sua pittura dalla storia all’attualità politica, è stato anche tra i più grandi ritrattisti di tutti i tempi, che ha saputo interpretare con la sua produzione lo spirito della propria epoca. Cantore della bellezza, dell’amore e dei valori risorgimentali, nella sua lunga vita è stato protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo. Celebrato da Giuseppe Mazzini come vate della nazione, ha condiviso con Manzoni e Verdi gli stessi ideali stringendo con loro un rapporto unico, di amicizia e di intesa culturale. L’Italia risorgimentale si è riconosciuta nel suo linguaggio, che ancora oggi riesce a comunicare sentimenti e valori universali, anche attraverso una dimensione civile che attualizza la storia.
lo considerò ‘il maggiore pittore vivente’ e Mazzini che lo consacrò come l’interprete delle aspirazioni nazionali. La sua è stata una vita eccezionale sia dal punto di vista personale, essendosi riscattato dalle umilissime origini e dall’abbandono da parte della sua famiglia, sia sul versante di una strepitosa carriera che lo ha visto dialogare con i grandi artisti del suo tempo, cultori, letterati e musicisti. I suoi moltissimi amori e un grande slancio vitale sono documentati dalla sua pittura che ha espresso una serie di valori universali, celebrando la bellezza femminile e la forza dell’amore, come nella serie dedicata a Giulietta e Romeo” - commenta il curatore Fernando Mazzocca.
La novità di questa mostra sta nel mettere in rapporto per la prima volta i dipinti e i disegni, che ci consentono di ricostruire e di comprendere il suo procedimento creativo, introducendoci nel suo atelier. Nell’opera di Hayez, che si considerava l’ultimo rappresentante della grande tradizione della pittura veneta e che si era formato sullo studio di Tiziano e dei pittori veneziani del Quattro e del Cinquecento,il disegno può sembrare a una prima analisi secondario rispetto al colore. I suoi contemporanei rimanevano colpiti dal suo particolare modo di procedere basato sull’estro del momento, con continui ripensamenti, anche e soprattutto in corso d’opera, che in molti casi sono riconoscibili persino ad occhio nudo. L’eccellenza e la singolarità di questa tecnica costituiscono il fascino e la forza di una pittura ammirata sia dal pubblico che dalla critica.
La mostra è stata resa possibile grazie a numerosi enti prestatori istituzionali: Accademia di Belle Arti di Brera, Milano; Accademia di Belle Arti di Venezia; Accademia Nazionale di San Luca, Roma; Accademia Tadini, Museo dell’Ottocento, Lovere; Biblioteca Nazionale Braidense, Milano; Collezione Fondazione Cariplo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano; Collezione Franco Maria Ricci, Labirinto della Masone, Fontanellato; Fondazione Musei Civici di Venezia, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Ca’ Rezzonico, Venezia; Gallerie degli Uffizi, Firenze; GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino; GAM - Galleria d’Arte Moderna, Milano; MAG - Museo Alto Garda, Riva del Garda; Musée Faure, Aixles-Bains; Musei Civici d’Arte Antica, Bologna; Musei Civici del Castello Visconteo, Pavia; Musei Civici, Varese; Musei Civici di Verona - Galleria d’Arte Moderna Achille Forti; Museo Nazionale di San Martino, Napoli; Museo Poldi Pezzoli, Milano; Museo Revoltella, Trieste; Museo Vincenzo Vela, Ligornetto; Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz–Vienna.
“Francesco Hayez, nato a Venezia nel 1791 e testimone da bambino della caduta dell’antica Repubblica, ha trascorso quasi tutta la vita e ha raggiunto il suo successo a Milano, dove è scomparso nel 1882, carico di anni e di gloria come un novello Tiziano, il pittore cui amava paragonarsi. Nella sua lunghissima vita, quasi un secolo, è stato dunque protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo, di cui è stato uno dei creatori, alle nuove istanze realistiche affermatesi dopo l’Unità d’Italia. Non solo per la sua arte, ma anche per le idee politiche è da considerarsi, insieme a Manzoni e Verdi, tra i Padri della Patria. Fondamentale è stata la sua formazione a Roma con Canova, che lo ha sostenuto con la convinzione che diventasse l’artista capace di riportare la pittura italiana alla sua grandezza perduta, così come lui aveva fatto in scultura. Questo merito gli è stato riconosciuto dai suoi maggiori sostenitori, come Stendhal che
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ANTONIO MANCINI I VINCENZO GEMITO Dal 14 Ottobre 2023 al 11 Marzo 2024 - Pescara
Attraverso 140 opere, tra dipinti, sculture e disegni provenienti da importanti raccolte pubbliche e private, il Museo dell’Ottocento racconta in questa grande mostra la storia di due dei più importanti artisti italiani vissuti tra il XIX e il XX secolo: il pittore Antonio Mancini (Roma 18521930) e lo scultore Vincenzo Gemito (Napoli 1852-1929). Di fatto, due vere e proprie retrospettive che si incrociano, mettendo in evidenza tangenze e distanze tra le ricerche dei due artisti, tra i più apprezzati del loro tempo anche al di là dei confini nazionali. La mostra, a cura di Manuel Carrera, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi e Isabella Valente, intende inoltre indagare il rapporto dei due artisti con i colleghi e mecenati. I capolavori sono stati concessi da collezioni private e istituzioni museali quali la Direzione regionale Musei Campania - Certosa e Museo di San Martino di Napoli, la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro - Raccolta Lercaro di Bologna, la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, la Galleria d’Arte Moderna di Milano, la Galleria d’Arte Moderna di Roma, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Museo delle Raccolte Frugone di Genova. Il Museo dell’Ottocento, inoltre, espone per intero il suo nucleo di diciassette opere di Mancini, capaci di restituire la vicenda di un artista che conquistò una fama internazionale. Nati nel 1852, Mancini e Gemito, entrambi di umili origini, si incontrarono tredicenni alla scuola serale di San
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Domenico Maggiore a Napoli. Sotto la guida degli scultori Stanislao Lista ed Emanuele Caggiano, poi del pittore Domenico Morelli, negli anni della formazione condivisero l’attitudine a una rappresentazione realistica della figura umana, accomunati dall’abilità nell’introspezione psicologica, ciascuno secondo le peculiarità del proprio linguaggio. Tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, Napoli era teatro di sperimentazioni pittoriche sul rapporto tra luce e colore e al centro di un dibattito che rivoluzionava la secolare supremazia del disegno propugnata dall’Accademia; la città era aperta al dialogo con artisti di tutta Europa e attenta alle novità che giungevano dalla Francia, dalla Spagna e dall’Inghilterra. A partire dalla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, dopo i soggiorni parigini e un lungo periodo di instabilità psichica che afflisse i due artisti, le strade di Mancini e Gemito si separarono prendendo direzioni diametralmente opposte. Mancini stabilitosi a Roma sperimenterà una pittura caratterizzata da una pennellata veloce, frammentata, con brillanti tocchi luministici, stile che attirerà da un lato l’attenzione del collezionismo straniero, dall’altro le critiche di coloro i quali ritenevano la sua figurazione eccentrica. Gemito negli anni della maturità si avvicinerà al rigore e all’eleganza dell’arte ellenistica e alla tradizione orafa. L’esposizione offre la visione delle fasi salienti del percorso di entrambi, con affondi tematici sulle rispettive poetiche.
Giovanni Boldini. Dialogo tra due divine 12/10/2023 - 12/01/2024 - Genova, Musei di Nervi
Al Museo delle Raccolte Frugone di Nervi prosegue fino 12 gennaio 2024, la mostra “Dialogo tra due “divine” di Giovanni Boldini. Protagoniste dell’alta società parigina della Belle Époque, Miss Bell e La contessa De Leusse sono raffigurate da Giovanni Boldini in tele di grande formato, conosciute come i ritratti delle ‘divine’. Giovanni Boldini, nato a Ferrara nel 1842, dopo aver compiuto un soggiorno toscano che gli consentirà di conoscere il gruppo dei Macchiaioli stabilisce di fissarsi nel 1871 nella città più cosmopolita della sua epoca: Parigi. Pittore virtuoso e ambizioso, conosce nella metropoli un successo ammirevole, facendosi apprezzare da una committenza facoltosa quanto celebre. Amato per i suoi ritratti “à la mode”, Boldini raffigura personaggi della sua epoca appartenenti all’alta borghesia e all’aristocrazia, indulgendo nell’analisi delle pose e degli abiti, fatto questo che consente al corpus delle sue opere di essere letto non soltanto in chiave prettamente artistica, ma sociale e psicologica. I ritratti di grande formato, in maggioranza dedicati alla celebrazione delle donne, rivelano un’attenzione per la modernità e per la moda che fa di lui un punto di riferimento per il pubblico femminile della sua epoca e per chiunque si dedichi allo studio dell’evoluzione del costume e dell’emancipazione delle donne, che egli coglie in pose disinvolte e sensuali. La mostra in programma al Museo delle Raccolte Frugone nell’autunno/inverno 2023-2024 si propone di mettere a confronto la grande tela dedicata a “Miss Bell” in collezione, con uno degli olii - dalle medesime dimensioni - conservato presso il museo “ Giovanni Boldini” di Ferrara, il “Ritratto della contessa de Leusse in piedi”, così da porre a confronto due esempi di femminilità connotati da atteggiamenti parimenti sensuali, ma dal diverso grado di disinibizione, come attestato dalle pose assunte dalle due donne. L’iniziativa si delinea quale avvio di un proposito di instaurazione di un rapporto stabile col Museo ferrarese, custode di opere di un autore di cui la piccola collezione Frugone conserva tre esemplari, e che pertanto rappresenta la punta di diamante del percorso allestitivo della raccolta genovese. Un confronto stabile e reciproco con le opere ferraresi si pone come obiettivo da perseguire sul lungo periodo, per consentire al pubblico di concentrare la propria attenzione su casi specifici e approfondire gli studi condotti su di essi.
Miss Bell, 1903, Raccolte Frugone - Musei di Nervi,
La natura della collezione Frugone e la sua attuale collocazione all’interno di una villa borghese dei Parchi di Nervi, risalente al XVIII secolo, ben si sposano con la progettazione di esposizioni caratterizzate da un esiguo numero di opere, selezionate sulla base del loro valore qualitativo o esemplificativo, optando deliberatamente per l’analisi di alcuni aspetti della produzione artistica, senza alcuna ambizione antologica. L’opera prestata verrà collocata nella nuova Sala appositamente pensata per accogliere le sole tele di Boldini, in un ambiente intimo e accogliente che ben si presta a evocare l’idea del “dialogo” - cui fa riferimento il titolo dell’esposizione – fra le due grandi “divine”.
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Artemisia Gentileschi. Coraggio e Passione Genova, Palazzo Ducale 16/11/2023 - 01/04/2024
Dal 16 novembre al 1°aprile 2024 nei saloni dell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale di Genova sono in mostra circa 50 capolavori di Artemisia Gentileschi, una delle artiste più amate di sempre. Nella prima metà del Seicento, quando il mondo dell’arte è ancora dominato dagli uomini, Artemisia Gentileschi è stata la protagonista di una carriera eccezionale, che l’ha portata a lavorare per alcune delle corti più prestigiose d’Europa. La rassegna, a cura di Costantino D’Orazio con la collaborazione di Anna Orlando, comprende alcuni tra i maggiori capolavori di Artemisia Gentileschi, iconico esempio di tenacia e genialità, donna dalla vita difficile. Artemisia è capace di emergere attraverso il suo indiscutibile talento artistico e il suo coraggio trasmettendo, attraverso le eroine protagoniste dei suoi quadri, il suo desiderio di riscatto e di affermazione all’interno di una società in cui le donne hanno un ruolo sottomesso e dove la pittura è una pratica raramente concessa al sesso femminile. Dal 16 novembre al 1°aprile 2024 nei saloni dell’Apparta-
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mento del Doge di Palazzo Ducale di Genova sono in mostra circa 50 capolavori di Artemisia Gentileschi, una delle artiste più amate di sempre. Nella prima metà del Seicento, quando il mondo dell’arte è ancora dominato dagli uomini, Artemisia Gentileschi è stata la protagonista di una carriera eccezionale, che l’ha portata a lavorare per alcune delle corti più prestigiose d’Europa. La rassegna, a cura di Costantino D’Orazio con la collaborazione di Anna Orlando, comprende alcuni tra i maggiori capolavori di Artemisia Gentileschi, iconico esempio di tenacia e genialità, donna dalla vita difficile. Artemisia è capace di emergere attraverso il suo indiscutibile talento artistico e il suo coraggio trasmettendo, attraverso le eroine protagoniste dei suoi quadri, il suo desiderio di riscatto e di affermazione all’interno di una società in cui le donne hanno un ruolo sottomesso e dove la pittura è una pratica raramente concessa al sesso femminile.
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ANNE CLAIRE VAN DEN ELSHOUT. MY COLLECTION OF SOULS I
La Biblioteca Universitaria di Genova presenta la mostra “My Collection of Souls I” di Anne Claire van den Elshout. La mostra organizzata in collaborazione con il Centro Internazionale d’Arte Multimediale MAIIIM e Art Commission, a cura di Virginia Monteverde, con la presentazione di Stefano Bigazzi, sarà inaugurata giovedì 16 novembre alle ore 17.00 e rimarrà allestita fino al 16 gennaio 2024. In mostra le sculture dell’artista olandese realizzate con la tecnica 3D e l’ausilio di strumentazioni avanzate, un chiaro esempio di fusione tra arte e tecnologia. Una collezione di anime, la definisce. Quelle che si celano nei simulacri che Anne-Claire van den Elschout ha pensato e realizzato come rappresentazione fisica di un concetto interiore. E lo ha fatto per così dire a distanza, demiurgo creatrice. “L’Era pandemica - spiega l’artista - mi ha suscitato riflessioni sulla nostra condizione di esseri umani, deboli, con il nostro carico di emozioni e di pensieri”. Accanto agli impedimenti concettuali, alle difficoltà psicologiche e filosofiche, si sono aggiunti quelli concreti dati dalla segregazione, dalla limitazione dei movimenti. Nella fattispecie i consueti spostamenti dall’Olanda all’Italia e viceversa. Di qui l’idea di superare tecnologicamente le barriere geo-
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grafiche. “Ho ordinato on line un tipo di stampante 3D che permette di lavorare con l’argilla... “Dentro queste teste vuote Anne-Claire van den Elschout ha inteso esprimere qualcosa di inesprimibile. L’ha chiamato anima. (Stefano Bigazzi) Anne-Claire van den Elshout è un’artista e scultrice Olandese che vive e lavora a l’Aja, Paesi Bassi, ed a Pietrasanta. Nel 2002 decise di abbandonare una fiorente carriera nel mondo legale ad Amsterdam e diventare un’artista. Dopo gli studi in Belle Arti ad Amsterdam, Pietrasanta e Londra, è divenuta scultrice. Anne-Claire infonde nelle sue creazioni la sua sensibilità e intuizione, dando vita a forme organiche e sinuose che assumono una propria anima e dimensione. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero Dal 16 Novembre 2023 al 16 Gennaio 2024 LUOGO: BUGe - Biblioteca Universitaria INDIRIZZO: Via Balbi 40 - GENOVA CURATORI: Virginia Monteverde
CORRADO ALDERUCCI
Narciso e le sue cose-acrilico su cartoncino telato cm.60x40
Disegnatore, grafico e pittore, propone caratterizzate composizioni di volumi geometrizzanti, raggruppamenti di edifici stilizzati, evocanti le architetture essenziali di Carlo Scarpa, a volte con disposizione apparentemente decostruttivista. I dipinti includono elementi minimali e simbolici, come chiocciole, matite, barchette di carta ed improbabili finestrelle attraversate da fili senza inizio e senza fine. Il colorismo è sobrio, tenuto sull’alternanza dei tre primari: rosso, giallo, e azzurro, con tonalità tendenzialmente “ pastello “, anche quando l’artista indulge sui valori profondi dei viola, nelle diverse varianti. L’opera di Alderucci è una pittura di apparenza metafisica, ma senza lo smarrimento nostalgico, ispirato ai
Uno sguardo al futuro- acrilico su tela cm.100x50
motivi dell’infanzia, dei trastulli, degli elementi dell’immaginario fanciullesco, come i lapis, fedeli compagni di chi nella prima età sognò di appropriarsi della realtà attraverso il disegno e la figurazione : Leonardo docet. Enzo papa
Mail - corrrado.alderucci@asa-pro.it tel. - + 39 393 171 6518
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Dal “D’Annunzio” di Gabriele Vicari a Pietrasanta e a Livorno con Pietro Annigoni, sino a Pisa con McCurry, a Viareggio con Lorenzo Viani e a Seravezza con… Pinocchio. di Lodovico Gierut
Mostra dedicata a Pinocchio. Il critico d’arte Lodovico Gierut e lo scultore e pittore Roberto Fiasella (foto E. Lo Iacono) L’attività artistico-culturale dell’intera Toscana pulsa di mostre personali, di gruppo e non solo; non per fare una classifica, bensì per far capire una diversità ricca di contenuto, che pensiamo opportuno iniziare il 2024 con una citazione inerente lo scultore toscano, di chiare origini siciliane, Gabriele Vicari, a cui già in passato la Rivista20 ha dato spazio allorché la sua splendida scultura bronzea dedicata a Gabriele D’Annunzio, considerata una delle più espressive opere legate all’immagine del famoso letterato, era stata ufficialmente collocata all’interno degli spazi della Fondazione Versiliana presieduta da Alfredo Benedetti a Marina di Pietrasanta. E’ infatti notizia di pochi giorni fa dell’acquisizione, da parte del Museo dei Bozzetti di Pietrasanta, del gesso originale della stessa, che in tal mondo entra nella famosa collezione accanto a molte altre di Igor Mitoraj, Fernando Botero, Girolamo Ciulla, Isamu Noguchi, Ilio Orsetti, Francesco Messina, Maria Gamundi, Anna Chromy, Franco Miozzo..., tanto per citare alcuni dei nomi dei quali ci siamo già interessati. Sicuramente non sono poche poi le mostre di livello quali, per esempio,
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quella che si sta tenendo a Livorno a Villa Mimbelli di uno dei massimi artisti figurativi del Novecento, Pietro Annigoni, un grande pure nella ritrattistica. Nella retrospettiva “Pietro Annigoni, pittore di magnifico Intelletto” curata da Emanuele Barletti, promossa dal Comune di Livorno e patrocinata dalla Regione Toscana con la collaborazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze e il contributo di Castagneto Banca, sono esposte sino alla metà di marzo oltre centocinquanta opere, tra le quali uno dei ritratti che il maestro milanese, fiorentino di adozione, fece alla Regina Elisabetta II. Significativa la scelta dell’insieme, connessa pure alla paesaggistica della costa livornese, del Massaciuccoli versiliese e altro. Non lontana – a Pisa, presso gli Arsenali Repubblicani e sino al 7 aprile – la mostra fotografica del celebre fotografo statunitense Steve McCurry intitolata “Icons”, un percorso per certi versi già noto ma che ogni volta attrae l’osservatore attento per la bellezza di immagini legate ai suoi viaggi in India e altrove.
Pietro Annigoni -Ritratto della baronessa Stefania von Kories (1959)
di una Collezione veramente interessante e in via di ampliamento – un gruppo di altri lavori del noto viareggino con un nuovo allestimento titolandolo “Viani. Emozioni dell’Umanità” che chiuderà il 5 maggio prossimo. La selezione di lavori, dipinti, disegni, xilografie…) contempla un insieme proveniente dalla collezione Varraud Santini nonché dalla donazione Lucarelli come da due dipinti di concessi in comodato dalle Ferrovie dello Stato e altri di collezioni private. Visto che con la fine del 2023 e l’inizio del ’24 in molti luoghi “alternativi” – vale a dire diversi da gallerie pubbliche e private – si tengono esposizioni con fini artistici-culturali e socio-umanitari, chiudiamo i nostri appunti citandone simbolicamente uno a Seravezza, essendo tutti degni di lode. Si tratta del “Caffè La Seravezziana” guidato da Paola Poli dove è stata allestita una collettiva titolata “Pinocchio in Versilia, tra fiaba, arte e solidarietà”, con autori – in un percorso presentato da Lorenzo Belli e altri suoi collaboratori – come Roberto Fiasella, Fabiana Toffano, Alessio Palmieri, Carmine Garofalo, Niccola Giannoni detto ‘Pivino’, Mirko Babboni, Claudio Tomei, Laura Catalano, Brunetta Puccinelli, Roberto Giansanti con
Lo scultore Gabriele Vicari con Chiara Celli e Sabrina Francesconi dell’Ufficio Cultura di Pietrasanta.
Annalisa Atlante, Piero Crivellari, Silvia Iannotta. Tutti i dipinti, che celebrano i 140 anni del burattino più famoso al mondo, dopo gennaio sono destinati a sostenere il reparto di pediatria dell’Ospedale “Versilia” sito a Lido di Camaiore. L’iniziativa, promossa sia dal Caffè sia dall’Associazione “Versiglia in bocca” è patrocinata dal Comune di Seravezza, dalle Fondazioni “Terre Medicee” e “Carlo Collodi”, dal “Parco Policentrico Collodi”, dall’Azienda USL Toscana Nord Ovest e dall’Organizzazione Sostegno Dislessia “Francesco Ticci”.
Opere di Lorenzo Viani. Viareggio , presso GAMC (foto di L. Gierut)
Pietro Annigoni -Ritratto della baronessa Stefania von Kories (1959)
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MICHELE ROCCOTELLI
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Michele Roccotelli, nato a Minervino Murge, ha cominciato ad esporre nel 1968 e da allora ha allestito numerosissime personali. Presente in importanti rassegne nazionali e fiere d’arte contemporanea, sempre ospitato da prestigiose gallerie italiane dove espone in permanenza da circa trenta anni, come negli spazi espositivi della Ghelfi di Verona. Presente a Napoli, nel Castel dell’Ovo, con la personale “mediTERRANEO”, mostra trasferita poi a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo. Torna a Napoli esponendo le sue più importanti opere sul tema “La Camera delle Meraviglie” che ha proposto negli spazi espositivi in Germania, Austria e Svizzera. Intanto viene continuamente convocato per personali e retrospettive quale significativo rappresentante della pittura locale e si dedica alla ceramica prendendo spunto dalle forme e tecniche pugliesi per invenzioni sempre nuove. Partecipa alle Biennali d’arte ed è più vol-
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te insignito di importanti premi. Numerosi e di prestigio i cataloghi pubblicatigli da rinomati istituti culturali, con interventi di critici di chiara fama conservati al Thomas J Waston Library del The Metropolitan Museum of Art di New York. Le ultime personali inglobano opere di pittura di grande formato, ceramiche, sculture, lavori di riciclo di oggetti di scarto ma rivissuti con il suo particolare timbro creativo, fatto di colori e materie. Instancabile maestro d’arte per allievi di talento nell’Accademia Margherita di Bari, prepara con loro mostre in gallerie d’arte e spazi espositivi pubblici e privati. mail.: micheleroccotelli@libero.it Sito: www.roccotelli.it tel. 347.582 3812
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Altro che retorica di vita d’artista. Quando aveva 14 anni, Michele Roccotelli lasciò Minervino Murge per andare a studiare a Bari, la grande città in cui perdersi. Abitava all’estrema periferia di campagna, e l’istituto d’arte era dal lato opposto. Nelle assonnate prime mattine, lo si vedeva a piedi con grossi rotoli di carta sotto il braccio, a piedi ed erano chilometri. E passava anche per il mare, completando, con la terra e il cielo, la santissima trinità che lo ispirerà come Roccotelli. Dai tempi del sacrificio veniva del resto, nato nel 1946, il più piccolo di una famiglia di nove figli (cinque rimasti in vita), ma quando ancora si poteva sognare un futuro. Famiglia con un pezzo di terra, trecento mandorli e una casetta, ma poi venduto. Un piccolo negozio di generi alimentari gestito dal padre e con la madre che faceva la panettiera: quindi pane che non solo metaforicamente non mancava mai come sempre nella civiltà contadina. E una voglia di disegnare e dipingere che un cugino capì subito dove avrebbe portato. Vecchi lenzuoli, logori e stinti, gli dava la madre perché lui potesse cominciare ad essere ciò che sarebbe stato, e fogli di carta gialla da formaggio, e chiodi arrugginiti a dare l’idea della tavolozza. E poi lì, a scuola, l’ispirazione che diventava tecnica. Tra colori primari e complementari. Tra linea e forma. Tra toni, semitoni, spazi, pause, come ha ricordato il suo maestro di discipline pittoriche, un nome del prestigio di Francesco Spizzico. Poi il perfezionamento degli studi a Roma, e una
iniziale frequenza di architettura. Ma l’arte fremeva. Ora l’atelier di Michele Roccotelli a Bari rievoca, e neanche questa è retorica, la Parigi romantica dell’esodo di tanti maledetti che sarebbero diventati giganti restando maledetti. Un vecchio cortile. E alte volte bombate, e pietra viva, e archi, e una fantasmagoria di barattoli di colore, e pennelli, e ogni angolo una sorpresa che farebbero e fanno la gioia del fanciullino che è in tutti noi. E di sicuro anche in lui. Un mondo incantato di colore da poter giustamente dire che Roccotelli è la Puglia.
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E’ La Puglia dell’oro dei campi di grano, del rosso dei pomodori, del giallo delle sabbie, del verde degli ulivi, del bianco del sale, del blu delle onde. La Puglia, della quale egli stesso parla con quella sua aria mite e pacata e tutt’altro che maledetta, col sorriso buono ma il piglio contagioso e rassicurante di chi si è fatto da sé, di chi viene dal poco. Ché poi ben altro piglio quando, indossato il camice e posata la tela, esplode nei suoi gesti d’artista che sono tutto uno spettacolo. Ora mazzate ora carezze, ora strisciate ora toccate, ora soste ora fughe sulla superficie inanimata che diventa respiro, e anima, e pulsazione, ed emozione che ci parla e vive: natura viva, altro che natura morta. Il prodigio di Roccotelli in azione. Come tutti i grandi artisti, come le <grandi anime>, Roccotelli ha raccolto per donare. Ha raccolto, racconta, dai rovi di una Murgia pietrosa, spinosa di asfodeli, viscida di muschio profumato, di bassi ginepri, di calde dune chiazzate di pruno o rosmarino selvatico, di mortella verdeggiante. Può sembrare una lezione di botanica, è una lezione di mistica. Il fatto è che Roccotelli non sarebbe Roccotelli senza la macchia mediterranea. E Roccotelli non sarebbe Roccotelli senza i cieli carichi di luce, quella luce di madre Grecia che <forma le forme>. E Roccotelli non sarebbe Roccotelli senza la pietra di Puglia diventata cattedrali, e tetti, e chianche. Vedi le sue tele, e scopri una basilica, e uno squarcio di centro storico, e una casedda dal bianco come latte. Ma se Roccotelli deve tanto alla Puglia, la Puglia deve tanto a Roccotelli. I girasoli erano semplici girasoli finché un giorno non ci passò un Vincent Van Gogh e li fece diventare ciò che sono diventati. E i manifesti stracciati sui muri delle nostre strade erano solo manifesti stracciati finché non ci passò un Mimmo Rotella e li fece diventare ciò che sono diventati. Così la Puglia, diventata Puglia anche quando un Michele Roccotelli ci è passato e un lampo si è acceso. Compresi i reperti di una Puglia che fu. Per tutto questo
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l’atelier di Roccotelli è una Wunderkammer, una di quelle Camere delle Meraviglie nelle quali fra Barocco e Illuminismo si collezionavano oggetti straordinari. Ti aggiri fra pile di tele e odori di vernici e ti imbatti ora in una vecchia finestra che sotto le sue mani e il suo genio riprende a fiorire come un palcoscenico. Ora in una vecchia sedia da rigattiere che occhieggia sorniona. Ora in una damigiana che troneggia da lume. Ora in un sasso rianimato in gnomo. Ora in piatti promossi in quadri. Ora in un tronco nobilitato in scultura.
ARTISTA ceramica
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La scultura, altra passione di Michele. La ceramica. E così le poesie, che con modestia e passione ma sorprendente bellezza accompagnano molte delle sue opere, l’altra faccia della sua sensibilità. E infine un libro, 172 pagine di una biografia su carta che è una ballata su una vita randagia di artista fra spunti e intuizioni lungo la sua strada. Hanno scritto di Roccotelli i più accreditati critici. Con interventi conservati al Thomas J. Waston Library del MetropolitanMuseum di New York. Da quel 1968 della prima mostra, da allora ha esposto negli spazi delle più prestigiose gallerie di tutt’Italia e di mezzo mondo, dagli Stati Uniti al Canada, dalla Germania all’Austria, dalla Svizzera al Parlamento Europeo di Bruxelles, da Singapore a Dubai. E cataloghi e biennali. E premi ovunque. Dipinge e crea da cinquant’anni, dice guardandoti con infantile stupore. Continua a lavorare otto ore al giorno e ogni giorno. Qualche lezione di qua e di là dopo aver lasciato l’insegnamento molti anni fa ma ora ancora maestro all’Accademia “Margherita” di Bari. Fino all’ultima impresa che lascerà il segno più prezioso di sé. E’ la Pinacoteca Roccotelli, inaugurata nell’ottobre 2020 e con la quale ha voluto arricchire e onorare la sua Minervino, come fiori che cadono sempre dove sono le radici. Cento opere (82 dipinti e 18 fra sculture e ceramiche) che parlano di lui nel medievale castello baronale tanti decenni dopo quel giorno e in quel luogo da cui partì. E nel quale è tornato dopo tanto cammino perché il suo nome resti lì per sempre. Il sogno di una vita. Opere divise nelle sezioni “Abstraction”, “Landscape”, “Urbe”, “Mare”. E nell’ultima, “Embrace”, Abbracci, corpi maschili e femminili che si abbracciano nel “mondo antico dell’amore”, un segno di speranza nel tempo del Covid che ce li ha tanto preclusi. Pinacoteca fra le gioie più grandi di un uomo con una stella e un caos creativo dentro . A Minervino, Roccotelli ha un altro studio oltre quello
di Bari. E uno nel buenretiro estivo di Rosa Marina fra le dune di sabbia e gli ulivi centenari piegati ma sempre vivi come lui. Eccolo andare verso una tela e spiegare, vedete, il colore si asciuga e prende corpo, è come se si muova, un po’ più di giallo, rafforza il rosso. E così si diffonde la magia. E di fronte al prodigio che poco a poco sulla tela sotto la sua mano e il suo spirito si compie, ti chiedi se sia più vero il mondo lì fuori o quello suo lì dentro, se lui sia l’originale o la copia. Roccotelli è l’inconscio di tutti noi. Lino Patruno
Ceramica
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I DIOSCURI TORNANO A ROMA Dal 1° dicembre 2023 al 1° febbraio 2024
“I Dioscuri tornano a Roma”: in via Veneto e Porta Pinciana undici grandi sculture dell’artista Gianfranco Meggiato ripropongono il Mito di Castore e Polluce Una grande esposizione dello scultore Gianfranco Meggiato, in programma dal 1° dicembre al 1° febbraio a Roma. Undici monumentali sculture saranno allestite in un luogo emblematico della Capitale, nel cuore del Municipio 1, fra via Veneto e Porta Pinciana. “I Dioscuri tornano a Roma” è il titolo di una mostra, promossa dal Municipio Roma 1 Centro – Assessorato alla Cultura e dall’Associazione Via Veneto e organizzata dalla “Fondazione di Arte e Cultura Gianfranco Meggiato” con curatore scientifico Dimitri Ozerkov, già direttore del Dipartimento di Arte Contemporanea dell’Ermitage di San Pietroburgo, dimessosi dalla direzione museale nell’ottobre del 2022 in segno di protesta contro l’invasione russa in Ucraina. L’inaugurazione è in programma venerdì 1° dicembre alle 10 a Porta Pinciana, alla presenza dell’artista e dell’assessore alla Cultura del Municipio Roma 1, Giulia Silvia Ghia. È possibile percorrere l’itinerario dell’esposizione attraverso il proprio smartphone, seguendo una mappa completa di immagini e descrizione, che si attiva scannerizzando un QR code posto sui cartelli esplicativi che accompagnano ciascuna scultura. “Portare questa grande mostra con 11 opere nel centro della Capitale – spiega Gianfranco Meggiato – ci consente di riferirci alle radici di Roma Antica per trasmettere una visione
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di estrema attualità: come Castore e Polluce che erano fratelli diversi, l’uno mortale e l’altro divino, così anche noi, oggi, siamo invitati a riflettere sul valore di quello che ci appare diverso da noi stessi, per riconoscerlo come fonte di arricchimento per la comunità, con la consapevolezza che siamo tutti foglie dello stesso albero, siamo tutti onde dello stesso mare. È questa per me l’essenza della vera fratellanza”.
COMPLEANNO questo è TANTO MONDO DA TUTTO IL MONDO Teresa M. Żebrowska
Il progetto artistico interdisciplinare e internazionale, ispirato all’opera di Wisława Szymborska, che non ha bisogno di ulteriore impulso, si inserisce nel centenario delle celebrazioni del compleanno della Poetessa a Cracovia, città natale di Kórnik e in altre città polacche, piene di multi – eventi dimensionali, feste di compleanno in Europa e, per parafrasare le sue parole... in tutte le parti del mondo. Wisława Szymborska è autrice di tredici volumi di poesie e vincitrice di numerosi premi, tra cui: ( ) Premio Goethe (1991), Premio Herder (1995) e il più importante riconoscimento assegnato ad uno scrittore: il Premio Nobel per la letteratura(1996): „poesia che, con ironica precisione, lascia emergere il contesto storico e biologico in frammenti della realtà umana.” Nel 2001 Wisława Szymborska è diventata membro onorario dell’Accademia americana delle arti e delle lettere e nel 2011 è stata insignita della più alta onorificenza statale polacca: l’Ordine dell’Aquila Bianca. Le sue poesie sono state tradotte in oltre quaranta lingue. In riconoscimento dei suoi successi, il Senato della Repubblica di Polonia ha deciso che Wisława Szymborska è la patrona del 2023. Michał Rusinek, residente a Cracovia, Ph.D. professore assistente presso il Dipartimento di Teoria della Letteratura presso la Facoltà di Studi Polacchi dell’Università Jagellonica, segretario di Wisława Szymborska negli anni 1996–2012 e dall’aprile 2012, e secondo il testamento lasciato dalla vincitrice del Premio Nobel , presidente della Fondazione Wisława Szymborska. alla domanda del gior-
nalista: „come leggere la sua opera oggi” ha risposto „(...) La sua poesia riguarda questioni abbastanza universali che toccano tutti noi. Possiamo trovare una poesia di Szymborska appropriata per quasi ogni circostanza che la vita ci pone davanti”. Cito altri pareri sull’opera della Poetessa. La professoressa Teresa Walas, storica della letteratura e amica del premio Nobel, ha detto: „(...)Il suo lavoro è una sorta di declinazione dell’amore, mostra vari casi che hanno a che fare con l’amore”. Un altro premio Nobel polacco, Czesław Miłosz, ha osservato che „Szymborska (...) ci parla, vivendo contemporaneamente a lei, come uno di noi, tenendo per sé le sue questioni private, muovendosi ad una certa distanza da noi, ma allo stesso tempo riferendosi a ciò che ciascuno conosce dalla propria vita” . Il saggista, prosatore, poeta Adam Zagajewski, avverte che „Di fronte a una poesia così abbagliante, ogni analisi e ogni commento sembreranno, purtroppo, essere semplicemente gemiti e chiacchiere”, „(...) della Szymborska è davvero difficile scrivere(...) viene voglia di esprimere i propri pensieri, scoperti dal poeta – con le parole del poeta. Leszek Szaruga, poeta, prosatore, traduttore di poesie, ha sottolineato che” (...) non soccombe facilmente alla pressione dell’analisi critica. È più utile leggerla che analizzarla, perché sembra che l’interpretazione perda o offuschi in gran parte i molteplici significati della sua poesia,”
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La stessa Szymborska parlava del suo lavoro con una certa riluttanza, ricordando più volte varie situazioni o raccontando aneddoti, ad esempio, nell’introduzione all’edizione di Poetry Selected (1967) scriveva: „Guarda quante estremità ha questo bastone! – esclamò una volta Montaigne. Non mi interessa se ha gridato in versi o in prosa. È sufficiente che abbia trovato parole per il suo stupore che non possono essere dimenticate. No, non ho alcun programma poetico... Ho solo questo motto – come modello ineguagliabile dell’arte della scrittura e come costante incoraggiamento a pensare oltre l’ovvio. Tuttavia, nella poesia „Ad alcuni piace la poesia” L’autore pone una domanda provocatoria (...) Poesia – ma cos’è mai la poesia? Più d’una risposta incerta è stata già data in proposito. Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo come all’ancora d’un corrimano.
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13 artisti visivi contemporanei provenienti dall’Italia e 13 artisti polacchi associati alle comunità artistiche di Cracovia, Tarnów, Rzeszów, Dębica e Lubaczów, sono stati invitati a celebrare il centenario di Wisława Szymborska. Artisti desiderosi diconfronto e di ricerca di spazi comuni nel mondo per la poesia di Szymborska e iconografia. Incoraggiati dal fatto che la Poetessa ci parla in una lingua familiare, ci conduce in un luogo dove c’è spazio per libere interpretazioni, ricche di suggestioni e di significati e allo stesso tempo lasciando spazio ad ulteriori opinioni e conclusioni, parteciperemo a questo promettente percorso conoscitivo, verbale e pittorico. Inoltre, la poesia di Szymborska, come dice Adam Zagajewski che ne ha colto il valore fondamentale, „(...) è una poesia estremamente sensibile a tutti i quartieri e in essa si sente sensibilità per tutte le altre voci (...)”.
La poesia di Wisława Szymborska mi è vicina a livello puramente personale. La poesia „Labyrinth” – che è diventata la fonte della mia ricerca creativa – è un’immagine allegorica del mondo, una figura del destino umano e un percorso di trasformazione spirituale. Per me è un momento misterioso, che porta nuove esperienze e dà spazio all’immaginazione. È una forma di riflessione sui sussurri della coscienza umana, è un’immagine delle emozioni, della complessità della vita e di monologhi apparentemente incoerenti e il dialogo necessario, illustrato nella composizione. Il labirinto simboleggia l’infinito. In un viaggio serpeggiante nel labirinto ideato dal Poeta, su per questi gradini o giù per quelli (...) fino alla settima soglia (...) fino a molti ancora aperti noi stessi facciamo costantemente delle scelte. Decidendo ogni passo successivo, attraversando il successivo
ma insieme chiarore, incanto dove c’è gioia, benché il dolore” risulta non essere una prigione, ma salvezza, sostegno. Più siamo ospiti del labirinto, più rimaniamo nei suoi corridoi „finché è possibile”, più rimandiamo il momento dell’incontro con il destino, dando spazio a ricerche interiori, viaggi spirituali e immersione nel profondo di noi stessi. Riassumiamolo con le parole del presidente della Fondazione Szymborska, Michał Rusinek: se la poesia serve a qualcosa, è fornire il linguaggio. La poesia di Szymborska è perfetta per descrivere, organizzare e permetterci di comprendere il nostro mondo.
„curva dopo curva, e stupore su stupore, e veduta su veduta”. Cerchiamo di tenere il passo con il corso del labirinto della vita. Anche se alcune decisioni sembrano inutili, altre sono l’unica alternativa giusta, anche se alcune ci avvicinano alla meta, altre ci isolano da essa e ritardano il momento di trovarla. Tuttavia, quando si gioca con il tempo e il destino, nessuno vuole raggiungere il proprio obiettivo troppo presto. Quindi, paradossalmente, un labirinto „dove c’ė buio e incertezza
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GIORGIO DE CHIRICO
Dicono che Roma sia il centro del mondo e che piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie, quindi, si abiterebbe nel centro del centro del mondo. G.de Chirico Roma è stata una città chiave nella vita del Pictor optimus: qui studia le rovine antiche, rimane affascinato dalla Scuola di Atene di Raffaello nelle Stanze Vaticane e approfondisce aspetti della sua pittura metafisica. Vi si trasferirà in via definitiva nel 1944 e dal 1948 si stabilirà con la moglie nella casa-studio di Piazza di Spagna -oggi Fondazione Giorgio e Isa de Chirico- conquistando così una posizione strategica nel cuore artistico della città, con gli atelier di via Margutta e via del Babuino, il Caffè Greco in via Condotti e il Caffè Aragno di via del Corso. In mostra una selezione di oltre trenta opere -tra pittura, scultura e disegno-, dai primi anni del Novecento fino agli anni Settanta, che restituisce la quasi interezza delle fasi di produzione e dei temi affrontati dall’artista. Il percorso espositivo si apre con un lavoro appartenente al periodo böckliniano, La Passeggiata del 1909, proveniente dalla Collezione Roberto Casamonti di Firenze. L’influenza del simbolismo di Böcklin e di Klinger, maturata a Monaco di pari passo alla lettura di Nietzsche e Schopenhauer, tornerà a più riprese negli anni e nell’opera di de Chirico, nelle sue soluzioni iconografiche, visioni irrazionali e invenzioni nella messa in scena. Due dipinti indagano il tema del nudo femminile: il primo del
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1923, già nella collezione di Alberto Savinio ed esposto alla XIII Quadriennale di Roma del 1998. L’altro, del 1930, ritrae Cornelia Silbermann, conosciuta a Parigi nell’agosto del 1929, poi diventata sua musa. Con lei de Chirico intratterrà un lungo rapporto testimoniato da un carteggio di ventitré lettere, dal 1929 al giugno del 1951.
Alla produzione degli anni Trenta appartengono Combattimento di gladiatori del 1932, anche questo parte della Collezione Roberto Casamonti di Firenze, e Cavalli in riva al mare del 1935, già in collezione di Margherita Sarfatti, letterata e prima donna in Europa ad occuparsi di critica d’arte all’inizio del Novecento. E’ del 1940 ...Ed ecco un gran drago..., disegno del ciclo per l’edizione dell’Apocalisse di Giovanni a cura di Raffaele Carrieri - In quella grande e strana casa che è l’Apocalisse [...] io sogno, incuriosito e felice, come il fanciullo, tra i suoi balocchi, nella notte di Natale (G. de Chirico). In mostra anche due autoritratti: Autoritratto delle nuvole del 1948 e Autoritratto come pittore in costume del Settecento del 1957, dove de Chirico utilizza l’escamotage dell’abito antico acuendo così il fascino della composizione: il vestito moderno non è interessante da dipingere [...] il vestito antico offre molte più possibilità per fare della pittura e dimostrare quello che si sa fare (G. de Chirico). In una fase più matura della sua produzione artistica, de Chirico rielabora i soggetti degli anni Dieci, Venti e Trenta sotto una nuova luce, con colori accesi e atmosfere più serene rispetto a quelle severe e cupe della prima Metafisica, come si vede in Ettore e Andromaca del 1950, Piazza d’Italia con piedistallo vuoto del 1955 e Bagni Misteriosi del 1968. Su questi ultimi nel 1973 il pittore scrive - L’idea dei “bagni misteriosi” mi venne una volta che mi trovavo in una casa ove il pavimento era stato molto lucidato con la cera. Guardai un signore che camminava davanti a me e le di cui gambe riflettevano nel pavimento. Ebbi l’impressione che egli potesse affondare in quel pavimento, come in una piscina, che vi potesse muoversi e anche nuotare. Così immaginai delle strane piscine con uomini immersi in quella specie di acqua-parquet, che stavano fermi, e si muovevano, ed a volte si fermavano
per conversare con altri uomini che stavano fuori della piscina pavimento (G. de Chirico). Dal 06 Dicembre 2023 al 24 Febbraio 2024 ROMA - Tornabuoni Arte Roma Via Bocca di Leone 88 ORARI: Martedì - Sabato 10.00-13.00 / 14.00-19.00 Tel- per info.: +39 06 98381010 E-Mail info roma@tornabuoniarte.it Sito: http://www.tornabuoniart.com
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ENRICO COMBOTTO ROSSO
La personalità e la poetica dell’artista Enrico Colombotto Rosso sono un insieme di tratti singolari che lo caratterizzano e che hanno ricevuto unanimi apprezzamenti all’estero, e in particolare dai critici, mentre è poco conosciuto dal grande pubblico e pertanto il suo nome non è entrato a far parte della memoria collettiva. Il suo animo inquieto e la sua poetica poco accessibile non hanno contribuito alla popolarità. Il pittore Colombotto, nella sua lunga vita (Torino 1925 – Camino 2013) frequenta ben presto , giovanissimo, una piccola cerchia di amici amanti dell’arte e inizia a conoscere l‘ambiente artistico della città. Eccellente disegnatore e impegnatissimo autodidatta, decide di intraprendere la carriera accademica. Purtroppo all’Accademia Albertina viene bocciato due volte all’esame d’ammissione presieduta da Casorati. e non ha altra scelta che il lavoro: fatiche manuali, diversi cambi di mansione e, infine, riesce a lavorare in banca. Con la morte del padre viene in possesso di una sufficiente somma di denaro che gli permette di dedicarsi completamente all’arte. Negli anni cinquanta già espone, intensifica le sue conoscenze e si inserisce nell’ambiente artistico torinese; con i suoi dipinti da autodidatta ma singolari stupisce lo stesso Casorati che definisce straordinarie le
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opere del giovane Colombotto senza rammentare in lui l’alunno a cui aveva stroncato la carriera accademica sul nascere. Il ragazzo tace l’accaduto ma non cercherà di rincontrarlo. L’esordiente artista torinese non è incline alle lamentazioni, affronta fatiche, insuccessi, problemi , con forza d’animo, ha un carattere aperto al confronto e alla collaborazione pur essendo un animo solitario. La sua poetica , come ho accennato, non è di facile comprensione. Si interessa del macabro, della morte, di ogni forma di deformità fisica e psichica. Il suo non è un interesse morboso che lo induce all’angoscia. Infatti, conferma lui stesso che la sua personale esistenza scorre su ‘binari normali’ e lo studio di tali temi mortiferi riguardano esclusivamente la sfera cognitiva Queste forme macabre che lui definisce ‘plastiche’ divegono motivo di studio perché in lui è pressante l’esigenza di comprendere nel profondo le anomalie più inspiegabili, le patologie più agghiaccianti al solo fine di scavare nei meandri più segreti dell’uomo, nelle parti reali meno indagate , quindi cadaveri, campi di concentramento, camere a gas del suo tempo cioè alla terrificante realtà del male, il quale esiste e quindi occorre entrare nei suoi abissi.
Il male, quindi,come parte del reale va inserito anche se presenta il rischio di cadervi dentro senza possibilità di riscatto. Questi scavi nel profondo In Colombotto sono senz’altro alimentati dalla storia tragica che il Novecento sta vivendo, inoltre vanno aggiunti la frequentazione dell’istituto di criminologia Cesare Lombroso e il Centro di accoglienza del Cottolengo con cui viene in contatto. Dopo la guerra la realtà di Torino, tetra, e il clima amorfo che la pervade e che crea le premesse dell’immobilismo e del vuoto, costituisce una seria preoccupazione per l’ambiente culturale ed artistico cittadino ridotto in così ostiche condizioni. Per contribuire alla ripresa della vita artistica nel 64 il pittore Alessandri fonda “Sufanta”, acronimo di Surrealismo e Fantasia. Si dota pertanto anche di un proprio periodico per comunicare progetti, mostre, e ricevere contributi dall’ esterno, e ciò costituisce un apporto culturale importante in quel frangente storico . Colombotto partecipa portando il suo contributo significativo: i suoi ‘compagni di strada’ sono Gilardi (Abacuc), Camerini, Macciotta, Pontecorvo e lo sculture Molinari. Il gruppo si ispira alle istanze surrealiste e con il suo fattivo operato apporta un notevole contributo alle generazioni successive. Colombotto è sempre stato un animo irrequieto e un instancabile viaggiatore, ha instaurato relazioni con artisti di ogni dove, ha esposto nei musei e nelle gallerie delle città più importanti in Europa e in America soprattutto. La sua pittura ha immagini forti, crude, e hanno un impatto violento con chi le guarda per i colori che usa, per gli accostamenti cromatici: dai rossi ai neri agli argenti che creano spazi profondi, misteriosi. Nell’ultimo periodo della sua vita si ritira a Camino
dove lavora su opere di grandi dimensioni, opere legate alla sua vita, incurante del mercato. Va ricordato come grande pittore e come uomo, sensibile, cordiale, profondamente umano
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MARIO AMURA. NAPOLI EXPLOSION
La sala Cellaio del Museo e Real Bosco di Capodimonte ospiterà fino al 1° aprile 2024 l’esposizione “Napoli Explosion” del fotografo Mario Amura, a cura di Sylvain Bellenger, Direttore Generale del Museo. I suggestivi fuochi d’artificio napoletani immortalati la notte di Capodanno con le fotocamere Canon e da oggi in mostra, nella città partenopea. In esposizione, ben 37 opere di grandi dimensioni, che risultano essere dei veri e propri “dipinti fotografici” che raccontano la festa del popolo napoletano attorno al Vesuvio la sera del 31 dicembre. Il risultato è uno spettacolo straordinario, dove i fuochi pirotecnici si trasformano in pennellate di luci e colori dall’incredibile effetto pittorico. La mostra è frutto di un progetto che Mario Amura, fotografo e direttore della fotografia, ha sviluppato nel corso di ben 13 anni. Ogni Capodanno è salito con una troupe sul Monte Faito, la montagna che si affaccia di fronte al Vesuvio, per immortalare i festeggiamenti allo scoccare della mezzanotte. «I napoletani esorcizzano la paura che il vulcano esploda, facendo esplodere di luce e colori tutto il golfo di Napoli spiega il fotografo Mario Amura - Per rappresentare al meglio l’unicità del momento abbiamo utilizzato fotocamere e obiettivi Canon di ultima generazione che hanno un’altissima risoluzione e una riproduzione del colore unica. E grazie a questo tipo di tecnologia, il risultato pittorico rie-
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sce a fondersi con l’opera di reportage fotografico. Ecco, quindi, che i nostri fuochi d’artificio diventano nebulose, animali e paesaggi stellari». Le immagini sono state scattate dalla troupe di Amura utilizzando la tecnologia Canon del sistema EOS R, in particolare le fotocamere mirrorless EOS R5 ed EOS R6 e le fotocamere Reflex EOS 5DS R. Sono stati utilizzati anche gli obiettivi RF 35mm MACRO IS STM, EF 70-200mm f/2.8 L IS II USM, EF 100-400 F4.5-5.6 L IS II USM e EF 24-105mm f/4 L IS USM II. Da diversi anni il brand giapponese sostiene il progetto del fotografo Amura. «Siamo orgogliosi di contribuire al successo di questa iniziativa perché esprime e valorizza le potenzialità della nostra tecnologia di imaging – dichiara Alessandro Montanini, Canon Imaging Technologies Marketing Senior Manager-. La fotografia non è solo imprimere un’immagine, è molto di più. È uno strumento che consente di raccontare storie uniche, di catturare momenti straordinari, ma soprattutto, concorre a creare e condividere emozioni, unendo arte, tecnologia e creatività. E gli scatti della mostra “Napoli Explosion” ne sono l’esempio perfetto». Dal 14 Dicembre 2023 al 01 Aprile 2024 NAPOLI LUOGO: Museo e Real Bosco di Capodimonte INDIRIZZO: Via Miano 2 Ingresso libero
Mario Amura nasce a Napoli nel 1973. Il suo percorso di formazione ha inizio presso il Centro Sperimentale di Cinematografia dove segue le lezioni del maestro Giuseppe Rotunno. Dal 2000 al 2012 cura la fotografia di varie opere cinematografiche presentate nei più prestigiosi festival internazionali : Cannes, la Berlinale, la Biennale di Venezia. Nel 2003 riceve il premio dell’Accademia del Cinema Italiano David di Donatello con il cortometraggio Racconto di Guerra ambientato nella Sarajevo sotto assedio del 1996. Dal 2005 lavora al progetto StopEmotion, con cui inizia la sua ricerca fotografica finalizzata alla frammentazione della linearità del tempo cronologico in picchi emozionali. Il Tempo ne esce purificato, smette di essere una misura, diviene un oggetto concreto la cui essenza è la visibilità delle emozioni. Con la tecnica dello StopEmotion raccoglie materiale fotografico in Bosnia, in India e nella Cina rurale, in Cambogia, in Sri Lanka, in America Latina, in
Inghilterra, in Francia. I suoi progetti di reportage fotografico sono contraddistinti dalla necessità di maturare attraverso lunghissimi archi temporali. Dal 2007 lavora al progetto Fujenti tutt’ora in progress. “Mario ha un segreto. Ogni volta che fotografa, diventa invisibile. È in grado di scattare centinaia di foto e rimanere completamente inosservato, come un manifesto su un muro o un lampione all’angolo di una strada. Non ho mai capito come ci riesca, ma forse è proprio questa la chiave del fare arte: essere invisibili eppure allo stesso tempo esserci indiscutibilmente, comprimere la propria presenza e la propria voce per permettere al mondo che ci circonda di decomprimersi, di espandersi, di esprimersi. Qualcosa del genere, parve al mistico ebreo Isaac Luria nel XVI secolo, accade a Dio nel momento della creazione. “ Serenella Iovino tratto da Paesaggio Civile ( Il Saggiatore, 2022)
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Ara Starck a Napoli
La mostraAra Starck a Napoli si snoda attraverso una grande vetrata al centro del chiostro di Santa Caterina, che si trasforma e rivela tante sfumature di colore quante narrazioni surreali. Di giorno rifletterà la luce del sole, mentre di sera le luci teatrali creeranno dei giochi ancora più suggestivi. Una serie di nove dipinti posizionati in tutto il chiostro inviteranno lo spettatore a una passeggiata teatrale e poetica. La mostra è visitabile dal mercoledì alla domenica, con orario prolungato fino alle 22:00 di giovedì sera. “Il chiostro ha un’aura che non può essere ignorata”, ha dichiarato Ara Starck. “La mostra è incentrata su ciò che si vede e ciò che non si vede. Ciò che è coperto e ciò che è rivelato. Ciò che viene detto e ciò che viene sussurrato. Lavorare con gli artigiani napoletani è stato un elemento chiave nella creazione della mostra, con il profondo desiderio di accogliere lo spettatore nel viaggio che abbiamo fatto con questi maestri vetrai e falegnami.” “L’artista Ara Starck ha ideato per la Fondazione Made in Cloister una mostra unica lavorando al fianco degli artigiani locali” aggiunge Davide De Blasio, Direttore della Fondazione Made in Cloister. “Ancora una volta, la Fondazione ha la possibilità grazie alla visione dell’artista di produrre un progetto site-specific il cui cuore sta nell’importanza della valorizzazione delle grandi tradizioni dell’artigianato napoletano e il loro ruolo centrale nel panorama contemporaneo”. chiusura mostra 20 Gennaio 2024 Made in Cloister -: Piazza E. De Nicola 48 Napoli E-MAIL INFO: info@madeincloister.it SITO UFFICIALE: http://www.madeincloister.com Nata a Parigi nel 1978, Ara Starck è un’artista e storyteller multidisciplinare i cui lavori hanno attraversato il mondo in spazi sia pubblici che privati.
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Ispirata dall’idea di trascendenza, Ara concentra la sua pratica sul creare opere di incontro. I suoi lavori sono spesso giochi complessi in cui le figure centrali o le forme si muovono in un mondo fantasmagorico, invitando lo spettatore a sognare. Dal lavoro pittorico di 145 metri quadrati situato all’Hotel Meurice a Parigi; all’opera in vetro piombato di 28 metri di lunghezza all’Avenue Restaurant di New York; passando per i sipari al Teatro Eslava di Madrid; o ancora il tappeto creato per Quadri a Venezia, Ara Starck utilizza il grande formato per sottolineare la sua ricerca della teatralità. Il suo lavoro accoglie gli spettatori in un mondo diagonale dove la distorsione ottica e le metamorfosi rivelando un forte dinamismo.
LETIZIA CAIAZZO
Per lei la ricerca trentennale della forma e il controllo dell’apparente casualità del bell’aspetto pittorico, le hanno sempre imposto, a prescindere dalla professione di professoressa svolta altresì in modo definito esemplare dai riconoscimenti, grande dedizione e studio specifico che le hanno corrisposto un percorso artistico interpretativo che si configura in una sorta di nuovo “spazialismo cognitivo” se, per esempio ci riferiamo alla figurazione dei volti, specialmente femminili. In ogni suo dipinto ormai si coglie una partecipazione personale, nonchè il suo delicato intimo sentire, spesso malcelato per un sobrio pudore che la rende schiva ai più, che sembra emanare ed espandersi unitamente alla sua esponenziale verve artistica grazie alla partecipata fusione data dallo specchio che riflette i sentimenti di un anima altrettanto delicata. E’ il segno tangibile, il frammento significativo e testimone di un diario di vita che parla di quel tipo di coerenza istituzionale e continuativo fil rouge percettivo di quegli infiniti desideri dell’animo, della memoria attiva, sicuro spiraglio ed emblema di sistema artistico policromo. Nell’ambito di tale cultura generale si è collocata e quindi ispirata con sensibilità a processi didattici interattivi appresi in tutto lo scibile dei sui studi, non ultimi quelli anche psicologici per concedersi la volitiva possibilità di emulare grandi
artiste artiste come Tamara de Lempicka regina di mondanità e l’altrettanto intrigante personaggio Romaine Brooks non per niente soprannominata “ladra di auime”. Le fuggevoli entità e le esperienze figurative specialistiche delle suddette caratteristiche Signore hanno innescato a distanza la capacità esponenziale della Caiazzo, sia come artista che come donna, aiutandola inconsapevoli a condividere una bravura non certo facile da conseguire ma che è planata nella sua piattaforma tecnica in modo sbalorditivo. A tutto si può unire l’esperienza attiva della committenza di cui man mano questa artista ha potuto dotarsi non risparmiando sulla volontà di migliorarsi incoraggiata a sua volta da risultati oltremodo confortanti in momenti in cui il mercato sembra resistere nella sua insistita opprimente latitanza. A differenza delle sue ignari famose Dee che erano nella loro antesignana Dolce vita impegnate a tracciar i segni mondani del tempo come aureole, belletti, cappellini e chiffon a profusione, la Caiazzo ha cercato con tenacia la speciale competenza che riportando sui volti le più arcane sensazioni della femminilità moderna, insegue la cronaca di un umanesimo tanto dilaniato dalle disperazioni del nostro tempo che sia al contempo anche custode della nostra attuale realtà! Gastone Ranieri Indoni
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CALABRIA
Locri: Inaugurata al Palazzo della Cultura la mostra “L’incanto del disegno”, visitabile fino al 20 gennaio 2024
n mostra le opere di Tintoretto, Rembrandt, Canova, Boccioni, Picasso e tantissimi altri artisti dal XVI al XX secolo L’attesa inaugurazione della mostra L’incanto del disegno nelle sale del Palazzo della Cultura, a Locri, ha aperto le porte a un percorso affascinante lungo la genesi creativa dei gradi maestri dell’arte universale: tutto in ottanta disegni originali, provenienti da collezioni private, che attraversano la storia dell’arte dal XVI secolo ai primi decenni del XX. L’evento, di assoluto valore artistico, realizzato grazie al GAL Terre Locridee, che ha dato corpo al progetto della Fototeca della Calabria, e del curatore della mostra, Giuseppe Giglio, offre l’occasione unica di vedere per la prima volta riuniti i disegni che, come studio o idea, hanno tracciato il segno per opere immortali. Tintoretto, Rembrandt, Mattia Preti, Giordano, Solimena, Delacroix, Canova, Boccioni, De Chirico, Picasso e tantissimi altri sono presenti con i loro disegni: tasselli preziosi delle loro storie artistiche individuali che compongono la grande storia dell’arte. Il classico taglio del nastro è stato preceduto dagli interventi di rappresentanti istituzionali e del mondo accademico. Alla conferenza, dopo l’apertura del presidente del GAL Terre Locridee Francesco Macrì, oltre al direttore Guido Mignolli e al curatore Giglio, sono intervenuti il sindaco di Locri Giuseppe Fontana, l’assessore regionale Giovanni Calabrese, il direttore generale del dipartimento Agricoltura della Regione Calabria Giacomo Giovinazzo,
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la direttrice del Parco archeologico nazionale di Locri Elena Trunfio, il professore Claudio Panzera dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, l’architetto Domenico Schiava e, in collegamento da remoto, il direttore di Palazzo Reale e dei Musei scientifici di Milano Domenico Piraina.
«Si tratta di capolavori che provengono dal collezionismo privato, opere uniche di grandi artisti, per la prima volta riuniti e messi in mostra qui, a Locri. Di questo voglio ringraziare il presidente Macrì e il direttore Mignolli, lungimiranti nell’accogliere la mia proposta. Voglio inoltre ringraziare i miei stretti collaboratori, due maestri dell’allestimento, della cura della grafica e della fotografia, Guglielmo Sirianni e Antonio Renda. Questo evento è l’embrione di un progetto ancora più vasto a cui stiamo lavorando con rinnovato entusiasmo dopo il successo di questa inaugurazione» dichiara il curatore Giuseppe Giglio. «Questa mostra, in un certo senso, è una sfida, perché le logiche economiche dicono che in un centro così piccolo è impossibile organizzare una manifestazione con queste caratteristiche. Una sfida che riteniamo di poter dire abbiamo vinto mettendo insieme tante componenti della società, dalla struttura del GAL alle scuole che ci aiuteranno nell’accoglienza, alla compagnia assicurativa di Riccardo Angelini, nostro socio, che ci ha aiutato rispetto ai costi per le assicurazioni delle opere e così via. Inauguriamo quindi un metodo della condivisione e della partecipazione della comunità che riteniamo sia, di fatto, la cosa più importante» dice il direttore del GAL Terre Locridee Guido Mignolli. «Non solo un’agenzia per lo sviluppo produttivo del territorio, ma qualcosa di più: questo vogliamo che sia il GAL Terre Locridee, un ente promotore di crescita sociale e culturale. Questa è la direzione che indica anche la Regione Calabria per le azioni dei GAL nei prossimi anni e noi ci sentiamo in linea con un percorso che, nel nostro comprensorio, avevamo già avviato candidando la Locride a Capitale della cultura. Un obiettivo che abbiamo reso ancora più ambizioso pensando, grazie a eventi come questi e a tanti altri in programma, a una candidatura europea. Invitiamo tutti a venire alla mostra e ringraziamo quanti si sono adoperati perché si realizzasse. Grazie al Comune di Locri per aver concesso gli spazi per l’allestimento e al sindaco Fontana per il sostegno, all’assessore Calabrese e al direttore generale Giovinazzo per la costante attenzione.
E un grazie particolare alla struttura del GAL che, con grande professionalità e dedizione, rende possibili eventi così belli e importanti» conclude il presidente del GAL Terre Locridee Francesco Macrì.
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Dopo 600 anni la “Madonna delle Pere” ritorna nella sua Mileto
Dopo circa seicento anni è ritornata nella “sua” Mileto la Madonna delle Pere di Paolo di Ciacio. La bellissima rappresentazione della Vergine con Bambino, con molta probabilità fu realizzata dall’autore proprio nella cittadina normanna, per decorare l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Consolazione di Altomonte. L’allievo di Antonello da Messina, infatti, così come si evince da documenti dell’epoca nacque proprio a Mileto. L’apposita cerimonia inaugurale dell’esposizione del dipinto su tavola di pino rosso della Sila all’interno del locale Museo statale si è svolta alla presenza delle massime autorità civili, politiche e religiose del territorio e dei vertici regionali del Ministero della Cultura. Il dipinto raffigura la Vergine Maria intenta a nutrire il Figlio con una pera, simbolo della dolcezza dell’amore e allusione al sacrificio eucaristico. Da qui l’intitolazione dell’opera che, salvo proroghe, rimarrà in mostra a Mileto fino la prossimo 31 gennaio. La Madonna delle Pere è ritenuta una delle più importanti e rare testimonianze della pittura calabrese del Quattrocento, prezioso esempio della cultura artistica della regione aggiornata alla pittura fiamminga, approdata nel meridione grazie ad Antonello da Messina. La sua esposizione a Mileto rappresenta una sorta di ripartenza per il museo statale, già punto di riferimento per quanto riguarda l’epopea normanna nel meridione d’Italia, e non solo. Un processo di rilancio che, a breve, passerà anche attraverso un nuovo allestimento e una rivisitazione più moderna e funzionale del percorso espositivo.
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“Caravaggio. Non c’è energia senza colore”
Catanzaro: 19 novembre la mostra ispirata a Caravaggio con le opere di Guido Venanzoni
“Caravaggio. Non c’è energia senza colore” ad ingresso gratuito fino al 14 gennaio 2024, è realizzata dall’Associazione Eos Sud nell’ambito della Rassegna Eos Arts XIII, all’interno del Complesso Monumentale di Catanzaro. La mostra, ispirata a Caravaggio, mette in scena il ciclo di opere originali Storie caravaggesche di Guido Venanzoni (molto apprezzate dalla critica d’arte italiana e in particolare da Vittorio Sgarbi che le ha volute esporre a Sutri) che seguono, in modo fedele, le vicende e gli episodi più suggestivi della vita di Caravaggio, oltre ad alcune copie delle opere più celebri. In un continuo connubio tra reale e virtuale, la mostra è affiancata da un progetto multimediale che vede la proiezione immersiva del dialogo tra Orazio Gentileschi (padre di Artemisia Gentileschi) e Maddalena Antognetti (cortigiana e musa di Caravaggio) e inoltre ci sarà l’animazione digitale del dipinto di Caravaggio “La presa di Cristo”, dopo 72 anni dall’ultima esposizione; un “racconto digitale” completo e innovativo. Il visitatore, quindi, sarà proiettato nella Roma di inizio Seicento in cui Caravaggio ha trascorso la sua vita professionale e personale, segnata da una parte dall’incapacità di
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rispettare etica, regole, decoro e dall’altra dalla capacità di intercettare la sensibilità inquieta del secolo breve che si insedia nell’immaginario artistico contemporaneo come maestro di inesauribile ricchezza poetica. L’originale idea di Guido Venanzoni (Roma, 27 marzo 1951) è quella di raccontare la vita di Caravaggio in pittura: un unicum nel suo genere. Del ciclo di opere ne scrive Vittorio Sgarbi: “Le Storie della vita di Caravaggio raccontate da Guido Venanzoni sono episodi essenziali della biografia di Caravaggio, illustrati con spirito manzoniano. È un gusto narrativo ottocentesco, con la descrizione di ambienti e caratteri creati con una suggestione descrittiva che nasce in un cenacolo di caravaggisti. Venanzoni lavora come lo scenografo e il costumista di un film su Caravaggio, con maniacale attenzione al dettaglio in un racconto evocativo con momenti essenziali, come la formazione con Simone Peterzano; la frequentazione di osterie a Roma; la riflessione e il confronto nello studio del Cavalier d’Arpino; lo spettacolo per la decollazione di Beatrice Cenci; l’assassinio di Ranuccio Tomassoni; l’arresto a Palo laziale; e infine la morte. Sequenze di un film con l’identificazione di Venanzoni in Caravaggio.
CARAVAGGIO Non c’è energia senza colore
Storie di forme che prendono vita
OPERE DI GUIDO VENANZONI Complesso Monumentale San Giovanni dal 18 Novembre al 14 Gennaio
La ricostruzione di Venanzoni è filologica e insieme pittoresca, non romanzata e neppure letteraria, dal momento che abbiamo fonti, in particolare Giovanni Baglione, molto puntuali sulla vita avventurosa di Caravaggio. Così la pittura di Venanzoni obbedisce più alla passione che all’aneddoto ed è insieme un atto d’amore e un atto critico”.
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“Frida Kahlo. Una vita per immagini”:
le foto del padre Guillermo in mostra alla Gam di Palermo
Uno straordinario “album fotografico” da cui emergono le storie, gli amori, le amicizie e le avventure, spesso dolorose ma appassionate, che l’hanno resa nel tempo un’icona dell’arte e non solo. “Frida Kahlo. Una vita per immagini” approda nelle sale della Galleria d’Arte Moderna di Palermo e resta visitabile dal 21 ottobre 2023 al 3 marzo 2024, tutti i giorni dalle 9.30 alle 18.30 (ultimo ingresso alle 17.30). La mostra è un omaggio a Frida, artista di fama internazionale, icona del femminismo, ma anche del multiculturalismo. Una sorta di “album fotografico” che ricostruisce le vicende spesso dolorose, ma sempre appassionate, di una vita, degli amori, delle amicizie e delle avventure dell’artista. Il percorso espositivo restituisce innanzi tutto il contesto in cui si è affermata una personalità così particolare: una sezione della mostra “Frida Khalo. Una vita per immagini” è dedicata al Messico del primo Novecento, attraversato da una rivoluzione che ne ha cambiato la storia, grazie a umili campesinos ed eroici protagonisti come Pancho Villa ed Emiliano Zapata. L’epopea e il mito della rivoluzione messicana resteranno impresse nella mente di Frida e ne forgeranno il carattere indomito, alimentando il suo senso di ribellione verso le convenzioni borghesi e le imposizioni di una società fortemente maschilista. In questo contesto s’innestano le vicende della famiglia
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Kahlo. Guillermo, il padre, è un fotografo di professione di origine tedesca, giunto in Messico nel 1891 e ben presto innamoratosi del paese che lo ha accolto. Le tormentate vicende biografiche di Frida sono raccontate in un centinaio di fotografie esposte, per la maggior parte originali, realizzate dallo stesso Guillermo Kahlo durante l’infanzia e la giovinezza della figlia e poi da alcuni dei più grandi fotografi della sua epoca: Imogen Cunningham, Edward Weston, Lucienne Bloch, Bernard Silberstein, Leo Matiz, Manuel e Lola Álvarez Bravo, Nickolas Muray e altri ancora. Accanto a Frida è spesso ritratto Diego Rivera, il pittore e muralista con cui ha condiviso un rapporto intenso e turbolento, che ha attraversato gran parte della sua vita. Ma vi appaiono anche altri personaggi come Leon Trotskij e André Breton. Esposto in mostra anche un gruppo di piccole fotografie molto intime di Frida, scattate dal gallerista Julien Levy, oltre ad alcuni documenti come il catalogo originale della mostra di Frida, organizzata da André Breton a Parigi, il primo “manifesto della pittura rivoluzionaria”, firmato da Breton e Rivera, alcune litografie di Rufino Tamayo, una documentazione fotografica della sua famosa Casa Azul e infine un video che raccoglie le poche immagini filmate della grande artista messicana. “Frida Kahlo. Una vita per immagini”, a cura di Vincenzo Sanfo, è promossa dal Comune di Palermo e organizzata da Civita Sicilia in collaborazione con Rjma Progetti Cultural.
La Sicilia di Melo Minnella. Paesaggi, memorie e astrazioni 07/10/2023 - 07/04/2024 Castelbuono, Castello dei Ventimiglia - REGIONE: Sicilia
Il Museo Civico di Castelbuono ospita la mostra, Paesaggi, memorie e astrazioni. La Sicilia di Melo Minnella, a cura di Valentina Bruschi, progetto vincitore di Strategia Fotografia 2022, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, grazie al quale l’istituzione museale ha acquisito un importante corpus di fotografie del grande fotografo siciliano Melo Minnella. Il progetto espositivo in programma fino al 7 aprile 2024, presenta trenta fotografie in bianco e nero che rendono omaggio a uno dei fotografi considerato dalla critica tra i più importanti della sua generazione. Melo Minnella (Mussomeli, 1937) è oggi il decano dei fotografi siciliani che ha attraversato il Novecento con il suo sguardo nel mondo umano e culturale della Sicilia, ma che ha anche percorso in lungo e in largo continenti e civiltà. Tra gli anni Sessanta e Settanta Minnella ha intrattenuto profonde relazioni con i più importanti intellettuali del tempo, da Leonardo Sciascia a Renato Guttuso, i cui iconici ritratti fotografici sono oggi presenti nella collezione permanente del Museo. La sua attività fotografica ha catturato lo spiri-
to dei luoghi che ha visitato e le persone che ha fotografato in diverse parti del mondo. «Coerentemente con gli intendimenti culturali che in questi anni recenti hanno caratterizzato l’implementazione della collezione permanente, la presenza delle opere di Melo Minnella rappresenta un ulteriore tassello nella costruzione di una identità mediterranea attraverso le arti contemporanee», commenta Laura Barreca, direttrice del Museo Civico di Castelbuono. Il progetto espositivo si completa con un programma pubblico che prevede i laboratori educativi condotti da Stefania Cordone, responsabile del Dipartimento Educazione del Museo Civico (nelle date del 26 e 28 settembre, 4 e 6 ottobre) e un ciclo di incontri a cura di Maria Rosa Sossai, responsabile del Dipartimento Progetti Partecipativi, che si chiuderà sabato 28 ottobre alle ore 17 con la conferenza del fotografo Gianni Cusumano, dal titolo, Il fascino del collodio: una testimonianza di artigianato in fotografia.
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18° MOSTRA MERCATO D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
16 - 18 FEBBRAIO 2024 Fiera di Genova - Padiglione Blu venerdì, sabato, domenica ore 10,00 - 20,00
Segreteria organizzativa Nord Est +39.0495800305