Rivista20 novembre-dicembre 2023

Page 1

N°60 NOVEMBRE-DICEMBRE 2023 -

periodico bimestrale d’Arte e Cultura

ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE

Edito dal Centro Culturale ARIELE

www.facebook.com/Rivista20

ROBERTO FIASELLA


ENZO BRISCESE

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE

del Centro Culturale Ariele

----------------------------------------------------------

Hanno collaborato: Giovanna Alberta Arancio Monia Frulla Rocco Zani Miele Lodovico Gierut Franco Margari Irene Ramponi Letizia Caiazzo Graziella Valeria Rota Alessandra Primicerio Enzo Briscese Giovanni Cardone Susanna Susy Tartari Cinzia Memola Concetta Leto Claudio Giulianelli

Ragazzi del 2000 - 2023 - t.mista olio su tela - cm70x80

----------------------------------------------------------

Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com www.facebook.com/Rivista20 -----------------------------------------------------

Ragazzi del 2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80

2

In copertina:Roberto Fiasella


“La completezza di uno scultore: Roberto Fiasella” di Lodovico Gierut Critico d’arte

Me ne sono già occupato pure qui, evidenziandone l’attività, ma ancora mi riferisco a Roberto Fiasella, nato in Svizzera da genitori italiani, che da molti anni vive in Toscana, a Castelnuovo Magra. Il suo viaggio è inusuale, nel senso che dopo aver studiato arte a Carrara ed essersi subito appassionato al disegno, ha successivamente conosciuto lo scultore Jiménez Deredia dal quale ha avuto insegnamenti ed opportuni consigli senza tuttavia esporre le proprie opere, se non in un ristretto raggio e in pratica solo per amici e conoscenti. S’è poi preso un periodo di stasi, per scelta, continuando tuttavia

l’attività principale in quanto è istruttore federale di equitazione e addestratore di giovani cavalli, ad oggi ha Studio in Via Olmarello e, riprendendolo più tardi ha continuato l’inesausto piacere di piegare la creta e alti materiali). A Seravezza, in Versilia, s’è quindi aggiudicato, per la scultura, un ambitissimo primo premio al “Michelangelo Buonarroti”. Da quel momento in poi, ha deciso di esporre e l’ha fatto con una ampia personale tenutasi quest’anno al Museo “Ugo Guidi” di Forte dei Marmi. E’ scultore completo, ricco di inventiva e di quel “mestiere d’artista” senza il quale, come ho spesso detto, un vero creativo non può essere definito tale.

3


Il suo soggetto-guida è il “cavallo”, una tematica ricca di una forma/linea alla quale va spesso aggiungendo pieni o soffusi cromatismi pure nel bronzo, con opere concretate in molti casi a Pietrasanta, presso la Fonderia Artistica Mariani. Oltre ai bronzi bruniti, lucidi, finanche d’azzurro fondo e di verde antico, in lui balzano agli occhi la perentorietà creativa dei gessi, delle terrecotte e di alcuni marmi bianchi carraresi, come di un paio di recentissime resine, in un insieme cui dà soluzione alla prediletta tematica equina. E’ ovvio che l’essere sempre vissuto in Lunigiana, lontano dal clamore e pur con amicizie non solo locali gli ha permesso di sviluppare un carattere personale e artistico meditativo, e non è sicuramente casuale che in un’intervista che gli ho fatto proprio tempo fa, alla domanda del perché di uno ‘stacco’ dall’attività artistica (si era alla fine del Novanta), ha testualmente risposto: “… non ero pronto per quel viaggio; i coccodrilli mi avrebbero sbranato. I disegni di allora parlano di disagio, conflitto, chiusura, tutte condizioni sfavorevoli ad affrontare il difficile mondo dell’arte”.Quel mondo Fiasella l’ha poi ripreso, lavorando in pratica solo per sé, ma ecco che oggi, nella sua completezza, al punto di domanda del perché ami così tanto il tema del cavallo, dice che “Il contatto quotidiano con questo animale ha contribuito notevolmente ad innescare quel processo evolutivo. Cavalcare significa entrare in relazione con un essere magnifico che vive in un mondo magico,

4

fanciullesco, dove le cose cambiano in continuazione nel loro significato, se colpite da un raggio di sole o mosse da un soffio divento”.


Il disegnare con immensa passione e plasmare di continuo la materia, in lui ha avuto il ruolo di portarlo alla completezza, tanto che, assieme alla mia stima, ha quella di molti altri, tipo la storica Marilena Cheli Tomei che in un ampio saggio specifico ha testualmente affermato: “In particolare nel cavalo e nel cavaliere si identifica il rapporto esistente tra l’Es, l’energia libidica che permea il mondo intero e l’io ovvero la parte di personalità organizzata. Viene quindi naturale definire Fiasella un moderno centauro, un saggio Chirone che ha saputo ben integrare la sua parte razionale con quella istintuale, rendendo arte l’intimo legame con il cavallo, mostrandoci la sintonia di coppia che li rende inseparabili”. Il suo percorso che continua nell’impegno e nella ricerca, possiede una linea che avvolge l’osservatore per la narra-

zione ricca di valori contenutistici ed estetici. Egli conosce così bene i “suoi” cavalli che talvolta, e non scherzo, sembra quasi avere con ognuno di essi un colloquio, un tacito accordo per un racconto giornaliero di modellazione, lo stare assieme per fare arte. Un’ultima cosa, per chiudere questi miei appunti: se da un lato il tema-guida è per Roberto Fiasella il “cavallo”, non disdegna di affrontarne pure altri legati alla figura umana del resto spesso contestuale all’equina, o creature come il falco e l’aquila, e non solo, sempre con magnifici risultati, ma questa è un’altra storia cui dare evidenza, sempre qui, in futuro.

5


museo d’arte contemporanea statale

“Quadri di un’Esposizione: L’Arte Contemporanea Incontra la Creatività Femminile” Al MACS di Santa Maria Capua Vetere, dall’11 al 29 novembre. Il Mondo dell’Arte si Illumina con una Collettiva Eccezionale Nel cuore pulsante della scena artistica contemporanea, una mostra eccezionale sta catturando l’attenzione e l’immaginazione di appassionati d’arte. “Quadri di un’Esposizione” è un evento straordinario che celebra il talento di artisti contemporanei, con un’enfasi speciale sulle donne che stanno lasciando un’impronta indelebile nel mondo dell’arte. L’appuntamento per il vernissage è presso il MACS di Santa Maria Capua Vetere, il museo di arte contemporaneacreato all’interno del Liceo Artistico Solimena, che vede come dirigente scolastica la professoressa Alfonsina Corvino. Un Vortice di Creatività “Quadri di un’Esposizione” è un tour de force di creatività contemporanea. Le sale d’esposizione sono un caleidoscopio di stili, tecniche e visioni artistiche, creando una sinergia unica tra i vari artisti presenti. La mostra abbraccia

6

una vasta gamma di medium, tra cui pittura, installazioni e molto altro. La Potenza dell’Espressione Femminile Una caratteristica distintiva di questa mostra è la rappresentazione eccezionale di artiste femminili. “Quadri di un’Esposizione” mette in luce il contributo significativo delle donne all’arte contemporanea. Attraverso la loro visione e il loro lavoro, queste artiste sfidano le convenzioni, esplorano nuovi confini e offrono una prospettiva fresca sulla società e sulla condizione umana. Ventuno gli Artisti in Evidenza: Leonardo Cherubini; Gabriele Ieronimo; Angelo Buono; Michele Roccotelli; Giuliano Censini; Franco Tarantino; Enzo Briscese; Claudio Giulianelli, Francesco Di Meola e LàszlòBotàr che ci presentano un’eclettica pittura, una visione di colori audaci e linee fluide che esplorano le complessità delle relazioni umane in modo affascinante.


Aurora cubicciotti

Enrica Maravalle

A questi si aggiunge la potenza espressiva di artiste in mostra come Moldovan Irina Maria; Carmen Croitoru;Aripa di Mariana Paparà; SarkaMrazova; Aurora Cubicciotti; Raffaella Pasquali; Enrica Maravalle; Gina Fortunato; Mirella Caruso e Giuseppina Cusano; artiste che esplorano la trasformazione e la femminilità, creando opere che sono allo stesso tempo delicate e potenti, artiste che nel mondo dell’arte hanno dimostrato tenacia e capacità creativa, avviando una rivoluzione culturale, che richiede ancora tanto impegno “Quadri di un’Esposizione” affronta una varietà di temi e questioni contemporanee attraverso l’arte. Dall’ambiente all’uguaglianza di genere, dall’identità alla politica, gli artisti in mostra offrono uno sguardo profondo e critico sulle sfide e i cambiamenti del nostro tempo ed afferma l’importanza della comunicazione creativa del nostro tempo. La mostra offre ai visitatori un’esperienza immersiva che li avvolge completamente nell’arte. Installazioni e spazi multimediali creano un ambiente coinvolgente, rendendo la visita un’esperienza sensoriale e intellettuale. “Quadri di un’Esposizione” dunque non è solo la composizione musicale del grande musicista Mussorgskij, ma diventa un’ode all’arte contemporanea e al contributo ineguagliabile delle donne a questa forma d’espressione. Mai come in questo caso musica e pittura sono straordinariamente vicine.La scelta della musica durante un vernissage può influenzare l’esperienza. Può essere delicata e sottolineare la contemplazione delle opere, o più vivace creando un’atmosfera di festa. In questo modo, la musica diventa un elemento chiave nella creazione di un’esperienza multisensoriale durante un vernissage di arte contemporanea. La mostra è un appuntamento imperdibile per gli amanti dell’arte, un’opportunità di scoprire nuove voci e nuove prospettive nell’arte del nostro tempo. La sua risonanza continuerà a crescere, ispirando e incantando i suoi visitatori mentre esplorano il mondo dell’arte contemporanea e la creatività delle artiste donne e di artisti del mondo contemporaneo, dalla sensibilità prepotente, che non rie-

scono a tacere e che portano nell’arte la loro bellezza e il loro dolore del mondo. Un vernissage come un preludio silenzioso,una mostra come una composizione musicale. Ogni opera d’arte esposta rappresenta una nota musicale e la disposizione delle stesse nello spazio è come la struttura di una sinfonia con gli ospiti che hanno la possibilità di interagire ammirando i lavori in galleria.

Enzo Briscese

7


La collettiva rientra nei progetti messi in cantiere dal professore Vittorio Vanacore, direttore artistico,e verrà aperta dalla dirigente scolastica Alfonsina Corvino,con i saluti agli artisti che potranno essere presenti e agli assessori alla Culturae alla Scuola e Politiche Giovanili Annamaria Ferriero ed Edda De Iaso. Anello di congiunzione tra spazio artistico e critico, la professoressa Maria Giovanna Pellegrino. Il MACS di Santa Maria Capua Vetere è un museo contemporaneo di fondamentale importanza. In primo luogo, serve da ponte tra l’arte contemporanea e il pubblico. Ecco perché è particolarmente rilevante in una scuola come il liceo artistico Solimena, dove oltre alle lezioni curriculari è possibile ogni giorno vivere l’arte nella galleria e nelle sale espositive di artisti viventi o di recente produzione, offrendo agli studenti l’opportunità di esplorare nuove tendenze artistiche e stili innovativi. Questo stimola la creatività e l’apprendimento continuo, ispirando gli studenti a sviluppare le proprie abilità artistiche. Il MACS offre una piattaforma per il dialogo sull’arte attuale. Gli studenti possono vedere come gli artisti affrontano temi e questioni rilevanti nella società contemporanea, incoraggiandoli a pensare criticamente e a partecipare a discussioni significative. Il MACS è un museo dove contemporaneo dove si celebrala diversità culturale attraverso le opere d’arte, aiutando gli studenti a sviluppare una comprensione più profonda delle diverse culture, prospettive ed esperienze, promuovendo la tolleranza e il rispetto reciproco. Molte opere d’arte contemporanee affrontano temi sociali ed ambientali cruciali, offrendo uno spazio educativo prezioso per gli allievi. L’inizio dell’anno delle attività è coinciso con una preziosa ed originale mostra dell’artista madrileno Antonio Vidal, una personale sugli Argonauti moderni, con un catalogo in lingua italiana e spagnola. Dopo Vidal è stata presentata la personale di Decio Carelli. A fine mese di ottobre una collettiva per gridare lo stop al femminicidio con ben diciotto artisti in galleria tra cui Anna Maria Zoppa, Laura Polise;

Mimmo Fabozzi, Giuseppe Ferraiuolo ed altri di non meno importanza, evento accompagnato da intervento musicale. Per il mese di novembre il MACS ospiterà una collettiva di artisti piemontesi: “Quadri di un’Esposizione”. A dicembre la personale del giornalista Luciano Scateni; gennaio sarà il mese dedicato alla mostra MithraSol Invictus. Febbraio in parte sarà dedicato alla mostra di grafica e scultura dell’artista spagnolo Gines Vincent. Marzo sarà il mese in cui il MACS accoglierà la personale di Francesc Bordas , artista francese Aprile sarà il mese in cui l’artista Enzo Trepiccione , legato al mondo dell’arte spagnola, presenterà la sua nuova collezione. Il mese di maggio Museo Porte Aperte, sarà l’apoteosi di numerosi altri artisti italiani.

Carmen Croitoru

Giuliano Censini

8

Gina Fortunato


Franco Tarantino

László Botár

Aripa di Mariana Paparà

Sarka Mrazova 9


10

Mirella Caruso

Angelo Buono

Raffaella Pasquali

Stefano Greco

Claudio Giulianelli

Leonardo cherubini


Enrico Meo

Moldovan Irina Maria

Gabriele Ieronimo

Michele Roccotelli

11


Francesco Di Meola - Arte povera - 162 cm x 30 cm x 23 cm Ceramica cerretese policroma, legno, striscia led rgb, ferro 2017

Giuseppina Cusano - Nel blu della grotta azzurra Acrilico tecnica mista su tela - cm 70x100

L’Arte diventa il mezzo per realizzare una didattica laboratoriale caratterizzata da multiformi codici, che rispecchia la civiltà e la cultura del nostro tempo, che valorizza il nostro territorio e la sua storia, promuovendo negli allievi la capacità di leggere e comprendere il significato delle opere d’arte, dei diversi stili, di valorizzare le esperienze personali, di acquisire consapevolezza e attenzione al patrimonio artistico. Dal 2016, il MACS è stato teatro di numerose attività, tra le quali, oltre alle presentazioni della collezione permanente, il vernissage “Voilà” sulle riviste Patafisiche, La rassegna “Mithra Sol Invictus” che quest’anno è arrivata alla quarta edizione, una rassegna internazionale “ Turismo con Arte” che ha visto coinvolti tre paesi, l’Italia, la Spagna e l’Uru-

guai, i numerosi laboratori didattici che hanno interessato anche le scuole secondarie di primo grado delle città limitrofe. Il MACS non solo arricchisce la proposta culturale della città di santa Maria Capua Vetere, ma, di fatto, si propone come una spinta propulsiva in grado di costruire sinergie attraverso collaborazioni con le risorse del territorio e con il mondo dell’associazionismo, indagando i sentieri dell’estetica attraverso l’individuazione di dinamiche creative, anche emergenti.

12

Responsabile museo MACS

Dirigente scolastico Alfonsina Corvino

Responsabile artistico

Vittorio Vanacore


Ad Aversa, il futuro dell’arte contemporanea, fra anime e pensieri. Ad Aversa nel cuore della prima contea Normanna in Italia, nella storica piazza Mercato, a due passi dalle mura della Cattedrale di San Paolo - il Duomo della città - da circa tre anni, ininterrottamente, una ricchissima programmazione artistica anima le sale di Spazio Vitale. Una galleria d’arte contemporanea, dove si mescolano le anime e i pensieri degli artisti e dei collezionisti che la frequentano, centro di scambi culturali nella provincia di Caserta. E’ un luogo dove si fa cultura, in senso lato ma anche nel senso più ortodosso della ricerca contemporanea, è tale si appresta a restare nella sua articolazione programmatica, per ferrea volontà dei soci fondatori della galleria. Un nutrito gruppo di artisti campani in Spazio Vitale puntualmente si ritrovano. E’ la storia di una vita tanto breve ma tanto intensa, dimostrazione che il coraggio di investire in cultura ripaga sempre, al punto da premiare Spazio Vitale ad ogni vernissage con sale pienissime di ospiti. E’ l’esperienza di condividere il luogo della galleria come spazio di confronto, costruendo fruttuosi parallelismi, fra gli artisti della galleria in primis -cosa non scontata- e con altri mondi dell’arte, allungando lo sguardo su scenari internazionali, quali la Spagna. Dopotutto, sostenere una galleria è quasi una missione. Una cattedrale della cultura, in Campania poi diventa una scommessa, dall’esito non prevedibile.

racchiusi in “Mytho’s Portraits”, con catalogo edito dalla Gutemberg Edizioni. Inoltre, la ricca collettiva di “tentazioni connesse” e la mostra “trasfigurazioni” un’immersione nella ricerca fotografa di Pino di Meo, Rosanna Ascione, Barbara Cantiello, Antonio Russo. Gli artisti soci guardano già al dopo, al ritorno ad una diversa normalità della vita, dovendo superare l’esperienza traumatica del Covid 19 che ha congelato le distanze umane che per Spazio Vitale sono il centro motivazionale su cui gravita il proprio lavoro e alimenta la ricerca creativa. Servirà far leva sulle passioni, sulla buona qualità delle proposte, che quest’anno si apre alla collaborazione e agli scambi con la Francia e continuando a tessere le maglie di un dialogo con altre istituzioni culturali del territorio campano, fra le quali il Museo MACS di Santa Maria Capua Vetere. Michelangelo Giovinale

Eppure Spazio Vitale, forte anche di un ampio terrazzo incorniciato da una favolosa fontana d’epoca è riconosciuto come luogo di libero scambio di idee ed emozioni. Di mostre, artisti e critici, in poco più di tre anni di vita, ne sono passati tanti. Per citarne solo alcuni gli artisti spagnoli Xavi Ferragut e Salvador Torres, con due rispettive personali, ma anche i potenti segni delle incisioni di Isabella Ciaffi, raffinata artista bolognese, sul tema insolito della “bianchezza della balena” ed ancora, gli ultimi lavori di Antonio Ciraci,

13


“Compleanno- Tanto mondo tutto in una volta”

Enzo BRISCESE -Ragazzi con cellulare - 2021 - t.m. olio su tela - cm 70x80

Daniela GILARDONI FLUTTUAZIONI -dittico-2023 - 82X150 stoffe di riciclo e di propria produzione e feltro ad ago

La Galleria Labirynt , l’Associazione Odin Innovation Forum di Cracovia , in sinergia con l’Associazione La Casa Delle Artiste di Milano e con il patrocinio del Consolato Generale di Polonia a Milano e del Consiglio Zona 6 del Comune di Milano, in occasione del centenario della poetessa Wisława Szymborska , premio Nobel per la letteratura 1996, si è svolta la prima tappa della mostra itinerante italo-polacca “COMPLEANNO”-Tanto mondo tutto in una volta (“Birthday” - So Much at Once world from all over the world), dedicata e ispirata al suo lavoro. La mostra è patrocinata, e inclusa nel programma ufficiale degli Eventi dell’Anno, anche dalla Fondazione Wisława Szymborska di Cracovia. La manifestazione, organizzata dai curatori Daniela Gilardoni (La Casa delle Artiste e Leszek Żebrowski (Galeria Labirynt), ha visto esposti, dal 13 al 22 ottobre 2023, opere e video di ventisei artisti, tra polacchi e italiani, alla galleria della Ex Fornace Gola al naviglio Pavese, concessa dal Consiglio Zona 6 del Comune di Milano. Espongono : per la Polonia Jacek Balicki, Aleksandra Zuba-Benn, Magdalena Cywicka, Dariusz Stanisław Grabowski, Jerzy

Plucha, Marek Pokrywka, Maria Luiza Pyrlik, Antonina Janus-Szybist , Anna Śliwińska ,Jolanta Więcław, Grzegorz Wnęk, Joanna Zemanek, e Teresa M. Żebrowska. Per l’Italia: Alessandra Bisi. Enzo Briscese, Andia Asfar Keshmiri, Cinzia Fantozzi, Cristina Gentile, Daniela Gilardoni, Giulia Lungo, Gabriella Maldifassi, Raffaella Pinna, Paola Scialpi, Maria Luisa Simone De Grada, Vittorio Tonon, Paola Valori, Il vernissage, gestito da Diana Battaggia de La Casa Delle Artiste, ha visto interventi critici delle docenti Giuliana Nuvoli e Teresa Zebrowska, della presenza del polonista Luca Bernardini con la traduttrice slavista Valentina Parisi, della responsabile eventi del consolato polacco Marta Zagórowska e del consigliere del Municipio 6, Francesco de Muro. Nella serata del 19/10 si è goduto del dialogo scenico di Marvi del Pozzo liberamente tratto dal libro “Nulla di ordinario su Wislawa Szymborska”, scritto dal suo segretario Michael Rusinek con gli attori Sara Tesco e Maurizio Gualtieri, della compagnia Maskere di Opera (MI). Prossima tappa: Fondazione Palmieri di Lecce a febbraio 2024. Daniela Gilardoni

Maria Luisa SIMONE DE GRADA- Pace e libertà 2023 60x80

Raffaella PINNA Incontro misterioso cm 80 x 60 olio su tavola 2012

14


Alessandra BISI -Cieli oro nero - 2016 - cm 150X100

Cristina GENTILE- Il cielo - Un abbraccio abbracciato

Cinzia FANTOZZI La poeta tessitrice di parole - 2023 cartoncino,carta a mano,foglia oro, chiodini,Filo di cotone e paperclay, 37x37 cm

Paola SCIALPI Utopia - acrilico su tela 2023 cm 60x60

Vittorio TONON End - 30X40X20marmo di Carrara e proiettile

Gabriella MALDIFASSI - La morte dell'acqua 2017 T.M. sabbia pietre, costumi 52x125 cm

15


Giulia LUNGO -Nascosta stampa su FOREX - 2019 -50x70

Andia Asfar Keshmiri - Amore a prima vista trittico- acquarello su carta da EEG

PAOLA VALORI Omaggio a Wislawa Szymborska_- collage, mixed media, digitale 2023 - 40x40 cm.jpg

Tessere il mondo con immagini e parole: una mostra per Wislawa Szymborska

Dariusz Grabowski - Del paradiso e delle sue meraviglie, anche dell'inferno da quando si è udito e visto nr. 27 - acrilico pastello su cartoncino- 25x35 cm

Anna Śliwińska - Compleanno - 2023 , olio su tela - 100x70 cm

Andava per il mondo in punta di piedi, sfiorando appena il terreno per non sgualcire un solo filo d’erba… Wislawa Szymborska ci ha insegnato cosa sia la leggerezza in una visione del mondo tutta femminile attenta alle piccole cose: a quello che incontri per strada, che scorgi la mattina al risveglio, che ti appare nella penombra del giorno che muore. La sua visione del mondo è quella del “possibile”: messi da parte gli archetipi, le verità assolute, le griglie rigide che disegnano il mondo, Wislawa guarda con stupore ciò che si muove intorno a lei, che colpisce i suoi sensi e mette tutto in fila e in circolo, vi si chiude dentro e non cerca nient’altro. Attenti lettori dei suoi versi hanno scritto che al centro della poetica della Szymborska vi siano tre elementi: l’ispirazione, i “non so” e lo stupore. L’ispirazione, sostiene,

non è appannaggio dei poeti; e i poeti non hanno certezze. “Donna, come ti chiami? – Non lo so.” Dagli Scettici a Cartesio, da Montaigne a Husserl, la sospensione di giudizio ha rappresentato l’unico valido metodo per la conoscenza. Io non so… e mi stupisco di tutto! Aristotele, nel primo libro della “Metafisica”, affermava che “gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia”. Con meraviglia, e a causa della meraviglia, Wislawa ha iniziato a scrivere.

16

E’ necessario partire da questi postulati, per comprendere il senso di questa mostra che vede protagonisti 13 artisti italiani e 13 artisti polacchi, in maggioranza donne: sì che prende vita un universo insolito, in cui forma, colore, materia raccontano storie immediatamente comprensibili, anche quando è il simbolismo a farla da padrone.


C’è un elemento che, tenace, lega le tredici opere degli artisti italiani: ed è la voglia di comunicare, di andare verso l’altro, di toccarlo, di non permettere mai la solitudine. Iniziando dall’opera di più antica data, Ragazzi con il cellulare di Enzo Briscese(2000): due ragazzi, un maschio e una femmina, campeggiano nell’immagine; nello sfondo una lunga sequenza di 0 e 1, la rappresentazione del sistema binario utilizzato dagli strumenti informatici; in alto forme contorte, indistinte, minacciose (la rete). Immagine di una semplicità profetica, dove la scienza sembra quasi annullare il rapporto umano. A questo sembra porre rimedio Andia Afsar Keshmiri con Amore a prima vista. Trittico, acquarello su carta da EEG: 1. si è girato verso di me; 2. si è fissato su di me; 3. mi ha dato un sorriso. Andia trae ispirazione da immagini scientifiche, ma le mette al servizio delle emozioni. Non è la scienza, ma l’uomo, il Grande Nemico. L’uomo che provoca il “progressivo inaridimento del nostro pianeta”, come denuncia Gabriella Maldifassi ne La morte dell’acqua, in una insolita tecnica mista con sabbia, pietre, conchiglie su costumi da bagno che, inizialmente turchesi, diventano di triste marrone: omaggio alla poesia L’acqua della Szymborska, elemento mutevole, portatore di vita e di morte. Quella morte di cui è sempre madre la guerra, come indica Vittorio Tonon con End, proiettile e marmo di Carrara: opera di straziante attualità e di ferma condanna. Anche questo tema caro a Wislawa, che ne parla consapevole, ma senza rinunciare alla speranza:

Aleksandra Zuba-Benn, Dove potrò mettere il tuttoolio su tela cm 100 x 70 -2023

Dopo ogni guerra c’è chi deve ripulire. In fondo un po’ d’ordine da solo non si fa. C’è chi deve spingere le macerie ai bordi delle strade per far passare i carri pieni di cadaveri. […] Chi sapeva di che si trattava, deve far posto a quelli che ne sanno poco. E meno di poco. E infine assolutamente nulla. Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti, c’è chi deve starsene disteso con la spiga tra i denti, perso a fissare le nuvole. (La fine e l’inizio)

Antonina Januz-Szybist - sono un cattivo pubblico per la mia memoria- acrilico e olio su tela - cm180 x 140 - 2023

17


Jerzy Plucha - Wi(e)sława... lo sa -2023 tempera naturale su tela - 80x60cm

M. Pokrywka-Il sogno di una donna - 2023, olio su tela, 80x60

I suoi versi fanno luce al nostro cammino fra gli artisti presenti alla mostra, come accade con Maria Luisa Simone De Grada in Pace e libertà, olio su tela, che assembla ere e mondi diversi in uno spazio chiuso dal filo spinato: un bicchiere in mano stretto da lunghe dita tentacolari; lo sguardo assorto e un abbigliamento che sembra unire Rinascimento italiano (il copricapo) e sgargianti abiti nordafricani. La strada è una sola, quella di “trovarsi”, come indica Raffaella Pinna in Incontro misterioso, olio su tavola, collocato in una riconoscibile Milano, forse la più cosmopolita città italiana: al centro due volti asessuati colmi di una infinita tenerezza. La stessa tensione è presente ne Il cielo è un abbraccio abbracciato, tecnica mista su cartoncino, di Cristina Gentile: frammenti di corpo - occhi, bocca, braccio, mani – che si ricompongono nella parte bassa e centrale dell’immagine in un abbraccio. Al centro la parola cielo e il suo corrispettivo polacco niebo: questo è il paradiso! Lo stesso elemento torna in Cieli oro e nero di Alessandra Bisi, ma con modalità diverse: dinamiche e prepotenti. Una sorta di folgore lanciata da Zeus (che ha la forma dell’iniziale del nome del dio) si avventa da destra a sinistra su una forma statica, aperta ad accoglierla. E accogliente, nella sua innocente nudità, è il corpo fotografato da Giulia Lungo in Nascosta, Stampa su Forex. Seminascosto da lunghi capelli corvini (come non pensare alla Ligeia di Edgar Allan Poe?) e due mani giunte, il corpo appartiene a un essere umano, né maschio né femmina: potrebbe essere entrambi e non farebbe differenza. Un mondo amorevole, senza distinzione di sesso, età, razza, religione, cultura è quello a cui tutti tendono gli uomini di buona volontà: è l’Utopia di Paola Scialpi, acrilico su tela. Una sfera rossa, in alto a destra, che non riesce a illuminare un paesaggio grigio ferro, popolato di tante piccole unità: forse esseri viventi, forse simulacri di uomini, forse solo lacrime di dolore per un mondo irraggiungibile. In controcanto con il “non so” di Wislawa Szymborska è, a prima vista, Fluttuazioni. Dittico, arazzo con stoffe di riciclo e feltro, di Daniela Gilardoni: “A sinistra il lago della Profonda Convinzione. / Dal fondo si stacca la Verità e lieve viene a galla. / Domina sulla valle la Certezza Incrollabile. / Dalla sua cima si spazia sull’Essenza delle Cose”. Poi ti accorgi che la

Verità e l’Essenza delle Cose sono assai lontane dalla Profonda Convinzione e dalla Certezza Incrollabile: allora la sintonia di Daniela con Wislawa appare in tutta la sua intensità. Una sintonia esplicita nel collage Omaggio a Wisława Szymborska di Paola Valori, che si ispira a tre versi differenti della Wislawa: “Io ballo, io ballo, nel battito di ali improvvise. / Volo come si deve, ossia con le mie forze. / Non ho difficoltà a respirare sott’acqua”. Al centro del collage l’immagine di lei, saggia, sorridente matura, in un moto continuo di cadere, tendere, volare. Il perfetto finale connubio fra pictura e poiesis è contenuto ne La poeta tessitrice di parole di Cinzia Fantozzi, un cartoncino, foglia oro, chiodini, filo di cotone e paperclay. Aracne, la grande tessitrice, va verso il centro della tela e dà vita a un’opera d’arte senza tempo e di assoluta bellezza. Aracne è Wislawa e, insieme, tutti gli artisti che hanno dato forma e colore alle sue parole. Pictura e poiesis ci prendono per mano e, insieme, ci indicano la strada per i Campi Elisi. Giuliana Nuvoli

18

Jacek Balicki - Quarta - 2023 - acrilico su tela - 80x90cm


Maria Luiza Pyrlik - Polaroid_non è troppo per me il sole, l'aurora- VII 2023 - 110x90 cm

Magdalena Cywicka - Giardino privato - 2023 acrilico, carta 70 x 70 cm

Teresa M. Żebrowska Labyrint, stupore dopo stupore - 2023 tecnica propria, carta - 56x45 cm

Grzegorz Wnek - Lacrime nel giardino olio su tela - 73x64,5 cm, 2019

Joanna Zemanek - Dalla serie L'età dell'innocenza -2021 - seta dipinta con pigmenti di rossetto e ricami - 140 x 140 cm

Jolanta Więcław_Ho sognato per loro una tavola, due sedie(Finalmente la memoria) _collage su carta - 30x40 cm

19


Giacomo Manzù : Uno dei più Grandi Scultori del Novecento di Giovanni Cardone

In una mia ricerca storiografica e scientifica su Giacomo Manzù apro il mio saggio dicendo : Nel secondo dopoguerra la scultura italiana doveva ritrovare la propria identità dopo i vent’anni di dittatura. Era necessario, ad esempio, ristabilire le funzioni e i canoni della scultura pubblica e di quella monumentale, finalizzate nei due decenni di regime a celebrare i caduti della grande guerra, i personaggi e i momenti eroici del fascismo. Bisognava ritrovare nuove formule per affrontare soggetti figurativi come il corpo maschile nudo o panneggiato, che negli anni trenta e quaranta aveva ripreso la tradizione classica e rinascimentale per ottenere una figura forte, muscolosa e virile. Questa linea seguiva il ritorno all’ordine e la ravvivata attenzione per l’arte italiana antica , sostenute dal Novecento di Margherita Sarfatti, e trovò un’esemplare realizzazione nelle statue degli atleti dello Stadio dei Marmi del Foro Mussolini. Dall’altro lato, c’erano le produzioni plastiche degli scultori di Corrente, reazione antinovecentista per eccellenza con il suo sostegno ad un‟arte antiretorica. E ancora ma in questa sede non si può che presentare in scorcio un quadro ben più complesso il corpo maschile era stato esplorato dalle invenzioni di Arturo Martini, seguito dalle vecchie e nuove generazioni, il quale fece riferimento a un vastissimo bacino di riferimenti, primo fra tutti quello dell’arte etrusca, tanto che già nel 1922 Cipriano Efisio Oppo

20

lo definì «l’uomo più assimilatore che si conosca» . Anche la ritrattistica doveva essere messa in discussione. I ritratti di Mussolini, cresciuti in maniera esponenziale dopo l’esposizione di Il Duce (1923) di Adolfo Wild alla Biennale di Venezia del 1924, avevano portato parte della ritrattistica a riprenderne le caratteristiche i lineamenti duri e autoritari del condottiero, la muscolatura contratta, l‟idealizzazione del soggetto ritratto, andando a sconfinare anche in altri generi l’esempio più lampante fu il Pugilatore ferito del 1931 di Romano Romanelli, la cui testa riprendeva il volto del Duce. Restavano validi, nel secondo dopoguerra, i ritratti per tipi di Marino Marini; quelli psicologici ed intimi di Giacomo Manzù; quelli dai toni aristocratici di Pericle Fazzini. Tolti questi casi a parte, agli altri scultori spettava ridefinire le direttrici del proprio lavoro: all’inizio di una nuova epoca storica non si poteva più riparare sul recupero dell’antichità, fosse quella etrusca, romana, del Fayum o dei primitivi. Un’altra questione riguardava il bronzetto, genere che conobbe ampia fortuna negli anni trenta e quaranta, sia per la facile vendibilità di statue di piccole dimensioni sia per il sostegno, in quegli anni, all’avvicinamento tra arti minori e arti maggiori . Il volume di Leo Planiscig sui Piccoli bronzi italiani del Rinascimento, pubblicato nel 1930, con il suo ampio apparato iconografico, costituì per molti scultori la fonte illustrativa a


Martini capovolse i canoni del bronzetto in termini antiaccademici, contro gli stilismi ottocenteschi ma soprattutto contro quelli rinascimentali diffusi dal volume di Planiscig apportando valori inconsueti ad una produzione che poteva presentarsi come valida alternativa alle istanze della retorica monumentale. Nel 1936 Martini espose alla Biennale di Venezia nove bronzetti di vario soggetto (mitologico, biblico e sportivo) e molti scultori italiani, dopo averli visti, virarono la propria produzione del bronzetto seguendone l’esempio .I Doveva, inoltre, essere ridefinito il rapporto tra architettura e scultura (rilievo incluso), che negli anni della dittatura si era diviso in due opposte correnti: quella che intendeva la scultura dipendente dallo stile architettonico; e quella che, all’opposto, riconosceva alla scultura, per via delle sue qualità plastiche, un carattere architettonico che la rendeva indipendente dall’architettura stessa. Superare i limiti che erano seguiti alla chiusura della scultura italiana in se stessa, nelle sue problematiche contingenti, e ridarle una nuova identità: queste erano le prime urgenze a cui si doveva porre rimedio.

Diversi problemi, tuttavia, complicavano il secondo dopoguerra. In primo luogo l’evidente arretratezza della produzione plastica italiana rispetto ai lessici contemporanei, tema ampiamente discusso dalla critica e di cui erano pienamente consapevoli gli stessi scultori. La causa principale era stata la censura alle correnti artistiche più innovative avvenuta durante i venti anni di dittatura. Gli scultori italiani, sfogliando clandestinamente le riviste straniere come ad esempio i parigini Cahiers d’Art, conobbero i nuovi lessici plastici, ma dovettero metterli in pratica con oculatezza. Si pensi, ad esempio, della testa del San Giovannino (1931) di Giacomo Manzù, che per la forma ovoidale, l’arcata sopraccigliare collegata con la sporgenza filiforme del naso faceva riferimento agli ovoidi di Costantin Brancusi. Tuttavia Manzù non seguì la strada dei volumi puri e delle teste scultoree autonome di Brancusi: assimilò una soluzione formale, continuando a restare all’interno delle ricerche plastiche sulla terracotta a cui si stava dedicando Martini in quegli anni. Per gli scultori italiani aderire apertamente alle forme d’arte censurate dalla dittatura avrebbe significato essere esclusi dalle mostre e non vendere le proprie opere su un mercato italiano già in sé apatico. La chiusura alle

correnti internazionali, in special modo quelle francesi, rientrava in un progetto delineato: promuovere una idea forzata di arte “mediterranea” dove l’arte italiana (o per meglio dire “italica”) sarebbe dovuta prevalere su tutte quelle provenienti dalle altre nazioni, che dovevano apparire “livellate”, legate alla propria tradizione e lontane da qualsivoglia lessico aggiornato. In tal senso, furono esemplari le Biennali di Venezia di Antonio Maraini, che bloccarono l’ingresso alle correnti internazionali più sperimentali, prime fra tutte quelle francesi, avvertite come le più pericolose per l’identità dell’arte italiana sostenuta dal regime. Venne così promosso un linguaggio artistico nazionale, omogeneo, che rispecchiasse i valori e le aspirazioni del fascismo. La seconda questione da affrontare nel dopoguerra fu la pubblicazione, nel 1945, di Scultura lingua morta di Arturo Martini, un volumetto stampato per la prima volta in una cinquantina di copie ma che circolò tra critici e artisti.

Le sentenze di Martini vennero intese, ad una prima lettura, come una nichilistica affermazione della morte della scultura, quella italiana in particolare. Sembrava che Martini, da quelle pagine, intendesse come statuaria tutto ciò che presentava «fatti illustrativi» andando così a negare la validità del «soggetto costante della scultura: la figurazione d’uomo e d’animale». Martini attaccò il facile ricorso al mito, al tipo, al sentimentale.

21


Ma sarebbe bastato leggere con attenzione quegli aforismi per trovare le indicazioni per giungere ad una nuova scultura: una scultura non più schiava della fedeltà all’anatomia, dai toni più bassi e meno autoreferenziale costruita attraverso la modellazione dei vuoti e attraverso la centralità dell’ombra quest’ultima intesa non come risultante dell’illuminazione, ma come vero e proprio elemento plastico. Pochi scultori intesero immediatamente la portata di Scultura lingua morta. Primo fra tutti, Alberto Viani, che nel 1945, anno della prima pubblicazione di Scultura lingua morta, era l’assistente di Martini all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Viani a partire dal 1942, quando seguiva le rivoluzionarie lezioni di Martini all’Accademia, iniziò a metterne in pratica gli insegnamenti, in special modo quelli che sollecitavano a porre in discussione la grammatica tradizionale del nudo . Anche Mirko, che fu allievo ed assistente di Martini della prima metà degli anni trenta, seguì le riflessioni di Martini per una nuova scultura. Tra il 1946 e il 1950 le sfruttò per capovolgere i canoni del bronzetto, superando la prevalenza dell’immagine in scultura e liberando quest’ultima dai vincoli imposti dalla materia, senza seguire la coerenza anatomica per un soggetto figurativo. Gli furono di aiuto le conoscenze sull’arte statunitense filtrate dalla stretta amicizia con Corrado Cagli dalle pitture di Julio Gonzalez alle sculture di Isamu Noguchi, a quelle di Jackson Pollock possedute da Peggy Guggenheim ed esposte a New York nella galleria Art of this Century, sino alle tele di Cagli stesso. E prima ancora che la “moda” di Henry Moore dilagasse in Italia dopo la personale alla Biennale di Ve-

22

nezia del 1948, Mirko prese spunto dalle sculture in legno e corda realizzate dallo scultore britannico tra il 1937 e il 1940 per aggiungere singolari valori al bronzetto. Quattro piccoli bronzi, Motivo musicale (1947), Concerto (1948), Enea (1948), Senza titoloComposizione (1948), stabilivano un nuovo rapporto tra spazio esterno e spazio interno dell’opera attraverso delle corde di ferro, tese ed incrociate, che, analogamente alle sculture di Moore, imprigionavano lo spazio e conferivano rigidità ad una costruzione plastica antropomorfa. I fraintendimenti sul testo di Martini riemersero al momento della sua seconda pubblicazione, nel 1948. I recensori dell’attesissima XXIV Biennale di Venezia, riaperta nel 1948 dopo un periodo di inattività espositiva durato sei anni a causa del conflitto bellico, parlarono della scultura italiana come di una “scultura morta”, arretrata e pertanto “in crisi”, sfruttando le parole di Martini senza comprenderle per rendere più drammatico il confronto con la produzione internazionale. Del resto, nelle sale del Padiglione Centrale della Biennale del 1948 spiccarono poche sculture italiane: quelle degli unici ambasciatori all’estero della plastica italiana, Marini con la sua assimilazione di archetipi plastici, l’equilibrio rigoroso della combinazione di forme, masse, linee; e quelle del vincitore del Gran Premio per la Scultura italiana, Manzù, campione dei giochi chiaroscurali, del dialogo tra scultura e pittura, delle atmosfere liriche ed intime. Nella sala del Fronte Nuovo delle Arti si respirarono delle novità nelle sintesi neocubiste di Leoncillo Leonardi, nella rilettura dell’arcaismo di Nino Franchina, nei volumi puri di Alberto Viani.


L’insistenza affinché Brandi e De Luca si facessero carico della promozione del progetto della Grande Pietà si spiega proprio con il grande investimento simbolico di cui Manzù aveva caricato l’opera. Che pure rimaneva allo stato di bozzetto, poiché la realizzazione finale sarebbe stata necessariamente condizionata dall’architettura all’interno della quale posizionarla. L’attesa, intanto, macerava l’animo dello scultore, che per l’impazienza di vedere il proprio progetto realizzato si diceva pronto a ripensarlo anche «per una chiesa qualunque in Roma» (7 maggio 1944). Da questa prospettiva il grande impegno profuso intorno alla Grande pietà mostra come Manzù fosse interessato da un lato a concludere l’opera indipendentemente dall’effettività della sua destinazione, dall’altro a insistere sull’intervento di De Luca nella sua vicenda, poiché solo il prelato avrebbe potuto sostenere la sua candidatura. Tanto che, da un certo punto in poi, la realizzazione dell’opera verrà messa in secondo piano rispetto alla prosecuzione dei rapporti con il prelato, al quale Manzù si era affidato per una propria sponsorizzazione in Vaticano. Fu De Luca, infatti, ad aiutarlo ad avere l’incarico per la realizzazione della Porta di San Pietro (conclusa solo dopo la sua morte – avvenuta nel 1962 – e a lui dedicata) e anche quello per la realizzazione del busto di papa Giovanni XXIII, figura che ha ricoperto un ruolo fondamentale nel consolidamento dell’immagine di Manzù come ‘scultore dei papi’. Ed è curioso come una diretta corrispondenza epistolare tra i due sia cominciata solo nel 1946, quando la guerra era finita, Manzù era tornato stabilmen-

te a Milano e, soprattutto, il progetto della Grande pietà era definitivamente tramontato. Un fatto, questo, che aiuta a confinare quel progetto nell’alveo dell’autoesilio di Clusone, periodo davvero fecondo per la produzione di Manzù, che aveva maturato una strategia di auto-costruzione artistica negli scambi epistolari, in quelle ‘scritture del dispatrio’ che gli servirono come terreno di riflessione meta-compositiva, ma anche di verifica delle proprie possibilità come scultore in un campo artistico che avrebbe mutato radicalmente i connotati rispetto al periodo del ventennio. Fin dai primi anni del dopoguerra Manzù si distinguerà come uno dei protagonisti dell’arte italiana contemporanea, molto più di quanto non avesse fatto nella prima metà del secolo e non solo per ragioni anagrafiche: a confermarlo si potrebbe citare il primo premio della XXIV Biennale di Venezia nel 1948 (peraltro molto discusso e che resta tuttavia l’ultimo grande riconoscimento artistico). Merito di un’attenta strategia artistica, appunto, perseguita da Manzù con convinzione, anche a costo di veder irrigidirsi la sua immagine pubblica, sempre più vincolata alle etichette affibbiategli dalla stampa generalista e sempre più distante dagli orizzonti della nuova ricerca artistica.

23


Tamara de Lempicka e l’Art Decò

Con l’avvio del secolo breve è innegabile che siano emersi anche nel campo delle arti linguaggi inediti, importanti e incisivi, a cui hanno partecipato figure femminili, più numerose che in passato, capaci di affermare il loro talento. Si pensi a Frida Kahlo, Tina Modotti, a Ella Fitzgerald, a Tamara de Lempicka, per restare su alcuni nomi delle più famose; ciascuna di esse si distinse grazie alla sua poetica, al suo stile diverso, unico ed inconfondibile. Lo stesso fenomeno di emancipazione coinvolse altre donne che scelsero altre strade: l’aviazione, l’avvocatura, la magistratura, la scienza, etc. Lo stesso periodo storico riservò alla stragrande maggioranza del mondo occidentale un destino di fame, fatica estenuante, gelo, epidemie, miseria, guerre feroci, investendola sotto un macigno immane. Esu questo sfondo bruciarono i miti ottocenteschi mentre il cuore di Parigi resisteva come centro vitale dell’arte, tra una borghesia profittatrice e un’aristocrazia decadente. Le avanguardie artistiche, reagendo, erano più attive che mai. E fu proprio in questo clima formicolante che il dopoguerra segnalò anche un fenomeno artistico di portata internazionali, eclettico, folgorante ma di breve durata: l’Art Decò. Bisogna distinguerla dalla fintamente fastosa arte di regime. In ugual modo va apprezzata l’arte, geniale e inimitabile, di Tamara de Lempicka, donna colta, tenace, e singolare protagonista dell’Art Decò.

24


La pittrice frequentò gli studi accademici ma seguì la lezione da Posta per Windows dell’avanguardia europea ed ebbe anche come maestri il simbolista Maurice Denis e il post impressionista Andrè Lothe; ammirò Ingres ma tornò più volte in Italia in Italia, affascinata dal Rinascimento e dal Manierismo del Pontormo. La sua tavolozza era vivace e calda e per i suoi lavori usava spesso sfondi geometrici neocubisti mentre i corpi, affinati dagli studi italiani risultavano plastici, levigati e metallici; i visi, apparentemente gelidi, esprimevano con le loro maschere il disagio dell’uomo moderno. Le fasi artistiche della lunga vita di Tamara de Lempicka furono diverse: siva dagli acquerelli giovanili ai ritratti degli anni venti e trenta, alle nature morte degli anni quaranta negli Stati Uniti fino alle ultime opere che precedono il trasferimento in Messico. Fra i suoi capolavori si annovera il quadro che ritrae la prediletta figlia Kizette. Le nature morte raggiunsero un alto livello qualitativo e tecnico quando si trasferì in America lontano dai regimi che avevani invaso l’Europa. Il pubblico le volse le spalle davanti alle sue tarde sperimentazioni astratte a spatola mentre si stavano affermando l’espressionismo astratto e l’informale. Fu dimenticata e dovette attendere a lungo prima di essere rivalutata, come spesso accade Giovanna Arancio

25


HAYEZ. L’officina del pittore romantico 17 Ottobre 2023 - 1 Aprile 2024

Arte, storia e politica si intrecciano nella grande mostra che la GAM di Torinodedica al genio romantico di Francesco Hayez (Venezia 1791 - Milano 1882), accompagnando il pubblico alla scoperta del mondo dell’artista, all’interno dell’officina del pittore, per svelarne tecniche e segreti. Un percorso originale che pone a confronto dipinti e disegni, con oltre 100 opere provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private cui si aggiungono alcuni importanti dipinti dell’artista custoditi alla GAM, come il Ritratto di Carolina Zucchi a letto (L’ammalata) e l’Angelo annunziatore. Aperta al pubblico dal 17 ottobre 2023 al 1° aprile 2024, l’esposizione “Hayez. L’officina del pittore romantico” è organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, a cura di Fernando Mazzoccaed Elena Lissoni, in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, da cui proviene un importante nucleo di circa cinquanta disegni e alcuni tra i più importanti dipinti, molti dei quali si trovavano nello studio del pittore, per quarant’anni professore di pittura all’Accademia. Oltre alle opere inedite o poco viste, si potranno ammirare in mostra alcuni dei capolavori più popolari, come La Meditazionedei Musei Civici di Verona - Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e l’Accusa segreta dei Musei Civici del Castello Visconteo di Pavia, cui è accostato Il Consiglio alla Vendetta, prestigioso prestito proveniente da Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz–Vienna.

26

Attraverso dieci sezioni in successione cronologica, il percorso espositivo inizia dagli anni della formazione tra Venezia e Roma, dove Hayez ha goduto della protezione e dell’amicizia di Canova, fino alla prima affermazione a Milano e alle ultime prove della maturità. Una speciale sezione focus è dedicata ai disegni per la Sete dei Crociati, la sua opera più ambiziosa e impegnativa, che il pittore aveva programmato come il suo capolavoro, eseguita tra il 1833 e il 1850 e destinata al Palazzo Reale di Torino, dove si può ancora ammirare. La mostra rievoca l’intensa vicenda biografica e il percorso creativo dell’artista, indiscusso protagonista del Romanticismo. “Pittore civile”, interprete dei destini della nazione italiana, capace di estendere il respiro della sua pittura dalla storia all’attualità politica, è stato anche tra i più grandi ritrattisti di tutti i tempi, che ha saputo interpretare con la sua produzione lo spirito della propria epoca. Cantore della bellezza, dell’amore e dei valori risorgimentali, nella sua lunga vita è stato protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo. Celebrato da Giuseppe Mazzini come vate della nazione, ha condiviso con Manzoni e Verdi gli stessi ideali stringendo con loro un rapporto unico, di amicizia e di intesa culturale. L’Italia risorgimentale si è riconosciuta nel suo linguaggio, che ancora oggi riesce a comunicare sentimenti e valori universali, anche attraverso una dimensione civile che attualizza la storia.


lo considerò ‘il maggiore pittore vivente’ e Mazzini che lo consacrò come l’interprete delle aspirazioni nazionali. La sua è stata una vita eccezionale sia dal punto di vista personale, essendosi riscattato dalle umilissime origini e dall’abbandono da parte della sua famiglia, sia sul versante di una strepitosa carriera che lo ha visto dialogare con i grandi artisti del suo tempo, cultori, letterati e musicisti. I suoi moltissimi amori e un grande slancio vitale sono documentati dalla sua pittura che ha espresso una serie di valori universali, celebrando la bellezza femminile e la forza dell’amore, come nella serie dedicata a Giulietta e Romeo” - commenta il curatore Fernando Mazzocca.

La novità di questa mostra sta nel mettere in rapporto per la prima volta i dipinti e i disegni, che ci consentono di ricostruire e di comprendere il suo procedimento creativo, introducendoci nel suo atelier. Nell’opera di Hayez, che si considerava l’ultimo rappresentante della grande tradizione della pittura veneta e che si era formato sullo studio di Tiziano e dei pittori veneziani del Quattro e del Cinquecento,il disegno può sembrare a una prima analisi secondario rispetto al colore. I suoi contemporanei rimanevano colpiti dal suo particolare modo di procedere basato sull’estro del momento, con continui ripensamenti, anche e soprattutto in corso d’opera, che in molti casi sono riconoscibili persino ad occhio nudo. L’eccellenza e la singolarità di questa tecnica costituiscono il fascino e la forza di una pittura ammirata sia dal pubblico che dalla critica.

La mostra è stata resa possibile grazie a numerosi enti prestatori istituzionali: Accademia di Belle Arti di Brera, Milano; Accademia di Belle Arti di Venezia; Accademia Nazionale di San Luca, Roma; Accademia Tadini, Museo dell’Ottocento, Lovere; Biblioteca Nazionale Braidense, Milano; Collezione Fondazione Cariplo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano; Collezione Franco Maria Ricci, Labirinto della Masone, Fontanellato; Fondazione Musei Civici di Venezia, Gabinetto dei disegni e delle stampe, Ca’ Rezzonico, Venezia; Gallerie degli Uffizi, Firenze; GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino; GAM - Galleria d’Arte Moderna, Milano; MAG - Museo Alto Garda, Riva del Garda; Musée Faure, Aixles-Bains; Musei Civici d’Arte Antica, Bologna; Musei Civici del Castello Visconteo, Pavia; Musei Civici, Varese; Musei Civici di Verona - Galleria d’Arte Moderna Achille Forti; Museo Nazionale di San Martino, Napoli; Museo Poldi Pezzoli, Milano; Museo Revoltella, Trieste; Museo Vincenzo Vela, Ligornetto; Liechtenstein. The Princely Collections, Vaduz–Vienna.

“Francesco Hayez, nato a Venezia nel 1791 e testimone da bambino della caduta dell’antica Repubblica, ha trascorso quasi tutta la vita e ha raggiunto il suo successo a Milano, dove è scomparso nel 1882, carico di anni e di gloria come un novello Tiziano, il pittore cui amava paragonarsi. Nella sua lunghissima vita, quasi un secolo, è stato dunque protagonista di cambiamenti epocali, testimoniando il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo, di cui è stato uno dei creatori, alle nuove istanze realistiche affermatesi dopo l’Unità d’Italia. Non solo per la sua arte, ma anche per le idee politiche è da considerarsi, insieme a Manzoni e Verdi, tra i Padri della Patria. Fondamentale è stata la sua formazione a Roma con Canova, che lo ha sostenuto con la convinzione che diventasse l’artista capace di riportare la pittura italiana alla sua grandezza perduta, così come lui aveva fatto in scultura. Questo merito gli è stato riconosciuto dai suoi maggiori sostenitori, come Stendhal che

27


Giovanni Boldini. Dialogo tra due divine 12/10/2023 - 12/01/2024 - Genova, Musei di Nervi

Al Museo delle Raccolte Frugone di Nervi prosegue fino 12 gennaio 2024, la mostra “Dialogo tra due “divine” di Giovanni Boldini. Protagoniste dell’alta società parigina della Belle Époque, Miss Bell e La contessa De Leusse sono raffigurate da Giovanni Boldini in tele di grande formato, conosciute come i ritratti delle ‘divine’. Giovanni Boldini, nato a Ferrara nel 1842, dopo aver compiuto un soggiorno toscano che gli consentirà di conoscere il gruppo dei Macchiaioli stabilisce di fissarsi nel 1871 nella città più cosmopolita della sua epoca: Parigi. Pittore virtuoso e ambizioso, conosce nella metropoli un successo ammirevole, facendosi apprezzare da una committenza facoltosa quanto celebre. Amato per i suoi ritratti “à la mode”, Boldini raffigura personaggi della sua epoca appartenenti all’alta borghesia e all’aristocrazia, indulgendo nell’analisi delle pose e degli abiti, fatto questo che consente al corpus delle sue opere di essere letto non soltanto in chiave prettamente artistica, ma sociale e psicologica. I ritratti di grande formato, in maggioranza dedicati alla celebrazione delle donne, rivelano un’attenzione per la modernità e per la moda che fa di lui un punto di riferimento per il pubblico femminile della sua epoca e per chiunque si dedichi allo studio dell’evoluzione del costume e dell’emancipazione delle donne, che egli coglie in pose disinvolte e sensuali. La mostra in programma al Museo delle Raccolte Frugone nell’autunno/inverno 2023-2024 si propone di mettere a confronto la grande tela dedicata a “Miss Bell” in collezione, con uno degli olii - dalle medesime dimensioni - conservato presso il museo “ Giovanni Boldini” di Ferrara, il “Ritratto della contessa de Leusse in piedi”, così da porre a confronto due esempi di femminilità connotati da atteggiamenti parimenti sensuali, ma dal diverso grado di disinibizione, come attestato dalle pose assunte dalle due donne. L’iniziativa si delinea quale avvio di un proposito di instaurazione di un rapporto stabile col Museo ferrarese, custode di opere di un autore di cui la piccola collezione Frugone conserva tre esemplari, e che pertanto rappresenta la punta di diamante del percorso allestitivo della raccolta genovese. Un confronto stabile e reciproco con le opere ferraresi si pone come obiettivo da perseguire sul lungo periodo, per consentire al pubblico di concentrare la propria attenzione su casi specifici e approfondire gli studi condotti su di essi.

28

Miss Bell, 1903, Raccolte Frugone - Musei di Nervi, La natura della collezione Frugone e la sua attuale collocazione all’interno di una villa borghese dei Parchi di Nervi, risalente al XVIII secolo, ben si sposano con la progettazione di esposizioni caratterizzate da un esiguo numero di opere, selezionate sulla base del loro valore qualitativo o esemplificativo, optando deliberatamente per l’analisi di alcuni aspetti della produzione artistica, senza alcuna ambizione antologica. L’opera prestata verrà collocata nella nuova Sala appositamente pensata per accogliere le sole tele di Boldini, in un ambiente intimo e accogliente che ben si presta a evocare l’idea del “dialogo” - cui fa riferimento il titolo dell’esposizione – fra le due grandi “divine”.


Sarenco. La Platea dell’Umanità 31/03/2023 - 14/01/2024 - La Spezia

Sarenco al CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia nel nome della Poesia Totale. S’intitola “La Platea dell’Umanità” la grande mostra antologica curata da Giosuè Allegrini, che dal 31 marzo 2023 al 14 gennaio 2024 sarà allestita al primo piano del museo. Promossa dal Comune della Spezia, prodotta dal CAMeC e dalla Fondazione Sarenco, l’esposizione antologica sarà inaugurata venerdì 31 marzo alle ore 18.00. Fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, con presenze a Documenta 5 di Kassel e a varie edizioni della Biennale di Venezia, Sarenco è stato poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore di eventi culturali internazionali come la Biennale di Malindi, la cui terza e quarta edizione furono curate da Achille Bonito Oliva. «Sarenco – scrive il curatore Giosuè Allegrini – è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e non solo. Teoretico della Poesia Totale, l’idea creativa di Sarenco

era quella di manifestare il fatto che ai poeti niente potesse essere precluso: la pittura, la scultura, la ceramica, la performance, i concerti, il teatro, il video e il cinema: da qui il concetto, appunto, di Poesia Totale. Ciò che desideriamo proporre, con questa mostra, è il “Sogno di Sarenco sull’Arte”; quella forma poetica anarchica e rivoluzionaria, al contempo pubblica, anticonformista e dissacrante, tramutato in realtà, ed attraverso di essa porre la luce dei riflettori sulla cultura italiana, europea e internazionale del secondo Novecento, in rapporto alla società dei consumi e della comunicazione e più in generale a tutti gli “ismi” condizionanti, a vario titolo, il mondo in cui viviamo». Il percorso espositivo comprende circa 170 opere rappresentative di un percorso cinquantennale, a loro volta affiancate da immagini e documenti bibliografici e archivistici, rivelativi del particolare periodo storico vissuto (riviste di esoeditoria, manifesti, fotografie, locandine ecc), molti dei quali estremamente rari e alcuni anche inediti.

29


Salvifica. Il Sassoferrato ed Ettore Frani tra luce e silenzio Sassoferrato, Palazzo degli Scalzi - Marche 06/10/2023 - 28/01/2024

Dal 6 ottobre 2023 presso il Palazzo degli Scalzi di Sassoferrato ospita, nell’ambito della settantaduesima edizione della Rassegna Internazionale d’Arte | Premio G. B. Salvi, la mostra Salvifica. Il Sassoferrato e Ettore Frani, tra luce e silenzio, a cura di Federica Facchini e Massimo Pulini, una monografica dell’artista contemporaneo Ettore Frani (Termoli, 1978), che si porrà in dialogo con dieci dipinti inediti del pittore seicentesco Giovanni Battista Salvi detto il “Sassoferrato”, provenienti dal mondo collezionistico e antiquario. Entro il Premio Salvi dalla scorsa edizione, è stato dunque concepito un doppio progetto di ricerca, sull’antico e sul contemporaneo, attraverso un confronto stimolante, serrato e visionario tra le opere di due artisti. Il Sassoferrato, solo in apparenza sempre uguale a se stesso, è invece un artista che proprio in questi ultimi decenni di studio ha offerto continue e importanti sorprese, oltre a raggiungere sempre più alti risultati nelle aste internazionali. Una poetica quella di Frani affrontata con grande profon-

30

dità, rigore concettuale ed esecutivo che si pone in una relazione stringente e feconda con l’opera pittorica di Giovan Battista Salvi. L’artista molisano sente molto affine l’immagine del monaco-pittore che nella ripetizione della sua pratica pittorica compie un rito - come la perpetua, intensa e quotidiana recitazione di un rosario - nella misura e nel rigore di sublimare e contenere gli affetti terreni. Attraverso il proprio gesto pittorico, fatto di continue e ripetute sottrazioni e velature di colore nero steso sopra la tavola laccata di bianco, Ettore Frani trasfigura la materia liberandone l’essenza spirituale. Dal 06/10/2023 al 28/01/2024 Curatore: Federica Facchini e Massimo Pulini Palazzo degli Scalzi - Piazza Antonio Gramsci 5 - 60041 Sassoferrato (AN Orari: venerdì, 15.30-18.30 | sabato e domenica, 10.00 – 13.00| 15.30-18.30 | Mostra chiusa il 25 dicembre 2023 e 1° gennaio 2024


ANTONIO MANCINI I VINCENZO GEMITO Dal 14 Ottobre 2023 al 11 Marzo 2024 - Pescara

Attraverso 140 opere, tra dipinti, sculture e disegni provenienti da importanti raccolte pubbliche e private, il Museo dell’Ottocento racconta in questa grande mostra la storia di due dei più importanti artisti italiani vissuti tra il XIX e il XX secolo: il pittore Antonio Mancini (Roma 18521930) e lo scultore Vincenzo Gemito (Napoli 1852-1929). Di fatto, due vere e proprie retrospettive che si incrociano, mettendo in evidenza tangenze e distanze tra le ricerche dei due artisti, tra i più apprezzati del loro tempo anche al di là dei confini nazionali. La mostra, a cura di Manuel Carrera, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi e Isabella Valente, intende inoltre indagare il rapporto dei due artisti con i colleghi e mecenati. I capolavori sono stati concessi da collezioni private e istituzioni museali quali la Direzione regionale Musei Campania - Certosa e Museo di San Martino di Napoli, la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro - Raccolta Lercaro di Bologna, la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, la Galleria d’Arte Moderna di Milano, la Galleria d’Arte Moderna di Roma, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Museo delle Raccolte Frugone di Genova. Il Museo dell’Ottocento, inoltre, espone per intero il suo nucleo di diciassette opere di Mancini, capaci di restituire la vicenda di un artista che conquistò una fama internazionale. Nati nel 1852, Mancini e Gemito, entrambi di umili origini, si incontrarono tredicenni alla scuola serale di San

Domenico Maggiore a Napoli. Sotto la guida degli scultori Stanislao Lista ed Emanuele Caggiano, poi del pittore Domenico Morelli, negli anni della formazione condivisero l’attitudine a una rappresentazione realistica della figura umana, accomunati dall’abilità nell’introspezione psicologica, ciascuno secondo le peculiarità del proprio linguaggio. Tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, Napoli era teatro di sperimentazioni pittoriche sul rapporto tra luce e colore e al centro di un dibattito che rivoluzionava la secolare supremazia del disegno propugnata dall’Accademia; la città era aperta al dialogo con artisti di tutta Europa e attenta alle novità che giungevano dalla Francia, dalla Spagna e dall’Inghilterra. A partire dalla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, dopo i soggiorni parigini e un lungo periodo di instabilità psichica che afflisse i due artisti, le strade di Mancini e Gemito si separarono prendendo direzioni diametralmente opposte. Mancini stabilitosi a Roma sperimenterà una pittura caratterizzata da una pennellata veloce, frammentata, con brillanti tocchi luministici, stile che attirerà da un lato l’attenzione del collezionismo straniero, dall’altro le critiche di coloro i quali ritenevano la sua figurazione eccentrica. Gemito negli anni della maturità si avvicinerà al rigore e all’eleganza dell’arte ellenistica e alla tradizione orafa. L’esposizione offre la visione delle fasi salienti del percorso di entrambi, con affondi tematici sulle rispettive poetiche.

31


Boccioni. Prima del Futurismo 09/09/2023 - 10/12/2023 - Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca: Emilia Romagna

La Fondazione Magnani-Rocca dal 9 settembre al 10 dicembre 2023 nella sede di Mamiano di Traversetolo presso Parma dedica a Umberto Boccioni una grande mostra – a cura di Virginia Baradel, Niccolò D’Agati, Francesco Parisi, Stefano Roffi – composta da quasi duecento opere, tra cui spiccano alcuni capolavori assoluti dell’artista. La mostra si sofferma sulla figura del giovane Boccioni e sugli anni della formazione affrontando i diversi momenti della sua attività, dalla primissima esperienza a Roma, a partire dal 1899, sino agli esiti pittorici immediatamente precedenti l’elaborazione del Manifesto dei pittori futuristi nella primavera del 1910. Un decennio cruciale in cui Boccioni sperimenta tecniche e stili alla ricerca di un linguaggio originale e attento agli stimoli delle nascenti avanguardie. La mostra intende non solo documentare il carattere eterogeneo della produzione boccioniana, ma soprattutto ricostruire i contesti artistici e culturali nei quali l’artista operava. Viene così fatta luce sulle vicende artistiche tra il 1902 e il 1910, offrendo un panorama più ampio su un periodo fondamentale per l’attività di Boccioni che permette di porre in prospettiva lo svolgersi della sua ricerca. La mostra è suddivisa dunque in tre sezioni geografiche legate alle tre città che hanno rappresentato punti di riferimento formativi per l’artista: Roma, Venezia e Milano, curate rispettivamente da Francesco Parisi, Virginia Baradel e Niccolò D’Agati. Una speciale attenzione è dedicata ai lavori a tempera per finalità commerciali e alle illu-

32

strazioni, presentati nella quasi totalità, che permettono di rilevare l’importanza di questa produzione nell’ambito di una sperimentazione che va dalle primissime prove romane sino agli esiti più compiuti e artisticamente complessi degli anni milanesi. A documentare questo percorso sono esposte alcune delle opere a olio su tela più note della prima produzione dell’artista, come Campagna romana del 1903 (MASI, Lugano), Ritratto della sorella del 1904 (collezione privata, in deposito presso Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, Venezia), Ritratto della signora Virginia del 1905 (Museo del Novecento, Milano), Ritratto del dottor Achille Tian del 1907 (Fondazione Cariverona), La madre del 1907 (collezione privata), Autoritratto del 1908 (Pinacoteca di Brera, Milano), Il romanzo della cucitrice del 1908 (Collezione Barilla di Arte Moderna), Controluce del 1909 (Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto), Ritratto di gentiluomo del 1909 (collezione privata), Contadino al lavoro del 1909 (Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma), Ritratto di Fiammetta Sarfatti del 1911 (collezione privata) nonché tempere, incisioni, disegni. L’accostamento di volta in volta alle opere di artisti come Giovanni Segantini, Giacomo Balla, Gino Severini, Roberto Basilici, Gaetano Previati, Mario Sironi, Carlo Carrà, Giovanni Sottocornola, spiega e illustra le ascendenze e i rapporti visuali e culturali che costruirono e definirono la personalità artistica di Boccioni.


33


ALDO GRECO 1923 – 2023

Mostra antologica per i 100 anni dalla nascita dell’artista Periodo : 23 settembre / 21 ottobre 2023 Sede mostra : Fondazione Giorgio Amendola – Via Tollegno 52 Torino

Sarà inaugurata venerdì 22 settembre alle ore 18 nei locali espositivi della “Fondazione Giorgio Amendola” la mostra di arti visive “ALDO GRECO 1923 – 2023 “ antologicadedicata allo scultore Aldo Greco in occasione del centenario della nascita. L’evento espositivo è promossoe organizzato dalla Fondazione Giorgio Amendola, l’Associazione Arte Totale e l’Archivio Aldo Greco con il patrocino della Città di Torino. La mostra ripercorre attraverso 60 opere di scultura e pittura quasi mezzo secolo dell’intensa attività creativa dell’artista di origine calabrese trasferitosi a Torino nel dopo guerra. Le opere esposte coprono l’arco d tempo a partire dalla produzione dei primi anni cinquanta fino alle ultime opere realizzate fino alla metà degli anni novanta precedenti al suo trasferimento in Canada.Catia, Leone e Stefano Greco curatori della mostra hanno puntato a realizzare una mostra antologica che raccontasse in maniera più ampia tutto il percorso esistenziale e artistico di Aldo Greco. Si sono avvalsi dell’opportunità di poter attingere per l’allestimento espositivo ad un numero considerevole di opere dell’artista grazie al supporto dell’Archivio Aldo Greco e la preziosa collaborazione di alcuni collezionisti. La mostra offrirà al pubblico un panorama completo, per

34

la prima volta riunito,di tutte le fasi di ricerca e i momenti salienti della prestigiosa carriera di Aldo Greco.In occasione dell’inaugurazione sarà in oltre presentata una pubblicazione corredata da un ricco repertorio iconografico commentato dal critico d’arte Angelo Mistrangelo. Aldo Greco,nato a Catanzaro nel 1923 e morto a Torino nel 2003,inizia la sua carriera artistica trasferendosi a Torino nei primi anni cinquanta, operando intensamente anche a livello internazionale. Nel suo percorso artistico ha incrociato il linguaggio delle Avanguardie Artistiche del Novecento, raccogliendo in particolare la lezione futurista e cubista, miscelando anche modelli espressivi attinti dall’arte arcaica e precolombiana, perfezionando nel tempo un carattere espressivo del tutto personale. Sicuramente una delle fasi più fertili e originali della sua opera coincide con l’interpretazione simbolica dei personaggi dell’opera dantesca della Divina Commedia, un lavoro ancora oggi unico nella sua complessità.L’opera di Grecoha conquistato vasti consensi attraverso numerosi premi, riconoscimenti, comittenze pubbliche e private e le mostre personali tenute a Torino, Genova, Roma, Milano, Ravenna,Firenze, Venezia, Parigi, Amsterdam, Anversa, Ginevra, Sion, New York, Montreal, Tell Aviv.


La straordinaria energia espressiva, l’incontaminata passione e la vibrante tensione creativa, appartergono al tempo e alla stagione artistica di Aldo Greco e al continuo e incisivo dialogo con la materia e la forma, la struttura compositiva e le intuizioni che presiedono alla formulazione di un discorso legato a un pulsante modellato. A cento anni dalla nascita, questa mostra rinnova l’attenzione intorno a una ricerca che si è sviluppata all’interno della cultura visiva del secondo Novecento nella Torino di Felice Casorati e Umberto Mastroianni, di Cesare Pavese e Norberto Bobbio e Massimo Mila, all’insegna di una meditata e interiorizzata adesione ai linguaggi che trasformavano il mondo dell’arte, tra figurazione, fantasia e incantamento. Attraverso l’identificazione di una realtà rivisitata e intimamente rivissuta, si avverte il clima di una coinvolgente narrazione con il fascino della luce che penetra nello studio e scopre bozzetti, progetti e carte percorse da una linea incisiva, a volte rabdomantica, sicuramente espressione di una scrittura che unisce mito, storia e patrimonio intellettuale caratterizzato da sequenze surreali e postcubiste. Greco racconta un universo quanto mai complesso, il passaggio da una classica e armoniosa itrattistica a uno sperimentato e personalissimo “Dualismo”, dal giovane volto di Stefano al nucleo “La famiglia”, del Comune di Settimo Torinese, in una sorta di intensa riflessione che prendeva corpo e contenuti nello studio torinese di via Cagliari (e in seguito in quello di Montreal, dove si era trasferito per alcuni anni), sostenuta da una dialettica accesa e piacevolmente descrittiva. Una dialettica che metteva in evidenza il valore di forme, in cui credeva fermamente, corredate da numerosissimi schizzi e disegni che testimoniano l’essenza di un’esperienza che negli anni Sessanta e Settanta si poteva vedere e apprezzare alle mostre sociali della Promotrice delle Belle Arti al Valentino, dove, nel 1964, alla Quadriennale Nazionale d’Arte, aveva esposto il bronzo “Maternità” insieme a “La Pazza” di Sandro Cherchi, “Il giocatore di tennis” di Giuseppe Tarantino e “Le fucilazioni” di Bruno Martinazzi, con accanto le opere pittoriche di Mattia Moreni, Filippo

Scroppo, Marco Gastini, Carlo Levi e Nicola Galante dei “Sei di Torino” e Mino Rosso con “Lotta di Galli” e “Scalo ferroviario”. E la “Promotrice” rimane - ha scritto Anna Maria Bounous (2)- pur sempre il grande spiegamento di forza della pittura piemontese: con opere di temperamenti e indirizzi diversi, con artisti di ben definita tendenza”. Nel 1974, alla XII° Quadriennale Nazionale d’Arte, erano presenti le sculture in bronzo “Il Vescovo” e “Ulisse” che si misuravano con le “Forme in pulsione” di Giuliano Romano, l’”Adolescente” di Raphael Mafai Antonietta, il possente “Torso” di Massimo Ghiotti e la composizione “Da un taglio bianco” di Riccardo Cordero.

35


Esposizioni che rivelano, di volta in volta, l’evoluzione del dettato di Greco che, formatosi inizialmente a Catanzaro nello studio del nonno paterno Francesco, pittore e scultore, si era successivamente trasferito nel 1950 a Torino, dove ha frequentato la “Scuola Libera del Nudo”dell’Accademia Albertina, prima di seguire a Milano i corsi di scultura all’Accademia di Brera. E nella città Subalpina ha stretto amicizia con i futuristi Nicolay Diulgheroff e Mino Rosso e partecipato attivamente al dibattito e al confronto culturale intorno alle nuove frontiere dell’arte, ai materiali innovativi e alle conoscenze emerse dalle tematiche espresse dal Cubismo, Futurismo e Surrealismo “Spingendo il suo sguardo - riprendendo una frase del poeta Paul Eluard per Max Ernst - al di là di quella realtà insensibile alla quale si vorrebbe che ci rassegnassimo, ci fa entrare senza sforzo in un mondo in cui acconsentiamo a tutto, in cui nulla è incomprensibile” (3). Un percorso, quello di Greco, contrassegnato dall’impiego di materiali come la ceramica e il legno e, contemporaneamente, dall’ideazione, nel suo laboratorio, di soluzioni tecniche di fusione del bronzo a cera persa. E con la scultura, la pittura, i fogli di grafica, i gioielli e i medaglioni sottolineano la sua cifra stilistica e - nota Giovanna Barbero (4)- “Le terrecotte, risolte con gli stessi valori geometrici, a volte si arricchiscono di pigmenti e interventi policromi e spesso si riconducono a raggruppamenti, raramente all’isolamento della singola unità umana...”. Dall’ampio “corpus” di lavori emerge il rapporto con la forma e la forma comunica sentimenti, emozioni e quo-

36

tidiane rivisitazioni che compongono un diario di eventi, mai sconfitti dal tempo, ma sempre misura di un’incontaminata creatività, segnali del suo sguardo indagatore e di quel sorriso ironico che accompagnava la definizione del “Cavallo e cavaliere”, del “Minotauro”, della “Donna sdraiata”, sino al “Cavallo scosso”. I cavalli rappresentano uno dei momenti di maggiore interesse dell’esperienza di Greco, il documento di un plastico e dinamico movimento nello spazio, di strutture immerse in atmosfere che evocano il bronzo “Cavallo rampante” secondo una visione altra, meditata, metafisica.


Una visione che assume una singolare individualità e unicità nell’interpretazione dei personaggi della Divina Commedia, nella resa delle fiere, dei simboli e allegorie che popolano i versi dell’Alighieri e di quell’universo attentamente studiato e delineato da Albino Galvano (5), in cui appaiono sorprendenti le “figure cariche di significati metafisici” realizzate e intese come un commento, più che un’illustrazione. Trasmesso con il modellato della “Lupa” e di “Beatrice”, di “Caronte” (“un vecchio bianco per antico pelo”) e delle statue di “Ettore” e “Cesare”(che recuperano gli stilemi dell’arte etrusca che profondamente amava), con la grafia di un artista “ricco di un’umanità complessa e anche complicata. Ma in lui l’estro figurale brucia con empito instancabile il continuo assillo di caricar di significati il suo lavoro di scultore” (Albino Galvano).

esperienze contemporanee”. In tale ambito, il discorso trova precisi riscontri con i bozzetti, le colorate e immediate tempere, la vivacità e la rapidità del segno che approda a una raffigurazione “fra modellato e luce, condotta con un vivo senso della composizione” (Marziano Bernardi 9), fra “Grazia e drammaticità, eleganza e fantasia, sono queste le cose che si ritrovano nei suoi lavori, senza esibizionismi, sensa ostentazioni”(Mario De Micheli 10) e “C’è, sempre un parallelo mentale, una forza intellettuale in ogni opera del Greco: sia essa semplice o formale come lo sono i cavalli...” (Giorgio Brizio 11). Cavalli che ritroviamo descritti nella lettera autografa “Caro Pietro...” (12): “Ed ecco il “cavallo”:un pretesto, una codificazione che mi consente di sostituire il personaggio dantesco facendomi tessere liberamente, dentro e fuori la sua identità, delle sensazioni cromatiche che seppure orientate intuitivamente a vivere in quel contesto, mi offrono il dato, l’informazione, la necessaria esperienza per il cimento futuro”. Un cavallo personaggio, quindi, che riaffiora nelle sale della Fondazione Giorgio Amendola e Associazione Lucana Carlo Levi insieme alle sculture, ai dipinti e i disegni eseguiti con un segno nervoso e fluido, suggestivo e vitale nell’instancabile relazione con le forme di una visionaria immaginazione. Angelo Mistrangelo

Osservando le figure si coglie l’indiscussa capacità di fissare il volto deformato di Minosse, le mitiche sembianze di Aristotele (“Vidi il Maestro di color che sanno”), la grottesca e sfrenata immagine di Giansone, sino a “Pier de la vigna”, il conte Ugolino e Celestino V. Nel 1974 le opere dedicate alla “Commedia” sono il nucleo della mostra al Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, Chiostro di Dante a Ravenna, accompagnata da un testo di Paolo Perrone (6) che afferma “siamo nella vera dimensione creativa, autonoma ed originale”, tra pensiero, filosofia e la realtà sociale e culturale degli anni Settanta. E proprio Greco (7) suggerisce una loro chiave di lettura : “La realizzazione delle mie caratteristiche figure, coercitivamente impostate, secondo una linearità strutturale verticalistica, si avvale di risonanze ora simboliche ora surreali nel contesto di una analitica precisazione nel determinare nello spazio le cadenze di un neo-espressionismo che deforma le figure e concede loro una drammaticità di gesti che sono nel contempo tormentati e coinvolgenti”. Mentre Sandro Cherchi (8) parla di una scultura dal “particolare plasticismo, che per formazione e predilezione ne è alla base, è la regione più vera dell’interesse che la sua scultura suscita, alla luce delle più vive

37


Chagall. Il colore dei sogni

Prosegue la fortunata attività espositiva concepita da Fondazione Musei Civici per la città di Mestre intorno ai Maestri del Novecento. Dopo la linea dell’astrazione, che partiva con Kandinsky per arrivare all’Informale internazionale, è sempre un maestro russo a caratterizzare il nuovo “viaggio” attraverso le collezioni civiche di arte moderna e contemporanea, Marc Chagall. Partendo dal capolavoro conservato nelle raccolte di Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna Rabbino n. 2 o Rabbino di Vitebsk, 1914-1922, acquisito dal Comune di Venezia alla Biennale del 1928, la mostra intende indagare il portato rivoluzionario dell’arte di Chagall come pittura del sogno e come trionfo della fantasia creatrice. L’esposizione è concepita con i capolavori conservati a Ca’ Pesaro, cui sono affiancati in ciascuna sezione importanti e puntuali opere di Chagall provenienti da prestigiose collezioni internazionali. Grazie ai prestiti dell’Albertina di Vienna, del Musée National Marc Chagall di Nizza, del Museum of Fine Arts di Budapest e dell’Israel Museum di Gerusalemme, Chagall diventa un filo rosso che unisce opere ed artisti che hanno sentito la propria produzione in termini simili ai suoi, o che da lui hanno preso spunto per sviluppare la propria arte nelle più diverse direzioni. Il viaggio fantastico di Chagall si svolge attraverso l’arte del ‘900 e si articola in 6 sezioni che prendono avvio da Il sogno simbolista, con la poesia onirica di Odilon Redon, Cesare Laurenti e Adolfo Wildt. La seconda sezione della mostra si intitola È soltanto mio / il paese che è nell’anima mia ed è tutta dedicata a Marc Chagall, con Il Rabbino di Ca’ Pesaro per la prima volta affiancato a Vitebsk. Scena di villaggio della collezione Batliner presso l’Albertina di Vienna. Artisti in esilio affronta invece il tema dell’emigrazione verso gli Stati Uniti da parte di numerosi autori obbligati a lasciare l’Europa durante gli anni Trenta. La contiguità del “Rabbino” di Ca’ Pesaro con le emergenze cubiste e costruttiviste è messa a confronto con le sculture di Ossip Zadkine, fino ad

38

arrivare al Surrealismo di Max Ernst che guardò a Chagall come punto di partenza imprescindibile della propria arte. La quarta sezione si concentra sui temi cari a Chagall, l’amore e il colore. Il colore dei sogni affianca le ricerche del Maestro russo a quelle dell’espressionismo europeo, ben rappresentate dalle accese cromie di Emil Nolde. Un’ampia sezione della mostra è poi dedicata alle opere religiose ed in particolare alle illustrazioni di Marc Chagall per la Bibbia commissionategli da Ambroise Vollard. Saranno esposte le incisioni donate dall’artista al Musée National Chagall di Nizza nel 1972, affiancate dalle preziose lastre originali con cui le grafiche sono state realizzate. Il tema biblico e della Crocifissione parte da Chagall e si sviluppa verso esiti simbolisti o primitivisti che emergono nelle straordinarie opere delle collezioni di Ca’ Pesaro esposte in mostra. Vicini per la riflessione su Cristo, la Croce e il portato spirituale dell’esistenza sono i capolavori, restaurati per l’occasione e finalmente messi a disposizione del pubblico, del francese Georges Rouault del belga Frank Brangwyn, dello svedese Veikko Aaltona e dell’ungherese István Csók. La mostra chiude con una sesta sezione tutta all’insegna della fantasia, illogica, istintiva e gioiosa, del messaggio che ci ha lasciato Chagall. Il colore delle favole prende avvio dal progetto grafico sulle Favole di La Fontaine realizzato da Chagall negli anni Venti del secolo scorso, e si colora delle visioni fantastiche di George Grosz e delle riflessioni, tra favole e mito, di Félicien Rops, Frank Barwig e Mario De Maria. L’utopia e la antimodernità della lezione di Chagall, espresse in pittura e nelle opere grafiche, caratterizzano anche la seconda metà del secolo in prove di inedita atmosfera onirica, come nella scultura di Claudio Parmiggiani, nella pittura di Corrado Balest e di Carlo Hoellesch. https://muvemestre.visitmuve.it/it/mostre/mostre-in-corso/chagall-il-colore-dei-sogni/2023/07/22336/chagall/


Giorgio de Chirico. Metafisica continua

Dal 11 ottobre 2023 al 25 febbraio 2024, Palazzo Sarcinelli a Conegliano (Treviso) ospita la grande mostra GIORGIO DE CHIRICO. Metafisica continua, un’occasione unica per ammirare i capolavori di uno dei maestri indiscussi della pittura europea del Novecento. Il percorso espositivo analizza lo sviluppo dello stile e della poetica del pittore, focalizzandosi sulle sue “invenzioni” iconografiche e sulla sua capacità di far convivere i riferimenti all’antichità classica con lo stile pittorico modernista del Novecento. Attraverso le 71 opere esposte, la mostra includerà un’importante selezione dei principali soggetti di de Chirico, tra cui i Manichini senza volto e i Trovatori, le Piazze d’Italia e le Torri. Particolare attenzione sarà rivolta alla stagione neometafisica (1965-1978 ca.) – di cui La Fondazione de Chirico possiede la più importante e completa collezione al mondo – in cui l’artista torna a elaborare i temi che popolavano le opere del primo periodo metafisico. Oltre a presentare i motivi più noti, i prestiti selezionati metteranno in evidenza la gamma di tecniche in cui si è cimentato il maestro: pittura, disegno, acquerello, scultura e litografia.

2024, si concentra sul periodo neometafisico di de Chirico (1965-1978 ca.), con personaggi insoliti e ambientazioni alterate in grado di dare nuova vita e superare le avanguardie del primo Novecento. I suoi capolavori restituiscono all’osservatore sensazioni di enigmatico isolamento e inquietante costrizione, caratteristiche che rendono la sua opera fresca e attuale per il pubblico moderno.

Una mostra minuziosa e approfondita, ospitata a Palazzo Sarcinelli a Conegliano (TV), che tesse una narrazione artistica ed emotiva attraverso la vasta gamma di tecniche con cui si è misurato l’artista: pittura, disegno, acquerello, scultura e litografia. Il percorso espositivo, composto di 71 opere e visitabile dal 11 ottobre 2023 al 25 febbraio

Dal mercoledì al venerdì: 10-13 e 14-19 Sabato, domenica e festivi: 10-19

39


NINO AIMONE

Nino Aimone e il disegno..-.Critica di Pino Mantovani - 2012

- (..) È nei disegni che si rende specialmente evidente una delle qualità più tipiche del l’invenzione di Nino, l’ironia. Che consiste nella capacità di “ interrogare “ e quindi smontare e rimontare a prova i meccanismi della realtà (segnalo, ad esempio, i disegni di animali morti e vivi che attraversano tutta la produzione) e della realtà in immagine ( segnalo l’uso anomalo del modello cubista), specialmente quando si applica al tema del teschio, o quando illustra storie di aggregazione e disgregazione ( allora mi sovviene lo scrittore Calvino, che dedicò a Nino una bella pagina, più di qualsiasi pittore), i meccanismi dell ‘immagine colta nella sua concretezza di struttura,

40

non raramente rimescolando i diversi piani della realtà: la realtà fenomenica, la realtà concettuale, la realtà del linguaggio. È proprio nel disegno che l’esigenza di risolvere ogni parte e di capire ogni nesso raggiungono il massimo della chiarezza, della imtensità e perchè no? Del divertimento. Al di fuori dei generi, si può che Aimone, è prima di tutto un disegnatore. Non è un caso che nella gran messe di disegni - diverse centinaia- accada di incontrare di grandi dimensioni, tecnicamente e concettualmente tanto complessi da far dubitare all’artista stesso se collocarli nel catalogo dei dipinti. -


Incisioni di Nino Aimone.- Torino 1992 “ Intermittenze”

Scritto dallo stesso artista Nino Aimone - (..) Quando comincio un lavoro, non ho mai in mente un’immagine compiuta, ma parto da un’idea momentanea, una sensazione, un gesto. Questo primo segno, che spesso ha una componente di aggressività o di violenza, divide lo spazio portandolo dalla superficie piatta in profondità e segnando quindi la traccia da seguire (ironica, atmosferica, tragica, etc). A questo punto si mette in moto un processo quasi automatico, un dialogo istintivo tra sensazioni interiori ed è citazioni da parte sia dell’immagine stessa sia del tipo di supporto e di strumento che uso Fin quando la linea scorre istintivamente, la lascio andare. Nel momento in cui si interrompe il processo naturale, interviene un ripensamento su questa prima fase. Da cui scatta un secondo percorso “automatico”, che però tiene conto di quello che avviene in precedenza, (..) La difficoltà sta nel fatto che devo unire sempre di nuovo la mia componente razionale, più mentale, con l’altra più istintiva ed emozionale. Questa apparente contraddizione tra rigore e istinto porta spesso ad un movimento centrifugo dell’immagine, ccentuato dalle diagonali e dai triangoli

che evocano un certo senso di disagio ello spettatore. Questi stimoli conducono l’osservatore ad una posizione più ritica e meno passiva, lasciando gli aperta la possibilità di interpretazione. (..) “Riduzioni”: G. Arancio

41


ITALO ZOPOLO

Italo Zopolo, partendo da oggetti di scarto (ma non è una novità nell’arte delle avanguardie storiche, perché ricordiamo tutti, negli anni ‘20, Duchamp e poi il dadaismo, Man Raye poi cosa è capitato successivamente soprattutto con l’arte povera qui a Torino). Però tuttavia, qui l’oggetto di scarto viene confezionato come se fosse l’emblema di qualcosa di aulico, di elevato, di una materia in qualche modo sofisticata e linguisticamente raffinata, e quindi c’è un ribaltamento della sostanza. Mentre prima c’era un work in progress riguardante l’esistenza e l’esistenzialismo, quindi un oggetto di scarto rappresentava la storia individuale coreografica di un ambiente, di una persona, qui invece quello che conta è la realtà,è l’oggetto che è confezionato - come se fosse uscito dal computer, però, guarda caso, ha tracce di memoria, di trasparenza, e di delicatezza - non con l’uso naturalmente di strumenti tra-

42

dizionali come può essere l’olio, la tempera, il materiale canonico che ha sempre usato. Usando gli strumenti propri della massificazione (e qui certo il discorso si fa largo, molto interessante), ma come non vedere che in fondo il viaggio doppio, triplo, forse qualcosa di più, onirico, per quanto riguarda la serie delle interpretazioni? Perché un suo quadro non vive in se stesso. Si, può vivere nell’assolutezza di un’immagine ben pilotata, ma, guarda caso, è a sequenza; si, può esaurire un argomento, può cercare di tessere un racconto in qualche modo ironico o memoriale solo attraverso la sequenza di più immagini. E’ un’idea che, se vogliamo vedere, era quasi stata interamente dimenticata e certo il cinema ci ha insegnato ben altro. A d’altra parte è un racconto all’interno della propria fantasia e della propria coscienza.


Non è un caso che uno dei più grandi scrittori filosofi dell’epistemologia contemporanea, mi riferisco a Benjamin, nel Passagen-Werk abbia indicato che in fondo la centralità del discorso nella cultura contemporanea, - e questo testo, pensate, lo ha scritto nel 1926, - la centralità non sta in un racconto che abbia una tessitura semantica, ma sta fra schegge e frammenti che formano una specie di agglomerato e di idee che si possono vedere da più punti di vista: dall’alto e dal basso, di fronte e di traverso. Benjamin aveva profetizzato il discorso dell’Ulisses di Joyce che trasforma il linguaggio in una sorta di suggestivo magma proteiforme. Con le dovute differenze, è quello che capita anche al nostro Zopolo. (...) C’è una disquisizione sottile nella Repubblica di Platone: l’opacità costitutiva della soglia è chòra dove “le molteplici cose sembrano avere doppio senso, e non è possibile concepirle in modo univoco. E’ un’idea che oltrepassa naturalmente la vita, e che

va ad inoltrarsi in una pre-vita che altro non è che l’idea di un futuro che dovrà venire dopo di noi. Pertanto è il lavoro che sta facendo interamente il nostro artista. Eppure allora Platone certo non aveva letto Freud e neanche Jung. E allora quest’idea di oltrepassare la vita non è altro che il limite esterno del pensiero, il limite dove il pensiero incontra l’aisthesis, ossia la sensazione, che si può percepire solo per mezzo di un ragionamento sfuggente. (...) Heidegger in Essere e tempo scrive: “L’opera d’arte è uno slargo luminoso che continua a vibrare nella coscienza”. In questo senso devo dire che le opere del nostro Zopolo sono opere in qualche modo futuribili e filosofiche, intendendo dire che non si esauriscono in una prima visione ma che tuttavia hanno bisogno di essere digerite intellettualmente, mentalmente, senza mai dimenticare il faro della creatività e della sensibilità. Floriano De Santis

43


Tina Modotti.

Un grande donna e fotografa in mostra a Palazzo Roverella

L’importanza di una simile raccolta si comprende meglio alla luce di alcune vicende biografiche dell’artista, a partire dal fatto che Tina Modotti si è dedicata alla fotografia per soli 7 anni dal 1923 al 1930, anno in cui fu costretta a lasciare il Messico. La mostra si inaugura quindi proprio nell’anno del centenario della carriera fotografica della protagonista. “Tina Modotti. L’Opera” non vuole però mettere al centro il racconto biografico dell’artista, che per molti anni è stata oggetto di interesse più per la sua vita che per la forza espressiva dei suoi scatti, ma innanzitutto farci scoprire e apprezzare la sua produzione artistica. La mostra è promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, col sostegno del Comune di Rovigo, in collaborazione con l’Accademia dei Concordi, e sostenuta da Intesa San Paolo, nel ruolo di Main Sponsor. Un così ampio allestimento è stato reso possibile grazie ad anni di ricerca da parte dell’associazione culturale Ci-

44

nemazero, assieme a Gianni Pignat e Piero Colussi, che hanno consentito di ritrovare in ogni lato del pianeta fotografie della Modotti, presso Musei e collezionisti privati, arrivando a catalogarne oltre 500. Nel percorso espositivo, curato da Riccardo Costantini, si riscopre così la varietà di approcci dell’artista rispetto al soggetto ripreso, dalle nature morte, ai ritratti, alla documentazione sociale, fino alla comunicazione politica. La mostra è anche l’occasione per far conoscere figure poco note in Italia, ma molto importanti nel Messico negli anni ‘20, intellettuali, artisti, politici, che a Palazzo Roverella sono presentati nella sezione espositiva dedicata alla ritrattistica. Al centro del percorso espositivo troviamo poi un cospicuo numero (più di quaranta) di quelle fotografie che Tina scelse nel 1929 in Messico per l’unica mostra individuale che le fu dedicata in vita, che si componeva di una settantina di scatti.


Muore nel 1942 e bisogna aspettare diversi anni per la prima mostra realizzata su Tina Modotti, una piccola esposizione allestita nel 1973 a Udine, la sua città natale, seguita tre anni dopo dal MoMA di New York.

Durante la conferenza stampa di presentazione della mostra, Riccardo Costantini spiega così il modo di scattare della fotografa: “Tina Modotti varia tanti stili nei suoi pochi anni di fotografia. Il suo è uno stile in evoluzione, che tocca il formalismo iniziale di Weston, suo maestro. Troviamo un leggero fuori fuoco, questa leggera imperfezione, questa difficoltà che abbiamo ogni tanto a trovare il vero centro della fotografia. Tina Modotti ci chiede di partecipare alle sue foto. Il nostro sguardo anche nei confronti dei ritratti vaga nella fotografia e si installa in dialogo con l’opera che stiamo guardando all’interno del nostro io. Una fotografia partecipante: non siamo mai indifferenti di fronte all’opera di Tina Modotti, siamo chiamati a entrare in campo, a sentire i temi che tocca come nostri.”

“Tina Modotti. L’Opera”, nella sua attenta costruzione, rappresenta non solo la celebrazione di una grande artista del primo ‘900, a lungo dimenticata nel suo Paese di origine, ma anche la riscoperta di una grande donna, indipendente, emancipata, colta e intelligente. Un punto di vista che ben si inserisce nell’idea di progetto culturale che la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo sviluppa nella sua attività espositiva a Palazzo Roverella, in uno sforzo che ambisce a promuovere un “risveglio” culturale per l’intero territorio del Polesine, con risultati già confermati in termini di indotto economico e di generale coinvolgimento dell’intera comunità. Lungo il percorso espositivo, infatti, i visitatori avranno l’occasione di confrontarsi con la testimonianza di una grande donna e fotografa, di un racconto storico per immagini del Paese, il Messico, che visse la prima grande rivoluzione tra il 1910 e il 1920. Attenta alle condizioni degli ultimi, alle battaglie di riforma ed educazione, le fotografie di Tina Modotti ci raccontano quella società e le condizioni del lavoro, ma anche le donne che in alcune regioni del Messico di allora, a partire da quel Tehuantepec dove Tina realizzò alcuni degli scatti più iconici della sua produzione, erano esempio di una cultura matriarcale, in cui le donne ricoprivano un ruolo chiave, erano indipendenti e sessualmente libere. La mostra di Rovigo consentirà quindi ai visitatori di scoprire un grande personaggio, che parlò cinque lingue e visse in otto diverse nazioni, insieme ad una storia dai risvolti personali, sociali, politici e umani che merita di essere conosciuta e che finirà certamente per conquistare i più, prima di tutto per la qualità artistica, ma anche per la profondità e l’attualità dei temi toccati dalle sue foto.

45


WORLD PRESS PHOTO EXHIBITION 2023 Teatro Margherita - Piazza IV Novembre, Bari 13 ottobre - 10 dicembre 2023

La più importante mostra al mondo di foto­giornalismo Nata nel 1955 e con base ad Amsterdam, la Fondazione World Press Photo si distingue per essere una delle maggiori organizzazioni indipendenti e no-profit impegnata nella tutela della libertà di informazione, inchiesta ed espressione, promuovendo in tutto il mondo il fotogiornalismo di qualità. Oltre ad offrire un ampio portfolio di attività comunicative, educative e di ricerca, la World Press Photo Foundation vanta il concorso di fotoreportage più prestigioso al mondo con la partecipazione annuale di oltre 6.000 fotoreporter, provenienti dalle maggiori testate editoriali mondiali come Reuters, AP, The New York Times, Le Monde, El Paìs per nominarne solo alcuni. Per la sua 66a edizione, il concorso ha visto 3.752 fotografi provenienti da 127 paesi per un totale di 60.448 fotografie. Quest’anno la “giuria globale” 2023 è stata presieduta da Brent Lewis. Per offrire un equilibrio geografico e aumentare il livello di rappresentanza internazionale, quest’anno la World Press Photo Foundation ha lanciato una nuova strategia di

46

valutazione, modificando l’impostazione del concorso e lavorando con un sistema che permette di offrire un ampio sguardo su tutte le regioni del mondo: Africa, Asia, Europa, Nord e Centro America, Sud America, Sud-est asiatico e Oceania. Nel 2023, quindi, il processo di selezione si è svolto in più turni, coinvolgendo per prime le giurie “regionali” e infine giungere ai finalisti, scelti da una giuria globale. Il nuovo modello del concorso è in grado di fornire una piattaforma in cui è possibile ascoltare una molteplicità di voci e storie, diventando uno specchio che riflette il mondo intero. Per questo speciale anniversario, l’esposizione si arricchisce di una nuova mostra inedita Iconic Images: gli scatti iconici dei più importanti fotoreporter al mondo. Una selezione di fotografie, premiate come World Press Photo of the Year dal 1955 al 2023, che hanno catturato alcuni dei momenti più salienti della storia recente. Con l’acquisto del biglietto di World Press Photo Exhibition, si potrà accedere gratuitamente alla mostra Iconic Images.


Obey. Against the tide Contemporanea Galleria d’Arte , Foggia 14 ottobre - 11 novembre 2023

Dopo Banksy a Vieste, arrivano a Foggia le opere iconiche e provocatorie di uno dei più grandi artisti della street art, Shepard Fairey, in arte Obey. Amato anche da Barack Obama di cui trasformò l’immagine in un’icona mondiale durante la campagna elettorale del 2008 Obey, con il suo stile inconfondibile, è in mostra presso la Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia, dal 14 ottobre al 26 novembre. La mostra è curata da Giuseppe Benvenuto, già curatore della mostra di Banksy a Vieste Against the tide è il titolo dell’esposizione formata da diciotto opere ricercate, tra collage, serigrafie, HPM su carta e copertine di vinili. Il visitatore potrà compiere un viaggio visivo che stimola riflessioni su temi di grande attualità: dalla discriminazione razziale al consumismo, dalla disparità di genere alla devastazione ambientale, argomento quest’ultimo che trova ideale rappresentazione in “Paint it Black”, tra le opere più significative della mostra. Il linguaggio dell’artista si fonda quasi tutto sul “già visto”, avendo interiorizzato non solo la lezione della pop art ma anche quella del linguaggio pubblicitario e della propaganda politica.

“Dopo il grande successo di pubblico della mostra di Banksy che chiuderà domani a Vieste e per la quale ho ricoperto il ruolo di curatore e direttore artistico in collaborazione con MetaMorfosi Eventi, ho pensato - dichiara Giuseppe Benvenuto, direttore della Contemporanea Galleria d’Arte - ad un nuovo evento di portata internazionale per Foggia. Sulla scia della street art, ho puntato su un grandissimo artista, molto apprezzato anche dall’ex Presidente degli Stati Uniti. Sono certo che la città, che ha tanta fame di cultura, risponderà con interesse e curiosità”.

Titolo: Obey. Against the tide

Apertura: 14/10/2023 Conclusione: 26/11/2023 Organizzazione: Contemporanea Galleria d’Arte Curatore: Giuseppe Benvenuto Luogo: Foggia, Contemporanea Galleria d’Arte Indirizzo: Viale Michelangelo, 65 - 71121 Foggia Inaugurazione: sabato 14 ottobre alle 18.30 Orari: tutti i giorni (festivi inclusi) dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00 Per info: artebenvenuto@gmail.com tel. +39 346.7334054

47


Kazuko Miyamoto,

al MADRE Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina di Napoli

La Presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee Angela Tecce e la Direttrice del museo Madre Eva Fabbris annunciano la mostra dedicata all’artista Kazuko Miyamoto (Tokyo, 1942. Vive e lavora a New York), con cui viene inaugurata la nuova programmazione triennale. Visitabile dal 6 luglio al 9 ottobre 2023, la mostra sarà la prima ricognizione storiografica dedicata a Miyamoto da un’istituzione pubblica europea. Il percorso espositivo si snoda tra il secondo e il terzo piano dello storico Palazzo Donnaregina, ripercorrendo le diverse fasi e i numerosi media attraverso cui si è sviluppata la pratica dell’artista dagli anni Settanta ai primi anni Duemila. La mostra di Kazuko Miyamoto, a cura di Eva Fabbris, è espressione di uno sguardo ampio e trasversale sulla storia dell’arte recente e dell’intenzione di dare luce a storie che al suo interno sono ancora poco note.

48

Dai primi anni Settanta, Miyamoto opera a cavallo tra due continenti e due culture, trovando un personalissimo modo di connetterne le istanze più profonde, contribuendo e allo stesso tempo contravvenendo al linguaggio modernista. È stata inoltre promotrice di contesti attivisti ed espositivi che per primi a New York hanno esteso i confini della rappresentatività per artiste donne e non occidentali. Il racconto di questa attitudine trova oggi immediate rispondenze nelle istanze più attuali nell’arte. Questa mostra accompagna dunque i pubblici del Madre nel riconoscimento di paradigmi narrativi e storiografici che integrano e ampliano lo sguardo sull’arte del nostro immediato passato secondo una sensibilità del tutto contemporanea. In questa prospettiva, al Madre Miyamoto idealmente dialoga con la Collezione permanente del museo, in particolare - data l’amicale e linguistica contiguità tra i due artisti - con 10,000 Lines (2005) di Sol LeWitt (Hartford, 1928 - New York, 2007).


Oltre Caravaggio Un nuovo racconto della pittura a Napoli a Capodimonte fino al 31 Dicembre 2023

La mostra Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli (dal 31 marzo 2022 al 31 maggio 2023) si sviluppa nelle 24 sale del secondo piano del Museo e Real Bosco di Capodimonte, diretto da Sylvain Bellenger. In esposizione 200 opere provenienti tutte dalle collezioni permanenti del museo, senza prestiti esterni. Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli è una mostra, realizzata in collaborazione con le associazioni Amici di Capodimonte Ets e American Friends of Capodimonte, che si propone di rilanciare il dibattito presentando un’altra lettura del ‘600 napoletano, diventato per amatori e storici il secolo di Caravaggio. L’invenzione del Seicento Il ’600 napoletano è una ‘invenzione’ recente. È stato riscoperto e definito meno di un secolo fa dallo storico d’arte Roberto Longhi (1890-1970). Secondo lo studioso, il naturalismo di Caravaggio sarebbe la spina dorsale dell’arte napoletana. Gli studi seicenteschi sul Sud derivano, quasi senza eccezione, dalle sue proposte formulate in una serie di saggi che sono stati pubblicati essenzialmente nel secondo decennio del secolo scorso. Dall’inaugurazione della Pinacoteca di Capodimonte nel

1957 fino ad ora, l’esposizione dei dipinti del ’600 napoletano è stata in gran parte il risultato di quest’analisi. La realtà è più complessa e i curatori della mostra, Stefano Causa e Patrizia Piscitello, sulla base degli studi degli ultimi decenni, propongono di riconsiderare lo schema di Longhi, ormai ampiamente storicizzato, e di ripensare l’intera articolazione di un secolo che non fu solo quello di Caravaggio, ma soprattutto quello di Jusepe de Ribera, uno spagnolo arrivato a Napoli nel 1616, sei anni dopo la morte di Caravaggio. Presentare la civiltà artistica napoletana vuol dire mettere in giusto risalto gli apporti esterni e gli scambi con gli altri centri, l’invio da fuori di opere e progetti, la residenza in città degli artisti ‘forestieri’. Napoli, infatti, era ed è una grande città portuale, crocevia della vita e della cultura italiana. Nel XVII secolo era diventata una delle megalopoli più popolose del mondo esercitando una profonda influenza sulla cultura europea; la sua storia si presenta come una ricca stratigrafia, fatta di diverse civiltà, popoli e espressioni artistiche che hanno lasciato tracce nel patrimonio artistico e monumentale. Per secoli ha subito attacchi, invasioni e distruzioni, facendo fronte a numerose catastrofi naturali: eruzioni vulcaniche, terremoti, maremoti e pestilenze.

49


Anders Petersen. Napoli dal 21/10/2023 al 31/01/2024 Napoli, Spot home gallery

Con la mostra inedita “Napoli / Anders Petersen” la Spot home gallery di Napoli presenta dal 21 ottobre 2023 al 31 gennaio 2024 la personale di uno dei più importanti e influenti fotografi contemporanei. Il corpus di circa sessanta fotografie in bianco e nero, di medie e grandi dimensioni, esposto in mostra è stato realizzato dall’artista svedese nel 2022 durante un mese di residenza a Napoli a cura della galleria, tra maggio, ottobre e novembre. Con uno sguardo sensibile e innocente, privo di pregiudizi e sovrastrutture, Petersen (1944, vive e lavora a Stoc-

colma) si è immerso nella città partenopea, catturandone la vita e cogliendone la bellezza anche laddove non ci si aspetta di trovarla. Ne emerge un ritratto personale di una Napoli molto fisica, carnale, sensuale, a tratti tenera e fragile, a tratti più dura e primitiva, ma sempre trasudante una forte energia vitale. La Napoli di Anders Petersen è una città dai bianchi e neri fortemente contrastati, lontana dall’immaginario colorato e dai luoghi comuni cui è generalmente associata, ma profondamente coerente e corrispondente alle forti contraddizioni che la caratterizzano.

Organizzazione: Spot home gallery Luogo: Napoli, Spot home gallery Indirizzo: via Toledo 66 - 80132 Napoli Opening: sabato 21 ottobre, ore 18.00 alla presenza dell’artista

Orari: Dal lunedì al venerdì, ore 15.00 - 20.00 |Informazioni: info@spothomegallery.com | t. 081.9228816 Catalogo edito da Spot home gallery Sito web: https://www.spothomegallery.com/

50


“PALADINO. I 104 DISEGNI DI PULCINELLA” dal 6 luglio 2023 al 9 gennaio 2024 Galleria dl Genovese - a cura di Flavio Arensi

In mostra i 104 disegni su Pulcinella di Mimmo Paladino che si arricchiscono di un’ulteriore opera svelata il giorno dell’inaugurazione Il Palazzo Reale di Napoli ospita la mostra dell’artista Mimmo Paladino (Paduli, 1948) dedicata a Pulcinella, a cura di Flavio Arensi, dal 6 ottobre 2023 al 9 gennaio 2024. Saranno esposti nella Galleria del Genovese i 104 disegni realizzati trent’anni fa dall’artista campano, che si ispirò all’album Divertimenti per li regazzi (1797) di Giandomenico Tiepolo. Un omaggio di Paladino al capolavoro del Settecento veneziano composto da 104 carte in cui si illustrano le avventure, la morte e la risurrezione di Pulcinella. Attraverso i disegni di Mimmo Paladino, recentemente re-

staurati, Pulcinella, invece, conduce una rischiosa prova di forza con il disegno e la storia dell’arte, che risolve per appropriarsi di entrambi e burlescamente batterli. Al Palazzo Reale di Napoli l’esposizione si arricchisce di un nuovo straordinario elemento: ai 104 disegni se ne aggiungerà uno di nuova realizzazione, una vera sorpresa che sarà svelata il giorno dell’inaugurazione. I 104 Pulcinella di Paladino furono esposti per la prima volta nel 1992 in un’esposizione tenutasi al Palazzo Liberty a Torino; nei primi mesi di quest’anno la mostra è stata ospitata al Museo Eremitani di Padova.

Progetto allestimento mostra: Lucio Turchetta Progetto grafico: Altieri associati s.r.l. Ufficio stampa Palazzo Reale Diana Kühne – cell. +39 337 929093 info@dkcomunicazione.it; pal-na.ufficiostampa@beniculturali.it Dal 6 luglio al 9 gennaio 2024 L’ingresso è compreso nel biglietto del Palazzo Reale di Napoli Costo biglietti: intero 10 + 1 euro* – ridotto (18-25) 2+1 euro* – gratuito fino a 18 anni e possessori Artecard Orario: 9.00-20.00 (ultimo ingresso h. 19.00 – chiusura mercoledì) * A partire dal 15 giugno e fino al 15 settembre 2023 il costo del biglietto in tutti i musei e luoghi della cultura statali del territorio nazionale sarà maggiorato di 1 € per sostenere le zone colpite dall’alluvione.

51


CALABRIA

Psicodinamica,

la mostra di Antonio Oliva al BoCsMuseum

A Cosenza è stata inaugurata Martedì 3 ottobre, al BoCsMuseum,la personale dell’artista Antonio Oliva dal titolo ” Psicodinamica”. Oliva espone nella sua città dopo circa dieci anni. Affascinato dai colori fin da ragazzo riesce nel tempo a trasformare, grazie anche la sua forte sensibilità, questo amore per l’arte e per i colori in una esclusivissima tecnica creando opere di forte effetto visivo. L’artista cosentino dotato di grande estro e con una lunga carriera alle spalle, in questa personale si è soffermato sulla tematica dell’Io Cosciente. È partito dalle sue “visioni” sulle “Ipotesi Future” del 2014 e quelle legate ai suoi “fogli di un diario” del 2012 arrivando a uno studio vasto e certosino. La ricercasul senso dell’esistenza e la sua culturalo hanno portato alla realizzazione di opere legate al discorso del dualismo del razionale ed emotivo. All’inaugurazione hanno partecipato Marilena Cerzoso, direttrice del museo, Antonietta Cozza, delegata alla cultura del sindaco ed consigliere Francesco Turco.

52

La mostradi Oliva racchiude una trilogia. Tra i quadri spicca “Piazza metafisica”che porta l’osservatore a riflettere sul futuro.


Pur ricordando le piazze dipinte da De Chirico, questa di Oliva è sicuramente più sentimentale perché frequentata da persone: bambini, famiglie, coppie di fidanzati che citrasmettono ancora una volta la sensibilità dell’artista. “Impronta” invece è una delle prime opere di Oliva e nasce da un ricordo profondo, arcaico, doloroso- confessa l’artista - ricordi che risalgono all’eta di circa 4 anni quando alcuni episodi lo hanno segnato profondamente. Nell’opera non ci sono colori eccetto l’oro che rappresenta la “sua follia”e la speranza, il nero che si ricollega ai suoi

ricordi di bimbo e il rosso cherappresenta le condizioni familiari che lo hanno sconvolto. Le opere di Antonio Oliva conquistano subito lo spettatore per la dinamicità, per il colore, per l’originalità e per la sensibilità che trasmette attraverso ogni pennellata. Le sue operesiriconoscono tra mille senza neanche leggere la firma. Alessandra Primicerio (critico d’arte)

53


CALABRIA

“GENI COMUNI”

LA X EDIZIONE DELLA MOSTRA D’ARTE a RENDE.

Il 16 settembre 2023 è stata Inaugurata presso il Museo del Presente di Rende “GENI COMUNI”, mostra di pittura, scultura, e fotografia che è alla sua X edizione. L’Ideatore è Luigi Le Piane (LLP eventi & comunicazione) e la curatrice Mariateresa Buccieri. All’evento hanno partecipato 50 artisti provenienti da tutta Italia, ma con particolare attenzione agli artisti calabresi. Luigi Le piane ha raccontato che Geni comuni compie, quest’anno, dieci anni ed è nato dalla volontà di portare l’arte nella nostra città. “Negli anni grazie ai curatori ma soprattutto agli artisti che provengono da tutte le regioni d’Italia – afferma Le piane - siamo giunti a un grandioso evento”. Rosa Correale, Commissario Prefettizio del Comune di Rende, si è soffermata sull’importanza dell’arte che non ha colore politico ma è libera. Maria Teresa Buccieri ha invitato a visitare la mostra

54

perché davanti alle opere è importante che ognuno di noi provi un’emozione che sicuramente è singolare. Nella prima sala è in mostra RINO BARILLARI con foto della Dolce vita, di cronaca nera, di uomini negativi e positivi. Personaggi che hanno fatto la storia dell’Italia e del mondo. La seconda sala è dedicata all’artista cosentino GIAMPIERO SCOLA noto per le sue caricature di personaggi nazionali ed internazionali. Si riconoscono personalità note: calciatori, cantanti e tanto altro. Importante la sala dedicata a un cosentino che ha portato in alto il nome della Calabria e di Cosenza: il ciclistaartista PINO FARACA campione nello sport ma anche nell’Arte. Le opere selezionate sono soprattutto quelle sul ciclismo. Si possono ammirare anche la sua maglia del giro d’Italia e la sua bici da gara.


La sezione dedicata ai 50 artisti, quest’anno in seguito alla richiesta dei visitatori, è arricchita non solo da opere astratte e concettuali ma dall’arte figurativa. Sono presenti anche sculture realizzate con diversi materiali, fino ad arrivare al riciclo. È presente inoltre uno spazio dedicato alla fotografia. La novità di quest’anno è il QR Code vicino alle opere. Rilevante è stato l’intervento della moglie di Faraca che ha parlato delle opere esposte che narrano un momento fondamentale della vita del marito. È solo una piccola parte di una grande collezione che risulta essere vasta e varia e che abbraccia tematiche diverse: ciclismo,

eventi sociali, vita quotidiana. La pittura di Faraca è caratterizzata da colori vivaci e semplici. La moglie di Faraca, Maria Lato, ha voluto arricchire la mostra portando la bicicletta con cui ha gareggiato nell’ultimo giro d’Italia nell’86 e la maglia bianca dell’81 che testimoniano il suo trascorso sportivo. All’apertura della mostra, il maestro Antonio Oliva, presente anche lui con una sua opera tra i 50 artisti di Geni Comuni, ha regalato al pubblico una estemporanea a sorpresa. Alessandra Primicerio (critico d’arte)

55


CALABRIA

“ARCANA MATER” LA PERSONALE DELL’ARTISTA COSENTINA AL BOCS ART MUSEUM DI COSENZA

Venerdì 8 settembre 2023 presso il Bocs Art Museumè stata inaugurata la mostra di Rita Mantuano dal titolo “Arcana Mater”. Il pubblico è stato accolto dall’artista con una performance e un sottofondo musicale. si l’artista ha introdotto la sua personale recitando un testo critico in forma di poesia scritto per leidal prof Nuccio Mula.: “ Io vengo a te oltre la grande soglia del mio Regno. In questa camera segreta tra i dedali e i meandri di Brutia prediletta ed Antichissima…. Perché da oggi sarai anche tu il mio nome, avrai anche tu il mio volto Arcana Mater”. La storica dell’arte Maria Teresa Buccieri ha descritto l’artista Rita e la sua lotta interiore prima di arrivare alla tematica della mostra. La Buccieri ricorda che la prima madre è proprio la Madre Terra: Dea e madre che poi per i cristiani è diventata la Madonna ma primordialmente è stata sempre venerata Madre Natura. Moltisono stati, infatti, i ritrovamenti di statuette che la

56

rappresentano e che sono diventate fonte di ispirazione per l ‘artista. Rita Mantuano è una pittrice, poetessa e scrittrice, ma la sua passione con il tempo è diventata la pittura di icone. Ha studiato iconografia dal 2003,in seguito alla necessità di una ricerca interiore. Ha iniziato, così, il suo cammino spirituale di iconografa seguita dal padre gesuita Pino Stancari nel laboratorio di iconografia “San Luca” presso la Comunita’ dei Gesuiti a Quattromiglia di Rende(CS). Ha donato le sue icone a chiese della nostra regione e a privati. Durante la presentazione della mostra Marilena Cerzoso, direttice del Museo dei Bretti e degli Enotri e del Bocs Art Museum ha ringraziato l’artista per la sua perseveranza e precisione. Mettendo in luce la sua caparbietà araggiungere l’obbiettivo di realizzare una personale su Arcana Mater.


“Questo evento -ha aggiunto la direttrice - è stato uno dei tanti che si svolgeranno nel nuovo museo che nasce proprio come museo dinamico che accoglie una collezione permanente che verrà esposta a rotazione insieme ad altre realtà artistiche da far conoscere. La mostra di Rita ci offre l’opportunità di indugiare su tematiche importanti e antiche che spesso a causa della vita frenetica che conduciamo non abbiamo il tempo di soffermarci a riflettere”. Francesco Cuteri, archeologo presso le Belle Arti di Roma,ha messo in evidenza la predilezione dell’artista per le figure femminili. Alcune donne rappresentate da Rita hanno un tratto deciso che fa venire fuori la forza e l’ energia. Nella sua personalesi nota che l’artista si sta avviando verso una fase molto interiore. Le sue opere parlano di femminilità ispirandosi a un’arte antica ma soprattutto si nota che è stata influenzata dallo studio di una archeologa lituana MarijaGimbutas, che ha sviluppato numerosi studi sulla matrilinearità dei popoli arcaici e sul loro convivere pacifico con la natura. Il mondo di Adamo diventa il mondo di Eva. Il suo Eden è al femminile. L’archeologa dice che in origine, esplorando le società e i cimiteri, le civiltà erano completamente diverse. Ovunque erano presenti statuette di divinità femminili. In principio quindi c’era una venerazione per una divinità femminile rappresentata con i seni gonfi, grandi glutei e cosce. Il suo volto invece non era quasi mai definito. Questa divinità non poteva essere guardata negli occhi perché,ha affermato l’archeologo, a noi deve interessare la sua interiorità ecco perché non possiamoguadarla negli occhi. La sua bellezza viene dai seni: dimora accogliente per tutti i mortali. Il senso della mostra è che queste comunità circolari,

come le definisce la studiosa, a un certo punto avevano bisogno della presenza dello sciamano. Rita, per Cuteri, in questa mostra è lo sciamano che serve per creare quell’incontro tra l’umanità e la divinità. Conclude l’inaugurazione l’intervento di Antonietta Cozza , consigliera delegata del sindaco alla cultura di Cosenza, che esprime la sua meraviglia per la bravura e l’impegno dell’artista portando i saluti e i complimenti di tutta l’amministrazione comunale di Cosenza. Alessandra Primicerio (critico d’arte)

57


Brechen. Alessandro Librio / Evangelos Papadopoulos Palermo, Haus der Kunst, Cantieri Culturali alla Zisa - Sicilia dal 14/10/2023 al 02/12/2023

Il Verein (ente/associazione) Düsseldorf Palermo e.V. è stato fondato a Düsseldorf nel 2013 con lo scopo di favorire e promuovere lo scambio artistico e culturale tra le città di Düsseldorf e Palermo e le rispettive regioni di cui le città sono capoluogo, il Nord-Reno Vestfalia e la Sicilia. Negli anni le attività del Verein si sono concentrate nell’organizzazione di mostre d’arte, residenze d’artista e di workshop, attivando collaborazioni con diverse istituzioni pubbliche e private tra le quali musei, fondazioni e istituzioni. Le due città sono gemellate dal 2015, e dal 2016 il comune di Palermo ha affidato al Verein un padiglione dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, l’Haus der Kunst uno spazio per svolgere le attività del Verein secondo il modello dei Kunstverein e Künstlerverein tedeschi, organizzazioni o enti senza scopo di lucro, impegnati esclusivamente nella promozione dell’arte contemporanea. Il modello di gestione del Verein è orizzontale poiché sono gli stessi artisti a condurre i 58

progetti in tutta loro complessità. Con lezioni, visite guidate e workshop, mostre e pubblicazioni il Verein Düsseldorf Palermo e.V. sostiene gli artisti, emergenti e affermati, il ruolo dell’arte nella società, e incoraggia il dibattito e lo scambio con il pubblico. Con il sostegno di Landeshauptstadt Düsseldorf, Kulturamt Düsseldorf e Johanna Ey Stiftung i. G.. Apertura: 14/10/2023 Conclusione: 02/12/2023 Organizzazione: Verein Düsseldorf Palermo e.V. Giorni e orari di apertura dal giovedì al sabato, dalle 16 alle 19 e su appuntamento (per info: duesseldorfpalermo@gmail.com) Ingresso gratuito Sito web per approfondire: https://www.duesseldorfpalermo.com/ Facebook: DuesseldorfPalermo


La Sicilia di Melo Minnella. Paesaggi, memorie e astrazioni 07/10/2023 - 07/04/2024 Castelbuono, Castello dei VentimigliaREGIONE: Sicilia

Il Museo Civico di Castelbuono ospita la mostra, Paesaggi, memorie e astrazioni. La Sicilia di Melo Minnella, a cura di Valentina Bruschi, progetto vincitore di Strategia Fotografia 2022, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, grazie al quale l’istituzione museale ha acquisito un importante corpus di fotografie del grande fotografo siciliano Melo Minnella. Il progetto espositivo in programma fino al 7 aprile 2024, presenta trenta fotografie in bianco e nero che rendono omaggio a uno dei fotografi considerato dalla critica tra i più importanti della sua generazione. Melo Minnella (Mussomeli, 1937) è oggi il decano dei fotografi siciliani che ha attraversato il Novecento con il suo sguardo nel mondo umano e culturale della Sicilia, ma che ha anche percorso in lungo e in largo continenti e civiltà. Tra gli anni Sessanta e Settanta Minnella ha intrattenuto profonde relazioni con i più importanti intellettuali del tempo, da Leonardo Sciascia a Renato Guttuso, i cui iconici ritratti fotografici sono oggi presenti nella collezione permanente del Museo. La sua attività fotografica ha catturato lo spiri-

to dei luoghi che ha visitato e le persone che ha fotografato in diverse parti del mondo. «Coerentemente con gli intendimenti culturali che in questi anni recenti hanno caratterizzato l’implementazione della collezione permanente, la presenza delle opere di Melo Minnella rappresenta un ulteriore tassello nella costruzione di una identità mediterranea attraverso le arti contemporanee», commenta Laura Barreca, direttrice del Museo Civico di Castelbuono. Il progetto espositivo si completa con un programma pubblico che prevede i laboratori educativi condotti da Stefania Cordone, responsabile del Dipartimento Educazione del Museo Civico (nelle date del 26 e 28 settembre, 4 e 6 ottobre) e un ciclo di incontri a cura di Maria Rosa Sossai, responsabile del Dipartimento Progetti Partecipativi, che si chiuderà sabato 28 ottobre alle ore 17 con la conferenza del fotografo Gianni Cusumano, dal titolo, Il fascino del collodio: una testimonianza di artigianato in fotografia.

59


16 - 18 FEBBRAIO 2024 Fiera di Genova - Padiglione Blu venerdì, sabato, domenica ore 10,00 - 20,00

Segreteria organizzativa Nord Est +39.0495800305


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.