N°59 SETTEMBRE-OTTOBRE 2023 - periodico bimestrale d’Arte e Cultura
ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE
N°59 SETTEMBRE-OTTOBRE 2023 - periodico bimestrale d’Arte e Cultura
ARTE E CULTURA NELLE 20 REGIONI ITALIANE
BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE del Centro Culturale Ariele
Hanno collaborato:
Giovanna Alberta Arancio
Monia Frulla
Rocco Zani Miele
Lodovico Gierut
Franco Margari
Irene Ramponi
Letizia Caiazzo
Graziella Valeria Rota
Alessandra Primicerio
Enzo Briscese
Giovanni Cardone
Susanna Susy Tartari
Cinzia Memola
Concetta Leto
Claudio Giulianelli
Rivista20 del Centro Culturale Ariele
Presidente: Enzo Briscese
Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com
www.facebook.com/Rivista20 -----------------------------------------------------
Davanti alle opere di Angelo Buono, c’è da chiedersi dà cosa nasca la sua volontà pittorica, s’è non dal fascino dei colori e della luce. C’è quindi alla radice del suo far pittura un input,una sorta di sollecitazione intrinseca che lo porta ad esplicitare nella sua varietà del segno e nella molteplicità delle assonanze cromatiche,tutto un mondo interiore.
Affiorano così allo sguardo tutta una serie di esplicitazioni spesso decisamente informali perché interviene direttamente nella materia con un segno espressivo e un gesto spontanee, in cui le modulazioni cromatiche stesse sembrano essere ricondotte al servizio di un serrato impianto costruttivo organizzato talvolta su una griglia spaziale,e la fantasia a fare da supporto ideale x questa trascrizione di segni e di impulsi che si rifanno alla sfera tipicamente sensoriale. Sappiamo che segno,e gesto e materia sono alla radice della poetica “informale”, perché un linguaggio del genere nasce e si origina dal dominio della pulsione.
Ebbene in Buono si avverte, sia pure in una alternanza
semantica significativa questa condizione particolare, questo muoversi e voler scoprire un “reale fantastico” ,una trasfigurazione immaginifica, in tal modo l’opera vive allora come in una doppia tensione,tra flusso espressivo e suo annientamento, sulla scia di una intuibile ricerca di dimensioni e di spazi evocativi destinati a respiri più ampi e come se dai gorghi della memoria dovessero emergere i termini di una poetica continuamente oscillante tra visibile e invisibile,tra superficie e profondità.
Alla radice c’è senza dubbio una irrequietezza come supporto ideativo, per cui il rapporto che viene a stabilirsi è attivato al rimando tra fattori di contrazione e di espansione,di parcellizzazione e di ricomposizione globale.
Salvatore Flavio RaiolaLa suggestiva pittura dell’ultimo ciclo tematico di Enzo Briscese centra un nodo cruciale e lacerante della realtà odierna, ossia la “comunicazione”,peggiorata anche dall’inaspettato dramma della separatezza sanitaria di lungo periodo per la pandemia da covid, a cui abbiamo sopra accennato. Questo nodo centrale, toccato dall’arte di Briscese in uno dei suoi aspetti più conturbanti, contribuisce ad originare la scarsa qualità della vita dei giovani. L’artista si accosta con un’attenzione discreta, un interesse partecipato e preoccupato. Egli dipinge cioè con delicatezza la precarietà comunicativa vissuta dai ragazzi di adesso. Nei suoi quadri essi sfilano con i telefonini in mano. Tali opere sono la messa a fuoco di una realtà e una dinamica inquadratura che non diventa mai un banale sfogo per provocare una delle tante denunce lamentevoli.Enzo Briscese, pittore, vive nelsuo tempo e lavora con gli strumenti che gli competono: tele, colori, e infine quadri che parlano. La concezione di libertà è strettamente legata al rispetto: riteniamo pertanto che prima i giovani necessitino di amorevoli e competenti guide e in seguito abbiano bisogno di un inserimento critico nella collettività attiva in un clima che è sicuramente problematico ma dovrebbe essere anche
di dialogo fattivo. Il ciclo pittorico “I ragazzi del duemila” introduce lo spettatore nella nuova fase artistica di Briscese, evidenziata da una felice presenza di un dinamico figurativo, valorizzata da una ricca tavolozza e da un’elaborata composizione. Il suo complesso linguaggio pittorico è più vitale che mai, “metabolizzato” all’interno del quadro. Le figure sono dapprima sommerse da un confusivo caos di immagini e informazioni mentre negli ultimi lavori si configura un particolare assestamento stilistico. La rappresentazione del giovane evidenzia la sua fuga dall’oppressione che lo attornia e le ultime tele mostrano uno spazio vuoto intorno alla figura che rende visivamente il totale “nulla” in cui il ragazzo si rifugia,, ossia un radicale distacco dalla realtà . Si tratta di una fuga illusoria che sul dipinto si colora di tinte pallide e tenui. Questa serie pittorica, visionaria e realista nello stesso tempo, merita di essere messa inmostra e visitata con particolare cura.
Giovanna ArancioDal panorama iconografico della cultura New Pop, giungono gli ingrandimenti nello stile delle mele di Milena Bini (Brescia, 1972), ma si differenziano dall’allure kitsch di questa tendenza per il materiale di cui sono fatte, derivato dalla tradizione storico-artistica del Mediterraneo: la ceramica, ben distinta dalle materie plastiche smaltate e lucidate della tradizione New Pop. Sono sculture smaltate uniche nella loro eleganza formale. Celano una grande lavorazione manuale, una perizia tecnica ottenuta frequentando corsi di pittura e scultura; come sostiene l’artista stessa “L’arte è il mezzo per comunicare il mio vissuto. Ho provato e sperimentato varie tecniche, cercando di trovare la mia identità, scuola dopo scuola...dalla pittura alla scultura, ai cortometraggi”. Il modulo costruttivo è quello della mela, arricchito e rielaborato in modo originale per sottolineare l’unicità di ognuno di noi, pur appartenendo alla stessa umanità. È la storia della “Big Apple”, oppure la biografia di una mela verde cresciuta in un albero dove albergavano mele rosse per poi imparare a distinguersi, attraverso un processo salvifico. Ogni opera, infatti, è un pezzo unico e si distingue, come l’umanità si distingue per i suoi tratti morfologici e spirituali, come indica il titolo del suo progetto, Catch diversity, per “una veste caratte-
riale e fisionomica” data da molteplici elementi decorativi creando il ritratto metaforico di una società multiforme e variegata: preziosi glitter Swarosvki, borchie, catene, smalti, texture psichedeliche tratte alla Optical Art, scritte pop a bassorilievo, superfici matte o brillanti, oppure tecniche che richiamano quelle espressive storiche nella pittura: dalla sgocciolatura alla cromatura, dal cielo magrittiano al graffitismo tribale. Preziosi piccioli in vetro di Murano o chiodi lavorati a fuoco imprimono la passione messa nella lavorazione. Altre volte, l’artista ama citare, con studiati omaggi, al panorama iconografico della cultura di massa: palme che ammiccano a sognati paradisi tropicali, personaggi dei comics, glitterate stelline oppure la bandiera americana che vanta una tradizione di stilema della cultura pop. Nell’installazione Catch diversity, la mela diviene simbolo di una eterogenea umanità. La mela verde ama prendere coscienza della sua unicità. Ogni mela rappresenta, con le sue caratteristiche, una tipologia esistenziale.
Guendalina BelliMail: milenabini73@gmail.com
Sito: milenabini.com
Tel. 333.4574085
Scultore e pittore, l’artista è titolare della cattedra di discipline plastiche presso il Liceo Artistico Paolo Toschi di Parma. Nelle sue opere il fremito della vita e il dinamismo del movimento. Nato a Reggio Emilia e residente a Bologna, Fausto Beretti è artista dalla solida preparazione tecnico-culturale e dal vasto curriculum critico-espositivo. Prima ha frequentato il Liceo Artistico di Bologna e quindi si è diplomato maestro scultore presso l’Accademia di Belle Arti della stessa città. Ha inoltre ricoperto incarichi importanti nel campo dell’insegnamento ed ha soggiornato per un certo periodo a Parigi dando vita a preziose collaborazioni artistiche. Artista a tutto tondo, scultore e pittore, Beretti è tra i pochi artisti moderni che sanno unire la sapiente tecnica dei vecchi maestri alle tematiche più vere e sentite della nostra contemporaneità facendo così convivere, in modo armonico e del tutto naturale, passato e presente, tradizione e modernità. E la grande tradizione artistica del nostro Rinascimento, del Manierismo e poi, ancora, tutta la maestria espressa dall’arte greca e romana costituiscono, infatti, il cuore e l’ossatura di tutta la sua espressione. Arte vera e concreta, dunque, fondata su basi solide e universali, dove la creatività e l’ingegno si sposano alle capacità operative e “artigianali” del mestiere e dove l’invenzione si fa cultura, sensibile interpretazione, attimo di intensa e sentita tensione artistica. Nel suo ampio e accogliente atelier si respira un’aria d’altri tempi, un’atmosfera silenziosa e raccolta fatta di lavoro, studio e ricerca. Belle e coinvolgenti anche le tematiche affrontate da questo artista che, per dare maggiore forza al suo percorso espressivo, si serve di scenografiche rappresentazioni mitologiche, di potenti iconografie sacre o di toccanti immagini letterarie. “Chirone morente”, “Lapita che uccide un
centauro”, “San Giorgio e il drago”, “Il profeta Geremia”, “ La barca di Caronte” e “Don Chisciotte” sono solo alcuni titoli di altrettante opere dove l’uomo e l’esistenza sono sempre gli assoluti protagonisti. Perché questo artista sente fortemente le problematiche umane ed esistenziali dei nostri giorni, le tensioni della vita contemporanea, le difficoltà del momento. Così le sue sculture, percorse sempre dal fremito della vita e del movimento, sono letteralmente fatte di corpi: corpi aggrovigliati e sofferenti, in equilibrio e in tensione, corpi che cercano altri corpi, corpi schiacciati sotto il peso di altri corpi. Bravo disegnatore e ottimo conoscitore dell’anatomia umana, Fausto Beretti, dopo aver progettato l’opera, sembra lavorare in scioltezza e velocità e i suoi personaggi, pur nella perfezione anatomica, risentono di una certa influenza impressionista, un “finito” che si alterna sempre al “non finito” lasciando intravedere una sospensione spirituale, un attimo di attesa e/o riflessione, un intimo tormento. Comunque sia, i suoi personaggi, pur nell’impianto classico e/o rinascimentale (alcune opere rimandano al grande Michelangelo) acquistano sempre i connotati di eroi moderni e contemporanei tesi ad una lotta impari contro il destino e le avversità. Lo stesso vale per la pittura, forte e vigorosa, libera e potente, scenografica e scultorea nel suo prorompente vigore. Tra i soggetti preferiti da Fausto Beretti troviamo figure, soprattutto nudi femminili, e composizioni (nature morte) dove l’artista mette in mostra tutta la sua abilità e il suo virtuosismo tecnico dipingendo frutta, oggetti e colorati, morbidi drappeggi. Un modo di procedere, quello dell’artista bolognese, che per certi versi sembra richiamare la grande pittura Manierista ma che si affranca da essa per freschezza d’invenzione e modernità cromatica.
Riccardo Cordero, nato ad Alba in provincia di Cuneo nel 1942, inizia il suo percorso all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino dove sarà titolare della cattedra della Scuola di Scultura fino al 2002. Scultore affermato a livello internazionale, con installazioni monumentali come il Grande Ferro per la Lookout Sculpture Foundation in Pennsylvania nel 1993, e in Cina dove realizza opere come Cometa per il Rose Garden Park di Taiwan nel 2006 e Meteora in acciaio per lo Sculpture Park di Shangai nel 20052006. Nel 2021 risulta tra i vincitori del concorso bandito a Pechino per le Olimpiadi e Paraolimpiadi Invernali e viene incaricato di realizzare la scultura New Et, alta 17 metri. Sempre in Cina figura tra gli invitati della prima Biennale
della città di Macao del 2021 per la quale ha realizzato una nuova versione di Chakra, in acciao corten. Tra le opere pubbliche nel contesto torinese: Disarticolare un cerchio, 1993, Galleria d’Arte Moderna; Rotazione coordinata, 1992, Parco della Pellerina; Chakra, 2005-2006, Piazza Galimberti. Tra le mostre personali più recenti si ricordano: L’universo di Riccardo Cordero a Monte Tamaro, Rivera (2021-2022) in Svizzera; Eduard Angeli & Riccardo Cordero, Malerei und Skulptur alla Die Galerie di Francoforte sul Meno (2019); Riccardo Cordero, Skulpturen Zeichnungen, Galerie Wohlhüter, Thalheim-Leibertingen (2015) in Germania
È una ricerca continua, forse affannata, forse anche dolorosa, ma estremamente affascinante, quella che ci propone l’artista Aurora Cubicciotti: una donna che sa leggere l’alito della vita, che sa guardare dentro le cose, nelle recondite profondità degli occhi dei personaggi che lei ritrae in maniera mirabile, nelle profondità delle pieghe dei meandri dell’inconscio, nelle profondità dei sentimenti, nel “simbolismo” dei suoi personaggi che diventano paradigmi delle condizioni stesse della vita quotidiana. È una poetica che si carica e ricarica di infiniti ruoli e di infiniti significati. L’artista padroneggia la parola poetica e le immagini pittoriche, sa parlare con semplicità e icastica evidenza alle nostre menti: le sue opere pittoriche sono pura poesia per immagini che solo in apparenza sono mute, a volte mirabilmente accompagnate anche da suoi testi poetici che mettono a nudo tutto il grande universo emozionale che le distingue. L’intimità di dialoghi perduti in un “tempo contemporaneo” che inizia a scorrere forse troppo velocemente. Una spiritualità interiore, viene rappresentata attraverso dipinti ad
olio e carta che ci parlano di uomini e donne, che vivono nel nostro tempo. Lacerazioni dell’anima. Speranze ricercate, per poi essere ritrovate. La pittura di Aurora Cubicciotti si muove in un contesto sociale, poco esplorato dagli altri Artisti. L’idea di pittura classica tradizionale, viene abbandonata, per dare maggiore spazio a quel processo di significazione, alla base di ogni lavoro di Cubicciotti.
Come ci ricorda Aurora, la tecnica pittorica deve essere alla base di ogni buona realizzazione; ma questa da sola non basta. Un’opera ha bisogno di sentimento. Un’opera deve saper raccontare. Deve saper “parlare” allo spettatore. Deve instaurare con esso un dialogo intimo, spirituale, tra sogno e realtà (Pecci/Russo)
mail.: cubyaurora@gmail.com
Sito: www.facebook.com/ aurora.cubicciotti
tel. 339.18 38 913
Mirella Caruso nasce a Sciacca, luogo di atmosfere mediterranee che l’ha sempre ispirata per i suoi dipinti. Laureata in giurisprudenza all’Università di Palermo, ha insegnato Discipline Giuridiche e Economiche ed è attualmente impegnata nell’insegnamento delle tecniche dello yoga, pratica che è per lei ispirazione fondamentale per alcuni dei suoi soggetti simbolici. Stabilitasi a Torino, ha iniziato il suo percorso di pittrice grazie all’incontro con Margherita Alacevich. La sua energia vitale e l’irrequietezza del suo carattere la portano spesso a diversificare la sua produzione; passando per quadri simbolici si arriva alla rappresentazione figurativa di paesaggi e soggetti. Tra le maggiori esposizioni dell’artista si ricordano le personali nel 1995 a Cervo (IM) a Villa Farandi, quella del 2013 al “Re Umberto” di Torino, nel 2016 la bipersonale con Giuseppe Falco alla Galleria d’Arte Centro Storico a Firenze e nel 2017 presso il circolo culturale di Sciacca. Oltre a numerose mostre al circolo degli artisti e alla promotrice delle Belle
Arti di Torino, si ricorda la partecipazione nel 2016 alla collettiva internazionale “Time to Build” all’atelier 3+10 a Mestre, nel 2018 la collettiva presso la galleria Saphira e Ventura a New York, nel 2019 a quella all’Appa Gallery di Madrid e nello stesso anno la collettiva “Rinascimento contemporaneo” al museo Leonardo Da Vinci a Roma e nel 2021 la partecipazione ad ArtParmaFair a Parma.
Tra le principali pubblicazioni un editoriale nel 2013 sul II volume ‘La donna nella storia dell’arte’, a cura di Giuseppe Nasillo.
Nel 2015 sono stati pubblicati suoi quadri su ‘Nuova Arte’, Cairo Publishing e nel 2017 sul catalogo n.53 ‘Dell’Arte Moderna - Gli artisti dal primo ‘900 a oggi’, casa editrice Giorgio Mondadori
mire.caruso@gmail.com
Cell. 339.365 6046
Il dipinto appare come un’emozione d’animo: un orizzonte che si apre alla luce ed all’aria, mentre leggeri vapori colorano di nostalgiche rimembranze i paesaggi di sogno nei dipinti da Leonardo Cherubini. La sua narrazione figurativa è fatta di sfuggevoli sensazioni: lo sguardo le raccoglie, mentre la fantasia creativa le esalta in un mondo evocativo nella poetica dell’immaginario. Ecco che allora, le immagini escono dalla fisicità dei paesaggi: le accompagna la fuga dei pensieri, dove le vedute si dissolvono in una particolare luminosità che diviene sogno del reale ed un velo leggero di vapori dissolve le visioni in un alone di magica poesia. Tutto pare lievitare nelle velature finissime dell’aria umida, dove la raffinata trama pittorica, rivela una costruzione e decostruzione delle immagini nella coniugazione, tra poesia ed enigma, fantasia del reale ed una nuova geometria, razionalità e pulsione senti- mentale, in cui si Svelano vedute nebbiose dai vapori dell’atmosfera con squisite morbidezze tonali, improvvise accensioni, tra i gialli dorati, i rossi fiamminghi, i preziosi valori dei verdi, i grigi perla-
cei e gli azzurri polverosi che rendono i paesaggi incantati nei silenzi d’animo e nei misteri dell’esistenza. Ecco perché, in un clima metafisico e sognante, scorre la splendida pittura di Leonardo Cherubini: ora dolcemente apollinea, ora con un filo di malinconia, mentre i borghi antichi che parlano di storia e le incantate vedute appaiono in una dorata luminosità soffusa, mentre la luna nel blu giottesco, saluta poeticamente lo spettatore. Alla fine, sensazioni fermate nel loro momento evocativo ed attimi preziosi si fondono nel colore e nella luce in una pittura con accentuazioni quattrocentesche, dove la narrazione simbolica diviene allusiva, quanto,fantastica,mentre le armonie naturali e le figure femminili di classica bellezza primeggiano nelle visioni di fascino, svelando un candore compositivo nelle voci segrete dell’armonia pittorica.
Carla d’Aquino MineoLeonardo.cherubini@architetti-associati.eu Cell. 335.758 2008
Parlare della mia pittura mi è difficile, di come nascono e prendono forma le figure che popolano i miei quadri.
Sicuramente è stato determinante il mio amore per l’arte antica, amore nato da bambino durante le vacanze estive a Porto Ercole in Toscana ove i vecchi pescatori narravano la leggenda della morte di Caravaggio. Di quel pittore rimasi folgorato e la sua pittura entrò nel mio dna, iniziai a studiare i suoi quadri, uno ad uno, sia nello stile compositivo che nella tecnica. Poi, un giorno, durante una lezione di educazione artistica nella scuola media, vidi appeso alle spalle della mia professoressa un poster, in un angolo, vi era riprodotto un particolare di un quadro di Hieronymus Bosch.
Ne rimasi impressionato e frastornato, pensavo si trattasse di un pittore contemporaneo per quella incredibile vena surreale che sottointendeva una conoscenza antica, quel rappresentare un uomo con la faccia da pesce.... si aprì ai miei occhi il suo mondo magico ed ermetico che mi entrò nella pelle e nella mente.
Si, mi è difficile parlare della mia pittura...
Claudio Giulianellimail: claudiogiulianelli@gmail.com
Sito: https://www.megaart.it/
tel. 393.04 02 949
Sono un artista autodidatta che vive a Salonicco in Grecia. La mia vera passione è sempre stata dipingere e creare. Per lo più dipingo dipinti ad olio e acrilici originali su tela tesa e su vecchi pezzi di legno o legni. Sto lavorando con tecnica mista utilizzando spatole e pennelli.
L’ispirazione è ovunque. Sono influenzata e ispirata dalla magnificenza e dallo splendore dell’ambiente naturale. La bellezza di un solo fiore, il mare con il moto perpetuo dell’azzurro infinito, o una panoramica costa selvaggia. Sono eccitata ndal fugace equilibrio tra forza e fragilità in natura.
Da tutti questi miracoli che accadono intorno a noi ogni giorno, traggo energia e ispirazione. La visione cattura l’immagine, il paesaggio, l’uomo, gli oggetti, l’ombra, la luce, i colori. Con la mia immaginazione posso vedere il mio oggetto più liberamente e cercando una forma di -
versa che rifletta ed esprima la mia percezione. Creare una nuova immagine influenzata dalla mia esperienza personale, dal mio carattere e dallo stato d’animo del momento. Sto cercando attraverso le mie opere di esprimere il mio bisogno interiore di trasformare un’esperienza personale e quindi di liberarmene. Alleato con la mia immaginazione sfrenata, destreggiandomi tra realtà e sogno, completamente assorto nei miei dipinti. La creazione artistica è un mezzo di relax, una libera espressione, uno sfogo emotivo.....un viaggio meraviglioso.....una giornata al mare dei sogni.....una costante cerca l’”Onda Perfetta” !!
mail.: dimitrapapa@live.de
Sito: www.megaart.it/pittori/Dimitra Papageorgiou https://dimitrapapa.artmajeur.com/
“Gina Fortunato dimostra una grande competenza nell’uso del colore e della luce. La padronanza artistica si riflette nella raffinatezza delle sue cromie, che costituiscono l’elemento principale del suo linguaggio cromatico.
Con una sintassi elegante, Fortunato racconta sé stessa sulle tele.
L’artista spazia da momenti di gioia, in cui prevalgono colori luminosi e spazi informali sconfinati, fino ad arrivare ad opere dal tono più cupo, caratterizzate da scene buie o tele lacerate, che rappresentano i tormenti dell’anima me del vivere.
Questo contrasto tra luminosità e d oscurità offre uno sguardo approfondito sulle sfumature dell’esperienza umana e sul ventaglio di emozioni che si possono sperimentare vivendo.
Gina Fortunato non cattura soltanto l’interlocutore attraverso l’uso dei costrutti cromatici sempre eleganti e armonici, ma racconta la sua vita attraverso la sintassi del colore.
La sua arte è un viaggio emozionale fatto di saliscendi, come la vita, un percorso che l’artista ha il coraggio di raccontare sulle tele con il linguaggio ermetico della sua pittura.
Le opere di Gina Fortunato non sono solo gradevoli, ma anche un invito a esplorare i molteplici aspetti dell’esistenza umana. Con la sua capacità di narrare attraverso la pittura, Gina Fortunato si distingue come una delle artiste più suggestive ed affascinanti del panorama artistico contemporaneo.
(PASQUALE DI MATTEO - Critico Internazionale, Comunicatore Multimediale e Scrittore)”
m ail.: ginaeffestudio@alice.it
Sito: www.ginaeffe.it
fb: Gina Fortunato
Instagram: gina_fortunato
tel. 349.84 49 227
Le delicate sinuosità che accompagnano le opere di Gabriele Ieronimo connotano un animo gentile e premuroso verso le forme che delinea sulla tela.
Scatti di imprevedibilità scandiscono il ritmo del contesto armonioso fatto di colore, figure e simbolismi, definendo molteplici spunti riflessivi ricchi di aspetti reconditi. In opere come “Violoncellista sexy” la sensualità è resa protagonista attraverso la resa informale della donna nell’atto di suonare lo strumento: un gesto profondamente sentito che viene rappresentato quasi come un atto d’amore nei confronti del violoncello stesso. Il modo in cui viene toccato e guardato lascia trasparire un forte pathos, messo ancor più in risalto attraverso il gioco cromatico. Artista dalle molteplici capacità, il quale non sente la necessità di esprimere il proprio messaggio solo facendo ricorso a figure, ma si impone come padrone della pittura riuscendo a mettere in atto il proprio linguaggio artistico anche solo riversando sulla tela forme e colori.
Nelle opere astratte, emerge il, lato più nascosto dell’artista, il quale cela dentro di sé diversi aspetti percettivi che
vuole trasmettere attraverso l’uso di cromatismi danzanti. La gestualità è la vera regina della sua arte: grazie ad essa si riesce a percepire quanto di più intenso si impregna nella sua spiritualità, realizzando opere che sono il prodotto finito dei suoi dettami interiori.
Attraverso le vibrazioni tonali, si entra in contatto con emozioni palpabili che chiedono a gran voce di essere ascoltate e poi raccontate.
Arte che non conosce confini nè regole, ma che impone come la vera affermazione di unachiara intenzione sentimentale, Osservando le sue opere, si ha la certezza di avere davanti lavori che rappresentano a pieno l’arte,con la A maiuscola. Dott.ssa Rosanna Chetta(criticod’arte) mail.: Gabriele.ieronimo@live.com
Quando dipingo la mia firma è Luya. Dipingo e disegno sin dall’infanzia, nei miei dipinti spesso, integro il colore con il segno grafico.
Mi sono diplomata al liceo artistico e successivamente ho concluso gli studi nella sezione scenografica dell’Accademia di belle arti.
Ho insegnato al liceo artistico e nella scuola secondaria. Ho esposto in diverse mostre personali e collettive.
Mail: luianni@libero.it
Sito: luyanni53
Tel. 320 703 4545
Nata a Roma, si è diplomata al Liceo artistico ed ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento del disegno nelle scuole medie e nei licei scientifici. Dopo successivi corsi di specializzazione ha insegnato per alcuni anni in vari istituti a Roma e, in seguito, a Canelli, in Piemonte.
Il suo è stato un lungo percorso artistico con la partecipazione a mostre collettive e personali.
Sue opere sono presenti in collezioni in Italia e all’estero.
Nelle opere di Enrica Maravalle si percepisce una personalità forte, introspettiva, ricca di riferimenti culturali.
La ricerca della forma e del colore è improntata ad un rigore geometrico che si potrebbe avvicinare al cubismo, al simbolismo ed alla metafisica, che sono elementi che le appartengono e le consentono di elaborare un linguaggio proprio.
Il rigore ed il pensiero che precedono l’opera sono una lunga elaborazione mentale.
I sentimenti sono espressi attraverso il dipinto in forme e colori. L’artista si emoziona, la fantasia prende il sopravvento, i colori diventano il linguaggio espressivo più forte: tinte pure e di impatto o mischiate in toni e sotto toni. C’è sempre una evoluzione nella sua arte, non c’è ripetitività, i soggetti variano.
Enrica percorre strade diverse, dai personaggi fantastici e giocosi, alle opere astratte, ricche di movimento e di musicalità, alle composizioni ieratiche che fissano un tempo indeterminato.
I soggetti, dalla figura umana, al paesaggio, alla natura “viva”, appaiono sulla tela come una sorta di rappresentazione con le parti assegnate ben definite, mai scontate, mai casuali. Una particolare visione ideale della realtà; l’artista libera la sua idea dalla prigione della mente per mostrare l’opera estetica.
Chi osserva deve comprendere l’invisibile oltre al visibile. È una visione del mondo, un processo creativo che porta alla realizzazione di lavori emozionanti al di là del tempo e dello spazio.
Il suo è un discorso in continua evoluzione, sempre alla ricerca di vie nuove.
Enrica Maravalle è presente nel “CAM - Catalogo dell’Arte Moderna” edito dalla Editoriale Giorgio Mondadori e dedicato agli Artisti italiani dal primo Novecento ad oggi.
Linguaggio dei dipinti-testimonianza dell´ anima
Anche oggi lo sforzo comune di realizzare la propria vita richiede allo stesso tempo il bisogno di soddisfacimento estetico come anche dei nostri bisogni spirituali e sentimentali.
A tal fine contribuisce sia l´intelletto, inteso come forza spirituale conoscitiva permettente l´accesso non materiale alla conoscenza che supera i nostri sensi e la nostra immaginazione, sia la capacitá della percezione estetica di bellezza e di arte con i nostri sensi.
Al contrario la pigrizia mentale, l´ariditá, l´impotenza emotiva e la convenzionalitá come l´espressione della semplice arretratezza o come consequenza della scarsa considerazione di una urgente necessitá di crescita sia affettiva che mentale rappresentano una complicazione che ci rallenta.
La pittrice Šárka Mrázová Cagliero ci offre con i suoi dipinti stimoli sempre nuovi e originali per la nostra attiva trasformazione interiore.
L´artista con la sua consapevole stilizzazione figurativa e cromatica ci porta nel suo reame fatto di ricordi d´infanzia di un mondo quasi fiabesco che ci accompagna al ritrovamento della calma interiore o piúttosto all´abbandono dei
nostri disagi e confusioni. La cromaticitá simbolicamente espressiva di una inebriante suggestione desta la nostra anima fatta d´armonia e la nostra potente riserva di emozioni e di sentimenti. Si chiariscono le tracce messe in disparte delle nostre emozioni e delle idee, di tutto quello che aiuta l´evoluzione della nostra personalitá. Queste eccitanti dichiarazioni che scaturiscono dalla ispirazione poetica suscitano delle rappresentazioni metaforiche di una realtá impossibile da descrivere direttamente. L´inebriante cromaticitá ha la funzione non soltanto di accentuare l´importanza poetica ma anche di una dichiarazione d´amore per la bellezza della natura, dei paesaggi e del mondo circostante spesso in collegamento con gli elementi geometrizzanti che evocano la necessitá di un´ordine, di una armonia.
Ogni dipinto viene composto con grande ingegno e la certezza espressiva di rivelare la ricchezza degli stimoli custoditi nel profondo dell´anima. Si percepisce anche il collegamento delle percezioni visuali e degli umori con la musica come sintesi della sensazione d´incantesimo che con la sua unicitá ci pervade e colma il nostro animo.
Jaroslav Mráz 2023Katy Bishop è una pittrice astratta contemporanea con sede negli Stati Uniti. Il suo lavoro è caratterizzato da tratti audaci ed espressivi e da un uso vibrante del colore. Molti dei suoi dipinti presentano paesaggi astratti, con forme vorticose e motivi che evocano il movimento e l’energia del mondo naturale. I dipinti di Bishop sono altamente espressivi e dinamici, offrendo un’interpretazione unica della vita attraverso l’astrazione.
Oltre ai suoi tratti audaci ed espressivi e all’uso vibrante del colore, Katy Bishop è nota per il suo uso di inchiostro alcolico su carta, che produce una gamma di colori vivaci e traslucidi e crea motivi unici e organici. Lavora anche con la pittura inversa su plexiglass e vetro, una tecnica che prevede la pittura sul retro di una superficie trasparente, che consente allo spettatore di vedere l’immagine al contrario. Queste tecniche si aggiungono al carattere distintivo delle opere d’arte di Bishop, creando un’esperienza visiva che è allo stesso tempo intricata e armoniosa. L’uso dell’inchiostro alcolico e la pittura inversa su plexiglass e vetro dimostrano la sua volontà di sperimentare materiali e tecniche diverse e mettono in evidenza la sua capacità di creare pezzi sorprendenti e coinvolgenti.
Ha esposto il suo lavoro in varie gallerie e mostre negli Stati Uniti, e la sua arte è conservata in collezioni private in tutto il paese.
Raffaella Pasquali è nata a Vercelli. A 17 anni segue un corso presso l’istituto Belle Arti di Vercelli con il maestro Renzo Roncarolo (detto Pimpi), che la invita a non perdere mai la purezza che esprime nei suoi lavori. Nel 2002 dopo un percorso professionale rivolto essenzialmente alla professione di Ingegnere Elettronico si iscrive, per riprendere il percorso interrotto anni prima, alla Accademia Pictor di Torino ove segue i corsi dei maestri Aldo Antonietti e Giuseppe Musolino. Inizia da questo momento un percorso artistico che la porta a ricercare nella pittura una possibilità di espressione aperta e svincolata dal quotidiano.
Viaggiatrice attenta ai luoghi geografici, ma soprattutto alle culture che li abitano, ricerca nell’universo dell’arte sentieri di approfondimento filosofico e di recupero di quegli aspetti interiori e spirituali che nel caos del
quotidiano restano soffocati e inespressi. Ad interessarla sono in particolare le popolazioni del Centro e del Sud America e l’Oriente, che affiorano nei suoi lavori con declinazioni cromatiche e contenutistiche aperte a stratificate letture: lo sguardo di una ragazza cambogiana, i giochi di bambini a Cuba ma anche l’intensità di un fiore appena sbocciato.
Raffaella Pasquali identifica nella pittura ad olio su tela o su tavola il linguaggio più adatto al proprio sentire e al suo pensiero teorico.
mail.: raffaellapasquali@studioingpasquali.it Sito: www.facebook.com/ raffaella.pasquali1
tel. 340.24 26 206
Per tentare una nuova presentazione delle mie più recenti opere di pittura e collocazione soprattutto in situazioni private e pubbliche sono qui a proporle su queste due pagine di Rivista periodico bimestrale d’Arte e Cultura, dipinti BIG dal titolo “Sogni Appesi” realizzati per stimolare la curiosità e l’interesse, desiderio e anche possesso nella fruizione.
In particolare spaziano nella loro creatività, come filo conduttore di un discorso culturale, partito dagli albori: cicli di idee che portano serie di opere di pittura ad olio cromaticamente materica e non solo. Ora questi cicli di figure rincorrono
voli abbozzati. Voli che dialogano tra loro, lasciando spazio all’intuizione di una possibile morfogenesi. Forme evolute, incarnate su linee e spazi, che si frantumano, si compenetrano a volte in sintesi operative diventando vibranti. Gocciolature che richiamano l’action painting del lontano ricordo di Jackson Pollock. Scrive Toti Carpentieri “Ribadita, a ben guardare, nelle altre opere dislocate negli anni... si modificano secondo un’astrazione progressiva, assumendo nuove connotazione/sembianze più figurali. Puranco embrionali, ma assolutamente tali.”
Colore e materia si avvicendano nella costruzione di uno spazio astratto, dal quale le forme si moltiplicano e si sovrappongono giocando sull’allusione e sul ricordo. I ricordi si affastellano, si affagottano, si ammassano ma poi infine emergono: figure bellissime nude nel lucido corpo, volti sistemati di profilo in angoli perduti, amplessi al centro, corpi ravvicinati. In secondo piano, oscurati in vibrazioni emotive, accenni di situazioni contemporanee esistenti, tipo “Espatrio”, deflusso di gruppi provenienti da
terre lontane e disastrate per rispondere a esigenze di sopravvivenza. E’ motivo di contrasto nelle mie opere, ove la figura con un taglio decisamente equilibrato sviluppa il senso dell’armonia, proponendo una sorta di geografia del corpo naturale, informe, avvolgente, l’audace riscoperta del colore. Materia. Sono questi i miei recentissimi dipinti che crescendo di intensità emotiva e attualizzando la fisicità dei corpi e dei temi, approdo a “La petite seconde d’éternité/Où tu m’as embrassè/Ou je t’ai embrassée”, di cui scrive Jacques Prévert, ovvero alla sospensione del tempo”(Toti Carpentieri).Raggiungimento del soqquadro dell’armonia e della bellezza”.
Michele RoccotelliIl pittore Pugliese(nato a Monopoli) Franco Tarantino, dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Bari si diploma al liceo artistico di Lecce, poi trasferitosi a Milano (dove si è diplomato a Brera e all’Istituto superiore di Scultura del Castello Sforzesco), da anni rappresenta l’esempio magistrale di un percorso e una maturazione artistica che lo ha portato da un’ importante esperienza figurativa, all’attuale esperienza di astrazione cosmica e contaminazione di generi.
Notato subito dalla critica per le sue doti di disegnatore e incisore figurativo- surreale di stampo Picassiano e Chagalliano, è sempre stato attratto dal colore e dalla forma realizzando negli anni oltre a bellissime incisioni di grande formato, quadri polimaterici coloratissimi, sculture e piatti in ceramica di grande suggestione. Prima ancora di essere pittore, Franco Tarantino è un grande sognatore Felliniano, (vedi opere come Annunciazione,1995, “I trapezisti”, 1996; “L’albero bifronte”,1999) che crede nella libertà creative dell’uomo, ma anche uno strenuo difensore di libertà e
istanze civiche, e sociali (vedi opere come “No terrorismo”, 2006 e “USA 11settembre”, 2006; “Giustizia e Libertà, 2006 una grande tela di metri 5×2). Una delle sue doti infatti è di sapersi esprimere sia nel piccolo che nel grande formato. Forse vale la pena di approfondire alcuni suoi temi e simboli ricorrenti prima che approdasse all’attuale periodo “informale” ricco di fluorescenze coloristiche-emozionali inconsce e giardini segnici. Sono essenzialmente l’Albero, la Donna, Il Cavallo e Don Chisciotte. L’Albero, ha una potente risonanza simbolica: attraverso l’immagine dell’albero che continuamente si rinnova e rinasce, Tarantino ci parla dell’Artista e della sua Arte portatrice di valori, rinascita e memorie e nido di sogni. Dall’immagine biblica dell’albero della vita alle parole di Alce Nero, il mistico Sioux che lo rappresenta al centro del cerchio del mondo, l’albero costituisce un’immagine universale e archetipica, un simbolo potente che vive e si moltiplica, nello spazio e nel tempo, in un’infinita varietà di forme.
Sabato 9 settembre 2023 alle 18 Galleria Vittoria apre la stagione espositiva 2023/2024 inaugurando ‘Universo UFAGRÀ’ di Antonio Fiore a cura di Tiziano M. Todi. La mostra nello storico spazio di via Margutta 103, presenta opere inedite offrendo una visione completa del linguaggio dell’artista che ha caratterizzato la sua ricerca. La cosmopittura del pittore segnino viene in tale occasione ridefinita come un preciso linguaggio evolutivo di un’idea che esplora spazi siderei non conosciuti, dove l’artista immagina colori e forme fiammeggianti che fluttuano magmaticamente nel vuoto.
Realizzate dal 2020 al 2023, in mostra le opere dai colori accesi e con forme geometriche dinamiche, due elementi ricorrenti che hanno permesso ad Antonio Fiore di creare un suo alfabeto, evocativo e d’impatto, dando vita ad un linguaggio iconico, mutato nel tempo, che lo ha aiutato ad esprimere la propria visione dello spazio e conferendo all’arte di Fiore uno stile sempre più riconoscibile, caratterizzandolo e rendendolo unico nel suo genere.
L’artista conferma la sua attrazione per le forme sintetiche, inserendo nelle opere un nuovo elemento: il plexiglass. Questo ha permesso a Fiore di evidenziare la scomposizione dei piani e l’abbattimento della percezione prospettica, rafforzando la luminosità cromatica e il simbolismo dei temi.
Antonio Fiore, erede dei futuristi dell’ultima generazione, rappresenta una testimonianza storica del movimento, fu infatti Sante Monachesi a lasciargli idealmente il testimone della continuità dell’ideale marinettiano e, nel 1978, ad indirizzarlo verso la ricerca post futurista facendolo aderire al Movimento AGRÀ che aveva fondato nel 1962, battezzandolo futuristicamente UFAGRÀ (Universo Fiore AGRÀ).
Scrive Tiziano M. Todi nella prentazione del catalogo: [...]Come un alieno impattato sulla terra, Antonio Fiore dagli anni ‘70 ci ammalia e ipnotizza dipingendo l’universo come paesaggi che sembrano smaterializzarsi e dove tutto ci appare pervaso da una continua sfida alla gravità;
con forme sinuose ed ammalianti in una dimensione ideale nella quale ci sembra di toccare un pezzetto di universo composto dalla materia e dalla inafferrabile immaginazione dell’artista. Il maestro Monachesi lo battezza UFAGRà, con questo soprannome Antonio si rivela un esploratore agravitazionale galattico mosso da curiosità, passione e intuizione pronto ad uscire dalla realtà e ad entrare nei suoi scenari dove conserva e affonda le radici e soprattutto ideali, che non manca mai di esprimere e trasmettere, cogliendo con capacità l’animo del suo tempo.
Ancora una volta la ricerca delle stelle messa in scena da Fiore continua nelle diverse interpretazioni del suo iconico linguaggio, arricchendosi di nuovi elementi attraverso l’utilizzo di plexiglass che, come astronavi e corpi celesti, si inseriscono in questo attuale cosmo conferendo un nuovo dinamismo percettivo, fondendo memoria del passato e percezioni future che ridisegnano una nuova visione distorta, straniante e spiazzante, confondendo chi guarda. [...]
La mostra è arricchita da un catalogo monografico con i testi di Giorgio Di Genova, Andrea Baffoni e Tiziana Todi, edito da Gangemi Editore e contenente tutta la produzione di Antonio Fiore, comprese: cronologia ragionata, bibliografia e antologia critica, aggiornate al 2023. Include inoltre un apparato fotografico documentario dell’attività dell’artista dal 1978 ad oggi. Vi è riportata tra le pagine del volume anche la testimonianza inedita della moglie dell’artista, Maria Pia, che documenta i contatti con i futuristi di Fiore, scritta diversi anni fa e riportata per la prima volta nel testo di Massimo Duranti, in occasione della grande antologica di Fiore al CERP, Centro Espositivo Rocca Paolina di Perugia.
Giorgio Di Genova, venuto a mancare lo scorso 25 luglio, complice del sodalizio artistico tra Antonio Fiore e la Galleria Vittoria
LA FOTOGRAFIA DIPINTA
“Il racconto fotografico e l’alter ego pittorico “ a cura di Giovanni Mangiacapra connessioni aps
Francesco Soranno flegrea fhoto aps
Rocco Zani critico d’arte
Museo MAV
22 Ottobre / 26 Novembre 2023
Inaugurazione 22 ottobre ore 11.00
In una sorta di inedito e singolare capovolgimento – formale e concettuale – dei ruoli, le immagini fotografiche si fanno, in questa occasione, soggetto di rivisitazione pittorica inseguendo un resoconto dialogale tra espressività diverse e talvolta distanti. Sette opere fotografiche diventeranno luogo di indagine e di rilettura attraverso la realizzazione di sette dipinti di altrettanti autori. Come in un duplice piano comunicativo le opere fotografiche vivranno una vera e propria “reinterpretazione” pittorica capace di cogliere, nella tempestività dello “scatto”, inediti percorsi narrativi, preziose risoluzioni cromatiche, più intime e meditate azioni. Un percor-
Gli artisti invitati:
fotografo Tiziana Mastropasqua
pittura Renzo Bellanca
fotografo Raffaele De Santis
pittura Mariangela Calabrese
fotografo Fabiana Privitera
pittura Cosimo Colella
fotografo Riccardo Petrone
pittura Giovanni Mangiacapra
fotografo Alberto Mazzarino
pittura Sara Pellegrini
fotografo Annalisa Esposito
pittura Antonio Tramontano
fotografo Lucia Montanaro
pittura Agostino Tulumello
so comunque “paritario” dove la diversità del linguaggio deve farsi patrimonio comune di confronto, di stimolo, di ipotesi.
L’allestimento della mostra, essenziale e rigoroso, permetterà una lettura compiuta dell’opera fotografica e della corrispondente azione pittorica. Durante il periodo espositivo Connessioni aps e Flegrea Fhoto promuoveranno al MAV numerosi eventi culturali (presentazione di libri di fotografia e dibattiti sul tema fotografia e pittura) facendo dello spazio museale un luogo di grande partecipazione e di vivacità culturale.
29/06/2023 - 07/01/2024
LUOGO: Torino, Gallerie d’ItaliaREGIONE: Piemonte
ntesa Sanpaolo apre al pubblico dal 29 giugno 2023 al 7 gennaio 2024 alle Gallerie d’Italia – Torino la mostra “Mimmo Jodice. Senza Tempo”, secondo capitolo del progetto “La Grande Fotografia Italiana” a cura di Roberto Koch, avviato nel 2022 con la mostra di Lisetta Carmi con l’intento di realizzare un omaggio ai grandi maestri della fotografia del Novecento del nostro paese.
La nuova mostra prevede il coinvolgimento di Mario Martone, regista e autore, che ha diretto e realizzato un filmato documentario sulla vita di Mimmo Jodice, suo amico e concittadino, che viene proiettato al pubblico per la prima volta.
Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici Intesa Sanpaolo e Direttore Gallerie d’Italia, dichiara: “Nell’attività delle Gallerie d’Italia la fotografia è protagonista di un racconto che ne esplora la ricchezza di significati, da strumento di indagine sui temi del presente a prezioso patrimonio per approfondire la storia del Paese, a straordinaria forma d’arte capace di dare vita a opere di suggestiva bellezza. Il suo valore artistico e culturale trova oggi piena espressione nella nuova mostra dedicata al ma-
estro Mimmo Jodice, i cui capolavori fanno la storia della fotografia italiana e internazionale. L’esposizione consente di ripercorrere l’intera carriera del grande fotografo, offrendoci immagini di intensa e coinvolgente poesia.”
Mimmo Jodice. Senza Tempo offre una significativa sintesi della produzione di Jodice, ripercorrendo i principali temi ispiratori della sua arte in altrettante sezioni della mostra, Anamnesi, Linguaggi, Vedute di Napoli, Città, Natura, Mari, attraverso 80 fotografie realizzate dal 1964 al 2011, tra cui alcune delle opere iconiche che hanno definitivamente attestato la grandezza del maestro napoletano. Dalle foto che immortalano statue e mosaici, vestigia delle antiche civiltà del Mediterraneo, a un interesse di tipo sperimentale e concettuale per il linguaggio fotografico; dalle vedute urbane di Napoli e di altre metropoli contemporanee, cariche di assenza e silenzio, nelle quali – come scrive l’autore – “la realtà e la mia visione interiore coincidono”, alle trasfigurazioni del paesaggio naturale fino alla struggente malinconia dei suoi mari. La sezione Natura, con opere esposte per la prima volta, aggiunge un nuovo e ulteriore capitolo alla sua ricerca.
Nato a Napoli nel 1934, Jodice si avvicina alla fotografia attratto dalla sua capacità di creare visioni più che documentazioni. Protagonista nel dibattito culturale che ha portato alla crescita e successivamente all’affermazione della fotografia italiana anche in campo internazionale, sin dagli anni Sessanta Jodice impiega la fotografia nella sua doppia valenza di strumento di analisi del reale e di indagine introspettiva. I suoi esordi avvengono a stretto contatto con il tessuto culturale e sociale della sua città natale, Napoli. Negli anni Settanta sperimenta nuovi linguaggi tecnici e la materialità dell’oggetto fotografico, utilizzando al tempo stesso la fotografia come strumento di impegno sociale. Dagli anni Ottanta la figura umana non è più fisicamente presente sotto il suo obiettivo e il centro della sua ricerca diventa invece il paesaggio, inteso come paesaggio di natura, di civiltà, di memoria e di sogno. Nel suo percorso incontra non solo gli spazi urbani e costruiti ma anche alberi, piante, giardini e boschi, segni di una naturalità spontanea e indomabile che ugualmente esiste accanto a noi. In una serie di “quadri” straordinari e preziosi, l’autore osserva questi elementi e riconosce in loro il silenzio di cui si nutrono, indispensabile per vivere come la luce, come l’aria. Alla capacità unica di Mimmo Jodice di mostrarci la realtà vista attraverso il filtro di un tempo diverso e sospeso, e così interpretata, è dedicata, in sintesi, la mostra.
La grande forza del lavoro di Mimmo Jodice, che si staglia come unico e irripetibile nel panorama internazionale, risiede proprio in questa sua straordinaria capacità di scavalcare ogni contingenza temporale per donarci immagini di una consistenza diversa da quella che fatti e foto di cronaca potrebbero avere. Proprio il tempo, la capacità di ri-
baltarne il senso e di non farsi assoggettare alle sue regole, è forse la materia che più di tutte Jodice riesce a manovrare con grande sapienza, rifiutando le leggi della realizzazione e del consumo rapido di immagini magari prese al volo, con il cronometro dell’immediatezza in mano. Il suo, invece, è il tempo lungo della comprensione, della sintonia profonda con ciò che ha davanti; è il tempo della camera oscura in cui, di nuovo, a contatto diretto con le sue immagini e le sue visioni riesce, alla fine, a creare opere che ci appaiono come reperti di un mondo noto eppure sconosciuto, tracce di un universo magnifico, poetico, straniante e appunto, atemporale.
In occasione dell’esposizione, dal mese di ottobre, sarà presentato un ricco palinsesto per il tradizionale public program #INSIDE in programma il mercoledì sera alle ore 18.30, con appuntamenti gratuiti aperti alla cittadinanza. Il catalogo della mostra è realizzato da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira.
Dal 29/06/2023 al 07/01/2024
Organizzazione: Gallerie d’Italia - Torino
Curatore: Roberto Koch
Luogo: Torino, Gallerie d’Italia
Indirizzo: Piazza San Carlo, 156 - 10121 Torino
ORARI: martedì, giovedì, venerdì, sabato e domenica dalle 9.30 alle 19.30; mercoledì dalle 9.30 alle 22.30; lunedì chiuso; ultimo ingresso: un’ora e mezza prima della chiusura
https://www.gallerieditalia.com/it/homepage/torino/
Prima presentazione internazionale dei piani per la prossima generazione di istituzioni culturali del Qatar
In occasione della 18. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, Qatar Creates presenterà la mostra documentaria Building a Creative Nation , la prima presentazione fuori dal Paese della prossima generazione di istituzioni culturali del Qatar. Ospitata presso ACP – Palazzo Franchetti, la mostra sarà visitabile dal 14 maggio al 26 novembre 2023.
Building a Creative Nation, si concentra su cinque nuovi luoghi culturali sviluppati da Qatar Museumsin Qatar con gli studi di architettura di fama internazionale ELEMENTAL, Herzog & de Meuron, Office for Metropolitan Architecture (OMA), Philippe Starck e UNStudio. Tutti i nuovi sviluppi saranno gestiti da Qatar Museums, che è responsabile di preservare e ampliare la dotazione culturale del Qatar supervisionando la crescente rete di musei, siti storici, festival, programmi di arte pubblica e altro ancora del paese La mostra riunisce rendering, fotografie, schizzi, studi, modelli, video e contenuti coinvolgenti , per presentare ogni progetto come una risposta architettonica ponde-
rata a un aspetto del programma di costruzione culturale della nazione dei Musei del Qatar. Che si tratti di nuova costruzione o di riutilizzo adattivo, ogni futura istituzione dimostra l’impegno del Qatar nei confronti dell’architettura
come strumento strategico per raggiungere gli obiettivi culturali lungimiranti del Paese , delineati nella Qatar National Vision 2030, principalmente il suo obiettivo di far crescere una società innovativa e diversificata attraverso investimenti in le industrie creative.
Qatar Creates è un movimento culturale attivo tutto l’anno e una piattaforma per l’arte e la cultura in Qatar. Sosteniamo e coltiviamo il talento. Stiamo costruendo un movimento per l’accesso al meglio che la nostra nazione ha da offrire. Lavorando con i partner stiamo incorporando l’arte
e la cultura nella società del Qatar. Il nostro prodotto principale, One Pass, offre al nostro pubblico un accesso facile, diretto e semplice a tutte le offerte culturali del Qatar.
Qatar Creates consente al pubblico di conoscere e accedere alle attività culturali, un’opportunità impareggiabile per immergersi e sperimentare appieno la miriade di offerte culturali, di svago e di intrattenimento in tutto il Paese. Guidato da Sua Eccellenza Sheikha Al Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al Thani, Qatar Creates mette in mostra al mondo i talenti locali e globali.
In una mia Analisi e Riflessione sul Realismo Magico e sulla figura di Ugo Celada da Virgilio apro il mio saggio dicendo : Il termine “realismo magico” è per la prima volta utilizzato nel 1925 dal critico tedesco Franz Roh per descrivere lo stile particolare del gruppo dei pittori tedeschi appartenenti al movimento artistico “Nuova Oggettività”. Gli artisti appartenenti a questo movimento cercano di esprimere l’orrore e il caos della guerra, ma i loro dipinti sono privi di ogni sentimentalità. Per di più, nella loro concezione della realtà sono notevolmente influenzati dal pittore italiano Giorgio De Chirico, esponente principale della corrente artistica che si chiama “La Pittura metafisica”. Tra i caratteri fondamentali della produzione di De Chirico appartengono per esempio le prospettive multiple, l’assenza dei personaggi umani, le scene che si svolgono nei posti isolati e l’atmosfera inquietante, tutto ciò suscita la sensazione di solitudine e straniamento. Dunque, i dipinti metafisici raffigurano oggetti ed eventi che fanno parte della realtà quotidiana, ma li presentano da prospettive diverse, creando una sensazione del mistero e della meraviglia. A differenza del realismo magico letterario, nella pittura non troviamo gli elementi magici o fantastici inquadrati esplicitamente nella rappresentazione della realtà, ma si tratta piuttosto di una visione del mondo attonita, come se la realtà fosse vista attraverso un obiettivo misterioso. Succes-
sivamente, il realismo magico è associato con il realismo insolito degli artisti come Ivan Albright, Paul Cadmus e George Tooker che fanno parte del gruppo di pittori americani attivi negli anni ‘40 e ’50. Quanti dipinti si potrebbero considerare delle vere e proprie opere che fanno parte di quel rinnovamento che, in opposizione ai linguaggi delle avanguardie, allo scorcio del secondo decennio del secolo tornarono a parlare l’antica lingua dei grandi maestri primitivi italiani, di Giotto, di Piero della Francesca e di Paolo Uccello, alcuni addirittura ritrovando nuove suggestioni nel mito delle culture arcaiche e primitive, così come magistralmente rilette da Picasso il volto più dionisiaco dell’arte contemporanea, in alcuni tra i suoi più incredibili dipinti degli anni Dieci, primo fra tutti Les demoiselles d’Avignon? Un sintetismo primitivo, che aveva appassionato anche il giovane Amedeo Modigliani, quando giunse a Parigi nel 1906, e aveva messo alla prova, suppergiù negli stessi anni, un po’ tutta l’avanguardia, da Apollinaire a Marie Laurencin, da Delaunay a Vlaminck, da Brancusi a Max Jacob, da Picasso a Max Weber, che nel culto delle antiche civiltà nere, ma soprattutto nell’opera incorrotta e profondamente ingenua del Doganiere Rousseau, colsero l’esempio più alto del realizzarsi, nell’attualità della storia contemporanea, di una nuova, perfetta congiunzione di forma, verità e simbolo.
E proprio a Rousseau va dato merito se rimase accesa nell’arte europea del XX secolo una fiamma di naïvetè arcaica ed innocente, capace di alimentare il cuore di molti artisti moderni, dai già citati Picasso, Derain, Max Weber, all’italiano Carlo Carrà, che per questa via, spenta la passione futurista e non ancora domata quella metafisica, ritroverà, verso il 1915, i caratteri distintivi di una “pittura dell’origine” sua propria, animata da suggestioni e motivi che richiameranno a nuova vita non solo la tradizione arcaica dei pittori primitivi del Trecento e Quattrocento ma anche la forza perduta del simbolo. In Carlo Carrà il ricordo della figurazione primitiva di Rousseau diventerà l’allegoria del Fanciullo prodigio, un dipinto del 1915, in cui si è voluto acutamente ravvisare una sorta di ritratto dell’Artista, di colui che attraverso la sofferenza dell’età adulta ha ritrovato la fanciullezza e nella fanciullezza ha riabbracciato il prodigio della Meraviglia, lo sguardo incontaminato della purezza. Nello spazio senza tempo, dove viaggia La carrozzella, dipinta da Carrà nel 1916 o
nel primitivismo scarnificato ed enigmatico di I romantici, sempre del 1916, si compie la brevissima ma intensa stagione del primitivismo italiano, che volgerà da queste premesse, verso l’affermazione di quella che il grande critico e storico dell’arte tedesca Wilhelm Worringer, proprio riferendosi all’opera di Carrà, nel 1921 definì “la misura classica dell’arte europea”. Se per la maggior parte degli artisti europei il ritorno alla figurazione coincise con un atto di rinuncia dei postulati teorici e formali delle dottrine dell’avanguardia, ci fu anche chi, come il grande pittore italiano di origine greca Giorgio de Chirico, sulla strada del classico aveva da sempre indirizzato la propria ricerca. Il pittore greco dal volto d’Apollo, padre della Metafisica, aveva fatto la sua scelta fin dai tempi della giovinezza, quando, negli anni di Monaco, aveva adottato come suoi maestri ideali Bòcklin e Klinger, e aveva trovato conferma alla sua idea di moderno nella scultura antica e nelle regole dell’arte italiana del Rinascimento.
Fedele ai propri convincimenti, che gli fecero abbracciare da subito la strada di una figurazione classica, de Chirico, fin dall’inizio attese alla vita segreta delle cose e tentò di rappresentarla nelle sue prime composizioni metafisiche, all’incirca a partire dal 1910, sebbene l’anno ufficiale di nascita della Metafisica va ricondotto dal 1917, quando nella città di Ferrara, lì giunti per diverse ragioni, si incontrarono e ne condivisero le formulazioni di poetica Carlo Carrà, il più giovane Filippo de Pisis, Alberto Savinio, fratello di de Chirico e lo stesso de Chirico, che alla metafisica aveva da tempo dedicato il suo cuore e la mente. Come dice lo stesso De Chirico dalle pagine di “Valori Plastici”: “Tornare al mestiere! Non sarà cosa facile, ci vorrà tempo e fatica”, tuonava Giorgio de Chirico alla fine del 1919 sulle pagine di “Valori Plastici”, ad un anno dalla prima uscita della rivista diretta da Mario Broglio. Quel processo di “restaurazione” dei valori formali che si era avviato nelle arti figurative in tutta Europa nell’immediato primo dopoguerra trovò espressione in Italia in questa rivista, luogo di convergenza e di confronto delle forze più vive dell’arte e della critica di quegli anni. Sin dal primo numero ospitò sulle sue pagine i nomi più diversi di critici e artisti, provenienti da situazioni culturali talvolta contrastanti. Ogni guerra vuole le sue vittime anche dopo la fine reale dei conflitti. In questo la cultura con le sue abiure e le sue licitazioni, con i suoi compromessi e le sue sconfessioni, sembra essere un terreno molto fertile dove si accalcano i morti, chi non ha reagito, chi non ha capito, chi non ha voluto capire, chi infine ha fortemente creduto. Il percorso
artistico di Ugo da Celada ripercorre generi quali : gli affetti familiari, i nudi, i ritratti e le nature morte. Poi ci sono gli anni della formazione e della creazione di uno stile personale, soprattutto focalizzato sulla sfera degli affetti familiari, che ben si prestano a restituire la dimensione intima della pittura del realismo magico, in seguito la sua pittura si concentra sulla rappresentazione della figura umana e quindi della ritrattistica, ed infine Ugo da Celda dipinge le nature morte, molto amate per le infinite possibilità di resa dei dettagli, e i paesaggi en plein air, poco numerosi nel corpus dell’artista, ma che aiutano a restituire un’immagine di pittore versatile e diversificato per stili e generi. Ugo Celada nasce nel 1895 a Cerese, in provincia di Mantova, oggi chiamato Borgo Virgilio, toponimo con cui firmerà le sue opere, rifacendosi alla tradizione dei maestri antichi che venivano identificati secondo il luogo di provenienza: per lui questa è una dichiarazione programmatica di poetica ed una scelta di campo nel dibattito degli anni Venti tra Avanguardie storiche e Ritorno all’ordine. Fin da giovanissimo mostra una spiccata predisposizione artistica, arrivando a formarsi all’Accademia di Brera a Milano. Negli anni ’20 e all’inizio dei ’30 espone alle Biennali d’Arte di Venezia e alla Permanente di Milano ed è inserito nel circuito dell’arte contemporanea da cui però in seguito si allontana definitivamente. Émile Bernard definisce Celada l’artista italiano migliore dei suoi tempi, facendo riferimento a quel Nudo disteso del 1926 che oggi risulta disperso, il “Capolavoro Perduto” che rappresenta l’apice del suo successo d’esordio.
La sua vita sarà lunghissima, esattamente 100 anni, muore nel 1995 attraversando tutto il secolo breve, dal mondo agrario alle soglie della rivoluzione digitale, e di tutto questo nei suoi dipinti non c’è traccia, sembra che niente riesca a turbarlo, un esempio di resilienza ante litteram. L’arte di Celada è classica, espressione pura del realismo che proprio all’inizio del 900 ebbe il suo periodo di massimo splendore. Debitore della tradizione figurativa lombarda, egli ricercava in tutto un canone del bello, non una bellezza reale ma rappresentazioni idealistiche. Predilige sempre una oggettivazione dei soggetti per meglio far trasparire la qualità della pittura, nel suo lato più manuale ed artigianale, e questo è evidente nei ritratti, che sembrano tutti apparentemente uguali, senza connotazioni psicologiche, pur essendo tutti diversi. In ogni sala si incontrano dialoghi e confronti inediti: i nudi e le figure femminili sono accostati alle tele di Archimede Bresciani da Gazoldo, anche lui mantovano idealmente considerato il maestro di Celada, e di Virgilio Guidi, molto attivo come artista realista negli anni ’20 e ’30 e che sicuramente ebbe modo di conoscere. Nel percorso una Maddalena penitente di Francesco Hayez della collezione permanente di Franco Maria Ricciche, accostata ai nudi femminili di Celada, ne fa emergere le componenti neoclassiche, i colori intensi dei panneggi che abbracciano le ampie superfici di pelle realisticamente resa. Tra i ritratti spiccano le tele di Cagnaccio di Sampietro, pittore che con Celada condivide una certa sensibilità e che il mantovano sicuramente conosceva e apprezzava, seguendone più volte l’esempio. Non mancano riferimenti più espliciti: in un autoritratto degli anni ’30 Celada si rappresenta di tre quarti, con un pennello in mano e un manichino poggiato sul tavolo in un palese omaggio a Giorgio
De Chirico, considerato da lui l’unico dei contemporanei che abbia saputo padroneggiare gli strumenti dell’arte. Ma lo stesso Giorgio Morandi in un confronto basato sulla similitudine e sulle differenza nell’approccio all’essere artista dei due pur rappresentando entrambi nature morte dall’impostazione simile, Morandi ricercava l’essenza delle cose, mentre Celada tende a una rappresentazione delle cose più vere del vero, che non vuole essere una realtà fotografica,piuttosto una sublimazione formale.
dal 24 agosto 2023 al 30 novembre 2023
Una mostra retrospettiva sull’artista garfagnino Angelo Roberto Fiori, grande amico di Montepulciano, a 10 anni dalla sua scomparsa.
S’inaugurata giovedì 24 agosto, alle ore 17, presso il Museo Civico Pinacoteca Crociani, la mostra “Fiori:Ergo Sum!” di Angelo Roberto Fiori, artista della provincia di Lucca, a dieci anni dalla sua scomparsa.
Le 20 opere resteranno esposte fino al 30 novembre 2023 nei saloni museali del piano terra e nella saletta antistante al Caravaggio. Fiori è stato un insegnante, un attento conoscitore d’arte e un pittore apprezzato, che ha riscosso meritati riconoscimenti durante la sua attività artistica. Ha lavorato come decoratore e ritrattista in Italia e in Inghilterra, partecipando ad oltre 100 mostre in tutta Italia riscuotendo l’interesse e gli apprezzamenti di importanti critici d’arte.
di Montepulciano, con un’esposizione che ben rappresenta la sua cifra stilistica”.
“La scelta di aprire il nostro Museo a esposizioni temporanee private si addice al modello di continua collaborazione tra pubblico e privato che abbiamo messo in atto, da tempo, in modo da innovare e arricchire continuamente i luoghi in cui si svolge la vita culturale di Montepulciano – è il commento di Lucia Musso, assessore alla Cultura di Montepulciano – ringraziamo i curatori e tutti gli amici di Angelo Roberto Fiori che ci hanno consentito di poter arricchire la nostra offerta culturale con questa coinvolgente esposizione, che si somma alla fortunata mostra sui Futuristi che continua a riscuotere un grande successo di pubblico e critica”.
Fiori: una retrospettiva a Montepulciano
“Angelo Roberto Fiori, era un amico di Montepulciano, che ha frequentato assiduamente, grazie alle molte amicizie costruite nel tempo – è il commento del Sindaco di Montepulciano, Michele Angiolini – l’artista amava il nostro territorio e la sua arte ed era appassionato di Rinascimento, ma anche del buon vino e del buon vivere. Montepulciano, assieme a Pienza e alla Val d’Orcia rappresentavano per lui dei luoghi del cuore nei quali tornare appena possibile. Per questo siamo ben lieti di riproporre e ricordare la sua arte all’interno dei locali del Museo Civico
Orari di apertura:
tutti i giorni dalle 10 alle 18, tranne il martedì.
Informazioni:
tel. 0578 717300
email: info@museocivicomontepulciano.it.
dal 23 luglio 2023 al 3 novembre 2023
Il pittore Charles Szymkowicz e le foto di Hubert Grooteclaes, rendono omaggio a Léo Ferré in una mostra Castellina in Chianti (Museo Archeologico del Chianti, 23 luglio – 3 novembre 2023)
Il pittore Charles Szymkowicz e le foto di Hubert Grooteclaes, rendono omaggio a Léo Ferré in una mostra Castellina in Chianti (Museo Archeologico del Chianti, 23 luglio – 3 novembre 2023)
Il Comune di Castellina in Chianti, in collaborazione con la Fédération Wallonie – Bruxelles, presenta la mostraomaggio L’éternité de la fureur nei suggestivi spazi della Rocca quattrocentesca di Castellina, sede del Museo Archeologico del Chianti. La mostra, curata dal pittore belga Charles Szymkowicz, vuole essere un omaggio alla figura di Léo Ferré, indimenticato cantautore, poeta e intellettuale scomparso il 14 luglio 1993 nella sua residenza castellinese.
La mostra: omaggio a Ferré
Già nel 2016, in occasione del centenario dalla nascita di Ferré, il museo aveva ospitato una retrospettiva intitolata “Les Copains de la Fureur” in cui Szymkowicz celebrava il suo profondo legame con l’amico ispiratore e protagonista di tante sue opere. A distanza di sette anni da quel primo tributo, il famoso artista ritorna sul tema coinvolgendo questa volta anche il fotografo Hubert Grooteclaes, che conobbe Ferré nel 1959 divenendone anch’egli amico e assiduo collaboratore.
La mostra si configura come una narrazione a due voci dell’affascinante vita del maestro, monegasco di origini ma innamorato del Chianti, che proprio a Castellina scelse di trasferirsi nel 1971. Nonostante venga ricordato principalmente per la sua produzione musicale e poetica, quella di Ferré fu una personalità poliedrica e creativa. Il suo pensiero e le sue opere hanno influenzato profondamente la produzione espressionista di Szymkowicz e le fotografie di Grooteclaes, che lo ritraggono in diverse copertine dei suoi album musicali.
Il progetto espositivo si è avvalso della collaborazione tra Charles Szymkowicz, le figlie di Hubert Grooteclaes e la famiglia Ferré, quali ancora oggi unite da un solido rapporto di amicizia.
A Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dopo oltre quarant’anni, torna protagonista la grande fotografia italiana. Fino al 1 ottobre 2023
Incontri. 50 anni di fotografie e racconti, riunisce fino al 1° ottobre a Palazzo dei Diamanti oltre 300 fotografie di Guido Harari, installazioni e filmati originali, proiezioni e incursioni musicali, dagli esordi in ambito musicale come fotografo e giornalista, alle numerose copertine di dischi per artisti famosi, tra cui Fabrizio De André, Bob Dylan, Vasco Rossi, Kate Bush, Paolo Conte, Lou Reed, Frank Zappa, fino all’affermazione di un lavoro che nel tempo è rimbalzato da un genere all’altro – editoria, pubblicità, moda, reportage – privilegiando sempre il ritratto come racconto intimo degli incontri con le maggiori personalità del suo tempo.
L’allestimento è suddiviso in 11 sezioni e prende le mosse dagli anni Settanta, quando Harari, ancora adolescente, inizia a coniugare le sue due grandi passioni: la musica e la fotografia.
Immagini e sequenze inedite, insieme a filmati d’epoca di backstage, videointerviste, il documentario di Sky Arte a lui dedicato e l’audioguida con la voce narrante dello stesso Harari conducono il visitatore nel cuore del suo processo creativo. La mostra propone anche una sezione dedicata alla passione parallela per la curatela di libri intesi come una forma di “fotografia senza macchina fotografica” oltre che
occasioni di incontri vecchi e nuovi, da cui sono nate le biografie illustrate di Fabrizio De André, Fernanda Pivano, Mia Martini, Giorgio Gaber e Pier Paolo Pasolini, e una dedicata a immagini “di ricerca” inedite che Harari va realizzando da qualche anno come sua personale forma di meditazione in progress.
Chiude l’allestimento una sala dal grande impatto, “Occhi di Ferrara”, una sorta di ‘mostra nella mostra’ che ospita gli sguardi della città. Qui Harari esporrà via via i ritratti che su prenotazione realizzerà nella Caverna Magica, un set fotografico allestito alla fine del percorso espositivo (16-23 luglio e 2-10 settembre, info su cavernamagicaharari.com). La rassegna è organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara in collaborazione con Rjma Progetti culturali e Wall Of Sound Gallery, e con il contributo del Comune di Ancona. In occasione della mostra Rizzoli Lizard ha pubblicato “Guido Harari. Remain In Light. 50 anni di fotografie e incontri”, un grande volume di 432 pagine con oltre 500 illustrazioni, che di fatto ne costituisce il catalogo. Con Guido Harari la grande fotografia torna protagonista a Palazzo dei Diamanti dopo oltre quarant’anni. Nella sede
espositiva più iconica di Ferrara, sotto la direzione di Franco Farina, vennero presentate le opere di grandi maestri della fotografia tra cui Werner Bischof, Robert Capa, Leonard Freed, Lewis W. Hine, David Seymour (“Chim”) e Dan Weiner, Bruno Vidoni, Michelangelo Giuliani. L’ultima rassegna fu quella di Luigi Ghirri, nel 1980, mentre dal 1982 il luogo dedicato a questo media diventò la Galleria della Fotografia a Palazzo Massari. Tra le ultime rassegne ricordiamo quella di Luigi Ghirri, nel 1980, mentre dal 1982 il luogo dedicato a questo media diventò la Galleria della Fotografia a Palazzo Massari.
L’estate toscana va verso la fine nella complessità di non pochi eventi tra cui, ampio e sicuramente non usuale, anzi, unico, quello organizzato a Massa presso il Museo “Ugo Guidi 2”, di cui abbiamo fatto cenno nel precedente numero della nostra Rivista, pensato e curato da chi ora scrive e cioè dal vostro Lodovico Gierut che si è avvalso della collaborazione della saggista Marilena Cheli Tomei. Intitolato “Diverso non è…” e con sottotitolo “Osservare la realtà diversa-mente”, apre, come affermato proprio da Cheli Tomei “… infinite prospettive di ragionamento e commento perché affronta argomenti che non solo sono pertinenti alla nostra quotidianità ma si addentra nella storia, nell’arte, nella musica, nella letteratura ed in ogni aspetto dell’attività umana. A mio parere è altrettanto importante sottolineare da che cosa si allontana la diversità: la cosiddetta normalità quando può essere considerata tale, se varia nei tempi, nei luoghi e nelle società? Non può quindi essere considerata un parametro oggettivo ed allora è necessario riconsiderare quella parola che genera tanta paura”.
L’esposizione ha quale fine il “far pensare, far riflettere” con la presentazione di stampe, disegni, dipinti, sculture, fotografie, in un insieme che – partendo dalle stupende copie del grande Pietro Annigoni, per cui si intende omag-
giarne la memoria a 35 anni dalla scomparsa tramite trentuno sue interpretazioni del famoso “Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam, apre una delle argomentazioni più avvincenti soprattutto per il pubblico più impegnato culturalmente, con un gruppo di autori quali, se ne citano solo alcuni per motivi di spazio:
Dalla mostra a Massa “Diverso non è…” legata alla creatività di Pietro Annigoni e di altri artisti nonché a poeti e scrittori, a quella di Seravezza e Levigliani nel centenario della morte del pittore Filadelfo Simi.Maurizio Bertellotti Ernesto Treccani, Maternità,
Giovanni Balderi, Roberto Braida, Fabrizio Gatta, Gabriele Vicari, Daniela Maccheroni, Alberto Bongini, Bernard Bezzina, Giancarlo Vaccarezza, Marta Gierut…connesse alla diversità mentale e alla pazzia, alla diversità fisica. Il “viaggio” di tale mostra-documento si snoda con poesie, ma pure con notizie sugli autori, di Costantino Kavafis, Alda Merini, Antonia Pozzi, Alfeo Bertin… e scritti inediti e non, di Ubaldo Bonuccelli, Vittorino Andreoli, Giovanni Dalla Rizza, Lalla Lippi.., con un tutto ricco di simbologie tipo il nero”, la Fede, l’eccidio di S. Anna di Stazzema del 12 agosto 1944 (scritti di Bettino Craxi, Nilde Iotti, Leonetto Amadei…), la Versiliana di Marina di Pietrasanta e via di seguito per cui è impossibile non citare i vari Emilio Vedova, Amedeo Lanci, Mario Parri, Giuseppe Lippi, Girolamo Ciulla, Inaco Biancalana… Non manca una successione – ben pensata – di pubblicazioni cartacee (cataloghi e non) che racchiude altri nomi e cognomi quali, e non sono pochi: Raffaello Bertoli, Roberto Fiasella, Curzio Malaparte, Kay Redfield Jamison, Mark Rothko, Marzio Cialdi, Vincent van Gogh, Gigi Guadagnucci, Giacomo Puccini. In esposizione persino periodici della Rivi-
sta20, dell’Editoriale Giorgio Mondadori, di PROseguire, dell’OPAM, del Magazine BVLG edito da Banca Versilia
Lunigiana e Garfagnana e video del Camillian Social Center in Thailandia.
L’altra grande mostra titolata “Filadelfo Simi. Parigi, Firenze e la Versilia. Il viaggio della vita”, perfettamente curata da Maurizio Bertellotti, autore con Andrea Tenerini del catalogo, è stata organizzata dalla Fondazione Terre Medicee di Seravezza e termina il 22 ottobre prossimo. Si tiene contestualmente a Seravezza presso le Scuderie Granducali e nel Palazzo Rossetti, nonché a Levigliani di Stazzema nel rinnovato Palazzo Simi. Su Filadelfo Simi, leviglianese del 1849 – per cui è celebrato l’anniversario della morte avvenuta nel 1923 – è evidenziala l’ampia produzione pittorica e grafica, peraltro sottolineata in passato sia da Pietro Annigoni con un catalogo fatto nel 1958 per una mostra fiorentina a Palazzo Strozzi, sia proprio a Seravezza a Palazzo Mediceo ventisette anni dopo. Il tutto è ben equilibrato e chiaro, con opere di interni, di paesaggi francesi e italiani, ritratti e autoritratti.
- (..) È nei disegni che si rende specialmente evidente una delle qualità più tipiche del l’invenzione di Nino, l’ironia. Che consiste nella capacità di “ interrogare “ e quindi smontare e rimontare a prova i meccanismi della realtà (segnalo, ad esempio, i disegni di animali morti e vivi che attraversano tutta la produzione) e della realtà in immagine ( segnalo l’uso anomalo del modello cubista), specialmente quando si applica al tema del teschio, o quando illustra storie di aggregazione e disgregazione ( allora mi sovviene lo scrittore Calvino, che dedicò a Nino una bella pagina, più di qualsiasi pittore), i meccanismi dell ‘immagine colta nella sua concretezza di struttura,
non raramente rimescolando i diversi piani della realtà: la realtà fenomenica, la realtà concettuale, la realtà del linguaggio. È proprio nel disegno che l’esigenza di risolvere ogni parte e di capire ogni nesso raggiungono il massimo della chiarezza, della imtensità e perchè no? Del divertimento. Al di fuori dei generi, si può che Aimone, è prima di tutto un disegnatore. Non è un caso che nella gran messe di disegni - diverse centinaia- accada di incontrare di grandi dimensioni, tecnicamente e concettualmente tanto complessi da far dubitare all’artista stesso se collocarli nel catalogo dei dipinti. -
La contorta e imprevedibile problematica della vicenda umana ha da sempre affascinato e conquiso Romano Buratti e di rimando questo eclettico e dinamico pittore ha focalizzato le sue indagini depurandole di ogni compiacenza deviante; i suoi personaggi sono quasi sempre immersi e avvolti dalla furia degli elementi in una consonanza etica che accentua le annotazioni comportamentali. La spigolosità quasi beffarda , il rimarco anatomico spinto all’abnorme , le posture allucinate e distorte, gli atteggiamenti inarcati e subbugliati dal contorto avvicendar- si degli elementi, la goffa e intenzionale sovrastruttura dei vestimenti, l’insistita e ripetuta scansione cromatica giocata sempre sul medesimo registro tonale sono tra le note più immediate che si raccolgono attorno ai personaggi del Buratti. Sono valori che rendono
unica la sua maniera espressiva portata avanti sempre sul filo di un’ampia, solida e sicura possessione illustrativa: infatti la dominante della sua pittura è pur sempre una rara ed insuperabile incursione grafica, e una scrittura decisa, scorrevole, precisa e di singolare spontaneità che partecipa brillantemente ogni modulo descrittivo rendendolo vivo e appassionato sia pure in una tematica aliena dai trionfalismi e dai giochi di maniera. Ed è per tali orientamenti compositivi, filtrati da una passionale disponibilità al dialogo, alla meditazione, alla considerazione dei troppi crucci che appesantiscono l’esistenza, che la tematica di questo pittore richiama sempre un particolare accorgimento al suo magmatico livello inquisitivo.
Luciano BoarinTaranto, GATA – Galleria Taranto : Puglia dal 08/08/2023 al 30/09/2023
GATA - Galleria Taranto è lieta di ospitare “Storie di seduzione”, la prima personale a Taranto, di Orodè Deoro (Premio Arte 2015).
Il suo percorso da autodidatta è caratterizzato sin dagli esordi da un eclettismo che lo porta al mosaico, alla pittura e ad attività performative in concerti e teatri. In mostra, una serie di ritratti, in particolare corpi femminili, che egli stesso dichiara di “vivisezionare”, alimentando la sua continua ricerca di un’anima celata dietro l’apparenza. Corpi quindi, volti, ritratti di modelle, di donne amate, superfici musive o pittoriche che aggrediscono lo spettatore con tutta la forza della loro intensità cromatica e del loro aspetto per nulla edulcorato e rassicurante. I riferimenti sono tanti, da Egon Schiele fino al fumetto, tra ironia e riferimenti colti. Comune denominatore è l’eros, forza travolgente che ci attrae e ci spinge a compiere l’impossibile. Per quanto riguarda la pittura, in mostra due opere su carta di medio formato, “Nudità assoluta” e “Gigolò” e una pittura su carta di grandi dimensioni, “Marilyn”, realizzata nel 2010, a Lecce, nella Galleria Il Grifone, con le musiche del flautista Gianluca Milanese e le letture dell’attore Simone Franco.
La forte matrice espressionista del lavoro pittorico è in qualche modo contrapposta e necessaria alla produzione musiva avviata dal 2000 (Opere permanenti nella CasaMuseo Vincent City, Guagnano). Orodè Deoro, interpreta il mosaico nella sua personalissima maniera, utilizzando consapevolmente il materiale ceramico perché più affine alle sue esigenze espressive. La sua pratica musiva si colloca nell’intersezione di quelle che potremmo estensivamente considerare due forme storiche del mosaico, l’opus sectile e il trencadìs.
Tra i mosaici in esposizione, scanditi in campiture piatte e materiche a colori vividi, diversi nudi espliciti, come “Nudo con caffè”, “Lick me” e “L’eternità”, il mosaico con cui nel 2015 ha vinto la targa d’oro del Premio Arte, nella sezione scultura.
Nel mosaico “Baccanale”, una scena erotica tra un fauno e una menade. Le figure sono scontornate, non inserite nel classico formato quadrangolare.
Nel mosaico “Etra”, un esotico ritratto ideale della moglie di Falanto, il mitico fondatore di Taranto. Un chiaro omaggio alla Città, anche per via dell’uso dei colori rosso e blu dello stemma tarantino.
In “Coppia mitologica”, due resti di statue, due corpi nudi, citando ciò che resta delle sculture antiche, quel bianco del marmo che a distanza di millenni continua ancora a sedurre. Tra i due corpi, la gamba di Eros, nascosto da un drappo.
Due le sculture in mostra, “Testa”, un misterioso volto di donna in mosaico ceramico e pietra leccese, e “Zazen”, scultura in mosaico ceramico, alta 180 cm, realizzata ad hoc per questa esposizione.
La seduzione che dà il titolo alla mostra non è solo quella generata dai soggetti ritratti, ma è anche frutto del fuoco sacro, della passione con cui l’artista lavora all’intarsio a mano ogni singola tessera e nel modo erotico in cui le dispone e incastra, una dopo l’altra, attraverso un uso personalissimo degli interstizi. La seduzione, per Orodè, è nella
pratica stessa della sua tecnica musiva, in questo ricomporre con amore un’unità, un corpo unico, partendo da frammenti. In questo suo continuo cadere a pezzi, per rifare il mosaico, come atto d’amore, poiché, a sua detta, “tutto è per davvero solo per chi ama!”
In occasione dell’inaugurazione ci sarà una performance live painting di Orodè Deoro con live set di Vipera, progetto solista di Caterina Dufì.
Organizzazione: GATA – Galleria Taranto
Luogo: Taranto, GATA – Galleria Taranto
Postierla Immacolata 15-17 - 74123 Taranto
Per info: +393406020459 -
info@gatagalleriataranto.com
Le tigri, i leoni, i galli, gli autoritratti e tutto lo spettacolare mondo di Antonio Ligabue riempiranno di magia le splendide sale del Castello di Conversano, dal 25 marzo al 29 ottobre 2023, in quella che si prefigura essere una delle più belle mostre mai realizzate sull’artista.
Non si può parlare dell’arte di Ligabue senza conoscerne la vita, né si possono capire le sue opere se non si entra nel mondo di quel piccolo uomo sfortunato e folle, pieno di talento e poesia.
Nato a Zurigo nel 1889 da madre di origine bellunese e da padre ignoto, viene dato subito in adozione ad una famiglia svizzera. Già dall’adolescenza manifesta alcuni problemi psichiatrici che lo portano, nel 1913, a un primo internamento presso un collegio per ragazzi affetti da disabilità. Nel 1917 viene ricoverato in una clinica psichiatrica, dopo un’aggressione nei confronti della madre affidataria Elise Hanselmann che, dopo varie vicissitudini, deciderà di denunciarlo ottenendo l’espulsione di Antonio dalla Svizzera il 15 maggio del 1919 e il suo invio a Gualtieri, il comune d’origine del patrigno (il marito della madre naturale, che odierà sempre).
Ligabue non parlava l’italiano, era incline alla collera e incompreso dai suoi contemporanei, veniva soprannominato “el Matt” dagli abitanti di Gualtieri che ne rifiutavano i dipinti e il valore artistico, costringendolo a prediligere la via dell’alienazione e della solitudine.
Dopo tormentati e inquieti anni di vagabondaggio in cui vive solamente dei pochi sussidi pubblici e si rifugia nell’arte per esprimere il suo disagio esistenziale, a cavallo tra il 1928 e il 1929 incontra Renato Marino Mazzacurati (importante artista della Scuola Romana) che ne comprende il talento artistico e gli insegna ad utilizzare i colori. Con singolare slancio espressionista e con una purezza di visione tipica dello stupore di chi va scoprendo - come nell’infanzia - i segreti del mondo, Ligabue si dedica alla rappresentazione della lotta per la sopravvivenza degli animali della foresta; si autoritrae in centinaia di opere cogliendo il tormento e l’amarezza che lo hanno segnato, anche per l’ostilità e l’incomprensione che lo circondavano; solo talvolta pare trovare un po’ di serenità nella rappresentazione del lavoro nei campi e degli animali che tanto amava e sentiva fratelli.
Nel 1937 viene nuovamente ricoverato presso l’ospedale psichiatrico di San Lazzaro a Reggio Emilia per autolesionismo e per “psicosi maniaco-depressiva” nel marzo del 1940.
È il 1948 quando comincia a esporre le sue opere in piccole mostre e ottenendo, sotto la guida di Mazzacurati, qualche riconoscimento e a guadagnare i primi soldi.
Ma il successo è breve: dopo essersi permesso solo qualche lusso, nel 1962 viene sopraggiunto da una paresi e ricoverato all’ospedale di Guastalla dove continua a dipingere e dove termina la sua vita il 27 maggio del 1965.
Tra i pittori più amati del Novecento, Antonio Ligabue è considerato il pittore naïf per antonomasia, l’artista visionario, autodidatta e sfortunato che è riuscito a entrare nell’animo del grande pubblico.
È stato capace di parlare con immediatezza e genuinità a tutti, a chi ha gli strumenti per capirne il valore storico-artistico, così come a chi semplicemente gode della bellezza assoluta delle sue opere.
Una storia umana e artistica straordinaria e unica, che negli anni ha appassionato migliaia di persone, tanto da essere diventato addirittura protagonista di film e sceneggiati televisivi, sin dagli anni ’70 Memorabile lo sceneggiato RAI di Salvatore Nocita del 1977 con Flavio Bucci, così come il recente film “Volevo nascondermi” del 2020 di Giorgio Diritti con la magistrale interpretazione di Elio Germano.
Tutto questo è raccontato perfettamente nella grande mostra di Conversano.
Attraverso oltre 60 opere, la mostra propone il racconto della vita e dell’opera di Ligabue, l’uomo che fece della sua arte il riscatto della sua stessa esistenza.
La mostra permette di approfondire i nuclei tematici dell’artista, pochi soggetti sempre ripetuti da cui emergono con forza la sua straordinaria sensibilità e la dolcezza della sua anima fragile. Sofferenza e talento che trovano nella creatività il mezzo per riempire il vuoto dell’abbandono e superare il disagio dell’emarginazione e della malattia mentale.
Seguendo una ripartizione cronologica, sono narrate le diverse tappe dell’opera dell’artista a partire dal primo periodo (1927-1939), quando i colori sono ancora molto tenui e diluiti, i temi sono legati alla vita agreste e le scene con animali feroci in atteggiamenti non eccessivamente aggressivi; pochissimi gli autoritratti.
Il secondo periodo (1939-1952) è segnato dalla scoperta della materia grassa e corposa e da una rifinitura analitica
di tutta la rappresentazione.
Il terzo periodo (1952-1962) è la fase più prolifica in cui il segno diventa vigoroso e continuo, al punto da stagliare nettamente l’immagine rispetto al resto della scena. È densa in quest’ultimo periodo la produzione di autoritratti, diversificati a seconda degli stati d’animo.
Tra i capolavori esposti vi sono Carrozza con cavalli e paesaggio svizzero (1956-1957), Autoritratto con sciarpa rossa (1952- 1962) e Ritratto di Marino (1939- 1952), accanto a sculture in bronzo come Gufo con preda (1957-1958).
In mostra anche una sezione dedicata alla produzione grafica con disegni e incisioni quali Iena (1952-1962) e Cavallo con asino (1952-1962), e una sezione sulla sua incredibile vicenda umana.
Ad arricchire ulteriormente l’esposizione, la presenza di documenti sulla vita dell’artista, la proiezione del film documentario di Raffaele Andreassi del 1961 e diverse foto risalenti agli anni Cinquanta.
Promossa e sostenuta dal Comune di Conversano Città d’Arte e Museco – Musei in Conversano, con il contributo della Regione Puglia, con il patrocinio del Ministero della cultura, della Città Metropolitana di Bari, di Pugliapromozione e del Teatro Pubblico Pugliese, in collaborazione con Comune di Gualtieri e Fondazione Museo Antonio Ligabue, la mostra Antonio Ligabue è curata da Francesco Negri e Francesca Villanti ed è prodotta e organizzata da Arthemisia.
Titolo: Antonio Ligabue al Castello di Conversano dal 25/03/2023 al 29/10/2023
Organizzazione: Arthemisia
Curatore: Francesco Negri e Francesca Villanti
Luogo: Conversano (BA), Polo Museale Castello
Indirizzo: Piazza Conciliazione, Conversano (BA)
Il MACS, Museo di Arte Contemporanea Statale, è stato inaugurato l’8 ottobre 2016. Il Museo, oggi, possiede una collezione di circa 500 opere di arte, donate da numerosi artisti di fama nazionale e internazionale. E’ situato in via Napoli, vico II, presso la sede del Liceo Artistico Statale “Solimena” di Santa Maria Capua Vetere ed è aperto al pubblico dal lunedì al sabato dalle ore 08.00 alle ore 14.00.
La raccolta, conservazione e l’esposizione di opere consente al Liceo Artistico di formalizzarsi quale polo culturale e sperimentale, diventando punto di incontro reale ed effettivo tra l’arte, cultura e scuola, realizzando uno spazio di libero confronto nel senso più ampio del termine, assicurando contaminazioni creative fra esperienze, stili, linguaggi, territori e generazioni.
Letizia Caiazzo nel rappresentare la “donna mediterranea” ha puntato sulla cultura scientifica, totalità caratterizzante tutto il mondo mediterraneo dall’età classica ad oggi. Nel V secolo d.c. la scienza ad Alessandra d’Egitto era personificata da Ipazia, un nome che nel tempo di allora evocava l’idea di “eminenza”, “acutezza”, “suprema altezza”; essa ben raffigurava il platonismo di cui ha passato la fiaccola alle generazioni successive al V secolo tanto da divenire nella storia simbolo ed icona discienza e bellezza; una splendida e carismatica armonia non disgiunta dalla “dignità di pensare”. L’artista ben interpreta con l’opera “Ipazia” gli elementi distintivi della filosofa e scienziata : la figura ha un portamento austero da cui si sprigiona sicurezza del proprio essere; lo sguardo è rivolto ben oltre il presente, verso il futuro dei propri sogni; il personaggio emana uno splendore, un fascino, una grazia tutta mediterranea che Letizia ha saputo rappresentare con eleganza
e raffinatezza di colori e di costumi, il volto, il corpo e tutto l’hornatus femminile presentano una persona con cui era piacevole conversare, ma sopratutto ascoltare i principi filosofici e matematici che enunciava nelle sue lezioni ai giovani alessandrini; la pittrice sorrentina ci fa scoprire così una “bellezza invisibile”: una donna che simboleggia “cultura e bellezza mediterranea”.
Italo Abate
presidente di Ambiente e Cultura Mediterranea https://www.ambienteculturamediterranea.it/
sito: www.letiziacaiazzo.com
mail: arsarmoniamundi@gmail.com
La VII edizione sarà dedicata al tema delle identità fuori dagli schemi
Dal 10 settembre al 5 novembre 2023, è visitabile la VII edizione del Festival del Paesaggio di Anacapri. La rassegna ideata e curata da Arianna Rosica e Gianluca Riccio torna a vivere negli spazi meravigliosi della Fondazione AxelMunthe – Villa San Michele e in diversi luoghi pubblici del centro storico di Anacapri, Capri.
La nuova edizione dal titolo “Building new identitiesCostruire nuove identità”, è dedicata all’artista ucraino scomparso a maggio IlyaKabakov. A rendergli omaggio con un progetto speciale, la moglie Emilia Kabakov, che insieme a Ilya era stata tra i protagonisti della rassegna nel 2022. Quest’anno la manifestazione si interroga sul concetto di identità fuori dagli schemi, e al tempo stesso ridefinisce quella culturale dell’Isola al di là degli stereotipi e
della sua patina glamour. Lo spunto nasce dal clima artistico che tra Ottocento e Novecento si respirò a Capri, anche grazie alla grande Villa che ospita il Festival, fatta costruire dal medico svedese nel 1895. In quel periodo, l’Isola divenne l’approdo di illustri personaggi della cultura internazionale: il luogo in cui ognuna di queste figure dalle molte facce – dalla maschera ferina della marchesa Casati Stampa a quella decadente di Jacques Fersen, sino a quella ambigua e più frivola di Compton Mackenzie per citarne alcuni – coltivò la speranza di una libertà virginale, di una piacevolezza che non costringesse a venire a patti con l’uniformità dei comportamenti sociali borghesi, nel segno di un’insularità che, da geografica, si trasformò in un modello esistenziale.
Partendo da questa tradizione, che individua nell’Isola di Capri il territorio privilegiato per sperimentare nuovi comportamenti sociali e vi riconosce il luogo ideale per la definizione di identità altre e di una nuova relazione con il paesaggio, si sviluppano le linee guida dell’edizione 2023. Humberto e Fernando Campana, Paolo Canevari, Goldschmied& Chiari, Ibrahim Mahama, Matteo Nasini, Elisa Sighicelli, Alberto Tadiello, sono gli artisti chiamati a realizzare installazioni site-specific, progetti speciali e interventi di arte pubblica, interpretando, attraverso linguaggi e
forme espressive diversificate, quel tentativo di fusione tra arte e vita, di connubio tra esperienza estetica e dimensione esistenziale, di mutuo scambio tra forme artificiali e naturali, che a Capri e proprio a Villa San Michele, trovò uno dei suoi epicentri e uno dei massimi esempi architettonici. Dal 3 al 9 settembre 2023 tutti gli artisti in mostra potranno esprimere la loro creatività sull’Isola, grazie a un programma di residenza artistica che li vedrà impegnati nella realizzazione delle opere progettate per il Festival.
Informazioni
Luogo: Fondazione AxelMunthe –Villa San Michele, viale AxelMunthe 34 e diversi luoghi pubblici del centro storico di Anacapri
Telefono: 081/8371401
Orari di apertura: 9-19 settembre; 9-17 ottobre; 9-15,30 novembre
Costo: 10 euro; ridotto 6 euro
Dove acquistare: www.villasanmichele.eu
Sito web: www.festivaldelpaesaggio.com; www.villasanmichele.eu
Organizzatore: Fondazione AxelMunthe/ Villa San Michele, con il supporto di Seda e Capri Palace Jumeirah, e con il contributo di Fondazione Italia Patria della Bellezza
Le Gallerie d’Italia a Napoli, museo di Intesa Sanpaolo, ospitano la mostra Mario Schifano: il nuovo immaginario. 1960 -1990, dedicata a uno dei più importanti artisti italiani della scena nazionale e internazionale del XX Secolo.
oltre 50 lavori della produzione dell’artista dagli anni Sessanta agli anni Novanta, provenienti dalla Collezione di Intesa Sanpaolo, da importanti istituzioni culturali come il Museo del Novecento di Milano e la Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, oltre che da gallerie d’arte e collezioni private nazionali ed internazionali e si avvarrà della collaborazione dell’Archivio Mario Schifano.
Mario Schifano inizia la sua carriera tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. La sua ricerca è inizialmente caratterizzata da una pittura monocroma, densa, con evidenti riferimenti al suo lavoro di restauratore di opere antiche nel museo d’arte etrusca e archeologica di Villa Giulia, a Roma, dove il padre lo aveva indirizzato. Il percorso espositivo parte da queste prime opere monocrome rarissime, alcune delle quali provenienti dalla Collezione Luigi e Peppino Agrati, oggi parte del patrimonio artistico del Gruppo Intesa Sanpaolo per la prima volta riunite in questa importante occasione. L’esposizione tratta anche il tema delle insegne, rappresentate in mostra da importanti opere come Grande pittura del 1963 e da pitture iconiche dedicate alla Esso, alla Coca Cola ed ai segnali urbani che caratterizzano la ricerca di Schifano in questi primi anni Sessanta.
Per la prima volta saranno esposte al pubblico una serie di opere degli anni Settanta denominate Paesaggi TV: creazioni che, rivedendo la pittura attraverso l’utilizzo della macchina fotografica e l’emulsione del colore sulla tela, ripropongono fatti di cronaca, arte e pubblicità.
Il Salone Toledo al piano terra ospiterà opere di grande
formato rappresentative degli ultimi tre decenni della produzione artistica di Mario Schifano, gli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Novecento. Questi ultimi impegnativi lavori ben illustrano la felicità creativa dell’artista anche nella sua fase matura, espressa nella forma tanto colossale quanto festosa, di quelli che la critica definisce gli straordinari teleri dell’arte contemporanea internazionale.
Dal 02 Giugno 2023 al 29 Ottobre 2023
NAPOLI
LUOGO: Gallerie d’Italia - Napoli
INDIRIZZO: Via Toledo 177
CURATORI: Luca Massimo Barbero
COSTO DEL BIGLIETTO: intero 7€, ridotto 4€, gratuito per convenzionati, scuole, minori di 18 anni eclienti del Gruppo Intesa Sanpaolo
SITO UFFICIALE: http://gallerieditalia.com
Il Palazzo Reale di Napoli ospita la mostra dell’artista Mimmo Paladino (Paduli, 1948) dedicata a Pulcinella, a cura di Flavio Arensi, dal 6 luglio al 3 ottobre 2023.
Sono esposti nella Galleria del Genovese i 104 disegni realizzati oltre trent’anni fa dall’artista campano, che si ispirò all’album Divertimenti per li regazzi (1797) di Giandomenico Tiepolo. Un omaggio di Paladino al capolavoro del Settecento veneziano composto da 104 carte dedicate in cui si illustrano le avventure, la morte e la resurrezione di Pulcinella.
Attraverso i disegni di Mimmo Paladino, recentemente restaurati, Pulcinella, invece, conduce una rischiosa prova di forza con il disegno e la storia dell’arte, che risolve per appropriarsi di entrambi e burlescamente batterli.
Al Palazzo Reale di Napoli il ciclo si arricchisce di un nuovo straordinario elemento: ai 104 disegni se ne aggiungerà uno di nuova realizzazione, un disegno celebrativo per la vittoria del terzo scudetto del Napoli, presentato per la prima volta a Palazzo Reale.
Si intitola Scala Reale l’ultima opera dell’artista campano appena realizzata ed esposta per la prima volta in occasione di questa mostra, in aggiunta alla serie dei 104 disegni.
La maschera napoletana è protagonista di un nuovo foglio creato per celebrare il terzo scudetto, vinto dalla squadra di calcio del Napoli nel campionato 2022-2023. Fondata nel 1926, la Società Sportiva Calcio Napoli aveva guadagnato i primi due scudetti nel 1987 e nel 1990.
“’L’idea di un ciclo di disegni ispirati alle 104 opere del Tiepolo mi venne agli inizi degli anni ’90 e cominciai a realizzarli in tutta libertà senza nessuna committenza - racconta il maestro Mimmo Paladino - Pulcinella è un personaggio che offre innumerevoli spunti e nasconde molti volti, persino in quest’ultima opera, dedicata allo scudetto del Napoli. Non sono un tifoso, ma sotto la maschera immagino che ci sia il volto di Maradona”.
Una mostra riproposta quest’anno dopo 30 anni a Padova che non poteva non fare una tappa a Napoli, e dove se non a Palazzo Reale? Nel luogo in cui le tracce di Paladino sono percepibili nei ricordi, con la Montagna di sale a Piazza del Plebiscito e negli occhi con i suoi cavalli esposti in maniera permanente nel Giardino Romantico del Palazzo.
“Un felice ritorno dell’artista Mimmo Paladino a Palazzo Reale, che è stato nostro ospite la scorsa estate in occasione della proiezione del suo film Quijote nel Giardino Romantico – dichiara il direttore di Palazzo Reale, Mario Epifani - Lo stesso luogo in cui è esposta in maniera permanente la sua opera Prova d’orchestra
. Siamo lieti che sia proprio il maestro Paladino a inaugurare la prima mostra di arte contemporanea ospitata all’interno della Galleria del Genovese, l’antico collegamento tra il Palazzo Reale e il Teatro di San Carlo, dalla sua apertura nel 2021”.
I 104 Pulcinella di Paladino furono protagonisti nel 1992 di una mostra - curata insieme al volume ormai raro di Michele Bonuomo – tenutasi al Palazzo Liberty a Torino, quindi all’Albertina di Vienna (1993) e alla Kunsthal di Rotterdam (1994). Nello stesso anno, la Galleria civica di Trento approfondì il tema del disegno con un’ampia retrospettiva che dagli esordi arrivava alle opere più recenti. Nei primi mesi di quest’anno la mostra è stata ospitata al Museo Eremitani di Padova, con la curatela di Flavio Arensi e Stefano Annibaletto. “I 104 disegni di Pulcinella fungono da cerniera fra due decenni decisivi per Paladino, - spiega il curatore, Flavio Arensi - ossia la decade degli anni ottanta, con l’affermazione internazionale, e quella degli anni novanta in cui realizza alcuni progetti cruciali”.
Il catalogo della mostra è curato dalla casa editrice Skira e il progetto di allestimento della mostra è stato curato dell’architetto Lucio Turchetta.
Dal 06 Luglio 2023 al 03 Ottobre 2023
LUOGO: Palazzo Reale - NAPOLI
INDIRIZZO: Piazza del Plebiscito 1
ORARI: 9.00-20.00 (ultimo ingresso h.19.00 - chiusura mercoledì)
CURATORE: Flavio Arensi
SITO UFFICIALE: http://www.palazzorealedinapoli.org
Il palazzo prende il nome dall’antica famiglia Del Trono che vi dimorava ed è tra gli edifici podestarili più rappresentativi del centro storico di Cetraro. Nel 1983 l’intera struttura venne venduta al Comune di Cetraro dall’ultimo discendente della famiglia Don Ciro Del Trono, quest’ultimo insignito nel 1925 dal Re Vittorio Emanuele III del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Trascorsi alcuni anni dall’acquisto del Palazzo il Comune provvide ad avviare i lavori di consolidamento statico di tutti i locali e di ripristino dei caratteri stilistici dell’edificio che furono completati nel 1996. Situato in Piazza del Popolo e preceduto da un ampio selciato alberato il Palazzo mostra un’imponente architettura Neoclassica, ampliata nel 1894 e pertanto influenzata nelle decorazioni dallo stile eclettico dell’epoca ovvero dall’assemblaggio di motivi rinascimentali e barocchi. L’elegante facciata guarnita da volute, girali, mensole e ringhiere finemente forgiate, presenta balconi sormontati da timpani semicircolari scanditi da paraste con capitelli di ordine ionico nella sezione inferiore del prospetto e corinzio in quella superiore. Due robuste magnolie precedono l’ingresso principale segnato da un ampio portone provvisto di lucernaio a
raggiera in ferro battuto e portale in tufo di Fuscaldo con arco modanato sormontato dallo stemma della famiglia Del Trono composto da uno scudo sannitico cimato da un elmo crestato posto di profilo. Lo stesso è ripetuto ornato da svolazzi in un affresco eseguito sulla volta dell’androne dove campeggia insieme alle iniziali di Vincenzo Del Trono che nel 1791 edificò il Palazzo. Oggi il Palazzo ospita al suo interno diverse istituzioni, tra queste il Museo Cartografico che insieme alla Biblioteca Civica ricca di volumi antichi, l’Università Telematica Giustino Fortunato di Benevento ed il Museo Archeologico dei Brettii e del Mare allestito nelle sale del sottotetto.
All’interno del notevole complesso sono disposti inoltre vari spazi culturali, come la Sala Mostre Temporanee abitualmente impiegata per la realizzazione di eventi espositivi ed artistici di vario genere; la Sala Congressi; la Sala di Rappresentanza utilizzata per la celebrazione dei matrimoni con rito civile ed infine, nella parte tergale dell’edificio è presente un rigoglioso Giardino sede nel periodo estivo degli eventi culturali organizzati dall’Amministrazione Comunale in quanto dotato di un palco in pianta stabile ed una tribuna a semicerchio capace di ospitare circa 200 persone.
Presso la Chiesa della SS Annunziata e Via Luigi di Francia a Santa Caterina dello Ionio, dal 29 luglio al 1 settembre 2023 “Anime Resistenti” presenta fotografie di Laura Veschi e poesie di Elisa Longo.
La data del 29 luglio 1983 segna infatti uno spartiacque ed è una ferita profonda per ogni caterisano.La vecchia dimora in stile liberty dei marchesi Di Francia uno degli edifici più preziosi è un luogo che rappresenta l’identità del paese e che per secoli ne è stato il motore dell’economia.
Quarant’anni dopo il 29 luglio 2023 inaugura una mostra fotografica che si propone di raccontare il coraggio di una terra e di coloro che si ostinano ad abitarla. La mostra racconta l’incendio attraverso le immagini del palazzo intimamente trasformato dalle fiamme. Fotografie “vuote” ma che in trasparenza ricalcano il linguaggio della magnificenza di un tempo. Quel tempo che il fuoco pretese di fermare, aggredendo non solo l’antico centro storico, ma mettendo a dura prova la forza d’animo dei suoi abitanti. Le fotografie si fanno passi e vanno a cercare quegli uomini e quelle donne nei luoghi più intimi dove in questi anni si sono ritrovati e per quei vicoli stretti e violentati dove hanno mantenuto saldi ricordi e tradizioni e operato la propria resistenza contro gli accadimenti di un tempo di profonde mutazioni. Il caso ha voluto l’incontro tra questo borgo medievale e la fotografa carrarese Laura Veschi: gli occhi hanno fatto il resto, restituendo la cruda bellezza delle crepe di una storia speciale fatta di sofferenze
ed abbandono, di nostalgia e voglia di riscatto, di sorte ed umanità. Schegge di una poetica che dimora in ogni scatto, che non si sottrae agli sguardi insipienti delle nuove generazioni né a quelli feriti di chi ha vissuto, ma si fa portavoce di un grido di calcinacci e sapienza; perché se Resistere è prima di tutto Esistere, ricordare equivale a non disperdere. Una mostra “insolita” che da un allestimento intimo all’interno della Chiesa della SS. Annunziata” (dove le fotografie sono accompagnate dai versi della poetessa Elisa Longo) esce tra i vicoli stampata in grandi manifesti a tappezzare i muri di un paese che rivela le espressioni vivide della sua forza.
LAURA VESCHI Laureata all’Università degli Studi di Firenze in “Scienze della formazione”, dal 2016 si dedica alla fotografia curando la propria formazione prima con un corso di fotografia “corporate” alla scuola Marangoni di Firenze poi con una Masterclass durante la quale ha iniziato l’ambizioso progetto dedicato ai Tecchiaioli, veri funamboli delle cave di Carrara. Fotografa ufficiale di TorArt e Robotor, due aziende legate al mondo della lavorazione artistica del marmo, ama profondamente tutto ciò che riguarda l’arte, l’artigianato e i viaggi, “mondi” che aprono la mente, fanno scoprire sempre nuove culture, offrono punti di vista diversi e alimentano quella curiosità fondamentale per un fotografo. Nel 2021 ha avviato la collaborazione con la galleria d’arte di Londra Avantarte, nel 2022 ha pubblicato il libro “Ritorno a Casa” dedicato all’opera di Fabio Viale “Ahgalla”
Il 14 luglio 2023 alle ore 18.00 A-HEAD Project di Angelo Azzurro ONLUS ha inaugurato, negli spazi del Museo dei Brettii e degli Enotri di Cosenza, il progetto installativo T(w)O EDGE due bordi_al limite di Angelo Gallo a cura di Simona Spinella e con i testi critici di Simona Spinella e Giuseppe Capparelli. La mostra, prima parte di un progetto che toccherà diverse città italiane ed europee, è un omaggio al curatore di A-HEAD, Piero Gagliardi.
“L’installazione T(w)O EDGE due bordi_al limite è intimamente congiunta ad una parola, ovvero dialogo. L’opera nasce da un confronto iniziale tra Angelo Gallo e Piero Gagliardi in relazione al concetto di riproducibilità e tiratura della grafica d’arte. Nasce così “Studio della scultura dell’ala. Opera unica di possibile tiratura illimitata”. [...] T(w)O EDGE due bordi_al limite è il frutto di una serie di dialoghi che si sono fondati sul rispetto reciproco, è uno spazio ospitante di possibilità,
è un insieme di relazioni, in cui il sistema di lettura e di fruizione dell’opera sono dialoganti. Quando parliamo di “possibilità” e di “relazione” ci rapportiamo alle due opere che compongono l’installazione con riferimento al concetto di riproducibilità. Difatti all’incisione, può essere concessa la possibilità di esser opera unica o di avere una tiratura illimitata, mentre l’istallazione opera unica, si moltiplica grazie all’interazione. Tra le due opere poste una fronte all’altra, il CyanCarpet, determina uno spazio, un luogo, un tratto di possibilità da percorrere; al centro c’è il ruolo del fruitore che è spinto a confronto con se stesso in due modi completamente diversi. [...] La scelta del titolo T(w)O EDGE due bordi_al limite quindi sta nel concetto del doppio che appartiene all’opera poiché composta da due opere, ma anche nella relazione con il fruitore che sta al centro nella dimensione biunivoca e genera l’alternanza dell’essere.” (Simona Spinella)
“[...] Fra scultura e incisione, atto performativo e installazione ambientale, l’opera T(w)O EDGE due bordi_al limite di Angelo Gallo inalvea e contiene le tensioni dell’artista sulla sua poetica, sul suo linguaggio, sul suo pensiero. L’artista imposta la sua ricerca su un elemento fondante, la razionalità ammantata da un velo di indeterminatezza. [...] Questo intervento artistico è composto dal dialogo fra una serie di elementi interconnessi fra loro che gestalticamente sono presentati al pubblico nella loro totalità, strutturata in modo organico, e non considerabili come elementi singoli e indipendenti. Il principio fondamentale della Psicologia della Gestalt o Psicologia della forma si fonda sul concetto che il tutto è superiore alla somma delle singole parti: secondo questa teoria ciò che percepiamo non è la somma di elementi, ma una sintesi della realtà. [...] L’artista ‘sigillando’ la matrice di rame all’interno di un contenitore dichiara che l’opera è da considerarsi come lavoro unico e irriproducibile, ma contestualmente consegna nelle mani del suo possessore una possibilità: rompere il sigillo e aprire l’opera alla serialità, a reiterare l’atto artistico all’infinito. Questo trasferimento di volontarietà, dall’autore al proprietario dell’opera, è la chiave di lettura di tutta l’installazione. È l’elemento di incognita, di variabile di indeterminatezza che ci proietta in una condizione di sospensione, di probabile perdita dell’‘aura’, per dirla con Benjamin, che ne determinerà la sua riproducibilità. [...] Altra componente significativa dell’installazione è la progettazione di uno spazio predeterminato entro il quale l’osservatore può muoversi e scegliere autonomamente dove situarsi. Non è un caso che l’autore collochi all’interno dello spazio installativo un piedistallo dove l’osservatore può posizionarsi
e posare, interagendo e integrandosi con l’installazione stessa. Lo spazio e il tempo di fruizione così intesi, decretano che l’installazione ambientale si converta in luogo performativo dove il tempo del pubblico e la sua permanenza all’interno di esso diventano elementi fondanti. L’osservatore descrive un percorso alternativo, nel cui interno si percepiscono un senso di attesa e di scoperta, o meglio, di avvento, di qualcosa che deve ancora accadere.”
Venerdì 23 Giugno 2023 - Venerdì 20 Ottobre 2023
Una selezione di oltre 80 fotografie stampate in diversi formati che attraversa l’intera carriera del grande fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento in bianco e nero per evidenziare lo stretto legame che lo unisce alla sua terra d’origine. “Ti ricordo, Sicilia”, è un vero e proprio viaggio che permette al visitatore, attraverso soggetti, immagini, luoghi, riti, festività ed usanze, di conoscere ed esplorare la terra tanto cara al fotografo.
Il percorso espositivo inizia con un omaggio alla sua città natia, Bagheria, pronta a festeggiare il suo celebre concittadino in occasione dei suoi primi ottant’anni che cadranno il 4 luglio, poi gli scatti dedicati a Marpessa.
Quando, verso la fine degli anni Ottanta, il grande foto-
reporter e giornalista Ferdinando Scianna decise di fare il suo ingresso nel mondo della moda furono in molti a stupirsi e magari a storcere il naso. Chiamato dagli allora emergenti Dolce & Gabbana a rappresentarne lo stile, il fotografo siciliano iniziò con la giovanissima modella olandese Marpessa Hennink uno straordinario sodalizio, riprendendola in atmosfere mediterranee cariche di un fascino misterioso e sensuale in continuo equilibrio fra realtà e finzione, arcaismo e modernità diventando una delle muse dell’artista.
“Non riesco a ricostruire con esattezza (…) l’impressione che Marpessa mi fece al primo impatto. (…) Mi colpì il suo sguardo verde, splendente ma inquieto, imbarazzato, non so se leggermente sulla difensiva. Forse ero anch’io un po’ sulla difensiva.”
F. SciannaVenerdì 23 Giugno 2023 - Venerdì 20 Ottobre 2023
Antico Mercato di Ortigia - Siracusa Dal 5 maggio al 31 ottobre 2023 Visitabile tutti i giorni, dalle 11.00 alle 15.00 e dalle 18.00 a mezzanotte Gratuito Info sul sito aditusculture.com
Medea, icona tragica della condizione femminile, è la protagonista della mostra internazionale d’arte contemporanea proposta dall’Amministrazione Comunale di Siracusa e curata dal critico d’arte Demetrio Paparoni.
Ospitata negli storici spazi del loggiato dell’Antico Mercato di Siracusa, la mostra si inaugura il 5 maggio e resta aperta ai visitatori, con ingresso gratuito, fino al 31 ottobre, con un mese di proroga rispetto alla chiusura inizialmente prevista.
Medea è una delle più attuali protagoniste del mito antico: la sua tenacia e la sua disperata fierezza sono ritrovabili in tante relazioni contemporanee.
La sua esclusione dalla società, la sua tragica vendetta, il senso di isolamento non sono estranei a tanti fatti di cronaca dei nostri giorni.
La mostra affronta il mito di Medea andando oltre la narrazione dell’infanticidio e comprende opere di diciassette artisti realizzate espressamente sul tema di Medea.
Attraverso lo sguardo inedito di artisti del nostro tempo provenienti da aeree geografiche diverse (dal Nord Europa alla Cina, dalla regione del Caucaso al Sudest asiatico, oltre che dall’Italia) la mostra mette in evidenza il legame inscindibile tra Siracusa e il teatro antico.
La tragedia classica rivive a Siracusa attraverso espressioni artistiche contemporanee anche nell’ambito delle arti visive.