ENZO BRISCESE
2000 - 2023 - t.mista olio su tela - cm70x80
2000 - 2021 - t.mista olio su tela - cm70x80
BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE del Centro Culturale Ariele
Hanno collaborato:
Giovanna Alberta Arancio
Monia Frulla
Rocco Zani Miele
Lodovico Gierut
Franco Margari
Irene Ramponi
Letizia Caiazzo
Graziella Valeria Rota
Alessandra Primicerio
Enzo Briscese
Giovanni Cardone
Susanna Susy Tartari
Cinzia Memola
Concetta Leto
Claudio Giulianelli
Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio orario ufficio: dalle 10 alle 12 da lunedì al venerdì tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com www.facebook.com/Rivista20
MICHELE ROCCOTELLI -URBE-
dalla Murgia, al Mare, al Mondo
Minervino, piccolo paese delle Murge di Puglia: partire da ragazzo con una valigia pieni di sogni e tornare da adulto con una valigia piena di quadri. Cento dipinti ad olio, pitture, ceramiche, opere d’arte varia dove il colore esplode come la creatività di quel ragazzo irrequieto che si acquietava solo nel disegno, quando sulla Murgia si imbeveva di colori e paesaggi e chiedeva alla madre un vecchio lenzuolo per poterci trasferire sopra quei colori e quei paesaggi; o meglio le sue emozioni di fronte a quelli. Che uscivano scoppiettanti dalla sua straordinaria sensibilità al bello: un dono di natura. La pittura di Roccotelli non è descrittiva né narrativa, ma puramente emotiva. E’ una pittura dell’anima in quanto esprime un’anima murgiana, cioè legata alla terra e ai suoi ritmi, alle sue asperità, alle sue bellezze. Con questa acuita e coltivata sensibilità Roccotelli si è posto non solo di fronte alla terra-madre (Murgia), ma anche di fronte al mare, al vento, ai paesi che sbucano in lontananza fra colline e marine; ma, paradigmaticamente, di fronte al mondo.
Ha cominciato negli anni ’70 con la ritrattistica, dove la sua capacità di figurazione si è rivelata subito splendida: una sanguigna, un nudo di donna a metà, tagliato da una superficie piana, un nudo di madre...ecco la prima originalità dissonante. Quando mai gli artisti hanno dipinto una donna anziana, una madre, con le sole poppe nude, anche se pendule e sformate? Ecco che la nudità femminile ac-
quista un altro (il vero) significato femmineo: quelle poppe ci hanno nutrito nei primi tempi della nostra vita, quindi sono l’essenza e il simbolo della maternità e della vita. Ma esporle crea qualche imbarazzo alla madre. Allora la sua espressione si fa severa, il volto si tinge di rosso, lo sguardo si nasconde dietro un occhiale. E’ il pudore delle donne del Sud di una volta, che si coprivano totalmente di nero. Com’è in un secondo, più tradizionale ritratto della madre. Ma proprio in questi ritratti apparentemente banali, l’artista ancora una volta ha colto nel segno: non il corpo, non le forme ha messo sulla tela, ma i sentimenti, gli stati d’animo di chi è rappresentato e di chi guarda. Da questi due punti, l’esaltazione della vita e il dialogo col fruitore dell’opera, prende le mosse Roccotelli per volare alto, nella sua carriera fatta di umili apprendimenti e di grandi riconoscimenti. Scuole, accademie, mostre, confronti, lezioni-spettacolo con fuochi d’artificio gestuali e pittorici, hanno fatto di lui e della sua arte uno dei maggiori pittori pugliesi conosciuti e riconosciuti in tutt’Italia e anche all’estero (basti vedere l’elenco lunghissimo dei luoghi in cui ha esposto le sue opere). Molti hanno scritto di lui (e anche qui basta vederne l’elenco); molti e molto blasonati nel regno della critica d’arte. Tutti ne hanno apprezzato qualche aspetto del suo multiforme ingegno, che si materializza con pennelli e spatole, colori e manualità, idee e materia.
Di quegli aspetti qui cercheremo di evidenziarne solo qualcuno. Innanzitutto la sua evoluzione che procede pian piano dalla figura realistica alla figura geometrica, quando escono dal suo pennello quadri-finestre alla Mondrian, dove le superfici si intersecano e si sovrappongono con diverse visioni, ora di natura morta (un finocchio, un’aringa, delle uova,) ora di paesaggio straniato (un bosco, un’edera, delle spighe con un volto contadino) fino ad arrivare all’inquietante “testa d’agnello sul retro della tela” che dall’umile “capuzzell” delle mense contadine e pastorali, diventa un lacerto sanguinolento e terrificante alla Francis Bacon.
Poi Roccotelli attraversa il cubismo e l’espressionismo, per approdare a un astrattismo tutto suo, in cui il colore domina sulla forma, la pennellata violenta sull’esito tenerissimo, le esplosioni di energia sulla tranquillità di orizzonti marini, il grido del poeta sul silenzio della natura incontaminata. Fasci di erbe, tronchi spezzati e incrociati, schizzi di onde, petali sgocciolati, linee imperiose e curve armoniose: questa è la sua grammatica pittorica che vediamo coniugata in tutti i modi e con i colori più belli e accattivanti in tutte le opere dell’ultimo periodo, il XXI secolo che egli affronta con una giovinezza interiore, con una tecnica consumata, con un amore infinito per l’arte, per la natura, per la vita. In un canneto egli sente le voci e le dipinge; ma sulla tela tu non vedi né le canne, né le persone che in esse emettono voci, ma solo la loro trama verticale, i colori pastosi e soprattutto la luce che li trapassa e brilla. Ecco, la luce è un’altra delle grandi protagoniste della pittura di Michele Roccotelli. Una luce Mediterranea, Meridionale che fa impazzire i nordici quando lui porta i suoi quadri in Germania, in Belgio, in Austria e in altre contrade dove la luce scarseggia. Però anche noi meridionali, che di luce e di sole la sappiamo lunga, restiamo incantati dalle sue visioni materiche ed eteree insieme. La farfalla: morbide curve giustapposte di colori caldi e graduati nelle varie tonalità della tavolozza. La nebbia: ti aspetti il velo, l’opacità, l’e-
vanescente grigio, l’indefinitezza che tanti poeti del nord hanno cantato. Lui invece la nebbia la vede e la rappresenta in maniera corposa, con grigi forti attraversati da sprazzi gialli e fili bianchi: bello questo Nord visto dal Sud. Il colore s’impone ovunque, esalta la percezione visiva ma anche tattile, posto che l’artista usa fra i suoi materiali anche il cartone zigrinato e la carta stampata che assumono una loro particolarissima identità, nell’insieme della composizione, fra i colori, i volumi e le linee che sapientemente il pittore fa danzare in quel quadro.
Roccotelli ha raccolto in quattro sezioni il cospicuo dono pittorico che ha fatto alla sua città natale, Minervino Murge che gli ha dedicato un’intera Pinacoteca. E sono: la sezione storica, i paesaggi dell’anima, l’urbe, il mare; oltre quelle che considero due appendici e cioè la ceramica e la grafica.
micheleroccotelli@libero.it cell. 347.582 3812
ENZO BRISCESE
La suggestiva pittura dell’ultimo ciclo tematico di Enzo Briscese centra un nodo cruciale e lacerante della realtà odierna, ossia la “comunicazione”,peggiorata anche dall’inaspettato dramma della separatezza sanitaria di lungo periodo per la pandemia da covid, a cui abbiamo sopra accennato. Questo nodo centrale, toccato dall’arte di Briscese in uno dei suoi aspetti più conturbanti, contribuisce ad originare la scarsa qualità della vita dei giovani. L’artista si accosta con un’attenzione discreta, un interesse partecipato e preoccupato. Egli dipinge cioè con delicatezza la precarietà comunicativa vissuta dai ragazzi di adesso. Nei suoi quadri essi sfilano con i telefonini in mano. Tali opere sono la messa a fuoco di una realtà e una dinamica inquadratura che non diventa mai un banale sfogo per provocare una delle tante denunce lamentevoli.Enzo Briscese, pittore, vive nelsuo tempo e lavora con gli strumenti che gli competono: tele, colori, e infine quadri che parlano. La concezione di libertà è strettamente legata al rispetto: riteniamo pertanto che prima i giovani necessitino di amorevoli e competenti guide e in seguito abbiano bisogno di un inserimento critico nella collettività attiva in un clima che è sicuramente problematico ma dovrebbe essere anche
di dialogo fattivo. Il ciclo pittorico “I ragazzi del duemila” introduce lo spettatore nella nuova fase artistica di Briscese, evidenziata da una felice presenza di un dinamico figurativo, valorizzata da una ricca tavolozza e da un’elaborata composizione. Il suo complesso linguaggio pittorico è più vitale che mai, “metabolizzato” all’interno del quadro. Le figure sono dapprima sommerse da un confusivo caos di immagini e informazioni mentre negli ultimi lavori si configura un particolare assestamento stilistico. La rappresentazione del giovane evidenzia la sua fuga dall’oppressione che lo attornia e le ultime tele mostrano uno spazio vuoto intorno alla figura che rende visivamente il totale “nulla” in cui il ragazzo si rifugia,, ossia un radicale distacco dalla realtà . Si tratta di una fuga illusoria che sul dipinto si colora di tinte pallide e tenui. Questa serie pittorica, visionaria e realista nello stesso tempo, merita di essere messa inmostra e visitata con particolare cura.
Giovanna Arancio
mail.: enzobriscese6@gmail.com www.facebook.com/enzo.briscese.9/ tel. 347.99 39 710
Nasce a Venosa in Basilicata. Vive e lavora a Torino. Segue i primi studi artistici presso il maestro Lillo Dellino di Bari. Cresce in un ambiente intellettualmente stimolante, frequentato da musicisti, letterati ed artisti.
Nella prima giovinezza si trasferisce a Torino dove frequenta lo studio di disegno del maestro Giacomo Soffiantino e in seguito l’atelier di Giorgio Ramella.
Nella città di Torino, dove apre un laboratorio di disegno e pittura, si confronta con diverse ed importanti esperienze nel campo delle arti visive. Fra queste sono da evi-
denziare l’avvio del Centro Culturale Ariele, tuttora vitale, la gestione di spazi espositivi, la realizzazione di unna rivista d’arte diffusa a livello nazionale.
Come pittore elabora, attraverso una personale e rigorosa ricerca, una poetica coerente con il suo impegno sociale ma, soprattutto, capace di comunicare la sua forza espressiva grazie alla resa sicura del segno e ad un colorismo raffinato. I cicli tematici si susseguono declinando diversi linguaggi all’interno dei percorsi del figurativo e dell’astratto, densi di rimandi storici e di sapienti contaminazioni.
AURORA CUBICCIOTTI
L’intimità di dialoghi perduti in un “tempo contemporaneo” che inizia a scorrere forse troppo velocemente. Una spiritualità interiore, viene rappresentata attraverso dipinti ad olio e carta che ci parlano di uomini e donne, che vivono nel nostro tempo. Lacerazioni dell’anima. Speranze ricercate, per poi essere ritrovate. La pittura di Aurora Cubicciotti si muove in un contesto sociale, poco esplorato dagli altri Artisti. L’idea di pittura classica tradizionale, viene abbandonata, per dare maggiore spazio a quel processo di significazione, alla base di ogni lavoro di Cubicciotti. “Mi piace incollare la carta - spiega - e seguirla, perché, a mano a mano che la strappo, è lei a suggerirmi la strada da intraprendere: sono affascinata dall’effetto che si ottiene, restituisce il concetto di non finito, di antico e consumato. La formazione che ho ricevuto, la mia professione da insegnante, la conoscenza del restauro, della chimica dei colori - a volte mi preparo i pigmenti da sola - mi conduce a sperimentare, a far convivere diversi linguaggi, ad innovare, il tutto senza dimenticare la bellezza delle forme dell’arte classi-
ca”. La sua visione artistica è ben delineata: “Serve la tecnica, bisogna studiare le basi per dare corpo e anima alla propria creatività. L’artista - come spiega Aurora - ha il dovere di usare al meglio i propri mezzi espressivi affinché la sua arte agisca fortemente sulla sensibilità dello spettatore; l’opera d’arte deve essere la voce scavata tra i colori che in maniera assillante scuote gli animi umani per obbligarli a vedere la realtà”. Possiamo collocare la pittura di Cubicciotti all’interno dello spazio/tempo Caravaggesco, nel quale la dicotomia buio/luce diventa il punto di partenza per un nuovo racconto pittorico. Il contrasto tra luce e oscurità non crea dissonanza, piuttosto i due elementi opposti si completano, mettendo in evidenza un fatto importante: la luce diventa protagonista del messaggio della pittrice.
mail.: cubyaurora@gmail.com
Sito: www.facebook.com/ aurora.cubicciotti tel. 339.18 38 913
FAUSTO BERETTI
LA POTENZA ESPRESSIVA DI FAUSTO BERETTI TRA MODERNITA’ E TRADIZIONEI
VOLO bronzo 25x16x19,5 cm anno 1991
Scultore e pittore, l’artista è titolare della cattedra di discipline plastiche presso l’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma. Nelle sue opere il fremito della vita e il dinamismo del movimento. Alla galleria d’arte contemporanea “Studio C” di via Campesio 39 si inaugura oggi, alle ore 18, la mostra personale di Fausto Beretti dal suggestivo titolo “Davide e Golia”. Nato a Reggio Emilia e residente a Bologna, Fausto Beretti è artista dalla solida preparazione tecnico-culturale e dal vasto curriculum critico-espositivo. Prima ha frequentato il Liceo Artistico di Bologna e quindi si è diplomato maestro scultore presso l’Accademia di Belle Arti della stessa città. Ha inoltre ricoperto incarichi importanti nel campo dell’insegnamento ed ha soggiornato per un certo periodo a Parigi dando vita a preziose collaborazioni artistiche. Attualmente occupa la cattedra di discipline plastiche presso il prestigioso Istituto d’Arte “Paolo Toschi” di Parma. Artista a tutto tondo, scultore e pittore, Beretti è tra i pochi artisti moderni che sanno unire la sapiente tecnica dei vecchi maestri alle tematiche più vere e sentite della nostra contemporaneità facendo così convivere, in modo armonico e del tutto naturale, passato e presente, tradizione e modernità. E la grande tradizione artistica del nostro Rinascimento, del Manierismo e poi, ancora, tutta la maestria espressa dall’arte greca e romana costituiscono, infatti, il cuore e l’ossatura di tutta la sua espressione. Arte vera e concreta, dunque, fondata su basi solide e universali, dove la creatività e l’ingegno si sposano alle capacità operative e “artigianali” del mestiere e
dove l’invenzione si fa cultura, sensibile interpretazione, attimo di intensa e sentita tensione artistica. Nel suo ampio e accogliente atelier si respira un’aria d’altri tempi, un’atmosfera silenziosa e raccolta fatta di lavoro, studio e ricerca. Belle e coinvolgenti anche le tematiche affrontate da questo artista che, per dare maggiore forza al suo percorso espressivo, si serve di scenografiche rappresentazioni mitologiche, di potenti iconografie sacre o di toccanti immagini letterarie. “Chirone morente”, “Lapita che uccide un centauro”, “San Giorgio e il drago”, “Il profeta Geremia”, “ La barca di Caronte” e “Don Chisciotte” sono solo alcuni titoli di altrettante opere dove l’uomo e l’esistenza sono sempre gli assoluti protagonisti. Perché questo artista sente fortemente le problematiche umane ed esistenziali dei nostri giorni, le tensioni della vita contemporanea, le difficoltà del momento. Così le sue sculture, percorse sempre dal fremito della vita e del movimento, sono letteralmente fatte di corpi: corpi aggrovigliati e sofferenti, in equilibrio e in tensione, corpi che cercano altri corpi, corpi schiacciati sotto il peso di altri corpi. Bravo disegnatore e ottimo conoscitore dell’anatomia umana, Fausto Beretti, dopo aver progettato l’opera, sembra lavorare in scioltezza e velocità e i suoi personaggi, pur nella perfezione anatomica, risentono di una certa influenza impressionista, un “finito” che si alterna sempre al “non finito” lasciando intravedere una sospensione spirituale, un attimo di attesa e/o riflessione, un intimo tormento. Comunque sia, i suoi personaggi, pur nell’impianto classico e/o rinascimentale
DIANA CACCIATRICE
visione frontale, bronzo 37x15x20 anno 2024
(alcune opere rimandano al grande Michelangelo) acquistano sempre i connotati di eroi moderni e contemporanei tesi ad una lotta impari contro il destino e le avversità. Lo stesso vale per la pittura, forte e vigorosa, libera e potente, scenografica e scultorea nel suo prorompente vigore. Tra i soggetti preferiti da Fausto Beretti troviamo figure, soprattutto nudi femminili, e composizioni (nature morte) dove l’artista mette in mostra tutta la sua abilità e il suo virtuosismo tecnico dipingendo frutta, oggetti e colorati, morbidi drappeggi. Un modo di procedere, quello dell’artista bolognese, che per certi versi sembra richiamare la grande pittura Manierista ma che si affranca da essa per freschezza d’invenzione e modernità cromatica. “Davide e Golia” è un titolo emblematico e carico di simbologia ricavato dal soggetto di un dipinto in mostra. Il piccolo e corag-
PRIGIONIERO DELLA FORMA versione in bronzo 45x25x23 cm 2024
gioso Davide affronta l’erculeo e possente Golia (le paure, le incertezze, i condizionamenti ambientali e culturali) per acquistare la sua completa autonomia e indipendenza. E’ il percorso, solitario e nascosto, di ogni vero artista, la sofferenza quotidiana che consente di veleggiare, liberi e sicuri, nella propria fantasia e creatività. Suggestivi i suoi disegni, molti eseguiti a carboncino, bozzetti di sculture, prime riflessioni, semplici tracciati, schizzi. Personalissimo il segno, potente il gesto.
Luciano Carini
cel. +39 333.433 3093
mail: faustoberetti@gmail.com
Sito - www.faustoberetti.it
MONICA MACCHIARINI
METTI A FUOCO IL CAMBIAMENTO
Terracotta dipinta, 2023 h 38x23x19 cm
Monica Macchiarini nasce a Vergato (BO) nel 1962. Nel 1980 consegue il diploma di Maturità Artistica al Liceo Artistico di Bologna. Nel 1981 svolge uno Stage di Ceramica a Imola (BO). Frequenta poi il Corso di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Perugia diplomandosi nel 1984 come Maestra Scultrice. Negli anni della sua formazione è stata allieva di Ugo Guidi, Giorgio Lenzi, Eliseo Mattiacci, Bruno Corà. Attraverso un materiale povero e naturale come l’argilla, Monica Macchiarini racconta e traduce emotivamente percorsi interiori che vengono alla luce attraverso simboli ancestrali e ‘incantamenti’ che richiamano alla Sacralità della vita, al Divino Femminile, alla Madre Terra e alla Creazione in tutte le sue forme preziose di Energia vitale. Le sue opere figurative sono icone contemporanee che danno voce a donne senza tempo, Dee, Sibille, Sacerdotesse e Oracoli, per proporre una riflessione sul pregiudizio ancora radicato che ha portato a dimenticare il contributo
fondamentale delle donne nella società.
Dal 2001 fino al 2007, a Sasso Marconi, inizia un’importante esperienza di artigianato artistico con la bottega “L’Altrarte” che contribuisce a fondare. Nel 2007 inaugura un percorso individuale che la vede impegnata come scultrice-ceramista e come docente di laboratori didattici e corsi specifici in campo artistico. Nel 2008 diventa Coordinatrice Artistica di un importante Atelier di Art Brut per persone adulte con disabilità della coop. Sociale Open Group: “Marakanda: arte e capacità in corso d’opera” a Borgonuovo di Sasso Marconi (BO).
Lavora ed espone le sue opere presso lo Studio artistico Achàntus che ha aperto nel 2019, insieme allo scultore Fausto Beretti, in via Saragozza 153/b a Bologna. Nel 2022 entra a far parte della “Francesco Francia” associazione per le Arti di Bologna dal 1894.
L’OPPORTUNITA’ semigres nero dipinto, 2024 .52 x 24 x 28 cm
ANNUNCIAZIONE DELL’INVERNO semigres nero dipinto, 2022 h.56x30x25 cm
GERMINAZIONE semigres nero e tempera oro, 2021, h.50x24x16 cm
BEATRICE SI SVELA A DANTE bronzo, anno 2024 h.34x18x17 cm.
Mail - monicamacchiarini@gmail.com Sito -www.monicamacchiarini.it tel. - + 39 338 4894234
ROBERTO FIASELLA
Ho già abbondantemente scritto, recentemente e non, a proposito dell’argomento “Scultura” soffermandomi sia sull’attività di nomi ben noti come Francesco Messina, Fernando Botero, Giuliano Vangi, Emilio Greco, Igor Mitoraj, Gigi Guadagnucci, Ugo Guidi, Antonio Berti e altri, sia su voci in costante ascesa. Tra queste ultime sta eccellendo la completezza di Roberto Fiasella, che affronta da tempo l’amato tela del “Cavallo” evidenziandone la forza e la dolcezza. Oggi non voglio ripetermi e sarebbe facile lodarlo ancora sottolineandone un percorso nel quale, usando i materiali più vari – dalla creta al marmo, alla ceramica e al bronzo, ma non c’è da dimenticare la bella serie di disegni e dipinti che col tutto dà il senso di un’assoluta professionalità – s’è fatto conoscere e apprezzare a vasto raggio, entrando in importanti collezioni private e pubbliche, stante lodatissime personali a Marina di Pietrasanta presso la Fondazione Versiliana e a Sarzana nello spazio di “Sipario”, pur se altre dovrei citarne, a Forte dei Marmi, Milano,…, o presenze in mostre di gruppo a Massa, nella sua Lunigiana e altrove. Di lui hanno scritto qualificate firme, persino suoi colleghi, in un insieme opportunamente fissato non solo sulla
Rivista20 guidata da Enzo Briscese, ma pure tramite un paio di ottime monografie, ultima delle quali titolata “Cavallinità. La magia della forma” già acquisita anche da Biblioteche a livello nazionale.
Andando al dunque credo opportuno proporre solo l’ottimo scritto di Marilena Cheli Tomei sufficiente, assieme ad immagini di alcune opere di questo scultore con la “S” maiuscola, per capirne la completezza e l’indubbia personalità Ecco, dunque, il contributo della storica a saggista toscana: “L’arte è la traduzione in immagine, forma e contenuti dell’interiorità dell’artista, del suo essere nel mondo, dell’esserne schiavizzato oppure del viverlo in autonomia e armonia: osservare le opere di un artista quindi vuol dire entrare nel suo spirito ed intuire ciò che ha pensato nel momento della creazione, il suo passato ed il presente, in definitiva è una specie di autobiografia scolpita, dipinta, musicata o raccontata.Persino chi si è specializzato nelle copie di artisti famosi, con questa sua scelta racconta molto di sé: il legame con la tradizione, il timore di una produzione personale oppure addirittura la pigrizia; naturalmente il conoscere personalmente l’artista può confermare intuizioni o supposizioni.
Nel caso di Roberto Fiasella è accaduto proprio così: le sue opere, dedicate ad un animale da me molto amato, hanno subito parlato di se stesse e dell’ autore e sono stata incantata dal loro messaggio che mi è risultato chiarissimo.
Fiasella ha messo se stesso e la sua arte a servizio del soggetto rappresentato, ne ha rispettato l’essenza senza forzarla alle sue mire se non quelle di cogliere le intime pulsioni del cavallo, la sua cavallinità complessa ed affascinante.
Cosa vuol dire tutto ciò in relazione a quanto detto prima?
Che Fiasella è un uomo che sa fermarsi, osservare, meditare e soprattutto rispettare ciò che vede sia natura, animali e persone; a lui come artista interessa vedere oltre, che le opere rispecchino sì il suo essere ma soprattutto quello del soggetto rappresentato, senza forzature o compiacimenti personali. Ovviamente non è l’unico nel panorama dell’arte a possedere questa qualità, ma penso che non a tutti possa interessare questo cercare di mettere al centro della propria attività la comprensione di un animale per quanto nobile esso sia. Ne sono state rappresentate la potenza, la velocità, l’eleganza delle movenze, la fisicità statuaria che sono sotto l’occhio di tutti, ma a pochi è interessato andare oltre. Certamente l’attività di Istruttore Federale di equitazione e la competenza tecnica lo hanno aiutato, ma se non si vede il contenuto essenziale oltre la forma, l’opera rimane fredda e senza comunicativa.
Fiasella è riuscito, anzi ha voluto cogliere non ciò che di umano può esserci negli atteggiamenti dei cavalli oppure ciò che l’artista decide di rappresentare per i propri fini, ma sottolineare la loro individualità, i momenti personali di un animale da sempre a fianco dell’uomo.
Naturalmente sono presenti anche i richiami mitologici,
ma sono un ulteriore tributo alla lunga storia del cavallo, presente nell’arte sino dai disegni di Lascaux fino ad oggi. Credo che il messaggio di profondo rispetto e amore presente in tutte le sue opere rappresenti un unicum che resterà nell’arte e nel cuore di molti”.
Marilena Cheli Tomei - Lodovico Gierut
roberto.fiasella72@gmail.com tel. 389 923 9778
GABRIELE IERONIMO
Nato nel “59, figlio di un paesino dei monti Dauni, fin da piccola mostra una spiccata passione per il disegno e i colori, che lo portò a frequentare l’Istituto d’Arte Fausto Melotti di Cantù.
Da giovane frequenta per diversi anni lo studio del Professor Paolo Minoli, docente all’accademia di Brera a Milano. Il lavoro da project manager lo tiene lontano, per un po’, dal mondo dell’arte, ma nel 2000 la passione per la pittura, mai sopita, riemerge prepotentemente. Ieronimo realizza numerose opere ripartendo da soggetti geometrici e figurativi finché la sua continua ricerca lo porta alla realizzazione di opere astratte. Significativa è la personale allestita nel 2017 alla corte san rocco di Cantù “Dinamismo e colori dell’anima” con una quarantina di opere astratte che rispecchiano le diverse fasi evolutive della sua crescita artistica. La tecnica pittorica si evolve con la necessità dell’inserimento gestuale che porta a valorizzare le opere con interventi di action painting che permettono all’artista di esprimere al meglio le proprie emozioni. Le sue opere sono esposte in numerose iniziative artistiche e pubblicate su riviste d’arte quali “IconArt Magazine” e “Rivista 20”. Nel 2019 partecipa alla collettiva “Astrattissima” a Chieri, curata da Enzo Briscese, Giovanna Arancio e presentata dal critico d’arte Giovanni Cordero.
Nel 2020 partecipa ad “Arte Parma” con la galleria Ariele ed al premio “Icon Art 2020” indetto dalla rivista IconArt Magazine.Nel 2021 partecipa al premio “maestri a Milano” con la video esposizione al teatro Manzoni di Milano.
Nel 2022 partecipa al premio “Giotto per le arti visive” con alcune opere sia astratte che figurative.Nello stesso anno partecipa ad alcune aste organizzatedall’associazione ART CODE di Armando Principe che attestano valutazione e certificazione alle varie opere.A maggio del 2022 partecipa, sempre con l’organizzazione Armando Principe, ad un’importantissima fiera“Affordable art fair” ad Hampstead Londra.Ha partecipato al 1° tour Biennale d’Europa che prevede la videoesposizione din. 4 operein importanti musei e gallerie di: Parigi, Barcellona, Londra, Venezia. Anchequest’anno presentead ArteParma e attualmente in mostra a Chieri con Astrattissima 2022.
Anno 2023 presente sempre ad arte Parma e ad una bella mostra con Gabetti in arte a Cremona, organizzata con la prof.ssa Daniela Belloni e con il critico d’arte dott. Pasquale di Matteo. Anno 2024 partecipa alla fiera d’arte moderna e contemporanea di Genova e una pubblicazione su IconArt magazine con l’opera Color Explosion, poi presente ad ArteParma .A lugliorealizzauna mostra personale patrocinata dal comune di Cantù dal titolo :“l’armonia tra il vivacismo deicolori e il dinamismo eclettico delle forme”con una ventina di opere tra astratti e figurativi.
mail.: gabriele.ieronimo@live.com
sito.: https://gabrieleieronimo.it/ tel. 348.52 62 074
Le delicate sinuosità che accompagnano le opere di Gabriele Ieronimo connotano un animo gentile e premuroso verso le forme che delinea sulla tela.
Scatti di imprevedibilità scandiscono il ritmo del contesto armonioso fatto di colore, figure e simbolismi, definendo molteplici spunti riflessivi ricchi di aspetti reconditi.
In opere come “Violoncellista sexy” la sensualità è resa protagonista attraverso la resa informale della donna nell’atto di suonare lo strumento: un gesto profondamente sentito che viene rappresentato quasi come un atto d’amore nei confronti del violoncello stesso. Il modo in cui viene toccato e guardato lascia trasparire un forte pathos, messo ancor più in risalto attraverso il gioco cromatico.
Artista dalle molteplici capacità, il quale non sente la necessità di esprimere il proprio messaggio solo facendo ricorso a figure, ma si impone come padrone della pittura riuscendo a mettere in atto il proprio linguaggio artistico
anche solo riversando sulla tela forme e colori. Nelle opere astratte, emerge il, lato più nascosto dell’artista, il quale cela dentro di sé diversi aspetti percettivi che vuole trasmettere attraverso l’uso di cromatismi danzanti. La gestualità è la vera regina della sua arte: grazie ad essa si riesce a percepire quanto di più intenso si impregna nella sua spiritualità, realizzando opere che sono il prodotto finito dei suoi dettami interiori.
Attraverso le vibrazioni tonali, si entra in contatto con emozioni palpabili che chiedono a gran voce di essere ascoltate e poi raccontate.
Arte che non conosce confini nè regole, ma che impone come la vera affermazione di unachiara intenzione sentimentale,
Osservando le sue opere, si ha la certezza di avere davanti lavori che rappresentano a pieno l’arte,con la A maiuscola. Dott.ssa Rosanna Chetta(criticod’arte)
GIORGIO DELLA MONICA
Giorgio Della Monica è un artista salernitano. Il suo linguaggio espressivo spazia dall’iperrealismo all’astrattismo, nella ricerca continua di tecniche innovative ed efficaci. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private e hanno ricevuto numerosi apprezzamenti.
Ha partecipato a collettive e personali all’estero (Cannes, Pechino , Amsterdam, Argentina, Bruxelles, Stoccolma, New York, Perth ) e in Italia.
Giorgio Della Monica è un artista salernitano. Il suo linguaggio espressivo spazia dall’iperrealismo all’astrattismo, nella ricerca continua di tecniche innovative ed efficaci. Le sue opere fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private e hanno ricevuto numerosi apprezzamenti.
Ha partecipato a collettive e personali all’estero (Cannes, Pechino , Amsterdam, Argentina, Bruxelles, Stoccolma, New York, Perth ) e in Italia.
“Giorgio Della Monica attinge a una vasta gamma di esperienze pittoriche e culturali, trasportando l’osservatore in una dimensione parallela, fatta di colte rielaborazioni del reale, del sogno e del mito.
Così in Caos troviamo una figurazione di taglio surrealista intessuta in una trama allusiva; in Proserpina l’artista inquadra la dea agreste con un modellato che si ispira ai canoni della scultura classica. Egli spazia dall’uso della foglia d’oro agli acrilici, esprimendo una creatività poliedrica. La sua tavolozza è costituita da un felice connubio tra tonalità intense e cromatismi delicati che danno vita a un disegno in cui il tratto scandisce con un andamento ritmico la composizione. Della Monica invita l’osservatore a lasciarsi coinvolgere dal fascino arcano dell’immaginario mitologico, riconoscibile qui come dimensione parallela, che appartiene ineludibilmente alla nostra memoria collettiva.
Paolo Levi
Con animo da artista Giorgio Della Monica percorre il suo viaggio tra mura ravvicinate, visioni di infinito e pareti domestiche a ritrovare un vecchio macinino con la cara caffettiera napoletana, una lucerna in ceramica vietrese, trasparenze di bottiglie, un asinello ridanciano, una conchiglia, lo specchio della fertilità a corona di Cerere, testa viva oltre il corpo ormai svanito.
E’ un territorio magico – scriveva Roger Peyrefitte- che veste l’anima di nostalgia per un clima ove il profumo dei limoni riempie la mente, ove la storia sembra cadenzare il tempo.
Così non è meraviglia, se al termine di una rada scavata dall’indice di Dio nel giorno della creazione, s’erge Atrani, ri-emersa dai ricordi dell’artista e proposta come la panchina solitaria di Aurel Spachtholz: ti siedi per pochi minuti. Riposi e sei trasportato fuori da te, in un sogno… Un viaggio, quello di Giorgio Della Monica, nello spazio senza tempo della Costiera Amalfitana dove, una volta, tutto scorreva nella contemplazione e nel silenzio. Persino le poche parole dei pescatori al tramonto scivolavano veloci tra un silenzio e l’altro. Anche l’orologio del campanile
era libero di segnare l’ora che più gli si confaceva. Campeggia il taglio sulla tela muta, si raccolgono i pensieri, si fruga nella memoria, si riacquista il senso dell’essere. Sullo sfondo è il notturno costiero ove mille luci richiamano case addossare a pendici montuose e la luna si stende sul mare, facendolo reagire come una donna. Si celano, nelle tele dell’artista, antiche magie, folletti e spiritelli, le ragazze fiore del magico giardino di Klingsor con immutati, teneri sospiri d’amore.
arechimail@virgilio.it tel. 333.745 3291 www.giorgiodellamonica.it
MIRELLA CARUSO
Mirella Caruso nasce a Sciacca, luogo di atmosfere mediterranee che l’ha sempre ispirata per i suoi dipinti. Laureata in giurisprudenza all’Università di Palermo, ha insegnato Discipline Giuridiche e Economiche ed è attualmente impegnata nell’insegnamento delle tecniche dello yoga, pratica che è per lei ispirazione fondamentale per alcuni dei suoi soggetti simbolici. Stabilitasi a Torino, ha iniziato il suo percorso di pittrice grazie all’incontro con Margherita Alacevich. La sua energia vitale e l’irrequietezza del suo carattere la portano spesso a diversificare la sua produzione; passando per quadri simbolici si arriva alla rappresentazione figurativa di paesaggi e soggetti. Tra le maggiori esposizioni dell’artista si ricordano le personali nel 1995 a Cervo (IM) a Villa Farandi, quella del 2013 al “Re Umberto” di Torino, nel 2016 la bipersonale con Giuseppe Falco alla Galleria d’Arte Centro Storico a Firenze e nel 2017 presso il circolo culturale di Sciacca. Oltre a
numerose mostre al circolo degli artisti e alla promotrice delle Belle Arti di Torino, si ricorda la partecipazione nel 2016 alla collettiva internazionale “Time to Build” all’atelier 3+10 a Mestre, nel 2018 la collettiva presso la galleria Saphira e Ventura a New York, nel 2019 a quella all’Appa Gallery di Madrid e nello stesso anno la collettiva “Rinascimento contemporaneo” al museo Leonardo Da Vinci a Roma e nel 2021 la partecipazione ad ArtParmaFair a Parma.
Tra le principali pubblicazioni un editoriale nel 2013 sul II volume ‘La donna nella storia dell’arte’, a cura di Giuseppe Nasillo.
Nel 2015 sono stati pubblicati suoi quadri su ‘Nuova Arte’, Cairo Publishing e nel 2017 sul catalogo n.53 ‘Dell’Arte Moderna - Gli artisti dal primo ‘900 a oggi’, casa editrice Giorgio Mondadori
L’arte di Mirella Caruso racconta storia, tradizione, cultura, classicità, con una pittura intensa e corposa, espressiva e passionale. L’artista crea con la luce profondità e spazio, delimitando la scena da quinte visive che conferiscono armonia ed equilibrio compositivo. Ottima colorista, Mirella Caruso interpreta con vibrante energia natura e realtà, dando spazio al sogno e alla visione poetica interiore. Il segno delle pennellate è sempre intriso di materia, istintivo e veemente, sicuro e senza ripensamenti, a testimonianza di un mestiere e di una maturità pittorica raggiunta con esercizio costante e raffinata sensibilità.
Nei suoi dipinti il dinamismo delle scene, delle figure in movimento, del mare o del vento che sfrangia le foglie degli alberi diventa elemento fondante di un linguaggio vivo e pulsante, che affida ad una sorta di puntinismo cromatico il compito di creare effetti ottici e piani prospettici sovrapposti in lontananza, quasi un velo tra l’osservatore e il mondo interiore dell’artista. Tra figurazione e astrazione, quindi, cogliendo di entrambi gli stili l’essenza formale e ideale, il senso del vero e l’afflato onirico dello spirito. Mirella Caruso ci conduce in universi immaginati con la potenza della realtà e dei pigmenti più vivi, tra un ritmo scandito di chiaroscuri e una personalissima sintesi di forma, linea, colore.
Guido
Folco
mail.: mire.caruso@gmail.com
Sito: www.facebook.com/mirella.caruso.31 tel. 339.36 56 046
ROSARIA DIDIO
Tra il cielo e il mare… Acrilico/sabbia/ gesso pastelli ad olio cm90x80
l’immensa solitudine, riempita dal sogno di un essere umano …la sua fantasia, il suo spirito la sua anima, la sua arte.
Nel mondo dell’arte contemporanea, l’artista Rosaria Di Dio si distingue per la sua peculiare ricerca estetica e la sua filosofia artistica. “Nel dipingere non cerco il tratteggio, cerco il colore, è il colore che traccia i bordi entro cui si delinea la forma del mio tratteggio, come se dovesse “riempire” ogni forma di equilibrio incapace di sostenere l’armonia delle mie emozioni”. Questa frase rivela il cuore della sua pratica artistica, incentrata sulla potenza espressiva del colore e la sua capacità di trascendere i limiti del tratteggio. Rosaria Di Dio utilizza il colore come strumento principale per comunicare le sue emozioni e riflessioni interiori. L’artista abbraccia una tavolozza cromatica audace e vibrante, che va oltre i confini tradizionali della rappresentazione pittorica, per dar vita a opere intrise di energia e dinamismo. La sua arte si propone di evocare un’esperienza sensoriale coinvolgente e profonda, in cui il colore diventa protagonista assoluto e guida l’osservatore attraverso un viaggio emozionale.
Le tele di Rosaria Di Dio appaiono come dei microcosmi cromatici in cui il colore si espande liberamente, svincolato dalle regole del disegno e della prospettiva. L’uso audace del colore da parte dell’artista non è fine a se stes-
so, ma serve a sottolineare l’intensità delle emozioni, a suscitare reazioni e a stimolare la riflessione sull’essenza dell’esperienza umana. L’artista riesce a creare un dialogo tra i colori, amalgamandoli in maniera armoniosa e fluida. La tensione tra le tonalità utilizzate diventa un equilibrio precario, che sembra sfidare le leggi della gravità e della logica, riflettendo la natura mutevole e inafferrabile delle emozioni umane. In questo modo, Rosaria Di Dio riesce a trasformare il caos cromatico in una sinfonia visiva, in cui l’osservatore può immergersi e perdersi.
L’arte di Rosaria Di Dio ci invita a riflettere sulla forza del colore come mezzo espressivo e sulla sua capacità di dar voce alle emozioni più intime e profonde. Le sue opere ci sollecitano a riconsiderare il ruolo del colore nella pittura e a riconoscere il suo potere evocativo e comunicativo, che va oltre i confini del trattamento tradizionale del disegno. Andrea Tapparini
La mia Pittura: Io non cerco il tratteggio, cerco il colore, è il colore che traccia i bordi entro cui si delinea la forma del mio tratteggio , come se dovesse” sporcare” ogni forma di equilibrio incapace di sostenere l’armonia delle mie emozioni… È questa la mia tela…
Descrizione: L’ indissolubile necessità per la nostra esistenza e per la nostra umanità, senza non esisteremmo e tantomeno avrebbe un senso per la nostra presenza nel disegno della vita ,per questo la mia necessità di rappresentarlo, di raffigurarlo secondo il mio stato d’animo, dipingendo in un contatto protettivo ,a scudo delle fragilità e solitudini e per dare espressione alle tante sofferenze soffocate ,molto spesso chiuse dietro all’incapacità e alla paura di amare.
LALLA LUCIANO
“ Una inventrice di forme “
Così si esprime Vittorio Sgarbi parlando di Lalla luciano
È varia e con diversi motivi di ispirazione la pittura di Lalla Luciano, artista che vive da tempo a Parma ma ancora profondamente legata alla natìa Sardegna. Una varietà che non impedisce comunque a Lalla Luciano di praticare un ‘arte del tutto unitaria, sorretta da una visione formale ed espressiva che non cambia con il cambiare dei soggetti e dei temi.
Se dovessimo circoscrivere una matrice stilistica attorno alla quale è maturata questa visione, non c’è dubbio che dovremmo indicare l’Espressionismo. Ma espressionismo è termine troppo vago per farci capire nel concreto cosa sia la pittura della Luciano. Esiste un Espressionismo orfico , per esempio , quello in cui si sono inseriti i furori nordici di un kirchner o di Von Dongen , ma la vocazione espressionista di Lalla Luciano va riallacciata storicamente in un momento e in un atteggiamento successivo rispetto a quello “ selvaggio“ di artisti come appunto Kirchner e Van Dongen ; siamo , cioè , dentro un ambito in cui l’Espressionismo della prima generazione si libera delle sue istanze originarie per diventare una methodus ,un linguaggio coloristico di comune impiego internazionale che per lungo tempo sinonimo di un modernismo lontano dalle sperimentazioni delle Avanguardie , ma che vuole comunque prendere le distanze dalla vecchia accademia .
Questo Espressionismo come methodus ha trovato nell’E-
cole de Paris a partire dagli anni Venti del Novecento, il cui massimo centro di diffusione; attraverso i suoi, diretti e indiretti, è giunto anche in Italia trovando applicazioni diverse e qualche volta persino contrastanti (i Sei di Torino, la Scuola Romana, Strapaese, “Corrente, Guttuso, ecc.), ma diventando in ogni caso il filone più rappresentativo della pittura nazionale.
Esiste dunque una radice storica, saldamente legata alla migliore arte italiana del Novecento, a cui la pittura di Lalla Luciano fa riferimento.
Ci sono poi le inclinazioni personali, quelle che solitamente trasformano uno stile collettivo in uno stile individuale. Direi, in generale, che lo stile della Luciano è tendenzialmente sincretico, mettendo assieme diverse componenti della cui combinazione scaturisce qualcosa di originale, non riassumibile nella semplice somma di questi fattori. Il colorismo della Luciano, per esempio, è alimentato da una solarità tutta mediterranea, capace di riunire in un solo concetto la tradizione pittorica di Venezia (la Luciano vi ha studiato) e la luce della Sardegna. I rossi della Luciano al vigore delle lacche giorgionesche e tizianesche; fanno” corpo”, riunendo materia e forma, ma sono sempre tenuti sotto controllo, non strabordando mai dai limiti che sono loro imposti. In questa, disciplina la Luciano mostra di prediligere una concezione, se non classica, almeno “equilibrata” della forma sempre regolare, priva di qualsiasi eccesso che possa distogliere dalla visione complessiva dell’immagine. Una forma talmente prevalente nella sua regolarità da eliminare
anche ciò che forse più di ogni altro avrebbe potuto incrinarla.
C’è però una produzione in cui l’arte della Luciano mostra caratteri autonomi e meritevoli di considerazioni diverse, il disegno del nudo femminile. Dipingere donne è uno dei temi più tradizionali della storia dell’arte un soggetto a traverso il quale si sono sempre misurate le capacità tecniche ed espressive di un artista.
Nella creazione artistica gli uomini hanno individuato nella donna lo strumento adatto per sublimare il proprio istinto e trarre ad esso un ideale estetico di valore universale
La Luciano assume un ruolo importante rispetto alla storia dell’arte; riconoscere, cioè, che un certo costume plurisecolare nel rappresentare la donna può avere una ragione anche indipendentemente dal sesso dell’artista.
Poche sono le donne come la Luciano che dipingono, con estrema facilità esseri del proprio stesso sesso, replicando lo stesso atteggiamento degli uomini. In realtà la Luciano è cosciente del fatto che ha finito per mettere la donna, il suo corpo, le sue fattezze, in una condizione di assoluto privilegio: l’ha trasformata nel parametro per eccellenza della bellezza universale.
La donna al centro delle rappresentazioni artistiche non è solo un oggetto, come vorrebbero certi schematismi troppo facili: è anche la possibilità di dare immagine concreta a un archetipo astratto, fuori dal tempo e dal mondo corrente, di percorrere e attraversare le relazioni fra forma e psiche che ogni immagine femminile sembra presupporre.
Che siano maschi o donne a praticarla l’arte può servire enormemente a conoscere l’universo femminile, a esplorarlo; a stabilire con esso una relazione mentale e sentimentale di grande intensità.
Se nei maschi ciò significa il confronto con ”l’altro”, eccitante e inquietante allo stesso modo , nelle donne significa
il confronto con se stesse , l’autocoscienza , è un’ indagine per capire , fuori dai luoghi comuni quale può essere la sua vera anima . vedendo i nudi della Luciano, nudi definiti da segni incisivi e nervosi che comunque mai intaccano la rasserenante morbidezza delle superficie sulle quali si posano, mi chiedo se dalla loro semplice visione si poteva capire se erano opere di una pittrice e non di un pittore.
Questi nudi mi sono sembrati opera di un artista in un certo senso “neutro “ben disposto tecnicamente, non precisabile, ma non precisabile in quanto al sesso, in quanto al modo di porsi davanti a un corpo femminile. Poi, a poco a poco, mi sono accorto che la Luciano aveva stabilito con le sue figure una confidenza difficilmente concepibile in un artista capace di comprendere, di cercare, di scavare anche in profondità, ma senza provocare, senza suscitare mai niente di morboso.
Ecco forse l’elemento decisivo che distingue la Luciano da ogni altro artista: è questa disposizione all’identificazione non solo ideale con ciò che il pittore rappresenta, al sentirsi parte integrante di qualcosa di comune che trasforma gli individui in uno spirito, in un sentimento, in una collettività organica. Quando dipinge, Lalla sembra sconfiggere le sue insicurezze, vuole vincerle mettendo sotto controllo ciò che la inquieta.
Tel.: +39 340 50 60 952
Mail: giancarlaluciano40@gmail.com
STEFANO POLASTRI
Artista emiliano, Stefano Polastri scopre la sua passione per il disegno e la pittura già in tenera età, frequentando per un breve periodo lo studio del pittore Remo Bavieri.
Prosegue, in seguito, lo studio della pittura da autodidatta realizzando diverse copie d’autore, passando dagli artisti seicenteschi (in particolare Caravaggio) agli impressionisti, per poi iniziare una propria ricerca personale che lo porterà a scoprire anche la scultura.
Nelle sue opere si palesa l’interesse per la natura (che ritroviamo anche nelle sculture, soprattutto per quel che riguarda il materiale adoperato, nella maggior parte dei casi costituito da tronchi d’albero).
L’artista mostra sicuramente una conoscenza dell’arte del passato, con riferimenti in particolare ai maestri della pittura veneta o ai pittori romantici, dando prova, altresì, della sua grande sensibilità e tecnica.
Nella sua produzione pittorica riscontriamo un grandissimo potenziale a livello comunicativo ed emozionale che emerge da tutta una serie di elementi e in special modo dal cromatismo e dai suggestivi effetti di luce dei suoi paesaggi o, altre volte, proprio dai passaggi chiaroscurali e dal realismo presenti nei suoi figurativi.
Sono opere che trasmettono, a mio avviso, una grande spiritualità e che in qualche modo ci portano ad una visione più intimistica dell’arte... proprio perché instaurano un dialogo silenzioso con l’osservatore, un dialogo emozionale attraverso il quale quest’ultimo può ritrovare qualcosa
di sé o riflettere su tematiche importanti”.
Storico e Critico d’Arte Francesca Callipari
Illuminante visione scultorea di un artista innovativo. Dal punto di vista genetico le opere divengono un connubio tra materie forti, robuste, connesse a superfici delicate forse a simboleggiare la simbiosi umana con la natura. Fanno riflettere le volute parti mancanti corporee davvero emozionali nelle sue sculture. In particolare spesso l’artista utilizza parti legnose (in special modo ricerca pezzi di radica) da cui ricava volti o teste umane di elevata bellezza come pochi sanno realizzare. Eclettico a 360 gradi affronta la pittura attraverso paesaggi tra impressionismo e tardo romanticismo ed eccelle nella figura umana dipinta su tela che minuziosamente prepara nel suo interessante laboratorio. Attraverso il suo straordinario intuito l’artista riesce a donare sacralità ed emozionare.
Critica redatta dal Maestro Critico Internazionale d’Arte Mario Salvo
SABRINA MARELLI
In questo spazio, parliamo di Sabrina Marelli, pittrice di origini milanesi che, a colpi di tela e di colore, sta affacciandosi sul panorama artistico parmense.
L’esordio nel 2022, quando si presenta sui social media con lo pseudonimo di Les Fleurs de Bisous, che fa l’occhiolino alle sue composizioni oniriche a tema floreale. In questo stadio primordiale, le tinte sono vivide, intense, un potente strumento per esprimere la sua personalità.
Le prime soddisfazioni arrivano con le mostre mercato, quando i suoi estimatori iniziano ad appendere le sue opere tra le pareti domestiche. Nonostante il consenso di pubblico, ben presto, lo pseudonimo e quanto rappresenta incominciano a starle stretti e, come da un vaso traboccante, defluiscono nuove idee e nuove aspirazioni.
Intraprende così un lavoro intenso, orientato alla ricerca di uno stile capace di toccare le corde più profonde di chi guarda. Affascinata dalle opere di William Turner, si abbandona alle atmosfere crepuscolari, che concretizza in esterni dove è la luce che plasma la realtà, il colore, come risultato dell’interazione tra luce e oscurità.
In questa fase, muove i primi passi tra mostre ed esposizioni, dove raccoglie ulteriori consensi da parte di colleghi e critici, dai quali trae nuovo slancio verso la sperimentazione.
Alla ricerca di ambienti e situazioni che le siano di ispirazione, nella periferia della sua amata Milano, si imbatte in un urbex, la cui decadenza architettonica ed il profondo senso di abbandono e disagio la scuotono emotivamente. Lo dipinge, ed è l’inizio della sua prepotente attrazione verso gli interni, gli edifici, le costruzioni e gli arredi.
Le sue opere si riempiono di vertiginose scale a strapiombo e di audaci prospettive, che la pittrice popola di figure in controluce, intriganti e, nel contempo, ossessionanti. A questo punto non ci resta che domandarci:
MOSTRE PERSONALI E COLLETTIVE
Maggio 2024 LE TRE DIMENSIONI DELL’ARTEMostra Personale a Tre, Patrocinata dal Comune di Fontevivo (PR)
Marzo 2024 LA VIA DELLA BELLEZZA - Collettiva di Pasqua - Associazione U.C.A.I. Sezione di Parma
Marzo 2024 DONNA: SINGOLARE FEMMINILE - Evento Collaterale - Associazione U.C.A.I. Sezione di Parma
Febbraio 2024 VARIAZIONI SENZA TEMA - Collettiva - Associazione U.C.A.I. Sezione di Parma
Febbraio 2024 ASPETTANDO LA PRIMAVERA - Carnevale e Dintorni - Associazione U.C.A.I. Sezione di Parma
COLLEZIONI
GALLERIA D’ARTE SAN’TANDREA - Associazione U.C.A.I. Sezione di Parma
GIGARTE - Portale Internazionale delle Opere D’Arte PUBBLICAZIONI
RIVISTA20 - Arte e Cultura nelle 20 Regioni Italiane, a cura del Centro Culturale Ariele
“Quali saranno gli sviluppi di una creatività così dinamica ed audace? Quali saranno i nuovi orizzonti di una sensibilità così vivace e multiforme?” La risposta sta tutta nel futuro.
mail sabrymarelli@libero.it tel. 347.522 9555
La ragazza che dipinge farfalle
Giusy Tamburrano, conosciuta come “La ragazza che dipinge farfalle”, è una pittrice pugliese emergente il cui lavoro è caratterizzato da una vitalità straordinaria e un profondo contatto con la natura.
Le sue opere, che spaziano dalla pittura tradizionale a creazioni tridimensionali, sono un inno alla trasformazione personale e alla bellezza della vita. Nata in un contesto in cui la ricerca dei colori della vita si scontrava con le ombre del mondo circostante, Giusy ha sentito un forte impulso interiore che l’ha spinta a intraprendere un viaggio di trasformazione personale. Privata di una formazione accademica formale, ha trovato ispirazione nelle sue emozioni e nelle sue connessioni energeti-che, sviluppando uno stile unico e inconfondibile. L’arte di Giusy è un viaggio attraverso i colori e le emozioni. L’energia dei colori le ha aperto una dimensione senza regole né giudizi, dove ogni errore si trasforma in opportunità e non esistono limiti al proprio divenire. Questa libertà creativa è evidente nelle sue opere, che spesso incorporano materiali naturali e innesti tridimensionali.
La sua ricerca artistica non si limita alla bidi-mensionalità della tela. Giusy esplora le possibilità offerte dalla materia,
creando opere tridimensionali che integrano elementi naturali come rami e fiori secchi, come si può vedere in una delle sue opere più recenti. Queste composizioni non solo aggiungono una nuova dimensione alla sua arte, ma trasmettono anche un senso di continuità con la natura e il ciclo della vita. Ogni opera di Giusy Tamburrano è un inno alla vita, alla trasformazione personale, all’autoguarigione, all’amore e alla speranza. Utilizzando incensi naturali per purificare e arricchire le sue creazioni, Giusy infonde in ogni pezzo un messaggio di positività e rinascita. La figura della farfalla, ricorrente nelle sue opere, è simbolo di trasformazione e libertà, e rappresenta l’essenza stessa del suo percorso artistico e personale. Giusy possiede una straordinaria capacità comunicativa che le permette di connettersi profondamente con il suo pubblico.
Ogni suo dipinto è un pezzo di un dialogo più ampio con il mondo, una testimonianza del suo cammino di autoscoperta e di condivisione delle sue emozioni più intime.
Le sue opere non sono solo da guardare, ma da sentire, vivendo un’esperienza sensoriale completa. L’arte di Giusy Tamburrano non è solo un’esplorazione estetica, ma anche un’espressione del suo profondo legame con la natura.
Ogni sua opera riflette una connessione istintiva e armoniosa con il mondo naturale, in cui il suo spirito libero trova piena espressione. Giusy si immerge nella natura, traendo ispirazione dai suoi elementi più puri e trasmettendo questa energia vitale attraverso le sue creazioni.
Giusy Tamburrano, “La ragazza che dipinge farfalle”…, è una voce fresca e vibrante nel panorama artistico contemporaneo. La sua arte, radicata nella natura e nelle emozioni, offre uno sguardo unico sulla bellezza della trasformazione per-
sonale e della rinascita.
Ogni sua opera è un invito a esplorare il proprio viaggio interiore e a trovare il proprio posto nel mondo, trasmettendo un messaggio universale di speranza e di amore per la vita.
mail: laragazzachedipingefarfalle@gmail.com Tel. 3487701059
Instagram: laragazzachedipingefarfalle
ANGELO BUONO
“Per Angelo Buono la pittura è come la musica che nessuno osa spiegare, deve semplicemente piacere o eccitarci “ Il lavoro di Buono si è evoluto verso il fauves, uno stile che gli si adatta nella sua ricerca di esprimere l’essenza degli oggetti nella sua arte. Nella nostra quotidianità, non consideriamo come il colore influenzi la nostra vita quotidiana, ma quando vediamo gli elaborati di Buono questi stimolano l’appetito visivo attra -
verso i suoi colori forti, influenzando così l’emozione della nostra mente ed evocando ogni tipo di emozione in modo diverso. La sua figurazione è rimodellata dal punto di vista dei sentimenti piuttosto che dalla realtà che trasporta lo spettatore a partecipare all’universo creato dall’autentica personalità di Buono Angelo e al suo lavoro.
Luigi Iannelli
Davanti alle opere di Angelo Buono, c’è da chiedersi dà cosa nasca la sua volontà pittorica, s’è non dal fascino dei colori e della luce. C’è quindi alla radice del suo far pittura un input,una sorta di sollecitazione intrinseca che lo porta ad esplicitare nella sua varietà del segno e nella molteplicità delle assonanze cromatiche,tutto un mondo interiore.
Affiorano così allo sguardo tutta una serie di esplicitazioni spesso decisamente informali perché interviene direttamente nella materia con un segno espressivo e un gesto spontanee, in cui le modulazioni cromatiche stesse sembrano essere ricondotte al servizio di un serrato impianto costruttivo organizzato talvolta su una griglia spaziale,e la fantasia a fare da supporto ideale x questa trascrizione di segni e di impulsi che si rifanno alla sfera tipicamente sensoriale. Sappiamo che segno,e gesto e materia sono alla radice della poetica “informale”, perché un linguaggio del genere nasce e si origina dal dominio della pulsione.
Ebbene in Buono si avverte, sia pure in una alternanza semantica significativa questa condizione particolare, questo muoversi e voler scoprire un “reale fantastico” ,una trasfigurazione immaginifica, in tal modo l’opera vive allora come in una doppia tensione,tra flusso espressivo e suo annientamento, sulla scia di una intuibile ricerca di dimensioni e di spazi evocativi destinati a respiri più ampi e come se dai gorghi della memoria dovessero emergere i termini di una poetica continuamente oscillante tra visibile e invisibile,tra superficie e profondità.
Alla radice c’è senza dubbio una irrequietezza come supporto ideativo, per cui il rapporto che viene a stabilirsi è attivato al rimando tra fattori di contrazione e di espansione,di parcellizzazione e di ricomposizione globale.
Salvatore Flavio Raiola
mail.: angelo.buono49@gmail.com www.facebook.com/profile.php?id=100009137654439 tel. 346.72 40 502
MAURO TONIATO
Mauro Toniato sI è diplomato all’accademia di Belle Arti di Bologna al Corso di Pittura del Prof. Concetto Pozzati nel 1987. Vive a Parma.Ha lavorato nel campo della decorazione murale e nel campo artistico come pittore. Dal 1993 è Docente di Arti Figurative presso il Liceo Artistico Paolo Toschi di Parma .
Mauro Toniato presenta due opere dal titolo: “YOU MUST CHANGE “ e “ SAVE THE WILD”. Entrambe si propongono di esprimere un richiamo al problema della biodiversità e rientrano in un personale ciclo artistico che si intitola: “ WE MUST CHANGE” ( NOI DOBBIAMO CAMBIARE).
Il soggetto, comune alle due opere, presenta il muso di una tigre che guarda il pubblico fruitore dell’ opera e al tempo stesso , questo soggetto, interagisce anche con l’ ambiente in cui è collocato , essendo in acciaio mirror riflettente. Una sorta di screen , uno schermo, che sembra uno specchio frammentato nel disegno che rappresenta. Questo ciclo di opere nasce con un materiale capace di interagirefisicamente nei luoghi in cui viene collocato, pensando e interpretando il contesto globale come un contesto che vede gli artisti e tutti i creativi nel Design, ricercare forme e stili espressivi con l’intenzione di richiamare l’intera società umana verso l’urgente “sostenibilità”,sia del
fare ,che del produrre umano.
Queste opere rientrano in un lavoro artistico iniziato nel 2019, un lavoro rivolto al richiamo del mondo del Design che da tempo sconfina nel “fare artistico”, come il mondo dell’arte cerca modalità metodologichetipiche del Design. Due ambiti,Arte e Design, che non hanno più confini linguistici e che,per le mie aspettative, devono avere obiettivi comuni : essere e richiedere progettualità per comportamenti sostenibili .
Nelle due opere, realizzate in acciaio mirror traforato, si possono rilevare intenzioni linguistiche che usano e sfruttano il materiale e l’oggetto; l’acciaio lucido specchiante, unito a oggetti reali che richiamano il disegno ,le matite colorate, il filo della tessitura. Vengono utilizzate anche calamite,dalla forma di piccoli dischi lucidi o colorati , presi e inseriti come veri elementi linguistici. L’ acciaio e le calamite permettono di trattenere, sulla superficie dell’opera,elementi mobili per poter variare la stessa composizione.
mail: toniatomauro59@gmail.com tel.347.688 9926
Domenico Lasala
“Le opere di Domenico Lasala si evidenziano per un uso sapiente del colore, ordinato per contrasti simultanei; per una rigida idealizzazione geometrica delle forme che s’accompagna alla suggestione del racconto, con un effetto di incantata attesa, e per i temi spesso legati all’arte dei suoni.
Se da una parte si può scorgere una tendenza arcaicizzante dall’altra la stilizzazione delle sagome, in un’atmosfera di fluidità musicale, rendono personale la sua maniera, che
viene sottoposta a un continuo processo di trasfigurazione, ove figure pulite e ferme stanno nella fissità di statue viventi. Questo pittore cerca la bellezza, con passione instancabile e tenta di fissarla sulle tele con immagini che, se non hanno lo scorrere caldo del sangue, il respiro stesso della vita, possiedono un senso plastico dei volumi e profondi sentimenti trascendenti.”
Paolo Levi
DIALEKTIKÈ
Dialettica e dualismo
Kronos - Kairos
L’ineluttabilità del Tempo
Negli spazi della Fondazione Giorgio Amendola, 31 artisti interpretano con le loro opere (pittura, scultura, installazioni e fotografia), il tema della V edizione del progetto Dialektikè ovvero il mito di Kronos-Kairos.
Come rappresentare il Tempo? Nel mondo classico vi erano due tradizioni iconografiche.
Kronos secondo la teogonia di Esiodo (metà VIII secolo a.C.-VII secolo a.C.) era personificato in un vecchio, munito di clessidra, che divorava gli uomini: è la raffigurazione del tempo eterno nella sua incessante ciclicità che corrompe la materia e Kairos alato, dalla nuca rasata, che passa e fugge tenendo in equilibrio sulla lama di un rasoio una bilancia; la sua effigie proviene, ci ricorda Guido Avezzù, da un bassorilievo posto sull’entrata di uno stadio olimpico a Traù nell’attuale Croazia, le cui ali simboleggiano la fugacità ovvero il futuro carpe diem di oraziana memoria.
Ne Le Confessioni Sant’Agostino (354 - 430 d.C.) s’interrogava sul Tempo e scriveva: «Che cos’è dunque il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede e voglio spiegarglielo, non lo so».
Nel frammento di un testo di Leucippo, (460 a.C. - circa 370 a.C.) leggiamo “Nessuna cosa avviene per caso ma tutto secondo logos e necessità…” che si potrebbe attribuire ad Eraclito (535 a.C. - 475 a.C.) nel senso di significato di “legge universale” che regola secondo ragione e necessità tutte le cose.
“Il tempo è un bambino che gioca, che muove le pedine; di un bambino è il regno”. Così in maniera criptica, il filosofo di Efeso argomentava di Kronos: leggerezza del gioco, senso di casualità dato dal lancio dei dadi, associato al suo mistero e al suo scorrere; il “regno” del bambino sarebbe l’intero universo, che si muove secondo i di lui capricci.
La metafora suggerirebbe l’idea di una sequenza imponderabile che si svolge al suo interno. In ogni caso, la riflessione eraclitea è un caso di come la filosofia antica descrivesse il Tempo e la sua cognizione metaforica, usando immagini singolari per esprimere, appunto, concetti complessi.
Nella vita di tutti i giorni percepiamo Kronos, come un continuo flusso, quel fiume “Tam velociter, tam rapide” di Seneca (4 a.C. - 65 d.C.) che Ovidio (23 a.C. - 2 d.C.) definiva edax rerum (tempo che tutto divora).
Il dualismo che trattiamo, era studiato anche nel Medioevo, tuttavia soltanto dopo molti secoli, in Gran Bretagna, le classi dominanti idearono una curiosa teoria dell’ozio (che definiremmo ‘ozio proficuo’, Kairos appunto), elaborata dal pensatore Bertrand Russell (1872-1970) nel saggio Elogio dell’ozio (1935), enfatizzando l’importanza del “sapere” inutile rispetto al pratico.
Anche Friedrich Nietzsche (1844-1900) cita Kairos in Al di là del bene e del male, ritenendo ogni uomo, pronto alle sfide della vita e quindi di afferrare l’attimo fuggente. Nel film di animazione Kung Fu Panda (2020) il maestro Oogway (la tartaruga) dice una frase che è diventata per molte persone un punto di vista molto importante: “Ti preoccupi troppo di ciò che era e di ciò che sarà; ieri è storia, domani è un mistero ma oggi è un dono. Per questo si chiama presente.”
Gli Oziosi russelliani quindi, oltre il Tempo che precipita, erano e saranno gli “Officianti” dei Saperi e delle Arti in senso lato, dunque, definiremmo tali, con un traslato un po’ ardito, gli artisti invitati alla kermesse, i quali espongono le loro opere, fedeli ai propri canoni artistici, presso la Fondazione.
Mario D’Amato
Kronos e Kairos: l’invenzione del Tempo
“Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.”
Albert Einstein
La biennale di arti visive Dialektikè, giunta alla quinta edizione, propone come tema di confronto e riflessione l’irrisolto enigma del Tempo. L’umanità vive paradossalmente la propria esistenza schiavizzata da un’interpretazione distorta della realtà: nell’arco dei secoli ha inventato strumenti sempre più sofisticati ed apparentemente precisi per calcolare un’unità di misura percepita ma inesistente. Non esiste alcun orologio che batta il tempo nell’universo ovunque nella stessa maniera, ma dipende dal luogo e dalla velocità. Secondo il fisico Franco Rovelli un’idea credibile è che per comprendere a fondo l’universo si può fare a meno della nozione di tempo. Forse il tempo corrisponde al nostro modo di vedere le cose ma non fa parte della struttura fondamentale dell’universo. Se è vero che possiamo scrivere equazioni fondamentali senza mettervi il tempo, dobbiamo allora capire da dove venga la nostra percezione del tempo. L’immagine che emerge oggi nel mondo fisico è quella di una danza indipendente e anarchica delle cose: una rispetto all’altra, senza un tempo oggettivo, assoluto.
Il nostro tempo percepito non è altro che un’approssimazione delle tante variabili che succedono a livello microscopico. Per quanto l’ingegno umano abbia esercitato un controllo sempre più vasto sulla natura delle cose e nell’intimo della materia, ha lasciato aperto un grande enigma, libero di fluire e manifestarsi sia nella dimensione del conscio che dell’inconscio. A differenza di altri archetipi filosofici caratterizzati da morfologie simboliche riconducibili a una sorta di tesi universale, ogni fase storica e contesto culturale ha elaborato la propria idea e concezione del tempo. Nell’età classica si considerava l’esistenza come un continuo divenire, individuando nello sviluppo dell’individuo nella mutazione di stato delle cose la misura del tempo, una forza fissa e immutabile. Nell’antichità i greci usavano due termini diversi per definire il tempo: Kronos per indicare lo scorrere dei minuti (e quindi la sua natura quantitativa) e Kairos per indicare la natura qualitativa dello stesso, ovvero l’abilità di fare la cosa giusta nel momento opportuno.
Il concetto di Kronos ha storicamente avuto una posizione dominante su Kairos, dall’età moderna in avanti si sono ribaltati i ruoli dominanti. La velocità di esecuzione di un compito, la rapidità di adattamento alle situazioni sono sinonimi di un approccio esistenziale già razionale rispetto all’evoluzione della conoscenza e il cambiamento della sfera materiale e immateriale. Le caratteristiche di Kronos restano naturalmente importanti, ma passano in secondo piano rispetto alla dimensione temporale qualitativa espressa dal concetto di Kairos.
Il Cristianesimo introduce, rispetto alla cultura greca e orientale che concepiva il tempo come un fenomeno ciclico rappresentabile con un movimento circolare, il concetto lineare Alpha-Omega: l’inizio e la fine di un ciclo, nascita, crescita e morte. La fine della vita e la fine del mondo coincidono con la fine del tempo, eventi che preludono all’eternità.
L’età contemporanea con le teorie della relatività e della fisica quantistica ridefiniscono radicalmente l’idea stessa di Tempo, dimostrando che il tempo e lo spazio compongono un sistema unico di coordinate, il tempo non è misurabile separatamente dallo spazio che si muove liberamente in qualunque direzione, il tempo procede solo in avanti nello sviluppo di un eterno presente.Le categorie passato e futuro si prefigurano quindi come una sorta di illusione, una percezione distorta della realtà e del presente osservata dalla mutevole variabilità dello spazio. Ma per quanto il tempo risulti sul piano della fisica teorica un concetto bizzarro e ininfluente, determina comunque nella psiche e nel corpo umano un senso di costante condizionamento. Il tempo della riflessione, della meditazione, dell’esercizio del piacere dei sensi e dell’ingegno, del lavoro, della creatività, della bellezza, ovvero nel manifestarsi naturale dell’esistenza. Lentezza e velocità risultano comunque variabili che determinano nell’essere umano quel profondo stato di piacere o disagio. Le due figure mitologiche Kronos e Kairos proposte dalla cultura greca, rappresentano in una perfetta sintesi la dicotomia che racchiude il segreto della percezione del tempo: quanto e come. Superando i luoghi comuni che indicano in termini assoluti il “progresso” come evento positivo e il suo contrario come “nuova barbarie”, appare evidente che l’umanità intera si pone di fronte a un bivio che apparentemente esclude una terza via. I tempi di produzione, consumo e rigenerazione ritmati dalla “tirannide” del nostro tempo ipertecnologizzato, dall’overdose di comunicazione ipertestuale hanno modificato sensibilmente non solo le abitudini, i costumi, le forme di socialità ma anche i ritmi biologici naturali mettendo ancor più in evidenza il rischio di una metamorfosi e l’inevitabile declino della nostra civiltà. L’umanità schiavizzata da un “tempo cibernetico”? Per ogni individuo il tempo sembra non bastare perché paradossalmente corre più veloce della sua immaginazione e della sua capacità di prevederlo. Il tempo dei ricordi, delle idee, delle passioni, dei desideri, del libero arbitrio, sembra destinato a soccombere, è una corsa contro il tempo persa in partenza? La risposta appare ovvia, riappropriamoci del nostro tempo!
Sarebbe una vera rivoluzione sociale e culturale tesa a legittimare ed eleggere la lentezza, o meglio “l’eco-tempo” a valore etico universale. Liberandoci dai ritmi della produzione, dell’accumulo e del profitto potremmo riconquistare il senso più naturale dell’esistenza.
Festina lente!
Stefano Greco
ATTILIO LAURICELLA
Attilio Lauricella è nato a Radusa (CT) nel 1953 e risiede a Torino dal 1959.
Si è formato attraverso lo studio classico della figurazione frequentando il Liceo Artistico dell’Accademia Albertina di Torino e gli atelier di vari artisti. Lavora a tempo pieno come pittore
Sono numerose le esposizioni personali a carattere anche didattico, per conto degli Assessorati alla cultura di vari Comuni dell’interland torinese.
Ha presentato le sue opere in prestigiosi studi d’architettura in varie città italiane. Dal 1972 prende parte a varie rassegne della Promotrice delle Belle Arti e del Piemonte Artistico e Culturale di Torino di cui si può ricordare la mostra “Giovani Artisti in Piemonte” del 1983.
Ha esposto al Fiat France di Parigi (1980) nonché nei
Foyer di alcuni teatri torinesi, quali il “Teatro Nuovo” e il Teatro “Erba” nel 1978 con mostre personali e lo Stabile “Gobetti” per la collettiva “Storie di quadri” con un progetto di cm 150x500 nel 1982. Nel 1990, ‘91 e ‘98 ha presentato i suoi lavori al Salone del Libro di Torino Esposizioni e al Lingotto.
Partecipa ed è promotore di varie iniziative collettive e conferenze con il gruppo “Oltre” e “Nuova sintesi”. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private.
E’ presente attualmente (2009) nel Direttivo del Piemonte Artistico Culturale di Torino e collabora con varie Associazioni, fra cui Arte Città Amica e partecipa alla promozione di un gruppo di Artisti Astratti attraverso l’Associazione It.ART di cui è Fondatore con i quali sono stati realizzati vari cicli espositivi.
Valerio Adami
Uno dei Maggiori Artisti Italiani del Dopoguerra.
di Giovanni Cardone
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Valerio Adami apro il mio saggio dicendo : La cultura postbellica europea e nordamericana è invasa da “neo” e “post”. Secondo molti critici le seconde avanguardie (o “neoavanguardie”) non furono altro che una ripetizione dei movimenti storici d’avanguardia, magari con la stessa volontà di rottura, ma indubbiamente con meno verve; dagli anni Sessanta in poi gli artisti cercarono di riannodare il filo che si era interrotto a causa delle due guerre, assimilando esperienze e pratiche già di successo. Riscoprirono alcuni degli espedienti delle avanguardie storiche, quali l’analisi costruttivista dell’oggetto, la pittura monocroma, l’immagine-fotomontaggio, il collage e la critica dei modelli espositivi tramite il ready made, inserendoli però in un contesto contemporaneo. Come ricorda Foster, «quella dei ritorni storici è una vecchia questione nella storia dell’arte; anzi, sotto forma di rinascimento dell’antichità classica, ne è uno dei fondamenti». Se gli anni Trenta simboleggiarono il momento culmine del modernismo, gli anni Sessanta segnarono invece l’epoca del postmodernismo. Postmoderno è ciò che segue il moderno e l’avanguardia storica, rappresenta un’epoca, un periodo di nuovo inizio dopo la fine della modernità; è la cultura di una società di consumatori, nella quale le merci hanno un’importanza fondamentale perché lo stesso mercato è divenuto un’autorità culturale in grado di legittimare o meno un autore. Storicamente il modernismo è stato identificato con le avanguardie storiche, a loro volta associate a un concet-
to di originalità e antagonismo con le poetiche precedenti dell’accademismo. Il loro programma era demolire l’arte e la sua tradizione: con essa e tramite essa è cambiata l’idea di opera, non più concepibile. Il postmodernismo al contrario, non nega ciò che lo ha preceduto, ma lo assimila e lo rielabora nel proprio stile. Il breve arco di tempo compreso fra il 1958 e il 1964 segna una metamorfosi radicale nel percorso artistico di Valerio Adami, che si avvia nel giro di pochi anni a un crescente consenso di critica e di mercato fino agli esiti più noti del suo lavoro . si sarebbe tentati di credere che questa stagione di un ‘Adami prima di Adami’ si chiuda, simbolicamente, con la tragica e prematura dipartita del suo amico Bepi Romagnoni, nell’estate 1964: è noto il ruolo trainante e propositivo di questi nell’ambiente milanese tanto che non si è esitato ad attribuirgli quasi subito l’appellativo di ‘maestro’ . accanto a lui, però, non meno importante è il ruolo di Adami come punto di raccordo, teorico e organizzativo, delle situazioni più diverse: è a lui, ad esempio, che si rivolge un giovane critico come Enrico Crispolti conosciuto alla fine del 1958 durante la mostra romana di Gianni Dova, e a sua volta in itti rapporti epistolari con Romagnoni per avere contatti con artisti e critici a Milano, dal ‘giro’ frequentato dall’artista oltre Romagnoni, Rodolfo Aricò, Mino Ceretti e Lucio Del Pezzo), ma anche per la curiosità di conoscere un maestro più anziano come Franco Francese . ad Adami si rivolge poi per avviare il dibattito intorno ai ‘sintomi di crisi’ su “Notizie” il periodico dell’omonima associazione torinese fondata
da Luciano Pistoi e codiretta da Enrico Crispolti dal 1957 al 1960 affinché partecipino, oltre ai pittori, anche Emilio Tadini e Roberto Sanesi . Nonostante le risposte positive da parte di Tadini e la segnalazione del giovane Alberto Martini appena giunto a Milano e non ancora inventore dei “maestri del colore” , il dibattito si interromperà presto, prima che questi contributi venissero pubblicati. Non avranno seguito nemmeno le esortazioni di Crispolti ad ampliare la discussione ad altri temi: “Pensa con Tadini la questione del personaggio per un articolo su “Notizie”. Parla magari a Sanesi del dibattito e vedi se gli interesserebbe parteciparvi. e che eventualmente proponga lui qualche argomento. Magniico per esempio rapporti fra poesia e pittura in un certo ambiente ed in un certo momento. Veda lui comunque. idem per Alberto Martini, tuttavia sperando che si svincoli un po’ da arcangeli (naturalista)” . È utile poi seguire il percorso iniziale di Valerio Adami sia come ricostruzione della sua evoluzione interna, sia per rileggere una situazione e contestualmente ricollocare personaggi che, come nel caso di Romagnoni stesso, rischiano di essere storiograficamente isolati come punte di diamante di un sistema. Adami, anzi, svolge un ruolo emblematico anche perché è un artista che scrive, e le sue lucide riflessioni, insieme a quelle di Romagnoni, aiutano a mettere a fuoco le motivazioni di un più ampio gruppo di artisti, provocando un inestricabile intreccio, sul piano dei contenuti quanto del lessico, con la critica più attenta. La prima importante mostra personale di Adami, alla milanese galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo, è del 1959. Di quanto avesse fatto prima di quella data, rimane una traccia nel saggio dedicatogli da Crispolti nel 1961 in occasione della
sua prima mostra romana, alla galleria l’attico. ricordando quel loro primo incontro del 1958, egli aveva memoria di opere che trovavano in Francis Bacon il loro referente più diretto, anche se non esclusivo. si trattava, infatti, di dipinti “mossi da esacerbazioni d’intenzione più psicologica che descrittiva, con possibili riferimenti forse goyeschi anche nella tematica vertente sull’assurdo ma pure kokoschkiani. Bacon sembrò suggerire allora ad Adami soprattutto lo strumento per una più precisa collocazione spaziale, tutta in funzione di tale dialettica di contrazioni, di simbolismo interiore”. Ne è un bell’esempio L’asino d’Empoli del 1956 , dedicato alla tradizione paesana di appendere durante la festa del Corpus Domini un asino a una carrucola, facendolo volare sopra la folla in piazza ino a farlo schiantare contro le colonne del Palazzo ghibellino. Adami ha accentuato l’aspetto grottesco di questa scena, specialmente nella caratterizzazione del personaggio di sinistra che suona il tamburello, dal volto chiaramente assimilato a un teschio secondo quei modelli nordici a cui fa riferimento il critico romano, ma forse anche pensando a certi motivi di Francisco Goya, a cui il giovane studioso si era avvicinato per la tesi di laurea iniziata con Lionello Venturi e discussa poi con Mario Salmi. al suo esordio pubblico del 1959, però, questa fase è stata ampiamente superata dal percorso di Adami. Come fa notare sempre Crispolti, nel suo breve excursus retrospettivo dal 1957 al 1961, l’artista fra 1958 e 1959 ha trovato un punto di riferimento nell’opera del cileno Roberto Sebastian matta, che gode di un momento di particolare fortuna in Italia e di cui la galleria del Naviglio aveva organizzato una personale a Milano proprio nel 1958.
Tadini, nel presentarlo, doveva essere ben consapevole di questa trasformazione da parte dell’amico artista, tanto da osservare, probabilmente alludendo a quella fase precedente, che “nell’espressionismo è sostanzialmente un accanimento emotivo su una forma figurale accettata di peso da una tradizionale convenzione visiva. Il personaggio è fisiologicamente e intimamente un personaggio ‘dato’, che viene deformato dall’esterno. La sua sostanza rimane intatta: se ne altera soltanto la periferia”. Per collocare Adami in un contesto fenomenologico, infatti, Tadini si sofferma sul quel passaggio da una “lunga inerzia archeologica” della pittura fra le due guerre a una “ben più ampia disponibilità (e aggressività) nei confronti del reale”, complici l’esempio di Pablo Picasso e l’astratto-concreto venturiano (non espressamente citato), dei primi anni del dopoguerra. Va tenuto presente che l’esordio critico di Tadini avviene in un momento di messa in crisi dell’informale, promuovendone un definitivo superamento. È in questa accezione, infatti, che coglie i pericoli sia dell’espressionismo come deformazione esteriore della sua pittura fatta di materia che può condurre a una totale disgregazione della rappresentazione. L’attenzione di Tadini, però, è proiettata in avanti. L’anno successivo nel 1965 presenta un’altra mostra di Adami, soffermandosi soprattutto su quadri come il grande Uovo rotto del 1964, che l’artista addita fra i risultati migliori di quel momento: un dipinto che ha il formato per far pensare a una rivisitazione ironica dei modi del quadro di storia, raffigurante, stando a una lettera in cui parla di “un uovo che si rompe e una macchina che a destra ne fuoriesce” una situazione paradossale, quasi di invenzione surrealista, a cui il contorno spesso e la tavolozza dai toni delicati, ben lontani dai gialli e dai blu di Lichtenstein ma affini alla sintassi della cartellonistica, davano volutamente un tono ironico. Per Tadini era il momento di ingresso di Adami in quella nebulosa “pop” cui si stava cercando di dare una connotazione ‘italiana’. Il giro di anni 1963-1964, però, significa sotto molti punti di
vista un momento di svolta. Da una parte, per Adami è un consolidamento della propria posizione di mercato. La geografia dei gruppi sta avendo un nuovo assetto, dovuto anche al progressivo emergere di un nuovo gallerista grosso modo loro coetaneo, Giorgio Marconi, che prende presto Adami nella sua squadra. anche sulla stampa periodica di larga diffusione, del resto, apparivano segni di una compagine mutata, come mostra la ‘conversation-piéce’ messa in scena per una grande foto a colori su “L’Europeo” da Romagnoni, Adami, Somaré e Tadini sul terrazzo dell’abitazione di quest’ultimo in via Jommelli a Milano: una scena di vita quotidiana, un po’ artefatta, in cui il padrone di casa, al centro, non è soltanto un critico in mezzo ai suoi pittori colti in un incontro feriale, ma è un collega pittore insieme ad amici pittori. a questa potrebbe fare da pendant la compagine protagonista del V poemetto contenuto in Rapporto informativo, la raccolta di poesie di sanesi scritta fra 1962 e 1964: vi si incontrano i due fratelli Pomodoro ed Enrico Baj, il gallerista e scrittore Arturo Schwarz, “che disegna le mani del buon Frate Angelico” e infine “il banjo di Emilio”, che altri non può essere se non, ancora una volta, Emilio Tadini . il vecchio gruppo che si era presentato sotto l’etichetta di ‘realismo esistenziale’, ormai sciolto da tempo nonostante rimangano rapporti amichevoli fra i suoi ex-componenti, non esiste più nemmeno come unità critica. Giorgio Marconi ha costituito una nuova compagine intorno alla Bottega d’arte di suo padre, Egisto Marconi, prima di aprire lo studio Marconi nel novembre del 1964, e organizza mostre presso altre gallerie, come alla Galleria Proili in via Brera nell’aprile 1964. Sul manifestocatalogo, infatti, si trova una foto di gruppo a piena pagina che ritrae Adami, Romagnoni, Renato Volpini e Lucio Del Pezzo insieme a Marconi stesso, e una brevissima nota di Tadini, che nel frattempo a sua volta è uscito pubblicamente allo scoperto nella veste di pittore dopo aver esposto alla galleria del Cavallino nel 1961 presentato da Alberto Martini, spiegava le ragioni di questo raggruppamento:
“i pittori che espongono insieme in questa mostra non formano un gruppo, non sottoscrivono un programma. ma chi li ha riuniti ha saputo distinguere nel loro lavoro una serie di elementi comuni più o meno riconoscibili ma in ogni caso estremamente significativi”. Sulla pittura di Valerio Adami tra il 1990 e il 2000, dagli anni in cui il suo linguaggio raggiunge la piena maturità espressiva sino alle esperienze più recenti, connotate da una nuova definizione dello spazio. Con una selezione di cinquanta dipinti provenienti dalla Fondation Adami e da collezioni pubbliche e private italiane e straniere, la mostra ha evidenziato come la ricerca formale, che negli anni ‘60 decostruiva i luoghi e gli oggetti della quotidianità per poi successivamente scoprire attraverso la memoria neoclassica la figura del corpo umano, sia infine giunta a una dimensione di racconto pervaso da un nuovo, inedito lirismo. Dietro a immagini di immediata leggibilità è sottintesa una narrazione più profonda: le opere di Adami si popolano di metafore visive sofisticate e racchiudono concetti filosofici, letterari e mitologici, rappresentando l’evoluzione del pensiero occidentale. I miti fondativi della cultura europea, i suoi autori, le loro storie diventano i soggetti quasi esclusivi della sua opera, senza dimenticare certe narrazioni esotiche che comunque appartengono alla visione del mondo occidentale: è questo concentrato di attenzioni che, negli anni, lo farà colloquiare a fondo con alcuni tra i più grandi intellettuali e scrittori del ‘900, come Octavio Paz, Italo Calvino, Jacques Derrida, Luciano Berio, Antonio Tabucchi, JeanFrançois Lyotard. Nonostante Adami sia noto per il cromatismo acceso delle sue narrazioni, è il disegno la vera
chiave di lettura, il punto di partenza di ogni suo quadro, il centro del suo pensare l’arte, il “nulla dies sine linea”, perché consente di comprendere appieno il rapporto tra idea, soggetto, narrazione, parola, che poi esplode nella pittura.
GIOVANNI SPINAZZOLA
Giovanni Spinazzola nasce a Ferrandina (Matera) nel 1972.
Si diploma prima al liceo artistico di Matera, poi consegue il diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano).
Tra gli anni 1991-1997 collabora con la stamperia d’autore La Spirale (dove apprende le tecniche litografiche, xilografiche, serigrafiche e calcografiche) e con la Leo Burnett Company.
Successivamente lavora come Designer di mobili imbottiti con le aziende Nicoletti s.p.a. ed Ego Italiano.
Fra le mostre più significative: XV Congresso Europeo per la cardiologia “Zambon Group”, Inghilterra; Concorso per conto della società Calvin Klein, Milano; Trenta ore per la vita a favore dell’AISM, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Salon 1°, Brera, Milano; Gruppo d’Arte, Cinisello Balsamo; Partecipazione alla Giornata Mondiale per la pace Swatch-Peace Unlimited, Milano; Giovani Proposte, Galleria La Roggia, Palazzolo sull’Oglio, Brescia; I colori del vento, Milano; Couleurs Printaniéres, Cristal D’Argentiére, Francia; Insieme per donare 2001, Aula Magna dell’ospedale
Luigi Sacco, Milano; Il Convito della Bellezza, salone Pontificio Seminario Regionale Minore, Potenza; I Custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Campionesi del III Millennio, Galleria Civica, Campione d’Italia; Cib’arte e Universo Cartesiano, Galleria d’Arte della Certosa, Milano; I custodi della Memoria Collettiva, Museo Provinciale, Potenza; Segni di fede nel battistero sul lago, Museo dello Stucco e della Scagliola Intelvese, Comunità Montana Lario Intelvese e Comune di Lenno (Co); Un Tempo e uno Spazio per l’omaggio alla bellezza, Salone Pontificio Seminario Regionale Minore di Potenza; Nuovi percorsi, Galleria “L’Ariete”, Potenza; PagliaronArte, Senise (Pz); Arte in Tasca, Centro culturale “Annotazioni d’arte”, Milano; Arte Estate Spinoso, Spinoso (Pz); Progetto scenografico del Recital Chi è come te tra i Muti?, Teatro “Due Torri”, Potenza; Rosari Virginis Mariae, Salone Seminario Minore, Potenza; Ciò che è infinitamente piccolo, artisti del 1900 e contemporanei, Galleria Civica, Palazzo Loffredo, Potenza; Personale Passante, Galleria Idearte, Potenza, Libro in arte – L’autunno profuma di libro, Castello di Lagopesole (Pz); Padiglione Italia alla 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia per il 150° dell’Unità d’Italia a cura di Vittorio Sgarbi, Galleria Civica Palazzo Loffredo, Potenza; I care (io me ne curo), Galleria civica, potenza; Personale cityscapes, Galleria idearte, Potenza.
CAMPANIA
A SORRENTO ANTONIO LIGABUE
Una mostra a dir poco meravigliosa che unisce Sorrento a un artista internazionale come Antonio Ligabue.
Dal 5 agosto al 16 novembre 2024 le sale di Villa Fiorentino accolgono l’esposizione che si presenta come una antologica che permette al pubblico di confrontarsi con opere realizzate durante tutta la vita creativa di un artista ribelle, ma geniale, inquieto e visionario, che è ormai un vero e proprio mito dell’arte del Novecento. La sua esistenza marginale, isolata, ma non senza incontri memorabili – frequentò sempre artisti, scrittori e registi in ogni sua stagione – da esule, reietto, borderline psichico in bilico tra lucidità e follia lo anticipa, accompagna nell’immaginario del grande pubblico che pone la tenacia individuale, lo sforzo teso e continuo, il genio innato come riscatto rispetto a qualsiasi condizione svantaggiata iniziale. Ligabue, come si vedrà nella mostra, attraverso le opere, ha saputo costruirsi un linguaggio assolutamente personale, forte e incisivo, ribellandosi, come ogni grande artista, all’impaccio delle regole e dei condizionamenti.
Curata da Marzio Dall’Acqua, promossa da Città di Sorrento e Fondazione Sorrento in collaborazione con Ligabue Art Projects, l’antologica che sarà inaugurata domenica 4 agosto alle ore 19, celebra un grande espressionista, uno dei protagonisti dell’arte italiana del XX secolo. Antonio Ligabue appare assolutamente anomalo fra i pittori del Novecento, nella sua violenza, nella sua espressività, per il suo mondo visionario e così insieme parallelo alla realtà, in una narrazione sempre epica e drammatica. Potremmo dire che l’esposizione di Sorrento è sotto il segno del “riscatto” dell’opera dell’artista da equivoci critici, ottusità interpretative e invenzioni giornalistiche di costume, che ne hanno, nel tempo, inquinato la possibilità di leggerne
correttamente l’opera. Ormai indubbiamente il caso Ligabue lo possiamo considerare quello di un maestro “classico” della contemporaneità della figurazione artistica: molte di quelle che potevano apparire scorrettezze, forzature, eccessi cromatici violenti ed irrituali sono ormai, non solo patrimonio del gusto comune, ma non suscitano più tanto scandalo e neppure reazioni di rifiuto o preclusioni, appartengono al nostro immaginario e incantano le nostre percezioni e le nostre emozioni. Persino certi sbalzi di umore, certe stonature, certe dissonanze tra opere riuscite ed esiti non pienamente realizzati, nelle loro distonie ci appaiono meno gravi, meno irreparabili, presentandosi come declinazione di una ricerca talora al buio, talora travolta dall’emozione e dal percorrere una propria strada solitaria per comunicare con gli altri. .
La mostra, visitabile dal 5 agosto al 16 novembre nella Villa Fiorentino presenta 67 opere: 52 dei suoi celebri oli, tra cui capolavori come Testa di tigre (1956), Leopardo sulla roccia (1960), Vedova nera(1955), Aquila con volpe (1944), Gatto selvatico con nibbio (1960), Autoritratto (1959). Straordinario il Ritratto di Elba (1936), il primo quadro di Ligabue dedicato a riprendere altri, in questo caso una bambina morta per consolare la madre, eccezionalmente prestato con generosità dal proprietario. In questa mostra, anche il ritratto di Marino, siamo sempre
prima della seconda guerra. Gli autoritratti l’artista li inizierà solo dal 1940, nell’Istituto Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, su richiesta dell’incisore e scrittore Luigi Bartolini. Ligabue fu un eccezionale disegnatore ed incisore, specialmente a bulino su matrice metallica. Inoltre non sempre vengono esposte le sue sculture, che sono di una eccezionale qualità estetica. A Sorrento, in mostra, sono presenti 15 delle sue intense sculture in bronzo realizzate dall’originale in argilla del Po che l’artista masticava a lungo per renderla duttile.
“La scelta di investire sul turismo culturale, puntando su eventi di richiamo internazionale, e programmando appuntamenti dedicati ad un pubblico innamorato dell’arte, trova conferma in questo nuovo evento dedicato ad Antonio Ligabue che ci apprestiamo ad inaugurare - spiega il sindaco di Sorrento, Massimo Coppola -. Le opere, dai dipinti alle sculture, dai disegni alle incisioni, propongono a cittadini e visitatori, e ci auguriamo a tanti giovani, uno squarcio sul tormentato mondo di uno degli artisti più originali ed eclettici del secolo scorso”.
“Con Antonio Ligabue apriamo le sale di Villa Fiorentino ad un artista del XX secolo che ha fatto dell’anticonformismo il suo segno distintivo - commenta l’amministratore
delegato di Fondazione Sorrento, Alfonso Iaccarino -. Siamo sicuri che l’esposizione sarà accolta con favore dagli appassionati della nostra terra e dai tanti ospiti che nelle prossime settimane sceglieranno la nostra Costiera per le proprie vacanze. Un evento che ha tutte le carte in regola per rappresentare l’appuntamento culturale dell’estate per gli amanti dell’arte”.
La mostra è costruita per sezioni, con un intento chiarificatore e didattico per agevolare la conoscenza e l’amore per l’opera di Ligabue. Audioguide, filmati originali d’epoca, ampie didascalie ed un catalogo che documenta tutta la mostra sono strumenti di ulteriore corretto e scientifico approccio all’opera di questo unico e singolare artista.
LETIZIA CAIAZZO
L’Arte di Letizia Caiazzo si basa sull’utilizzo di strumenti digitali e software grafici, che le consentono di esplorare le infinite possibilità creative offerte dalla tecnologia. Le sue opere sono il frutto di una ricerca profonda e personale, che mira a far emergere la bellezza nascosta delle cose, andando oltre la superficie e la realtà apparente. Letizia Caiazzo non si limita a riprodurre immagini preesistenti, ma le crea, le trasforma, le sovrappone, le mescola, le illumina, creando composizioni originali e suggestive, che richiamano sia l’arte astratta che quella informale, nonché la figurativa.
E’un’artista che non si lascia condizionare dai canoni predefiniti del mercato dell’arte, ma segue il suo istinto e la sua sensibilità, sperimentando continuamente nuove forme e nuovi contenuti. La sua arte digitale è una testimonianza della sua capacità di andare oltre i limiti imposti dalla materia e dal tempo, per esprimere al meglio la sua visione del mondo e la sua componente umana. Per maggiori informazioni sul suo lavoro e le sue opere, puoi visitare il suo sito web: Letizia Caiazzo.com
email:arsarmoniamundi@gmail.com
LINA FRANCESCA
Un talento artistico della Calabria
Lina Francesca Amendola, artista originaria di Cosenza, si è affermata nel panorama dell’arte contemporanea grazie a un percorso caratterizzato da passione, talento e intuizione. Fin da giovanissima, Amendola ha mostrato un segno distintivo: una forte inclinazione per il disegno, che ha affinato con impegno e dedizione in modo autodidatta. Dopo aver conseguito un diploma come tecnico dell’abbigliamento e della moda, a soli 19 anni ha ottenuto l’occasione di lanciare la sua carriera espositiva. Le sue opere, principalmente realizzate con la pittura ad olio, si caratterizzano per la diversificazione delle tecniche utilizzate e per la profonda espressività. Ogni suo lavoro è una fusione di emozioni e riflessioni personali, rendendo l’arte di Amendola accessibile e potente al tempo stesso.
La sua carriera è segnata da un’intensa attività espositiva: ha preso parte a numerose mostre, sia personali che collettive, in Italia e all’estero. Tra le mostre personali più significative, si annoverano “I Wait” del 2013 e “Danze e colori” del 2012, eventi che hanno saputo catturare l’attenzione del pubblico e della critica. Non mancano le sue partecipazioni a rassegne d’arte contemporanea di alto profilo e festival, come la Mostra Internazionale di pittura “Impressioni d’Autunno” nel 2019, che ha ulteriormente consolidato la sua visibilità nel panorama artistico internazionale.
I riconoscimenti non sono tardati ad arrivare: nel 2018, Amendola ha ricevuto il 1° Premio Eccellenza Europea delle Arti, un attestato della sua bravura e creatività. Inoltre, è stata premiata in diversi festival e concorsi artistici, sottolineando la qualità delle sue opere. La sua carriera è arricchita da collaborazioni con critici d’arte e gallerie di prestigio, con opere incluse in cataloghi di esposizioni e illustrazioni pubblicate su libri e riviste del settore. Lina Francesca Amendola rappresenta un esempio di come la passione possa guidare verso un percorso artistico autentico e in continua evoluzione. La sua dedizione all’arte visiva è evidente e la sua capacità di esprimere la complessità delle emozioni umane attraverso la pittura la colloca come una delle voci più promettenti nell’arte contemporanea. Ho avuto il piacere di intervistare un’amica e una bravissi-
ma artista: Lina Francesca Amendola. La sua passione per il disegno e la pittura si è manifestata fin dalla giovane età e attraverso le sue parole scopriamo la sua visione dell’arte, il suo processo creativo e il legame profondo con le sue opere.
D. Come ti sei avvicinata al disegno e alla pittura?
R. Già dalla più tenera età ero predisposta e amavo disegnare, è un dono innato che col tempo si è trasformata in una vera passione - racconta Lina evidenziando l’importanza delle radici della sua vocazione artistica.
D. C’è un luogo preferito da cui trai espirazione?
R. Non c’è un luogo ben preciso, di solito prendo spunto da luoghi e posti che vivo nel quotidiano oppure nella gran parte sono immaginati e scaturiti dalla mia fantasia.
D. Quanto tempo impieghi per realizzare un’opera?
R. I tempi di realizzazione variano a seconda della complessità e dell’ampiezza dell’opera, non ho dei tempi ben precisi.
D. Quali sono i colori prevalenti della tua tavolozza?
R.Nelle mie opere i colori predominanti sono il bianco zinco e il bianco titanio, il nero d’avorio e il blu oltremare, utilizzo anche i colori luminescenti che assorbono la luce e la rigettano al buio, specifica Lina rivelando così la magia e l’innovazione che caratterizzano il suo lavoro.
D. Cosa puoi dirci della tua tecnica pittorica?
R.Non ho una tecnica ben precisa, varia a seconda delle opere.
Questo approccio versatile testimonia la libertà creativa che Lina abbraccia permettendole di esprimere se stessa in modi diversi.
D. Cosa è l’arte e cosa vuol dire essere un’artista?
R. L’arte è per me una forma di espressione, un modo di essere.Non mi definisco artista ma semplicemente pittrice, afferma con umiltà mettendo in luce la sua visione autentica e personale dell’arte.
D. Ti è mai capitato di sognare un’opera da realizzare?
R. No, non mi è mai successo, risponde Lina,facendo emergere la spontaneità del suo processo creativo lontano da preoccupazioni oniriche.
D. Hai sempre desiderato intraprendere questa professione?
R. La pittura in generale mi rilassa e rappresenta più un hobby che una professione, spiega l’artista rivelando che il suo approccio all’arte è più orientato al piacere che all’ambizione.
D. Sei contenta della tua professione?
R. Fino a quando rimane un hobby si, afferma Amendola, evidenziandola significativa distinzione che fa tra passione e professione.
D. Ti separi volentieri dalle tue opere? che tipo di rapporto lega un’artista alla sua creazione?
R. No perché le mie opere le considero frutto della mia creatività e del mio vivere, conclude Lina. La sua dichiarazione esprime un profondo attaccamento alle proprie creazioni testimoniando il valore che l’arte ha nel suo mondo interiore.
Da questa nostra conversazione emerge una figura di ar-
tista autentica che vive la sua passione con profonda connessione alle emozioni che porta su tela. La sua arte è un riflesso della sua vita un viaggio personale che continua ad evolversi.
“I personaggi e gli oggetti rappresentati da Lina si inseriscono nello spazio in un modo quasi magico. Ed ecco di colpo si mostrano delle vere e proprie apparizioni che emergono dal profondo buio con guizzi di colore luminescenti che sembrano sempre sul punto di sparire. Sin dal Rinascimento i pittori cercavano delle tecniche per rendere i dipinti luminosi creando un effetto magico imprigionando la luce che muta e le luminescenze erano studiate attentamente per accentuare il pathos” (tratto dal libro di Alessandra Primicerio: L’arcobaleno dell’anima. l’arte come introspezione, 2015. Pp.13-14-15).
Alessandra Primicerio (critico d’arte)
Celico celebra la 23° edizione della Rassegna di Arte Contemporanea
Quest’anno la Rassegna di Arte Contemporanea di Celico (CS) ha raggiunto un traguardo significativo con la sua 23° edizione. L’evento, ideato e curato dal maestro Luigi Greco con il patrocinio del Comune di Celico, riveste un ruolo fondamentale nella storia culturale del paese e dell’arte contemporanea.
Le opere degli artisti partecipanti sono state esposte nell’affascinante cornice dell’ex convento dei Cappuccini, creando un’atmosfera unica per i visitatori. La rassegna di quest’anno ha presentato una ricca varietà di stili, dall’arte figurativa a quella classica ed espressiva, con opere che spaziano dai quadri a installazioni in legno e ferro. Ogni pezzo esposto racconta una storia, esprimendo la creatività e la bellezza interiore degli artisti coinvolti.
Un elemento distintivo di questa edizione è il forte impegno verso tematiche di attualità, quali la pace, la tutela dell’ambiente e la dignità umana. L’evento ha visto la partecipazione di molte giovani promesse accanto a artisti di grande esperienza, creando un dialogo prezioso tra diverse generazioni creative. Il maestro Greco, in un toccante gesto, ha dedicato questa rassegna alla moglie Franca, scomparsa prematuramente, sottolineando come l’arte possa anche diventare un tributo al ricordo e all’amore.
Un altro obiettivo ambizioso del sindaco di Celico e del maestro Greco è quello di realizzare una mostra permanente di arte contemporanea nel paese presilano, rendendo la cultura un elemento duraturo all’interno della comunità. La rassegna è un’opportunità per un confronto dinamico tra giovani artisti emergenti e professionisti affermati, creando uno spazio di dialogo su questioni rilevanti della società contemporanea. Le opere in esposizione si distinguono per l’utilizzo di colori vivaci e luci, trasformando l’ambiente in una vera e propria esperienza sensoriale.
I visitatori sono invitati a intraprendere un viaggio visivo attraverso una gamma di stili e approcci artistici, lasciandosi ispirare da un caleidoscopio di idee ed emozioni. In un contesto globale in costante evoluzione, l’arte si afferma come un faro di speranza e riflessione, evidenziando la bellezza e la fragilità delle sfide che affrontiamo insieme come collettività.
Alessandra Primicerio (critico d’arte)
Arte e Tradizione: L’Estate Culturale di San Fili con AlterEgo
Nella suggestiva cornice di San Fili, un borgo incantevole in provincia di Cosenza, l’associazione AlterEgo ha dato vita a un’estate ricca di eventi che celebrano l’arte e la cultura locale. Quest’anno, il cartellone della manifestazione si distingue per due mostre collettive e un’installazione artistica, creando un connubio perfetto tra creatività e tradizione.
La highlights dell’estate è stata la Collettiva “Lo Sguardo Oltre”, giunta alla sua quinta edizione, che ha reso omaggio a due artisti scomparsi, Pino Faraca e Luigi Rovella. Le opere dei due maestri sono state esposte con una selezione di lavori capaci di evocare il ricco patrimonio artistico di San Fili, un luogo intriso di storia e mistero. L’esposizione ha come tema centrale le magare, affascinanti figure della tradizione locale, rappresentate da vari artisti nel tentativo di catturare l’atmosfera magica e misteriosa del borgo. Inoltre, l’installazione dello straordinario maestro del riciclo Nando Segreti ha portato un ulteriore tocco di innovazione e sostenibilità all’evento. La sinergia con le “Notti delle Magare”, una manifestazione che ha visto un boom di presenze anche quest’anno, ha reso l’esperienza ancora più coinvolgente e suggestiva.
Per la Notte Bianca del 17 agosto, AlterEgo ha proposto un tris d’arte con la collettiva “Arte per una Notte... Bianca”. Diversi artisti, accolti con entusiasmo dall’associazione e dal Comune di San Fili, hanno arricchito l’evento, portando bellezza e vivacità in un territorio colmo di fascino culturale.
Francesca Lo Celso, presidente di AlterEgo, ha coordinato l’intero progetto con la collaborazione della grafica Letizia Lucio e la curatela di Mariateresa Buccieri, garantendo un’esperienza artistica accessibile e coinvolgente per tutti. All’interno di questo contesto, San Fili si distingue come il “paese delle magare”, un luogo dove storia e leggenda si intrecciano. Le magare, spesso associate ingiustamente a figu-
re di stregoneria, in realtà rappresentano antiche guaritrici, custodi di know-how temporale e naturale, che si tramandano attraverso le generazioni. L’ obiettivo è stato quello di mettere in luce il valore di queste donne incredibili, rivalutandone il ruolo cruciale che hanno avuto nelle comunità. La “Notte delle Magare” ha inoltre rimesso in vita tradizioni ancestrali attraverso mascheramenti, spettacoli musicali e degustazioni di prodotti tipici, trasformando le strade del borgo in un palcoscenico di folklore e magia, richiamando l’attenzione su un patrimonio culturale da riscoprire.
Tra le leggende più affascinanti di San Fili si erge la figura della “Fantastica”, un’entità misteriosa che funge da nume tutelare del paese. Simile a una Befana o a una strega, questa figura avverte i bambini di non allontanarsi e si manifesterebbe in epifanie che evocano rispetto e timore. Descritta come una donna volante, la Fantastica è rappresentata in abiti nuziali, ma la sua presenza evoca anche inquietudine. Le storie che circolano attorno a lei rivelano un mix di venerazione e paura, contribuendo a un immaginario collettivo ricco e affascinante.
La tradizione delle magare e la leggenda della Fantastica di San Fili offrono uno sguardo profondo sulle credenze e sui valori che hanno plasmato la comunità. Riscoprire e celebrare il passato significa anche rivalutare le figure femminili che, pur essendo state incomprese, rappresentano un patrimonio culturale fondamentale. Con il loro sapere e la loro forza, le antiche guaritrici e le figure fantastiche continuano a incantare e a ispirare le nuove generazioni, stimolando una riscoperta delle meraviglie che la tradizione ha da offrire.
Grazie a eventi come quello organizzato da AlterEgo, San Fili mantiene vive le sue storie, il suo folklore e l’arte, arricchendo il panorama culturale locale e alimentando la memoria collettiva.
I Tesori d’Italia
Agrigento - Villa Aurea, Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi
26/07/2024 - 31/12/2024
la mostra che celebra Agrigento, Capitale della cultura italiana per l’anno 2025, da luglio 2024 a dicembre 2025 l’esposizione a Villa Aurea della Valle dei Templi, è un viaggio nel patrimonio culturale e artistico attraverso le opere di 20 regioni italiane. Il progetto di una mostra dedicata a capolavori d’arte identitari di ogni regione d’Italia, dal Medioevo alla contemporaneità, nato in occasione delle celebrazioni di “ Agrigento capitale italiana della cultura 2025”. Oltre 60 opere di grandi artisti originari di tutte le 20 regioni in 7 secoli di arte italiana sono i protagonisti della mostra I Tesori d’Italia – I grandi capolavori, aperta fino a dicembre 2025 a Villa Aurea della Valle dei Templi di Agrigento, città designata Capitale della cultura italiana per l’anno 2025. La mostra, a cura di Vittorio Sgarbi e Pierluigi Carofano, promossa dal Parco Archeologico di Agrigento, prodotta da Consorzio Progetto Museo e patrocinata dal Ministero della Cultura, per 18 mesi esalterà la grandezza del patrimonio artistico e culturale nazionale ammirato in tutto il mondo, all’interno di uno dei siti culturali e archeologici più prestigiosi d’Italia e Patrimonio Unesco.
La grande mostra rappresenta un ambizioso viaggio nella storia dell’arte italiana, dalle origini alla contemporaneità, lungo 18 mesi. Si articola in 3 differenti allestimenti
che, a rotazione, presenteranno oltre 60 opere, tra dipinti e sculture, provenienti dai più importanti musei civici, regionali e nazionali e da importanti collezioni private, a testimonianza di una coesione civile e culturale attraverso le stratificazioni e la varietà dell’arte italiana dal XV al XXI secolo, dalle origini alla contemporaneità.
La prima fase del progetto, in programma da luglio a novembre 2024, vero e proprio red-carpet in vista delle celebrazione 2025 di Agrigento capitale della cultura italiana, rappresenta un excursus storico temporale in cui protagoniste sono le opere di: Domenico Cagini (Sicilia), Pietro Cavaro (Sardegna), Nicolò dell’Arca (Puglia), Marco Cardisco (Calabria), Michele Tedesco (Basilicata), il Battistello (Campania), Antonio Finelli (Molise), Perugino (Umbria), Carlo Maratti (Marche), Giacomo Balla (Lazio), Saturnino Gatti (Abruzzo), Giovan Battista Langetti (Liguria), Bernardo Strozzi (Liguria), Guido Cagnacci (Emilia-Romagna), Vitale da Bologna (Emilia-Romagna), Lippi-Botticelli (Toscana), Bartolomeo Montagna (Veneto), Luigi Bonazza (Trentino-Alto Adige), Pierpaolo Pasolini (Friuli-Venezia Giulia), Adolf Wildt (Lombardia), Giovanni Girolamo Savoldo (Lombardia), Sodoma (Piemonte) e Italo Mus (Valle d’Aosta)....
I Tesori d’Italia
Agrigento - Villa Aurea, Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi
26/07/2024 - 31/12/2024
DE PASQUALE, La rotta del cuore, INSTALLAZIONE-BARCA 2024
Circondata da visioni di fondali marini e dai grandi finestroni aperti sui giardini tropicali di Isola Bella, la barcainstallazione di Concetta De Pasquale è il punto focale della mostra “La rotta del cuore” (dal 21 luglio e fino al 4 novembre), omaggio a Lady Florence Trevelyan – filantropa e botanica vissuta tra l’Ottocento e il Novecentoche, allontanata dalla corte inglese, trovò a Taormina il suo destino legandolo per sempre a quello della cittadina Al viaggio di Lady Trevelyan, un esilio forzato verso quell’angolo della Sicilia che divenne il suo Eden, è dedicata la mostra “La rotta del cuore” di Concetta De Pasquale, a cura di Andrea Guastella. Un progetto del Parco Archeologico Naxos Taormina diretto da Gabriella Tigano che per gli spazi di Villa Bosurgi – splendida architettura a padiglioni “cuciti” e nascosti nella roccia – ha coinvolto l’artista dalla spiccata sensibilità verso la natura e il mare. La mostra si inaugura domenica 21 luglio, alle ore 18.30. Quindici le opere esposte, insieme a quattro carte nautiche che completano l’installazione site-specific nella Sala del Biliardo di Villa Bosurgi. “Non si tratta ovviamente di semplici tracciati – scrive il curatore Andrea Guastella nel suo saggio critico - ma di visioni che riassumono in chiave onirica le tappe del viaggiare o, come accade nei grandi dipinti alle pareti, di segni impressi dall’artista sulla carta col proprio stesso corpo. Queste ultime opere, de-
dicate all’Universo Mare, sono state realizzate da Concetta durante un soggiorno in Indonesia ed esposte in mostre organizzate, a Bali e a Bandung, dall’Ambasciata d’Italia e dall’Istituto Italiano di Cultura di Jakarta. Rappresentano gli abissi così come può vederli chi non si limita a navigarvi sopra ma, lasciandosi trasportare dalle placide correnti, li attraversa dall’interno”.
A spiegare la fascinazione per la storia e il personaggio di lady Trevelyan è la stessa artista: “Colpita dal suo vissuto – racconta Concetta De Pasquale – ho lavorato sul tema di una navigazione immaginaria che raccontasse in chiave simbolica e onirica la storia d’amore che ha trasformato lo scoglio di Santo Stefano in un luogo unico di bellezza. Il progetto “La rotta del cuore” ripercorre infatti il viaggio per mare di Florence Trevelyan dall’Inghilterra attraverso le coste atlantiche dell’Europa fino allo stretto di Gibilterra per giungere dopo gli approdi del Nord Africa, in Sicilia dove sbarca a Taormina”.
Mostra: Concetta De Pasquale. La rotta del cuore
Taormina - Isola Bella
dal 21/07/2024 al 04/11/2024
Organizzazione: Parco Archeologico Naxos Taormina
Indirizzo: Taormina (ME)