Renato Tomassi (1884-1972). Dalle secessioni al realismo magico

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(1884-1972)

Renato Tomassi Dalle secessioni al realismo magico





Renato Tomassi (1884-1972) DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

Matteo Piccioni

Roma - Galleria Berardi 4 maggio - 10 giugno 2017

Corso del Rinascimento, 9 - 00186 Roma Tel./fax +39 06 97606127 info@maestrionline.it - www.maestrionline.it


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Fortunato Della Guerra, Roma. Fig. 2, 61 - Su gentile concessione delle Gallerie degli Uffizi, Firenze - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Fig. 4 - Su gentile concessione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma - Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

Progetto grafico e impaginazione: www.work.roma.it © 2017, Galleria Berardi


SOMMARIO

Pag.

9 - Presentazione - Gianluca Berardi

Pag. 11 - Introduzione - Cinzia Virno

RENATO TOMASSI (1884-1972) DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO - Matteo Piccioni Pag. 15 - Nel segno dei tedeschi-romani: gli esordi di Renato Tomassi Pag. 31 - La paradossale libertà espressiva negli anni della Grande Guerra Pag. 45 - La contrapposizione tra disegno e colore nelle opere dei primi anni Venti Pag. 73 - Dalla Seconda Biennale Romana al trasferimento in Germania: tangenze novecentiste Pag. 106 - Opere in mostra Pag. 110 - Regesto delle esposizioni di Renato Tomassi (1907-1937) Pag. 114 - Bibliografia Pag. 116 - L’autore



RENATO TOMASSI - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

Presentazione

Le scelte compiute da una galleria antiquaria sono condizionate da incontri casuali e da ricerche specifiche. Renato Tomassi fa parte della seconda categoria. Qualche tempo fa avevo l'esigenza di completare le indagini sulle opere di Francesco Paolo Michetti nelle collezioni storiche, in funzione del Catalogo Generale di prossima pubblicazione, e chiesi la cortesia a un carissimo amico – quanto mai prezioso per la sua passione bibliofila ben calibrata sulla storia dell'arte in Italia tra Ottocento e Novecento – di poter utilizzare la sua vasta biblioteca fino a tarda notte (i tempi da dedicare allo studio sono a volte i più imprevisti). Inevitabilmente non potei resistere a scartabellare volumi di altri autori pescati a caso da una libreria che mi appariva inesauribile. E così mi ritrovai a sfogliare una vecchia monografia su Renato Tomassi. Rimasi senza parole. La padronanza assoluta di un segno tagliente e vivido, l'altissima classe delle impaginazioni e dei soggetti, la sorprendente cultura del maestro ben informato ora dei pittori del Rinascimento tedesco, ora di Otto Greiner, ora di Ferdinand Hodler per arrivare tra gli altri sino a Mario Cavaglieri e ad Umberto Moggioli, furono elementi che mi conquistarono facilmente. Presi degli appunti e mi misi in testa di trovare gli eredi per poter progettare una mostra, e cosa più importante un catalogo, che potesse finalmente contribuire alla riscoperta e alla conoscenza di questo grande maestro. Più tardi un incontro (fortuito?) con un ramo degli eredi che mi ha messo a disposizione il materiale documentario e le opere, il confronto con Cinzia Virno che già si era occupata del pittore, e il lavoro di ricerca puntuale e approfondito compiuto da Matteo Piccioni – che finalmente contestualizza il percorso di Tomassi nella temperie culturale della Roma dell'epoca focalizzandone la sorprendente dicotomia tra disegno e colore – hanno poi permesso di dare origine al presente catalogo e a portare a termine un progetto solo immaginato durante una lunga notte di ricerche.

Gianluca Berardi

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Nadia Bretschneider 1919. Particolare


RENATO TOMASSI - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

Introduzione

Oltre dieci anni fa, nel 2004, curai la mostra e il relativo catalogo: Renato Tomassi (1884-1972), Ritratti e vedute, presso la Galleria Pegaso di Roma. Affrontando lo studio dell’artista mi resi subito conto della qualità eccellente della sua opera che presupponeva una conoscenza approfondita della pittura italiana e straniera dall’antico al contemporaneo. Mi colpirono in particolare, la sapienza del disegno e la superba ricerca della forma, sia nella veduta che, soprattutto, nel ritratto, genere al quale Tomassi conferisce un nitore ed un equilibrio arcani, di ascendenza pierfrancescana. Il mio, allora, fu un contributo molto mirato alle opere esposte, tutte della prima fase artistica dal 1916 al 1943, e precedenti al deciso virare, in senso espressionista, del suo percorso. È certamente quella la fase più brillante della sua carriera per gli esiti raffinatissimi raggiunti attraverso un uso sapiente del segno e del colore. La vita di Tomassi è cadenzata da trasferimenti, spostamenti, e relativi cambiamenti di rotta nelle tematiche e nello stile. Dalla natia Subiaco il pittore va a vivere a Roma dove, grazie al rapporto con la colonia tedesca, in particolare con Otto Greiner affina il tratto rendendolo più minuzioso ed incisivo. Viaggia nel nord Europa, in Svizzera, Norvegia e più volte in Germania – che sceglie poi come luogo di residenza – confrontandosi con le coeve ricerche della pittura mitteleuropea. Affrontandone la complessa personalità compresi quanto questo artista, oggi poco noto al pubblico e agli studiosi, meritasse ulteriori studi e approfondimenti. “Appare evidente”, scrivevo, “che a Tomassi va assegnato uno spazio più ampio di quello finora assunto, riconoscendogli un ruolo certamente non secondario nell’ambito della pittura italiana del Novecento a fianco di artisti come Socrate, Casorati, Gentilini1”. La mostra che oggi si inaugura alla galleria Berardi e l’importante, rigorosa monografia scritta da Matteo Piccioni in questa occasione, restituiscono a Tomassi il ruolo che gli spetta nel panorama artistico italiano e internazionale. Il volume di Piccioni non contempla solo le opere esposte ma traccia del pittore – dagli esordi fino al suo trasferimento in Germania – un profilo biografico e critico molto puntuale completato anche dal regesto di tutte le mostre alle quali ha preso parte. Questo studio si presenta quindi, come punto di riferimento per un artista al quale finora la critica ha rivolto ingiustamente un’attenzione discontinua. Perlopiù conservate in musei italiani e stranieri, o in mano ad una stretta cerchia di collezionisti ed eredi, le opere di Tomassi sono rare sul mercato e in generale difficilmente visibili. L’attuale mostra con la citata monografia, in cui è stata operata una vasta ricognizione delle opere, costituiscono quindi una rara quanto preziosa occasione di conoscenza di questo originale pittore.

Cinzia Virno 1

C. Virno, Renato Tomassi (1884-1972). Ritratti e vedute, Pegaso, Palombi Editori, Roma 2004, p. 1.

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RENATO TOMASSI (1884-1972) - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

di Matteo Piccioni

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Ritratto di prelato, 1906. Particolare


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opere pittoriche e, in particolare, grafiche del pittore transilvano conservate al Brukenthal National Museum di Sibiu, in Romania, con gli sviluppi pittorici degli esordi di Tomassi. In ogni caso, riconosciute le doti pittoriche del ragazzo, questo fu mandato a studiare per un periodo a Roma, dove frequentò lo studio di Lipinsky, altro e più importante esponente della cultura artistica di area tedesca di stanza a Roma3, che aveva un’accademia privata a via Margutta molto frequentata sia dai giovani d’oltralpe che da quelli locali. Fu così che, un po’ per caso e un po’ per attitudine, Tomassi si avvicinò alla cultura visiva tedesca e più specificatamente mitteleuropea, divenendo probabilmente una delle più importanti espressioni di quella mania filotedesca che caratterizzò la cultura romana del primo Novecento4. Come rende testimonianza Gino Severini nelle sue memorie e come ricordava nel 1916 Umberto Boccioni5, infatti, nei primissimi anni del nuovo secolo era l’arte mitteleuropea a suscitare i maggiori entusiasmi nelle file della “bohème” romana. Severini rammenta in particolare che Boccioni «era un grande ammiratore del pittore tedesco Otto Greiner e degli artisti di Monaco in generale. Questo pittore aveva allora una certa influenza tra gli artisti di Roma; disegnava minuziosamente, con precisione analitica, ma non senza eleganza»6. Come Boccioni7, come Roberto Basilici8 e come Severini stesso, anche Tomassi, loro coetaneo, fu un appassionato seguace del pittore tedesco9 stabile, dalla fine degli anni Novanta dell’Ottocento, a Roma10. Di

Nel segno dei tedeschi-romani: gli esordi di Renato Tomassi

Nato nel 1884 a Subiaco dal matrimonio tra un maestro elementare appassionato di musica, Luigi, e Marianna, figlia del marchese Vincenzo Giustiniani, amministratore papalino della cittadina laziale1, Renato Tomassi iniziò a dipingere quasi per caso. Questo accadde, stando a testimonianze indirette2, in seguito al fortuito incontro con il pittore ungherese Robert Wellmann che aveva uno studio-eremo proprio nei pressi del suo paese natale, chiamato La Maddalena. Il giovane dimostrò da subito di possedere una capacità d’osservazione molto sviluppata, accompagnata da una innata dote nel disegno e una sottile sensibilità cromatica. Data tale predisposizione, grazie anche ai suggerimenti di Wellmann, egli riuscì a maturare un linguaggio attento al reale e di stampo analitico. Del resto, lo stile del pittore austro-ungarico, che aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Monaco, era caratterizzato esattamente da un naturalismo molto minuzioso, assimilabile a quello di altri pittori mitteleuropei contemporanei quali Max Klinger, Otto Greiner, Sigmund Lipinsky, che sarebbero stati, non a caso, maestri ideali e reali di Tomassi. Dunque, sebbene l’agiografia del pittore sublacense insista sulla sua formazione da autodidatta, non si può negare che nel suo linguaggio giovanile il ruolo di Wellmann sia stato essenziale. Questo si rivela confrontando alcune

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MATTEO PICCIONI

non un vero e proprio allievo, sono comunque poche le informazioni e le testimonianze circa il loro rapporto. La questione più delicata riguarda il loro primo incontro. Se è verosimile che sia stato Wellmann a mettere in contatto Tomassi con il mondo tedesco-romano e con Lipinsky, può essere altrettanto plausibile che sia stato quest’ultimo a far incontrare il giovane italiano con il maestro tedesco intorno al 1905. Quel che è certo, è che la notizia riportata dalla bibliografia12 circa una accettazione di nove dipinti di Tomassi all’esposizione di quello stesso anno della società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma, la principale rassegna artistica della Capitale, grazie all’intercessione di Greiner che era membro della giuria di accettazione, non sembra poter sussistere e questo per due ragioni documentarie complementari: la prima volta che Tomassi espose ufficialmente agli Amatori e Cultori di Roma con un numero cospicuo di opere (ben dieci) fu nel 1907 e, in quell’occasione, Greiner non faceva parte della giuria13. Al di là di tutto non sembra invece da mettere in discussione che proprio il legame con il tedesco abbia aperto la strada ad una serie di committenze provenienti dal mondo tedesco-romano, che di lì a poco avrebbe rappresentato la principale fonte di sostentamento economico e intellettuale del giovane pittore. Più in generale, va osservato che il clima filo-tedesco della Capitale era alimentato, oltre che dalla presenza degli artisti, anche dalla circolazione delle principali riviste dell’ambiente secessionista mitteleuropeo – “Pan”,

Fig. 1 - Maria Latini, 1904. Collezione privata

Greiner i giovani romani apprezzavano – al netto della visionarietà simbolista – il suo disegno capace di essere reale e astrattizzante al tempo stesso, grazie al perfetto equilibrio tra una linea di contorno che quasi incide le forme e un chiaroscuro morbido che le rileva11. Nonostante Tomassi sia considerato dalla bibliografia l’italiano più vicino a Greiner, se

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NEL SEGNO DEI TEDESCHI-ROMANI: GLI ESORDI DI RENATO TOMASSI

“Jugend”, “Simplicissimus”, “Ver Sacrum”14 – che a loro volta stimolarono produzioni editoriali di livello, come “Fantasio”, nella quale lavorarono, tutti avvinti da umori nordici, i principali artisti modernisti romani. La grafica tedesca rappresentò per i giovani un correttivo e un’alternativa plausibile, a seconda dei casi, al verismo divisionista di Balla, la strada allora più moderna a Roma15. A conti fatti, dunque, sembrerebbe che il rapporto di Tomassi con Greiner – alla luce delle attuali evidenze documentarie e da un’analisi più attenta del contesto culturale romano – vada ripensato nella prospettiva di una più generale attenzione del pittore a quel mondo artistico mitteleuropeo legato a Roma almeno dalla fine del XVIII secolo, da Goethe ai Deutsch-Römer (Böcklin, Feuerbach, Von Marees) che ricercavano nella campagna romana i labili resti di una civiltà ormai perduta. A differenza di questi e a differenza anche di Klinger, Greiner e Lipinsky, Tomassi non fu mai, se non sporadicamente, interessato a soggetti mitologici o antichi, bensì mise il suo linguaggio maturato a contatto con il mondo artistico tedesco al servizio del ritratto. Questo è ben evidente in un carboncino del 1904 che ritrae una sua cugina, Maria Latini (fig. 1) e, in particolare, nell’Autoritratto dello stesso anno, acquistato dallo stato italiano nel 1906 alla LXXVI Esposizione della Società degli Amatori e Cultori16, in principio alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e ora a Firenze, nella Galleria degli autoritratti degli Uffizi. Il foglio che ritrae Maria Latini di profilo

è forse il lavoro più accostabile ai modi di Wellman, Greiner e Lipinsky tutti e tre accomunati da un’attitudine ritrattistica caratterizzata da un contorno lineare sicuro e un passaggio chiaroscurale più morbido tecnicamente, ma contrastato dal punto di vista luministico. Già sono presenti alcuni caratteri tipici della ritrattistica di Tomassi che il pittore porterà avanti fino alla maturità e che sono validi per riconoscere la sua maniera: un disegno sicuro che traccia nettamente i lineamenti del volto, l’attitudine a dare valore espressivo alla trama del foglio e della tela attraverso l’uso di una matita molto morbida o di una pennellata molto asciutta e la libertà di alcuni fili di capelli che si ribellano alla compattezza della chioma. Più importante è comunque l’Autoritratto degli Uffizi (fig. 2). Questo rappresenta il pittore in primo piano, con il volto dritto coperto da un cappello a falda larga e un sorriso sornione, forse il sorriso della consapevolezza di sé a cui può rimandare anche la dedica ai propri genitori, il primo di una lunga serie di autoritratti che l’artista realizzò nel corso della sua lunga carriera e che scandiscono anche le tappe della sua evoluzione stilistica ed emotiva17. Si tratta del lavoro che meglio di ogni altro, a questa altezza cronologica, può dare il polso della cultura artistica romana e del perfetto inserimento di Tomassi al suo interno. Torniamo, infatti, per un attimo ai ricordi di Boccioni e Severini a proposito della temperie filo-tedesca romana del primo decennio del secolo. Severini menzionava un suo «ritratto a lapis» fatto da Boccioni sotto la spinta

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Fig. 2 - Autoritratto, 1904. Firenze, Galleria degli Uffizi

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NEL SEGNO DEI TEDESCHI-ROMANI: GLI ESORDI DI RENATO TOMASSI

Fig. 3 - Ritratto di prelato, 1906. Collezione privata

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tina dell’“Avanti della domenica” del 24 marzo 190619 – che non manca di assonanze con quello di Tomassi di poco precedente – così come nella sua Bohémienne (1905, Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca). Del resto, alla prima importante partecipazione agli Amatori e Cultori, nel 1907, Tomassi esponeva nelle stesse sale di Aleardo Terzi, Duilio Cambellotti, Umberto Bottazzi, Raoul Dal Molin Ferenzona – e, bizzarra curiosità, al fianco di Vasilij Kandinskij, che quell’anno partecipò all’esposizione romana con una delle sue vedute di Venezia20 – tutti esponenti di quella temperie modernista che tentava di aggiornare i soggetti e i linguaggi della pittura tradizionale romana, in particolare i soggetti della campagna romana, alla luce di nuovi stimoli visivi provenienti d’oltralpe. In questo contesto, l’opera che rappresenta paradigmaticamente lo stile degli esordi di Tomassi è il Ritratto di prelato (1906, fig. 3)21. Si tratta di un lavoro su carta che testimonia come le suggestioni nordiche spinsero certamente il giovane artista a rivalutare episodi della pittura del passato inediti per l’Italia, come l’arte del rinascimento tedesco, il cui palese influsso si rivela paragonando il profilo del Ritratto del prelato con quello dell’Erasmo da Rotterdam di Hans Holbein il Giovane (1523, Parigi, Musée du Louvre), in particolare nella versione su carta del Kunstmuseum di Basilea. Come in quest’ultimo, nel ritratto il profilo del vecchio emerge per contrasto grazie all’incontro tra la minuzia descrittiva del volto, il fondo neutro della carta e le ampie campiture nere, quasi à plat, che compon-

Fig. 4 - Mia madre, 1912. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

dell’infatuazione di Greiner18; nondimeno, lo stesso pittore cortonese, da poco giunto a Roma, sembrava influenzato da un fare nordico evidente nell’Autoritratto composto nel 1905 (collezione privata) e pubblicato sulla coper-

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Fig. 5 - Il cucito, 1915. Collezione privata


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Dal 1906 al 1910 (quando partì per un soggiorno di alcuni mesi a Berlino e Monaco) Tomassi prese uno studio nel cortile di Palazzo Venezia e visse a casa di uno zio prelato, Giuseppe Latini, avvocato fiscale del Sant’Uffizio22. Data la consuetudine, nei primi anni di attività, di realizzare preferibilmente ritratti di familiari, non è escluso che esattamente in questo esponente della Curia romana possa essere riconosciuto l’anziano effigiato nel ritratto, sebbene vada sottolineato che all’esposizione degli Amatori e Cultori del 1907, il pittore presentò, tra gli altri lavori, due ritratti di religiosi, Frate Giovanni e Frate Egidio23. Tra il 1910 e il 1911, come accennato, Tomassi si recò per qualche mese a Berlino, ospite dello scultore August Kraus. Quest’ultimo, che aveva soggiornato a Roma nei primi anni del secolo, era esponente della Secessione berlinese di cui fu vicedirettore dal 1911 al 1914. È indubbio che la sua intercessione permise a Tomassi di entrare in contatto con importanti personalità dell’ambiente artistico della capitale tedesca, pur non rimanendone – a giudicare dalle opere attualmente conosciute – suggestionato nell’immediato. La permanenza berlinese, in ogni caso, consentì al giovane di ampliare la sua conoscenza dell’arte nordica del passato, maturando ulteriormente un interesse per la ritrattistica di ascendenza germanica. A ogni modo, quelli in cui Tomassi si trovava a Berlino, erano giorni convulsi per la storia della Secessione24. Esattamente in quei mesi sorsero delle controversie interne in un momento in cui il confronto generazionale

Fig. 6 - Ritratto di Alfredo Bretschneider, 1913. Collezione privata

gono l’abito talare e lo zucchetto. La matita delinea con estrema attenzione i contorni del volto, le pieghe delle gote e dell’orecchio; le labbra sottili e gli occhi stanchi; ogni singola ruga, ogni singola traccia di peluria, ogni inestetismo della pelle. Persino la barba, non perfettamente rasa, spunta in controluce intorno alla bocca dell’effigiato.

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Deutscher Künstlerverein27, l’importante associazione degli artisti tedeschi della Capitale. Tornando alle suggestioni più propriamente artistiche, le opere che Tomassi realizzò rientrato in Italia non si discostavano molto da quelle prodotte sino a quel momento, sebbene vada nuovamente osservato che oggi abbiamo solo una conoscenza minima della sua produzione giovanile. Il cartone con il Ritratto della madre conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (fig. 4), datato 1912, testimonia questa sostanziale continuità28: di nuovo, come nel Ritratto di prelato, il fondo è neutro, una campitura nera costruisce l’abito, mentre a un disegno sensibile nel catturare gli aspetti più minuti del vero (sebbene meno analitico) è demandato il compito di rendere il volto e le mani strette sul grembo, motivo ricorrente della pittura familiare di quel periodo. A questo proposito si possono ricordare i celebri ritratti della madre di Boccioni, ma anche un ritratto della suocera di Otto Greiner (Roma, Galleria dell’Accademia Nazionale di San Luca)29. Del resto, anche in altre situazioni Tomassi si dimostrò affine nelle scelte tematiche della pittura prefuturista romana, come evidente ne Il cucito (1915, fig. 5), soggetto affrontato infatti già da Giacomo Balla agli esordi (Quiete operosa, 1898, ma riprodotto su “Novissima” nel 1909), poi dal giovane Mario Sironi (La madre che cuce, 1905-06, collezione privata) e, specialmente, da Boccioni il cui Romanzo di una cucitrice (1908, Parma, Collezione Barilla di Arte Moderna) è probabilmente il lavoro più affine per composizione e intimismo a quello di Tomassi, seppure nella loro as-

spostava l’attenzione sull’accettazione o meno dei giovani espressionisti. Il tutto si risolse con una “mostra dei rifiutati” e con le dimissioni del presidente, Max Liebermann, nel dicembre dello stesso 1910; con Lovis Corinth che diventò il nuovo presidente della Secessione, August Kraus vice presidente, oltre che membro della Ausstellungskomission (vale a dire la giuria che sceglieva le opere), le esposizioni si aprirono finalmente anche agli espressionisti25. Per quanto riguarda le suggestioni che Tomassi potrebbe aver ricevuto, va osservato che i pittori della Berliner Secession erano, per la maggior parte, vicini all'impressionismo e alle sue riletture nordiche anche alla luce del simbolismo di Edvard Munch; solo alcuni artisti sembrano avere dei punti di contatto stilistici con Tomassi come Leo von König e Emil Orlik. Tuttavia, una presenza importante alla Secessione del 1911 sembra non potere essere lasciata in secondo piano, vale a dire quella di Ferdinand Hodler, che proprio quell’anno ebbe una importante selezione di opere26. Come si vedrà nei capitoli successivi, il pittore svizzero fu uno degli artisti moderni che più solleticarono l’attenzione di Tomassi. In alcune opere, infatti, egli rielaborò in maniera personale alcuni soggetti, sebbene sincretizzandoli sia con la sua visione personale, sia con il filtro di Lipinsky e Greiner. In ogni caso, quel che è storicamente più determinante di quel viaggio in Germania è il fatto che servì a rafforzare i rapporti di Tomassi con il mondo tedesco-romano. Sintomatico, in questo contesto, è che all’indomani del suo ritorno a Roma, il pittore entrò a far parte del

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Fig. 7 - Ritratto di Alfredo Bretschneider (versione su carta), 1913. Collezione privata


NEL SEGNO DEI TEDESCHI-ROMANI: GLI ESORDI DI RENATO TOMASSI

Fig. 8 - Maria Ciaffi, 1913. Collezione privata

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fig. 6)30. Rispetto ad una libertà espressiva evidente sia nel citato ritratto della madre, sia in quello coevo di Maria Ciaffi (fig. 8), che denota anche una maggiore influenza Jugendstil nei contorni ondulati di abito e capelli31, sia nel ritratto su tela, che nella versione su carta (fig. 7) – forse una fase intermedia preparatoria al lavoro più grande – si evidenzia viceversa una maggiore attinenza ai canoni tradizionali del genere, individuabili nella posa di tre quarti e nello sguardo altero dell’effigiato rivolto allo spettatore. In particolare, sono i modelli storici che emergono in quest’opera rispetto agli altri ritratti più o meno contemporanei: nell’impostazione generale del semplice impaginato, oltre che nella resa descrittiva del volto, si possono infatti qui scorgere in maggior misura riferimenti alla ritrattistica rinascimentale nordica, in particolare di Albrecht Dürer e – come già valutato poco sopra – di Hans Holbein il Giovane, che il pittore aveva certamente potuto ammirare alla Gemäldegalerie di Berlino. Alfredo Bretschneider era un medico e ispettore ospedaliero di origine tedesca (sua madre Clara aveva un celebre negozio di pianoforti in via Condotti), amico intimo della famiglia Tomassi, ed era sposato con Dora Encke, figlia e sorella degli scultori Erdmann e Eberhard Encke. È verosimile che proprio l’amicizia con i Bretschneider permise a Tomassi di ampliare la sua cerchia di committenti romani di estrazione tedesca, rinsaldando ulteriormente la sua affinità elettiva con il mondo nordeuropeo32. Oltre che dei Bretschneider, infatti, Tomassi eseguì ritratti, tra altri, degli Hausmann (i celebri orologiai in via del Corso, fig. 9)33, di Fe-

Fig. 9 - Ritratto dei coniugi Hausmann, 1914. Collezione privata

soluta diversità. Sebbene sia più convenzionale della tela di Boccioni, del piccolo dipinto di Tomassi è interessante la composizione studiata in modo che la cornice del quadro e quella della finestra coincidano e, in particolare, il bell’effetto di luce filtrata dai listelli delle persiane che riesce a trasmettere efficacemente il senso di silenzio e intimità della scena. Giocato ancora sugli stessi elementi stilistici è anche il Ritratto di Alfredo Bretschneider (1913,

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NEL SEGNO DEI TEDESCHI-ROMANI: GLI ESORDI DI RENATO TOMASSI

“Evviva l’arte nella gioia e nel dolore”/ “Long live art both in joy and in sorrow”/ “Es lebe die Kunst in Freude und Leid”, in Ead., F. Tomassi (a cura di), Renato Tomassi. The painter. Der Maler (1884-1972), Firenze 1999, p. 12.

derico Hermanin (direttore del museo di Palazzo Venezia che scrisse anche l’introduzione al catalogo della più importante monografica del pittore tenutasi al ridotto del Teatro Nazionale di Roma nel 1923, fig. 43)34 e del bibliotecario vaticano Francesco Ehrle (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana)35 tutti lavori che confermano una via alternativa rispetto alla tradizione del ritratto romano moderno incarnato in particolare dai divisionisti intimisti36. Il legame con la famiglia Bretschneider si consolidò ulteriormente dopo il 1917, quando a poche settimane di distanza morirono sia Anna Antonucci, la moglie di Tomassi, sia il dottor Alfredo. Qualche mese dopo, infatti, il pittore iniziò a corteggiare Nadia Bretschneider, figlia di Alfredo e Dora, che sposò il 4 settembre 192137. Nadia divenne, a partire da quel momento, la musa ispiratrice per gli anni a venire, protagonista delle opere della maturità di Tomassi, collocabile cronologicamente tra il 1917 e la metà degli anni Trenta.

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Dichiarazione programmatica della sua affinità elettiva con la cultura visiva tedesca è il monogramma con la R e la T iscritte in quadrati sovrapposti con cui firma e data quasi tutte le sue opere, ispirato ad analoghi esempi mitteleuropei. 5

Cfr. U. Boccioni, L’arte di Carlo Fornara (2 aprile 1916), in Id., Scritti sull’arte, Milano-Udine 2011, p. 408. 6

G. Severini, La vita di un pittore, Milano 1983 [prima edizione Milano 1946], p. 19. 7

M. Carrera, Otto Greiner pittore. Una fonte per Sartorio e Boccioni, in I. Schiaffini, C. Zambianchi (a cura di), Contemporanea. Scritti di storia dell’arte per Jolanda Nigro Covre, Roma 2013, pp. 91-98. 8

F. Parisi, Roberto Basilici tra Roma e Monaco, in M. Carrera, N. D’Agati, S. Kinzel (a cura di). Tra Oltralpe e Mediterraneo. Arte in Italia 1860-1915, Berna 2016, pp. 247-258.

NOTE 1

Cfr. E. Tomassi Von Heuduck Kiskis, Tre volte il cielo. Ricordi di una bisnonna, Roma 2000, pp. 21-25. 2

Cfr. ivi, pp. 26-27.

3

Cfr. F. Domestici, Renato Tomassi.

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Sul rapporto tra Tomassi e Greiner, cfr. Domestici, cit., pp. 10-13; Parisi cit., pp. 248-249. Si veda da ultimo Sarah Kinzel,

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Acquisizioni e depositi fino al 1967. Opere fino al 1910, Roma 1969, pp. 96-97, n. 35. Il fatto che il ritratto non compaia nel catalogo dell’esposizione può significare che esso sia stato accettato all’ultimissimo momento.

Ein brillanter Zeichner, vortrefflicher Lehrer und liebenswurdiger Zeitgenosse – Otto Greiners deutsch-italienisches Netzwerk in Rom, in E. Bardazzi, M. Carrera (a cura di), Otto Greiner e l’Italia. Alla ricerca del mito nella terra del sole, Roma 2017.

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Sui ritratti di Tomassi si veda C. Virno, Ritratto e veduta nell’arte di Renato Tomassi: le opere esposte, in Ead. (a cura di), Renato Tomassi (1884-1972). Ritratti e Vedute, Roma 2004, pp. 7-21.

10

Ibidem e E. Bardazzi, Il Fauno biondo: Otto Greiner, incisioni & disegni, Rignano Flaminio (Roma) 2010. Su Grainer e l’Italia si rimanda all’intero volume Bardazzi, Carrera, cit.

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11

Severini, cit. Alcuni fogli conservati nella Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani testimoniano che anche le prime prove di Boccioni a Roma erano indirizzate ad autoritratti di marca nordica.

Cfr. Bardazzi, cit., p. 72.

12

Cfr. E.M. Eleuteri, Renato Tomassi, Roma 1986 e Domestici, cit., p. 10. 13

Cfr. Kinzel, cit. Va comunque osservato che Grainer e Tomassi esposero nella stessa sala degli Amatori e Cultori nel 1913. 14

19

Cfr. I. Moccia, in S. Frezzotti (a cura di), Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915, Milano 2014, pp. 116-117, n. I.3.

Cfr. Boccioni, cit.

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20

Per il contesto culturale romano del primo decennio del Novecento è ancora fondamentale A.M. Damigella, Modernismo, simbolismo, divisionismo, arte sociale a Roma dal 1900 al 1911, in D. Durbé (a cura di), Aspetti dell'arte a Roma 1870-1914, Roma 1972, pp. XLIII-LXIII. Su questo specifico aspetto cfr. p. XLV.

Cfr. Amatori e Cultori delle Belle Arti in Roma e Associazione degli Acquarellisti, Catalogo della LXXVII Esposizione, Roma 1907, p. 32, n. 21. 21

Cfr. M. Piccioni, in S. Grandesso (a cura di), Figure humaine et Architecture. Dessins du XVIIe au XXe siècle, Roma 2017, pp. 56-57, n. 25.

16

G. De Marchis (a cura di) Pittura e scultura del XX secolo nelle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

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Cfr. Tomassi Von Heuduck Kiskis, cit., pp. 27-28.

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NEL SEGNO DEI TEDESCHI-ROMANI: GLI ESORDI DI RENATO TOMASSI

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29

Cfr. Amatori e Cultori, cit., p. 33, n. 37 e p. 40, n. 137.

Cfr. Carrera 2013, cit., pp. 94-95.

30

Cfr. M. Piccioni, in S. Grandesso, cit., pp. 58-59, n. 26.

24

Ringrazio Sarah Kinzel per le generose informazioni e per i preziosi consigli riguardo l’ambiente berlinese nei mesi in cui Tomassi soggiornò a Berlino, nonché su quello che era il contesto “romano-tedesco” al suo rientro nella Capitale. Le note che seguono sulla situazione secessionista tedesca e la permanenza di Tomassi sono frutto dei suoi suggerimenti. 25

W. Doede, Die Berliner Secession. Berlin als Zentrum der deutschen Kunst von der Jahrhundertwende bis zum Ersten Weltkrieg, Wien 1977, pp. 37-46.

Cfr. Domestici, Tomassi, cit., p. 62, n. V.

32

Cfr. Domestici, cit., pp. 17-19.

33

Cfr. Ivi, p. 12, fig. 5.

34

Cfr. Ivi, p. 23, fig. 21.

35

Cfr. Ivi, p. 52, fig. 49.

36

Sul ritratto romano del primo novecento si veda M. Carrera, Il ritratto moderno in Italia e la pittura internazionale (1895-1915), in F. Parisi, A. Villari (a cura di), Liberty in Italia: artisti alla ricerca del moderno, a cura di, Cinisello Balsamo 2016, pp. 30-35.

26

Cfr. Katalog der XXII Ausstellung der Berliner Secession, Berlin 1911, p. 25, nn. 99-11. 27

31

Cfr. Kinzel, cit. 37

Cfr. Tomassi Von Heuduck Kiskis, cit., p. 46.

28

Cfr. Domestici, Tomassi, cit., pp. 60-61, n. IV.

29


Il mio attendente (Il soldato dagli occhi verdi), 1917. Particolare


RENATO TOMASSI - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

mostra del 1911, era a quelli ispirata. Difatti, nonostante la vocazione internazionale della Secessione Romana si espresse, alla fine, in una predilezione per le correnti moderniste francesi, genericamente impressioniste e postimpressioniste4, essa, almeno in un primo momento, si situava in quel solco filogermanico che aveva caratterizzato la cultura romana di inizio secolo e di cui Tomassi – si è visto – era voce protagonista. Quella di Tomassi sembrava invero una distanza presa dall’istituzione Secessione (ma non possiamo valutare appieno, data la mancanza di documenti e testimonianze), non dallo spirito secessionista che lo animava, come dimostrano alcune opere coeve (figg. 6, 8, 9). Nel 1913 e nel 1914, il pittore partecipò alle annuali mostre degli Amatori e Cultori, esponendo al fianco di Otto Greiner, Robert Wellmann e Attilio Selva, ma anche nelle stesse sale di Giulio Aristide Sartorio, Sigismondo Meyer, Carlo Siviero, Pio Joris, vale a dire del partito più ferocemente anti-secessionista. Del resto, anche le opere presentate nel 1914, Suonatore di organetto e Tristezza, denotano, nei temi bozzettistici e patetici, una continuità con la pittura romana di paese, piuttosto che una rottura – seppur moderata – secessionista. L’entrata dell’Italia in guerra il 23 maggio 1915, portò ad uno sconvolgimento nella vita dell’artista. Tomassi fu infatti chiamato al fronte trentino come tenente mitragliatore. La difficoltà di combattere nel confine più caldo del conflitto e con un ruolo di responsabilità elevato, giustificano la scarsa produzione tra il 1915 e il 1918. Nei pochi periodi

La paradossale libertà espressiva negli anni della Grande Guerra

A metà degli anni dieci, Renato Tomassi si divideva tra Roma, Subiaco e Arcinazzo, sui Monti Sabini. Il pittore si era sposato, nel marzo del 1911, a cavallo del suo soggiorno tedesco, con Anna Antonucci, anche lei di Subiaco, e qualche anno dopo aveva preso possesso della Maddalena, la villa-eremo di Robert Wellmann, nel frattempo tornato in Ungheria. Nel 1913 nacque la figlia Enza, protagonista di tante sue opere della maturità, mentre altri due figli, un’altra bambina e un maschietto, morirono piccini1. Le poche opere che si conoscono di quel periodo confermano, come già detto, una sostanziale continuità con quelle degli esordi. Nonostante la sua esterofilia culturale, non sembra che egli abbia partecipato attivamente agli eventi culturali romani più importanti in tal senso, tra il 1911 e lo scoppio della guerra2. In quest’ottica, l’artista sembra distante dai fermenti che si agitavano intorno all’Esposizione Internazionale del 1911, così come alle Secessioni Romane che inaugurarono le loro esposizioni nel 1913. Quel che è interessante rilevare, infatti, è che proprio in concomitanza di questi due eventi si ebbe a Roma il momento di massimo interesse per i fenomeni secessionisti d’oltralpe – contestualmente all’“ossessione nordica” che attraversò la penisola3 – poiché l’analoga esperienza romana, maturata proprio grazie al successo della

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MATTEO PICCIONI

la pittura bozzettistica della campagna romana. Tuttavia, l’Olivo solitario presenta delle novità dal punto di vista compositivo e stilistico che un poco anticipano alcune tendenze future. La pennellata è molto più sciolta e vibrante, ma non mette in secondo piano il disegno sicuro che percorre le nodosità dell’albero; è però il paesaggio montano che si apre all’orizzonte a determinare una visione larga e ariosa della veduta del tutto nuova. È probabile che già in questo lavoro possano essere presenti dei possibili contatti con alcuni innovativi pittori trentini e veneti di paesaggio come Umberto Moggioli e Teodoro Wolf Ferrari, presenti anche alle mostre della Secessione Romana. Ad esempio, in relazione a quest’ultimo, compositivamente parlando, le sue Betulle klimtiane del 1913 sono impostate alla stessa maniera, mentre il modo di trattare il profilo dei monti ha delle tangenze con quelli che Moggioli realizzò sulle alpi quando lavorava come cartografo dell’esercito5 e aveva maturato grande esperienza ed abilità con la veduta. Alcune di queste suggestioni sembrano attraversare anche il Monte Corno realizzato al fronte, nel 1917 (fig. 12), perfettamente calibrato cromaticamente nella messa a fuoco, con i colori più vividi in primo piano e più morbidi all’orizzonte, la terra smossa della trincea e il fil di ferro che la protegge. Quest’ultima opera, permette di ricordare che Tomassi fu un pittore-soldato. Al pari di Italico Brass, Anselmo Bucci, Giulio Aristide Sartorio, Moggioli, faceva parte di quel gruppo di artisti, spesso giovani, che fornirono

Fig. 10 - Acquaiola della Sabina, 1916-17. Ubicazione sconosciuta

di congedo, il pittore tornava a Roma e Subiaco dalla famiglia, approfittando evidentemente anche per lavorare e preparare gli invii all’esposizione degli Amatori e Cultori. Partecipò, negli anni della guerra, alle edizioni del 1916 (con Raggio furtivo) e del 1917 (Acquaiola della Sabina e Olivo solitario, (figg. 10 e 11). A giudicare dai titoli e dai soggetti delle opere esposte, si conferma l’attitudine di Tomassi di porsi in sostanziale continuità con

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LA PARADOSSALE LIBERTÀ ESPRESSIVA NEGLI ANNI DELLA GRANDE GUERRA

una serie di immagini che rappresentano ancora oggi un vero e proprio archivio visivo ed emotivo. Seppure la fotografia rimaneva lo strumento più moderno e immediato, il mezzo pittorico e, in generale, il segno grafico, rimasero tra le manifestazioni predilette degli artisti. La definizione di “pittori-soldato”6 si intreccia a stretto giro con quella dei fotografi e dei primi cineoperatori di guerra, tra i quali si produsse un continuo scambio tra veduta pittorica e visione fotografica7. È interessante osservare, come in occasione della Grande Guerra si venisse riaffermando un vero e proprio genere pittorico che andava a rinnovare quello antico di battaglie, già smosso, in Italia, in occasione delle guerre risorgimentali. La novità principale è appunto il sapore di reportage, di diario che racconta, giorno dopo giorno, la vita del fronte e la consapevolezza dell’importanza di tale mezzo si esplicò anche nell’organizzazione di alcune mostre8. La più importante si tenne a Roma, a Palazzo Colonna, nel maggio del 1916, che metteva insieme opere realizzate sul fronte francese a scopo benefico, in favore della Croce Rossa Italiana, organizzata dal principe Jacques de Broglie9. La maggior parte dei dipinti di questo genere, coagulano l’emozione vissuta in prima persona dagli autori in quanto partecipanti attivi del conflitto. In questa ottica, sono esemplificativi gli oli e i disegni di Anselmo Bucci, una serie di ritratti di marinai e soldati di intensa introspezione psicologica, colti nel dramma del combattimento, nei quali l’autore insiste sui volti stanchi, gli occhi gonfi, le

Fig. 11 - Olivo solitario, 1916-17. Collezione privata

bocche contorte dal dolore10. Se il fenomeno si sviluppò a livello europeo, fu in particolare nei principali campi di battaglia, come l’arco alpino, che si ebbero le espressioni più peculiari11. In questo contesto, Tomassi fu un pittoresoldato che non raccontò – per quanto ne

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Fig. 12 - Monte Corno, 1917. Collezione privata

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MATTEO PICCIONI

In secondo luogo vi è un uso del colore totalmente differente e che apre alle maniere postbelliche di Tomassi, come si vedrà. Come in quelle opere, è all’acquarello e alle sue velature che è affidato il compito di gestire attraverso piani larghi la diffusione luminosa sul volto del giovane uomo. Le ricerche più radicali appartengono però tutte al mondo della pittura e nello specifico della pittura che si regge da sola, grazie alla forza dei suoi equilibri cromatici e delle pennellate estemporanee. In queste opere il disegno è abbandonato, o per lo meno messo in secondo piano, per lasciar spazio alla libera espressione istintiva del pittore. Il principio di tale ricerca formale può essere individuato nell’Autoritratto realizzato da Tomassi nel 1916 (fig. 16). È il volto di un uomo nel pieno della sua giovinezza (aveva 32 anni)12, sorridente forse perché libero per un attimo dalla fatica e dal dolore della guerra, probabilmente nella sua casa tra i Monti Sabini. Sorride, fuma e si guarda allo specchio mentre si ritrae, sorride ai suoi monti e soprattutto sorride al momento di libertà del congedo. Questa libertà si esprime pittoricamente nelle pennellate ampie e veloci, scattanti che – qui sì – lasciano emergere i retaggi della pittura della Secessione berlinese, echi di Max Liebermann e addirittura di Hodler. Il pennello frantuma il colore locale in filamenti spessi di colore che seguono l’andamento dei muscoli, dei nervi, delle rughe, accarezzano il volto con una sintesi espressiva del tutto inedita per il Tomassi che conosciamo fino a questo momento. I capolavori di questo periodo, forse tra le

Fig. 13 - Bivacco, 1917. Collezione privata

sappiamo finora – azioni o storie di sofferenza emotiva sul fronte, ma si limitava a dipingere al di fuori del campo di battaglia, scene di vita quotidiana militare (fig. 13), paesaggi, postazioni e soprattutto ritratti di commilitoni. Esattamente in quest’ultima espressione del genere si situano alcuni dei capolavori giovanili di Tomassi. Se il ritratto sottotitolato Attendendo gli aeroplani austriaci realizzato a Torino nel 1915 (fig. 14) è ancora in totale continuità con i lavori del primo decennio, nell’impostazione, nella macchia nera di china che costituisce l’abito talare dell’effigiato, nel linearismo nordico, già – per rimanere nell’ambito della produzione grafica – Il ritratto di attendente del 1917 (fig. 15) segna un nuovo passo. Prima di tutto il linearismo del primo è messo in secondo piano in favore di un trattamento più addolcito delle fattezze dell’uomo, la matita è strofinata delicatamente sul foglio, i trapassi luministici solo accennati.

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LA PARADOSSALE LIBERTÀ ESPRESSIVA NEGLI ANNI DELLA GRANDE GUERRA

Fig. 14 - Attendendo gli aeroplani austriaci, 1915. Collezione privata

Fig. 15 - Ritratto di attendente, 1917. Collezione privata

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Fig. 16 - Autoritratto, 1916. Collezione privata

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Fig. 17 - Il mio attendente (Il soldato dagli occhi verdi), 1917. Collezione privata


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vette più alte dell’intera produzione di Tomassi, sono i due ritratti di attendenti e sottufficiali realizzati nel 1917 e nel 1918, Il mio attendente (Il soldato con gli occhi verdi, fig. 17) e In posa (fig. 18), lavori di grande talento compositivo e pittorico, realizzati in economia di mezzi e accostabili al Ritratto di giovane ufficiale (1918) che si trova al National Museum of Fine Arts di La Valletta, a Malta. Il primo è un finissimo lavoro sulle variazioni cromatiche dei toni del grigio, del verde (quello brillante degli occhi) e dei toni intermedi tra i due. Il volto dell’attendente, che guarda fuori come sovrappensiero mentre si lascia ritrarre, è delineato da un sottile contorno scuro, appena percettibile, eredità della linea nordica giovanile e forse rinfrescata da una meditazione sui ritratti di Hodler; a differenza di altre opere, i trapassi tonali sono netti, vigorosi, frutto di una giustapposizione di zone di luce e ombra ben definite. La pennellata, densa, picchietta a piccoli colpi ravvicinati e monodirezionali la superficie creando un effetto vibrante di grande suggestione pittorica ed emotiva. In posa è ancora più radicale nella composizione. È stato osservato che l’opera potrebbe essere letta come una «versione addolcita di certi ritratti di Schiele»13. In verità questo riferimento può essere fuorviante, quantunque lo sguardo che fissa l’osservatore fuori dalla tela con un sorriso di sfida appena accennato e, in particolare, la posizione delle mani possano ricordare alcune scelte del pittore austriaco, così come anche di Oskar Kokoschka14. Obiettivamente, qui manca del

tutto la tragedia interiore, psicologica, nevrotica che è la spinta essenziale dell’opera di Schiele, mentre è presente certamente un’attitudine pittorica che ha delle affinità più generali, probabilmente acquisite anche nei soggiorni norditaliani durante il conflitto, con molta pittura di ambito mitteleuropeo. Ancora si scorgono vaghi accenti hodleriani nell’opera, ad esempio nel trattamento delle mani, nei contorni sottili, nei toni carnosi, nelle accensioni cromatiche bianche e gialle effettivamente individuabili con facilità nei ritratti dello svizzero; nordico potrebbe anche essere il modo di trattare sommariamente per grandi piani sintetici tutto ciò che non ha a che fare con la carne (vera protagonista della pittura secessionista austriaca). I pantaloni e il piano di seduta sono quasi un’unica macchia nera a cui fa da contrappunto la massa ricciuta dei capelli; la camicia è una sagoma piatta grigio-verde sulla quale spiccano i bottoni chiari; il fondo bianco a pennellate nervose appartiene allo stesso piano pittorico del corpo dell’attendente. A questo trattamento bidimensionale del corpo fanno riscontro le mani, di cui si è parlato, e il volto: come per Il soldato dagli occhi verdi i trapassi luminosi sono fatti di giustapposizione di macchie di luce e ombra, e con uno spessore materico che quasi il volto sembra fuoriuscire dalla planarità del quadro dove tutto il resto, viceversa, è confinato. Osservando il modo di lavorare di Tomassi trasmesso da queste opere (o anche dal bel paesaggio, anch’esso fortemente “austriaco”, Le querce rosse, 1918)15 e confrontandolo con

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Fig. 18 - In posa, 1918. Collezione privata.


MATTEO PICCIONI

internazionale della secessione romana e la “Sala degli Impressionisti Francesi” del 1913. Gli artisti, le opere e la ricezione critica, in M. Carrera, J. Nigro Covre (a cura di), Secessione Romana 1913-2013. Temi e problemi, Roma 2013, pp. 150-162.

quello dei dipinti presentati negli stessi anni agli Amatori e Cultori, legati ad un fare più tradizionale, si evince come tale (paradossale, data la guerra e le tragiche vicende personali) felice momento di freschezza pittorica vissuto nel biennio 1917-1918 fosse essenzialmente legato a una espressione intima e personale, di pittura fatta per sé. Tuttavia, se anche Tomassi stava aggiornando il suo linguaggio in direzione di una nuova maniera più libera e disinvolta, il ritorno all’ordine chiamato a gran voce dalla cultura italiana all’indomani della Grande Guerra coinvolse in pieno anche lui, che dall’ordine, dopotutto, non si era mai poi così discostato.

5

Cfr. C. Kraus, O. Überegger, Pittori di guerra-pittori in guerra, in C. Kraus, M. Libardi (a cura di), Kriegsmaler. Pittori al fronte nella grande guerra, Rovereto 2004, p. 167, n. 9/1 e G. Belli, A. Tiddia (a cura di), Umberto Moggioli (1886-1919). La collezione del Mart, Rovereto 2011. 6

M. Pizzo, Pittori-soldato: materiali figurativi come documenti d’archivio, in D. Affri, M. Pizzo (a cura di), Pittori-soldato della Grande Guerra, Roma 2005, p. 12. NOTE 7

Ibidem.

1

Cfr. E. Tomassi Von Heuduck Kiskis, Tre volte il cielo. Ricordi di una bisnonna, Roma 2000, pp. 33-36.

8

A questo proposito si veda il regesto di Marco Pizzo, in ivi, p. 14, nota 9. Per la presenza dei pittori-soldato nelle rassegne e nella stampa coeva si rimanda a A. Merigliano, D. Ceccuti, I riflessi dell’attività dei pittori-soldato nella stampa coeva, in D. Affri, M. Pizzo, cit., pp. 30-46.

2

Sulla temperie culturale italiana e romana di quel torno di anni si rimanda a S. Frezzotti (a cura di), Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915, Milano 2014.

9

Cfr. Pizzo, cit., p. 13 e Esposizione di pitture e disegni di guerra al fronte francese, Galleria Colonna, Roma 1916.

3

Cfr. G. Romanelli (a cura di), L’Ossessione nordica. Böcklin, Klimt, Munch e la pittura italiana, Venezia 1913.

10

4

Cfr. Ivi, pp. 14-15 e D. Affri, M. Pizzo, cit., 106-111.

Cfr. M. Piccioni, La vocazione

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LA PARADOSSALE LIBERTÀ ESPRESSIVA NEGLI ANNI DELLA GRANDE GUERRA

11

14

Sul tema si veda Kraus, Libardi, cit.

Anche Egon Schiele fu un pittoresoldato e si trovava in Tirolo nel 1917. Cfr. Krauss, Überegger, cit., p. 61, fig. 1/3 e p. 85, cat. 3/12. Kokoschka fu, invece, sul fronte dell’Isonzo nel 1916. In generale, si può osservare come un modo di dipingere fatto di tessiture cromatiche forti e pennellate estemporanee, si riscontri in molti dei pittori-soldato del tempo, in particolare austriaci. Cfr. Ivi, pp. 95-96 e 158-19 e passim.

12

Cfr. C. Virno, Ritratto e veduta nell’arte di Renato Tomassi: le opere esposte, in Ead. (a cura di), Renato Tomassi (1884-1972). Ritratti e Vedute, Roma 2002, p. 4, n.1 e p. 10. 13

F. Domestici, Renato Tomassi. “Evviva l’arte nella gioia e nel dolore”/ “Long live art both in joy and in sorrow”/ “Es lebe die Kunst in Freude und Leid”, in Ead., F. Tomassi (a cura di), Renato Tomassi. The painter. Der Maler (1884-1972), Firenze 1999, p. 67.

15

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Domestici, Tomassi, cit., pp. 68-69.


Fig. 19 - Nadia Bretschneider Tomassi, 1918. Collezione privata


RENATO TOMASSI - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

La contrapposizione tra disegno e colore nelle opere dei primi anni Venti

Con la fine della guerra, Roma tornò ad essere il centro del mondo culturale italiano1. Come nel resto d’Europa, la risoluzione del conflitto sancì definitivamente la conclusione degli aspetti più sperimentali dell’avanguardia; la tendenza dominate era, infatti, quella di andare oltre il futurismo – cammino del resto già intrapreso dai suoi stessi esponenti, come testimoniano il recupero cézanniano dell’ultimo Boccioni, il Severini della Maternità, opera già “novecentista”, e la svolta metafisica di Carrà – nell’ottica di una generale rivalutazione della tradizione. In buona sostanza, fu il partito di De Chirico e Carrà a prendere piede in quel preciso momento, aprendo la strada alla stagione di Valori Plastici che si sarebbe avviata nel 1919. Nello stesso 1918 che segnò il termine delle ostilità, dunque, Roma e l’Italia tentavano di riprendersi dal trauma con una serie di mostre che, come rilevato da Goffredo Bellonci con l’acutezza che aveva già contraddistinto le recensioni degli anni precedenti, segnavano in maniera generale, non un semplice ritorno al passato, ma ad un passato precipuamente italiano2. Le tendenze neoclassiche, in particolare, la rivalutazione di episodi centrali della cultura figurativa italiana e, in definitiva, di un abbandono delle seduzioni esterofile furono salutate con favore da buona parte della critica, con Ugo Ojetti in prima fila, da

Fig. 20 - Ritratto di Musi, 1918. Collezione privata

sempre sostenitore di un’espressione figurativa svincolata dai modelli d’oltralpe3. Fu così che il ritorno all’ordine nostrano si aprì nel segno di una italianità espressa – come rilevato da Fabio Benzi – nel doppio polo del Neoquattrocentismo e del Neosecentismo4. In questo contesto, Renato Tomassi, ancora preso dalle esercitazioni dell’anno precedente,

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MATTEO PICCIONI

visto il campo d’azione in cui il pittore più si sentiva a suo agio – e allo stesso tempo di una libertà espressiva tradotte in un tratto più libero e leggero, una predilezione per gamme cromatiche chiare e stesure trasparenti, trattate per lo più all’acquerello, una delle tecniche predilette anche per l’ampia gamma di nuance utilizzabili. I contorni lineari che hanno caratterizzato soprattutto le opere grafiche del primo quindicennio appaiono, in quest’opera, sempre decisi sebbene meno incisivi. Il carboncino è più leggero, i passaggi di luce sono affidati in toto a un acquerello che non sfuma mai, ma si pone per strati successivi e chiazze ben evidenti, creando quasi delle zone giustapposte di piani luminosi, già sperimentati nel ritratto di attendente all'acquerello del 1917 analizzata nel capitolo precedente. Elemento caratterizzante del ritratto è la folta massa di capelli neri che va oltre il limite del foglio per continuare sul cartoncino sul quale questo è incollato; come negli altri ritratti del pittore romano, qui e là sottili fili di capelli sfuggono dalla chioma compatta, altro elemento distintivo della sua maniera. Nel complesso, si tratta di un lavoro che annuncia gli esiti della pittura di Tomassi negli anni a venire, quelli della sua maturità stilistica e che saranno analizzati nelle pagine a seguire. Si tratta di opere che si distinguono stilisticamente per un equilibrio tra linea sottile che denota i contorni in maniera quasi geometrica e una stesura del colore – chiaro e trasparente – leggera; i soggetti sono ricchi di riferimenti alla pittura

Fig. 21 - Suonatore di organetto, 1919 c. Ubicazione sconosciuta

continuava a lavorare sul colore e sulle sue possibilità espressive, sebbene allo stesso tempo sperimentava nuovi modi di trattare il disegno. Sintomatico lavoro di questa fase è il ritratto della seconda moglie, Nadia Bretschneider (fig. 19)5. Il volto è molto vicino al coevo Ritratto di Musi a carboncino (fig. 20)6, caratterizzato da un segno vibrante dagli evidenti echi klimtiani. Entrambe le opere rendono conto di una evoluzione stilistica di Tomassi nel campo del disegno – come

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LA CONTRAPPOSIZIONE TRA DISEGNO E COLORE NELLE OPERE DEI PRIMI ANNI VENTI

Fig. 23 - Nadia Bretschneider Tomassi mentre posa per In attesa, 1919

sono quelli tipici della pittura italiana tra le due guerre, dimostrando una piena adesione, quantunque personale, alle principali tendenze contemporanee. Questa partecipazione alle vicende della pittura coeva è dimostrata dall’assidua presenza in quasi tutte le principali rassegne artistiche romane e italiane del periodo, a cominciare dall’annuale esposizione degli Amatori e Cultori di Belle Arti7; sfogliando i cataloghi di tali mostre ci si accorge della pluralità di soggetti proposti dal pittore, denunciando una versatilità di interessi a cui fa eco un eclettismo stilistico principalmente diviso tra una tendenza più marcatamente pittorica – connessa con le sperimentazioni degli anni 1916/1917 – dove è il colore ad avere la meglio sul disegno, e una, per l’ap-

Fig. 22 - In attesa, 1919. Collezione privata

del passato, in linea con gli esiti della pittura del Ritorno all’ordine italiano, e soffusi di un’atmosfera sospesa e onirica. Anche i temi frequentati dal pittore – paesaggi, nature morte e, soprattutto, ritratti di familiari –

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MATTEO PICCIONI

ma di uscire; il fiore che decora il cappello è realizzato con poche pennellate di materia spessa che si colloca quasi più nello spazio reale che in quello dell’immagine. Una tecnica di tal fatta contraddistingue anche il Ritratto di Nadia realizzato nel 1919 (fig. 25)10. Si tratta di una composizione tradizionale, con l’effigiata seduta in poltrona, di profilo e lo sguardo dritto davanti a sé; la cromia è dominata dallo scialle color acqua marina e dal bianco dell’abito che trova un contrappunto nel vaso di fiori a terra, mentre lo specchio in alto sembra essere messo lì per creare una partizione geometrizzante dello sfondo. Il trattamento della superficie è movimentato: la pennellata è carica e più allungata, e le tinte si miscelano direttamente sulla tela, segno di una produzione di getto ed estemporanea che ricorda nel modo di procedere e nell’impostazione generale, seppure vagamente, alcuni ritratti muliebri di Mario Cavaglieri. Il Ritratto di Irene Ibsen (1920, collezione privata, fig. 26), giovane nipote del celeberrimo drammaturgo norvegese e drammaturga a sua volta11, rappresenta l’altra tendenza del pittore, quella più lineare. Il dipinto è considerabile, senza timore di smentita, uno dei capolavori di Tomassi, per via della sintesi perfetta tra composizione, disegno e stesura cromatica. Il contrasto tra il fondo bianco e la veste nera finemente bordata di verde, l’impaginazione asciutta e razionale, la posa elegante e il sorriso sincero, ma contenuto, della ragazza ne fanno un lavoro tutto volto a esaltare visivamente i valori di

punto, disegnativa, i cui prodotti si situano in continuità con il ritratto della seconda moglie appena analizzato. Se il ritratto continua ad essere il soggetto prediletto, questo è spesso declinato in scene di genere poste in stretta continuità con la pittura della campagna romana ancora molto apprezzata dal pubblico come dimostrano le opere esposte agli Amatori e Cultori del 1920, Il suonatore d’organetto (acquistato dalla Casa Reale, fig. 21), Cervarole e In attesa (fig. 22), quest’ultimo, in sostanza, un ritratto della moglie Nadia in abito popolare, realizzato per strada, a Subiaco (fig. 23). Tecnicamente parlando si tratta di dipinti che sembrano raffreddare alcune delle spinte più istintive (soprattutto in termini di uso del colore) del linguaggio del pittore, presentandosi come opere abbastanza convenzionali o, se si vuole, di compromesso con il gusto corrente. Ad ogni modo, il doppio registro lineare/materico che caratterizzò il linguaggio di Tomassi in questo torno di anni emerse in maniera esemplificativa nei due ritratti esposti con successo alle due principali rassegne inaugurate nel 1921, la Biennale di Napoli e quella – ben più importante storicamente parlando – di Roma. Il dipinto presentato a Napoli, «sintetico, originale, chiaro»8 (fig. 24), ebbe un grande successo e, almeno da quello che riportano le testimonianze bibliografiche, fu premiato con una medaglia9. Raffigura Nadia in primo piano, in cappotto, cappello e il volto coperto dalla veletta, presa quasi in un momento di furor artistico appena rientrata o poco pri-

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Fig. 24 - Mia moglie (Nadia Bretschneider), 1921. Collezione privata


Fig. 25 - Nadia Bretschneider, 1919. Collezione privata


Fig. 26 - Ritratto di Irene Ibsen, 1920. Collezione privata


MATTEO PICCIONI

Fig. 27 - L’ulivo, 1920. Collezione privata

Fig. 28 - La cattiva consigliera, 1919-20. Collezione privata

equilibrio e compostezza. Presentata alla Prima Biennale Romana del 1921 con il titolo di Ritratto di signorina assieme a Racconto, Le sorelle, L’ulivo (fig. 27) e La cattiva consigliera (fig. 28), attira l’ammirazione generale. In quell’occasione Tomassi esponeva assieme ad Aleardo Terzi, segno che la commissione ordinatrice della mostra volle inserirlo in un contesto connesso con le gli esiti post-secessionisti romani. Arturo Lan-

cellotti nel recensire la sala dove erano presenti i due pittori sottolineava come essi realizzassero una pittura che definiva «tutta loro»12. Tomassi, in particolare, dimostrava di essere «soprattutto un disegnatore, e le cinque sue tele, a poche note cromatiche piatte, si reggono appunto per l’energia tagliente del disegno»13. Questa attitudine al disegno è visibilmente derivata dal confronto con la pittura mitteleuropea (evidente anche

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LA CONTRAPPOSIZIONE TRA DISEGNO E COLORE NELLE OPERE DEI PRIMI ANNI VENTI

Fig. 29 - Ritratto di fanciulla, copertina per “Jugend”, n.32, 1920

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Fig. 30 - Racconto (Plein air), 1920. Collezione privata

derivi da un pittore straniero, si presenta subito senza sotterfugi, e domanda simpatia per la sua stessa franchezza. Nitido nei contorni, talvolta appena lezioso, il Tomasi [sic] è un elegante, che all’esattezza del segno accoppia la prudenza maliziosa del colorito. La sua tavolozza, cui non mancano gli impasti necessari a rendere con perspicacia la superficie delle cose, se appare spesso avara, guadagna assai nella prontezza degli effetti luminosi e cristallini»14. Sapori

nella posa stessa dell’effigiata, nelle sue mani incrociate sul grembo, nel motivo decorativo della seduta) con la quale ha sempre un rapporto privilegiato – come dimostra anche il disegno apparso sulla copertina della celebre rivista tedesca “Jugend” (n. 32, 1920, fig. 29), che ricorda analoghi ritratti dell’austriaco Max Kurzweil – e questo aspetto non doveva apparire certo oscuro ai contemporanei. Francesco Sapori, infatti, osservava che «quantunque la sua tecnica

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LA CONTRAPPOSIZIONE TRA DISEGNO E COLORE NELLE OPERE DEI PRIMI ANNI VENTI

nerale apprezzamento da parte della pittura coeva nei confronti del tema della donna sdraiata, benché si tratti spesso in quei casi di un nudo (fu uno dei temi ricorrenti della pittura novecentista). Tuttavia, il riferimento narrativo dato dal titolo allontana qualsiasi potenziale riferimento simbolico. Questo aspetto è sottolineato anche dall’omonima poesia ispirata al dipinto, comparsa nella raccolta di Guido Cim, Visioni di Poesia alla Ia biennale19. Si tratta di un componimento che legge in chiave descrittiva la scena, enfatizzando l’aspetto del racconto di una fiaba dal romantico lieto fine a una bambina che si affaccia alla vita. Da un punto di vista stilistico è evidente anche qui quell’equilibrio di disegno e colore rilevato da Lancellotti a proposito del ritratto. Il tema della figura distesa su un prato ha delle riconnessioni con la pittura europea del primo Novecento. In particolare, il prato, con i ciuffi d’erba e i fiori stilizzati, segnala reminiscenze, che dal Casorati degli anni Dieci, sembrano risalire fino a Ferdinand Hodler, sebbene siano del tutto assenti gli assunti simbolici e mistici della pittura dello svizzero, sottolineando tuttavia un simile momento di fusione tra l’uomo e la natura. Lo stesso sentimento di comunione con la natura è evidente in Mattino di sole (1922, fig. 31), in cui protagonista, oltre alla donna nel suo vestito verde a motivi bruni e neri perfettamente armonizzata con il paesaggio, è la luce vibrante esaltata anche dalla stesura materica. Il riferimento a Hodler non è peregrino o

apprezza, certo, ma apprezzerebbe maggiormente una «fattura più larga»15 vale a dire una pittura che tornisca e solidifichi («gioverebbe alla profondità, se non alla robustezza»16) le forme, laddove invece l’equilibrio formale di Tomassi sta proprio in quel velo chiaro e spesso sottilmente cangiante di colore tenuto fermo dai contorni decisi del disegno. In questi termini, dunque, la pittura di Tomassi si poneva in una prospettiva differente rispetto alla mission della Biennale Romana e rispetto anche agli esiti della rassegna: la critica non faceva infatti altro che sottolineare il bisogno dei giovani artisti di essere connessi con la robusta tradizione italiana. Italianità, certo; ma anche romanità, intesa nel senso più classico17. Infatti, l’emancipazione dallo “straniero” (sebbene, va sottolineato, si intenda francese in questo caso)18 era uno dei motivi ispiratori della Biennale, tanto che le mostre retrospettive presentate, tentando di riallacciare la pittura contemporanea all’Ottocento, sembravano volersi situare esattamente in quella prospettiva nazionalista. Non è solo il Ritratto di Irene Ibsen, tuttavia, a destare interesse all'esposizione. Racconto (fig. 30), vale a dire il doppio ritratto all’aria aperta di Nadia e della figlia del pittore, Enza, è uno di questi. Esso segna l’interesse rinnovato per la figura sdraiata all’aperto. L’andamento orizzontale della tela esalta la composizione giocata sulla figura sdraiata che segue la silhouette dei monti sul fondo. Basandosi solo sull’immagine, il dipinto poteva riconnettersi a un ge-

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Fig. 31 - Mattino di sole, 1922. Collezione privata



Fig. 32 - Ritmo (Studio), 1926. Collezione privata

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l’attenzione del pittore, ancora al principio degli anni Venti, per alcuni temi della pittura simbolista europea a cavallo tra Otto e Novecento. L’ambientazione del racconto biblico tra i monti, ad esempio, richiama in un certo senso Segantini, ma potrebbe essere di nuovo Hodler un possibile punto di riferimento, riletto però sempre alla luce degli insegnamenti dei soliti maestri di gioventù Greiner e Lipinsky. Di quest’ultimo, soprattutto, è evidente l’impostazione fortemente scultorea dei protagonisti, caratteristica precipua delle sue incisioni ancora in quegli anni. All’esposizione degli Amatori e Cultori dello stesso 1922, Tomassi presentò Marulla (figg. 36-37), Riposo e Ritratto di Guido Guida (fig. 38). Il primo è il ritratto della modella prediletta dalla capigliatura esuberante e dallo sguardo indifferente, realizzata con un fare sciolto che ne esalta proprio la chioma leonina23; l’ultimo è invece il ritratto del poeta, direttore della rivista “La Fiamma”, che aveva lodato il dipinto presentato a Napoli nel 1921 per la capacità di costruire con il colore; in continuità con l’apprezzamento di Guida, Tomassi costruì il suo ritratto adottando la stessa tecnica, risultando vincente agli occhi della critica per il suo «senso della forma»24. Il buon risultato all’esposizione del 1922 fu solo uno dei momenti che segnarono il periodo di massima affermazione del pittore, affermazione consacrata l’anno successivo con l’esposizione monografica allestita al ridotto del Teatro Nazionale, il cui alle-

pretestuoso: si tratta di un artista ad un certo punto molto apprezzato da Tomassi, probabilmente visto già alla personale della Secessione di Berlino del 191120. Nondimeno, fu la presenza del pittore svizzero alla Seconda Biennale Romana del 1923 a determinare una influenza diretta sul pittore: lo studio di figura nuda inginocchiata in un paesaggio, Ritmo (1926, fig. 32), deriva direttamente dalla figura femminile della Der Frühling (Primavera, 1901, Essen, Museum Folkwang) riprodotta in catalogo21. Di nuovo, il dipinto che si presenta vagamente assimilabile a certe soluzioni della produzione di Hodler e, più in generale, nordica, è Il laghetto del 1927 (fig. 33). Questo è evidente maggiormente nell’uso del colore che costruisce il paesaggio a colpi di pennello, che determina la grande campitura del lago e le stesure allungate dei riflessi, ma soprattutto nelle tinte. Si tratta infatti, di uno studio sulle molteplici varietà di verdi: verde acido, verde bottiglia, verde pino. Impreziosiscono il tutto le notazioni gialle a cui rispondono, con perfetto equilibrio complementare, le note violacee del riflesso del cielo al crepuscolo. Figure nude in un paesaggio erano presenti ancora nel 1922 alla “Primaverile fiorentina” dove Tomassi presentò Adamo ed Eva (o Il frutto proibito, 1920, fig. 34)22. Oltre a testimoniare un’attitudine al variare il più possibile dei generi pittorici – in questo caso un soggetto che va letto in termini allegorici, così come il vicino Susanna e i vecchioni (fig. 35) – conferma nuovamente

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Fig. 33 - Il laghetto, 1927. Collezione privata

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bovaro (1922, fig. 41), oltre a molti paesaggi e qualche natura morta. Erano inoltre presenti molti ritratti, tra i quali quello dell’amico Elihu Vedder (1920, Louisville, Speed Memorial Museum fig. 42), quello di Guido Guida di cui si è appena parlato, e quello di Federico Hermanin (1922, fig. 43). Anche il direttore del museo di Palazzo Venezia era legato a Tomassi e fu l’estensore dello scritto introduttivo al catalogo che accompagnava la mostra. L’evento, che ricevette una discreta attenzione da parte della critica27, in definitiva, consacrò Tomassi come uno dei protagonisti della cultura artistica romana.

NOTE 1

Cfr. F. Benzi, Arte in Italia tra le due guerre, Torino 2013, pp. 27-44.

Fig. 34 - Il frutto proibito (Adamo ed Eva), 1920. Collezione privata

2

Cfr. Ivi, p. 28.

3

stimento fu progettato da Enrico Del Debbio25. Si trattava della prima di una serie di personali organizzate dalla rivista “La Fiamma”26, curate dal suo direttore, Guido Guida, amico e sostenitore di Tomassi. Erano presenti più di settanta opere e dalla foto (fig. 39) che ne rende testimonianza sono riconoscibili alcune opere note, tra le quali il ritratto In posa, L’olivo solitario, Susanna e i vecchioni, Le due gattine (1920, fig. 40), Il

Cfr. G. De Lorenzi, Ugo Ojetti critico d’arte. Dal “Marzocco” a “Dedalo”, Firenze 2004. 4

Cfr. Benzi, cit., pp. 39-44. Sull’influenza del Seicento nell’arte italiana del ritorno all’ordine, cfr. V. Gensini, L. Mannini, A. Villari (a cura di), Novecento Sedotto. Il fascino del Seicento tra le due guerre, Firenze 2010.

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5

Cfr. M. Piccioni, in S. Grandesso (a cura di), Figure humaine et Architecture. Dessins du XVIIe au XXe siècle, Roma 2017, pp. 60-61, n. 27. 6

Musi era il soprannome con il quale Nadia era chiamata in famiglia, cfr. E. Tomassi Von Heuduck Kiskis, Tre volte il cielo. Ricordi di una bisnonna, Roma 2000, p. 42. 7

Nel 1919 Tomassi era presente agli Amatori e Cultori con i ritratti Cesarina e Mia madre. 8

G. Guida, La prima biennale di Napoli, in “Emporium” VI (1921), 322, p. 197, rip. p. 199. 9

Cfr. F. Domestici, Renato Tomassi. “Evviva l’arte nella gioia e nel dolore”/ “Long live art both in joy and in sorrow”/ “Es lebe die Kunst in Freude und Leid”, in Ead., F. Tomassi (a cura di), Renato Tomassi. The painter. Der Maler (18841972), Firenze 1999, p. 18, fig. 14.

Fig. 35 - Susanna e i vecchioni, 1920. Ubicazione sconosciuta

En familiekrønike, Hedehusene 2014, passim. Cfr. inoltre Tomassi Von Heuduck Kiskis, cit., p. 51.

10

Cfr. Domestici, Tomassi, cit., pp. 86, n. XXIV. 11

12

Probabilmente Tomassi ha conosciuto la famiglia Ibsen durante la guerra, a Siusi, vicino Bolzano, nella Villa Ibsen, appartenuta allo scrittore. Tomassi si trovava certamente nella villa nel 1920. Cfr. J. Bille, Villa Ibsen: Min mormors hus.

A. Lancellotti, La prima Biennale Romana d’Arte MCMXXI, Roma 1921, p. 50.

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13

Ibidem.

14

F. Sapori, La mostra d’arte italiana a


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Fig. 36 - Marulla seduta, 1922 c. Ubicazione sconosciuta

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Fig. 37 - Marulla, 1922 c. Particolare Collezione privata


Fig. 38 - Ritratto di Guido Guida, 1922. Collezione privata

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Montagna tra le nebbie, Bozzetto per La battaglia di Marignano, Il lago di Ginevra.

Roma nel cinquantenario della capitale, Bologna 1921, p. 51. 15

Ibidem.

16

Ibidem.

22

Le altre opere presenti erano Studio di nudo, Gattina nera e Ritratto di signorina (forse Irene Ibsen).

17

23

Cfr. L. Finicelli, Le biennali romane. Le esposizioni biennali d’arte a Roma 19211925, Roma 2010, p. 67. 18

Cfr. C. Virno, Ritratto e veduta nell’arte di Renato Tomassi: le opere esposte, in Ead. (a cura di), Renato Tomassi (18841972). Ritratti e Vedute, Roma 2004, p. 10.

Cfr. Ibidem. 24

19

Cfr. A. Carelli, La 90a mostra della società amatori e cultori di Roma, in “Emporium”, LV (1922), 329, p. 295-296.

a

G. Cima, Visioni di Poesia alla I Biennale Romana, Milano s.d. [1921], pp. 40-41. Cfr. anche Finicelli, cit., p. 64.

25

Cfr. Domestici, cit., pp. 15-16.

26

Cfr. Ibidem.

20

Cfr. supra, p. 23. Domestici afferma che Tomassi era stato in Svizzera nel 1921 ed era rimasto colpito dell’arte del pittore, ma non sono stati trovati ulteriori appigli documentari o bibliografici. Cfr. Domestici, cit., p. 15.

27

Cfr. La mostra del pittore Tomassi inaugurata ieri nel foyer del Nazionale, in “Epoca”, 25 febbraio 1923; La mostra personale di Renato Tomassi al Nazionale, in “Corriere d’Italia”, 28 febbraio 1923; M. Biancale, La mostra di R. Tomassi, in “Il giornale di Roma”, 4 marzo 1923, p. 3; Mostre romane. Renato Tomassi, in “La Tribuna”, 9 marzo 1923; A. Carelli, Renato Tomassi, in “La Fiamma”, II, marzo 1923.

21

Cfr. Finicelli, cit., p. 107; la critica apprezza la selezione di opere, in particolare Lancellotti. Le opere esposte erano Primavera, Stanchi della vita, Ritratto di Morhardt, Donna morta [forse l’amata Valentine Godé-Darel], Paesaggio-

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Fig. 39 - Una sala della mostra monografica di Renato Tomassi al foyer del Teatro Nazionale di Roma, 1923

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Fig. 41 - Il bovaro, 1922. Collezione privata

Fig. 40 - Le due gattine, 1920. Collezione privata

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Fig. 42 - Ritratto di Elihu Vedder, 1920. Louisville, Speed Art Museum

Fig. 43 - Ritratto di Federico Hermanin, 1922 c. Collezione privata

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Fig. 44 - Nudo (studio), 1925. Collezione privata


RENATO TOMASSI - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

Dalla Seconda Biennale Romana al trasferimento in Germania: tangenze novecentiste

La Seconda Biennale Romana si aprì nello stesso anno della prima monografica di Tomassi. A differenza della prima edizione, la mostra si proponeva come momento di confronto internazionale1, grazie alla presenza di opere di – per citare i più noti – Degas, Denis, Matisse, Picasso, Hodler, Kokoschka. Tra i giovani suscitarono consensi, in particolare, quegli artisti che furono definiti dalla critica “neoclassici” (Donghi, Trombadori, Guidi, Socrate, tra gli altri), avvicinati idealmente a De Chirico e Severini2. Quella che emergeva dalle opere dei giovani, era una classicità mediterranea vagamente “de chirichiana”, in verità più incisivamente tradizionale, «di ispirazione museale»3. In questo senso è importante rilevare come la Seconda Biennale registrasse un interesse nei confronti del nudo, che tornava in auge rinnovato alla luce del classicismo e dell’arte moderna (il riferimento a Manet e Gauguin erano diffusi, si pensi a Carlo Efisio Oppo o Felice Carena), ma erano soprattutto i maestri storici – veneti in testa – a offrire i modelli più usati. In questa generale temperie, anche Tomassi si rivelò attento al nudo in maniera nuova, ma attratto da quei maestri che facevano della purezza del segno il loro marchio distintivo; a ben vedere – come dimostra Nudo (1925, fig. 44 ) – il segno pulitissimo, puro, che incide e contorna una figura ten-

Fig. 45 - Mattino a Capri, 1923 c. Collezione privata

denzialmente piatta, sembra rimandare a una generica riflessione sui modi di Ingres, comunque riferimento importante per i pittori moderni, ma in verità si tratta di un classicismo ancora intriso di umori mitteleuropei, di Lipinsky piuttosto che di Greiner. Di tutt’altro tenore era la questione della mediterraneità, tematica cara a parte della critica novecentista. Essa era presente anche in Tomassi, ma totalmente ribaltata rispetto a quanto proposto dai pittori “neoclassici”; se in lui vi fu un riferimento “tradizionale”, quello si esprimeva nei termini di un recupero della pittura ottocentesca meridionale, fatta di luce e macchie di colore pastose, dominata

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Fig. 46 - Finestra a Capri, 1923. Collezione privata

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(1924 c., fig. 50) e Ritratto della signora Kusakabé (1924 c., fig. 51), esaltano questo aspetto. Probabilmente è proprio per via di siffatti caratteri decorativi che Lancellotti non apprezzò quei ritratti di Tomassi che considerava, sprezzante, «cartellonistici nelle loro tinte vivaci»6. In entrambe le opere, così come ne Il vaso di azalee, il setting è molto importante perché non si presenta come semplice ambientazione, ma come vera e propria intelaiatura che inquadra in maniera preziosa l’effigiato e che, in un certo senso, lo esalta. Questo aspetto si presenta ancora una volta come una rilettura personale di alcuni modi secessionisti mitteleuropei (ad esempio la fase tarda di Klimt, quella in cui i motivi ornamentali dai colori vivaci di derivazione giapponese e slava incastrano le figure) e servivano all’artista a scandire in maniera ordinata la mise en page generale dell’opera. Nel ritratto della giovane pianista giapponese Jolanda Kusakabé7, l’impostazione generale ricorda analoghi dipinti degli albori del Japonisme europeo, in particolare le opere di James Whistler (anche nei sottili giochi di variazione cromatica) e, soprattutto, il celebre ritratto di Camille in costume giapponese di Claude Monet (1876, Boston, Museum of Fine Arts), mentre nell’insieme spicca il dialogo tra i motivi decorativi del kimono e quelli del fondo. Nel ritratto della figlia Enza, invece, a risaltare è il contrasto tra il tessuto a scacchi dell’abito e i pattern degli altri tessuti presenti nella scena. Il ritratto della figlia presentato in quella occasione, ad ogni modo, apre una ulteriore riflessione sulla produzione di Tomassi, vale

da cromie chiare se non proprio dal bianco. Alla rassegna romana, infatti, il pittore esponeva dei dipinti realizzati a Capri, soggetto prediletto nelle vedute di quel giro di anni, quando era ospite della villa “I quattro Venti” dell’amico e pittore americano Elihu Vedder4, dei quali Mattino a Capri (presente alla Biennale Romana e riprodotto in catalogo, fig. 45), Finestra a Capri (fig. 46) e La terrazza (fig. 47) offrono un esempio paradigmatico. Il gusto per gli impasti materici e le tinte squillanti tipici dei dipinti di Capri caratterizzarono anche il ritratto della suocera, Nora Bretschneider, Il vaso di azalee (fig. 48), il cui titolo sposta l’attenzione dall’effigiata al cespuglio di fiori bianchi che campeggia al lato della scena (affine per certi versi anche al Ramo di pesco, datato 1922, fig. 49). Il dipinto fu presentato assieme ad altri, senza particolare successo5, all’Esposizione del ritratto femminile tenutasi alla Villa Reale di Monza nel 1924, curata da Guido Marangoni. Il ritratto si caratterizza per un’attenzione agli aspetti decorativi e ornamentali dei tessuti, i cui pattern a fiori sembrano gareggiare con le azalee protagoniste della composizione, e una maniera di lavorare che nell’insieme ricorda l’impostazione e il soggetto di certi dipinti di Mario Cavaglieri, come già visto, riferimento in alcuni ritratti femminili. L’attenzione all’assemblaggio di diversi motivi ornamentali dei tessuti che si nota nel ritratto appena considerato diventò, col passare del tempo, una costante nei successivi ritratti di Tomassi. Ad esempio, le opere presentate alla Terza Biennale Romana (1925), Mia figlia

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Fig. 47 - La terrazza (Torre Quattro Venti, Capri), 1923. Collezione privata 77


Fig. 48 - Il vaso di azalee, 1924. Collezione privata

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Fig. 49 - Il ramo di pesco, 1922. Collezione privata

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missionati dall’alta borghesia e dall’aristocrazia romana e tedesco-romana. Questa dicotomia di espressione è infatti evidente confrontando i lavori più intimi e domestici – come Maternità realizzata in occasione della nascita del figlio Andrea, nel 1922 (fig. 52) – con i ritratti, ad esempio, di Federico Hermanin (1922) o Raffaele Ojetti (1926). I ritratti della moglie (Mia moglie, fig. 53) e della figlia (Mia figlia Enza, fig. 54)8 presentati all’annuale mostra degli Amatori e Cultori del 1926, chiariscono ulteriormente questo aspetto bipolare nel trattamento dello stesso genere. Tale tipo di ritratti sono per lo più immagini catturate nella loro spontaneità (seppur simulata), vale a dire nella quotidianità di una posa, nel gesto innocente di una ragazzina che poggia il gomito sulla spalla portandosi il dorso della mano sulla gota, o nell’introspezione di una donna – sua moglie – vista un poco di spalle, seduta, con lo sguardo fisso nel vuoto. Per quanto riguarda quest’ultimo lavoro, si tratta di un’opera che ha, d’impatto, il sapore dell’esecuzione veloce ed estemporanea agevolata dalla stesura liquida del colore – soprattutto nella veste e nella sedia (nella quale non manca anche qualche impaccio prospettico) – tuttavia condotta con una fattura ben salda, complice anche il solito disegno incisivo, nel caratterizzare le forme del volto e delle braccia. In generale, l’opera si presenta come una sottile modulazione cromatica sui toni del rosa, del beige, dei bianchi (si pensi a quella sorta di aura che circonda il volto, per esaltarlo) interrotta bruscamente dai bruni dei capelli e della sedia.

Fig. 50 - Mia figlia, 1924 c. Collezione privata

a dire il fatto che in quel momento l’artista amava lavorare soprattutto sui propri familiari. Del resto questa attitudine ha caratterizzato l’attività di Tomassi fin da giovane, come visto nei capitoli precedenti, permettendogli, in particolare nel momento di massima affermazione, di poter essere più libero dall’impostazione “ufficiale” dei ritratti com-

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Negli anni tra il 1926 e il 1929, gli spunti di riflessione maturati nel lustro precedente portarono Tomassi a realizzare alcune delle opere più singolari della sua maturità artistica, tutte ascrivibili all’alveo della ritrattistica familiare. Quando nel 1927, l’artista presentò alla XCIII esposizione degli Amatori e Cultori Mia figlia (Enza e l’uva, 1926, fig. 55) egli si trovava forse più che mai in dialogo con quanto di più originale si producesse a Roma e in generale in Italia. In quest’opera, così come in quelle realizzate almeno fino al 1933, si può scovare il massimo punto di tangenza con le poetiche novecentiste che, nella sua pittura, trovano una personale variante composta essenzialmente da un naturalismo riletto sotto la lente pierfrancescana9. Analizzando Enza e l’uva ci si rende subito conto che si tratta di un dipinto tematicamente e compositamente conscio delle tendenze contemporanee, cosa che non era sfuggita ai redattori del catalogo dell’esposizione che hanno posto la riproduzione del dipinto in dialogo con l’analogo soggetto presentato da Carlo Socrate, La portatrice di frutta10. Il tema della portatrice di frutta, appunto – di antica tradizione, recuperata anche negli anni sessanta dell’Ottocento da Manet – era stato affrontato da altri artisti come Bepi Fabiano (Giovinetta e natura morta, 1925, Treviso, Museo civico Luigi Bailo), da Piero Marussig in Autunno (1924) e soprattutto nel celebre dipinto di Achille Funi, La terra (1921, collezione privata), che può essere considerato il punto di partenza del recupero di questa iconografia. Le differenze tra Tomassi e Socrate sono

Fig. 51 - Ritratto della pianista Jolanda Kusakabé, 1924 c. Collezione privata

tuttavia maggiori rispetto alle analogie, che si fermano, in sostanza, alla comunanza del soggetto. Socrate fu uno dei selezionati da Margherita Sarfatti per la celebre sezione “Dieci artisti del Novecento italiano”, mentre Tomassi era fondamentalmente un outsider, un artista al di fuori da etichette seppur attento a quanto si producesse intorno a lui. La composizione di Socrate è semplice e la pittura spessa, ma non rilevata; il disegno è dis-

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Fig. 52 - MaternitĂ , 1922. Collezione privata

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Fig. 53 - Mia moglie, 1925. Collezione privata


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tizione geometrica del fondo che si pone in contrasto cromatico con il resto della scena facendo in modo che Enza, posizionandosi nello spazio lasciato libero da quella, emerga come incorniciata da quel vuoto di risulta. Questo aspetto di artificialità è esaltato ulteriormente da una tessitura pittorica estremamente delicata, trasparente, in continuità con altri lavori di Tomassi. L’abito candido è punteggiato calligraficamente dal ricamo azzurro e sempre calligraficamente sono resi i ciuffi ribelli che fuoriescono dalla capigliatura della ragazza, altro tipico marchio di fabbrica del pittore. Il confronto stilistico con il passato è qui più serrato che altrove e il maestro d’elezione è, come accennato, Piero della Francesca, esattamente in piena rivalutazione critica nello stesso momento, visto che la celebre monografia di Roberto Longhi fu data alle stampe per le edizioni di Valori Plastici in quello stesso 1927. Il “pierfrancescanesimo” di Tomassi è chiaramente sui generis. Come per gli altri pittori moderni, però, il riferimento a Piero si risolveva in una sorta di asciugatura di tutto quello che la pittura e la decorazione aveva offerto fino a quel momento. “Gesti sospesi” e “luminismo statico” erano i concetti espressi dalla storia dell’arte che rivalutava Piero della Francesca che meglio si adattavano a tali opere12. Le tinte e le stesure piatte caratterizzano in pieno i lavori di Tomassi in quel momento; i contorni dei volti perfettamente ovali dei figli sono accarezzati gradualmente dalla chiara luce di Piero. È nella sospensione temporale, nell’antinaturalità delle pose e delle situazioni come se tutto

Fig. 54 - Enza, 1925. Collezione privata

simulato nonostante i contorni delineati. La frutta è caratterizzata da un realismo caravaggesco – nonostante si tratti di prodotti esotici (banane, ananas, datteri) – motivo che portò all’apprezzamento di Roberto Longhi al quale infatti l’opera è appartenuta11. In Tomassi tutto è più purificato. La posa di Enza è di certo maggiormente artefatta e l’insieme compositivo è talmente studiato e calibrato da risultare antinaturalistico. La tenda verde crea una par-

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Fig. 55 - Mia figlia (Enza e l’uva), 1926. Collezione privata

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Fig. 56 - Alla fonte, 1932. Collezione privata

fosse congelato da quella luce chiara e senza contrasti, che si riscontra, in Tomassi, un percorso personale e artistico che lambisce e penetra accidentalmente il Realismo magico di Donghi, Guidi, Trombadori. Gli accenti novecentisti della pittura di Tomassi rivelano, se si vuole, un versante maggiormente realistico della temperie, poiché quello che davvero lo differenzia dal Realismo magico e dal

Novecento puro è una totale mancanza di stilizzazione e, viceversa, un sicuro aggancio con il reale. Nondimeno, sono proprio le sue composizioni studiate, minuziosamente calcolate e calibrate, le messe in scena improbabili, a tratti irreali, dove l’atmosfera è rarefatta e l’aria infonde una luce chiara e trasparente ad allontanare tali opere dal versante naturalista. Nulla, infatti, è naturale lì, anzi, artifi-

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di pose e di oggetti che caratterizzano la pittura novecentista […] rispondevano bene alla poetica di sublimazione del quotidiano su cui punta il purismo postbellico, rigirando in chiave di classica immobilità l’atmosfera sospesa del crepuscolarismo di fine secolo»16. Questo accadde in parte anche a Tomassi che abbandonò il realismo lineare e descrittivo del primo Novecento, così come le sperimentazioni pastose e cromatiche degli anni a cavallo del decennio, per una sublimazione del reale fondato sul recupero di alcuni elementi classici volti a rappresentare, come gli altri esponenti della pittura del ritorno all’ordine italiano, «un’umanità operosa ma dedita ad attività elementari ed inerti»17. Sono figure – specialmente donne – che «recano frutti [che] simboleggiano i valori della vita semplice, la fecondità della terra, se si vuole l’etica rurale, ma anche lo stare, il permanere, il domestico e il perenne»18. Questi aspetti continuano ad essere validi nelle opere di Tomassi di quel torno di anni anche laddove esse portano avanti le tematiche della campagna romana, la rappresentazione della vita agreste in stretta connessione con la pittura bozzettistica e folkloristica dell’Ottocento e del primo Novecento, come dimostrano, per esempio, Alla fonte (1932, fig. 56) e il precedente, perduto, Donna col costume della Val di Fassa (1930, esposto alla Mostra del centenario della Società degli Amatori e Cultori, fig. 57). Dipinti che si inseriscono in questo nuovo percorso stilistico di Tomassi sono il ritratto del figlio (Andrea bambino, 1927, presentato all’esposizione degli Amatori e Cultori del

cioso e in questo la composizione si carica di un accenno di mistero; non è certo Realismo magico strictu sensu, ma gli si avvicina o ne cattura per lo meno le intenzioni superficiali13. A questo punto è plausibile chiedersi se effettivamente la pittura di Tomassi di questo giro di anni possa essere ascritta al clima novecentista – di cui il Realismo magico era una espressione tra altre – o possa essere almeno ricollegata ad esso. A conti fatti, osservava nel 1983 Dino Formaggio, Novecento si riconosce in una generica “tradizione” e “italianità”, dunque per l’assenza di una ben specifica poetica14. Tra i caratteri che però caratterizzano quella temperie, ce n’è uno che è ben presente anche nelle opere di Tomassi, vale a dire quello dell’attesa15, un’attitudine comune a tutti gli artisti degli anni Venti e che ha avuto la sua origine anche nell’evoluzione delle poetiche metafisiche reinterpretate alla luce della tradizione da Valori Plastici. Tomassi non apparteneva a nessuno di questi movimenti, anzi, a parte un interesse nei confronti della pittura tedesca e in generale mitteleuropea, si era sempre tenuto ben saldo nel solco della pittura tradizionale, seppure reinterpretata in chiave personale. Tuttavia, questo non significa che non fosse suggestionato da quanto poteva osservare alle esposizioni, leggere nelle riviste, ascoltare nei dibattiti al caffè; questo si rende evidente nell’accoglienza, alla metà degli anni Venti, di alcuni soggetti tipici della nuova pittura che potevano soddisfare anche le sue esigenze poetiche. Sempre a proposito di Novecento, Rosanna Bossaglia ricordava come «repertori

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e La famiglia Bulgari (1933, collezione privata, fig. 62), così diversi da lavori come il Ritratto della scrittrice Tilde Nicolai (fig. 63) esposto alla Mostra del centenario della Società degli Amatori e Cultori del 1930, aggiornato a modi tedeschi, ma abbastanza convenzionale nella posa e nello stile. Se il ritratto della famiglia Bulgari19 coniuga la predilezione per le figure all’aria aperta dei primi anni Venti con il nuovo linguaggio “pierfrancescano” in un’opera che è più fresca, libera e ariosa, ma equilibrata, rispetto al tradizionalissimo Ritratto di Sotirio Bulgari dello stesso anno (1933, fig. 64)20, La mia famiglia è una riedizione modernizzata del tradizionale conversation piece. Questo gruppo di famiglia in un interno è un vero capolavoro di equilibrio compositivo e cromatico, forse il vero punto di arrivo dell’intera parabola artistica di Tomassi. Manca, in quest’opera, qualsiasi concessione alla scena di genere come invece in analoghe opere di Bertoletti o di Coromaldi, ma nemmeno la geniale irriverenza di Ferruccio Ferrazzi del suo I caratteri della mia famiglia (1921, esposto alla prima Biennale Romana). Eppure anche qui ogni figura è ben caratterizzata nella propria personalità resa eloquente dalle pose assunte: Andrea, ormai giovanotto sicuro di sé nelle sue mani in tasca, ricalca la posa di Léon Koella del Déjeuner dans l’atelier di Édouard Manet (1868, Monaco di Baviera, Neue Pinakothek), Nadia, seduta, avvicina elegantemente la sua mano sinistra alla gota, appoggiando il gomito sulla coscia, Enza gioca con la sua collana mentre rivolge uno sguardo al fratello. Il fondo è scandito

Fig. 57 - Donna in costume della Val di Fassa, 1930 (perduta)

1928, fig. 58), il ritratto di Enza chiamato Il viaggio di Goethe in Italia (fig. 59), il Ritratto di Andrea mentre studia (1932, fig. 60) – caratterizzato da una intonazione cromatica più squillante e allo stesso tempo enfatizzato, dal punto di vista lineare, dall’uso della china – e soprattutto i grandi ritratti dei primi anni Trenta, La mia famiglia (1932, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, fig. 61)

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dalla porta verde sulla quale Andrea spicca per contrasto cromatico, dallo stipite bruno e dalla parete bianca, mentre quel bruno e quel verde si ritrovano contrappuntati nel tavolo e nel gilet di Nadia. In questa, che è l’opera per eccellenza della maturità di Tomassi, trovano compimento tutte le sperimentazioni avviate in gioventù e portate avanti sino a quel momento: la linea che incide, il colore chiaro e leggero, l’attenzione alla natura e al vero simboleggiate dal vaso di fiori, il cui vetro riflette, alla fiamminga, il resto della stanza; e, soprattutto, anche qui la luce chiara, ancora una volta derivata da Piero, contribuisce a creare quell’alone di mistero e sospensione che rappresenta il punto di contatto con la pittura avanzata del momento. Il dipinto fu presentato alla Biennale di Venezia del 1934 (prima e unica partecipazione) e poi nel 1937 a Berlino, alla Ausstellung e Italienischer Kunst von 1800 bis zur Gegenwart. In quello stesso 1937, Tomassi partì dall’Italia per trasferirsi in Germania. Prima di lasciare Roma e la sua Subiaco, il pittore continuò la sua sempre assidua presenza alle esposizioni romane e nazionali20 mentre nel 1934 si verificò un episodio solitamente al di fuori della sua consueta produzione, vale a dire la realizzazione della decorazione musiva per la chiesa di San Roberto Belarmino nella quale abside proponeva, in un’ottica quasi di revival medievale, il santo stante e ieratico (fig. 65), seguendo in questo il rigore classico e allo stesso tempo moderno dell’edificio progettato da Clemente Busiri Vici nel 1931 e costruito entro il 1933. Si tratta di uno stile

Fig. 58 - Andrea bambino, 1927. Collezione privata

molto diverso rispetto a quello con cui aveva condotto un’altra decorazione ecclesiastica, vale a dire gli affreschi delle tre cappelle per la chiesa di Santa Maria a Monterotondo, del 192921. Il trasferimento in Germania (Berlino, Postdam, Dresda e infine Bad Berleburg, dove è sepolto) segnò l’inizio di un nuovo percorso per l’artista. Due autoritratti eseguiti qualche anno dopo la partenza (figg. 66, 67) ci descrivono un uomo maturo, sicuro di sé e dei suoi mezzi. Nei paesaggi che realizzò in quei

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Fig. 59 - Il viaggio di Goethe in Italia, 1929. Collezione privata

Fig. 60 - Andrea, 1932. Collezione privata

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Fig. 61 - La mia famiglia, 1932. Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti

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Fig. 62 - La famiglia Bulgari, 1933. Collezione privata

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Fig. 64 - Ritratto di Sotirio Bulgari, 1933. Collezione privata Fig. 63 - Ritratto di Tilde Nicolai, 1929-30. Collezione privata

primissimi anni tedeschi (per esempio in alcune vedute di Dresda del 1940, fig. 68, o di Potsdam22), l’artista recuperò alcuni modi del verismo luminoso tipico delle vedute degli anni precedenti, per esempio de Il Pincio visto dal mio studio esposto nel 1930 alla mostra del centenario degli Amatori e Cultori (Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale). La guerra, la perdita di alcuni suoi lavori in seguito ai bombardamenti russi (a poco valse proteggerli nei sotterranei della Biblioteca Na-

zionale di Berlino) e, alla fine del conflitto, il contatto con la pittura tedesca moderna e con quella norvegese – di Munch in particolare (si veda il Paesaggio nordico del 1952, fig. 69) – portarono il linguaggio di Tomassi alla più sostanziale delle trasformazioni della sua vita. Il contorno lineare che aveva caratterizzato la sua pittura fin dalla giovinezza fu abbandonato per sempre e, viceversa, il colore prese un dominio incontrastato soprattutto nelle accensioni cromatiche. I soggetti tradizionali

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parte della sua vita prevalse decisamente il secondo, evidentemente più adatto a trattare il contrasto tra la ricerca di vitalità di un uomo ormai anziano e il dolore di chi aveva vissuto traumaticamente i recenti eventi bellici. Nonostante questo spostamento d’interesse verso l’accensione cromatica, è stato nel nome del disegno che Renato Tomassi ha prodotto alcuni dei lavori più interessanti del Novecento italiano. Tali opere, ispirate parimenti dalle suggestioni d’oltralpe e dalla meditazione sulla tradizione italiana, rendono testimonianza, in definitiva, di una voce certamente autonoma, ma attenta a intercettare in maniera originale gli umori del clima culturale romano e farli suoi.

NOTE 1

Cfr. L. Finicelli, Le biennali romane. Le esposizioni biennali d’arte a Roma 19211925, Roma 2010, pp. 73-76, 80.

Fig. 65 - Mosaico absidale della chiesa di San Roberto Bellarmino, Roma, 1934

affrontati dal pittore romano – il nudo (figg. 70, 71), la natura morta (Pesce e gamberi rossi, fig. 72), la scena di genere (La fisarmonica, 1954, fig. 73) – furono ripensati stilisticamente prediligendo grosse pennellate espressive sature di colore puro, trattate sempre con tecniche differenti. Nel dualismo tra disegno e colore che aveva contraddistinto la maturità stilistica di Tomassi, nelle opere dell’ultima

2

Cfr. ivi, pp. 94-101.

3

Ivi, p. 95.

4

La moglie Nadia e la madre di lei, Dora, ereditarono l’archivio del pittore dalla figlia di Vedder, Anita. Cfr. R. Soria, L'Italia di Elihu Vedder, in G. Borghi, R. Soria (a cura di), Viaggiatori Appassionati: Elihu Vedder e altri paesaggisti americani

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Fig. 66 - Autoritratto, 1939. Collezione privata


Fig. 67 - Autoritratto, 1937-39 c., Collezione privata

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Fig. 68 - Ricordo di Dresda, 1940. Collezione privata

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Fig. 69 - Paesaggio nordico, 1952. Collezione privata

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Fig. 70 - Nudo sulla spiaggia. Collezione privata

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Fig. 71 - Nudo. Collezione privata

dell'Ottocento in Italia, Pontedera 2002, p. 36.

concerto al teatro Eliseo nel 1921, cfr. “Musica d'oggi: rassegna di vita e di coltura musicale”, III-IV (1921), p. 487. Tuttavia, il ritratto sembra più tardo, cfr. La pianista giapponese Kusakabé, in “La Fiamma”, 4, dicembre 1924.

5

Cfr. G. Nicodemi, La mostra del ritratto femminile contemporaneo nella Villa Reale di Monza, in “Emporium”, LIX (1924), 354, pp. 399-400. 6

8

A. Lancellotti, La Terza Biennale Romana d’Arte MCMXXV, Roma 1925, p. 43, rip. p. 41. 7

Il dipinto potrebbe essere identificato con Enza (1925), riprodotto a colori in C. Virno, Ritratto e veduta nell’arte di Renato Tomassi: le opere esposte, in Ead. (a cura di), Renato Tomassi (1884-1972). Ritratti e

La pianista tenne sicuramente un

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Fig. 72 - Natura morta: pesce e gamberi rossi. Collezione privata

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Vedute, Roma 2004, p. 13, n. 5. 9

Sulla fortuna di Piero della Francesca nell’arte del Novecento, cfr. F. Mazzocca. Da Degas al realismo magico. la riscoperta e la consacrazione di Piero della Francesca nella critica e nella pittura tra Otto e Novecento, in A. Paolucci et alii, Piero della Francesca. Indagine su un mito, Cinisello Balsamo (Milano) 2016, pp. 51-65.

16

Bossaglia, cit., p. 30.

17

Ivi, p. 31.

18

Ibidem.

19

I Tomassi erano molto amici dei Bulgari soprattutto per intercessione della madre di Nadia, Dora, poiché il marito, il dott. Bretschneider fu loro medico.

10

20

Cfr. G. Di Genova, Storia dell’arte italiana del ’900 per generazioni. Generazione maestri storici, vol. 1, Bologna 1993, p. 524 e vol. 2, Bologna 1994, p. 737. Mia figlia è riprodotta a p. 779, fig. 1028.

Negli stessi anni Tomassi realizzò due ritratti per il Salone dei Condottieri di Palazzo Barberini (il Salone del Trionfo della Divina Provvidenza di Pietro da Cortona), all'epoca sede del Circolo Ufficiale delle Forze Armate. I dipinti ritraggono Marcantonio Colonna e Andrea Doria (1934-1937 c.) e si trovavano tra i finestroni centrali del salone.

11

Ibidem. Su questo aspetto si veda anche V. Gensini, L. Mannini, A. Villari (a cura di), Novecento Sedotto. Il fascino del Seicento tra le due guerre, Firenze 2010.

21

12

Cfr. il regesto delle esposizioni di Tomassi in appendice al presente volume.

Cfr. Mazzocca, cit., p. 60.

13

22

Su questi temi si rimanda all’ancora fondamentale M. Fagiolo dell’Arco (a cura di), Realismo magico. Pittura e scultura in Italia 1919-1925, Milano 1988.

Cfr. F. Domestici, Renato Tomassi. “Evviva l’arte nella gioia e nel dolore”/ “Long live art both in joy and in sorrow”/ “Es lebe die Kunst in Freude und Leid”, in Ead., F. Tomassi (a cura di), Renato Tomassi. The painter. Der Maler (1884-1972), Firenze 1999, p. 20.

14

Cfr D. Formaggio, L’estetica italiana intorno agli anni Venti, in D. Formaggio et alii, Mostra del Novecento italiano 1923/1933, Milano 1983 e R. Bossaglia, Caratteri e sviluppi di Novecento, in ivi, p. 30. 15

Cfr. Formaggio, cit.

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23

Cfr. Virno, cit., pp. 15-18, figg. 17, 20, 21.

24

Cfr., Ivi, p. 24.


Fig. 73 - La fisarmonica, 1954. Collezione privata


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Opere in mostra

Il mio attendente (Il soldato dagli occhi verdi), 1917 (fig. 17, p. 39) Olio su tela, cm 76 x 47 Collezione privata

Ritratto di prelato, 1906 (fig. 3, p. 19) Tecnica mista, acquerello, tempera, pastelli su carta incollata su cartone, mm 510 x 350 Siglato e datato in basso a sinistra “RT1906” Collezione privata

In posa, 1918 (fig. 18, p. 41) Olio su tela, cm 92 x 61 Siglato in alto a sinistra “RT” Collezione privata

Il cucito, 1915 (fig. 5, p. 21) Olio su tela, cm 46 x 27,5 Sul retro cartiglio “Mostra Berlino”; cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986. Collezione privata

Nadia Bretschneider Tomassi, 1918 (fig. 19, p. 44) Tecnica mista, penna, acquerello e pastello, su carta incollata su cartoncino, mm 450 x 350 Siglato e datato in basso a sinistra “RT1918 Roma” Collezione privata

Ritratto di Alfredo Bretschneider, 1913 (fig. 7, p. 24) Tecnica mista, acquerelli e pastelli su carta incollata su cartoncino, mm 345 x 260 Siglato e datato in alto a sinistra “RT1913” Collezione privata

Nadia Bretschneider, 1919 (fig. 25, p. 50) Olio su cartone, cm 103 x 75 Siglato e datato in alto a destra “RT1919” Sul retro cartiglio “Mostra Berlino” Collezione privata

Monte Corno, 1917 (fig. 12, pp. 34-35) Olio su tela, cm 43 x 85 Siglato e datato in basso a destra “RT1917” Collezione privata

Mattino di sole, 1922 (fig. 31, pp. 56-57) Olio su tela, cm 100 x 140 Siglato e datato in basso a sinistra “RT1922” Collezione privata

Attendendo gli aeroplani austriaci, 1915 (fig. 14, p. 37) Tecnica mista su carta, mm 320 x 180 Iscrizione in basso a sinistra “Attendendo gli aeroplani austriaci! Torino RT1915” Collezione privata

Il laghetto, 1927 (fig. 33, pp. 60-61) Olio su tela, cm 46 x 80 Siglato e datato in basso a destra “RT1927” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata

Ritratto di attendente, 1917 (fig. 15, p. 37) Acquerello su carta, mm 295 x 215 Iscrizione in basso a sinistra “RT1917- Bozzetto – Torino” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986. Collezione privata

Nudo (studio), 1925 (fig. 44, p. 72) Tecnica mista su carta, cm 103 x 71 Siglato e datato in basso a destra “RT1915” Sul retro cartiglio di esposizione Collezione privata

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Autoritratto, 1939 (fig. 66, p. 96) Acquerello su carta incollata su cartone, mm 510 x 286 Siglato e datato in basso a destra “RT1939” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata

Finestra a Capri, 1923 (fig. 46, p. 74) Olio su tela, cm 101 x 92 Collezione privata La terrazza (Torre Quattro Venti, Capri), 1923 (fig. 47, pp. 76-77). Olio su tela, cm 54 x 95 Siglato e datato in basso a destra “RT1923” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata

Autoritratto, 1937-39 c. (fig. 67, p. 97) Olio su tavoletta, cm 41,5 x 30 Collezione privata Paesaggio nordico, 1952 (fig. 69, p. 99) Olio su tela, cm 60 x 73 Siglato e datato in basso a destra “RT1952” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata

Il ramo di pesco, 1922 (fig. 49, p. 79) Olio su tela, cm 88 x 47 Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata Maternità, 1922 (fig. 52, p. 82) Tecnica mista su tela, cm 82 x 70,5 Datato in basso a destra “Maggio 1922” Collezione privata

Nudo sulla spiaggia (fig. 70, p. 100) Olio su tela, cm 65 x 50,5 Siglato in basso a sinistra “RT” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata

Mia moglie, 1925 (fig. 53, p. 83) Tecnica mista su carta, cm 108 x 71 Iscrizione in alto a sinistra “RT1925 Altipiano di Arcinazzo” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata Esposta alla XCII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1926

Natura morta: pesce e gamberi rossi (fig. 72, p. 102) Tecnica mista su compensato, cm 65 x 50 Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986; iscrizione “Dipinto da Renato Tomassi fra il 1960 e il 1970 a Positano. Enza Tomassi”. Collezione privata La fisarmonica, 1954 (fig. 73, p. 104) Tecnica mista su carta applicata su tavola, cm 65 x 47 Siglato e datato in alto a destra “RT1954” Sul retro cartiglio della mostra Renato Tomassi, Roma 1986 Collezione privata

Andrea, 1932 (fig. 60, pp. 90-91) Tecnica mista su carta incollata su cartone, cm 48 x 65 Sul retro iscrizione “Ritratto di Andrea (Via Condotti 11 Roma) 1932 R. Tomassi” Collezione privata

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In posa, 1918. Particolare


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Regesto delle esposizioni di Renato Tomassi (1907-1937)

LXXVII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1907

LXXXVIII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1919

LXXVIII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1908

LXXXIX Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1920

LXXIX Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1909

Prima Biennale Romana: Esposizione Nazionale di Belle Arti nel Cinquantenario della Capitale, Roma 1921

LXXXII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1913

XC Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1922

LXXXIII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1914

La Primaverile Fiorentina. Prima esposizione nazionale dell'opera e del lavoro d'arte nel Palazzo del Parco di San Gallo a Firenze, Firenze 1922

LXXXV Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1916

XCI Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1923

LXXXVI Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1917

Seconda Biennale Romana: Mostra internazionale di Belle Arti, Roma 1923

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RENATO TOMASSI - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO

Belle Arti, Firenze 1933

Renato Tomassi [Mostra personale nel foyer del Teatro nazionale] Roma 1923

Seconda mostra nazionale del bambino nell’arte, Roma 1933 Terza Biennale Romana: Esposizione Internazionale di Belle Arti, Roma 1925 XIX Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, Venezia 1934 XCII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1926

Seconda Quadriennale d’Arte Nazionale, Roma 1935

XCIII Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1927

VI Mostra del Sindacato Fascista Belle Arti del Lazio - Prima Mostra Nazionale del Cartellone e della Grafica pubblicitaria - Prima Mostra Nazionale d'Arte Sportiva: architettura, scultura, pittura, Roma 1936

XCIV Esposizione Internazionale di Belle Arti della Società Amatori e Cultori di arti in Roma, Roma 1928

Seconda Mostra del Sindacato Nazionale Fascista di Belle Arti, Napoli 1937 Mostra del centenario della Società amatori e cultori de belle arti, 1829-1929, Roma 1930 VII Mostra del Sindacato Fascista Belle Arti del Lazio, Roma 1937 Seconda Mostra del Sindacato Laziale Fascista di Belle Arti, Roma 1930 Ausstellung Italienischer Kunst von 1800 bis zur Gegenwart, Berlino 1937 Prima mostra del Sindacato Nazionale fascista di

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Nudo sulla spiaggia. Particolare


MATTEO PICCIONI

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L’autore

Matteo Piccioni (San Benedetto del Tronto, AP, 1982) è storico dell’arte dell’età contemporanea, specialista nella cultura visiva europea del “Lungo Ottocento” (1789-1914). È docente a contratto di Storia dell’arte contemporanea alla Sapienza Università di Roma dove insegna Storia delle arti applicate e industriali. Sempre alla Sapienza si è laureato nel 2008, specializzato nel 2011 e ha ottenuto il dottorato nel 2015 con una ricerca sulla fortuna delle scene domestiche e intimiste in Francia dalla Monarchia di luglio ai Nabis. Dal 2008 al 2014 ha collaborato con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, lavorando per importanti mostre come Dante Gabriel Rossetti, Edward Burne-Jones e il mito dell’Italia nell’Inghilterra vittoriana, a cura di Maria Teresa Benedetti, Stefania Frezzotti, Robert Upstone (2011) e Secessione e Avanguardia. L’Arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915, a cura di Stefania Frezzotti (2014-15). Ha partecipato a convegni nazionali e internazionali, e ha all’attivo numerose pubblicazioni sia in importanti riviste scientifiche – Pio Joris (1843-1921) e la pittura a Roma nel secondo Ottocento, in “Storia dell’arte” (128, 2011); Dall’interno all’esterno. Intérieur à Arcachon di Édouard Manet, in “L’uomo nero” (13, 2016) – sia in enciclopedie, volumi collettanei e cataloghi di mostre. Dal 2016 collabora con il Reparto di Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani, occupandosi in particolare di scultura del XIX secolo. Le sue principali aree di specialità e interesse sono: la pittura romana all’indomani dell’Unità d’Italia; la ricezione dell’arte francese e inglese in Italia (La fortuna dei preraffaelliti in Italia da Costa a Previati, 2011; La vocazione internazionale della Secessione romana e la “Sala degli Impressionisti Francesi” del 1913, 2013); la storia della critica d’arte (“Primitivi”, Neoclassico, Revival: il recupero della storia nella critica arganiana, 2012); la pittura marchigiana del primo novecento (Adolfo De Carolis e il ‘400 italiano, 2010; La Cappella Votiva di Adolfo De Carolis [Collegiata di San Ginesio, Macerata], 2012); il rapporto tra arte e letteratura in Italia, Francia e Inghilterra (D’Annunzio, Flaubert, James); le arti applicate internazionali in relazione all’industria e ai fenomeni di revival (Alessandro Morani e il passato, 2016); la storia dell’illustrazione satirica e del fumetto (Note sulla presenza degli artisti italiani a Parigi nel primo Novecento: disegno e illustrazione tra caricatura, satira e umorismo, 2016; Realismo, narrazione e rappresentazione del tempo: William Hogarth e l’origine dell’illustrazione moderna, 2016).

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camillo innocenti

cataloGo Generale a cura di

manuel carrera e

euGenia Querci

In collaborazione con

WWW.CAMILLOINNOCENTI.IT


Ăˆ disponibile in galleria il catalogo della mostra info@maestrionline.it www.maestrionline.it

(1844-1905)

Hermann Corrodi Italy and the East Enchantment and Fascinations of a Nineteenth Century Traveller


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(1874-1953) Arturo Noci Tra Roma e New York: dal divisionismo aristocratico al ritratto borghese


In collaborazione con

CATALOGO GENERALE A CURA DI

MANUEL CARRERA


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Michetti La luce e il segno


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info@maestrionline.it www.maestrionline.it



Sartorio Mito e modernitĂ

La Galleria Berardi ricerca per l'acquisto opere di

Giulio Aristide Sartorio (Roma 1860 - 1932)


Catalogo generale

Michetti Prosegue la catalogazione delle opere di Francesco Paolo Michetti a cura dell'Archivio dell'Ottocento Romano.

Il comitato scientifico per l'esame delle opere è composto da Fabio Benzi, Gianluca Berardi, Teresa Sacchi Lodispoto, Sabrina Spinazzè.

Info: www.francescopaolomichetti.it

Con il patrocinio di Con il sostegno della

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI G. D’ANNUNZIO CHIETI PESCARA


In collaborazione con

CATALOGO GENERALE

UMBERTO PRENCIPE

Con il sostegno della

L'Archivio Umberto Prencipe ha iniziato la catalogazione delle opere del Maestro in vista della pubblicazione on-line del catalogo generale.

Info: www.umbertoprencipe.it


Archivio dell’Ottocento Romano

Studi e ricerche sulla produzione artistica romana del secondo Ottocento e del primo Novecento Raccolta di materiale archivistico e documentario Perizie di autenticitĂ e stime di valore su singole opere o intere collezioni Cura di testi monografici e cataloghi di mostre Progettazione e cura di eventi espositivi

www.ottocentoromano.it


RENATO TOMASSI - DALLE SECESSIONI AL REALISMO MAGICO Finito di stampare nel mese di maggio 2017 da Print on web srl - Isola del Liri (Fr)



Corso del Rinascimento, 9 - 00186 Roma www.maestrionline.it


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