Zoè Gruni. 2004-2014 Mitopoiesi

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Xico Chaves è artista visivo, poeta contemporaneo e articolatore culturale. Laureato in arti e scienza della comunicazione è “notorio saber” in arti visive all’Università di Brasilia, vive a Rio de Janeiro dove sviluppa il suo lavoro multimediale che incorpora diversi linguaggi artistici. Dal 1970 partecipa a movimenti contemporanei, sviluppa ricerche nel campo dell’arte sperimentale, dell’espressione popolare, partecipa ad esposizioni, pubblicazioni, progetti artistici e culturali. Attualmente è Direttore del Centro di Arti Visive della Fondazione Nazionale delle Arti del Ministero di Cultura del Brasile.

2004-2014 MITOPOIESI

X. CHAVES

ZOÈ GRUNI 2004-2014 MITOPOIESI

ZOÈ GRUNI

Catalogo pubblicato in occasione della mostra

F. NORI

Franziska Nori è direttore del Centro di Cultura Contemporanea Strozzina (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze). Dal marzo 2007 è responsabile per il programma artistico del centro di cui è stata curatrice di mostre tra cui Territori instabili, Un’idea di bellezza (2013), Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea (2012), Declining Democracy (2011), Gerhard Richter e la dissolvenza dell’immagine nell’arte contemporanea, Arte, prezzo e valore (2008), Sistemi emotivi (2007) e delle installazioni site specific nel Cortile di Palazzo Strozzi, realizzate da artisti come Michelangelo Pistoletto, Yves Netzhammer e Loris Cecchini. Dal 2000 al 2003 ha diretto il dipartimento di arti digitali “digitalcraft” presso il Museo di Arti Applicate di Francoforte (MAK) realizzando la prima collezione museale dedicata a manufatti digitali e curando mostre dedicate a temi della cultura digitale. Si è laureata in antropologia culturale, letterature romanze e storia dell’arte presso l’Università Johan Wolfgang Goethe di Francoforte. Dal 1994 ha curato mostre d’arte moderna e contemporanea come curatrice indipendente per instituzioni tra cui la Schirn Kunsthalle di Francoforte, il Museum für Moderne Kunst di Vienna e il Museo Nacional Reina Sofia di Madrid.

ZOÈ GRUNI Le Americhe a cura di

Andrea Alibrandi

EDIZIONI IL PONTE FIRENZE

GALLERIA IL PONTE FIRENZE 7 febbraio - 18 aprile 2014



44 LE MOSTRE

A mio nonno Delio, che la frase di Archimede “Datemi una leva e solleverò il mondo” l’ha messa in pratica davvero.



ZOÈ GRUNI 2004-2014 MITOPOIESI testi di

FRANZISKA NORI XICO CHAVES

EDIZIONI IL PONTE FIRENZE


Un ringraziamento speciale a Silvia Lucchesi, Franziska Nori ed Enrico Pedrini che, negli anni, hanno creduto nel mio lavoro. in copertina

Boitatà, 2014 controfrontespizio

foto di Krishna R. Malhotra, 2011 catalogo cura di

Andrea Alibrandi ufficio stampa

Susanna Fabiani impaginazione grafica

Alessio Marolda redazione editoriale

Bernardo Damasceno Federica Del Re Nora Yang referenze fotografiche

Torquato Perissi

traduzioni in inglese

Karen Whittle

traduzionì in portoghese

Ana Candida De Carvalho Carneiro Stampa

Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera © 2014 EDIZIONI IL PONTE FIRENZE 50121 Firenze - Via di Mezzo, 42/b tel +39 055240617 fax +39 0555609892 website: www.galleriailponte.com e-mail: info@galleriailponte.com


SOMMARIO

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Franziska Nori Zoè, artista nomade

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Xico Chaves Zoè: Mitopoetica / l’incorporazione contemporanea del mito

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Franziska Nori Zoè, Nomad Artist

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Xico Chaves Zoè: Mythopoetics / the Contemporary Embodiment of Myth

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Franziska Nori Zoè, artista nômade

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Xico Chaves Zoè: Mitopoética / a incorporação contemporânea do mito

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Tavole / Plates / Imagens

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Biografia / Biography / Biografia

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Mostre e bibliografia / Exhibitions and Bibliography / Exposições e bibliografia

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Indice delle tavole / Plate index / Índice das imagens


Backstage La MĂŠrica, Rio de Janeiro 2012


ZOÈ, ARTISTA NOMADE

Ogni rituale è un interrogarsi sul mondo, sul senso, sull’essere individuale e sociale. Marc Augè

Zoè Gruni si definisce nomade. Essa è in viaggio tra continenti e tra culture, tra passato e presente: una viaggiatrice alla ricerca di comprendere la natura delle inquietudini esistenziali dell’essere umano. Zoè scandisce il suo linguaggio visivo attingendo alle radici dell’immaginario collettivo, concentrando la sua ricerca sulla possibilità di trovare forme visive che diano una risonanza ai sentimenti, ai ricordi e alle più intime paure individuali cristallizzate negli stereotipi di leggende e miti popolari. Così facendo, Zoè Gruni affronta l’arte, sfatando l’incommensurabilità delle diverse forme di inquietudini interiori. I lavori più recenti di Zoè Gruni sono stati realizzati in Brasile dove l’artista si è trasferita dopo un periodo trascorso in California. Come già in passato, anche questi lavori si situano in una dimensione tra scultura e arte applicata, tra arte performativa e videoarte. Da sempre il soggetto della ricerca artistica di Zoè Gruni è il recupero di mitologie e di racconti popolari per verificarne la possibile valenza simbolica e il significato atemporale. La ricerca dell’artista si colloca nello spazio tra immaginario individuale e collettivo, trovando una forma di espressione fisica per miti incorporei relegati alle narrazioni orali. Il corpo femminile, spesso il proprio, è per Zoè Gruni al tempo stesso soggetto e oggetto dei suoi lavori. Nel diventare superficie di proiezione e strumento di rappresentazione, il corpo perde la sua dimensione intima e privata

diventando corpo pubblico dalla dimensione politica (Scalp, 2008; Metropolitan Legends Cryptid, 2012; La Mérica, 2013). Zoè Gruni realizza sculture indossabili dalle sembianze di stranianti esseri in cui é spesso lei stessa a inserirsi fisicamente, realizzando attraverso essi interventi performativi in luoghi pubblici. Come una seconda pelle queste forme indossabili ricoprono il corpo dell’artista che, trasformata in una nuova entità, si muove lentamente attraverso paesaggi urbani in uno stato di isolamento dall’esterno. Al tempo stesso la maschera diventa abitacolo per il corpo indifeso e corazza mostruosa che intimorisce e allontana, utilizzando quasi una duplice strategia per trovare protezione e allontanare il pericolo. Nella tradizione della maschera rituale, le vesti trasformano il corpo, ne assorbono l’individualità specifica per renderla rappresentativa e interprete di figure tipizzate permettendo in questo modo di stabilire un collegamento tra mondo umano e spirituale. Zoè Gruni si ricollega all’antica pratica culturale della maschera. Nella sua accezione più etnologica, la maschera è l’abitacolo costruito in un lungo processo artigianale spesso ritualizzato. Essa permette un’anonimizzazione del corpo grazie alla quale il portatore perde la sua valenza individuale per divenire simbolicamente l’entità spirituale rappresentata. Nella tradizione del teatro, da quello antico greco sino a quello contemporaneo, la rappresentazione in

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maschera invece permette di raffigurare sentimenti, di rendere visibili la dimensione onirica o trascendente dell’uomo, riuscendo a dar forma a quella sfera dell’umano che solitamente rimane irrappresentabile. Le sculture indossabili di Zoè Gruni vengono da lei assemblate a mano utilizzando materiali semplici e quotidiani. Già dalla prima fase del suo percorso artistico l’artista sceglie di lavorare con materiali poveri che nascono e sono legati direttamente al contesto nel quale essa lavora: per esempio la juta delle campagne pistoiesi (Copricapi e Copricorpi, 2004-2008, Metacorpo, 2009), la fibra di palma californiana (Jackalope, 2010) o vecchie camere d’aria di biciclette in caucciù (Boitatà, 2013), materia prima che nei secoli è stata sottratta dai conquistadores spagnoli con feroci guerre contro le popolazioni delle foreste amazzoniche del Nuovo Mondo. L’artista rivendica l’atto manuale come importante aspetto di un processo riflessivo in cui la dimensione concettuale non può prescindere da una fisicità legata al materiale e alla dimensione temporale inerente al processo di produzione stesso. Le figure scelte da Zoè Gruni scaturiscono dalla fantasia collettiva, da leggende orali che sono incarnazioni delle paure e delle superstizioni tramandate nel tempo. L’artista svolge lunghe ricerche per poi dare alle sue figure una forma corporea spesso ibrida tra uomo e animale. Materializzando la paura umana in una rappresentazione antropomorfa e zoomorfa, Gruni conferisce una presenza fisica a ciò che altrimenti rimarrebbe confinato nella dimensione oscura del subconscio di incertezze senza volto e senza storia. Così, per esempio, Zoè crea la figura del Malocchio (2011). L’artista stessa impersonifica questa superstizione popolare del potere malvagio dello sguardo in un essere irsuto e misterioso, dagli occhi colorati, rendendolo protagonista di due serie fotografiche su cui interviene con tratto a fusain. Nella serie Malocchio I e II la creatura è in primo piano e occupa quasi per intero l’immagine. Sullo sfondo si trovano due soggetti estremamente diversi tra loro ma entrambi legati a fonda-

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mentali topoi del potere: un campo di trivellazione petrolifera (Malocchio I) e il centro di potere simbolico della Chiesa Cattolica: piazza San Pietro (Malocchio II). La figura inquietante e misteriosa guarda direttamente in camera rendendo protagonista dell’immagine quello sguardo temuto dalla superstizione popolare come fonte del male. È sempre lo sguardo al centro anche della leggenda popolare brasiliana Boitatá, soggetto di uno dei più recenti lavori di Zoè Gruni. Secondo la leggenda, questa figura ha le sembianze di un enorme drago-serpente dalle lunghe corna sopravvissuto al diluvio universale che di giorno è cieco e la notte si aggira nei campi alla ricerca di esseri viventi di cui nutrirsi mangiandone solo gli occhi per appropriarsi della loro luce, rendendo in questo modo spaventoso il suo sguardo di mostro. L’artista ha cucito con vecchie camere d’aria di bicicletta l’involucro nero in cui inserisce una performer. Vediamo la figura muoversi con lentezza nel contesto di una città frenetica come São Paulo, nelle strade, nelle piazze, nei giardini e in contesti di vita urbana. La camera rimane fissa su ampie vedute diurne della città che il Boitatà attraversa con velocità rallentata. Le sequenze sono alternate da visioni ravvicinate notturne di un montacarichi industriale che rapidamente sale o scende e ci lascia solo intravedere dalle grate il mostro nero al suo interno. La dimensione sonora completa il lavoro. È il suono del caucciù quando viene deformato, teso e contorto. Il rumore è estremamente ravvicinato suggerendo la percezione acustica dell’essere all’interno del suo involucro. Solo alla fine la cinepresa ci mostra in primo piano lo sguardo del Boitatà rivelandoci i profondi occhi di una giovane donna. La figura del Boitatà ricorre in diversi contesti culturali ed epoche; nella sua espressione più essenziale, ritroviamo aspetti simili nel fenomeno medievale europeo del will-o’-the-wisp o del ignis fatuus, entità luminose o fuochi che traggono in inganno i viaggiatori facendo loro perdere il cammino sicuro. Anche la Luz Mala, conosciuta e temuta da secoli in Argentina, è un fenomeno che fa perdere la via sicura a chi si mette in viaggio per mete incerte.


E nell’era digitale rincontriamo nuovamente la figura del drago serpente dagli occhi di fuoco in videogiochi come Dungeons and Dragons o Everquest. Il viaggio inteso come emigrazione, ossia lasciare la propria terra verso un futuro ignoto, sono i temi anche del recente lavoro di Zoè Gruni, La Mérica. La serie di disegni, fotografie e il video a doppio canale sono stati realizzati dall’artista nel corso del 2012 a Rio de Janeiro. La videoinstallazione è composta da tre elementi fondamentali: le immagini di una natura primordiale del continente sudamericano, quelle del corpo truccato dell’artista e la canzone operaia dei primi ‘900 sull’emigrazione italiana verso il Brasile. Le vedute di una natura paradisiaca si stagliano contro il fondo scuro di una caverna impenetrabile allo sguardo. Queste sono contrapposte alle riprese intime e ravvicinate del corpo dell’artista. Essa è vestita solo di un grande becco di pappagallo che le copre per intero la bocca. La pelle ricoperta di porporina dorata, come quella di una divinità esotica, riluce nella semioscurità. Intravediamo la figura femminile solo per frammenti in primissimo piano, lo sguardo che essa ci rivolge è intenso e sembra in bilico tra determinazione irriducibile e silenziosa angoscia. La poetica e la bellezza senza tempo delle immagini vengono contrapposte alla voce diretta e squillante di Caterina Bueno che canta il dolore di dover emigrare dalla miseria verso un futuro di duro lavoro in Brasile. Anche questo lavoro di Zoè Gruni è caratterizzato dall’accostamento della dimensione universale a quella intima e personale. Pur implicitamente trasportando aspetti personali, Zoè Gruni riesce sempre a trascendere la dimensione puramente autobiografica per diventare esplorazione delle manifestazioni di realtà e fenomeni dalla valenza collettiva. «Nel conforto dato dallo stare insieme era frequente la tendenza a raccontarsi storie di paura. misteri, morte. Dare un nome a queste paure e magari identificarle in un luogo, diventava un vero e proprio esorcismo. Lì c’è la paura si diceva del luogo in cui era successa una cosa misteriosamente irrisolta.» (Zoè Gruni)

I lavori in video documentano azioni performative che Zoè Gruni realizza a volte in spazi interni e a volte in contesti urbani, senza mai però prevedere la presenza di pubblico. Le azioni conservano un carattere fortemente intimo e quasi rituale che pur avvenendo in luoghi pubblici sembrano non venir percepiti dal flusso costante della vita, come se le mitologie personali si snodassero in una dimensione spazio-tempo parallela. Nella sua pratica artistica Gruni studia documenti storici e narrazioni tramandate che formano l’identità del contesto sociale in cui lavora, sia esso quello di origine o dei paesi in cui si trasferisce. Conoscere i simboli e le secolari credenze popolari le permette di avvicinarsi all’identità del luogo, dandole una via di accesso a come le persone costruiscono il proprio mondo e attribuiscono un senso alle proprie esperienze. L’artista estrapola dalla loro dimensione simbolica e stereotipata un’essenza che le permette di avvicinarsi anche alla propria e intima esperienza. Questa appropriazione viene compiuta tramite una reinterpretazione fisica, un reenactment dei fenomeni. Il lavoro di Zoè Gruni si può leggere anche nell’ambito di una lunga tradizione artistica che va dal Simbolismo, al cinema espressionista tedesco al Surrealismo, ossia quelle espressioni dell’Avanguardia europea che in un’era fortemente segnata dalle utopie del progresso si dedicarono ad esplorare e trovare forme di rappresentazione per le manifestazioni di mondi introspettivi e psicologici. L’importanza dell’arte popolare come anche delle maschere fu fondamentale per riflettere sulle radici dell’essenza umana. Mentre queste correnti dell’Avanguardia visivamente proponevano un’esasperazione del reale in forma di mondi onirici paralleli come a creare casse di risonanza alla dimensione politico-sociale, Gruni fa a meno di mezzi stilistici come il pathos o la iperdrammatizzazione. Al contrario, sceglie di presentare l’immaginario delle figure mostruose in un contesto oltremodo quotidiano come a sottolinearne la loro persistenza nella realtà e la loro attualità.

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Con un approccio quasi etnologico, Gruni ha generato negli anni un archivio di mitologie collettive visualizzate, un compendio di forme e simboli in cui i diversi fenomeni antropologici diventano osservabili e comparabili. Nella loro elencazione, le storie e leggende diventano espressione di fenomeni ricorrenti e universali, espressioni per un’idea archetipica delle paure umane che dal passato perdurano fino all’epoca contemporanea. Le figure e le maschere che l’artista realizza creano una realtà a sé stante che valica la dimensione ra-

zionale per esistere in una zona senza tempo. Le figure diventano rappresentative di demoni interiori dell’individuo e dunque di quella realtà emotiva subconscia che da sempre perdura incapsulata nell’uomo, anche nell’era moderna e razionale. Paure liquide, come le definisce il sociologo Zygmunt Bauman quando definisce onnipresenti anche nell’era moderna le paure che impediscono all’uomo di essere propriamente libero. Gennaio 2014

Backstage Urban Jackalope Project, Venice Beach, L.A. 2010

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Franziska Nori


ZOÈ: MITOPOETICA / L’INCORPORAZIONE CONTEMPORANEA DEL MITO

Quello che s’immagina, esiste. L’immaginario si materializza nella creazione del mito, a esso si aggiunge ciò che già vive nell’universalità e nella molteplicità della creazione collettiva. Si inventa l’impossibile, i significati si moltiplicano. Altre sfaccettature del linguaggio e dell’interpretazione vengono ricostruite. La mitopoetica di Zoè Gruni è un processo cumulativo di invenzioni critiche e una sintesi autonoma di questo immaginario collettivamente individuale. Essa si dirige ovunque, come suggerisce la sua opera Cannibal, adagiata su un morbido tappeto rotondo, che sembra non andare da nessuna parte con il suo cerchio di gambe, o da ogni parte allo stesso tempo, o verso il suo interno, oppure si muove a spirale alla ricerca di un senso che l’osservatore stesso ha ugualmente intenzione di decifrare. Il mito è fatto così, ha la sua origine in una tradizione ed è soggetto a interpretazioni diverse, a narrazioni definite da letture di riferimento ma disponibili a trasmutazioni immaginate dall’interlocutore e dal proprio creatore, nella misura in cui si muove ed è osservato nel suo transitare. Lascia aperti la sua storia e il suo significato, non pone fine al suo ciclo e permette la libera associazione di idee. Quello che potrebbe essere surreale e assurdo diventa realtà, si materializza nella sua costruzione, intesse rapporti tra l’inconscio inaccessibile e la memoria recente, dando così corpo a innumerevoli forme di vita. Ha come fondamento la libera poetica ed è slegato dalla logica formale; si estende oltre se stesso incorporando in forma sintetica il contenuto di molte analisi. Zoè non ha la pretesa di rivoluzionare l’arte attraverso la creazione e la rivelazione del mito universale. Spontaneamente, vi aggiunge il proprio universo interpretativo. In questo

modo, ha rielaborato Boitatà a partire da un mito degli indios brasiliani che ha origine nel “serpente di fuoco”, nel fumo aleggiante del “fuoco fatuo” e in altre versioni consimili. Boi in lingua Tupi significa serpente, mentre tatá, in lingua Guaranì, fuoco, da cui nasce l’espressione serpente di fuoco. Boi in portoghese significa tuttavia anche toro, animale fortemente presente nella mitologia universale. L’artista fa confluire questi personaggi mitologici in uno e crea un altro essere, una sorta di rettile dalla testa di toro e dalla coda allungata che ricorda il corpo di un coccodrillo. L’animale è realizzato con camere d’aria nera ricavate da ruote di bicicletta, e il risultato è un corpo-costume in gomma indossato dall’artista. In questo modo, prende vita e inizia a vagare per vie e piazze, cascate e fontane, viadotti e luoghi pubblici, in una strana performance che esprime attraverso lenti movimenti corporei la mimica della sua nuova veste. Quest’opera si trasferisce nella sua esposizione di disegni, anch’essi riferiti all’interpretazione di Boitatà, nella Galeria Progetti, a Rio de Janeiro, dove i suoi diversi percorsi sono presentati in un video sonorizzato che intercetta i rumori dell’attrito fra le camere d’aria prodotti durante il movimento. Zoè ricrea a suo modo il mito, ne ridimensiona il significato, vi aggiunge un’interpretazione propria, ne urbanizza la circolazione, provoca altre letture. Crea una relazione con l’immaginario popolare, dialoga con l’inconscio collettivo (che occulta questa leggenda della tradizione orale, ma che sicuramente si cela in qualche angolo della sua memoria), concentra in un oggetto-feticcio morto-vivo altre relazioni, stimola la ricerca di un’altra lettura, conferisce un altro significato urbano a una tradizione silvicola ancestrale,

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ovvero a due miti universali di grande potenza, ed enfatizza con umore caustico e surreale l’allusione alla sua propria origine. Fa forse riferimento al carnevale brasiliano, che nella sua infinita libertà d’espressione ricostituisce e ricrea leggendarie tradizioni con grande profusione di immagini? Fa riferimento alle contemporanee manifestazioni politiche di protesta, con un’enorme molteplicità di personaggi inventati e reincorporati? (Faccio notare che questa mostra si è tenuta proprio quando i giovani brasiliani si sono riversati in massa per le strade, molti con indosso maschere e nelle vesti di personaggi inventati con costumi insoliti, per esigere cambiamenti politici ed economici e opporsi al sistema, analogamente a quanto stava accadendo in altri paesi del mondo in manifestazioni simili). Come può un’opera d’arte incorporare e catalizzare tutti questi quesiti contemporaneamente? Potrà mai un oggetto-mito rappresentare tutto ciò? Sicuramente. Tuttavia, si tratta di una proposta artistica aperta. Il suo carico di significati non si estingue in un unico contesto. Sono molte le interpretazioni. Zoè non pone limiti alle sue proposizioni, ma lavora in un universo creativo inesauribile che si regola da sé, che non ha fine, è atemporale, incorpora ed esprime la molteplicità dell’immaginario e indica direzioni diverse. Fa uso della performance per costruire una mitologia propria, in cui il movimento del corpo si allea alla proposizione critica e stimolante della libera narrazione, associata a molte tradizioni universali. Il risultato sono opere audiovisive e grafiche, registri degli interventi del corpo e delle orme lasciate durante l’azione. L’artista si sente libero di riflettere e interpretare il mondo a partire da concezioni e riferimenti ricavati dalla ricca inventiva umana nel tentativo di spiegare la sua storia, le sue paure, la sua necessità di portare alla luce le proprie origini, i misteri della propria vita, l’etica e la dialettica della sopravvivenza, la sua determinazione a sopravvivere alle catastrofi attraverso la conoscenza e l’immaginario, a preservare la propria specie. Il mito ha anche una funzione educativa, essendo responsabile della trasmissione delle informazioni di gene-

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razione in generazione, non in modo razionale ma simbolico, tramite interpretazioni in grado di incorporare diversi significati. I personaggi mitopooetici inventati da Zoè Gruni partono sicuramente da una fonte di osservazione e riflessione apparentemente complessa, ma contengono una forza espressiva popolare e semplice. Sono legati alla tradizione culturale universale, possono rivelare interpretazioni diverse o simili nate in qualsiasi parte del mondo. Nella sua opera, prendono corpo sia un’individualità propria che un’individualità collettiva, fatte di letture e riflessioni immediate e di letture successive, e non si esauriscono in un’unica percezione. Copricapo e Urban Jackalope Project, precedenti a Boitatà, sono stati concepiti per la circolazione esterna, in città o in qualsiasi altro ambiente, e sono incentrati sul carattere itinerante di alcuni personaggi o eroi mitologici che vagano in un territorio definito, così come di altri creati dalle tradizioni etniche brasiliane (Saci-pererê, Curupira, Poromina-Minare, Mula-sem-cabeça, Mulher de 7 metros, MãeD’água, Mão de Cabelo, Mapinguari, Capelobo, Quibungo, Papa-figo, Cobra de Asa, Curacanga, Mãe de Terremoto, Mão Pelada) e un centinaio di altri personaggi di origine indigena o africana o anche europea, che popolano l’immaginario popolare e innumerevoli regioni del mondo. Anche le opere di natura “fissa” create dall’artista, come Scalp, Cannibal, Copricorpo, Metapotere, Malocchio e Metacorpo, potrebbero essere istallate in spazi pubblici, a suggerire una circolazione semi-estatica, nonostante mantengano una caratteristica oracolare la cui contemplazione esige uno spazio proprio. Questi individui fissi sembrano aver consolidato la loro presenza e il loro dominio su un ambiente proprio, del quale sono perpetui proprietari, come entità sacre da cui emanano messaggi e conoscenze di carattere simbolico. Tuttavia, diversamente dalla tradizione mitologica convenzionale, Zoè conferisce un certo significato temporale alla maggior parte delle sue proposizioni, come se loro potessero essere sostituite da altre già in gestazione nel suo processo indeativo, per il fatto di essere


connesse alla contemporaneità, a un momento in cui siamo bombardati simultaneamente da milioni di immagini e contenuti. Le sue opere suggeriscono dunque la metamorfosi, in cui l’elemento fisso si confronta con la mutazione e trasforma la proposizione artistica in un’autofagia, per autogenerarsi di continuo, distanziandosi così dall’idea di sostituire l’archetipo prestabilito e inamovibile. Tale autofagia può essere più presente in Metapotere, Copricorpo I e II e Copricorpo III, IV e V, che hanno una sensualità esplicita o addirittura ambigua, fatto che si manifesta anche in altre opere come Scalp e Cannibal, presente nei miti popolari, dove si esaltano grandi falli e vagine come concezione e origine del mondo, a volte come terribili minacce, pericolose seduzioni e fonti di grande piacere corporeo e spirituale, espressi in molte leggende degli indios brasiliani, come quelle delle etnie che vivevano sulla riva destra del Rio delle Amazzoni, dove viveva Poromina Minare, il mito che tutto racchiude, superiore a Macunaíma, che ha originato la controversa “antropofagia culturale” in Brasile. Perché tale incorporazione di culture e segni esterni è una caratteristica dell’essere umano, indipendentemente dalla sua origine, e fa parte della costruzione interminabile della sua energia d’aggregazione, assimilazione, scoperta e rivelazione della sua infinita integralità universale. Quello che abita il mondo mitologico di Zoè Gruni non si materializza in un luogo unico e specifico. Coerentemente con lo spirito di libertà associativa e di occupazione dello spazio, la sua opera performativa può migrare e mimetizzarsi in qualsiasi luogo, così come il suo processo creativo fonde e mescola personaggi immaginati ex novo con quelli già esistenti nella tradizione mitica universale, che nascono e transitano in diverse culture, e sono soggetti a una metamorfosi ad ogni invenzione, dando vita alla capacità umana di identificarsi e comunicare senza sosta. Nel proporre l’associazione di segni diversi in un

essere immaginario e ad esso aggregare la propria interpretazione, lasciandolo però aperto ad altre letture, stimola la formazione di nuove immagini e contenuti, in modo da lasciare spazio ad altre possibilità d’invenzione. Si avvicina così alla contemporaneità, che in una sola volta e allo stesso tempo aggrega tutte le informazioni disponibili, dove tutti i linguaggi e supporti possono coesistere in modo atemporale. PS: Zoè, ho dovuto ridurre il testo perché si prolungava all’infinito a causa delle molteplici associazioni che il tuo lavoro suscita. Ho letto una serie di leggende brasiliane e riletto alcuni libri sulla mitologia greca e africana, e i collegamenti tracciati sono stati innumerevoli, con significati diversi ma simili. Tuttavia, non sarà necessario utilizzarli. Si lascia la libertà all’immaginario e alla realtà specifica di ognuno. È come se ci si trovasse in un labirinto di specchi, dove le immagini si moltiplicano e si mescolano. Ci sono miti fissi e miti itineranti, altri invece astratti e con significato intraducibile, esattamente come il nostro processo creativo in continua espansione. Ma le tue proposizioni riescono realmente a liberare il nostro immaginario verso questo universo mitico e critico, e trasmettono un reale potenziale d’invenzione. Perché l’inventiva non ha fine, e non credo che tu stessa abbia l’intenzione di creare nuovi miti ma, anzi, rivelare la fantastica capacità umana di conoscersi tramite l’immaginario simbolico, il quale ci può spiegare il mondo in un modo meno cartesiano e pragmatico e portarci alla riflessione e alla consapevolezza. Ho deciso di utilizzare la parola mitopoetica a causa dell’infinita libertà che la poesia ci dà nell’esprimerci e nel traslarci alle diverse dimensioni in cui siamo sempre stati, senza la quale la percezione non è possibile. Gennaio 2014

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Xico Chaves


Backstage Malocchio I, Los Angeles 2010

Backstage Malocchio II, CittĂ del Vaticano 2011


ZOÈ, NOMAD ARTIST

With every ritual we wonder about the world, about sense, about the individual and social being. Marc Augé

Zoè Gruni calls herself a nomad. She journeys between continents and cultures, past and present: a traveller seeking to understand the nature of the human being’s existential restlessness. Zoè enunciates her visual language by drawing from the roots of the people’s imagination. She concentrates her research on the possibility of finding visual forms that highlight the feelings, memories and intimate individual fears crystallised in the stereotypes of legends and popular myths. This is how Zoè Gruni tackles art, by disproving that it is impossible to fathom the different forms of interior restlessness. Zoè Gruni’s most recent works were made in Brazil, where the artist moved after a period spent in California. Like in the past, these works also fit into a dimension between sculpture and applied art, between performance and video art. The subject of Zoè Gruni’s artistic research has always been to rediscover mythologies and popular tales in order to verify their possible symbolic meaning and timeless significance. The artist’s research is situated in the space between the individual and collective imagination, finding a physical form of expression for bodiless myths relegated to spoken tales. The female body, often her own, is for Zoè Gruni at once the subject and object of her works. By becoming the surface of projection and tool of representation, the body loses its intimate and private dimension, to become a public body of political dimension (Scalp,

2008; Metropolitan Legends Cryptid, 2012; La Mérica, 2013). Zoè Gruni creates wearable sculptures that look like alienating beings. She often physically slips into them herself, using them to make performances in public places. Like a second skin, these wearable forms cover the artist’s body which, transformed into a new entity, moves slowly through urban landscapes in a state of isolation from the outside. The mask becomes a safe encasement for the defenceless body and, at the same time, monstrous armour to scare people off, almost a dual strategy to find protection and ward off danger. In the tradition of the ritual mask, the guise transforms the body and absorbs its specific individuality to make it represent and interpret typified figures, thus enabling the establishment of a connection between the human and spiritual world. Zoè Gruni connects with the ancient cultural practice of the mask. In its most ethnological acceptation, the mask is the encasement built in a long, often ritualised process of craftsmanship. It enables the body to become anonymous, so that the wearer loses his/her individual stamp to symbolically become the depicted spiritual entity. In the theatre tradition, from ancient Greece to the present day, masked performances have enabled feelings to be portrayed, man’s oneiric or transcendental dimension to be made visible. Hence, that sphere of the human which usually remains unrepresentable is given a form.

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Zoè Gruni assembles her wearable sculptures by hand, using simple, everyday materials. From the very first phase in her career, the artist chose to work with poor materials that originate from and are directly linked to the context where she works: for example, hemp from the Pistoian countryside (Copricapi e Copricorpi, 2004-2008, Metacorpo, 2009), Californian palm fibre (Jackalope, 2010) or old rubber bike inner tubes (Boitatà, 2013), a raw material that in centuries past was snatched by the Spanish conquistadores in ferocious wars against the populations of the Amazon forests of the New World. The artist reclaims the manual act as an important aspect of a reflective process in which the conceptual dimension cannot be separated from a physicality linked to both the material and the time dimension involved in the production process itself. The figures chosen by Zoè Gruni arise from people’s imagination, from oral legends that embody fears and superstitions handed down through time. The artist conducts long periods of research to then give her figures a bodily form that is often a hybrid, between man and animal. By rendering human fear in an anthropomorphic and zoomorphic form, Gruni gives a physical presence to that which would otherwise remain confined to the obscure dimension of the subconscious of history-less, faceless uncertainties. So, for example, Zoè created the figure of the Malocchio (2011). The artist herself personifies this popular superstition of the evil power of the gaze, creating a hairy and mysterious being with coloured eyes, which becomes the protagonist of two series of photographs finished off with strokes of fusain. In the Malocchio I and II series, the creature is in the foreground and takes up almost the whole image. In the background are two extremely different subjects, both linked, however, to fundamental topoi of power: a petrol drilling ground (Malocchio I) and the centre of the Catholic Church’s symbolic power: Saint Peter’s square (Malocchio II). The disturbing and mysterious figure looks directly

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into the camera, making the true protagonist of the image that fearful gaze of popular superstition: the source of evil. Again the gaze is at the centre of the Brazilian folk legend Boitatà, the subject of one of Zoè Gruni’s most recent works. According to the legend, this figure that has survived the Great Flood has the appearance of an enormous snake-dragon with long horns. By day it is blind and by night it wanders the fields in search of living beings for nourishment. It only eats their eyes so that it can seize their light, therefore producing a monstrously frightening gaze. The artist has sewn old bike inner tubes to make the black casing, which a performer then slips into. We see the figure move slowly against the background of a frenetic city like São Paulo, through the streets, squares, gardens and contexts of urban life. The camera remains fixated on wide daylight views of the city, which the Boitatà passes through at a slow pace. The sequences alternate with close-up, night-time views of an industrial lift going rapidly up and down, so that we can only just make out the black monster inside it through the grates. The sound dimension completes the work. It is the sound of rubber when it is deformed, stretched and twisted. The noise is extremely nearby, suggesting what the being would hear inside its casing. Only at the end does the video camera give us a close-up of the Boitatà’s gaze, revealing the deeply intense eyes of a young woman. The figure of the Boitatà recurs in various cultural contexts and times; in its most essential expression we find similar aspects in the European medieval phenomenon of will-o’-the-wisp or the ignis fatuus, lit entities or fires that trick travellers, making them lose their way. The Luz Mala, known and feared in Argentina for centuries, is a phenomenon that makes those who set off to uncertain destinations leave the safe path. And in the digital era we again meet the figure of the snake-dragon with the fiery eyes in videogames such as Dungeons and Dragons or Everquest. The journey meant as emigration, that is, leaving one’s land for an unknown future, is the


topic of Zoè Gruni’s recent work, La Mérica. The series of drawings, photographs and the dual-stream video were made by the artist in Rio de Janeiro in 2012. The video installation is made up of three basic parts: the images of the primeval nature on the South American continent, those of the artist’s made-up body and the popular song from the early 1900s on Italian emigration to Brazil. Views of a paradisiacal nature stand out against the dark background of a cave that is impenetrable to the eye. These are contrasted with intimate and close-up shots of the artist’s body. She is only wearing a large parrot’s beak that completely covers her mouth. Her skin, covered in golden crimson like that of an exotic divinity, glitters in the semi-darkness. We glimpse but fragments of the female figure from the closest of angles; her gaze is intense and seems to be on the borderline between firm determination and silent anguish. The poetics and timeless beauty of the images contrast with the direct and warbling voice of Caterina Bueno as she sings the pain of having to emigrate from poverty towards a future of hard work in Brazil. In this work by Zoè Gruni the universal dimension is also paired with the intimate and personal sphere. Albeit implicitly conveying personal aspects, Zoè Gruni always manages to transcend the purely autobiographical dimension to explore manifestations of reality and popular phenomena. «In the comfort given by being together they would often tell each other tales of fear, mystery and death. It became a true exorcism to give a name to these fears and perhaps pinpoint them in a certain place. That place is frightening, they’d say about the site where something mysterious and unresolved had happened.» (Zoè Gruni) The videos document performances that Zoè Gruni at times makes in indoor places, and at times in urban contexts, without ever, however, envisaging the presence of a public. The actions maintain a highly intimate and almost ritual flavour. Even though they might take place in public, they do not seem to be perceived by the constant flow of life, as if the personal my-

thologies had unfolded in a parallel dimension of space and time. In her artistic routine, Gruni studies historical documents and handed down tales that form the identity of the social context where she is working, whether it be where she originates from, or the countries she moves to. By knowing its symbols and century-old popular beliefs, she can approach the place’s identity, she can access how people build their own world and give their experiences meaning. The artist draws out the essence from their symbolic and stereotypical dimension, and as a result she can also come closer to her own, intimate experience. She completes this appropriation through a physical reinterpretation, a re-enactment of the phenomena. Zoè Gruni’s work can also be seen as part of a long artistic tradition that goes from Symbolism, to German expressionist cinema, to Surrealism; expressions of the European avant-garde which, in an era strongly denoted by the utopias of progress, concentrated on exploring and finding forms to bring out and depict introspective and psychological worlds. Popular art, like the masks, was fundamentally important in reflecting on the roots of human essence. While these avant-garde currents proposed a visual exaggeration of the real in the form of parallel oneiric worlds, as if to amplify the political-social dimension, Gruni does without stylistic means such as pathos or hyper-dramatisation. On the contrary, she chooses to present images of the monstrous figures in an all-too everyday context as if to underline their topicality and continuing persistence in reality. With an almost ethnological approach, over the years Gruni has generated an archive of collective visualised mythologies, a compendium of forms and symbols in which it becomes possible to observe and compare the different anthropological phenomena. In listing them, the stories and legends become the expression of recurring and universal phenomena, expressions giving an archetypal idea of the human fears that have continued from the past, right up to the present day. The figures and masks that the artist makes create

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a reality unto itself, going beyond the rational dimension to exist in a timeless zone. The figures come to represent the individual’s interior demons and therefore that subconscious emotional reality which has always been encapsulated in man, even in the modern and

Backstage Metato, Pistoia 2008

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rational era. Liquid fears, as the sociologist Zygmunt Bauman calls them, the fears that prevent man from being truly free, are all around us, even in the modern day. January 2014

Franziska Nori


ZOÈ: MYTHOPOETICS / THE CONTEMPORARY EMBODIMENT OF MYTH

What we imagine, exists. In creating a myth, the imagination becomes real; and that which already lives in the universal and multiple creations of the collectivity adds to it. We invent the impossible, the meanings multiply. We reconstruct other facets of language and interpretation. Zoè Gruni’s mythopoetics is a process that builds up critical inventions and her own synthesis of this collectively individual imagination. She heads in all directions, as her work Cannibal suggests. Set on a soft, round carpet, with its circle of legs, it does not seem to go anywhere. Or is it going everywhere at the same time? Maybe it is heading inside itself. Or is it moving in a spiral in search of the same sense that the onlooker is also trying to decipher? A myth is made like that. It originates in a tradition and can be interpreted in different ways; it can be told in line with the standard reading, but it is open to transmutations imagined by the interlocutor and its creator, as it moves and is observed going by. A myth leaves its story and meaning open, its cycle knows no end and it enables the free association of ideas. That which could be surreal and absurd becomes reality; as the myth is built, it becomes real, it joins together the inaccessible unconscious and recent memory, and thus embodies countless forms of life. Myths are founded on free poetics and are unbound from formal logic; they go beyond themselves, to concisely embody the contents of many analyses. Zoè does not claim to revolutionise art by creating and revealing the universal myth. Spontaneously, she adds her own universe of interpretation. In this way she reworked Boitatà, a native Brazilian legend which originates from the “fire serpent”, the floating smoke of the

“will o’ the wisp”, and other similar versions. In Tupi, boi means snake, while in Guaranì tatá means fire, hence the expression fire serpent. Nevertheless, in Portuguese boi also means bull, an animal frequently found in universal mythology. The artist makes these mythological characters flow into one and creates another being, a sort of reptile with a bull’s head and a long tail like the body of a crocodile. The animal is made of bicycle inner tubes, and the result is a rubber body-costume worn by the artist. Thus it comes to life and starts to wander through streets and squares, by waterfalls and fountains, viaducts and public places, in a strange performance mimicking its new guise through slow bodily movements. This work, with the exhibition of drawings also relating to the interpretation of Boitatà, then moved on to Galeria Progetti, in Rio de Janeiro, where its various wanderings were presented in a video with a soundtrack that captures the noise of the friction produced between the inner tubes as it moves. Zoè recreates the myth in her own way, she remoulds its meaning, adds her own interpretation, and brings it into the city, thus leading to other readings. She creates a relationship with the people’s imagination; she dialogues with the collective unconsciousness (which obscures this oral legend, but it is definitely concealed in some corner of the memory); she concentrates other relationships in a dead-alive prop-object; stimulates the search for another reading; gives a new urban meaning to an ancestral woodland tradition, namely, to two highly powerful universal myths; and with wry and surreal humour emphasises the allusion to her own origin. Is she perhaps referring to the Brazilian carnival, which in its boundless freedom of ex-

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pression rebuilds and recreates legendary traditions with a great cornucopia of images? Is she referring to the contemporary political protests, with their enormous multitude of invented and re-embodied characters? (May I point out that this exhibition was held precisely when Brazil’s youth poured onto the streets, many wearing masks and dressed as invented characters in unusual costumes, to demand political and economic change and stand up to the system, akin to what was happening in other countries and in similar protests around the world). How can a work of art embody and catalyse all these requirements at the same time? Can an object-myth ever represent all of this? Of course. Nevertheless, it is an open artistic proposal. Its baggage of meanings are not exhausted in a single context. Its interpretations are many. Zoè does not put a stop to her proposals, but works in a boundless creative universe that regulates itself alone. It has no end, it is timeless, it embodies and expresses the many facets of the imagination and indicates different directions. She uses performances to build her own mythology, wherein her body’s movement takes up the critical and stimulating invitation to freely tell stories associated with many universal traditions. The result is audiovisual and graphic works, records of her body’s interventions and of the traces left during the action. The artist feels free to reflect and interpret the world starting from conceptions and references drawn from the rich human fantasy, in the attempt to explain her story, her fears, her need to cast light on her origins, the mysteries of her life, the ethics and dialectics of survival, her determination to survive catastrophes through knowledge and the imagination, and to preserve her species. The myth also has an educational function, as it is responsible for transmitting information from generation to generation, not in a rational but a symbolic way, through interpretations that can embody different meanings. The mythopoetical characters invented by Zoè Gruni without doubt come into being from an apparently complex source of observation and reflection, but they contain a popular and

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simple strength of expression. They are linked to the universal cultural tradition, they can reveal different or similar interpretations originating in any part of the world. In her work, both her own and a collective individuality take shape, made of an immediate reading and reflections, followed by subsequent readings, not limited to a single perception. Copricapo and Urban Jackalope Project, prior to Boitatà, were devised to circulate out-of-doors, in the city or any other surroundings. They centre around the itinerant nature of some mythological characters or heroes who wander a certain land, as well as others created from Brazilian ethnic traditions (Saci-pererê, Curupira, Poromina-Minare, Mula-sem-cabeça, Mulher de 7 metros, Mãe-D’água, Mão de Cabelo, Mapinguari, Capelobo, Quibungo, Papa-figo,Cobra de Asa, Curacanga, Mãe de Terremoto, Mão Pelada), plus a hundred or so other characters of indigenous or African or even European origin that populate the popular imagination and countless regions of the world. The “fixed” works created by the artist, such as Scalp, Cannibal, Copricorpo, Metapotere, Malocchio and Metacorpo, could also be installed in public spaces, as if to suggest semi-static circulation, while retaining a certain oracular nature which requires space in order to be contemplated. These fixed individuals appear to have consolidated their presence and domination over their own environment, of which they are perpetual owners, like sacred entities issuing messages and symbolic knowledge. Nevertheless, unlike conventional mythological tradition, Zoè gives most of her proposals a certain temporal significance. It is as if they could be replaced by others already in the making in her creative process, because they are connected to the contemporary world, to a moment in which we are simultaneously bombarded by millions of images and tonnes of information. Her works, therefore, suggest a metamorphosis in which the fixed elements come face to face with the mutation, and transform the artistic proposal into autophagy, in order to constantly generate itself. Hence she dis-


tances herself from the idea of replacing the set and irremovable archetype. This autophagy may be more present in Metapotere, Copricorpo I and II and Copricorpo III, IV and V, of an explicit or even ambiguous sensuality, which is also the case of other works such as Scalp and Cannibal, present in popular myths, where large phalluses and vaginas are exalted as the conception and origin of the world. At times like terrible threats, dangerous seductions and sources of great bodily and spiritual pleasure, they are expressed in many native Brazilian legends, such as those of the tribes who inhabited the right bank of the Amazon River, where the Poromina Minare lived, the all-encompassing myth, superior to Macunaíma, which gave rise to the controversial “cultural anthropophagy” in Brazil. Because this embodiment of cultures and external signs is a characteristic of human beings, regardless of their origin, and is part of the never-ending construction of its energy to incorporate, assimilate, discover and reveal its infinite universal totality. That which inhabits Zoè Gruni’s mythological world does not materialise in a single and specific place. In line with the spirit of associative freedom and occupation of space, her performances can migrate and fit into any location, just as her creative process blends and mixes brand new imaginary characters with those already existing in the universal mythical tradition. Arising and moving in different cultures, they metamorphose with every invention, bringing to life the human capacity to ceaselessly identify ourselves and communicate. As she proposes associating different signs in an imaginary being and putting her own stamp on it, nevertheless leaving it open to other readings, she stimulates the formation

of new images and contents, freeing up other possibilities for invention. And this is her approach to contemporaneity, which collects all the available information at one and the same time, where all languages and supports can exist timelessly together. PS: Zoè, I had to slim down the text because it went on and on owing to the many associations that your work conjures up. I read a series of Brazilian legends and also reread some books on Greek and African mythology. There were countless links between them, with different but similar meanings. Nevertheless, I won’t need to use them. We’ll leave freedom to the imagination and to every person’s specific reality. It is as if we were in a maze of mirrors, where the images multiply and mix together. There are fixed myths and wandering myths, while others are abstract with untranslatable meanings, exactly like our forever expanding creative process. But your ideas really manage to free our imagination towards this mythical and critical universe, and transmit a real potential for invention. Because inventiveness is without end. I don’t think that you intend to create new myths. Instead you want to reveal the fantastic human capability to get to know ourselves better through symbolic imagination, which can explain the world to us in a less Cartesian and pragmatic way and lead us to reflect and gain awareness. I decided to use the word mythopoetics because of the endless freedom that poetry gives us to express ourselves and to shift to the different dimensions where we have always been, without which there can be no perception. January 2014

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Xico Chaves


Backstage Metropolitan Legend. Cryptid 4, Orange County, CA 2011


ZOÈ, ARTISTA NÔMADE

Cada ritual é um interrogar-se sobre o mundo, sobre o sentido, sobre o ser individual e social. Marc Augè

Zoè Gruni define-se nômade. Ela viaja entre continentes e culturas, entre passado e presente: uma viajante que busca compreender a natureza das inquietudes existenciais do ser humano. Zoè afunda a sua linguagem visual nas raízes do imaginário coletivo, focalizando a sua pesquisa na possibilidade de encontrar formas visuais que deem uma ressonância aos sentimentos, às lembranças e aos medos individuais mais íntimos, cristalizados nos estereótipos de lendas e mitos populares. Dessa forma, Zoè Gruni desafia a arte, desacreditando a incomensurabilidade das várias formas de inquietudes interiores. Os trabalhos mais recentes de Zoè Gruni foram realizados no Brasil, aonde a artista se transferiu após um período na Califórnia. Como os anteriores, esses trabalhos também se situam numa dimensão entre escultura e a arte aplicada, entre arte performativa e videoarte. Desde sempre, o tema da pesquisa artística de Zoè Gruni é a recuperação de mitologias e contos populares, com a finalidade de verificar a sua possível valência simbólica e o seu significado atemporal. A pesquisa da artista coloca-se no espaço entre o imaginário individual e o coletivo, e encontra uma forma de expressão física para mitos incorpóreos relegados às narrações orais. O corpo feminino - frequentemente o próprio - é para Zoè Gruni ao mesmo tempo sujeito e objeto dos seus trabalhos. Ao se tornar superfície de projeção e instrumento de represen-

tação, o corpo perde a sua dimensão íntima e privada, tornando-se corpo público de dimensão política (Scalp, 2008; Metropolitan Legends Cryptid, 2012; La Mérica, 2013). Zoè Gruni realiza esculturas que podem ser vestidas, com feições de seres que provocam estranhamento, nas quais é ela mesmo a se inserir fisicamente para realizar ações performativas em locais públicos. Como uma segunda pele, essas formas-revestimento recobrem o corpo da artista que, transformada numa nova entidade, move-se lentamente através de paisagens urbanas, num estado de isolamento do mundo externo. A máscara torna-se um refúgio para o corpo indefeso e, ao mesmo tempo, couraça monstruosa que amedronta e distancia, o que dá ensejo a uma dupla estratégia: encontrar proteção e distanciar o perigo. Na tradição da máscara ritual, as vestes transformam o corpo, absorvem a individualidade específica para torná-la representativa, intérprete de figuras tipizadas, permitindo, dessa forma, uma conexão entre o mundo humano e o mundo espiritual. Zoè Gruni coligase à antiga prática cultural da máscara. Na sua acepção mais etnológica, a máscara é o refúgio construído num longo processo artesanal, muitas vezes ritualizado. Ela permite uma anonimização do corpo, graças à qual aquele que a veste perde a sua valência individual para tornar-se simbolicamente a entidade espiritual representada. Desde o teatro

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antigo até o contemporâneo, a representação através de máscaras permite representar sentimentos, tornar visível a dimensão onírica ou transcendente do homem e dar forma àquela esfera do ser humano que normalmente resta irrepresentável. As esculturas de vestir feitas por Zoè Gruni são montadas à mão pela própria artista, utilizando materiais simples e cotidianos. Já a partir da primeira fase do seu percurso artístico, ela escolheu trabalhar com materiais pobres que nascem e estão ligados diretamente ao contexto no qual ela trabalha: por exemplo, a juta dos campos de Pistoia (Copricapi e Copricorpi, 2004-2008, Metacorpo, 2009), a fibra da palmeira (Jackalope, 2010) ou velhas câmaras de ar de bicicletas de borracha (Boitatà, 2013), matérias-primas que durante os séculos foram subtraídas pelos conquistadores espanhois com ferozes guerras contra as populações das florestas amazônicas do novo mundo. A artista revindica o ato manual como importante aspecto de um processo reflexivo, em que a dimensão conceitual não pode prescindir daquela física ligada ao material e à dimensão temporal inerente ao próprio processo de produção. As figuras escolhidas por Zoè Gruni derivam da fantasia coletiva, de lendas orais que são encarnações dos medos e das superstições perpetuadas no tempo. A artista realiza longos períodos de pesquisa para depois dar às suas figuras uma forma corpórea, normalmente híbrida, entre homem e animal. Materializando o medo humano numa forma antropomórfica e zoomórfica, Gruni confere uma presença física ao que de outra forma ficaria confinado na dimensão obscura do subconsciente, de incertezas sem vulto e sem história. Assim, por exemplo, Zoè cria a figura do Malocchio (2011). A própria artista personifica essa superstição popular do poder perverso do olhar num ser hirsuto e misterioso, com olhos coloridos, tornando-o protagonista de duas séries fotográficas nas quais intervém com traços feitos com carvão (fusain). Na série Malocchio I e II, a criatura está em primeiro plano e ocupa a imagem quase que

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inteiramente. No fundo, encontram-se dois sujeitos extremamente diversos entre si, mas ambos ligados a fundamentais topoi do poder: um campo de perfuração petrolífera (Malocchio I) e o centro de poder simbólico da Igreja Católica: Praça São Pedro (Malocchio II). A figura inquietante e misteriosa olha diretamente para a câmera, fazendo com que o protagonista da imagem seja o olhar temido pela superstição popular como fonte do mal. É sempre o olhar também no centro da lenda popular brasileira Boitatá, tema de um dos mais recentes trabalhos de Zoè Gruni. De acordo com a lenda, essa figura tem a aparência de um enorme dragão-serpente com chifres longos, que sobreviveu ao dilúvio universal. De dia, ele é cego, e de noite vaga pelos campos em busca de seres vivos com os quais se nutrir, comendo somente os seus olhos para apropriar-se da sua luz, o que faz com que o seu olhar de monstro seja assustador. A artista costurou velhas câmaras de ar de bicicletas para fazer o invólucro negro em que se inserirá uma performer. Vemos a figura mover-se com lenteza no contexto de uma cidade frenética como São Paulo: nas ruas, nas praças, nos jardins e nos contextos da vida urbana. A câmara é fixa em amplas vistas diurnas da cidade, que Boitatá atravessa com velocidade lenta. As sequências são alternadas por visões noturnas próximas de um monta-cargas industrial que rapidamente sobe e desce e deixa-nos entrever somente o monstro negro no seu interior, através das grades. A dimensão sonora completa o trabalho. É o som da borracha quando é deformada, submetida à tensão e contorcida. O barulho é extremamente próximo, sugerindo a percepção acústica do ser no interior do seu invólucro. Somente no final a câmara mostra em primeiro plano o olhar do Boitatá, revelando-nos os olhos profundos de uma jovem mulher. A figura de Boitatá está presente em diversos contextos culturais e épocas; na sua expressão mais essencial, encontramos aspectos parecidos no fenômeno medieval europeu do will-o’-the-wisp ou do ignis fatuus, entidades luminosas ou fogos que enganam os viajantes


fazendo-os perder o caminho seguro. Também a Luz Mala, conhecida e temida há séculos na Argentina, é um fenômeno que provoca a perda do caminho seguro a quem se põe a viajar por metas incertas. Na era digital, encontramos novamente a figura do dragão-serpente dos olhos de fogo em videogames tais como Dungeons and Dragons ou Everquest. A viagem entendida como emigração, ou seja, deixar a própria terra em direção a um futuro desconhecido, são os temas também do recente trabalho de Zoè Gruni, La Mérica. A série de desenhos, fotografias e vídeo com duplo canal foram realizados pela artista durante o ano de 2012, no Rio de Janeiro. A videoinstalação é composta por três elementos fundamentais: as imagens de uma natureza primordial do continente sul-americano, as do corpo pintado da artista e a canção dos operários do início do século XX sobre a emigração italiana em direção ao Brasil. Os panoramas de uma natureza paradisíaca se destacam contra o fundo escuro de uma caverna impenetrável ao olhar. Estas são contrapostas às filmagens íntimas e muito próximas do corpo da artista. Ela está vestida somente com um grande bico de papagaio, que lhe cobre inteiramente a boca. A pele recoberta de purpurina dourada, como uma divindade exótica, reluz na semi-escuridão. Entrevemos a figura feminina unicamente por fragmentos, num primeiríssimo plano; o olhar que ela nos dirige é intenso e parece em precário equilíbrio entre determinação irreduzível e angústia silenciosa. A poética e a beleza sem tempo das imagens são contrapostas à voz direta e toante de Caterina Bueno, que canta a dor de ter de emigrar da miséria em direção a um futuro de duro trabalho no Brasil. Também esse trabalho de Zoè Gruni caracteriza-se pelo acostamento da dimensão universal àquela íntima e pessoal. Ainda que implicitamente transportando aspectos pessoais, Zoè Gruni consegue sempre transcender a dimensão puramente autobiográfica para explorar manifestações de realidade e fenômenos de valência coletiva. «No conforto do estar-junto, era frequente a tendência a contar histórias de medo, mis-

térios, morte. Dar um nome a tais medos e talvez identificá-los num local tornava-se um verdadeiro e próprio exorcismo. Ali há medo, dizia-se do local em que tinha acontecido algo misteriosamente não resolvido». (Zoè Gruni) Os trabalhos em vídeo documentam ações performativas que Zoè Gruni realiza às vezes em espaços internos e às vezes em contextos urbanos, sem nunca antever a presença de público. As ações conservam um caráter fortemente íntimo e quase ritual, pois parecem não ser percebidas pelo fluxo constante da vida ainda que ocorram em locais públicos, como se as mitologias pessoais evoluíssem numa dimensão espaço-temporal paralela. Na sua prática artística, Gruni estuda documentos históricos e narrações transmitidas, que formam a identidade do contexto social em que trabalha, tanto relativos ao seu país de origem quanto aos países nos quais vai morar. Conhecer os símbolos e as seculares crenças populares permite-lhe aproximar-se da identidade do local, dando-lhe uma via de acesso ao modo com que as pessoas constroem o próprio mundo e atribuem um sentido às próprias experiências. A artista extrapola da sua dimensão simbólica e estereotipada uma essência que possibilita a aproximação à sua própria íntima experiência. Essa apropriação é realizada através de uma reinterpretação física, um reenactment dos fenômenos. O trabalho de Zoè Gruni pode ser lido também no âmbito de uma longa tradição artística que vai do Simbolismo, passa pelo cinema expressionista alemão e vai ao Surrealismo, ou seja, aquelas expressões de vanguarda europeia que, numa era intensamente marcada por utopias de progresso, dedicaramse a explorar e encontrar formas de representação para as manifestações de mundos introspectivos e psicológicos. A importância da arte popular assim como das máscaras é fundamental para refletir sobre as raízes da essência humana. Enquanto essas correntes da Vanguarda visualmente propunham uma exasperação do real em forma de mundos oníricos paralelos, como se criassem caixas de ressonância para a dimensão político-so-

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cial, Gruni dispensa meios estilísticos como o pathos ou a hiperdramatização. Ao contrário, escolhe apresentar o imaginário das figuras monstruosas num contexto exageradamente cotidiano, como se sublinhasse a sua persistência na realidade e na atualidade. Com uma abordagem quase etnológica, Gruni gerou ao longo dos anos um arquivo de mitologias coletivas visualizadas, um compêndio de formas e símbolos em que diversos fenômenos antropológicos tornam-se observáveis e comparáveis. Na sua coleção, as histórias e lendas tornam-se expressão de fenômenos recorrentes e universais, expressões para uma ideia arquetípica dos medos humanos

que perduram desde o passado até a época contemporânea. As figuras e as máscaras que a artista realiza criam uma realidade autônoma, que ultrapassa a dimensão racional para adquirir vida numa zona sem tempo. As figuras tornam-se representativas de demônios interiores do indivíduos e, portanto, daquela realidade emocional subconsciente que desde sempre está encapsulada no ser humano, inclusive na atual era racional. Medos líquidos, como define o sociólogo Zygmunt Bauman: na era moderna são onipresentes os medos que impedem o homem de ser realmente livre. Janeiro 2014

Backstage Metropolitan Legend. Cryptid 4, Orange County, CA 2011

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Franziska Nori


ZOÈ: MITOPOÉTICA / A INCORPORAÇÃO CONTEMPORÂNEA DO MITO

O que se imagina existe. Materializa-se o imaginário na criação do mito, acrescentase a ele o que já habita a universalidade e multiplicidade da criação coletiva, inventase o impossível, multiplica-se os significados, reconstrói-se na imagem outras faces da linguagem e da interpretação. A mitopoética de Zoè Gruni é um processo cumulativo de invenções críticas e uma síntese autônoma deste imaginário coletivamente individual. Caminha para todos os lados, como sugere sua obra Cannibal, pousada sobre um felpudo tapete redondo, que parece ir para lugar nenhum, com seu círculo de pernas, ou para todos os lugares ao mesmo tempo, ou para dentro de si mesma, ou então se desloca em espiral à procura de um sentido que o próprio espectador intenciona também decifrar? O mito é assim mesmo, tem origem em uma tradição e está sujeito a interpretações diversas, a narrativas estabelecidas por leituras referenciais mas disponívels a transmutações imaginadas pelo interlocutor e pelo próprio criador, à medida que se desloca e é observado em seu trânsito. Deixa em aberto sua própria história e significado, não extingue seu ciclo e permite a livre associação. O que poderia ser surreal e absurdo torna-se realidade, materializa-se na sua construção, estabelece relações entre o inconsciente inacessível e a memória recente, corporifica assim inúmeras formas de vida, fundamenta-se na poética livre e no descompromisso com a lógica formal se extende além de si mesmo ao incorporar em uma síntese o que contém muitas análises. Zoè não tem portanto a pretensão de revolucionar a arte por meio da criação e revelação do mito universal. Em sua própria natureza agrega a ele seu próprio universo

interpretativo. Dessa forma reconcebeu Boitatà a partir de um mito indígena brasileiro que teve origem na “cobra de fogo”, na fumaça esvoaçante do “fogo-fátuo” e outras versões similares. Boi no idioma Tupi significa serpente e tatá, em Guaranì, fogo, resultando assim em cobra de fogo. No entanto boi em língua portuguesa é touro, animal também de forte presença na mitologia universal. A artista agrupa estes personagens mitológicos em um só e cria um outro ser, uma espécie de réptil com cabeça de touro e rabo alongado que lembra ainda um corpo de crocodilo. O animal é construído com negras câmaras de ar de pneus de bicicleta resultando em um corpo-fantasia emborrachado para ser vestido pela artista. Assim adquire vida e passa a circular pelas ruas e praças, cachoeiras e chafarizes, viadutos e lugares públicos, em uma estranha performance, expressando em lentos movimentos corporais a mímica de sua nova versão. Esta obra se transfere para sua exposição de desenhos, também referenciais a esta interpretação de Boitatà na Galeria Progetti, no Rio de Janeiro, onde seus diversos percursos são apresentados em vídeo com sonorização que capta os ruídos das câmaras de ar em atrito, produzidos em seu próprio movimento. Zoè recria à sua maneira o mito, redimensiona seu significado, acrescenta a ele uma interpretação própria, urbaniza sua circulação, provoca outras leituras. Relaciona-se com o imaginário popular, dialoga com o inconsciente coletivo (que oculta esta lenda de tradição oral, mas que certamente está em algum lugar de sua memória), reúne em um adereço-objeto mortovivo outras relações, estimula a busca de um outra tradução, constitui um outro significado

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urbano para uma tradição silvícola ancestral, alia dois mitos universais de grande potência, enfatiza com humor cáustico e surreal uma alusão à sua própria origem. Faz referência ao carnaval brasileiro, que em sua infinita liberdade de expressão também reconstitui e recria em grande profusão imagens de lendárias tradições? Faz referência às manifestações político-reivindicatórias contemporâneas, com uma enorme multiplicidade de personagens inventados e reincorporados? (Lembro que esta exposição aconteceu no momento em que a juventude brasileira saiu em massa às ruas, com muitos mascarados e personagens inventados em fantasias inusitadas, para exigir mudanças político-econômicas, anti-sistêmicas, e que em outros países manifestações similares aconteciam). Como uma obra de arte incorpora e cataliza todas estas questões ao mesmo tempo? Poderá um objeto-mito representar tudo isto? Certamente. No entanto é uma proposta artística aberta, sua carga de significados não está encerrada em um único contexto. As interpretações são muitas. Zoè não encerra suas proposições, trabalha em um universo criativo inesgotável, que se redimensiona por si mesmo, não tem fim, é atemporal, incorpora e expressa a multiplicidade do imaginário, aponta em várias direções. Lança mão da performance para constituir uma mitologia própria onde o movimento do corpo está aliado à uma proposição critica e estimuladora da livre narrativa, associada a muitas tradições universais, resultando em obras audiovisuais e gráficas, registros do rastro deixado pela ação e intervenção corporais. A artista está liberada para refletir e interpretar o mundo a partir de concepções e referências sinalizadas pela inventiva capacidade humana de tentar explicar sua história, seus medos, sua necessidade de dar luz à própria origem, os mistérios da própria vida, a ética e a dialética de sua sobrevivência, sua determinação em sobreviver às catástrofes por meio do conhecimento e da imaginação, de preservar a própria espécie. O mito tem ainda uma função educativa, é responsável também pela transmissão da informação

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de geração a geração de forma não racional mas simbólica, com interpretações capazes de incorporar diversos significados. Os personagens mitopoéticos inventados por Zoè Gruni partem certamente de uma fonte de observação e reflexão aparentemente complexa, mas contém uma força popular expressiva simples, estão conectados a toda tradição cultural universal, podem revelar interpretações diversas ou similares originadas em qualquer lugar do mundo. Em sua obra corporifica-se uma individualidade própria e outra coletiva, de leitura e reflexão imediatas e leituras posteriores, não se exaurindo em uma única percepção. Copricorpo e Urban Jackalope Project anteriores á Boitatà, concebidos para circulação externa, na cidade ou qualquer outro ambiente, estão relacionadas certamente à itinerância de alguns personagens ou heróis mitológicos que perambulam por um território determinado, a exemplo de outros, criados pelas tradições étnicas, que encontramos no Brasil (Saci-pererê, Curupira, Poromina-Minare, Mula-sem-cabeça, Mulher de 7 metros, Mãe-D’água, Mão de Cabelo, Mapinguari, Capelobo, Quibungo, Papafigo, Cobra de Asa, Curacanga, Mãe de Terremoto, Mão Pelada) e centenas de outros de origem indígena ou africana e de origem européia, que povoam o imaginário popular e inumeráveis de outras regiões do mundo. Mesmo obras de natureza fixa criadas pela artista, como Scalp, Cannibal, Copricorpo, Metapotere, Malocchio e Metacorpo, poderiam ser instaladas em espaços públicos, sugerindo uma circulação semi-estática, embora mantenham sua característica oracular, que exige um espaço próprio para serem contempladas. Estes indivíduos fixos parecem ter consolidado sua presença e domínio de um ambiente próprio, do qual são proprietários perpétuos, a exemplo de entidades sagradas que emanam mensagens e conhecimentos de cunho simbólico. No entanto e contraditoriamente à tradição mitológica convencional Zoè expressa um certo significado temporal à maior parte de suas proposições, como se elas pudessem ser substituídas por outras já em gestação em seu processo inventivo, pelo


fato de estar conectada à contemporaneidade, a um momento em que somos bombardeados por milhões de imagens e conteúdos simultaneamente. Suas obras sugerem portanto a metamorfose onde o elemento fixo se debate com a mutação, transformando a proposição artística em uma autofagia, para gerar-se continuamente. Assim se distancia da idéia de substituir o arquétipo já estabelecido e irremovível. Esta autofagia pode estar mais presente em Metapotere, Copricorpo I e II, e Copricorpo III, IV e V, de sensualidade explícita ou até mesmo ambígua, o que ocorre também em outras obras, como Scalp e Cannibal, presentes nos mitos populares, que exaltam grande falos e vaginas como concepção e origem do mundo, às vezes como terríveis ameaças, seduções perigosas e fontes de grande prazer corporal e espiritual, expressos em muitas lendas indígenas brasileiras, como a das antigas tradições das etnias que viviam à margem esquerda, onde habitava Poromina Minare o mito incorporador de tudo, superior a Macunaíma, que deu origem à controvertida “antropofagia cultural” no Brasil. Porque esta incorporação de culturas e signos exteriores é uma propriedade do ser humano, independente de sua origem, fazendo parte de sua construção interminável, de sua energia agregadora, assimilativa, a descoberta e revelação de sua integralidade universal infinita. O que habita o mundo mitológico de Zoè Gruni não se materializa em um lugar único e específico. Coerente com o espírito de liberdade associativa e de ocupação do espaço sua obra performática pode migrar e se mimetizar em qualquer lugar, da mesma forma que seu processo criativo funde e torna híbridos personagens imaginados e já existentes na tradição mítica universal, que nascem e transitam entre culturas diversas, e se metamorfoseam a cada invenção, trazendo à vida a capacidade humana de se identificar e se comunicar incessantemente. Ao propor a associação de signos diversos em um ser

imaginário e agregar a ele sua própria interpretação e deixar em aberto outras leituras, induz a formação de novas imagens e novos conteúdos, liberando outras possibilidades de invenção. Se aproxima assim da contemporaneidade, que agrega em um só tempo e ao mesmo tempo todas as informações disponiveis onde todas as linguagens e suportes podem coexistir de forma atemporal. PS: Zoè, tive que reduzir o texto, cuja tendência é infinita, devido às múltiplas associações que seu trabalho proporciona. Li uma série de lendas brasieliras e reli um pouco a mitologia grega e africana onde as conexões se estabelecem em grande escala em seus significados diversos e similares. Mas não será necessário lançar mão destas referências. Fica por conta da imaginação e da própria realidade sua e de cada um. É como se estivesse em um labirinto de espelhos onde as imagens se multiplicam e se mesclam. Ha mitos fixos e itinerantes, outros até mesmo abstratos e de significados intraduzíveis, como é mesmo nosso processo criativo, em expansão contínua. Mas suas proposições realmente nos libera em direção a este universo mítico e crítico, transmitindo uma real potencialidade de invenção. Porque esta inventividade não tem fim e não creio que você tenha mesmo a intenção de inventar novos mitos, mas de nos revelar esta fantástica capacidade humana de se conhecer por meio do imaginário simbólico, que afinal pode nos explicar o mundo de uma forma menos cartesiana e pragmática, que nos leva à reflexão e ao auto-conhecimento. Considerei caracterizar como mitopoética devido à infindável liberdade que a poesia nos proporciona para nos expressar e nos transpor para as diversas dimensões em que sempre estivemos, mas que não são percebidas sem ela. Janeiro 2014

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Xico Chaves


Backstage Metato, Pistoia 2008

Backstage Metato, Pistoia 2008

Backstage Projeto Boitatà, San Paolo 2013

Backstage Urban Jackalope Project, Venice Beach, L.A. 2010

Backstage Boitatà, Floresta da Tijuca, Rio de Janeiro 2013

Backstage Metacorpo, Pistoia 2009


TAVOLE / PLATES / IMAGENS

Il mio lavoro indaga il fenomeno della paura, la sensazione di spaesamento dell’individuo di oggi che si scontra con un senso di solitudine esistenziale e con la difficoltà di rapportarsi a una realtà progressivamente priva di riti e a una dimensione collettiva legata alla memoria. My work explores the phenomenon of terror, the discombobulating feeling of an individual in today’s society who runs up against existential loneliness and the difficulty of relating to a reality that is more and more deprived of rites and a collective dimension tied to memory. O meu trabalho indaga a respeito do fenômeno do medo, a sensação de deslocamento dos seres humanos nos dias de hoje. Um encontro entre o sentimento de solidão existencial e a dificuldade de relacionar-se com uma realidade cada vez mais privada de rituais, em uma dimensão coletiva ligada a memória.



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Migration, 2004, video-performance 2. Ureo, 2006, video-performance 3. Conversazione con la pietra, 2007, video-performance 4. Siren-enis, 2005, video-performance 5. Carmen, 2007, video-performance 1.

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Senza 7. Senza 8. Senza 9. Senza 10. Senza 11. Senza 6.

titolo, 2004-2007, tecnica mista su carta, 100×70 cm titolo, 2004-2007, tecnica mista su carta, 70×100 cm titolo, 2004-2007, tecnica mista su carta, 70×100 cm titolo, 2004-2007, tecnica mista su carta, 100×70 cm titolo, 2004-2007, tecnica mista su carta, 70×100 cm titolo, 2004-2007, tecnica mista su carta, 70×100 cm

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METATO Nel mio percorso artistico la juta è la materia che segna tutta una prima fase di ricerca, durante la quale progressivamente viene sviluppandosi un’indagine scultorea sulla corporeità. Con questo materiale, povero e legato ad una dimensione di lavoro e di fatica, nascono gli assemblage bidimensionali degli esordi, a cui fanno seguito le serie dei Copricapi e Copricorpi (20042008), sculture da indossare e abitare, che creano figure ibride tra il corpo umano e quello animale, presenze quasi primordiali che possono acquisire nel tempo una loro storia e divenire personaggi. Questa tipologia di scultura trova il suo necessario completamento nel momento in cui gli involucri-abiti di juta vengono indossati e “incorporati”; la chiusura di tutto il ciclo è invece costituita da una serie di studiati set fotografici, in cui le opere si stagliano in primo piano su bassi orizzonti, immerse in una luce fredda e senza tempo. Nello spettacolo Conversazione con la pietra (Roselle, Grosseto 2007) realizzato in una vecchia cava dismessa, le sculture (in relazione a musica e teatro) agivano circondate dal pubblico, mentre un’attrice declamava poesie. Come nel metato, l’antico essiccatoio delle castagne in Toscana che, durante le veglie, diventava luogo di riparo e convivialità. In my artistic career, hemp is the fabric that marked the entire course of my early works. During this period, I gradually pursued a sculptural exploration of corporeity. This material, so poor and redolent of hard work and toil, spawned my initial two-dimensional assemblages, which were followed by the Copricapo (Head-covering) and Copricorpo (Body-covering) series (2004-2008) of sculptures to wear and live in. This series created hybrid figures by mixing human and animal bodies, as though they were primordial presences capable of acquiring a history and personalities of their own over time. This type of sculpture encounters its necessary completion the moment the hemp wrapping/clothing is worn and “embodied”. The cycle comes to an end, on the other hand, with a series of studied photographic sets where the works stand out in the foreground, against low horizons, immersed in a cold and timeless light. In the spectacle Conversazione con la Pietra (Conversation with the Stone, Grosseto, Italy, 2007), put on in an old abandoned quarry, the sculptures performed as the public surrounded them, while an actress declaimed poetry and a musician played music. Like in a metato, an old building used in Tuscany for drying chestnuts, which became a place of shelter and conviviality during evening time. Em meu percurso artístico a juta (cãnhamo) é o material que marca toda a primeira fase de pesquisa com a qual progressivamente vem se desenvolvendo um questionamento escultorico sobre a corporeidade. Com este material pobre e ligado a dimensão do trabalho manual e físico, nascem as assemblagens bidimensionais do início de minha trajetória. A seguir as séries Copricapi e Copricorpi (2004-2008) que são esculturas para vestir e para vivenciar, figuras híbridas entre o corpo humano e animal, entidades quase primordiais que podem adquirir com o tempo uma história própria e transformarem-se em personagens autônomos. Este tipo de escultura completa-se no momento em que os invólucros de juta são vestidos e “incorporados”. O término de todo o ciclo é constituido de uma série de ensaios fotográficos meticulosamente estudados, onde as obras se destacam em primeiro plano em horizontes imersos em uma luz fria e atemporal. No espetáculo Conversazione con la Pietra (Conversação com a pedra, Grosseto, Italia, 2007) realizado em uma velha pedreira de granito, as esculturas se relacionam com a música e o teatro e agem com os espectadores ao redor, enquanto uma atriz declama poesias. Como no metato (um antigo armazem de secagem de castanhas típico da região da Toscana), que eram lugares de abrigo e convivência.

Copricapo I, 2004-2008, stampa lambda su alluminio, 150×98 cm 13. Copricorpo II, 2005-2008, stampa lambda su alluminio, 98×150 cm 14. Corpricorpo I, 2005-2008, stampa lambda su alluminio, 98×150 cm 15. Ureo I, 2006-2008, stampa lambda su alluminio, 98×150 cm 16. Ureo II, 2006-2008, stampa lambda su alluminio, 98×150 cm 17. Copricorpo IV, 2005-2008, stampa lambda su alluminio, 150×98 cm 18. Copricorpo III, 2005-2008, stampa lambda su alluminio, 150×98 cm 19. Copricorpo V, 2005-2008, stampa lambda su alluminio, 150×98 cm 20. Copricorpo VI, 2005-2008, stampa lambda su alluminio, 150×98 cm 21. Copricapo II, 2004-2008, stampa lambda su allumino, 150×98 cm 12.


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SCALP Questo lavoro segna un momento cruciale nel mio percorso, in cui ho introdotto il corpo come elemento formale. L’installazione è costituita da tre autoritratti fotografici, in cui mi autorappresento con la testa rasata, mimando gesti di paura e vergogna. In Scalp, dodici diverse acconciature femminili sono allineate sul muro, realizzate in stoppa bionda, un materiale derivato dalla juta. Un frammento filmico di un secondo montato in loop mostra l’atto violento di strappare lo scalpo accompagnato da un urlo che si ripete incessantemente. Qui ho fatto riferimento alla dimensione stereotipata degli Indiani d’America, dipinta in senso negativo da innumerevoli film western nei quali il terribile scalpo del nemico “bianco” simboleggiava l’impossessamento del suo spirito. Tenere in pegno una parte del corpo, poi esibita come feticcio del predominio e del potere, doveva precludere all’altro la possibilità di accedere all’aldilà. This work represents a crucial moment in my artistic path, when I introduced my own body as a formal element. The installation is made up of three self-portraits, where I appear with a shorn scalp, acting out moments of fear and shame. In Scalp, twelve different female hairstyles are lined up on the wall, created using blonde “tow”, a material derived from jute. A film fragment played on loop shows the violent act of scalping accompanied by a shriek, repeated incessantly. Here I call to mind the stereotype of Native Americans, seen with negative connotations by countless Western films in which the terrible scalping of the “white” enemy symbolises possession of their spirit. “Possessing” a part of the body and then exhibiting it as a fetish of one’s own domination and power meant preventing the other from accessing the afterlife. Este trabalho marca um momento crucial na evolução do conjunto de minha obra, onde o meu corpo é introduzido como elemento formal. A instalação é composta por três autoretratos fotográficos, em que apareço com a cabeça raspada, fazendo gestos de medo e vergonha. Acrescentados de doze penteados femininos diferentes feitos de um tipo de estopa, um material derivado do cãnhamo, que estão alinhados na parede; além de um fragmento de filme com a duração de um segundo, editado e montado em loop, mostrando o ato violento de arrancar o escalpo acompanhado de um grito que se repete incessantemente. Esta é uma referência a dimensão estereotipada dos nativos Norte Americanos mostrada negativamente em muitos filmes “western”; onde o terrível escalpo do inimigo “branco” simbolizava a tomada de posse de suas almas. Apoderando-se desta parte do corpo e depois exibindo-a como símbolo do predomínio e do poder de negar o acesso da vítima do escalpo a uma outra vida.

Scalp I, 2009, stampa lambda su alluminio, 60×87 cm 23. Scalp II, 2009, stampa lambda su alluminio, 60×87 cm 24. Scalp III, 2009, stampa lambda su alluminio, 60×87 cm 25. Scalp, 2009, installazione, 12 oggetti, ferro e canapa, dimensioni variabili 26. Scalp, 2009, video still (loop 1”) 22.


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CANNIBAL Il mio lavoro riflette anche sul tema del cannibalismo come rituale legato al mondo tribale e fonte di paura per i colonizzatori, ma ancora presente nell’immaginario collettivo della società contemporanea. Il cannibale è la figura che meglio incarna la relazione fra paura e potere. Mangiando il corpo, egli elimina il corpo e l’anima dell’altra persona assimilandola completamente. My work also reflects on the theme of cannibalism as a ritual linked to the tribal world and source of colonizers’ fear, still present, however, in the collective imagination of contemporary society. The cannibal is the figure that best embodies the relationship between fear and power. By eating the flesh, he eliminates the body and the soul of the other person and assimilates him completely. O meu trabalho reflete também sobre o tema do canibalismo como ritual ligado ao mundo tribal e fonte de medo para os colonizadores, fazendo-se ainda mais presente no imaginário coletivo da sociedade contemporânea. O canibal é a figura que melhor encarna a relação entre medo e poder. Comendo o corpo, ele elimina o corpo e a alma da outra pessoa assimilando-a completamente.

Cannibal, 2009, fusain su carta, 200×400 cm 28. Cannibal, 2009, juta, canapa, segatura, polistirolo, dimensioni variabili

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METAPOTERE Il disegno, specialmente nelle grandi dimensioni, è un altro strumento che utilizzo per lavorare sulle metamorfosi del corpo. Un gesto, quello che traccia segni con il carbone sul foglio, ancora di carattere performativo, in un corpo a corpo con una figurazione che emerge dalle stratificazioni della memoria, personale e collettiva. L’ambiguità anatomica delle forme si confonde con una fisionomia animale, e allude al ritorno di una primordialità, da cui scaturisce una riflessione sull’identità. Drawing, particularly on a large scale, is another medium that I use to work on the metamorphosis of the body. A gesture, drawing marks on a sheet of paper using charcoal, is once again a kind of performance in a first-hand encounter with a figuration which emerges from the stratifications of the personal and collective memory. The forms’ anatomical ambiguity melds with an animal physiognomy, alluding to a return to primordial nature and sparking a reflection on identity. O desenho, especialmente em grandes dimensões, é outro instrumento que uso para trabalhar sobre a metamorfose do corpo. Um gesto que marca signos com carvão sobre papel, ainda que de caráter performático, em um corpo a corpo com um tipo de figuração que emerge desde a estratificação de uma memória pessoal e coletiva. A ambiguidade anatômica das formas confundem-se com uma fisionomia animal e aludem ao retorno a uma primordialidade que abre uma reflexão sobre a identidade.

Metapotere 30. Metapotere 31. Metapotere 32. Metapotere 29.

I, 2009, fusain su carta, 230×109 cm II, 2009, fusain su carta, 230×109 cm III, 2009, fusain su carta, 230×109 cm IV, 2009, fusain su carta, 230×109 cm


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METACORPO La parola Metacorpo allude ad un andare oltre il corpo, oltre l’intero e la riconoscibilità della figura, oltre le coordinate spaziali consuete e la legge gravitazionale. In questo video, la mia pelle è incorporata nell’immagine e nello spazio. I movimenti mostrano di “partecipare alla vita delle cose e degli eventi” usando il corpo come una sorta di pre-espressione priva di mediazione linguistica. L’analisi del sentimento istintivo della paura, come emozione viscerale che accomuna uomo e animale, pone le basi per una più ampia lettura della nostra società contemporanea, in cui l’individuo si scontra con un senso di solitudine esistenziale e con la difficoltà di rapportarsi alla collettività. Il set è una stanza vuota dove la respirazione quasi animale si confonde con le sonorità dei materiali legati alla tradizione arcaica e contadina. Metacorpo è un rito muto, una riflessione intima sul corpo, l’identità e la memoria. The word Metacorpo talk about the transcendence of the body; beyond the whole body and the recognition of the human figure, beyond the spatial coordinates and the gravity law. In this video, my flesh is incorporated into the image and space. The movements show “how things and events participate in life”. I use my body as a sort of pre-expression without linguistic mediation. The analysis of the instinctive sentiment of fear as a gut-level feeling shared by man and beast alike, paves the way for a broader interpretation of our contemporary society in which the individual comes up against a sense of existential solitude and has difficulty relating to the community. The set is an empty room where the animal breath confounds itself with the sonority of the materials linked with the archaic tradition. Metacorpo is a silent ritual, an intimate reflection on the body, the identity and the memory. A palavra Metacorpo alude a transcendencia do corpo; além do corpo inteiro e do reconhecimento da figura humana, além das coordenadas espaciais e da lei da gravidade. Neste video a minha pele é encorporada a imagem e ao espaço. Os movimentos mostram como “as coisas e os eventos participam da vida”, usando o corpo como um tipo de pré-expressão sem mediação linguística. A análise do sentimento instintivo do medo; emoção visceral que une homen e animal, estabelece as bases para uma leitura mais ampla da nossa sociedade contemporânea,onde o indivíduo encontra-se em um estado de solidão existencial e tem dificuldade de se relacionar com a coletividade. O set é um quarto vazio onde uma respiração quase animal confunde-se com as sonoridades de materiais ligados a tradição arcaica e agrícola. Metacorpo é um ritual silencioso, uma reflexão íntima sobre o corpo, a identidade e a memória.

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Metacorpo, 2009, video still (2’58’’)


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MALOCCHIO

Malocchio 37. Malocchio 38. Malocchio 39. Malocchio 40. Malocchio 41. Malocchio

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I/6, Los Angeles, 2010, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm I/1, Los Angeles, 2010, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm I/5, Los Angeles, 2010, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm I/4, Los Angeles, 2010, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm I/3, Los Angeles, 2010, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm I/2, Los Angeles, 2010, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm


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Questo progetto consiste in due serie e si è sviluppato fra l’Italia e gli Stati Uniti dove ho vissuto e lavorato fra il 2010 e il 2012. La realizzazione di queste immagini è avvenuta in diverse fasi: la ricerca del set, la performance, la documentazione dell’azione attraverso l’autoscatto fotografico e infine l’intervento di “mascheramento pittorico” attraverso l’uso del carbone su stampa fotografica.


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Il malocchio non è soltanto una superstizione di gente ingenua e poco istruita, una credenza confinabile all’interno della società contadina e destinata a scomparire, ma continua a vivere nella “modernità”. Si potrebbe parlare di un fenomeno universale, dal momento che l’esistenza del malocchio è testimoniata da un capo all’altro del mondo. Tanti malocchi diversi abitano la “modernità”, e nel prendere atto di questa molteplicità fallisce ogni tentativo di classificare questa entità mobile, immateriale.


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This project consists in two series and was developed between Italy and the United States where I lived and worked between 2010 and 2012. These images were realised in different phases, from researching the set up to the performance. The project was furthered by documenting the action using self-timed photographs. Then it became a “masking-action painting� by applying charcoal to the photo print.


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The evil eye (malocchio) is not just a superstition of naĂŻve and undereducated people. This belief may have been restricted to peasant society and set to disappear, but it continues to live on in “modern timesâ€?. It can be seen as a universal phenomenon since the evil eye is known to exist from one end of the world to the other. Many different forms of the evil eye live in these modern times, and when we realize its multiple nature, all attempts to classify this mobile, intangible entity are set to fail.


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Este projeto consiste em duas séries que se desenvolveram entre Italia e Estados Unidos onde morei e trabalhei entre os anos de 2010 e 2012. A realização destas imagens foram feitas em diversas fases: a procura do set, a performance, a documentação da ação através da fotografia self-timer e por fim a intervenção de uma “máscara pictórica”, usando carvão sobre impressão fotográfica.


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O mal-olhado (malocchio) não é somente uma superstição de pessoas ingênuas e ignorantes, uma crença confinada dentro das sociedades agrícolas e destinada a desaparecer, mas continua a existir e a influenciar nossa “modernidade”. Poderiamos falar de um fenômeno universal porque a existência do mal-olhado é testemunhada de um canto a outro do planeta. Muitos tipos de mal-olhado habitam a “modernidade” e dando-se conta desta multiplicidade é impossível qualquer tentativa de classificar esta entidade móvel e imaterial.


Malocchio 43. Malocchio 44. Malocchio 45. Malocchio 46. Malocchio 47. Malocchio

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II/1, Vaticano, 2011, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm II/3, Vaticano, 2011, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm II/2, Vaticano, 2011, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm II/4, Vaticano, 2011, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm II/6, Vaticano, 2011, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm II/5, Vaticano, 2011, fusain su stampa fotografica, 90×90 cm


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URBAN JACKALOPE PROJECT Il progetto relazionale Urban Jackalope si è sviluppato in California fra il 2010 e il 2011. Jackalope (creatura del folklore Americano metà coniglio e metà antilope) si dice nato nel deserto e poi esportato in tutta l’area centro occidentale degli Stati Uniti. Inventato dai cowboys (che cercavano di dare una forma ai rumori della notte, perché ogni cosa che ha un aspetto è sempre meno ostile dell’ignoto) torna proprio da loro a rivendicare la propria esistenza. Il progetto include una scultura realizzata in fibra di palma, e una serie di fotografie delle tre performance del Jackalope (Venice Beach, Downtown Los Angeles, and Hollywood). Urban Jackalope presenta anche documenti ulteriori: i ricordi di giovani narratori Americani hanno aggiunto corpo e consistenza al coniglio cornuto attraverso composizioni letterarie. Gli studenti del corso di Travel Writing presso la Florence University of the Arts (guidati da una professoressa) hanno reinventato una mitografia, rendendolo così concreto a noi, pubblico europeo. The American relational project Urban Jackalope was developed in California between 2010 and 2011. The Jackalope (a creature of American folklore that is half-rabbit and half-antelope) is said to have been born in the desert and exported to the whole central and western area of the United States. Invented by the American cowboys (who were trying to give a shape to the sounds in the night, because picturing the unknown made it less hostile), has now returned to them to reclaim its existence. The project includes the sculpture, made from palm fibre, and a series of photos of the three performances of the Jackalope (Venice Beach, Downtown Los Angeles, and Hollywood). Urban Jackalope also presents further documents: the memories of young American narrators have added body and substance to the horned rabbit through literary compositions. The students from the Travel Writing course at Florence University of the Arts were guided by a professor who strengthened their imagination in order to recreate the myth and make it real for those like us who belong to the European public. O projeto relacional Urban Jackalope se desenvolveu na California entre 2010 e 2011. Jackalope (uma criatura do folclore Norte Americano, metade coelho e metade antílope), nasceu no deserto e se espalhou por toda a região centro-oeste dos Estados Unidos. Inventado pelos “cowboys” (que tentavam dar forma aos sons da noite, porque assim fazendo deixavam-os menos hostis, menos aterrorizantes) agora ele retorna para reivindicar a própria existência como uma espécie de assombração. O projeto inclue uma escultura realizada em fibra de palmeira e uma série de fotografias das três performances do Jackalope (Venice Beach, Downtown Los Angeles, e Hollywood). Urban Jackalope apresenta também entre outros documentos: as lembranças de jovens escritores Americanos, que adicionaram corpo e consistência ao coelho chifrudo através de composições literárias. Os estudantes do curso “Travel Writing” da “Florence University of the Arts” (guiados por uma professora) reinventaram uma mitografia tornando-o assim concreto para nós, público europeo.

Urban 49. Urban 50. Urban 51. Urban 52. Urban 53. Urban 54. Urban 55. Urban 48.

Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope

Project, 2010-2011, performance, Downtown L.A. Project. The Arrival, 2010-2011, performance Project, 2010-2011, performance, Venice Beach Project, 2010-2011, performance, Venice Beach Project, 2010-2011, performance, Venice Beach Project, 2010-2011, performance, Downtown L.A. Project, 2010-2011, performance, Venice Beach Project, 2010-2011, performance, Hollywood


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I traveled for a long time through this country. I explored a lot of places and I met different people, I discovered the world out of the desert and I faced the metropolis. Now my time is over, I’m coming back home, to my desert. It was great to meet you guys. Love, Jackalope

Urban 57. Urban 58. Urban 59. Urban 60. Urban 61. Urban 62. Urban 63. Urban 64. Urban 56.

Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope Jackalope

California, November 2011

Project, 2010-2011, performance, Downtown L.A. Project, 2010-2011, performance, Downtown L.A. Project, 2010-2011, performance, Hollywood Project, 2010-2011, performance, Hollywood Project, 2010-2011, performance, Hollywood Project, 2010-2011, performance, Downtown L.A. Project, 2010-2011, performance, Hollywood Project, 2010-2011, performance, Hollywood Project. The End, 2010-2011, Joshua Tree Desert, CA, stampa fotografica, 60Ă—86,5 cm, cinque esemplari, 1/5


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METROPOLITAN LEGEND Questo progetto multimediale nasce nel 2011 in California. Il lavoro si sviluppa attraverso cinque storie, cinque identità, cinque luoghi. I Cryptids, creature la cui esistenza è supportata da tradizioni e leggende ma di cui mancano prove scientifiche, sono i personaggi di questa avventura. Vivono nascosti nella periferia e parlano di solitudine, di contraddizione, di disagio. Talvolta si possono incontrare. Soffermandomi sull’immaginario collettivo legato al mondo di Hollywood ho fatto una ricerca all’interno dell’industria cinematografica per procurarmi protesi da applicare al corpo. Attraverso l’utilizzo del make-up e, contemporaneamente, all’individuazione di luoghi che riflettessero stereotipi della società Americana, ho fatto varie performance per le strade di Los Angeles e dintorni. Le azioni sono state documentate con fotografie realizzate con l’autoscatto e, infine, sono intervenuta sopra la stampa fotografica attraverso una sorta di “mascheramento pittorico”. In antitesi con le leggende popolari, da cui il mio lavoro proviene, la “leggenda metropolitana” è legata al mondo della comunicazione mediatica. Si diffonde rapidamente, attraverso un territorio vasto fatto di “non luoghi” ed è perciò incontrollabile, ingestibile. A tratti schizofrenico, veloce, liquido, come la società contemporanea, questo lavoro mescola continuamente vero e falso, reale e irreale. Un concetto universale unisce però le due realtà: l’uomo ha bisogno di inventare storie per affrontare la realtà che lo circonda e per sentirsi parte di un ambiente e, forse, per esorcizzare la paura. This multimedia project was made in 2011 in California. The work is developed through five stories, identities and places. The Cryptids, creatures whose existence are supported by traditions and legends though they lack scientific proof, are the characters of this adventure. They live hidden in the suburbs and talk about loneliness, contradiction and discomfort. Occasionally you may encounter them. Dwelling on the collective image tied to the world of Hollywood, I searched within the film industry to procure prostheses that can be applied to the body. Through the use of make-up, and simultaneously, locations that reflect stereotypes of American society, I put on various performances in the streets of Los Angeles and the surrounding area. The performances were documented with photographs taken on a self-timer, and, finally, as I mentioned above, the photos were printed through a kind of “pictorial camouflage.” My work comes from popular legends as opposed to the “urban legend” which is linked to the world of media communications. It spreads rapidly through a vast territory made up of “non-places” and is therefore uncontrollable and unmanageable. At times schizophrenic, fast and fluid, like contemporary society, this work continuously combines true and false, real and unreal. A universal concept, however, joins the two realities. Man needs to invent stories to deal with the reality that surrounds him and to feel part of an environment, and perhaps to exorcise fear. Este projeto multimídia nasce em 2011 em California. O trabalho desenvolve-se através de cinco histórias, cinco identidades, cinco lugares. Os Cryptids, criaturas de existência apoiadas nas tradições e lendas, mais que no entanto recentem-se de provas cientificas, são as personagens desta aventura. Eles vivem escondidos no subúrbio e falam de solidão, de contradição e de desconforto. As vezes é possível encontra-los. Dando atenção ao imaginário coletivo ligado ao mundo de Hollywood fiz uma pesquisa na indústria do cinema para procurar próteses para aplicar ao meu corpo. Através do uso da maquiagem e procurando lugares que refletem estereótipos da sociedade Americana fiz várias performances nas ruas de Los Angeles. As ações são documentadas usando o “self-timer” da máquina fotográfica e retrabalhadas através um tipo de “máscara pictorica”. Em antítese com as lendas populares, de onde o meu trabalho se origina, a “lenda metropolitana” é ligada ao mundo da comunicação mediática. Ela difunde-se rapidamente através de um territorio imenso, feito de um “não lugar” e por isso incontrolável e impossível de administrar. Com traços esquizofrênicos, rápidos e líquidos, como a sociedade contemporânea, este trabalho mescla continuamente o verdadeiro e o falso, o real e o irreal. Um conceito universal liga as duas realidades: o ser humano precisa inventar histórias para enfrentar o mundo que o cerca e para sentir-se parte de um ambiente e talvez para exorcizar o medo. Cryptid 1 è un abitante della raffineria di petrolio di Torrance (California). Aquila in conflitto fra rinascita e morte, custode dell’oro nero. Questa performance, attraverso un’indagine sui simboli americani per eccellenza (l’aquila e la bandiera), riflette sul grande tema della guerra. La performance è stata realizzata di fronte alla raffineria di petrolio, con successivo intervento della polizia. Cryptid 1 is an inhabitant of the oil refinery in Torrance (California). The Eagle, the guardian of the black gold, is in conflict between death and rebirth. This performance, through a survey of quintessential American symbols (the eagle and the flag), reflects on the great theme of war. The performance was carried out in front of the oil refinery, with subsequent intervention from the police. Cryptid 1 è um morador da refinaria de petróleo de Torrance (California).Uma águia em conflito entre o renascimento e a morte, é uma guarda do ouro negro.Esta performance, através de eminentes símbolos americanos (a águia e a bandeira), reflete a respeito do grande tema da guerra. A ação foi realizada em frente a refinaria de petróleo e teve a intervenção da polícia.

Cryptid 1, 2011, video-animazione, 1’39’’ 68. Cryptid 1, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 92,5×151,5 cm

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Cryptid 3 è l’abitante di un grattacielo situato in Downtown Los Angeles. Femminista gigante e pelosa in pieno conflitto d’identità. Questa performance prende in prestito la figura di King Kong (già utilizzata in arte contemporanea in riferimento al femminismo) per affrontare una lettura ironica del concetto di controllo: del maschio sulla femmina, della ragione sull’istinto, della civilizzazione sulla natura, dell’uomo sull’animale… La performance è stata realizzata all’interno del loft in cui ho vissuto in Residenza Artistica per alcuni mesi. Cryptid 3 is the inhabitant of a skyscraper located in downtown Los Angeles. She is a female, hairy giant who is in full conflict with her identity. This performance borrows the figure of King Kong (already used in contemporary art in relation to feminism) to make an ironic reading of the concept of control, such as male over female, reason over instinct, civilisation over nature, man over animal… The performance was held in the loft where I lived for a few months during my artist residency. Cryptid 3 è o morador de um arranha-céu que fica no centro da cidade de Los Angeles. Uma feminista gigante e peluda em conflito de identidade. Esta performance pega emprestada a figura de King Kong (já utilizada em arte contemporánea como referência ao feminismo) para estabelecer uma leitura irônica do conceito de controle: do macho sobre a fêmea, da razão sobre o instinto, da civilização sobre a natureza, do homem sobre o animal... A performance foi realizada no espaço interno do apartamento onde eu vivi em Residência Artistica por alguns meses.

Cryptid 70. Cryptid 71. Cryptid 72. Cryptid 73. Cryptid 74. Cryptid 69.

3/a, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 35,5×23,7 cm 3/b, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 35,5×23,7 cm 3/c, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 35,5×23,7 cm 3/d, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 35,5×22 cm 3/e, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 165×112 cm 3/f, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 23,7×35,5 cm


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Cryptid 4 è un abitante della Comunity di Lake Forest nell’ Orange County (California). Corpo obbediente in cerca di consenso pubblico. Questa performance è una riflessione sulla donna-immagine, sull’utilizzo che i mass-media fanno del corpo della donna. Il luogo in cui l’azione è stata realizzata, noto set di telefilm televisivi, è conosciuto per il suo carattere conservatore e avverso alla nudità. Cryptid 4 is a resident of Lake Forest Community in Orange County (California). Her obedient body is seeking public consensus. This performance is a reflection on female images – the use that the mass media makes of women’s bodies. The place where the action took place is on the set of a television show, known for its conservative nature and adversity to nudity. Cryptid 4 é uma moradora da Comunidade de Lake Forest em Orange County (California). Corpo obediente em busca de consenso público. Esta performance é uma reflexão a respeito da mulher-imagem e sobre o uso que as mídias de massa fazem do corpo da mulher. O lugar onde a ação foi realizada, O.C. (famoso seriado de televisão) é conhecido pelo seu caráter conservador, extrema abundância material e financeira e também avesso a nudez.

Cryptid 4, 2011, video-animazione, 2’57’’ 79. Cryptid 4, 2011, stampa fotografica, 90×90 cm, cinque esemplari, 1/5

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Cryptid 2 I e Cryptid 2 II sono abitanti della fabbrica di birra dismessa di Main Street a Los Angeles, oggi recuperata e conosciuta come Complesso Artistico “Brewery”. Sorelle inossidabili appartenenti a due tempi diversi, eroine alle prese con il mito del successo.Questa performance indaga sugli eroi di tutti i tempi, dalla letteratura alla televisione, dalla figura di Giovanna d’Arco a quella di Terminator (Arnold Schwarzenegger era allora Governatore della California). La performance è stata realizzata di fronte alla ciminiera della fabbrica, in due fasi diverse del giorno. Cryptid 2 I and Cryptid 2 II are the inhabitants of the old brewery on Main Street in Los Angeles, now known and used as the “Brewery” Artistic Complex.Indestructible sisters belonging to two different times, they are heroines struggling with the myth of success. This performance explores the heroes of all times, from literature to television, from the figure of Joan of Arc to the Terminator (Arnold Schwarzenegger was then Governor of California). The performance was put on in front of the chimney of the factory, in two different moments of the day. Cryptid 2_I e Cryptid 2_II são moradores de uma velha fábrica de cerveja de Main Street em Los Angeles, hoje conhecida e usada como centro cultural-artístico “Brewery”. Irmãs indestrutiveis separadas por dois tempos diferentes, heroínas que lidam com o mito do sucesso. Esta performance fala dos heróis de todos os tempos, desde a literatura até a televisão, desde Joanna d’Arc até o Exterminador (Arnold Schwarzenegger era na época Governador da California). A performance foi realizada em frente a chaminé da fábrica em duas diferentes fases do dia.

Cryptid 2/I, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 101×152 cm 81. Cryptid 2/II, 2011, tecnica mista su stampa fotografica, 142,5×101 cm 80.


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Cryptid 5 è un abitante di Scientology a Hollywood. Terzo occhio alla ricerca della testa perduta, vigilante del perimetro della Chiesa fantascientifica. Questa performance indaga sulla speculazione economica effettuata sulla sfera spirituale attraverso la manipolazione della debolezza umana. L’azione è stata realizzata di fronte all’ingresso della sede di Scientology a Hollywood, con immediato intervento delle guardie e, successivamente, della polizia. Cryptid 5 is an inhabitant of Scientology in Hollywood. This third eye is in search of her lost head while watching over the perimeter of the science fiction church. This performance reflects on the economic speculation made on the spiritual esphear through the manipulation of the human fragility. The action was realized in front of the entrance of the Scientology building in Hollywood, with the immediate intervention of the guards and later the police. Cryptid 5 é um habitante da Scientology em Hollywood. Um terceiro olho a procura da cabeça perdida, protetor do perímetro da igreja de ficção cientifica. Esta performance faz uma reflexão a respeito da especulação econômica feita sobre a esfera espiritual através da manipulação da fraqueza humana. A ação foi realizada na entrada principal do prédio da Scientology em Hollywood e teve a imediata intervenção dos seguranças particulares e depois da polícia.

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Cryptid 5, 2011, stampa fotografica, 110×110 cm, cinque esemplari, 1/5


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LA MÉRICA Il tema dichiarato di questa opera è l’immigrazione. La condizione di fragilità, legata alla necessità di un nomadismo esistenziale e lavorativo che ho vissuto, mi ha portata a concepire un video a due canali. Un cortocircuito di conseguenze spazio-temporali attraverso il montaggio di esperienze separate nel tempo, come scene dello stesso film. I singoli elementi che compongono questo video – il pappagallo d’oro (un riferimento alle miniere ma anche al Carnevale); la grotta nella foresta (un riferimento al concetto di “paradiso perduto”); la canzone di Caterina Bueno (una documentazione dell’ondata migratoria in Brasile alla fine del 1800) – sono immagini capaci di creare altre riflessioni. Cercando di “vestire” il lavoro come una seconda pelle, l’artista è colui che racconta la storia ed è la storia allo stesso tempo. Questa opera, in parte autobiografica, parte da una esperienza personale per andare verso una dimensione “collettiva” e “globale”. The declared theme of this work is immigration. The condition of fragility linked to the contemporary necessity of existential and working nomadism, which I myself have lived through, brought me to conceive a split-screen video. A short circuit of space-time consequentiality created by mounting experiences distant in time, like frames of the same movie. The single elements that make up this video - the golden parrot (a reference to the mines and also to the Carnival); the cave inside the forest (a reference to the concept of a “lost paradise”); the song by Caterina Bueno (documentation of the wave of migration to Brazil at the end of the 1800s) - are images able to create other reflections. By trying to “wear” the art work like a second skin, the artist is the one who is both telling the story and is the story at the same time. It is a work that starts from fear, it comes from a personal experience and reaches a “collective” and “global” dimension. O tema declarado desta obra é a imigração. Uma condição de fragilidade ligada a necessidade de um nomadismo existencial e ao imperativo do trabalho, me levaram a conceber um video em dois canais. Um curto-circuito de consequências espaçotemporais que, através da montagem de experiências separadas no tempo são como cenas de um mesmo filme. Os elementos singulares que compoem este video são: o papagaio dourado (referência as minas de ouro e também ao Carnaval); a gruta na floresta (referência ao conceito de “paraíso perdido”); e a canção de Caterina Bueno (uma documentação da onda migratória italiana que houve no Brasil ao final de Século XIX) – imagens e sons que são capazes de criar outras reflexões. Tentando “vestir” o trabalho como uma segunda pele, o artista é quem conta a história e a História ao mesmo tempo. Esta obra, em parte autobiográfica, vem de uma experiência pessoal e caminha para uma dimensão “coletiva” e “global”.

La Mérica, 2012, storyboard del video, tecnica mista su carta, 9 elementi 27,5×38 cm ciascuno 84. La Mérica, 2012, video still, 5’05’’ 83.


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PROJETO BOITATÀ Vivendo in Brasile, ho creato la scultura di Boitatá, serpente di fuoco delle leggende indigene. È stata realizzata con camere d’aria di gomme di bicicletta che ho assemblato e cucito a mano, questo materiale generalmente viene estratto dalla foresta Amazzonica da dove la creatura deriva. Il Projeto Boitatá è un progetto multimediale che consiste in una scultura indossata, una serie di sette disegni realizzati con carbone su carta, un dittico fotografico, una performance e un video. La performance è stata realizzata in collaborazione con una ballerina euritmica e accompagnata da musicisti sperimentali con strumenti fatti di gomma realizzati appositamente per questo progetto. Più tardi, la “voce” di Boitatá è stata scelta come colonna sonora del video; le sue apparizioni sono state riprese in vari luoghi della città di San Paolo. Now living in Brazil, I created the sculpture of the Boitatá, the legendary Brazilian fire serpent. It is made of bicycle air chambers that I sewed together myself, the rubber extracted from the Amazon Forest where the creature belongs. Projeto Boitatá is a multimedia project consisting of a wearable sculpture, a series of seven charcoal drawings on paper, a diptych of photographs, a performance and a video. The live performance was made in collaboration with a Eurythmics dancer and accompanied by musicians that made instruments of rubber specially for this project. Later, the Boitatá’s “voice” was chosen as the soundtrack of the video; her appearance was recorded in several locations in the city of San Paolo. Vivendo agora no Brasil, criei a escultura do Boitatá, serpente de fogo das lendas caboclo-indígenas. Ela é feita com câmeras de ar de pneus de bicicleta costuradas a mão por mim, este material geralmente é extraído da Floresta Amazônica, de onde a criatura tem sua origem. O Projeto Boitatá é um projeto multimídia que inclue uma escultura para vestir, uma série de sete desenhos realizados em carvão sobre papel, um díptico fotográfico, uma performance e um video. A performance foi realizada em colaboração com uma dançarina euritmica e acompanhada por músicos experimentais que fizeram instrumentos de borracha especialmente para este projeto. Mais tarde a “voz” do Boitatá foi escolhida como trilha sonora do video e as aparições dele foram gravadas em vários lugares da cidade de São Paulo.

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Boitatà, O nascimento, 2013, Floresta da Tijuca, RJ, stampa fotografica, 60×40,5 cm, cinque esemplari, 1/5


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Boitatà 87. Boitatà 88. Boitatà 89. Boitatà 90. Boitatà 91. Boitatà 92. Boitatà

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5, 2013, fusain su carta, 100×70 cm 4, 2013, fusain su carta, 70×100 cm 3, 2013, fusain su carta, 100×70 cm 6, 2013, fusain su carta, 70×100 cm 1, 2013, fusain su carta, 100×70 cm 2, 2013, fusain su carta, 70×100 cm 7, 2013, fusain su carta, 70×100 cm


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Boitatà voador 1, 2013, stampa su carta fotografica, 110×110 cm, cinque esemplari, 1/5 94. Boitatà voador 2, 2013, stampa su carta fotografica, 110×110 cm, cinque esemplari, 1/5

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Boitatà, 2013, video still, 13’00’’ 99. Boitatà. The End, 2013, stampa fotografica, 61,5×90 cm, cinque esemplari, 1/5 95-98.


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Backstage Projeto BoitatĂ , San Paolo 2013

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BIOGRAFIA

Zoè Gruni nasce nel 1982 a Pistoia. Attualmente vive e lavora fra Firenze, Rio de Janeiro e Los Angeles. Il suo lavoro è stato esposto in varie mostre e Festival di video-arte in Italia, Francia, Inghilterra, Bulgaria, Germania, Brasile e Stati Uniti. Dopo il diploma nel 2000 all’Istituto d’Arte di Pistoia, nel 2006 si laurea all’Accademia di Belle Arti di Firenze dove frequenta la Scuola di Pittura di Andrea Granchi. Qui vince il Premio Studenti Eccellenti, mostrando il suo lavoro all’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze. Durante la ricerca di tesi sul lavoro di Carol Rama, Zoè Gruni si trasferisce a Torino dove incontra di persona l’artista. Nello stesso anno apre lo Spazio d’Arte Contemporanea Studi8 a Pistoia in collaborazione con altri artisti. Attraverso il Centro di Documentazione per l’arte contemporanea di Pistoia mostra i suoi lavori in molte mostre, eventi e open studios nella sua città natale e presenta la sua prima personale Balì Balle Baloo a Palazzo Balì, curata da Silvia Lucchesi. Nel 2010 il suo lavoro viene comprato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e presentato a Palazzo Fabroni all’interno della mostra 1910 -2010: un secolo d’arte a Pistoia, curata da Lara Vinca Masini. Lavora in alcune rappresentazioni teatrali e le sue sculture diventano l’elemento drammaturgico di Conversazione con la pietra, uno spettacolo creato in collaborazione con l’attore e musicista Piero Corso e l’attrice Tania Garribba (Festival Via Cava, Roselle 2007). Nel 2007 inizia la collaborazione con la Galleria Il Ponte di Firenze, che attualmente rappresenta il suo lavoro in Italia, esibendolo in molte Fiere di Arte Contemporanea Internazionali. Tra il 2008 e il 2010, con il curatore Enrico Pedrini, presenta la sua personale Metato alla Galleria Il Ponte di Firenze; alla Galleria Depardieu di Nizza (Francia); alla Galleria Entropyart/In/Progress di Napoli e al Teatro Sala Umberto di Roma. A Firenze lavora con C.C.C.S. Strozzina nell’ambito di Open Studios 2009, che fa parte del progetto Toscana In Contemporanea, in collaborazione con il Centro d’Arte Luigi Pecci di Prato. In questa occasione l’artista tiene alcune conferenze per le Università Americane a Firenze. Nel 2010 si trasferisce in California e inizia la collaborazione con la Galleria Fu Xin di Shanghai che mostra il suo lavoro per la prima volta a Los Angeles. Tra il 2010 e il 2012 Zoè Gruni sviluppa Urban Jacklope che, attraverso lo Spazio d’Arte F_AIR di Firenze e il FUA (Florence University of America) curato da Lucia Giardino, coinvolge musicisti e giovani scrittori. Nel 2011 diventa artista-membro della comunità O.C.C.C.A.(Orange County Center for Contemporary Art) in Santa Ana, dove prende parte a Ufora, progetto internazionale di arte relazionale, dove viene invitata come “luminaries artist”. Nel 2012 è artista residente in Raid Project a Los Angeles, dove sviluppa Metropolitan Legend Project, che presenta a LA Artcore. Durante i due anni negli Stati Uniti, partecipa a numerose mostre collettive in California (Los Angeles, Santa Monica, Torrance, Irvine, Santa Ana) e il suo lavoro viene selezionato per alcune Biennali (Biennale Giovani Monza, curata da Franziska Nori; 54° Esposizione d’Arte Internazionale La Biennale di Venezia – Lo stato dell’arte, Padiglione Accademie a Venezia; MexiCali Biennial nel Vincent Price Museum a Los Angeles; Sur Biennal nel TAM Museum a Torrance). Nel 2012 Zoè Gruni si trasferisce in Brasile. Mentre vive a Rio de Janeiro, inizia a studiare la cultura brasiliana e il tema del Nomadismo, e realizza il video La Mérica in collaborazione con la video-maker Lyana Peck, che presenta all’Ambasciata Italiana in Brasile. Nel 2013 partecipa alla mostra Projeto Identidade, dove il programma d’arte Estudio Movél della TV brasiliana la invita per un’intervista. Nello stesso anno è artista residente al FAAP in San Paolo, dove sviluppa il Projeto Boitatà. l’opera multimediale include una performance musicale, in collaborazione con il gruppo di musicisti sperimentali Tek Tek Gerbelier & Spitz e la ballerina euritmica Marcia Ferriera, che è stata eseguita nella Kunsthalle di San Paolo. Dopo la residenza, la Galleria Progetti invita Zoè Gruni a presentare Boitatà in una personale a Rio de Janeiro. Durante la mostra inizia a collaborare con gli artisti Bernardo Damasceno e Xico Chaves per la realizzazione di Palavrorio, un dibattito aperto tra antropologia e politica. Nel 2014 il suo lavoro viene selezionato in Germania per il Premio Artistico Fondazione VAF, XI edizione: Posizioni attuali dell’arte italiana e la Galleria Il Ponte di Firenze la invita per la seconda volta a tenere una mostra personale dal titolo Le Americhe. In questa occasione viene pubblicato il catalogo Zoè Gruni. 2004-2014 Mitopoiesi, sui suoi ultimi dieci anni di lavoro, con testi di Franziska Nori e Xico Chaves.

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BIIOGRAPHY

Zoè Gruni was born in 1982 in Pistoia, Italy. She lives and works between Florence, Rio de Janeiro and Los Angeles. Her work has been shown in many video-art festivals and exhibitions in Italy, France, the United Kingdom, Bulgaria, Germany, Brazil and the United States. After obtaining her diploma in 2000 at the Pistoia Istituto d’arte, she was awarded a degree from the Accademia di Belle Arti in Florence where she attended Andrea Granchi’s School of Painting in 2006. Here she won the Studenti Eccellenti prize while showing her work at the Accademia delle Arti del Disegno in Florence. During her thesis research about Carol Rama’s work, she moved to Turin where she met the artist. In the same year she opened the Contemporary Art Space Studi8 in Pistoia in partnership with Cristiano Coppi and other artists. Through the Centro di Documentazione per l’Arte Contemporanea of Pistoia she showed her work in many exhibitions, events and open studios in her hometown and she presented her first solo exhibition BalìBalle Baloo at Palazzo Balì, curated by Silvia Lucchesi. In 2010, her work was bought by the Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia and presented at Palazzo Fabroni at the exhibition 1910-2010: un secolo d’arte a Pistoia (1910–2010: a century of art in Pistoia), curated by Lara Vinca Masini. She worked in some theatrical shows and her sculptures became the dramaturgic element of Conversazione con la Pietra (Conversation with the Stone), a show created in partnership with the actor and musician Piero Corso and the actress Tania Garribba (Festival Via Cava, Roselle, 2007). In 2007, she started to collaborate with Galleria Il Ponte in Florence, which represents her in Italy, showing her work at many international contemporary art fairs. Between 2008 and 2010, with the support of curator Enrico Pedrini, she presented her solo exhibition Metato at Galleria Il Ponte in Florence, Galerie Depardieu in Nice, France, Entropyart/In/Progress in Naples and the Teatro Sala Umberto in Rome. In Florence she worked with C.C.C.S. Strozzina in the Open Studios Project in 2009, which was part of the Toscana In Contemporanea project, in collaboration with the Centro d’ Arte Contemporanea Luigi Pecci of Prato. During the project, she gave some lectures for the American universities in Florence. In 2010 she moved to California and started to collaborate with the Fu Xin Gallery in Shanghai which showed her work in some important international contemporary art fairs in Los Angeles and Miami. Between 2010 and 2012, Zoè Gruni developed the Urban Jackalope Project that involved musicians and young writers through the Art Space F_AIR of Florence and FUA (Florence University of America) curated by Lucia Giardino. In 2011 she became an artist-member of the O.C.C.C.A. (Orange County Center for Contemporary Art) in Santa Ana where she took part in the Ufora international project of relational art as a “luminary artist”. In 2012 she was an Artist in Residency at Raid Projects in Los Angeles where she developed the Metropolitan Legend Project which she showed at LA Artcore. During her two years in the U.S., she showed her work in many group exhibitions in California (Los Angeles, Santa Monica, Torrance, Irvine, Santa Ana) and her work was selected for several biennials (Biennale Giovani Monza, Italy, curated by Franziska Nori; 54° Esposizione d’arte Internazionale la Biennale di Venezia – Lo stato dell’arte, Padiglione Accademie at the Venice Biennale; MexiCali Biennial at the Vincent Price Museum in Los Angeles; Sur Biennal at the TAM Museum in Torrance). In 2012 Zoè Gruni moved to Brazil. While living in Rio de Janeiro she started to study Brazilian culture and the theme of nomadism. Contemporaneously she developed the video La Mérica in collaboration with video-maker Lyana Peck, showing it at the Italian Embassy in Brazil. In 2013 she participated in the exhibition Projeto Identidade where the Brazilian TV art program Estudio Movél invited her for an interview. In the same year she was Artist in Residency at FAAP in San Paolo where she developed the Projeto Boitatà. The multimedia project included a sound performance in collaboration with a group of experimental musicians, Tek Tek Gerbelier & Spitz, and Eurythmic dancer Marcia Ferreira; they performed at the Kunsthalle in San Paolo. After the residency, Galeria Progetti invited Zoè Gruni to show the project in a solo exhibition in Rio de Janeiro. During the exhibition she started to collaborate with the artists Bernardo Damasceno and Xico Chaves, devising the event Palavrorio, an open discussion between anthropology and politics. In 2014 her work was selected for the Premio Artistico Fondazione VAF, XI edizione – Posizioni attuali dell’arte italiana, in Germany. In addition, Galleria Il Ponte has invited her to present her second solo exhibition, Le Americhe, and will make a book, Zoè Gruni. 2004-2014 Mitopoiesi, on the last ten years of her works with texts by Franziska Nori and Xico Chaves.

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BIOGRAFIA

Zoè Gruni nasceu em 1982, Pistoia, Italia. Vive e trabalha entre Florença, Rio de Janeiro e Los Angeles. Suas obras já foram exibidas em diversas exposições e festivais de vídeo-arte na Itália, França, Inglaterra, Bulgária, Alemanha, Brasil e Estados Unidos. Graduada pelo Instituto de Arte de Pistoia em 2000 e formada em pintura pela Academia de Belas Artes de Florença em 2006, ganha o Premio Estudantes Exelentes e mostra o seu trabalho na Academia das Artes do Desenho em Florença. Para desenvolver a sua tese de mestrado sobre a obra de Carol Rama mora em Turim para conhecer melhor a artista. No mesmo ano abre junto com outros artistas, o Espaço de Arte Contemporânea Studi8 em Pistoia. Através do Centro de Documentação de Arte Contemporânea de Pistoia participa em várias exposições, eventos e Open Studios na própria cidade e apresenta a sua primeira exposição individual Balì Balle Baloo no Palazzo del Balì curada por Silvia Lucchesi. Em 2010 o seu trabalho foi comprado pela Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e apresentado no Palazzo Fabroni na exposição 1910-2010: un secolo d’arte a Pistoia curado por Lara Vinca Masini. Trabalha em vários espetáculos de teatro e suas esculturas viram elementos dramaturgicos na Conversazione con la pietra, peça criada em colaboração com o ator e músico Piero Corso e com a atriz Tania Garribba (Festival Via Cava, Roselle 2007). Em 2007 começa a colaboração com a Galleria Il Ponte de Florença, que hoje representa o seu trabalho na Italia, apresentando-o em várias Feiras Internacionais de Arte Contemporânea. Entre 2008 e 2010, com o apoio e incentivo do curador Enrico Pedrini, apresenta a sua exposição individual Metato na Galleria Il Ponte em Florença; na Galerie Depardieu em Nice na França; na Galleria Entropyart/In/Progress em Napoli e noTeatro Sala Umberto em Roma. Em Florença colabora com o C.C.C.S. Strozzina através do projeto Open Studios 2009 (Toscana In Contemporanea) em colaboração com o Centro d’ Arte Luigi Pecci de Prato e através de palestras para as Universidades Americanas de Florença. Em 2010 transfere-se para California e começa trabalhar com Fu Xin Gallery de Shanghai e seu trabalho é mostrado pela primeira vez em Los Angeles. Entre 2010 e 2011 desenvolve o projeto Urban Jackalope que, através do Spazio F_AIR de Firenze e FUA (Florence University of America) e curadoria de Lucia Giardino, envolve músicos e jovens escritores. Em 2011 vira membro da Comunidade Artistica O.C.C.C.A. (Orange County Center for Contemporary Art) em Santa Ana onde participa no projeto international de Arte Relacional Ufora, convidada como “artista luminare”. Em 2012 participa na Residencia Artistica de Raid Project em Los Angeles onde desenvolve o projeto Metropolitan Legend e o expõe na LA Artcore. Durante dois anos nos Estados Unidos ela mostra o seu trabalho em diversas exposições coletivas na California (Los Angeles, Santa Monica, Torrance, Irvine, Santa Ana) e o seu trabalho é selecionado para participar de várias Bienais: Bienal Giovani Monza, com a curadoria de Franziska Nori; 54° Esposizione d’arte Internazionale la Biennale di Venezia – Lo stato dell’arte, Padiglione Accademie na Bienal de Veneza; MexiCali Biennial no Vincent Price Museum e Sur Biennal no TAM (Torrance Art Museum) em Los Angeles. Em 2012 Zoè Gruni transfere-se para o Brasil. Morando no Rio de Janeiro ela começa estudar a cultura brasileira e refletindo sobre o tema do Nomadismo desenvolve o video La Mérica em colaboração com a operadora video Lyana Peck, este trabalho é apresentado na Embaixada Italiana em Brasilia. Em 2013 partecipa no Projeto Identidade onde o Estudio Movel (programa de arte e cultura da TV Brasil) a convida para uma entrevista. Durante o mesmo ano faz Residência Artistica na FAAP de São Paulo onde desenvolve o Projeto Boitatá. O projeto multimídia inclue uma performance sonora feita em colaboração com o grupo de músicos experimentais Tek Tek Gerbelier & João Deogracias e a dançarina euritmica Marcia Ferreira com os quais realiza uma apresentação na Kunsthalle São Paulo. Posteriormente a Galeria Progetti convida Zoè Gruni a mostrar o Projeto Boitatá em uma exposição individual no Rio de Janeiro. Durante a exposição ela começa uma colaboração com os artistas Bernardo Damasceno e Xico Chaves com os quais realiza o evento Palavrório, um debate aberto entre antropologia e politica através da arte. Em 2014 o trabalho dela é selecionado pelo Prêmio Artistico Fondazione VAF, XI edizione – Posizioni attuali dell’arte italiana na Alemanha e a Galleria Il Ponte a convida para realizar a exposição intitulada Le Americhe, acompanhada de um livro sobre a obra da artista, sintetizando dez anos de atividade artística com os textos de Franziska Nori e Xico Chaves.

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MOSTRE PERSONALI / SOLO SHOWS / EXPOSIÇÕES INDIVIDUAIS 2014 - Premio Artistico Fondazione VAF - XI edizione, Posizioni attuali dell’arte italiana. Schaufler Foundation Schauwerk Sindelfingen; Stadtgalerie Kiel (Germania). A cura di Volker W. Feierabend, Lorand Hegyi, Silvia Holler, Peter Weiermair, Klaus Wolbert. - Le Americhe, Galleria Il Ponte, Firenze. A cura di Andrea Alibrandi. Catalogo: Franziska Nori e Xico Chaves, Zoè Gruni. 2004-2014. Mitopoiesi, Edizioni Il Ponte, Firenze 2013 - Boitatà, Galeria Progetti, Rio de Janeiro (Brasile). A cura di Paola Colacurcio. - Projeto Boitatà, Kunsthalle, San Paolo (Brasile). A cura di Marina Coelho. - La Mérica, Sensus, Firenze. A cura di Claudio Cosma. 2012 - Malocchio, MIAfair, Milano. A cura di Andrea Alibrandi. 2011 - Metacorpo, Teatro Sala Umberto, Roma. A cura di Giuseppe Napolitano ed Enrico Pedrini. - Urban Jackalope, F_AIR, Firenze. A cura di Lucia Giardino. 2009 - Antonio Catalano - Zoè Gruni, Centro Culturale il Funaro, Pistoia. - Metato Metacorpo, Galleria Il Ponte, Flirenze. A cura di Andrea Alibrandi and Enrico Pedrini. - Lì c’è la paura, Biblioteca Fabroniana, Pistoia. - Metato, Entropyart/in/progress (Philomarino Arte Contemporanea), Napoli. A cura di Enrico Pedrini. 2008 - Metato, Galerie Depardieu, Nizza (Francia). A cura di Enrico Pedrini. - Zoè Gruni - Andrea Lunari, Accademia delle Arti del Disegno, Firenze. A cura di Andrea Granchi, Giuliana Videtta e Rosella Alberti. 2004 - Balì Balle Baloo, Palazzo del Balì, Pistoia (nell’ambito di In visita giovani artisti a Pistoia). A cura di Silvia Lucchesi.

MOSTRE COLLETTIVE / GROUP SHOWS / EXPOSIÇÕES COLETIVAS 2013 - SUR Biennal, TAM (Torrance Art Museum), Torrance CA (U.S.). A cura di Robert Miller, James MacDevitt, Max Presneill. - Arte Italo Brasileira, Ambasciata Italiana, Brasilia (Brasile). A cura dell’Ambasciata Italiana, Istituto di Cultura Italiano e Consolato Italiano in Brasile. - Past Forward, Palazzo Panichi, Pietrasanta (Lucca, Italia). A cura di Alessandro Romanini. Progetto promosso da Fondazione Centro Arti Visive in collaborazione con Regione Toscana e Toscanaincontemporanea. - Open Studio 1-2, FAAP Artist In Residency, San Paolo (Brasile). - LIBRopera, Accademia Delle Arti Del Disegno, Firenze (Italia). A cura di Nilo Australi. - Identidades, Atelie da Imagem, Rio de Janeiro (Brasile). A cura di Osvaldo Carvalho. - MexiCali Biennal, Vincent Prize Art Museum, Los Angeles CA (U.S.). A cura di Ed Gomez, Luis G. Hernandez, Amy Pederson. - Snap to Grid, LACDA (Los Angeles Center for Digital Art), Los Angeles CA (U.S.). A cura di Rex Bruce.

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2012 - Culture Clash (Sinan Revell, Charlie Grosso, Zoè Gruni), LA Artcore, Los Angeles CA (U.S.). A cura di Lydia Takeshita. - ExArte. Liceo Artistico P. Petrocchi, Pistoia (Italia). A cura di Gabriello Losso. 2011 -You First – Ufora, O.C.C.C.A. (Orange County Center for Contemporary Art) Santa Ana CA. A cura di Dalibor Polivka e Rob Mintz. - Great 948, Great Park Palm Court Arts Complex, Irvine CA. - Flag Stop, South Bay Lexus, Torrance CA. A cura di Howard Fox, William Moreno, Scott Canty, Lily Siegel. - Chain Letter. Shoshana Wayne Gallery, Santa Monica - Los Angeles, CA. A cura di Christian Cummings e Doug Harvey. - 3D, O.C.C.C.A. (Orange County Center for Contemporary Art), Santa Ana CA. - 54a Esposizione d’Arte Internazionale la Biennale di Venezia – Lo Stato dell’Arte, Padiglione Accademie, Tese di San Cristoforo - Arsenale, Venezia. A cura di Vittorio Sgarbi. - Biennale Giovani, Monza, Serrone della Villa Reale, Monza. A cura di Franziska Nori, Marco Bazzini, Luca Cerizza, Yun Kyoung Kim, Stefano Questioli. 2010 - Please me fashion, fluttuazioni fra arte e moda. Palazzo Ducale, Sabbioneta (Mantova). A cura di Isabella Falbo, Roberto Roda, Ferruccio Giromini, Marcello Pecchioli. Sponsorizzata dal Centro Studi Hermes, Comune di Sabbioneta, Sabbioneta Art Festival. - Arte del XX secolo nelle collezioni delle fondazioni bancarie di Venezia e Pistoia. 1910 - 2010: un secolo d’arte a Pistoia. Opere dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Palazzo Fabroni, Pistoia. A cura di Lara Vinca Masini. - Gemine Muse – Trame d’arte identità e inganni. Museo del Tessuto, Prato. A cura di Stefano Pezzato. Sponsorizzata dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. - Lateral bodies, Spazio Thetis - Arsenale Novissimo, Venezia. A cura di Boyoung Song e Ewald Stastny. - Bad Girls: good girls go to heaven, bad girls go everywhere, UnimediaModernContemporaryArt and VisionQuesT gallery, Genova. A cura di Caterina Gualco e Clelia Belgrado. 2007 - Se la fotografia è un Clic dell’anima, Galleria Giannone, Pisa. - Abitanti Ambienti - Daniela De Lorenzo, Zoè Gruni, Kinkaleri, Galleria Il Ponte, Firenze. A cura di Silvia Lucchesi. - Liberolibrodartistalibero3, Wignacourt Museum, Rabat (Malta). A cura di Emanuele De Donno. 2006 - Liberolibrodartistalibero3, Museo Archeologico Statale, Spoleto e Centro Arte contemporanea Bannata, Enna. A cura di Emanuele De Donno. - Casi giudiziari, Palazzo Pretorio, Pistoia. - Pillole contemporanee, Studi8 in farmacia, Ex-farmacia Nucci, Agliana (Pistoia). - Studi8, Zoè Gruni, Cristiano Coppi e Andrea Lunari, Studi8, Pistoia. 2005 - Rotte metropolitane, Spazio Sesv, Firenze. A cura di Lorenzo Bruni. - Aqve, Giardino delle Terme, San Giuliano Terme (Pisa). - Artinformazione2news, Castello di Malgrate, Villa Franca (Aulla). - Humus, Gianna Scoino - Zoè Gruni, Cella d’arte di Villa Pichi Sermolli, Buggiano Castello (Montecatini). A cura di Giuliana Videtta. 2004 - Dal luogo al simbolo, Ex-farmacia Nucci, Agliana (Pistoia). - Fucine Tillanza, Cantieri Ex-Breda, Pistoia.

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2003 - Vigna degli artisti, Palazzina Uzielli, Vinci. A cura di Laura Vecere. - Networking. Workshop con l’artista Bert Theis, Monsummano Terme. - Networking city. Officina Giovani-Cantieri Culturali Ex-Macelli, Prato. A cura di Marco Scotini. - Contested space, Spazio Alcatraz ex Stazione Leopolda, Firenze. A cura di Marco Scotini. 2002 - Opus Liber, Museo Virgiliano, Mantova; Chiesetta dell’Angelo, Bassano del Grappa; Accademia delle Arti del Disegno, Firenze and Museo di Arte Moderna, Roma.

FIERE INTERNAZIONALI / INTERNATIONAL ART FAIRS / FEIRAS INTERNACIONAIS 2013 - Armory Show, New York (U.S.) (Galleria Il Ponte, Firenze). 2012 - MIAfair, Milan (Galleria Il Ponte, Firenze). - LA Art Show, Los Angeles (Fu Xin Gallery, Shanghai). - Art Miami, Miami (Fu Xin Gallery, Shanghai). 2011 - Miafair, Milan (Galleria Il Ponte, Firenze). - ArteFiera ArtFirst, Bologna (Galleria Il Ponte, Firenze). - LA Art Show, Los Angeles (Fu Xin Gallery, Shanghai). 2010 - ArteFiera Bologna (Galleria Il Ponte, Firenze). 2009 - ArteFiera Bologna (Galleria Il Ponte, Firenze) 2008 - ArteFiera Bologna (Galleria il Ponte, Firenze) con la performance Carmen. - Miart Art Fair Milano (Galleria il Ponte, Firenze). 2007 - MiArt Art Fair Milano (Galleria Il Ponte, Firenze).

PROGETTI / PROJECTS / PROJETOS 2013 - Projeto Boitatà (sonorizzazione di Tek Tek Gerbelier e Spitz; danza euritmica di Marcia Ferreira - San Paolo, Brasile). 2012 - Gli specchi delle ombre – incontro con Piero Buscioni e Zoè Gruni. ViBanca, Pontelungo, Pistoia. A cura di Domenico Asmone, Siliano Simoncini, Maurizio Tuci. 2011 - Urban Jackalope Project (sonorizzazione di Jimmy Gelli; progetti di scrittura creativa di Elisa Biagini e studenti del FUA, Firenze)

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2009 - Open Sudios. Firenze Prato Pistoia. Visita a uno Studio d’Artista. A cura del Centro di Cultura Contemporanea Strozzina – Firenze, nell’ambito di Toscanaincontemporanea 2009, progetto sponsorizzato dalla Regione Toscana. - Project by Fred Forest, Biennale/3000, San Paolo (Brasile). 2008 - T(h)rees, installazione permanente. Palazzo Achilli - Ecomuseo di Gavinana, Pistoia. - Meditazione/mediazione, performance di Daniel Rothbart. Galleria Il Ponte, Firenze. A cura di Enrico Pedrini. - Pietre, performance. Museo Marino Marini - Pistoia, nell’ambito del progetto Il mito della Grande Madre, sulle tracce della Dea. 2007 - Conversazione con la pietra, performance. Via Cava Festival – Parco di Pietra, Roselle (Grosseto). 2006 - Confidenze dell’arte, Giuseppe Gavazzi/ Zoè Gruni. Visita a uno Studio d’Artista. Studio Gavazzi and Studi8, Pistoia. A cura di Silvia Lucchesi. 2004 - Migrazione, performance. Stazione Leopolda – Firenze, nell’ambito della mostra Excess. 2003 - Scenografia per lo spettacolo 11 Settembre. Teatro Everest, Firenze.

VIDEOART FESTIVALS 2012 - Façade Video Festival, Plovdiv (Bulgaria). A cura di Art Today Association Center for Contemporary Art. 2010 - The Scientist videoarte – Video digital Art. IV edizione Festival Internazionale di videoarte. A cura di Vitaliano Teti, Filippo Landini e Associazione Culturale Ferrara Video&Arte. Sala Estense, Ferrara. 2009 - Festival de Videoperformance de Marseille. A cura di Associazione Culturale Polyforme, Marseille (France). - Don’t talk to the driver (please)- FISHes. International Video Art in FolkUs Festival, Londra. A cura di Anna Babini. - Video d’artista. Kino d’Essai, Livorno. 2008 -Visioni del mondo dell’arte, Studio 149, Cascina. 2007 - Tra arte e cinema. Cinema Alfieri, Firenze. A cura di Andrea Granchi e Silvia Lucchesi.

PREMI / AWARDS / PRÊMIOS 2012 - DE.MO. / Movin’Up 2012. A cura di Ministry of Heritage and Culture and GAI (Association for the Circuit of Young Italian Artists).

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2008 - Art Award Excellent students. Accademia delle Arti del Disegno, Firenze. Selected by Carlo Sisi, Pierluigi Tazzi. 2004 - Premio Pietro Parigi, Graphic Award, Firenze. 2002 - First Prize Tracce in movimento, Pistoia.

RESIDENZE ARTISTICHE / RESIDENCIES / RESIDÊNCIAS ARTÍSTICAS 2013 - Residencia Artistica FAAP, San Paolo (Brazil). 2011 - AIR in Raid Projects, Brewery Complex, Los Angeles CA.

LIBRI E CATALOGHI / BOOKS AND CATALOGS / LIVROS E CATÁLOGOS 2014 F. Nori, X. Chaves, Zoè Gruni. 2004-2014. Mitopoiesi, Edizioni Il Ponte, Firenze, 2014. 2012 N. Australi, LIBRopera, Accademia Delle Arti Del Disegno, Firenze, 2011. D. Polivka, R. Mintz, You First, Ufora Fest, S.Ana, 2011 L. Giardino, P. Gaglianò, Urban Jackalope Project, F_AIR, Firenze, 2011. F. Nori, M. Bazzini, L. Cerizza, Y. Kyoung Kim, S. Questioli, Biennale Giovani, Monza. Silvana Editoriale, Milano, 2011. 2010 I. Falbo, R. Roda, F. Giromini, M. Pecchioli, Please me fashion, fluttuazioni fra arte e moda. Ed. Sometti, Mantova 2010. L. Vinca Masini, Arte del XX secolo nelle collezioni delle fondazioni bancarie di Venezia e Pistoia. 1910 2010: un secolo d’arte a Pistoia. Opere dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. Edizioni Gli Ori - editori contemporanei, Pistoia, 2010. S. Pezzato, Gemine Muse, ed. Gai, Torino 2010. 2009 C. Gualco, C. Belgrado, Bad girls, ed. Essegraph, Genova, 2009. 2008 E. Pedrini, Metato, Edizioni Il Ponte, Firenze, 2008. R. Alberti, A. Granchi, G. Videtta, Studenti eccellenti Zoè Gruni Andrea Lunardi, ed. Il Sedicesimo, Firenze, 2008. 2007 S. Lucchesi, Abitanti Ambienti, Edizioni Il Ponte, Firenze 2007 E. De Donno, Librodartistalibero, Spoleto 2007. 2006 A. Agostini, S. Simoncini, Confidenze dell’arte, Pistoia, 2006. L. Bruni, Rotte Metropolitane, Maschietto editore, Firenze, 2006.

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2004 S. Lucchesi, In visita, Pistoia, 2004. 2003 L. Vecere, Vigna degli artisti, Vinci, 2003 M. Scotini, Networking, Artout - Maschietto editore, Firenze, 2003. 2002 P. Tessari, A. Grazzi, Opus Liber, Mantova, 2002.

RECENSIONI / REVIEW / ARTIGOS-ENTREVISTAS 2013 Le vite illustri - Zoè Gruni, (storia di A. Raveggi) “Mood” Thesis Contents & GoWare, Italia, 2013. Pick of the day: Francesca Woodman and Zoè Gruni, (testo a cura di Stasya Chyzhykova) “Artsy” 2013. Q+A with artist Zoè Gruni, Brasile, “Do Easy Art” Los Angeles (U.S.), 2013. Le vite illustri – Zoè Gruni, (storia di Alessandro Raveggi) “La Repubblica” ed. Toscana, Italia, 2013. Il senso di Zoè Gruni per il Brasile, (testo a cura di Matteo Innocenti) “Artribune” Italia, 2013. Zoè Gruni da Rio de Janeiro a Firenze, una prima assoluta a Sensus aspettando di approdare alla FAAP di San Paolo, “Exibart” Italia, 2013. 2012 Artisti Toscani nuovi e nuovissimi, “ARTE” Editoriale Giorgio Mondadori, Italia 2012. Presenze ineffabili: lavori di artiste nella mia collezione (A cura di Claudio Cosma) in “Cultura Commestibile” Firenze, 2012. Artist Zoè Gruni Presents at Venezia Biennale (A cura di FUA Firenze), 2012. 2011 Zoè Gruni - Urban Jackalope (A cura di Serena Bedini) in “OVO”, Firenze, 2011. Le petit interview intempestif de Zoè Gruni (A cura di Jean-Paul Gavard-Perret) in “Arts-up” 2011. 2010 Intervista di Carlo Marcucci a Zoè Gruni (A cura di Rossella Tesi) in “OVO” Firenze, 2010. I nuovi talenti: E. Becheri, F. Carone, M. Moscardini, G. Ozzola, Z. Gruni (A cura di Mara Amorevoli) in “La Repubblica”, Firenze, 2010. Body, fear and exorcism, the art of Zoè Gruni (A cura di Francesca Matteoni) in “Nazione Indiana”, Firenze, 2010. Pistoia contemporary with Zoè Gruni (A cura di Linda Meoni) in “Pistoialife” Pistoia, 2010. 2009 Zoè Gruni (A cura di Dino Incardi) in “Artext” Firenze, 2009. Zoè Gruni (A cura di Daniela Crespi) in “Exibart” Firenze, 2009. 2008 Zoè Gruni (A cura di T. Jan) in “PerformArts” Nizza, 2008. Zoè Gruni (A cura di C. Parasote) in “Strada” Nizza, 2008. Zoè Gruni: paradis perdus et retrouvés (A cura di Jean-Paul Gavard-Perret) in “Trois faces du nom” Nizza, 2008.

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INDICE DELLE TAVOLE / PLATE INDEX / ÍNDICE DAS IMAGENS 1. Migrazione, 2004 Ex Stazione Leopolda, Firenze Documentazione video: Luca Privitera Documentazione fotografica: Stefano Orlandini Partecipazioni: Barbara Franzò, Joaquim Wolter, Sandra Sebastiani, Doriana Chiti, Angelina Fiorentino, Arianna Gruni Ringraziamenti: Fabrizio Gruni 2. Ureo, 2006 Riprese video: Joaquim Wolter Montaggio video: Cristiano Coppi 3. Conversazione con la pietra, 2007 Parco di Pietra, Roselle, in occasione del Festival Via Cava (Grosseto) Progetto realizzato in collaborazione con l’attore e musicista Piero Corso e l’attrice Tania Garribba; con il sostegno di Teatro Studio Blu, Centro Culturale Il Funaro di Pistoia Testi: Wislawa Szymborska, Leonard Cohen Musiche: Piero Corso Documentazione video: Rachele Salvioli Documentazione fotografica: Daniel Gustavo Pacheco Ringraziamenti: Fabrizio Gruni 4. Siren-enis, 2005 Riprese video: Joaquim Wolter Montaggio video: Cristiano Coppi Partecipazioni: Chiara Bonfanti, Cristina Stilli 5. Carmen, 2007 Tratto dallo spettacolo Conversazione con la pietra (n. 3) Musica: Adieu di Giovanna Marini 6-11. Senza titolo, 2004-2007 Foto: Torquato Perissi 12-21. Metato: Copricapo - Copricorpo, 2004-2008 dieci delle tredici stampe lambda su alluminio, 150×98 cm, che rappresentano il corpus del Metato Foto: Torquato Perissi Partecipazioni: Nico Maraviglia, Ruggero Arrighi, Teresio Arrighi, Francesca, Alice Rustici, Viviana Mosi, Doriana Chiti, Fabrizio Gruni Ringraziamenti: Andrea Alibrandi, Enrico Pedrini, Scuola Elementare Galileo Galilei di Pistoia, Teatro Manzoni di Pistoia, Fabrizio Gruni, Antonio Ginetti, Tommaso Del Rosso, Beatrice Porta Produzione: Galleria Il Ponte, Firenze (tre esemplari, 1/3) 22-26. Scalp, 2009 Foto: Daniel Gustavo Pacheco Foto installazione: Carlo Chiavacci 27-28. Cannibal, 2009 Accademia delle Arti del Disegno, Firenze Foto: Torquato Perissi Ringraziamenti: Delio Gruni, Fabrizio Gruni

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29-32. Metapotere, 2009 Foto: Carlo Chiavacci 33-35. Metacorpo, 2009 Riprese e montaggio video: Cristiano Coppi Foto: Cristiano Coppi Ringraziamenti: Delio Gruni, Tommaso Del Rosso Produzione video: Galleria Il Ponte, Firenze (cinque esemplari, 1/5) 36-41. Malocchio, Los Angeles, 2010 Foto: Torquato Perissi 42-47. Malocchio, Vaticano, 2011 Foto: Torquato Perissi 48-64. Urban Jackalope Project, 2010-2011 Venice Beach – Downtown L.A. - Hollywood Partecipazioni: Tommaso Del Rosso Testi: Emily Da Silva, Lauren Paterson, Sarah Volpintesta, Gerace Evelyn, Jenna Slater, Kyle Giroux; con il coordinamento di Elisa Biagini Suono: Jimmy Gelli Ringraziamenti: Lucia Giardino, FUA Firenze, F_AIR Florence, Pietro Gaglianò 65-82. Metropolitan Legend: Cryptid 1/5, 2011 Los Angeles – Orange County Foto: Torquato Perissi Ringraziamenti: Tommaso Del Rosso, RAID Project Artist In Residency Los Angeles 83-84. La Mérica, 2012 Rio de Janeiro Riprese e montaggio video: Lyana Peck Musica: Caterina Bueno Ringraziamenti: Parque Lage Rio de Janeiro, Doriana Chiti, Bernardo Damasceno Produzione video: Galleria Il Ponte, Firenze (cinque esemplari, 1/5) 85-99. Projeto Boitatà, 2012-2013 Rio de Janeiro – Sao Paulo Riprese e montaggio video: Lyana Peck Suono: Tek Tek Gerbelier e Joao Deogracias Performance: Marcia Ferreira Foto: Lyana Peck, Torquato Perissi Ringraziamenti: Alejandro Quinioa, Residencia Artistica FAAP Sao Paulo, Movin’Up GAI, Kunsthalle Sao Paulo, Marina Coelho, Ernesto Klar, Jose Carlos Costa, Galeria Progetti Rio de Janeiro, Paola Colacurcio, Bernardo Damasceno, Xico Chaves, Antonio Carlos Harres (Bola), Alice Damasceno Produzione video: Galleria Il Ponte, Firenze (cinque esemplari, 1/5)

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Questo volume a cura di Andrea Alibrandi è stato stampato dalla Tipografia Bandecchi & Vivaldi di Pontedera, per i tipi delle Edizioni Il Ponte Firenze Firenze, febbraio 2014




Xico Chaves è artista visivo, poeta contemporaneo e articolatore culturale. Laureato in arti e scienza della comunicazione è “notorio saber” in arti visive all’Università di Brasilia, vive a Rio de Janeiro dove sviluppa il suo lavoro multimediale che incorpora diversi linguaggi artistici. Dal 1970 partecipa a movimenti contemporanei, sviluppa ricerche nel campo dell’arte sperimentale, dell’espressione popolare, partecipa ad esposizioni, pubblicazioni, progetti artistici e culturali. Attualmente è Direttore del Centro di Arti Visive della Fondazione Nazionale delle Arti del Ministero di Cultura del Brasile.

2004-2014 MITOPOIESI

X. CHAVES

ZOÈ GRUNI 2004-2014 MITOPOIESI

ZOÈ GRUNI

Catalogo pubblicato in occasione della mostra

F. NORI

Franziska Nori è direttore del Centro di Cultura Contemporanea Strozzina (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze). Dal marzo 2007 è responsabile per il programma artistico del centro di cui è stata curatrice di mostre tra cui Territori instabili, Un’idea di bellezza (2013), Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea (2012), Declining Democracy (2011), Gerhard Richter e la dissolvenza dell’immagine nell’arte contemporanea, Arte, prezzo e valore (2008), Sistemi emotivi (2007) e delle installazioni site specific nel Cortile di Palazzo Strozzi, realizzate da artisti come Michelangelo Pistoletto, Yves Netzhammer e Loris Cecchini. Dal 2000 al 2003 ha diretto il dipartimento di arti digitali “digitalcraft” presso il Museo di Arti Applicate di Francoforte (MAK) realizzando la prima collezione museale dedicata a manufatti digitali e curando mostre dedicate a temi della cultura digitale. Si è laureata in antropologia culturale, letterature romanze e storia dell’arte presso l’Università Johan Wolfgang Goethe di Francoforte. Dal 1994 ha curato mostre d’arte moderna e contemporanea come curatrice indipendente per instituzioni tra cui la Schirn Kunsthalle di Francoforte, il Museum für Moderne Kunst di Vienna e il Museo Nacional Reina Sofia di Madrid.

ZOÈ GRUNI Le Americhe a cura di

Andrea Alibrandi

EDIZIONI IL PONTE FIRENZE

GALLERIA IL PONTE FIRENZE 7 febbraio - 18 aprile 2014


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