Opere da leggere poesie da guardare

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Si ringraziano Gianna Bennati, Paolo Calosi, Nina Hsu e Alberto Bemer per la loro preziosa collaborazione.

Ufficio stampa / Press office Susanna Fabiani Crediti Fotografici / Credits Torquato Perissi Redazione editoriale / Editorial team Federica Del Re Traduzione in inglese / English traslation Karen Whittle Grafica / Page setting and graphics Alessio Marolda Impianti e stampa / Plates and printing Litografia IP, Firenze


Eugenio Miccini

opere da leggere, poesie da guardare.



Nicola Nuti

Opere da leggere, poesie da guardare. Un ritaglio di giornale, un’immagine. Caratteri tipografici, una frase scritta punto e a capo, le lettere della macchina da scrivere, oggetti, fotografie, cartoline. Questi i materiali della Poesia visiva, genericamente Poesia Tecnologica, portata avanti, nell’Italia degli anni Sessanta da vari gruppi di artisti, tra cui quello fiorentino con Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci, Ketty La Rocca, Luciano Ori, Roberto Malquori e, poco più tardi, il fluxer Giuseppe Chiari che all’epoca aveva sintomaticamente intitolato una sua opera Teatrino e allestito lo spettacolo Poesia e no insieme a Pignotti e Miccini. La crescita economica italiana, la Pop Art americana, lo sviluppo enorme del settore pubblicitario: diventa affollata l’imagerie a cui gli artisti potevano attingere per arrovesciare il senso della comunicazione, e per, come affermava Pignotti, “respingere la merce al mittente”. Che fosse la Poesia visiva di Firenze o di Napoli (con Luciano Caruso e, dalla Sicilia, Emilio Isgrò), questo movimento, come il New Dada, pare l’ideale e aggiornata prosecuzione del Lettrisme di Isidore Isou e ben si inserisce nel clima della “crisi semantica” dell’arte che percorreva l’Europa tra gli anni Sessanta e Settanta, tanto da coinvolgere, in una specie di chiamata a raccolta, molti pittori che contribuirono a livello di scrittura con interventi che esulavano dal loro “consueto” ambiente creativo, come Antonio Bueno, Gianfranco Baruchello, Mimmo Rotella, Claudio Parmiggiani. Quindi il segno, la parola, le immagini e gli slogan pubblicitari vengono riutilizzati con visione critica e ricontestualizzati in un diverso messaggio: opere da leggere, poesie da guardare. In sostanza attraverso la Poesia visiva si vuole contrastare, sul suo stesso campo, il linguaggio destrutturato e alienante della pubblicità. Con Eugenio Miccini il metodo espressivo risulta una sorta di “bricolage” che per capacità di


commistione utilizza nella composizione gli elementi-segni più disparati. Lo spaesamento dal loro contesto più abituale (e disciplinare) ne propone un alone di ambivalenza o, se vogliamo, di ambiguità che si definisce nel momento di incontro con gli altri segni. L’artista, che aveva approfondito studi sulla teoria della comunicazione, intuiva i mutamenti del linguaggio e adeguava propri mezzi per trasformare i mass media in mass cultura. Il suo scavare le radici classiche, che conosceva bene, lo aveva portato a una creativa contaminazione dei codici, abbracciando i diversi elementi in un unico contesto. Per questo, in certe opere non di rado si rasenta l’effetto surreale: anche nella finzione di uno spazio prospettico, come negli Ex Libris, gioca la replica di elementi oggettuali trasformando cose in icone. Ex libris quale scenario di cose da ricordare, o dimenticare, dove la conoscenza diventa solo un reperto da custodire. Questo è il mondo di Miccini, che nasce dall’incontro di una scaltra tecnica artigianale e di una fantasia evocatrice di universi improbabili, ma analogicamente possibili: opere dove la parola assume valore d’immagine e gli elementi alfabetici diventano simboli, a volte con significato linguistico, oppure di mero segno grafico. Quando le immagini sono inserite da Miccini nella struttura di un “racconto”, in un diverso corpo di relazioni, il loro valore simbolico viene in pratica riqualificato. Anche l’ironia che ha presieduto alla formazione di quelle immagini è riattivata e la forma del simbolo viene ricondotta alle origini. È perciò evidente un aspetto ludico, che però è illusorio, nel senso che promette un gioco che non c’è; o meglio, il gioco è solo apparente, ma in realtà il piano ludico viene ribaltato e si sposta sul terreno dell’ironia, dell’autocritica, della satira, tutte forme indirette di critica sopra l’apparenza dello strumento giocoso. Alla fine l’artista è una sorta di colto e raffinato bricoleur che rappresenta l’atteggiamento originario dell’ uomo di fronte al mondo, sia nelle radici pratiche del suo agire, sia nelle radici intellettuali. Come, del resto, affermava Lévi Strauss, “La poetica del bricolage nasce anche e soprattutto dal fatto che questo ‘parla’ attraverso le cose: esse raccontano, per via delle scelte che vengono operate tra un certo numero di possibilità, il carattere e la vita dell’autore”. L’ opera di Miccini è dunque un teatro della memoria, memoria collettiva vista nelle scorie della comunicazione dove si mescolano linguaggio alto e basso, elementi impoetici e classicismo. Quando un’immagine appare integra sull’orizzonte frammentato delle cose, questa diventa un feticcio recuperato dal mare della quotidianità. Tutta questa operazione appare libera da ogni carica emotiva che non sia una drammatica ironia derivante da un termine, una frase, una figura trasposta in un altro “paesaggio”: un processo di demistificazione che ancora oggi potrebbe alludere a nuove forme poetico-visive, o se non altro a una rinnovata presa di coscienza di certi aspetti della nostra esistenza di cui siamo succubi. Firenze, Febbraio 2019


Nicola Nuti

Reading Art, observing Poems. A newspaper cutting, an image. Typed script, a solitary sentence, the letters on a typewriter, objects, photographs, postcards. These are the materials of Visual Poetry, generically known as Technological Poetry, a current fostered in the 1960s by various groups of artists in Italy. In Florence these artists counted Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci, Ketty La Rocca, Luciano Ori, Roberto Malquori and, a bit later, fluxer Giuseppe Chiari, who, at the time, had tellingly entitled a work Teatrino and put on the Poesia e no performance together with Pignotti and Miccini. The Italian economic boom, American Pop Art, the enormous growth of the advertising sector: artists could now draw from what was becoming an immense set of images to turn the sense of the communication on its head, and, as Pignotti claimed, “return the goods to the sender”. Whether it was Visual Poetry in Florence or Naples (with Luciano Caruso and, from Sicily, Emilio Isgrò), this movement, like New Dada, appeared the ideal and very much topical continuation of Isidore Isou’s Lettrisme as well as fitting perfectly into the climate of “semantic crisis” that was pervading art in Europe in the 1960s and 70s, so much so as to involve, club together somehow, many painters such as Antonio Bueno, Gianfranco Baruchello, Mimmo Rotella and Claudio Parmiggiani, who contributed with written interventions that strayed from their “usual” creative ambient. So, signs, words, images and advertising slogans are reused with a critical eye and recontextualized in a different message becoming art to be read, poems to be observed. In short, the aim of Visual Poetry was to oppose the destructured and alienating language of advertising in its own field of play. Eugenio Miccini’s method of expression resulted in a sort of “bricolage”, ably bringing


together the most disparate elements/signs. Taken out of their more usual (and disciplinary) context, they acquire an aura of ambivalence, or, if we like, ambiguity, upon encountering the other signs. The artist, who had studied communication theory, sensed the changes in the language and adapted his means to transform mass media into mass culture. Familiar with their classical roots, he dug them out, which led to a creative contamination of the codes, incorporating the different elements into a single context. Hence, it was not rare for certain works of his to verge on a surreal effect: even when faking a perspective space, like in his Ex Libris assemblages, he plays the replicated objectual element card, transforming things into icons. Ex libris becomes a setting for things to remember, or to forget, knowledge just a relic to preserve. This is the world of Miccini, where a clever craft technique and a fantasy that conjures up improbable, but analogically possible universes come together in works where the word becomes image, and alphabetic elements symbols, at times with a linguistic meaning, or as a mere graphic mark. When Miccini slots images into the structure of a “tale”, a different body of relations, in practise they acquire a whole new symbolic value. The irony that went into forming the images is also reactivated and the form of the symbol is traced back to its origins. Hence, his work exudes a playful element. However, it is just an illusion, in the sense that it promises a playfulness that is not there, or rather, it is just apparent. In reality, the level of play is overturned and shifted to the terrain of irony, selfcriticism, satire, all in indirect criticism of the tool of apparent playfulness. In the end the artist is a sort of learned and refined bricoleur who represents humankind’s original both practical and intellectual attitude and action towards the world. Besides, as Lévi Strauss asserted, the bricoleur “‘speaks’ not only with things […] but also through the medium of things: giving an account of his personality and life by the choices he makes between the limited possibilities”. Miccini’s work is therefore a theatre of the memory, collective memory seen in the cast-offs of communication, in a mixture of high- and low-level language, unpoetical elements and classicism. When an image appears in tact on the fragmented horizon of things, it becomes a fetish plucked from the sea of everyday life. This whole operation appears free from all emotional charge except the dramatic irony deriving from a term, a sentence, a figure transposed into another “landscape”. Still today, this process of demystification could allude to new poetic-visual forms, or, if nothing else, could give us a renewed awareness of certain enslaving aspects of our existence. Florence, February 2019


L’arte, dunque, è una pratica della coscienza e la coscienza di una pratica che si estraniano dal mondo, che vi si allontanano per meglio osservarlo e solo, in tal modo negandolo, lo costituiscono.




L’Uomo,1963 collage 40x30 cm



Un amore difficile, 1963 collage 35x50 cm



Ăˆ di moda il balletto, 1963 collage 50x60 cm



El cielo, 1963 collage 30x40 cm



La poesia visiva, 1964 collage 60x50 cm



Il male oscuro, 1964 collage 50x50 cm



Il cuore chiama ancora, 1964 collage 45x65 cm



InfedeltĂ amica, 1967 collage 130x160 cm



Firenze una cittĂ a ferro e fuoco, 1971 tela emulsionata 73x120 cm



Ogni traccia ideologica, 1972 tela emulsionata 70x80 cm



Metamorfosi della libertĂ , 1972 tela emulsionata 120x85 cm



Eorum Rebus Studeo, 1975 fotografia a colori e lettere di ottone 50x70 cm



Ex Libris, 1977 fotografia in bianco e nero, targa e libri 50x50 cm



Ex Libris, 1978 fotografia in bianco e nero, lettere di ottone e libro 50x50 cm



Fatelo da voi, 1979 statuetta, scalpello e letraset 60x50 cm



Ex Libris, 1980 fotografia a colori, targa di ottone, libro di legno e chiodo 50x75 cm



Ex Libris, 1982 fotografia a colori, lettere di ottone e libro 70x100 cm



Ex Libris, 1982 fotografia a colori, lettere di ottone e libro 135x180 cm



Il Fuoco, 1983 fotografia a colori 70x70 cm



Panta Rei, 1983 fotografia a colori e letraset 108x108 cm



Ex Libris,1989 cassettina in legno e oggetti 40x40 cm



Ex Libris, 1989 piccola libreria, targa di ottone e libretti 40x40 cm



Ex Libris, 1989 piccola libreria, targa di ottone e libretti 33,5 x 41,5 cm






Martina Giulia Donzelli

Nota biografica

Lo so che il pianeta non è eterno. Ma questi cinque milioni di anni che gli restano da vivere saranno i poeti e gli artisti a progettarli, a migliorarne l’esistenza operando sulla coscienza degli uomini, sulla critica dei loro sistemi di persuasione e decisione, sulle comunicazioni sociali, insomma sulla cultura.

Eugenio Miccini nasce a Firenze il 23 giugno del 1925. Destinato dalla famiglia al sacerdozio, vive in collegio e in seminario, dove compie studi umanistici e incontra grande interesse per la letteratura latina e la filosofia greca. A diciotto anni abbandona il seminario a seguito di una crisi religiosa per poi arruolarsi in guerra, disertando poco dopo per entrare a far parte della resistenza partigiana. Dopo i duri anni del dopoguerra, si iscrive in Università dove continua ad alimentare i propri interessi filosofici, seguendo i corsi di Giulio Preti riguardanti Hegel, Marx, Dewey e il Neo-Positivismo ed in particolare i libri dello stesso Giulio Preti Praxis ed Empirismo, Linguaggio comune e linguaggi scientifici e Retorica e Logica saranno fondamentali per la sua formazione logico-filosofica, arrivando in seguito alla laurea in Pedagogia assieme a Lamberto Borghi. Inizia a dedicarsi alla scrittura creativa e alla saggistica, giunge nel 1961 a vincere il “Premio di Poesia della Città di Firenze” conferitogli da Mario Luzi. Inizia così un periodo di intensa partecipazione letteraria, nel quale comincia a frequentare letterati fiorentini come Mario Luzi stesso, Piero Bigongiari, Silvio Ramat, Sergio Salvi e Lamberto Pignotti, collaborando con loro per la rivista “Quartiere” e, assieme a Pignotti, cura le rubriche “Protocolli” e “Dopotutto” all’interno della rivista “Letteratura” dove pubblica alcuni studi di semiotica applicata al


linguaggio della poesia, dell’estetica e alla metodologia critica. Nello stesso periodo inizia inoltre a frequentare letterati quali Enrico Falqui e Romano Bilenchi al caffè “Paszkowskij” e ad occuparsi della stesura dei Caffè Letterari fiorentini. Bilenchi stesso, oltre a trovargli un impiego presso la Sansoni editrice, riuscì a raccomandarlo a Elio Vittorini, che gli fece pubblicare nello stesso anno i Tre Poemetti ne “Il Menabò”, rivista che dirigeva assieme ad Italo Calvino. Inizia nel 1962 il suo percorso artistico, quando decide di abbandonare la poesia lineare, ritenendola insoddisfacente e credendo fosse necessario delineare la struttura per un nuovo tipo di poesia, che non si fermasse alla sola lettura, ma che potesse andare oltre, così da creare un nuovo tipo di linguaggio. Si trova quindi a ricercare una sorta di sovrapposizione tra codici espressivi differenti, come già era successo nei primi anni del Novecento con le corresti avanguardiste di Surrealismo, Dadaismo e Futurismo, senza però voler ripercorrere il loro stesso percorso. Infatti, partendo dal nuovo linguaggio che si stava formando nella comunicazione sociale, ovvero quello dei mass-media, le sue prime opere danno vita ad un nuovo stile linguistico, in cui parole e immagini si intrecciano, utilizzando gli strumenti espressivi della propria epoca. Fonda così nel 1963, assieme a Lamberto Pignotti, ai musicisti Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari il Gruppo ‘70, coniando il termine “Poesia Visiva”. Ha inizio quindi un periodo di grande produttività sia per quanto riguarda spettacoli e incontri, sia per mostre e pubblicazioni, a cominciare dai due convegni tenutisi a Firenze nel 1963 sul tema “Arte e comunicazione” e nel 1964 su “Arte e tecnologia”, nei quali si discuteva di interdisciplinarità e interartisticità, ovvero di quelle pratiche messe in atto nelle arti caratterizzate da operazioni mixed media, includendo negli spettacoli non solo la parte visiva, ma rendendo partecipi tutte le esperienze sensoriali aggiungendo suoni, rumori, profumi… Si tratta quindi di non accettare più le modalità usuali di fare poesia, ma di inventarne di nuove, uscendo dalle leggi dell’industria editoriale. Questo nuovo tipo di poesia comincia a farsi strada, distinguendosi per il concetto stesso di poesia dal Gruppo ’63 (cui Miccini stesso aderì), che è una poesia autoanalitica e regressiva ma ancora fortemente “linguistica”, mentre quella del Gruppo ’70 è una poesia logo-iconica e sinestetica, slegata dalla sola parola. Nel 1969 fonda a Firenze il Centro Téchne (parola derivante dal greco che sta a significare tutto ciò che aveva a che fare con quello che oggi si chiama arte e in generale con le abilità tecniche), lavorando alla rivista omonima che poneva al centro della sua ricerca la sperimentazione verbo-visiva, dove organizza incontri, mostre e spettacoli, e pubblica nel 1970 Poesie visive 1962-1970, Archivio della poesia visiva italiana ed Ex Rebus.

Giuseppe Chiari, Viva,1986. Tecnica mista su tavola cm. 130 x 145

Lucia Marcucci, In piena crisi, 1965 collage su tavola, 50x42 cm courtesy Frittelli Arte Contemporanea


Seguendo la strada tracciata dal Gruppo ’70, cominciano ad intraprendere lo stesso cammino anche altri artisti e autori, creando opere che contengano un rapporto tra le arti e le comunicazioni di massa. Seppur ancora in mancanza di un riscontro da parte della critica ufficiale: la Poesia Visiva non è né pittura né letteratura. Negli anni ’70 poi, oltre ad occuparsi dell’attività poetico-artistica, Miccini decide di impegnarsi anche nell’attività didattica: comincia a collaborare con l’Università di Firenze presso la Facoltà di Architettura come cultore delle Discipline Semiotiche, affiancando Egidio Mucci, docente di Strumenti e Tecniche della Comunicazione Visiva. Nel 1972 viene invitato alla Biennale di Venezia nella sezione “Il libro come luogo di ricerca”, a cura di Roberto Barilli e Daniela Palazzoli, cui partecipa nuovamente nel 1980, nella rassegna “Il tempo del museo”. Nel 1983 fonda, assieme ad Arias-Misson, Jules Blaine, Jean François Bory, Paul De Vree, Sarenco e Franco Verdi il Gruppo Internazionale “Logomotives”, mentre due anni più tardi, nel 1985, continua la sua attività didattica trasferendosi da Firenze a Verona, dove vive per otto anni insegnando Storia dell’Arte Contemporanea nelle Accademie di Belle Arti sia di Verona che di Ravenna. Nel 1986, oltre a prendere nuovamente parte alla Biennale di Venezia, “Arte e Scienza”, si occupa della sezione Poesia Visiva in qualità di commissario alla XI Quadriennale di Roma. Nel 1993 partecipa alla sua ultima Biennale di Venezia e ritorna a vivere a Firenze, portando avanti la propria passione per la poesia. Ha partecipato a numerose mostre internazionali: MoMA di New York, Stedelijk Museum di Amsterdam, Galleria Nazionale di Varsavia, Anversa, Valencia, Palazzo dei Diamanti di Ferrara, Palazzo Vecchio di Firenze, GAM di Torino, Hayward Gallery di Londra, Queensland Art Gallery di Brisbane, Palazzo Forti di Verona, Musei di Marsiglia, ecc. Al lavoro di Miccini sono state dedicate numerose tesi di laurea oltre che dottorati di ricerca (tra cui alla Sorbona di Parigi e all’Università di Belgrado), ed è compreso in molte antologie e libri di testo scolastici. I suoi lavori inoltre, figurano in molte collezioni pubbliche, tra cui: Museo della Pilotta di Parma, Museum of Modern Art di New York e le Gallerie Civiche di Céret, Mantova, Bologna, Valencia, Anversa, Lodz, Malo, Ghibellina, Varsavia, Perth, Tokyo, etc. Si spegne nella sua città natale, Firenze, il 19 giugno 2007.





Martina Giulia Donzelli

Biographical note

I know that the planet is not eternal. But these five million years left to live will be the poets and artists to design them, to improve their existence by working on the consciences of men, on the criticism of their systems of persuasion and decision, on social communications, in short, on culture.

Eugenio Miccini was born in Florence on 23 June 1925. Arranged by his family to enter the priesthood, he lived in the seminary, where he completed humanistic studies and developed an interest in Latin literature and Greek philosophy. At the age of eighteen he left the seminary following personal doubts about religion and enlisted in World War II, defecting the Italian army shortly thereafter to become part of the partisan resistance. After the difficult years of the post-war period, he enrolled in university where he cultivated his philosophical interests, following Giulio Preti’s courses about Hegel, Marx, Dewey and the Neopositivism. In particular, Preti’s books Praxis and Empirism, Common Language and Scientific Language and Rhetoric and Logic, would later become fundamental to his logical-philosophical formation after his degree in Pedagogy with Lamberto Borghi. After he devoted himself to creative writing and non-fiction, he won the “Poetry Award of the City of Florence” in 1961, presented by Mario Luzi. Thus begins a period of prolific literary endeavors, during which he became part of the Florentine literati joining writers such as Mario Luzi, Piero Bigongiari, Silvio Ramat, Sergio Salvi and Lamberto Pignotti, collaborating with them for the magazine Quartiere and, with Pignotti, he wrote columns for Protocolli and Dopotutto. In the magazine Letteratura, he published some semiotic studies on the


language of poetry, aesthetical and critical methodology. In the same period, he began to meet writers Enrico Falqui and Romano Bilenchi at Paszkowski Cafè for the drafting of Caffè Letterari. Besides finding him a job at the publisher Sansoni, Bilenchi, also recommended Miccini to Elio Vittorini, who helped him published I Tre Poemetti in “Il Menabò”, the magazine he directed with Italo Calvino. He began his artistic career in 1962, when he decided to abandon linear poetry, after finding it unsatisfactory. He believed it was necessary to outline the structure for a new kind of poetry that did not stop at the word, but could go further, so as to create a new kind of language. He therefore found himself looking for an overlap between different expressive codes – as the early twentieth century avant-garde branches of Surrealism, Dadaism and Futurism did – but without repeating their approach. Starting from the new language of mass media that arose in social communication, his first works gave life to a new linguistic style, in which words and images intertwine, using the expressive instruments of the era. In 1963, Miccini established, with Lamberto Pignotti and the musicians Sylvano Bussotti and Giuseppe Chiari, the “Gruppo ‘70”, and coined the term “Visual Poetry”. The Gruppo ’70 launched a period of great productivity in terms of shows and meetings, as well as exhibitions and publications, starting with the two conferences held in Florence in 1963 on “Art and communication” and in 1964 on “Art and technology”. The conferences discussed the interdisciplinary and inter-artistic practices implemented in the arts characterized by mixed media operations. They included in the shows not only the visual aspect, but combined all the sensorial experiences by implementing sounds, noises, and scents. “Visual Poetry” rejected the conventional ways of making poetry, and transcended the laws of the publishing industry. This new type of poetry began to distinguish itself for the very concept of poetry of the Gruppo ’63 (that Miccini joined), which was a self-analytic and regressive poetry but still strongly “linguistic”, in contrast that of the Gruppo ’70 was a logo-iconic and synaesthetic poem, untied by the word alone. In 1969 he founded the Centro Téchne (a word derived from Greek meaning everything that has to do with art and in general with technical skills) in Florence, and worked on its eponymous magazine, placing at its center his research on verbo-visual experimentation. In Centro Téchne he organized meetings, exhibitions and shows, and published in 1970 Poesie visive 1962-1970, Archivio della poesia visiva italiana and Ex Rebus. Inspired by the Gruppo ’70, other artists and writers began to create works that contain the relationship between arts and mass communication.

Luciano Ori, In viaggio, 1971 emulsione su tela, 70x50 cm

Lamberto Pignotti, Anarchism, 1963 collage su cartone, 43x33 cm courtesy Frittelli Arte Contemporanea


Sylvano Bussotti, Impure acts (anni ‘70) collage su tavola, 74x54 cm courtesy Galleria Clivio, Milano

In the Seventies, besides taking care of his artistic-poetic activity, Miccini decided to devote himself to teaching by collaborating with the University of Florence at the Faculty of Architecture, alongside Egidio Mucci, Professor of Visual Communication Tools and Techniques. In 1972 Miccini was invited to the Venice Biennale in the section: “The book as a place of research”, curated by Roberto Barilli and Daniela Palazzoli, and he took part in the Biennale again in 1980, in the review “The time of the museum”. In 1983 he founded, together with Arias-Misson, Jules Blaine, Jeans François Bory, Paul De Vree, Sarenco and Franco Verdi the International Group “Logomotives”. Two years later, in 1985, he moved from Florence to Verona, where he lived for eight years teaching Contemporary Art History in the Academies of Fine Arts in Verona and in Ravenna. In 1986, in addition to taking part again in the Venice Biennale, “Art and Science”, he took part in the Visual Poetry section as commissioner at the XI Quadriennale in Rome. In 1993 he participated in his last Venice Biennale and returned to live in Florence, continuing his passion for poetry. He has participated in numerous international exhibitions: MoMA in New York, Stedelijk Museum in Amsterdam, National Gallery in Warsaw, Antwerp, Valencia, Palazzo dei Diamanti in Ferrara, Palazzo Vecchio in Florence, GAM in Turin, Hayward Gallery in London, Queensland Art Gallery in Brisbane, Palazzo Forti in Verona, and the Museum of Marseille. The work of Miccini has been the subject of many theses as well as research doctorates (including the Sorbonne in Paris and the University of Belgrade), and is included in many anthologies and textbooks. His works also appear in many public collections, including: Parma Pilotta Museum, Museum of Modern Art in New York and the Civic Galleries of Céret, Mantua, Bologna, Valencia, Antwerp, Lodz, Malo, Ghibellina, Warsaw, Perth, Tokyo, etc. He died in his hometown, Florence, on June 19, 2007.




Finito di stampare nel marzo 2019 da Litografia IP, Firenze


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