Tano festa, Su carta, galleria il ponte, firenze

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TANO FESTA



TANO FESTA SU CARTA 1960-1967 a cura di

Ilaria Bernardi


TANO FESTA SU CARTA 1960-1967 a cura di

Ilaria Bernardi GALLERIA IL PONTE - FIRENZE 23 marzo - 13 aprile 2018

Tutte le opere presenti sul Catalogo sono state archiviate all’interno dell’“Archivio Generale dell’Opera di Tano Festa” a cura di Anita Festa

Ufficio stampa / Press office

Susanna Fabiani

Crediti Fotografici / Credits

Torquato Perissi

Redazione editoriale / Editorial team

Enrica Ravenni

Grafica / Page setting and graphics

Alessio Marolda

Traduzione in inglese / English Traslation

Karen Whittle

Impianti e stampa / Plates and printing

Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera (PI) ©Tano Festa by SIAE 2018.


Tano Festa su carta Ilaria Bernardi

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Tano Festa on Paper Ilaria Bernardi

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Biografia

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Biography

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TANO FESTA SU CARTA Ilaria Bernardi

Io nel getto dell’accusa mi aprirò nel sole e marmoree braccia s’apriranno sopra silenti chiostri per invocare l’angelus nel giorno del mio compleanno (Tano Festa, 19581)

Numerose mostre e pubblicazioni hanno ormai permesso di storicizzare la sperimentazione artistica italiana degli anni Sessanta, analizzandone quadri, sculture, installazioni e azioni, le poetiche che questi lavori sottendono e i maggiori eventi espositivi che li hanno promossi. Non si può affermare altrettanto per quanto concerne le opere su carta, nonostante spesso costituiscano un laboratorio parallelo e non meno significativo rispetto alle altre tipologie di produzione considerate “maggiori”. È il caso dei lavori su carta realizzati da Tano Festa tra il 1960 e il 1967 e ora esposti alla Galleria Il Ponte di Firenze. Essi svelano, più nitidamente delle sue celebri opere su tela o su legno coeve, quanto sia riduttiva l’etichetta “pop” attribuitagli fin dagli anni Sessanta in quanto esponente della cosiddetta “Scuola di Piazza del Popolo”. Il tema centrale del suo lavoro, infatti, non è il consumismo di immagini nella società di massa, ma la sfida contro la dissoluzione, che egli attua utilizzando il tempo della fotografia e soprattutto il tempo della Storia. 7


Il tempo della fotografia Nel 1957 Festa si diploma in Fotografia Artistica all’Istituto d’Arte di Roma. È probabilmente dal mezzo fotografico che mutua quella “stralunata fissità di sguardo”, quale assenza di partecipazione emotiva, percepita dal critico d’arte Cesare Vivaldi nei monocromi esposti in occasione della sua prima personale alla Galleria La Salita di Roma nel 1961. La stessa “stralunata fissità di sguardo” connota anche le opere su carta coeve dove, abbandonata la gestualità informale e l’atmosfera surrealista dei suoi lavori di fine anni Cinquanta, egli stende sul supporto omogenee campiture di rosso ritmandone la superficie con l’aggiunta di elementi cartacei imbevuti nello stesso colore (ad esempio le strisce di carta crespa nel Collage a. 13 A, 1960); un colore che non a caso ricorda la luce utilizzata nella camera oscura durante l’impressione fotografica. Nei lavori su carta del 1960-61 gli elementi applicati al foglio di supporto lo solcano orizzontalmente o più spesso verticalmente (come le strisce di nastro adesivo rosso in 15-N. 10, 1961), dividendolo in sezioni irregolari (come già facevano le strisce di carta crespa nel Collage n 1, 1960), a evocare una sorta di inquadratura fotografica. Tuttavia, dal 1961-62 il gesto dell’inquadrare si manifesta soprattutto con il disegno di un riquadro fatto di riquadri funzionali a separare aree di colori diversi (Senza titolo, 29 ottobre 1961), oppure parole differenti (Studio per Planche, 1962), altresì frammenti di una stessa riproduzione a stampa (Immagine orizzontale, 30 marzo 1963) o una presunta immagine nascosta sotto la scura pittura e gli elementi del suo titolo (Europa Planche, 7 aprile 1963). L’inquadradura si manifesta anche con il ricorso frequente al dettaglio, o meglio a uno sguardo che, come il mirino fotografico, seleziona l’intero, fissa e ne coglie una parte. L’area circoscritta dallo specchio (Specchio, 13 marzo 1963), da ogni fotogramma della pellicola cinematografica (Senza titolo, 5 ottobre 1966) e da ogni unità della scacchiera (Senza titolo, 9 settembre 1966), includono infatti solo un particolare (il volto) della figura prescelta. Per Festa l’opera su carta è perimetro, schermo, inquadratura di un dettaglio concepita come un’occlusione finanche più estrema di quella sottesa dalle Finestre, dalle Persiane e dagli Armadi chiusi da lui realizzati dal 1962. La tradizionale pittura quale finestra aperta sul 8


mondo, su carta diviene con maggior evidenza una finestra chiusa su se stessa, o meglio, un frame fotografico che con la sua fissità trasforma ciò che inquadra in cieca immagine bidimensionale, e soprattutto lo cristallizza nel tempo per garantirne l’eternità. Il tempo della Storia Sebbene la fotografia sia legata al tempo poiché, come sostiene Roland Barthes, fissa qualcosa che è stato e che non c’è più, la dimensione temporale a cui Festa è più interessato è quella della Storia. Egli concepisce l’opera quale testimonianza, prodotto e deposito della memoria culturale collettiva. “Siamo in un paese dove invece di consumare cibi in scatola consumiamo la Gioconda sui cioccolatini”2 , dichiara nel 1967 per spiegare la ragione per cui la sua ricerca si differenziava dalla pop statunitense. In realtà, l’utilizzo di immagini culturali anziché commerciali da lui intrapreso nel 1963, sembra nascondere una ragione ben più profonda: appropriarsi di elementi di opere d’arte del passato significa congelarle contro il tempo e la dissoluzione. Già un anno prima, all’inizio del 1962, aveva dimostrato di avere come suo personale “rovello” la sfida contro il tempo e la dissoluzione. Osservando la riproduzione de I coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck, racconta, “pensai con malinconia che gli Arnolfini sarebbero scomparsi molto prima del lampadario, che da tutta quella scena sarebbero stati i primi a uscire, mentre gli oggetti sarebbero rimasti ancora per lungo tempo al loro posto, testimoni muti e impassibili delle loro esistenze”3. È da questa intuizione che erano nati gli oggetti d’arredamento inutilizzabili da lui costruiti in legno ex-novo, volti a superare, alla stregua del lampadario ne I coniugi Arnolfini, la durata limitata dell’esistenza umana assumendo la dimensione metafisica e atemporale dei dipinti di Giorgio de Chirico 4. Il lavoro di Festa sottende sempre una sfida contro la morte che si fa più evidente a seguito del suicidio del fratello Francesco Lo Savio in un albergo a Marsiglia nel settembre 1963. Poco dopo, infatti, egli inizia ad indagare il tema della nascita della vita mutuando dettagli di due capolavori di Michelangelo Buonarroti che la evocano: la Creazione di Adamo nella Cappella Sistina e l’Aurora delle fiorentine tombe medicee di Giuliano e Lorenzo de’ Medici (Senza titolo, 5 ottobre 1966 e Senza titolo, 9 settembre 1966). In merito, va inoltre 9


ricordato che nel 1963, in Italia, era già stata annunciata per l’anno successivo la celebrazione del Quarto Centenario della morte di Michelangelo, tra le cui manifestazioni era prevista l’ampia Mostra critica delle opere michelangiolesche, curata da Bruno Zevi e Paolo Portoghesi al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Festa, proprio dal 1963, inizia ad appropriarsi di iconografie michelangiolesche per realizzare non solo disegni e collages, ma anche importanti quadri in cui spesso interviene a smalto sulla o attorno alla riproduzione fotografica di una figura dipinta o scolpita da Michelangelo, a volte associandola ad elementi d’immagine incongrui quali ad esempio un cielo (Particolare di figura, 1964). Le sue citazioni dalla storia dell’arte, che includono dettagli tratti da opere anche di altri maestri del passato quali Van Eyck ed Ingres, sono doppi del reale, ma attraverso l’intervento pittorico, disegnativo o a collage di Festa sembrano altre da sé, apparenze ambigue, veicoli di rivelazione della dimensione metafisica celata al di là del fisicamente visibile. Comportano cioè un’esperienza simile a quella che si ha guardando il nostro doppio allo specchio. È lo psichiatra Jacques Lacan a spiegare che la nostra immagine riflessa è ambigua e provoca disagio poiché, guardandola, ci sembra di essere osservati da una parte di noi misteriosa di cui non siamo del tutto consapevoli. Lo specchio con la sua intrinseca dimensione metafisica non poteva dunque esimersi dal divenire tema ricorrente nell’opera di Festa. Su esso si basa, in particolare, il progetto su carta de La sala degli specchi, ideato il 28 dicembre 1966 durante la sua permanenza a New York. Ciascuna delle quattro pareti di una sala avrebbe accolto alcuni dei suoi oggetti in legno inutilizzabili, ma soprattutto specchi finti e specchi veri, i quali, riflettendosi gli uni negli altri, avrebbero moltiplicato all’infinito quello spazio. Se è vero che lo specchio è elemento nodale anche ne I coniuigi Arnolfini di Van Eyck, in quel dipinto esso è funzionale a includere nella rappresentazione oggetti e soprattutto personaggi non visibili ma presenti nella scena reale dipinta, tra cui il pittore che la dipinge. Ne La sala degli specchi di Festa, invece, lo specchio ha la stessa funzione di quello descritto quattro anni dopo da Barthes: “non capta altro se non altri specchi, e questo infinito riflettere è il vuoto stesso (che, lo si sa, è la forma)”5, oppure, diremmo noi, è la vittoria della forma, o meglio dell’immagine, contro la dissoluzione. 10


A una riflessione sulla dissoluzione Festa sembra predestinato, essendo nato il 2 novembre, giorno dei morti (Il giorno dei morti è anche il titolo di un’opera su carta datata 2 novembre 1961). L’angelus, che nella poesia del 1958 qui pubblicata in epigrafe è invocato dall’artista nel giorno del suo compleanno, potrebbe quindi reinviare non solo alla preghiera cattolica sul mistero dell’Incarnazione, ma anche all’Angelus Novus descritto da Walter Benjamin, il quale, come Festa, ha le ali aperte ma lo sguardo fisso al passato, desideroso di salvare se stesso e la Storia dall’irruenta tempesta del trascorrere del tempo.

1. Si tratta di una delle 18 poesie di Tano Festa scritte tra il 1956 e il 1986, raccolte e pubblicate nel 1988 da Giorgio Franchetti sulla rivista “Nuovi Argomenti”. 2. in Tano Festa, catalogo della mostra, Galleria La Salita, Roma 1961, s.p. 3. Lettera di Tano Festa ad Arturo Schwarz, 1966. 4. L’artista trarrà anche alcuni elementi dalle opere di de Chirico (De Chirico, 9 dicembre 1996; Questa notte nello studio ho sognato il mare, 1966) tra cui il ricorrere dell’elemento iconografico della mano (Parise del 1964, Lo spessore dell’arcobaleno, Lo spessore delle nuvole, Senza titolo del 1965) che però assocerà all’immagine dell’arcobaleno, anticipando il tema del cielo che diventerà centrale poco dopo (Senza titolo, 3 maggio 1967). 5. R. Barthes, L’impero dei segni [L’empire des signes], Einaudi, Torino 1970, p. 106. 11



TANO FESTA ON PAPER Ilaria Bernardi

In the flow of accusation I will open myself in the sun and marble arms will open above silent cloisters to invoke the angelus on the day of my birthday (Tano Festa, 19581)

Numerous exhibitions and publications have enabled the historicization of artistic experimentation in Italy in the 1960s, with analysis of the pictures, sculptures, installations and performances, the poetics underlying these works and the biggest exhibitions that promoted them. The same cannot be said with regard to works on paper, even though they often form a parallel laboratory no less significant than other types of production considered to be “greater”. This is the case of the works on paper made by Tano Festa between 1960 and 1967 and now on display at Galleria Il Ponte in Florence. More clearly than his famous works on canvas or wood from the same period, these works on paper reveal that the “pop” label he was attributed in the 1960s, as an exponent of the so-called “Scuola di Piazza del Popolo”, was all too simplistic. Indeed, the central topic of his work is not consumer images in mass society, but a challenge against dissolution which he expresses using the time of photography and above all the time of history. 13


The Time of Photography Festa graduated in Artistic Photography from the Istituto d’Arte in Rome in 1957. It is probably from the photographic means that he borrowed that “dazed, staring look”, the absence of emotional participation perceived by art critic Cesare Vivaldi in the monochromes on display on occasion of his first solo show at Galleria La Salita in Rome in 1961. The same “dazed, staring look” also characterizes his works on paper from the same time. In these, having abandoned the informel gestures and surrealist atmosphere of his late-1950s works, he extended smooth fields of red on the medium, marking out the surface with the addition of paper elements soaked in the same colour (for example the strips of crepe paper in Collage a. 13 A, 1960); a red colour that is tellingly reminiscent of the light used in the dark room during photographic exposure. In his works on paper from 1960-61 the applied elements cut across the base sheet horizontally or more often vertically (like the strips of red sticky tape in 15-N. 10, 1961), dividing it into irregular sections (as the strips of crepe paper already did in Collage n 1, 1960), creating a sort of photographic frame. Nevertheless, as of 1961-62 the framing gesture was mainly performed by drawing a main frame made of smaller frames acting to separate areas of different colours (Senza titolo, 29 October 1961), or different words (Studio per Planche, 1962), otherwise fragments of the same printed reproduction (Immagine orizzontale, 30 March 1963) or a presumed image hidden under the dark paint and the elements of its title (Europa Planche, 7 April 1963). The frame is also given by the frequent use of details, or rather a gaze that, like a camera viewfinder, selects the whole picture, fixes it and captures a part. The area surrounded by the mirror (Specchio, 13 March 1963), by every frame from the film reel (Senza titolo, 5 October 1966) and by every square on the chessboard (Senza titolo, 9 September 1966), indeed only include one detail (the face) of the chosen figure. For Festa, works on paper are the perimeter, the screen, the framing of a detail seen as an obstruction, to the extreme of the closed windows, shutters and wardrobes, Finestre, Persiane and Armadi, he started to make in 1962. On paper, traditional painting – a window open onto the world – becomes all the more clearly 14


a window closed on itself, or rather, a photographic frame whose fixedness transforms what it frames into a blind two-dimensional image and above all freezes it in time to guarantee its eternal life. The Time of History Even though photography is linked to time since, as Roland Barthes maintains, it fixes something that has been and is no longer, History is the time dimension which most interests Festa. He sees artworks as the testimony, product and depository of the collective cultural memory. “We’re in a country where instead of eating tinned food we eat the Mona Lisa on chocolates,”2 he declared in 1967 to explain the reason why his research differed from US pop art. In reality, there seems to be a much deeper reason behind the use he began to make of cultural rather than commercial images in 1963: making use of elements of past works of art preserves them against time and dissolution. A year earlier, at the beginning of 1962, he had already demonstrated that his personal “vexation” was the challenge against time and dissolution. On observing the reproduction of The Arnolfini Portrait by Jan Van Eyck, he said, “I thought with melancholy that the Arnolfinis would have disappeared long before the chandelier, that out of all that scene they would be the first to leave it, while the objects would remain there for a long time, still in their place, mute and impassive testimonies of their existences.”3 It is from this intuition that the unuseable objects of furniture that he built from scratch out of wood came about. Like the chandelier in The Arnolfini Portrait, their aim was to go beyond the limited duration of human existence, taking on the metaphysical and atemporal dimension of the paintings of Giorgio de Chirico.4 Festa’s work always implied a challenge against death which became more evident following the suicide of his brother Francesco Lo Savio in a hotel in Marseilles in September 1963. Indeed, shortly afterwards he began to investigate the topic of the birth of life, borrowing details from two masterpieces evoking the topic by Michelangelo Buonarroti: the Creation of Adam in the Sistine Chapel and Dawn from the tombs of Giuliano and Lorenzo de’ Medici in Florence (Senza titolo, 5 October 1966 and Senza titolo, 9 September 1966). In this regard, it must also be remembered that in 1963, in 15


Italy, celebrations had been announced for the Four Hundredth Anniversary of the death of Michelangelo, one of the events being the large Mostra critica delle opere michelangiolesche, curated by Bruno Zevi and Paolo Portoghesi at the Palazzo delle Esposizioni in Rome. And in that same year, Festa began to make use of icons from Michelangelo’s works to create not just drawings and collages, but also important pictures in which he often used enamel on or around the photographic reproduction of a figure painted or sculpted by Michelangelo, at times associating it with unrelated images, like the sky (Particolare di figura, 1964). His quotes from the history of art, which include details taken from works of other past maestros such as Van Eyck and Ingres, are doubles of the actual works, but through the artist’s intervention – painting, drawing or collage – they seem different from themselves, ambiguous, revealing the metaphysical dimensions hidden beyond what is physically visible. That is, they create an experience similar to what happens when we look at our double in the mirror. It is the psychiatrist Jacques Lacan who explains that our reflected image is ambiguous and causes unease because, when we look at it, we feel as if we are being watched by a mysterious part of ourselves which we are not totally aware of. The mirror with its intrinsic metaphysical dimension was therefore bound to become a recurring topic in Festa’s work. In particular, it provides the basis for his project on paper, La sala degli specchi, devised on 28 December 1966 during his time in New York. Each of the four walls of a room would play host to some of his unuseable wooden objects, but above all to fake and real mirrors which would reflect each other and endlessly multiply the space. If it is true that the mirror is the crux of Van Eyck’s Arnolfini Portrait too, in that painting it serves to include objects and above all figures that are not visible but nevertheless present in the real scene portrayed in the picture, amongst which the painter who is painting it. Instead, in Festa’s La sala degli specchi the mirror serves the same purpose as what Barthes described four years later: “the mirror intercepts only other mirrors, and this infinite reflection is emptiness itself (which, as we know, is form)”,5 or, one might say, it is the victory of form, or rather the image, against dissolution. Born on 2 November, the day of the dead, Festa seems destined to make reflections on dissolution. The angelus invoked by the 16


artist on his birthday in the poem from 1958 published here in the epigraph might therefore not only refer to the Catholic prayer about the mystery of the Incarnation. It could also be the Angelus Novus described by Walter Benjamin, who, like Festa, has its wings open wide, but its gaze fixed on the past, wanting to save itself and history from the fiery storm of the passing of time.

1. This is one of the 18 poems by Tano Festa written between 1956 and 1986, collected and published in Italian in 1988 by Giorgio Franchetti in the journal “Nuovi Argomenti”. 2. In Tano Festa, exhibition catalogue, Galleria La Salita, Rome 1961, s.p. 3. Letter from Tano Festa to Arturo Schwarz, 1966. 4. The artist would also draw some elements from the works of de Chirico (De Chirico, 9 December 1996; Questa notte nello studio ho sognato il mare, 1966), amongst which his recurring hand icon (Parise from 1964, Lo spessore dell’arcobaleno, Lo spessore delle nuvole, Senza titolo from 1965) which he would however associate with the image of a rainbow, anticipating the sky topic which would become central shortly afterwards (Senza titolo, 3 May 1967). 5. R. Barthes, Empire of Signs [L’empire des signes], New York: The Noonday Press, 1989, p. 79. 17



TAVOLE / PLATES


1. Collage n 1 ‘60, 1960, collage e tecnica mista su cartoncino collage and mixed technique on paper, 70x100 cm



2. Collage a. 13 A ‘60, 1960, collage e tecnica mista su cartoncino collage and mixed technique on paper, 70x50 cm



3.15-N. 10, 1961, collage e tecnica mista su cartoncino collage and mixed technique on paper, 50x70 cm



4. Senza titolo (29 ottobre ‘61), 1961, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 70x100 cm



5. Il giorno dei morti (2 novembre 1961), 1961, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 100x70 cm



6. Studio per Planche’ 62, 1962, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 100x70 cm



7. Specchio (13 marzo 1963), 1963, collage e tecnica mista su cartoncino collage and mixed technique on paper, 50x70 cm



8. Immagine orizzontale (30 marzo 1963), 1963, collage e tecnica mista su cartoncino collage and mixed technique on paper, 50x70 cm



9. Europa Planche (7 aprile 1963), 1963 tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 50x70 cm



10. Pianoforte (11 aprile 1963), 1963, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 50x70 cm



11. Parise (novembre ‘64), 1964, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 70x100 cm



12. “Lo spessore dell’arcobaleno” (6 -1- ‘65), 1965, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 70x100 cm



13. “Lo spessore delle nuvole� (12-1-65), 1965, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 70x100 cm



14. Senza titolo (14-1-65), 1965, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 70x100 cm



15. Senza titolo (29 settembre 66), 1966, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 100x70 cm



16. Senza titolo (5 ottobre 66), 1966, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 70x100 cm



17. “De Chirico�, 89 dicembre 66, New York City), 1966, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 72,5x57 cm



18. “Questa notte nello studio ho sognato il mare� (15 dicembre 66 New York City), 1966, tecnica mista su cartoncino / mixed technique on paper, 72x57 cm



19. La sala degli specchi – Progetto (New York 28 dicembre 1966 / 166W 27St), 1966, tecnica mista su cartoncino / mixed technique on paper, 72,5x57 cm



20. Senza titolo (3 maggio 67), 1967, tecnica mista su cartoncino mixed technique on paper, 55x75 cm



21. Particolare di figura, 1964, smalti e collage su tavola enamels and collage on panel,160x96 cm




BIOGRAFIA

Tano Festa nasce a Roma nel 1938. Nel 1952 si iscrive all’Istituto d’Arte di Roma, diplomandosi nel 1957 in Fotografia Artistica con Alberto Libero Ferretti. L’anno dopo espone per la prima volta alla Mostra di Pittura per il “Premio Cinecittà”, organizzata dal Partito Comunista Italiano e nel 1959 approda alla galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani dove espone in una collettiva insieme a Franco Angeli e a Giuseppe Uncini. Nel 1960 abbandona la gestualità informale e realizza i suoi primi dipinti monocromi dove privilegia il colore rosso solcato da strisce di carta imbevute dello stesso colore, che scandiscono verticalmente la superficie del quadro. Nello stesso anno, con Angeli, Lo Savio, Schifano e Uncini, espone alla Galleria L’Appunto di Roma, poi alla Galleria Il Cancello di Bologna (con una presentazione in catalogo del poeta Emilio Villa) e alla Galleria La Salita dove Pierre Restany, nel suo testo in catalogo, situa quegli artisti tra il New Dada e il Nouveau Réalisme. Nel 1961 Festa comincia a scandire la superficie dei suoi quadri non più con la carta, ma con listelli di legno disposti verticalmente a intervalli irregolari. Sono questi i nuovi lavori che in quell’anno presenta alla sua prima mostra personale a La Salita. Al 1962 risalgono invece le Finestre, le Porte, gli Armadi, e altri oggetti del comune mobilio ricostruiti dal falegname secondo il disegno dell’artista, ma privi di cardini, maniglie, serrature, così da risultare perennemente chiusi. Tra essi, la Finestra rossa e nera è esposta in occasione della mostra La materia a Roma a La Tartaruga di Plinio De Martiis, che segna l’inizio di una lunga collaborazione con questa importante galleria romana e l’ingresso di Angeli nella cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo. Proprio a La Tartaruga Festa incontra Giorgio Franchetti che diventerà il suo più importante collezionista. Nello stesso 1962 vince una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione che gli permette di soggiornare a Parigi ed

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è invitato alla collettiva New Realists alla Sidney Janis Gallery di New York dove propone Persiana. Nei suoi lavori coevi compaiono l’Obelisco e la Lapide, mentre nel corso dell’anno successivo, nei suoi mobili chiusi appaiono le prime scritte. Dopo la morte del fratello Francesco Lo Savio avvenuta nel 1963, Festa inizia a citare nei suoi quadri capolavori di artisti del passato, soprattutto quelli di Michelangelo. L’immagine dell’opera del passato, tratta spesso da una fotografia in bianco e nero di matrice Alinari, è stampata su carta e incollata al supporto ligneo. Su essa egli interviene con lo smalto, cancellandone alcuni particolari. Nel 1965, durante il primo viaggio a New York, dove incontra Lichtenstein e Oldenburg, sperimenta la tecnica del ricalco a mano di immagini proiettate o riportate su carta velina e in alcuni dipinti compaiono le sagome di pennelli, di martelli, cacciaviti e seghe, che ricordano alcune composizioni di Jim Dine e di Jasper Johns. Parallelamente realizza la serie dei cieli, tra cui Cielo meccanico, Cielo newyorkese, Grande nuvola. Nello stesso anno è invitato alla IX Quadriennale d’Arte di Roma dove esporrà anche nel 1972 e 1986. Al 1966 risale invece l’importante antologia alla Galleria Schwarz di Milano, accompagnata da un catalogo con un testo di Maurizio Fagiolo dell’Arco, e la collettiva Cinquant’ anni Dada. 1916-1966 presso il Civico Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano a cura di Arturo Schwarz. Di nuovo a New York, nel 1967, in uno studio al Chelsea Hotel, dipinge un ciclo di opere da Michelangelo intitolate Michelangelo according to Tano Festa, mentre nel 1968 si dedica alla realizzazione di alcuni film: Lo Savio il sogno felice, Patrizia fotografare è facile, lo amo de Chirico. In molti dipinti tra il 1967 e il 1969, su uno sfondo bianco o azzurro, è tracciato, in nero o in blu, un disegno compositivo essenziale e geometrico che contiene scritte con il normografo o sagome di immagini proiettate. Nel 1970 sposa Emilia Emo Capodilista e si trasferisce nella casa di famiglia della moglie, a Pernumia, in provincia di Padova. Dalla loro unione nasceranno due figlie, Anita e Almorina. L’anno seguente presenta a La Tartaruga I quadri privati, in cui utilizza i ritratti fotografici ingranditi di alcuni dei suoi familiari, e partecipa all’importante mostra Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70, curata da Achille Bonito Oliva a Palazzo delle Esposizioni di Roma. 64


Due anni dopo si tiene la personale alla Galleria Levi di Milano, presentata da Tommaso Trini, in cui Festa espone i nuovi quadri della serie Omaggi al colore, mentre nel novembre del 1973 partecipa alla rassegna internazionale Contemporanea, curata da Achille Bonito Oliva nel Parcheggio di Villa Borghese a Roma. Nel 1976 incontra la giornalista Antonella Amendola, che da quel momento in poi gli sarà per sempre accanto. Nello stesso anno tiene alla Galleria di Gian Enzo Sperone a Roma la personale Storia familiare degli utensili, dove presenta tre installazioni e i due grandi quadri tratti dal Las Meninas di Velázquez, dipinti con lo smalto e l’anilina sulla base di una tela emulsionata. Nel 1978 è invitato alla Biennale di Venezia, dove tornerà a esporre nel 1980 e nel 1984. Nei suoi ultimi dieci anni di vita, si dedica soprattutto alla pittura ad acrilico; il ritratto sarà il soggetto più frequente e numerose saranno le mostre che documenteranno questo suo “ritorno alla pittura”, tra cui Miraggi, allo Studio Soligo di Roma, nel marzo 1981. A partire dalla fine degli anni Settanta realizza la serie dei Coriandoli, la cui tecnica consiste nell’applicazione gestuale di coriandoli su una base preparata ad acrilico, con colori squillanti (rosso, verde, blu) o con il nero. Festa muore nel 1988 e poco dopo la sua scomparsa viene inaugurata un’importante antologica, a cura di Achille Bonito Oliva, nei locali dell’ex Stabilimento Peroni, oggi Museo di Arte Contemporanea di Roma. Un altro rilevante omaggio al suo lavoro è la mostra Fratelli del 1993, curata da e curata da Maurizio Fagiolo Dall’Arco su invito di Achille Bonito Oliva e ospitata a Ca’ Pesaro nell’ambito della XLV Biennale di Venezia, dove le opere di Festa sono esposte assieme a quelle del fratello Francesco Lo Savio. L’ampio regesto del curatore, pubblicato in quell’occasione, rimane ancora oggi uno strumento indispensabile per l’esegesi dell’artista.

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BIOGRAPHY

Tano Festa was born in Rome in 1938. In 1952 he enrolled at the Istituto d’Arte di Roma, graduating in 1957 in Artistic Photography under Alberto Libero Ferretti. The following year he exhibited for the first time at the Mostra di Pittura for the “Premio Cinecittà”, organized by the Italian Communist Party in 1958 and in 1959 he appeared at Gian Tomaso Liverani’s Galleria La Salita in a group exhibition with Franco Angeli and Giuseppe Uncini. In 1960 he abandoned informel gestures and made his first monochrome paintings, preferring the colour red, cut through by strips of paper soaked in the same colour to make vertical marks on the surface of the picture. In the same year, with Angeli, Lo Savio, Schifano and Uncini, he exhibited at Galleria L’Appunto in Rome, then at Galleria Il Cancello in Bologna (with a presentation in the catalogue by the poet Emilio Villa) and at Galleria La Salita, when Pierre Restany placed the young artists between New Dada and Nouveau Réalisme in his text in the catalogue. In 1961 Festa began to replace the paper markings on the surfaces of his pictures with strips of wood arranged at irregular vertical intervals. These were the new works that he presented at his first one-man show that year at La Salita. Instead, from 1962 are the Finestre, Porte and Armadi, and other common pieces of furniture, rebuilt by a joiner following the artist’s design, but without hinges, handles or locks so that they were perennially closed. Among these, the Finestra rossa e nera was displayed on occasion of the La materia a Roma exhibition at Plinio De Martiis’s La Tartaruga, marking the start of a long partnership with this important Roman gallery and Festa’s entry in the so-called Scuola di Piazza del Popolo. It was at La Tartaruga that Festa met Giorgio Franchetti, who would become his most important collector. In the same year, he won a scholarship from the Ministry for Public Education which allowed him to spend time in Paris, and he was invited to participate in New Realists group exhibition at the Sidney Janis Gallery in New York, where he proposed the work Persiana. 68


Among his other works from the same period were Obelisco and Lapide, while during the following year the first words appeared in his closed furniture. After the death of his brother Francesco Lo Savio in 1963, Festa began to quote masterpieces from past artists in his pictures, above all pieces by Michelangelo. The image of the past work, often taken from an Alinari-style black-and-white photo, was printed on paper and glued onto a wooden medium. Then the artist intervened with enamel, cancelling some details. In 1965, during his first trip to New York, where he met Lichtenstein and Oldenburg, he tried out the technique of retracing projected images or images on tissue paper by hand and in some paintings there appeared the shapes of paintbrushes, but also hammers, screwdrivers and saws, reminiscent of certain compositions by Jim Dine and Jasper Johns. At the same time, he made a series of skies, Cielo meccanico, Cielo newyorkese and Grande nuvola. In the same year, he was invited to the IX Quadriennale d’Arte in Rome where he would also exhibit in 1972 and 1986. Dating from 1966 was the important anthology of his work at Galleria Schwarz in Milan, accompanied by a catalogue with a text by Maurizio Fagiolo dell’Arco and in the group exhibition Cinquant’ anni Dada. 1916-1966 which took place at the Civico Padiglione d’Arte Contemporanea in Milan, curated by Arturo Schwarz. In 1967, again in New York, in a studio at the Chelsea Hotel, he painted a series of works by Michelangelo titled: Michelangelo according to Tano Festa, while in 1968, he devoted himself to making some films: Lo Savio il sogno felice, Patrizia fotografare è facile and lo amo de Chirico. In many paintings made between 1967 and 1969, on a white or azure background, he traced a basic and geometric design in black or blue containing words written with a stencil or silhouettes of projected images. In 1970 he married Emilia Emo Capodilista, and he moved into his wife’s family home in Pernumia in the province of Padua. They had two daughters, Anita and Almorina. The following year he presented I quadri privati at La Tartaruga, in which he used enlarged photographic portraits of some of his family, and he took part in the important exhibition Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70, curated by Achille Bonito Oliva at the Palazzo delle Esposizioni in Rome. 69


Two years later, Festa held a solo exhibition at Galleria Levi in Milan, presented by Tommaso Trini, in which he showed the new pictures from the series Omaggi al colore, while in November 1973 he took part in the international exposition Contemporanea, curated by Achille Bonito Oliva in the car park of Villa Borghese in Rome. In 1976 he met the journalist Antonella Amendola, who from then on would always remain by his side. In the same year, he held the solo show Storia familiare degli utensili at Gian Enzo Sperone’s gallery in Rome where he presented three installations and the two large pictures taken from Las Meninas by Velázquez, painted with enamel and aniline on an emulsioned canvas base. In 1978 he was invited to the Venice Biennale, where he would exhibit again in 1980 and 1984. In the last ten years of his life, he dedicated himself above all to acrylic painting and portraits became his most frequent subject. Numerous exhibitions documented his “return to painting”, among others, Miraggi, at Studio Soligo in Rome, in March 1981. At the end of the 1970s, he began to make the Coriandoli series, in which the technique consisted of the gesture of applying confetti on a base prepared with vivid acrylic colours (red, green blue) or black. Festa died in 1988 and, shortly after his death, an important anthological exhibition, curated by Achille Bonito Oliva, was inaugurated at the former Peroni works, today the Museo di Arte Contemporanea in Rome. Another significant homage to his work was the exhibition Fratelli in 1993, curated by Maurizio Fagiolo Dall’Arco upon the invitation of Achille Bonito Oliva and hosted at Ca’Pesaro as part of the XLV Venice Biennale, in which Festa’s works were displayed alongside those of his brother Francesco Lo Savio. and. The extensive list of works drawn up by the curator, and published on that occasion, is still an indispensible tool for a critique of the artist.

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