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GIULIA NAPOLEONE Nero di china
Bruno Corà
GIULIA NAPOLEONE Nero di china
GIULIA N A P O L E O N E Nero di china a cura di / curated by
Bruno Corà
GALLERIA IL PONTE - FIRENZE 18 gennaio - 20 marzo 2020
Ufficio stampa / Press office Susanna Fabiani Crediti Fotografici / Credits Torquato Perissi Guido Pacchiarotti Redazione editoriale / Editorial team Enrica Ravenni Federica Del Re Traduzione in inglese / English traslation Karen Whittle Traduzione dal francese / Italian traslation Francesca Cosi Grafica / Page setting and graphics Alessio Marolda Impianti e stampa / Plates and printing Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera (PI)
© copyright 2020 per l’edizione Gli Ori 51100 Pistoia - Via Gorizia, 124 tel +39 057322607 www.gliori.it info@gliori.it Galleria Il Ponte 50121 Firenze - Via di Mezzo, 42/b tel +39 055240617 fax +39 0555609892 www.galleriailponte.com info@galleriailponte.com ISBN 978-88-7336-790-1
Sommario / Summary
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Giulia Napoleone o il teatro delle forme. di Yves Peyré
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Giulia Napoleone ou le théâtre des formes by Yves Peyré
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Giulia Napoleone. La mediazione ininterrotta dei segni di Bruno Corà
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Giulia Napoleone. The Uninterrupted Meditation of Signs by Bruno Corà
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Opere / Works
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Nota biografica
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Selected Biography
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Bibliografia selezionata / Selected Bibliography
Yves Peyré
Giulia Napoleone o il teatro delle forme.
La rotondità del mondo si divide in tenebre e luce, benché ciascun aspetto s’illumini dell’altro. Si passa danzando in mezzo al reale e, come ha ben stabilito Giulia Napoleone, abbracciamo tutto, una data verità e il suo opposto, una certa asperità e la sua cancellazione. Il culmine della poesia si conquista un accesso di geometria. Vi è una tenerezza che cova come fuoco, si diffonde in scioltezza, virando appena verso la morbidezza dell’esistere. Il paesaggio che attraversiamo è tanto interiore quanto esteriore. Avanziamo seguendo la mano di Giulia che ha lasciato delle tracce. È bello e decisamente tonificante. Al momento del sonno ci si trova immersi nella vivacità del risveglio. È un pellegrinaggio di anima e corpo. Si guarda, ci si innamora della visione proposta, si viene trascinati nella vaghezza e nella precisione che formano un tutt’uno, si mormora di rimando. È l’inizio delle litanie. Uno spigolo affonda nella dismisura del cielo cupo, a piccoli tocchi, fa risaltare la propria chiarezza, avanza. Sa che non riuscirà ad affermarsi completamente, ma quantomeno interromperà l’assolutezza del nero già tormentato da un’infima nube di biancore che dissemina le sue perle, sebbene con vitalità repressa. Bisogna indietreggiare per sognare meglio. Di colpo, proprio quando ne dubitavamo, la luce s’impone, i suoi fiocchi d’innocenza ricoprono il grande quadrato tantrico dell’essere, e ciò avviene a passi sempre più netti verso il centro, sempre più distinti, ogni tocco è la monade che racchiude nella sua relativa piccolezza la totalità dell’esistente. Ecco la prima verifica delle ipotesi, il canto modulato del cielo che precipita, evapora e finisce per constare. Giulia Napoleone evoca il cielo quando si muove. L’occhio incollato al telescopio interno, scopriamo il cerchio delle beatitudini. All’inizio è nero con leggeri battiti di palpebre ai bordi. Si espande e dischiude la compattezza del silenzio. È un inno lieve. Lo spazio esiste, in un inizio di offerta. Di colpo tutto svanisce e percepiamo una forma in movimento, l’urto di migliaia di gocce di luce. L’irreale si flette via via che osserviamo. Vedo l’uno che trema, scosso dall’assalto del molteplice. Un tizzone di niente, un’orchestrazione che fa risuonare i suoi ottoni. Tutto si espande ulteriormente. Il cerchio è completo, è tornato a se stesso con atomi di biancore sempre più consolidati al centro. Il caleidoscopio ha dispiegato ampiamente il proprio splendore. Si tratta di neve o forse di un improbabile tappeto di fiori. La dolcezza giunge al culmine. È una seconda verifica, l’iconografia è improbabile, la realtà si sottrae, il sogno esplode, l’insurrezione della geometria è argomento poetico. Giulia Napoleone si assicura della precisione di ciò che rileva. Vi è solo una collana di stelle che arde nella notte nera. È l’ebbrezza di ogni percezione. Non sancisce linee rette, intende trascurare ciò che è sparso. La sua musica è la dolcezza stessa della donna che non sfiorisce, che non si rafforza ulteriormente se non attraverso quell’attributo che ha lasciato in eredità al grande tutto per permettergli di apparire e di essere visto. Contemplazione tramite l’assenza. La stabilità si riorganizza. Cerchi variabili si intrecciano e lievi perle di biancore giocano con lo spazio. Uno di questi accoglie la danza leggera degli astri, è un girotondo infantile che ammette la presenza cosmogonica. Il reale non è ancora giunto ad affiorare ma avanza e freme nella gloria della bellezza. Il nero è forse la notte, la profondità della terra, è forse rivelatore di ciò che presto sarà? Presumo sia lo sguardo ormai suggestionato. Un’altra verifica. Giulia Napoleone percorre lo spazio della scena del mondo. Nient’altro che un cerchio. Spezzato oppure perduto. Lo stupore di queste morbidezze. Ancora nero e bianco. Il gioco delle possibilità, la lucentezza del probabile. Sembrerebbe a metà o del tutto. Ciò che sfavilla è l’ultimo ordine della presenza. Sono in gioco la lentezza e il fulgore. Quello che risplende 9
è un archetipo. Soppeso l’uno e poi l’altro. Dove mi trovo? L’imminente compimento vuole sorprendere. Potrebbe non esserci niente, ma prevale la pienezza. La musica ricomincia, la sua incertezza si placa, esamina la volta in alto oppure il lago in basso, tende a cogliere l’insieme. La mano di Giulia ha liberato il sospiro, ci troviamo fra due mondi, li sovrapponiamo, infrangiamo le differenze. Non è che la coltre dell’evidenza. L’essere prende il volo. L’ennesima verifica. Giulia Napoleone ridistribuisce l’intenso apporto della serenità. Come un’esitazione, il passo serpentino che segna il mondo. Nient’altro che passi avanti e scostamenti. Il bagliore rupestre, l’incidenza della luminosità, i sassolini che un viandante preoccupato di non perdersi ha seminato dietro di sé. Tutto questo conferma il mondo e il suo canto trattenuto. Il mare ghiacciato o il suolo tempestoso del terrestre. Sono perle fuggite, il mistero del cammino e la lacrima della scoperta. Di bosco in bosco, di roccia in roccia, di albero in albero e la pace profonda delle radure intorno agli stagni. Gioco antichissimo dell’andare, ricerca o tracciato: quale re pescatore attende ancora la fascinazione del nuovo arrivato? Tutto avviene in forma di enigma, il rumore incerto di un battito lontanissimo. Grandi tentazioni di verifica. Giulia Napoleone orchestra la dismisura del forse. Il quadrato inclinato, mirabilmente di sghimbescio, contiene i cerchi in movimento di tutti i rumori. Il mondo risuona nell’indistinto dei messaggi. È solo morbidezza che mette in risalto la tenerezza del mormorio. Ingranaggi finissimi di un’orologeria cosmica. Repliche che via via si placano di eroi delle favole. La turbolenza è attraversata da lamenti quasi impercettibili. Tutto tende alla pace. E, a seguire, si erge su una punta il grande triangolo della memoria che dardeggia le sue costruzioni riducendo il vuoto che subito arretra. Pienezza e variabilità delle forme, che impeto e irragionevolezza! Non si tratta tanto di finire quanto di iniziare. L’elencazione dei naufragi e dei pontili, delle cavalcate e dei salti a terra, delle genuflessioni e dell’ergersi fieri. Ecco un’altra verifica. Giulia Napoleone orchestra la volatilità dell’affermazione. Ma c’è qualcosa di più. Giungiamo nelle terre del nord con le screpolature dei ghiacci, le superfici sollevate in modo disordinato. La geometria cede al lirismo. Sono sponde dilaniate, laghi che si inabissano nelle proprie spaccature. I frammenti sono innumerevoli come gli indugi della memoria. Avanziamo, il piede sospeso nel vuoto, il passo rapido nella frenesia delle slitte. La frusta schiocca e la crosta ghiacciata si alza, i cani corrono e l’uomo dietro a loro. Tutto questo diventa la cesellatura fine di un metallo duro, ci si aggrappa ai margini del tremolio. Lo spavento non concede nulla, scopo ultimo è l’atarassia. Si sente che la terra gira e che l’uomo vacilla. L’implacabile destino dell’essere. L’audacia della verifica. Giulia Napoleone condensa la perdita. Ancora qualche indizio. Il cerchio nella sua totalità. La punta vivissima di una fuga. Il raddoppiamento a specchio. L’allungamento nell’ovale. Sono forme perfette. Non vi è alcuna increspatura. La decisione di non mettere fine a tutto quanto richiudendo la porta del significato. Le tracce sono finzioni sul cammino dei regni, a seconda delle soavità e delle asperità, dei tagli e delle rotondità. Il mondo è questa poesia che si incammina. Per parole e per tratti. Non è altro che un trattato di ombra e luce. L’andirivieni della posizione. Il sovvertimento dell’indizio. La suggestione della leggenda. Niente si assottiglia fino a sparire, tutto cresce senza sosta. Ne va del silenzio e della recitazione del suo doppio. Ed è l’ultima verifica. Giulia Napoleone abbellisce il mondo con il suo raffinato lamento. Confisca del viaggio, agglomerato e architettura. La voce ondeggia sulla cima. Non piove, se non stelle o atomi, la quintessenza del rumore. Un’interpretazione finissima, l’ombra di un segno orchestrato con cura. La 10
mia impressione è che siamo in movimento, lo restiamo al culmine della quiete. L’evidenza dev’essere la traduzione costante degli effetti di mondo. La superficie coperta è dipinta, saturata o aperta, in armonia o in contrasto, l’interpretazione va oltre le parole, nel tracciato infinitamente vibrante delle apparenze. L’oltre e l’al di qua coincidono. È una geometria che culmina nel lirismo, una poetica retta dall’assioma. Nessuno riesce a esprimere niente di più preciso della traccia aleatoria di un passaggio. Si resta un istante senza muoversi, convocati dall’appello irrimediabile della traccia. Giulia Napoleone sottolinea. Fine del rumore nell’infinità del silenzio.
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Yves Peyré
Giulia Napoleone ou le théâtre des formes
La rondeur du monde se partage en ténèbre et en lumière. Toutefois chacune des apparences s’éprend de l’autre. On passe en dansant au milieu du réel et, comme le décide si bien Giulia Napoleone, on embrasse tout, telle vérité et son contraire, telle aspérité et son effacement. Le comble de la poésie se concilie un accès de géométrie. Il y a une tendresse qui couve comme un feu, elle se répand avec aisance, tirant le moindre vers la douceur d’être. Le paysage que l’on traverse est aussi bien intérieur qu’extérieur. On marche, suivant la main de Giulia qui a déposé les traces. C’est beau et franchement tonique. À l’instant du sommeil, on se trouve enveloppé par la vivacité de l’éveil. C’est un pèlerinage d’âme et de corps. On regarde, on s’éprend de la vison proposée, on est entraîné dans le vague et la précision qui ne font qu’un, on murmure en retour. C’est le début des litanies. Un coin s’enfonce dans la démesure du ciel sombre, par touches, il avance sa clarté, il progresse. Il sait que son affirmation ne triomphera pas complètement mais au moins suspendra l’absolu du noir déjà tourmenté par une infime nuée de blancheur qui saupoudre ses perles, quoique ce soit alors dans un allant étouffé. Il faut se reculer pour mieux rêver. Tout à coup, et alors que l’on en doutait, s’impose la lumière, ses flocons d’innocence recouvrent le grand carré tantrique de l’être, cela se fait par paliers de plus en plus nets vers le centre, de plus en plus singularisés, chaque touche est la monade qui enferme dans sa relative petitesse le tout de ce qui est. Voilà déjà la première vérification des hypothèses, le chant modulé du ciel qui tombe, s’évapore et finit par consister. Giulia Napoleone prend goût du ciel quand il bouge. L’œil collé au télescope interne, on découvre le cercle des béatitudes. Il est d’abord noir avec de légers clignements à la périphérie. Il se détend et ouvre la compacité du silence. C’est un hymne léger. L’espace est là dans un début d’offrande. Soudain, tout s’efface et l’on aperçoit une forme mouvementée qui est le heurt de milliers de gouttes de lumière. L’irréel s’infléchit à mesure que l’on scrute. Je vois la scène de l’un qui tremble, secouée par la ruée du multiple. Un tison de rien, une orchestration qui fait sonner ses cuivres. Tout s’élargit encore. Le cercle est complet, revenu à lui avec toujours les atomes de blancheur de mieux en mieux affirmés vers le centre. La boîte de voir a largement déployée son faste. Serait-ce la neige ou un improbable tapis de fleurs. La douceur s’accomplit. C’est là une deuxième vérification, l’imagerie est improbable, toute réalité s’enlève, le rêve fuse, l’insurrection de la géométrie est un argument poétique. Giulia Napoleone s’assure de la justesse du relevé. Ce n’est plus qu’un collier stellaire qui flambe dans la nuit noire. Il est le vertige de toute voyance. Il décide de ne pas sanctionner la rectitude, il entend négliger l’épars. Sa musique est la douceur même de la femme qui ne passe pas, qui ne s’affirme pas davantage qu’à travers cet attribut qu’elle a légué au grand tout pour lui permettre d’apparaître et d’être vu. Contemplation par l’absence. La stabilité se redéploie. Des cercles variables se tressent et de légères perles de blancheurs jouent avec l’espace. L’un accepte la danse légère des astres, c’est une ronde enfantine qui permet la présence cosmogonique. Le réel n’en est pas encore à affleurer mais il s’avance et frémit dans la gloire de la beauté. Le noir est-il la nuit, est-il le fond de la terre, est-il le révélateur de ce qui bientôt sera ? Je suppose qu’il est le regard entré en suggestion. Nouvelle vérification. Giulia Napoleone parcourt l’espace de la scène du monde. Rien qu’un cercle. Coupé ou bien perdu. La stupeur de ce velours. Le noir et le blanc encore. Le jeu des possibles, l’éclat des probables. On pourrait dire à moitié ou totalement. Ce qui scintille est le dernier ordre de la présence. Il y va d’une lenteur et d’une fulgurance. Ce qui éclate est 13
un archétype. Je pèse l’un puis l’autre. Où suis-je ? L’accomplissement tout proche se donne à surprendre. Il pourrait n’y avoir rien mais c’est la plénitude qui prévaut. La musique reprend, son incertitude s’apaise, elle envisage la voûte en haut ou le lac tout en bas, elle tend à saisir l’ensemble. La main de Giulia a dégagé le soupir, on est entre deux mondes, on les superpose, on brise les différences. Ce n’est que la nappe de l’évidence. Grande envolée de l’être. Vérification encore. Giulia Napoleone redistribue l’intense support de la sérénité. Telle une hésitation, le pas serpentin qui marque le monde. Rien que des avancées et leurs écarts. La rupestre lueur, l’incidence de la clarté, les cailloux jetés derrière soi par un marcheur soucieux de ne pas s’égarer. Cela confirme le monde et son chant rentré. La mer gelée ou le sol tempétueux du terrestre. Ce sont les perles échappées, le mystère du chemin et la larme de la découverte. De forêt en forêt, de roche en roche, d’arbre en arbre et la paix profonde des clairières autour des étangs. Jeu très ancien de l’itinéraire, quête ou tracé, quel roi pêcheur est là encore à attendre la fascination du nouveau venu ? Tout advient en énigme, le bruit incertain d’un battement très loin. De grandes tentations de vérification. Giulia Napoleone orchestre la démesure du peut-être. Le carré penché, admirablement de guingois, contient les cercles en mouvement de toutes les rumeurs. Le monde bruit dans l’indistinction des messages. Ce n’est qu’une douceur qui met en avant la tendresse du murmure. Rouages très fins d’une horlogerie cosmique. Répliques allant en s’apaisant des héros de la fable. La turbulence est traversée de griefs qui sont presque imperceptibles. Tout tend à la paix. Et, peu après, se dresse sur une pointe le grand triangle de la mémoire qui darde ses constructions en abaissant le vide qui recule aussitôt. Plénitude et la variabilité des formes, quelle ardeur et quelle déraison ! Ce n’est pas tant finir qu’amorcer. La récitation des naufrages et des appontements, des cavalcades et des sauts à terre, des génuflexions et des fières rectitudes. Voilà une nouvelle vérification. Giulia Napoleone cerne la volatilité de l’affirmation. C’est bien autre chose encore. On en vient aux terres du Nord avec les craquelures des glaces, les surfaces soulevées à la diable. La géométrie le cède au lyrisme. Ce sont des rivages déchiquetés, des lacs qui s’abîment dans leur brisure. Les parcelles sont innombrables comme les atermoiements de la mémoire. On s’avance, le pied au-dessus du vide, le pas rapide dans la frénésie des traineaux. Le fouet claque et l’écorce se lève, les chiens courent et l’homme suit. Cela devient la fine ciselure d’un métal dur, on se tient au bord du tremblement. L’épouvante ne concède rien, l’ataraxie est la dernière visée. On sent que la terre tourne et que l’homme vacille. L’implacable destinée de l’être. L’audace de la vérification. Giulia Napoleone abrège la perte. Encore quelques indices. Le cercle dans sa totalité. La pointe très vive d’une fuite. Le dédoublement en miroir. L’allongement dans l’ovale. Ce sont formes parfaites. Aucune crispation. La décision de n’en pas finir tout en refermant la porte du sens. Les traces sont des fictions à la marche des royaumes. Au gré des suavités et des aspérités, des coupures et des rotondités. Le monde est cette poésie qui s’achemine. Par les mots et par les traits. Ce n’est guère là qu’un traité d’ombre et de lumière. Le va-et-vient de la posture. Le bouleversement de l’indice. La suggestion de la légende. Rien ne s’amenuise au point de disparaître, tout s’augmente sans cesse. Il en va d’un silence et de la récitation de son double. Telle est la dernière vérification. Giulia Napoleone pare le monde de son exquise plainte. Saisie du voyage, agrégat et architecture. La voix se balance en haut de la cime. Nulle pluie sinon des étoiles ou des atomes, la quintessence de la rumeur. Une fine interprétation, l’ombre d’un signe orchestré avec soin. Je 14
crois que nous sommes en déplacement, nous le restons au cœur de la paix. L’évidence se doit d’être la constante traduction des effets de monde. La surface couverte est peinte, saturée ou ouverte, en harmonie ou en rupture, la diction passe par-delà les mots, dans le tracé infiniment vibratoire des apparences. Au-delà et en-deçà coïncident. C’est une géométrie qui s’achève en lyrisme, c’est une poétique portée par l’axiome. Nul ne sait signifier rien de plus précis que la trace aléatoire d’un passage. On reste sans bouger un instant, hélé par l’appel irrémédiable de la trace. Giulia Napoleone ponctue. Fin de rumeur dans l’infini du silence.
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Bruno Corà
Giulia Napoleone. La mediazione ininterrotta dei segni.
È la poesia di Dante, in questo ritorno fiorentino di Giulia Napoleone a “Il Ponte”, a fornire l’apertura alla riflessione sulle sue più recenti opere costate circa due anni di lavoro e molti di più per dotarla oggi di una lingua visiva in grado di suscitare immagini che ammirerebbe anche l’altissimo poeta se si trovasse al mio posto: «La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra e risplende in una parte più e meno altrove.»1 E basterebbero questi primi versi della protasi del Paradiso dantesco a suggerire un possibile sentiero ermeneutico da percorrere tra i molti che l’opera di Giulia Napoleone provoca avendo raggiunto la semplicità potente che è qualità dei grandi artisti. Il lavoro infatti esibito in queste recenti opere, non diversamente da quello che lo ha preceduto nel corso di mezzo secolo, seppur compiuto con elementarità lessicale - il punto e talvolta la linea, il segmento geometrico circolare - si rivolge ai valori universali del tempo dello spazio, dell’immaginazione, della memoria, della realtà, del sogno, del desiderio, dell’esperienza, dell’episteme rivolta ai principi e ai limiti come pure agli illimiti insondabili e irraggiungibili, non esclusi quelli della coscienza. E, come ogni autentico poeta, Giulia Napoleone di ritorno dall’osservazione dei cieli e della luce potrebbe ripetere, come Dante stesso suggerisce nei versi che seguono quei primi evocati, «...Vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende»2. Già, ma questo è il destino e il limite della parola! Per questo però l’arte ha dotato qualcuno come Giulia Napoleone della capacità di visualizzare l’indicibile e di dare forma all’invisibile. Gli effetti che la pittura o comunque l’immagine d’arte reca, a seguito di esperienze che si rivelano essenzialmente metafisiche, hanno il potere di condurre il pensiero alla causa prima e al cospetto degli enigmi più resistenti. INSEGUIRE LA LUCE NELL’ANDARE VERSO UN DOVE IGNOTO
1. Dante Alighieri, Divina Commedia – Paradiso, Canto V, v.1-3, a cura di N. Sapegno, La Nuova Italia, Firenze, 1999, p. 5. 2. Ibid.
Della luce e dell’ombra Giulia Napoleone visualizza la silenziosa ma pervasiva entità. Di giorno e di notte i due fenomeni non conoscono soluzione di continuità. Dirò subito pertanto che la sua arte affronta uno dei rovelli più ardui che hanno attraversato la vita di taluni grandi artisti e – credo di poter affermare – non diversamente quella della stessa Napoleone. A Roma, dove Giulia Napoleone ha compiuto un lungo tratto della sua vita e del suo lavoro, tra il 1959 e il 1962, attua la sua breve ma intensa parabola artistica anche Francesco Lo Savio, all’insegna di un binomio di ricerca audacissimo: “Spazio e Luce”. Purtroppo il tragico epilogo esistenziale di quell’artista coraggioso e pieno di intuizioni precoci e di straordinaria intensità ne interromperà gli sviluppi. Ma mi sembra lecito pensare che, seppur con un sentiero autonomo e parallelo, il lavoro di Giulia Napoleone si sia anch’esso spinto in quella dimensione ardua e solenne inseguendo la luce nello spazio in aperture e latitudini sempre più estreme, piene di rischio ma stupefacenti, ai confini del pensiero visivo e di quello scientifico. Alcune fotografie sperimentali eseguite nel 1960 dalla Napoleone si mostrano dialettiche con le ricerche relative ai “Filtri” di depotenziamento luminoso realizzati da Lo Savio in quello stesso anno. Forme circolari scure in contrasto con forme circolari chiare distinguono le foto di Napoleone mentre Lo Savio sovrappone carte di diversa grammatura e trattamento nelle 17
quali ricava a ritaglio dei tondi che servono a denotare la diversa capacità di attraversamento della luce da un foglio all’altro. In fasi successive si può constatare il reiterato studio della luce in numerose opere di Napoleone, sopratutto nell’acquaforte, acquatinta Ricerca di luce, 1972, nella xilografia Senza titolo, 1976, nelle maniere nere Orizzonti, 1977, nel Mutare dell’ora, 1982-83 (acquerello), in Luci a Numana, 1983, negli inchiostri Oscurarsi, 1984, nella Notte a Numana, 1985, e in Sentieri di luce, 1991. Diverso ma altrettanto assiduo in ricorrenti versioni è lo studio dell’ombra che consegna esiti di differente ed originale sviluppo spaziale. Si va dalle Ombre della sera, 1978, Ombra del mattino, 1978, e Ombra del mare, 1978, tutti inchiostri su carta astratti, ad inchiostri come Studio per Kitawa, 1978 dove l’ombra è deliberatamente ancillare al dato naturale e figurale. Ma dell’ombra Napoleone offre anche altre apparizioni: nella matita Solo se ombra, 1983 o nell’inchiostro L’ombra, 1987 fortemente differito nei segni e nelle forme, o nell’inchiostro su carta Ombre a Villa Doria Pamphili, 1985 sensibilmente diverso dall’omologo Ombre, 1989, in maniera nera. Entrambi tuttavia mettono in risalto adombrati orli di vegetazione che sembrano echeggiare i ‘frattali’ costieri studiati da Benoît Mandelbrot per le sue inedite geometrie. Estremamente lirico Luce e ombra, 1991 con l’inchiostro dà corpo ulteriormente alla più antica delle antinomie, mentre le maniere nere di Specchi d’ombra, 1992 hanno la sensibilità di riportare alla ribalta insieme con Acqua VI, 1992 e la puntasecca Sera, 1996, l’ossessivo tema della mutevolezza simultanea dei dati naturali luce, ombra, acqua, nubi, vento, cielo che già impegnarono per un ventennio la tenace pittura di Monet nelle Ninfee osservate nel suo giardino a Giverny. TRA FISICA E POETICA: GLI INTERLOCUTORI LINGUISTICI Se in fisica la misura dell’importanza di una teoria si valuta dallo sconvolgimento della visione dei fatti naturali che in precedenza sembrava immutabile (Brian Greene) analogamente in arte l’importanza di una teoria linguistico-visiva si misura sulla nuova concezione della qualità di spazio che ci consente di riguardare il mondo e la realtà con altri occhi, come se tutto si riaprisse davanti a noi. Il lavoro di Giulia Napoleone ha la proprietà di chiamarci a constatare come l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo si manifestano in una ambigua equazione che parla dei principi della materia come delle leggi cosmiche, provocando il pensiero a una sintetica presa di coscienza di un quadro coerente delle proprietà dello spazio-tempo: il sistema segnico da lei messo in atto non appartiene al dominio della scienza ma a quello dell’arte, eppure esso invita a capire che l’universo è costituito di particelle elementari, che in esso si oppongono delle forze, che il vuoto è pieno di fluttuazioni di forme ed energie; le immagini di Napoleone sovente alludono indirettamente a colonie di atomi, ognuno col suo nucleo e con neutroni e protoni circondati da sciami di elettroni che orbitano attorno al nucleo. Naturalmente il disegno della Napoleone non intende descrivere tutto ciò poiché non è naturalistico ma suscitare molto di più poiché le sue configurazioni di spazio integrano quello che si può osservare nei cieli e nell’universo con ciò che elabora la sua mente e anche la nostra. Infatti, nell’immaginario di ciascuno considerato come ‘altroverso’, tutti noi ci rivolgiamo all’’universo’ per percepire una totalità non solo fisica, non solo psichica ma perfino auspicatamente trascendente che verrebbe da definire come sorta di ‘multiverso’. «Anni di affannose ricerche al buio, di intenso desiderio, di alternanza di ottimismo e disperazione, e alla fine di tutto la luce»3. Queste parole di Einstein potrebbero essere pronunciate, con i dovuti coefficienti di relazione riferiti al proprio lavoro, da artisti epocali come 18
3. Albert Einstein, in Martin J. Klein, recensione a R.W. Clark, “Einstein: The life and Times”, in «Science» vol. CLXXIV, pp. 1315-16, ripubblicato in Brian Greene, L’universo elegante, Einaudi, Torino 2016.
Lucio Fontana, Enrico Castellani, Sol Lewitt, Roman Opalka, Agnes Martin, Dadamaino e da Giulia Napoleone. La quale, in questa specifica compagine rapidamente da me supposta e tracciata può, a buon diritto, rivendicare le sue unicità intuitive e i propri principi metodologici e linguistici. Se Fontana infrange il diaframma della tela per indicare una spazialità ulteriore a quella della rappresentazione per giungere alla nozione di ‘concetto spaziale’ reale e Castellani sensibilizza e modula la superficie suscitando spazi dai ritmi infiniti, Opalka nomina ed enumera gli intervalli istantanei sulla tela, come la clessidra con la sabbia, enucleandone la spazio-temporalità; non diversamente, un analogo processo di strutturazione dello spazio compiono Agnes Martin e Sol Lewitt, incentrato sulla declinazione dei segmenti lineari in ordine ciascuno a personali criteri compositivi e di organizzazione delle superfici investite dal segno. Con un sentimento disciplinato dalla tensione iterativa che evoca la prassi quotidiana dell’amanuense medioevale e sorretta da una motivazione etica che si rivolge tanto al sentire sociale che al privato, Dadamaino aspira anch’ella con i segni a rivelare il continuum del flusso degli eventi, delle cose, del tempo-spazio fino a occuparne porzioni sensibili. In tale contesto Giulia Napoleone ha individuato altre leggi, altri ordini, ulteriori dimensioni che, pur dialettiche sul piano semiologico con quelle degli artisti sin qui indicati, hanno però la forza e l’intensità di rivelare enigmi naturali e relative risonanze endopsichiche che con quelle ignote manifestazioni del micro e macrocosmo hanno diretta empatia. Ad occhi chiusi chiunque si stropicci le palpebre, sullo schermo buio della caecitas momentanea, può osservare caleidoscopiche formazioni di fosfemi della durata di millesimi d’istante, molto simili alle colonie di microrganismi rivelati da una lente di microscopio o alle concatenate formazioni di nebulose piene di costellazioni e di corpi celesti, stelle o pianeti raggiunti da un potente telescopio. La novità del lavoro di Napoleone consiste da tempo nell’antico segreto di saper estrarre chiavi e regole da quelle incommensurabili dimensioni percepite in natura e dentro di sé, per elaborare in segni elementari scelti alla bisogna, cerchi, punti, linee, una diversa densità misteriosamente organica, topos di tracciati ideali e di configurazioni conformi, che hanno limiti aperti, che forzano il lato convenzionale delle morfologie rintracciabili in natura per annunciarne altre inedite. Anche se in natura, osservandone gli aspetti, il richiamo alla perfezione è continuo, il mondo nell’insieme rivela però anche la propria ottusità indifferente, il proprio caos, le proprie casualità o – non si sa come altro definire – la sua estraneità fenomenica verso le aspettative ingenue e ignare di un’umanità che invano presume, ancorché si abbia grande considerazione della scienza, di poter porre tutto sotto il proprio controllo. L’arte di Napoleone disegna quella parte del mondo che non si manifesta mai e che invece, grazie a un mutevole paradigma di segni tracciati per inventare lo spazio-tempo, riesce a visualizzare e dunque a far venire alla luce. È un’integrazione tra il mondo che si mostra così come è in varie apparenze e quello nascosto e percepito interiormente, grazie a quell’«incertezza assidua» che la spinge ogni volta a racchiudere in un’immagine, un’eterotopia del pensiero, che tuttavia non ha niente a che vedere con la mimesi o con la cosiddetta ‘illustrazione’. Semmai – molto più efficacemente indirizzata – l’operosità di Giulia Napoleone è rivolta a scoprire l’essenza enigmatica del tempo-spazio, in un processo orientato sia ad avanzare nell’incognita dell’arte sia nella ‘conoscenza di sé’. L’attività incisoria e calcografica – di cui deliberatamente taccio in questa circostanza per quanto è unanime l’apprezzamento che la circonda – e, alla stregua, il disegno a inchiostro inducono fortemente alla meditazione chi pratica tali arti. E Giulia Napoleone ha dedicato ad entrambe una gran parte della sua vita e della sua attività. 19
LA MOSTRA L’osservazione nella più recente produzione di disegni presenti in questa mostra sembra proprio confermare l’attitudine autoconoscitiva e al contempo speculativa a cui il disegno reca. L’espressione «Gli uomini sono creature che partecipano a spazi di cui la fisica non sa nulla» (Sloterdijk) può in gran parte sorreggere l’ipotesi avanzata in questa mia breve riflessione secondo cui lo studio della natura e quello stesso della propria interiorità conducono un’artista come la Napoleone ad un grado di conoscenza che descrive spazi ignoti alla fisica e anche alla filosofia stessa. La topologia di cui in molte opere Napoleone traccia le coordinate spaziali è quella di uno spazio che evoca luoghi notturni e diurni, di sogno e di veglia ipnagogica, di desiderio e di ansia, di quiete e di inquietudine; sono luoghi che dimostrano effettivamente che ognuno di noi non risiede solo là dove abbiamo dichiarato di vivere ma in molti ulteriori ‘altrove’. L’episodio espositivo fiorentino d’oggi di Giulia Napoleone, voluto dalla passione reiteratamente premurosa e da ‘connoisseur’ di Andrea Alibrandi4 impegnato ad offrire pubblicamente le sue più recenti creazioni si articola in tre gruppi di opere elaborate ad inchiostro di china di diverso formato e supporto. Si tratta di chine su carta pregiata distinte dalle misure (sette di esse di cm 103x103, quattro di cm 103x153) e di tavole preparate (una decina di cm 50x50). La diversità degli esiti fa riflettere sulle alterne pregevoli qualità ottenute dalla Napoleone. Il trattamento diverso delle chine sulle carte e sul legno induce a motivi che trovano il loro equilibrio attraverso tracciati che l’occhio e la mano governano con soluzioni adeguate. Così le chine su carta Vaste rumeur, 2019 e Au bord du vide, 2019, evidenziano rispettivamente l’estendersi sia degli inanellamenti sonoro-visivi dei tracciati alla stregua degli effetti prodotti da gocce di pioggia in uno stagno, sia la geografia di orli e arcipelaghi di luce ed ombra in cui la complementarietà delle due entità è assoluta. In Une plaine d’ombre, 2019, come in L’instant qui oscille, 2019, la maglia fitta dei segni sembra estendersi come una rete e nuovamente si attua quel miraggio-miracolo in cui è quasi indistinguibile la prevalenza del dominio della luce sull’ombra o viceversa. Au – dessus du vide, 2019 esibisce la sua regale geometria di triangoli equilateri concentrici come in una matrioska. I tracciati puntiformi che compiuti a mano libera derogano dalla perfezione in realtà esaltano il dato della manualità che rivela il valore temporale e spaziale necessario alla realizzazione dell’opera. La valenza geometrica è protagonista anche delle chine Stabilité du silence, 2019 e Étoile qui s’enfuit, 2019, circonferenza e cuneo come zone di sensibilità segnica parziale ma definita e zone determinate in una latitudine indeterminabile. Le chine sui fogli di carta più grandi lasciano differentemente percepire la qualità estensiva delle processioni di segni che in Où courent les signes, 2019, si rivelano orizzontalmente aperti in ogni direzione, come faglie sismiche enunciate anche nel Le tremblement du corps entier, 2019, dove una circonferenza e la sua metà rendono emblematica, rispetto a La lampe et c’est le noir, 2019, la differenza tra una divisione fisica ed una cromatica ottenuta per diversa intensità di segno. Totalmente soggetta ad una forza idealmente disgregatrice è infine Une géométrie qui tremble, 2019. Sulle tavole preparate e disegnate ugualmente a china, se si esclude il linearismo puntiforme dominante La trace, 2018/19, disegno ramificato come meandri fluviali, la maggior parte dei motivi celebra le numerose facoltà geometricoiconografiche di rappresentazione del quadrato nel quadrato, come La clarté I, 2018/19 o della circonferenza nella forma quadrata del supporto come Le noir et sa tendresse, 2018/19, Chute des atomes, 2018/19, Tout est nuit, 2018/19, La Clarté II, 2018/19, Au milieu, 2018/19 e infine il poligono dai 20
4. Cfr. i contributi critici dedicati alla Napoleone in Andrea Alibrandi - Giulia Napoleone, La percezione della luce come emozione, Edizioni Il Ponte, Firenze, 1996 e Giulia Napoleone, Mutano i cieli – Dipinti 1999-2001, testi di Andrea Alibrandi e Lucia Presilla, Edizioni Il Ponte, Firenze, 2002.
venti lati L’espace, 2019 in sublime metamorfosi verso una circolarità quasi raggiunta. Nella successione di morfologie esibite dalla Napoleone è forte il richiamo ai giacimenti dell’elaborazione disegnata di geometrie che dalla tradizione platonica del Timeo a quella protorinascimentale del “De Divina Proportione” giunge sino alla complessità delle geometrie teoriche del fisico Thomas Wright (1750) e a quelle frattaliche del tutto contemporanee alle intuizioniinvenzioni della nostra artista. Sono convinto e concordo pienamente col pensiero di Carlo Bertelli quando afferma, a proposito di personalità artistiche come la Napoleone, che «chi ha tenuto duro non resterà solo», se una «critica radicale priva di compromessi» saprà coniugare quella tensione etica con il «desiderio di silenzio» di generazioni realmente dedicate all’arte e protese come lei all’indipendenza poetica. Città di Castello - dicembre 2019
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Bruno Corà
Giulia Napoleone: The Uninterrupted Meditation of Signs
It is Dante’s poetry, in Giulia Napoleone’s return to Il Ponte in Florence, that provides the opening to the reflection on her most recent works. While these took around two years to make, it has taken many more for the artist to arrive at a visual language which today creates images that would arouse admiration in even this greatest of poets were he in my place: “The glory of Him, who moves all things, penetrates the universe, and glows in one region more, in another less.”1 And by themselves these first verses of the introduction to Dante’s Paradise could suggest a possible hermeneutic path to follow among the many conjured up by the work of Giulia Napoleone since achieving the powerful simplicity that marks the talent of a great artist. Indeed, albeit created with the most elementary lexicon – dots and at times lines or circular geometric segments – the work on display here, not unlike what had gone over the previous half a century, points towards the universal values of time, space, imagination, memory, reality, dreams, desire, experience, knowledge relating to the start and the end of time, as well as those unfathomable and unreachable non-limits, and even the bounds of consciousness. And, like every genuine poet, on returning from observing the skies and light, as Dante himself suggests in the verses that follow the ones quoted above, Giulia Napoleone could repeat “...[I] have seen things, which whoever descends from there has neither power, nor knowledge, to relate”.2 Alas, this is the word’s destiny, it can go no further! This is why art has given someone like Giulia Napoleone the capacity to visualize the unsayable and to give shape to the invisible. The effects provided by painting or nonetheless by the artistic image after experiences that appear essentially metaphysical have the strength to lead the mind to the primary cause and into the presence of the most unshakable enigmas.
1. Dante Alighieri, Divine Comedy – Paradise, Canto I, vs. 1-3, translated by A. S. Kline, Poetry in Translation 2000. 2. Ibid.
Following the light in going towards an unknown place Giulia Napoleone visualizes the silent but pervasive entity of light and shade. By day and night, the two phenomena stitch seamlessly together. And so, I’ll say straight away that her art tries to tackle one of the toughest questions that have traversed the lives of some great artists as well as – I think I can state – that of Napoleone herself. In Rome, where Giulia Napoleone spent a long stretch of her life and work, between 1959 and 1962, Francesco Lo Savio also lived out his brief but intense artistic parable, audaciously researching the two topics of “Space and Light”. Unfortunately, the tragic end to the existence of that courageous, extraordinarily intense artist, with his wealth of precocious intuition, would prevent it from developing further. But it seems right to think that, albeit along an independent and parallel path, the work of Giulia Napoleone also broke into that tough and solemn dimension as she followed light in space in an openness and at latitudes more and more extreme, high-risk but awe-inspiring, on the very edges of visual and scientific thought. Some experimental photographs made by Napoleone in 1960 relate dialectically to Lo Savio’s research on light-reducing “Filters” from that same year. Napoleone’s photos featured dark circular shapes which contrast with light circular shapes; Lo Savio, on the other hand, overlapped paper of different thicknesses, treated in different ways, cutting out circles to show the different capacity of light to cross through one sheet to another. Later on, 23
the study of light can be seen repeatedly in numerous works by Napoleone, above all in the aquatint etching Ricerca di luce, 1972, the xylograph Senza titolo, 1976, the mezzotints Orizzonti, 1977, Mutare dell’ora, 1982-83 (water colour), Luci a Numana, 1983, and the ink drawings Oscurarsi, 1984, Notte a Numana, 1985, and Sentieri di luce, 1991. Different, but equally as frequent in recurrent versions, is her study of shadow which leads to different and original spatial developments. These go from Ombre della sera, 1978, Ombra del mattino, 1978, and Ombra del mare, 1978, all abstract ink drawings on paper, to ink drawings such as Studio per Kitawa, 1978 where the shadow is deliberately ancillary to the natural and figural aspects. But Napoleone also offers us shadows on other occasions: in the pencil drawing Solo se ombra, 1983 or the ink L’ombra, 1987 using very different marks and forms, or in the ink on paper Ombre a Villa Doria Pamphili, 1985 noticeably different from the Ombre, 1989 of the same name in mezzotint. Nevertheless, both feature shaded borders of vegetation that seem to echo the coastal ‘fractals’ coined by Benoît Mandelbrot in his unprecedented geometrical studies. The extremely lyrical ink Luce ed ombra, 1991 gives further body to the most ancient of antinomies, while the mezzotints Specchi d’ombra, 1992 along with Acqua VI, 1992 and dry-point Sera, 1996 sensitively cast the spotlight on the obsessive topic of the simultaneous changeability of the natural elements of light, shade, water, clouds, wind and sky which had already absorbed the tenacious Monet for 20 years in his paintings of the Waterlilies observed in his garden in Giverny. BETWEEN PHYSICS AND POETICS: LINGUISTIC INTERLOCUTORS While in physics a theory’s importance is measured by how far it upsets the vision of natural facts that had hitherto seemed unchangeable (Brian Greene), in the same way, in art a linguistic-visual theory’s importance is measured by how far the new conception of the quality of space allows us to see the world and reality with other eyes, as if everything were opened up before us anew. The property of Giulia Napoleone’s work is that it makes us notice how the infinitely large and the infinitely small appear in an ambiguous equation that speaks of principles of matter as cosmic laws. Hence, we quickly become aware of the coherence between the properties of space and time: the system of marks that she uses do not belong to the domain of science but to that of art, and yet they invite us to understand that the universe is made up of elementary particles, that there are contrasting forces, that the void is full of fluctuating forms and energies; Napoleone’s images often indirectly allude to colonies of atoms, each with its nucleus and with neutrons and protons surrounded by swarms of electrons orbiting around it. Naturally, Napoleone’s drawing does not intend to describe all of this because it is not naturalistic. Instead, she wants to arouse much more because her configurations of space add to what we can observe in the skies and the universe and what her as well as our own minds conjure up. Indeed, every person’s imaginary, considered as an ‘other-verse’, addresses the ‘uni-verse’ to perceive not just a physical or mental but even deliberately transcendent totality which could be defined as a sort of ‘multi-verse’. “The years of anxious searching in the dark, with their intense longing, their alternations of confidence and exhaustion, and final emergence into the light.”3 These words by Einstein could be pronounced, with the due coefficients of correlation with their work, by epoch-making artists such as Lucio Fontana, Enrico Castellani, Sol Lewitt, Roman Opalka, Agnes Martin, Dadamaino, and by Giulia Napoleone. In this specific set of artists that I rapidly imagined and put together, 24
3. Albert Einstein, in Martin J. Klein, review of R.W. Clark, “Einstein: The Life and Times”, in Science vol. CLXXIV, pp. 1315-16, republished in Brian Greene, The Elegant Universe, Einaudi, Torino 2016.
Napoleone has every right to claim her unique intuitions and her own methodological and linguistic principles. If Fontana broke the diaphragm of the canvas to indicate an additional dimension of space to that of representation in order to arrive at the notion of real ‘spatial concept’ and Castellani sensitized and modulated the surface to create spaces with an endless rhythm, Opalka named and numbered the instantaneous intervals on the canvas, like an hourglass with sand, to capture its spacetemporality; not unlike them, Agnes Martin and Sol Lewitt carried out a process to structure space centred around defining linear segments, each following personal criteria to compose and organize the marked surfaces. With a controlled, iteractive sentiment reflecting the day-to-day practice of a medieval scribe, supported by ethical motives directed both at social and private feelings, with her style Dadamaino also aspired to reveal the continuum of the flow of events, things and time-space, ending up occupying large portions of it. Against this background, Giulia Napoleone has identified other laws, other orders, further dimensions. While showing a dialecticism on the semiological level with the artists mentioned hitherto, her work nevertheless has the power and intensity to reveal natural enigmas and the corresponding endopsychic resonances directly empathizing with those unknown manifestations of the micro and macrocosm. Eyes shut, anyone who rubs their eyelids, the dark screens of momentary blindness, can observe kaleidoscopic formations of phosphenes lasting thousandths of an instant, very similar to the colonies of micro-organisms revealed by the lens of a microscope or to the concatenations of nebulae full of constellations and celestial bodies, stars or planets reached by a powerful telescope. For some time, the novelty of Napoleone’s work has been its possession of the ancient secret of being able to pull out keys and rules from those incommensurable dimensions perceived in nature and inside ourselves. And so, using elementary signs, chosen to requirement – circles, dots, lines – she elaborates a different, mysteriously organic density, a topos of ideal lines and corresponding configurations whose limits are open, forcing the conventional side of morphologies that can be seen in nature to announce brand new ones. Even though the references to perfection are continual if we are to observe the elements of nature, the world as a whole, however, also reveals its indifferent obtuseness, its chaos, its randomness or – I don’t know how else to define it – the extraneousness of natural phenomena from the naïve and ignorant expectations of we humans who vainly presume, despite a great faith in science, that we can place everything under our control. Napoleone’s art draws that part of the world that never shows its face and instead, thanks to a changing paradigm of signs traced to invent the spacetime, manages to visualize it and therefore make it come to light. Her work combines the world that shows its various faces and the hidden world perceived on the inside. It is thanks to the artist’s “assiduous uncertainty” that over and over again she is pushed to enclose a heterotopy of thought in an image, which nevertheless has nothing to do with mimesis or so-called ‘illustration’. If anything, the much more effectively directed activity of Giulia Napoleone is aimed at discovering the enigmatic essence of time-space, in a process directed both at heading into the unknown of art and into ‘self-knowledge’. Her engraving and copperplating activity – which I will deliberately not talk about in this circumstance owing to the utter unanimity in the appreciation of her work – and in the same way her ink drawings strongly lead those who practise such arts to meditation. And Giulia Napoleone has dedicated a large part of her life and work to both. 25
THE EXHIBITION The observation performed in this most recent set of drawings on display in the exhibition seems to confirm their inclination for self-knowledge and at the same time speculation. The expression “humans are beings that participate in spaces unknown to physics” (Sloterdijk) can to a large extent support the hypothesis put forward in this brief reflection of mine that the study of nature and one’s own inner life can lead an artist, in this case Napoleone, to a degree of knowledge that enables the description of spaces unknown not only to physics but also to philosophy itself. The map whose spatial coordinates Napoleone traces in many works is that of a space that conjures up nocturnal and diurnal places, places of dreams and hypnagogic waking, desire and anxiety, rest and restlessness; they are places which effectively demonstrate that all of us not only reside where we declare we live but in many other ‘elsewheres’. Today’s Florentine exhibition by Giulia Napoleone, passionately and solicitously desired by ‘connoisseur’ Andrea Alibrandi,4 bent on offering her most recent creations to the public, is divided into three groups of works made in different formats and on different media. The works consist of Indian ink drawings on fine paper of different sizes (seven of them measure 103x103 cm, and four 103x153 cm), and prepared panels (around ten measuring 50x50 cm). The diversity of the outcomes makes us reflect on the range of praiseworthy results obtained by Napoleone. The different treatment of the Indian ink on paper and wood leads to motifs which find a balance in patterns suitably governed by the eye and hand. Thus, the Indian ink drawings on paper Vaste rumeur, 2019 and Au bord du vide, 2019, respectively highlight the extension of both the visual rings and echoes like the effects produced by raindrops in a pond, and the geography of shorelines and archipelagos of light and shade in which the two entities complement each other absolutely. In Une plain d’ombre, 2019, as well as in L’istant qui oscille, 2019, the dense mesh of marks seems to extend like a net and that mirage-miracle resurfaces once more in which the light’s dominion over shade, or vice versa, is almost indistinguishable. Au-dessus du vide, 2019, displays its royal geometry of concentric equilateral triangles like in a matryoshka. While the dotted lines drawn free hand depart from perfection, in reality they point out the manual skill and reveal the time and space needed to make the work. Geometry also plays the lead role in the Indian ink drawings Stabilité du silence, 2019, and Etoile qui s’enfuit, 2019, where the signs sensitively mark out a circumference and wedge, partial yet defined, and determined areas in an undeterminable latitude. In the Indian ink drawings on larger sheets of paper the extension of the processions of signs can be perceived in different manners, opening up horizontally in all directions in Où courent les signes, 2019, like seismic faults. The same is the case of Le tremblement du corps entier, 2019 where, compared to La lampe et c’est le noir, 2019, a circumference and a half emblematically differentiate between the physical and chromatic division obtained by the different intensity of the signs. Finally, Une géométrie qui tremble, 2019, is wholly subject to an ideally disuniting force. On the prepared panels also drawn on with Indian ink, if we exclude the dotted lines dominating in La trace, 2018/19, a drawing that branches out like a meandering river, most of the motifs celebrate the numerous geometric-iconographic faculties of representing a square within a square, like Le clarté I, 2018/19, or the circumference in the square form of the medium like in Le noir et sa tendresse, 2018/19, Chute des atomes, 2018/19, Tout est nuit, 2018/19, Le clarté II, 2018/19, Au milieu, 2018/19, and finally the twenty-sided polygon L’espace, 2019 in sublime metamorphosis which almost achieves a full circle. 26
4. See the critical essays dedicated to Napoleone in “Andrea Alibrandi - Giulia Napoleone, La percezione della luce come emozione”, Edizioni Il Ponte, Florence, 1996 and “Giulia Napoleone, Mutano i cieli – Dipinti 1999-2001”, texts by Andrea Alibrandi and Lucia Presilla, Edizioni Il Ponte, Florence, 2002.
In the series of morphologies exhibited by Napoleone, there is a strong reference to the deposits of geometrical drawings that have built up over time, from the Platonic tradition of the “Timaeus” through the protoRenaissance tradition of “De Divina Proportione” and the complexity of the theoretical geometries of physicist Thomas Wright (1750) up to the very much up-to-date fractals and the intuitions-inventions of our artist. I am convinced, and I am in total accord with the thought of Carlo Bertelli as regards artistic figures such as Napoleone, in stating that “those who have not given in, will not remain alone”, if “radical, uncompromising criticism” can combine that ethical endeavour with the “desire for silence” of generations really dedicated to art and, like her, intent on achieving poetic independence. Città di Castello - December 2019
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Opere
1. Senza titolo 1, 1956, inchiostro di china, carta Schoeller, 13,6x13,7 cm
2. Senza titolo 6, 1956, inchiostro di china, carta Schoeller, 13,6x13,7 cm
3. Senza titolo 1, 1960, Inchiostro di china, carta Schoeller, 13,5x13,6 cm
4. Senza titolo 2, 1960, Inchiostro di china, carta Schoeller, 13,5x13,6 cm
5. Senza titolo 3, 1960, inchiostro di china, carta Schoeller, 13,5x13,5 cm
6. Senza titolo 4, 1960,inchiostro di china, carta Schoeller, 13,5x13,6 cm
7. Senza titolo 8,1960, inchiostro di china, carta Schoeller, 13,6x13,8 cm
8. Gocce - cosmo 1, 1963, inchiostro di china, carta Schoeller, 35,5x52,5 cm
9. Germina, 1963, inchiostro di china, carta Schoeller, 40x60 cm
10. Gocce - cosmo 2, 1963, inchiostro di china, carta Schoeller, 35,5x52,5 cm
11. Foglia, 1963, inchiostro di china, carta Schoeller, 35,9x59 cm
12. Muro, 1963, inchiostro di china, carta Schoeller, 51,2x49,2 cm
13. Senza titolo, 1967, inchiostro di china, carta Schoeller, 39,5x59 cm
14. Vegetazione, 1966, inchiostro di china, carta Schoeller, 36x59,5 cm
15. Ombra del mattino, 1978, inchiostro di china, carta antica francese, 44,5x34,5 cm
16. Ombre della sera, 1978, inchiostro di china, carta antica francese, 44,5x34,5 cm
17. Studio per Kitawa, 1978, inchiostro di china carta Amatruda, 41,5x61 cm
18. Ultime stelle, 1978, inchiostro di china, carta antica francese, 44,5x34,5 cm
19. Sera a Numana, 1983, inchiostro di china, carta Duchêne, 31,5x24 cm
20. La curva del cielo, 1983, inchiostro di china, carta Duchêne, 31,5x24 cm
21. Il sogno di Sula, 1983, inchiostro di china, carta Duchêne, 31,5x23,5 cm
22. Conchiglia, 1983, inchiostro di china, carta DuchĂŞne, 24x32 cm
23. Foglio d’Hypnos, 1984, inchiostro di china, carta Arches, 70x100 cm
24. Curva del cielo a Campagnano, 1985, inchiostro di china, carta DuchĂŞne, 34,5x26 cm 25. Ombre a Villa Doria Pamphili, 1985, inchiostro di china, carta DuchĂŞne, 33,5x25 cm
26. Ombre sull’Aurelia Antica, 1985, inchiostro di china, carta Duchêne, 25,5x33,5 cm
27. Viaggio nel sogno, 1985, inchiostro di china, carta DuchĂŞne, 25,5x33,5 cm
28. Sogno inverso, 1985, inchiostro di china, carta DuchĂŞne, 25,5x34 cm
29. Viaggio nel sogno 2, 1985, inchiostro di china, carta DuchĂŞne, 33x25,5 cm
30. L’ombra, 1987, inchiostro di china, carta Duchêne, 33x25,5 cm
31. Viaggio nel sogno, 1987, inchiostro di china, carta Arches, 102x123 cm
32. Il sogno di Sula, 1987, inchiostro di china, carta Arches, 102x122 cm
33. Quiete, 1990-91, inchiostro di china, carta Arches, 57x76,5 cm
34. Nebbia, 1991, inchiostro di china, carta Arches, 57,5x77 cm
35. Ombre lontane, 1991, inchiostro di china, carta Arches, 101,5x122,5 cm
36. Sogno nel sogno, 1991, inchiostro di china, carta Arches, 101,5x126,5 cm
37. Frammento - infinito, 1992, inchiostro di china, carta Lafranca, 45x58 cm
38. Misure di cielo, 1992, inchiostro di china, carta Arches, 70x100 cm
39. Roselle, 1994, inchiostro di china, carta Arches, 30x90 cm
40. Ombre, 1998, inchiostro di china, carta Arches, 70x70 cm
41. L’ombra, 2000, inchiostro di china, carta Arches, 42x42 cm
42. Apparizione, 2000, inchiostro di china, carta Arches, 50,5x36 cm
43. Le langhe, 2001, inchiostro di china, carta Arches, 90x30 cm
44. Altro inverno 3, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36,5x27 cm
45. Altro inverno 4, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36x27 cm
46. Altro inverno 6, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36,5x27,5 cm
47. Lungo viaggio III, 2003-05, inchiostro di china, carta Lafranca, 45x58 cm
48. Altro inverno 9, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36x27 cm
49. Altro inverno 7, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36,4x27,3 cm
50. Altro inverno 8, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36x27 cm
51. Altro inverno 11, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 35x27 cm
52. Altro inverno 10, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36x27 cm
53. Altro inverno 12, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36x27 cm
54. Altro inverno 14, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36x27 cm
55. Finestre - Ebla, 2004-05, inchiostro di china, carta Lafranca, 55x41 cm
56. Altro inverno 13, 2003-06, inchiostro di china, carta Arches, 36x27 cm
57. Verso Latakia III, 2004-05, inchiostro di china, carta Lafranca, 41,5x34,5 cm
58. Verso Latakia IV, 2004-05, inchiostro di china, carta Lafranca, 42x34,5 cm
59. Finestre - Halab, 2004-05, inchiostro di china, carta Lafranca, 54,5x41 cm
60. Brad, 2004-05, inchiostro di china, carta Lafranca, 54,5x41,5 cm
61. Palmira - Valle delle tombe, 2005-07, inchiostro di china, carta Lafranca, 54,5x41,5 cm
62. Palmira - Palmeto, 2005-07, inchiostro di china, carta Lafranca, 54,5x41,5 cm
63. Studio per Adonis, 2007, inchiostro di china, carta Hahne muhle, 35x100 cm 64. Studio per Adonis 2, 2007, inchiostro di china, carta Hahne muhle, 35x100 cm
65. Studio I, 2008, inchiostro di china, carta Arches, 21,2x16 cm
66. Studio II, 2008, inchiostro di china, carta Arches, 21,3x16 cm
67. Studio III, 2008, inchiostro di china, carta Arches, 21,2x15,7 cm
68. Studio IV, 2008, inchiostro di china, carta Arches, 21,7x15,6 cm
69. Studio VII, 2008, inchiostro di china, carta Arches, 21,5x15,8 cm
70. Studio V, 2008, inchiostro di china, carta Arches, 21,3x15,5 cm
71. Studio IX, 2008, inchiostro di china, carta Arches, 21,8x15,4 cm
72. Senza titolo, 2009, inchiostro di china, carta Arches, 30x31,5 cm
73. Emisfero, 2016, inchiostro di china, carta Arches, diametro 100 cm
74. La trace, 2018/19, inchiostro di china, tavola, 50x50 cm
75. La clartĂŠ I, 2018/19, inchiostro di china, tavola, 50x50 cm
76. Chute des atomes, 2018/19, inchiostro di china, tavola, 50x50 cm
77. Le noir et sa tendresse, 2018/19, inchiostro di china, tavola, 50x50 cm
78. L’espace, 2019, inchiostro di china, tavola, 50x50 cm
79. Tout est nuit, 2018/19, inchiostro di china, tavola, 50x50 cm
80. L’orchestration du multiple, 2019, inchiostro di china, tavola, diametro 50 cm
81. La clartĂŠ II, 2018/19, inchiostro di china, tavola, diametro 50 cm
82. Au milieu, 2018/19, inchiostro di china, tavola, diametro 50 cm
83. La raretĂŠ du cri, 2019, inchiostro di china, tavola, 50x50 cm
84. Le tremblement du corps entier, 2019 inchiostro di china, carta Arches, 103x153 cm
85. Étoile qui s’enfuit, 2019, inchiostro di china, carta Arches, 103x103 cm
86. Au bord du vide, 2019, inchiostro di china, carta Arches, 103x103 cm
87. L’instant qui oscille, 2019, inchiostro di china, carta Arches, 103x103 cm
88. Une plaine d’ombre, 2019, inchiostro di china, carta Arches, 103x103 cm
89. Une gĂŠomĂŠtrie qui tremble, 2019 inchiostro di china, carta Arches, 103x153 cm
90. Vaste rumeur, 2019, inchiostro di china, carta Arches, 103x103 cm
91. La lampe et c’est le noir, 2019 inchiostro di china, carta Arches, 103x153 cm
92. StabilitĂŠ du silence, 2019, inchiostro di china, carta Arches, 103x103 cm
93. Au-dessus du vide, 2019, inchiostro di china, carta Arches, 103x103 cm
94. OĂš courent les signes, 2019 inchiostro di china, carta Arches, 103x153 cm
Nota Biografica
Giulia Napoleone nasce nel 1936 a Pescara. Vive e lavora in un piccolo paese della Tuscia Viterbese, alternando frequenti permanenze in Svizzera. Dopo il diploma magistrale nel 1954 si avvicina alla pratica del disegno con lo scultore Ferdinando Gammelli. Nei primi anni Cinquanta, all’interesse per la pittura si affiancano quello per la musica, che coltiva con lo studio del violino, e per la fotografia. Nel 1957 si trasferisce a Roma, dove vivrà per lungo tempo, e si diploma presso il I Liceo Artistico. Nello stesso anno si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma e inizia a sperimentare le tecniche incisorie seguita dai maestri Lino Bianchi Barriviera e Mino Maccari. A Roma frequenta il vivace ambiente artistico-letterario (Flaiano, Carlo Levi, Mazzacurati) e dalla capitale si sposta per frequenti viaggi all’estero: Australia, Nord Africa, Sud della Francia, Olanda e Paesi Scandinavi. Nel 1963 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Numero di Firenze: una selezione di disegni in cui prendono corpo le inedite stimolazioni visive volte all’approfondimento dei temi più cari alla sua ricerca, il segno e la luce. Tema centrale di questi anni è la “ricerca di luce” che non si riduce a puro effetto geometrico, alla ripetizione di forme invariate e costanti, ma alla ricerca di un divenire naturale. Dal 1965 frequenta la Sala Studio della Calcografia Nazionale di Roma, aperta agli artisti dall’allora direttore Maurizio Calvesi. Nel 1967 il governo olandese le concede una borsa di studio che le offre la possibilità di specializzarsi nell’incisione presso il Rijkmuseum di Amsterdam. La carta si rivela il supporto preferito dall’artista sul quale interviene con l’inchiostro, l’acquarello, il pastello. Nei primi anni Settanta torna in Olanda, viaggia in Inghilterra e sperimenta l’utilizzo del sicoglass, una plastica durevole e trasparente. Parallelamente insegna all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Dopo le mostre personali alla Galleria dell’Obelisco a Roma (1973) e alla Galleria Menghelli a Firenze (1974) in cui espone lavori in sicoglass, disegni e incisioni, ritorna a studiare alla Calcografia: l’artista, che originariamente aveva inciso all’acquaforte e all’acquatinta, inizia a lavorare con il bulino e il punzone. Nel 1976 compie un viaggio negli Stati Uniti e in Canada per l’inaugurazione di una mostra personale a Toronto; al suo rientro in Italia, dà vita al ciclo di disegni a pastello dal titolo Labirinto della Memoria. A Urbino, frequenta un corso di xilografia e in seguito corsi di incisione calcografica con Renato Bruscaglia, che la introducono all’utilizzo della maniera nera. In questi anni Giulia Napoleone frequenta la Galleria dell’Arco, diretta da Giuseppe Appella e partecipa a intensi scambi tra artisti, poeti e letterati, instaurando una relazione col mondo della poesia antica e contemporanea. Da Lucrezio a Mallarmé, da Baudelaire a Sbarbaro, si susseguono cartelle e libri d’arte: «percorsi di emozioni che talvolta assomigliano a una stenografia lineare, alle soglie della scrittura». In particolare con Vanni Scheiwiller realizza insieme ad Appella un’edizione con quattro incisioni dal titolo Non vedo quasi nulla (1978) con due poesie di André du Bouchet. Il libro, esposto al Centre Georges Pompidou di Parigi in occasione di una mostra sulla poesia italiana nelle edizioni Scheiwiller, sarà il primo di un’intensa collaborazione con l’editore milanese. Nel 1980 realizza un ciclo di acquarelli in cui il colore azzurro rappresenta il filo conduttore. Durante gli anni Ottanta nascono lavori che approfondiscono la sua indagine sulla luce e sul colore che verranno esposti a Roma alla Galleria Il Segno (1980) e alla Galleria Il Millennio (1983). Nel 1983, inoltre, presso la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani a Milano si svolge un’importante rassegna antologica dell’opera grafica dell’artista, accompagnata da un volume pubblicato da Vanni Scheiwiller, con testo di Carlo Bertelli. Nel 1986 partecipa con tre grandi acquarelli all’XI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma (dove sarà invitata anche nel 1999). Dal 1987 al 1991 realizza un gruppo di disegni a inchiostro di china che si caratterizzano per l’irregolarità dei tagli compositivi e dai quali emerge un sentimento panico della natura. Nel 1992 lavora a un ciclo di acquarelli legati al tema dell’acqua. Nei disegni successivi torna al tema della luce, non più solare o fisica, ma intesa quale pura energia che si espande in direzioni molteplici. Da qui muove la decisione del bianco e nero, concepito come luce-colore, usato con minimi mezzi e con la massima intensità. Negli anni Novanta continua a 137
realizzare ed esporre incisioni, disegni a pastello, a china, a matite colorate; in particolare per le retrospettive a Le Locle in Svizzera (1990), a Roma (1992), a Bologna (1995). Nel 1996 espone a Firenze, presso la galleria Il Ponte, un gruppo di pastelli e 23 acquarelli inediti nella mostra La percezione della luce come emozione. Nel 1997 l’Istituto Nazionale per la Grafica le dedica una mostra personale che raccoglie gran parte della sua produzione grafica di cui acquisisce un cospicuo nucleo di opere. Nel 2001, a seguito di una donazione dell’artista, viene costituito il Fondo Giulia Napoleone al Museo Villa del Cedri di Bellinzona. Seguirà nel 2010 una donazione di incisioni e disegni a inchiostro di china al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze: lavori che documentano le diverse fasi di sviluppo del suo operare fra il 1963 e il 2003, di cui viene presentata in mostra una selezione. Nel 2002, nella sua seconda esposizione alla galleria Il Ponte, presenta un nucleo di dipinti ad olio su tela, dal titolo Mutano i cieli. Dal 2003 al 2009 vive in Siria dove ha incarico di docenza presso la Private University of Science and Arts di Aleppo. Nonostante l’attività didattica all’estero, partecipa a numerose mostre in Italia e in Europa: a Roma, all’Istituto Nazionale per la Grafica (2007), all’Associazione Mara Coccia (2007), all’Accademia di San Luca (2008); a Reggio Emilia, a Palazzo Magnani (2014) e in Svizzera, a Bellinzona al Museo Villa dei Cedri (2007, 2009, 2015). Sempre in Svizzera, la Galleria Stellanove di Mendrisio ospita nel 2011 una mostra di disegni a inchiostro di china e un libro d’artista a cura di Josef Weiss che dà inizio ad un’importante collaborazione editoriale con Giulia Napoleone. Nel 2014 la stessa galleria espone alcuni pastelli dell’artista insieme ad un libro di poesie di Alberto Nessi con sue incisioni (edizioni Il Bulino) e la riproduzione del manoscritto Tempi innocenti del 1980 con l’aggiunta di componimenti poetici di diversi autori (edizioni Pagine d’Arte), mentre l’Atelier di Josef Weiss presenta una scelta di libri d’artista e il volume Nero con versi di Lucrezio e disegni originali a inchiostro di china. Nel 2016 il Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara le dedica una sala espositiva in occasione della mostra collettiva Percorsi d’Arte Contemporanea. 15 Sale per 15 Artisti. Recentemente, nel 2017, propone una serie di dipinti a olio alla Galleria Contact di Roma (edizioni Kappabit) e l’inaugurazione è accompagnata da una performance d’improvvisazione per voce sola di Ludovica Manzo. Lo Spazio polivalente Arte e Valori di Giubiasco in Svizzera ospita una sua personale di pastelli su carta, seguita da una mostra di pitture a olio a cura di Loredana Müller, presso l’Areapangeart di Camorino, presentata da Maria Will, con l’intervento musicale di Walter Fähndrich per tutta la durata dell’esposizione. Sempre nel 2017, si tiene alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano una mostra sui suoi di libri d’artista e incisioni a cura di Alessandro Soldini, e la Calcografia Nazionale di Roma le dedica un’antologica di libri manoscritti, dal 1963 al 2017. Nel 2018, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ricompone il percorso artistico di Giulia Napoleone con una mostra antologica a cura di Giuseppe Appella. Centoquattro le opere (dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri d’artista, datati 1956-2018) selezionate per evidenziare la nascita e gli sviluppi di un preciso linguaggio formale: dei paesaggi interiori, dei paesaggi “di puntini”, come li definisce lei stessa, di quella ricerca sulla complessità semantica che domina la scena intellettuale e artistica degli anni Sessanta, in cui l’artista opera con la sua personalissima lettura del reale mediata dalla poesia. Nel 2020 la galleria Il Ponte di Firenze presenta nero di china. Mostra curata da Bruno Corà e corredata da un volume che ripercorre il suo lavoro con l’inchiostro di china fin dalla metà degli anni Cinquanta. Durante la sua carriera riceve numerosi riconoscimenti e dal 2007 è Accademico Nazionale di San Luca.
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Selected Biography
Giulia Napoleone was born in Pescara in 1936. She lives and works in a small village in Tuscia Viterbese, alternating with frequent stays in Switzerland. After finishing teacher training school in 1954, she approached drawing with sculptor Ferdinando Gammelli. In the early 1950s, her interest in painting was accompanied by a love for music, which she cultivated by learning to play the violin, and photography. In 1957 she moved to Rome, where she would live at length, and she finished art school. In the same year, she enrolled at the Academy of Fine Arts in Rome and started to try out engraving techniques, followed by maestros Lino Bianchi Barriviera and Mino Maccari. In Rome she frequented lively artistic and literary circles (Flaiano, Carlo Levi and Mazzacurati) and she often moved from the capital to travel abroad: to Australia, North Africa, southern France, Holland and Scandinavia. In 1963 she held her first solo exhibition at Galleria Numero in Florence with a selection of drawings that gave shape to unprecedented visual stimulations aimed at investigating her dearest topics of research: marks and light. The central topic of this period was her “search for light” which did not become a pure geometric effect, the repetition of unvaried and constant shapes, but the search for a natural becoming. In 1965 she began to frequent the Sala Studio della Calcografia Nazionale in Rome, opened to artists by then director Maurizio Calvesi. In 1967, the Dutch government granted her a scholarship which enabled her to specialize in engraving at the Rijkmuseum in Amsterdam. The artist discovered paper to be her favourite medium, intervening on it with ink, watercolours and pastel. In the early 1970s, she returned to Holland, travelled around Britain and experimented the use of sicoglass, a durable and transparent plastic. In parallel, she taught at the Academy of Fine Arts in L’Aquila. After solo exhibitions at Galleria dell’Obelisco in Rome (1973) and Galleria Menghelli in Florence (1974) where she displayed works in sicoglass, drawings and engravings, she went back to study at the Calcografia Nazionale: the artist, who had originally etched and used aquatint, started to work with a burin and punch. In 1976, she went on a trip to the United States and Canada for the inauguration of a solo show in Toronto; upon returning to Italy, she began a cycle of pastel drawings entitled Labirinto della Memoria. She attended a course on wood engraving in Urbino, and then courses on calcography with Renato Bruscaglia, which introduced her to using mezzotint. In this period, Giulia Napoleone frequented Galleria dell’Arco, directed by Giuseppe Appella, and took part in intense exchanges between artists, poets and literati, establishing a relationship with the world of ancient and contemporary poetry. From Lucretius to Mallarmé, Baudelaire to Sbarbaro, it gave rise to a series of engraving portfolios and art books: “emotional journeys that sometimes resemble a linear stenography, on the verge of writing”. In particular, with Vanni Scheiwiller she and Appella made a book entitled Non vedo quasi nulla (1978) with four engravings and two poems by André du Bouchet. The work, on display at the Centre Georges Pompidou in Paris on occasion of an exhibition on Italian poetry published by Scheiwiller, would mark the start of an intense partnership with the Milanese publishers. In 1980 she made a series of watercolours all linked by the colour azure. During the 1980s, she created works that furthered her investigation into light and colour, which would be displayed in Rome at Galleria Il Segno (1980) and Galleria Il Millennio (1983). Furthermore, in 1983, an important anthological collection of the artist’s graphic work was displayed at the public library in Palazzo Sormani in Milan, accompanied by a volume published by Vanni Scheiwiller, with a text by Carlo Bertelli. In 1986 she took part with three large watercolours in the XI Quadriennale Nazionale d’Arte in Rome (where she would again be invited in 1999). From 1987 to 1991 she made a set of Indian ink drawings which stood out thanks to the irregular shapes of the compositions, communicating a Pan-like feeling of nature. In 1992 she worked on a series of watercolours linked to the theme of water. Following this, the topic of light returned to her drawings. No 139
longer solar or physical, it was instead meant as pure energy which expands in multiple directions. This gave rise to her decision to concentrate on black and white, conceived of as colour and light, using minimal means for maximum intensity. In the 1990s, she continued to make and display engravings and pastel, Indian ink and coloured pencil drawings, in particular, for the retrospectives at Le Locle in Switzerland (1990), Rome (1992) and Bologna (1995). In 1996 she exhibited a group of pastels and 23 brand new watercolours at Galleria Il Ponte in Florence in the exhibition La percezione della luce come emozione. In 1997 the Istituto Nazionale per la Grafica dedicated a solo show to her that gathered together a large part of her graphic production, and bought up a large amount of her works. In 2001, following a donation from the artist, the Fondo Giulia Napoleone was set up at the Museo Villa del Cedri in Bellinzona. This would be followed in 2010 by a donation of engravings and Indian ink drawings to the Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi in Florence: works documenting the different phases in the development of her oeuvre between 1963 and 2003, a selection of which are presented in this exhibition. In 2002, in her second exhibition at Galleria Il Ponte, she presented a set of oil paintings on canvas entitled Mutano i cieli. From 2003 to 2009 she lived in Syria where she taught at the Private University of Science and Arts in Aleppo. Despite her teaching activities abroad, Giulia Napoleone took part in numerous exhibitions in Italy and Europe: in Rome at the Istituto Nazionale per la Grafica (2007), at the Associazione Mara Coccia (2007), at the Accademia di San Luca (2008); at Palazzo Magnani in Reggio Emilia (2014) and at the Museo Villa dei Cedri in Bellinzona, Switzerland (2007, 2009, 2015). Again in Switzerland, in 2011 the Galleria Stellanove in Mendrisio hosted an exhibition of Indian ink drawings and an artist’s book edited by Josef Weiss which marked the start of important publishing ties with the artist. In 2014 the same gallery exhibited some pastels by the artist together with a book of poems by Alberto Nessi with her engravings (published by Il Bulino) and the reproduction of the manuscript Tempi innocenti from 1980 accompanied by poetic compositions by various authors (published by Pagine d’Arte), while Josef Weiss’ Atelier presented a selection of artist’s books and the volume Nero with verses by Lucretius and original Indian ink drawings. In 2016 the Museo delle Genti d’Abruzzo in Pescara dedicated a room to her on occasion of the group exhibition Percorsi d’Arte Contemporanea. 15 Sale per 15 Artisti. Recently, in 2017, she proposed a series of oil paintings at Galleria Contact in Rome (Edizioni Kappabit) and the inauguration was accompanied by an improvised performance by the solo voice Ludovica Manzo. The Spazio Polivalente Arte e Valori in Giubiasco in Switzerland hosted a solo show of the artist’s pastels on paper, followed by an exhibition of oil paintings curated by Loredana Müller, at Areapangeart in Camorino, presented by Maria Will, with musical performances by Walter Fähndrich for the whole duration of the exhibition. Again in 2017, a show of her artist’s books and engravings, curated by Alessandro Soldini, was held at the Biblioteca Salita dei Frati in Lugano, and the Calcografia Nazionale in Rome held an anthological exhibition of her manuscript books from 1963 to 2017. In 2018, the Galleria Nazionale d’Arte Moderna in Rome retraced Giulia Napoleone’s artistic career with an anthological exhibition curated by Giuseppe Appella. The works on display numbered 104 (paintings, sculptures, drawings, engravings and artist’s books dated 1956-2018) and were selected to highlight the birth and developments of a precise formal language: of inner landscapes, landscapes “of dots” as she herself describes them, that research into semantic complexity which dominated the intellectual and art scene in the 1960s, when the artist made with her very personal, poetry-mediated reading of reality. In 2020, Galleria Il Ponte in Florence is presenting nero di china, an exhibition curated by Bruno Corà and accompanied by a volume that retraces her work with Indian ink since the mid-1950s. She has received numerous awards during her career and has been a National Academic at San Luca since 2007. 140
Dario Durbé, Giulia Napoleone, catalogo della mostra, Galleria Numero, Firenze, 1963.
Bibliografia selezionata Selected Bibliography
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Finito di stampare nel gennaio duemilaventi dalla tipografia Bandecchi & Vivaldi di Pontedera per i tipi de Gli Ori editori in Pistoia In occasione della mostra Giulia Napoleone: nero di china organizzata dalla galleria Il Ponte di Firenze