Tango del ritorno

Traduzione di

Ilide Carmignani

Lo rivide verso sera, Carlitos giocava col trenino elettrico e Flora canticchiava bagualas al pianterreno, la casa nuovamente abitata sembrava proteggerla, aiutarla a dubitare, a dirsi che Milo era più alto e più robusto, che forse la sonnolenza dell’ora della siesta, la luce accecante. Ogni tanto si allontanava dal televisore e tenendosi più lontano possibile guardava fuori dalla finestra, mai la stessa ma sempre dal piano di sopra perché a livello della strada avrebbe avuto più paura.

Quando lo rivide era quasi nello stesso punto ma dall’altro lato del tronco, annottava e la sagoma svaniva fra la gente che passava parlando, ridendo, Villa del Parque usciva dal letargo e andava nei caffè e al cinema, cominciava lentamente la serata del quartiere. Era lui, non si poteva negare, quel corpo senza cambiamenti, il gesto del braccio che portava la sigaretta alla bocca, le punte del fazzoletto bianco, era Milo che lei aveva ucciso cinque anni prima, dopo essere scappata dal Messico, Milo ucciso su documenti creati grazie a bustarelle e complicità in uno studio di Lomas de Zamora dove aveva ancora un amico d’infan-

zia disposto a tutto per soldi ma forse anche per amicizia, Milo che aveva ucciso con un infarto in Messico per Germán, perché Germán non era uomo da accettare qualcos’altro, Germán e la sua carriera, i suoi colleghi e il suo club e i suoi genitori, Germán per sposarsi e metter su famiglia, la villa e Carlitos e Flora e l’automobile e la casa di campagna a Manzanares, Germán e un mucchio di soldi, la sicurezza, allora quasi senza pensarci, dopo il secondo incontro con Germán a casa dei Recanati, stufa di miseria e di attesa, la decisione di andare a Lomas de Zamora per confidarsi con quello che sulle prime aveva detto di no, che era uno sproposito, non si poteva fare, ci volevano tanti pesos, vabbè, in quindici giorni, d’accordo, Emilio Díaz morto in Messico per un infarto, quasi la verità perché lei e Milo avevano vissuto come morti in quegli ultimi mesi a Coyoacán, finché quell’aereo non l’aveva riportata alle sue cose a Buenos Aires, a tutto ciò che era stato anche di Milo prima di andare insieme in Messico e di distruggersi a poco a poco in una guerra di silenzi e inganni e stupide riconciliazioni che 25

perdersi in un torpore rotto dai sogni dove Milo non c’era mai però ecco al mattino il grido sentendo la mano di Carlitos che voleva farle una sorpresa, il pianto di Carlitos offeso e Flora che lo portava a fare una passeggiata, chiudi bene la porta, Flora. Alzarsi e rivederlo lì, che guardava dritto alle finestre senza la minima espressione, tirarsi indietro e più tardi spiare dalla cucina e nulla, rendersi conto per la prima volta che era chiusa in casa e che non poteva andare avanti così, che prima o poi sarebbe dovuta uscire per portare Carlitos dal pediatra o vedere Perla che telefonava ogni giorno e si innervosiva e non capiva. In quell’asfissiante pomeriggio arancione Milo appoggiato all’albero, il giubbotto nero con quel caldo, il fumo che saliva e si sfilacciava. Oppure soltanto l’albero ma sempre Milo, sempre Milo a qualunque ora che scompariva un po’ con le pillole e la televisione fino all’ultimo programma.

Il terzo giorno Perla si presentò senza avvisare, tè e scones e Carlitos, e Flora approfittò di un momento a quattr’occhi con lei per dirle che così non andava, la signora Matilde ha bisogno

di distrarsi, passa le giornate chiusa in casa, io non capisco, signorina Perla, glielo dico anche se non dovrei, e Perla sorridendole nell’office fai bene, ragazza mia, lo so che sei molto affezionata a Matilde e a Carlitos, secondo me è molto depressa per l’assenza di Germán, e Flora niente, a testa china, la signora ha bisogno di distrarsi, io glielo dico anche se non dovrei. Un tè e i soliti pettegolezzi, nulla di sospetto in Perla, ma allora Milo come aveva fatto, impossibile che la madre dei Recanati fosse rimasta in silenzio così a lungo se sapeva, anche solo per il piacere di aspettare Germán e dirglielo in faccia, in nome di Dio o qualcosa del genere, ti ha ingannato perché la portassi all’altare, quella strega avrebbe detto esattamente così, e Germán sarebbe caduto dalle nuvole, non può essere, non può essere. Invece sì, solo che adesso lei non aveva nemmeno la conferma di non aver sognato, sarebbe bastato andare alla finestra ma con Perla no, un’altra tazza di tè, domani andiamo al cinema, te lo prometto, passa a prendermi in macchina, non so che mi prende in questi giorni, è meglio che 31

Tutto divenne futuro, un po’ come le pagine che le mancavano in quel romanzo abbandonato a faccia in giÚ su un divano.