Il giorno in cui RITORNANO
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assolutamente normale avere paura ed essere confusi. Lo sono anch’io che sono nata tra queste cose. Oggi, per noi, è il giorno più importante dell’anno. È così che funziona. Non so dirti perché, bisogna solo accettarlo»
«E devo accettare… cosa?» chiese Neri.
«Il giorno in cui ritornano, almeno è così che lo chiamiamo fra noi. È il giorno in cui i morti tornano in vita. Succede ogni anno, solo l’11 novembre. E solo nelle case nuove, per quanto ne sappiamo»
«Io…»
«Ascoltami. Innanzitutto non c’è niente da temere. Non sono gli zombi di Romero affamati di carne. Non sono cattivi, non vogliono farci del male. È una cosa con cui dobbiamo convivere senza raccontarla in giro, altrimenti sarebbero guai. Ci verrebbero a sezionare vivi, o peggio. Quindi è categorico che tu non dica niente a nessuno».
Universale d’Avventure e d’Osservazioni
Il giorno in cui ritornano
ISBN 978-88-3624-810-0
Prima edizione novembre 2022 ristampa 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022 © 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma
© 2022 Tarek Komin Pubblicato in accordo con Otago Literary Agency
Per i testi citati: P. 5: Cormac McCarthy, La strada, traduzione di Martina Testa, © 2007 Einaudi, Torino Robert Harris, Fatherland, traduzione di Roberta Rambelli, © 2017 Mondadori, Milano Seneca, Lettere a Lucilio, a cura di Fernando Solinas, © 2018 Mondadori, Milano
P. 99: Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, traduzione di Furio Jesi, © 2002 Garzanti, Milano
Se non riesci a procurarti un nostro titolo in libreria, ordinalo su: galluccieditore.com
Il marchio FSC® garantisce che questo volume è realizzato con carta pro veniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile e da altre fonti controllate, secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
L’FSC® (Forest Stewardship Council®) è una Organizzazione non gover nativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su https://ic.fsc.org/en e https://it.fsc.org/it-it
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Domanda: che differenza c’è tra ciò che non sarà mai e ciò che non è mai stato? Cormac McCarthy, La strada
Gli era bastato sapere che c’era la possibilità di un’altra esistenza: e quel giorno era stato sufficiente. Robert Harris, Fatherland
La maggior parte degli esseri umani oscilla miserevolmente tra la paura della morte e i crucci della vita: non sa vivere, non vuole morire. Seneca, Lettere morali a Lucilio
Gli abitanti delle case nuove di Holzbrücke
I Cosmi
Gabriele Neri Luna I Van Leewen Elmo Isaac Willem
I Buchwald Adele
I Molzer Tamino Leonore
Zammert Agnese
I Tӑnase
Bertha Tӑnase
Bussarono alla porta. Le spalle di Adele ebbero un piccolo sussulto.
L’aria della cucina era calda, carica di odori. In tavola un’in cantevole esposizione di piatti: la Zwiebelkuchen, la torta salata di cipolle, riempiva un vassoio, e accanto c’era la Weckewerk fatta con molte salsicce: il tocco personale della cuoca. E poi il pane nero, adagiato in un cestino, contrastava con lo sbuffo va poroso di tovaglioli candidi. Infine, sul ripiano sotto la finestra appannata, riposava in paziente attesa la torta di ciliegie e pan di Spagna.
Bussarono ancora. Questa volta più forte. Due colpi, secchi.
Fuori doveva fare molto freddo perché sugli alberi, almeno quelli visibili dalla finestra, i cristalli di ghiaccio non si erano an cora sciolti. E sarebbero rimasti tutta la notte a riflettere le flebili luci di novembre.
Adele si avvicinò alla porta lentamente, ravviandosi i capelli e disegnando sulle labbra un sorriso che fosse il più naturale pos sibile.
La aprì.
Il giorno in cui ritornano
«Scusami, tesoro» disse Hermann varcando la soglia. «Ho dimenticato le chiavi». Fece anche il gesto di tastarsi le tasche: le mani screpolate scivolarono sul lungo cappottone frusto. Adele lo aiutò a svestirsi. Mentre appendeva il soprabito, prese a tremare.
Suo marito, intanto, ammirava la tavola. «Mmm salsicce» e già si stava accomodando.
«Hermann, per favore, lavati le mani».
Fu tutto ciò che riuscì a dire, forzando ancora il sorriso per distogliere l’attenzione di lui dai suoi occhi lucidi.
«Già, scusami, tesoro».
Dal bagno le chiese qualcosa, probabilmente come fosse an data la giornata. Non aveva perso la sua peculiare, burbera tene rezza.
Adele era ancora in piedi nell’ingresso, a godersi quella scena di vita quotidiana. Il semplice e banale rientro a casa di suo ma rito.
Eppure, lui era morto sei anni prima.
1.
In passato, Holzbrücke era stata spesso sbrigativamente de finita con un’unica frase: «Piccola città ai margini della Foresta Nera». Una veduta aerea dimostrava in realtà quanto quella de scrizione fosse inesatta. Gli alberi infatti non si limitavano a sfio rare le ultime case, ma parevano quasi volersi insinuare tra di esse, dall’alto, come una ciocca ribelle. Ecco, Holzbrücke era una brutta stempiatura con qualche quercia e faggio impertinente a recitare la parte di un taglio demodé.
E quella fronte irregolare, sempre se vista dall’alto, era sol cata da una cicatrice, il fiume Brüllen, che entrava e usciva dal bosco e che, seppur modesto, ingrossava gli argini proprio men tre attraversava la città, in cerca di rispetto. Era esile e dalle acque scure, ma di lungo corso. Sbocciava dai monti all’interno della Foresta, come tanti altri fiumi, e poi, dopo aver attraver sato Holzbrücke, tornava a celarsi tra gli alberi, fino a sparire in un rigagnolo sotterraneo, quasi a nascondere la testa sotto la roccia. Fenomeno raro, nobilitato da qualche idrografo locale
Il giorno in cui ritornano con la teoria che il Brüllen, sotto terra, proseguisse il suo iter per incontrarsi infine con il Brigach, il torrente che insieme al Breg dà vita al Danubio.
Che il Brüllen fosse un lontano antenato del fiume più importante d’Europa era motivo d’orgoglio per gli abitanti di Holzbrücke, poiché nelle sue acque cupe intravedevano riflesse glorie di capitali e imperatori. Ma il Brüllen era anche e soprattutto altro.
Era il confine.
Il limite naturale solcato da un ponte tra le cosiddette case vecchie e quelle nuove. Le prime, a valle rispetto al fiume, sorge vano sulle ceneri dell’antico agglomerato cittadino, consegnato alla forza purificatrice delle fiamme come mossa tardiva contro la pandemia di peste che, a metà del 1300, aveva colpito gran parte d’Europa. Ricostruita, Holzbrücke aveva per un po’ godu to di un isolamento prospero e, a confermare fiducia nel futuro ed esorcizzare paure ataviche, erano stati innalzati il ponte e il pugno di case più vicine alla Foresta, le case nuove, appunto.
Il paradosso? Di lì a poco, due violente inondazioni del Brüll en avrebbero spazzato via quasi l’intero abitato, risparmiando proprio le nuove costruzioni che da quel momento sarebbero rimaste le più antiche della cittadina. Nei tre secoli successivi, nonostante fossero stati rafforzati gli argini e il fiume avesse man tenuto per quasi tutto il tempo la parvenza di un timido e inof fensivo torrente, ci furono altri cinque straripamenti, di cui due talmente devastanti che costrinsero gli abitanti della zona delle case vecchie a ricostruire molti edifici in momenti diversi e con
stili architettonici, materiali e colori variegati. Poi il Brüllen si era affievolito, conservando solo nel colore tetro delle sue acque i ricordi di un passato violento e le minacce di future inquietudini.
Neri Cosmi stava leggeva di queste e altre disgrazie dalla guida di Holzbrücke che suo padre, Gabriele, aveva involontariamente lasciato cadere a terra, sulla consunta moquette dell’aereo. Aveva tredici anni. Non si trattava del suo primo volo, ma di certo era il più lungo. Socchiuse il libro e sbirciò suo padre che si dibatteva tra il sonno stimolato dal rollio e la scomodità del sedile. Trovava buffo il movimento delle palpebre dietro gli oc chiali tondi, e divertenti gli scatti improvvisi del collo che cedeva al peso del capo. Mentre si sistemava le cuffie del walkman sulle orecchie, passò a guardare sua sorella. La piccola Luna, poco più di un anno, dormiva nel sedile al centro. Rassicurato dal vederla così tranquilla, alzò leggermente il volume della musica e tornò con gli occhi fuori dal finestrino, facendosi rapire dalle nuvole che sfioravano la fusoliera e che parevano enormi cuscini bian chi, deformati da pugni violenti e silenziosi. Trascorse qualche minuto in quel modo, assorto nella visione lattea e inconsistente del cielo, quando, sentendosi osservato, si voltò verso il padre, che si era svegliato del tutto.
Gabriele gli porse una gomma da masticare. «Sai, per l’atter raggio, la pressione…»
«Sì, sì, lo so» tagliò corto Neri, togliendosi le cuffie.
«Che ascolti?»
«Una compilation».
Gli allungò la custodia della musicassetta, passando una mano sopra il fagotto di maglie, cappotto e plaid da dove spuntava la testa minuta di Luna.
«Nirvana, Nirvana… ancora Nirvana» commentò Gabriele. «Sai, una compilation dovrebbe contenere più gruppi».
Non era sicuro che fosse proprio così, quindi forzò un sorriso.
«No, le compilation possono avere anche canzoni dello stesso gruppo ma che fanno parte di album diversi. Vedi? Le prime sono tutte di Nevermind, che è il migliore. Poi queste sono del live di MTV… Ma mi stai ascoltando?»
«Certo».
Neri gli riprese la custodia dalle mani, continuando a parlare con voce dolce e paziente.
«Questa l’ha fatta Lorenzo. Me l’ha regalata prima di partire, proprio per il viaggio!»
Lorenzo era il primogenito dei Barbieri, da sempre vicini di casa dei Cosmi. Neri lo considerava il suo miglior amico, anche se era un po’ più grande di lui. Soprattutto in quel difficile ultimo anno, gli era stato a fianco con affetto.
«È rock?» chiese Gabriele, interrompendo il silenzio del figlio che stava pensando a Lorenzo.
«Grunge, papà»
«Già, che vuoi che ne sappia io»
«Tu ascolti ancora i Beatles!»
Gabriele sorrise. Gli piaceva quando Neri lo prendeva un po’ in giro.
«Dài, ti lascio al tuo… grunge».
Il ragazzo gli fece una smorfia e si rimise le cuffie. Appoggiandosi allo schienale, Gabriele si tolse per un attimo gli occhiali, come faceva sempre quando voleva riposarsi. Neri sorrise tra sé. Negli ultimi tempi gli era capitato di domandarsi sempre più spesso come fosse stato suo padre quando aveva la sua età. Sentiva di assomigliarli, ma al contempo questo gli suonava strano. Avevano la stessa curiosità, lo stesso modo di in dagare ogni cosa del mondo fino alle radici. Ma Neri si sentiva ancora più serio e preciso di lui. Forse, semplicemente, ciò che li aveva investiti in quell’ultimo anno aveva indurito i suoi giudizi. Oppure dipendeva dal fatto di essere appena entrato nell’adole scenza: che stesse iniziando a venire travolto dai cambiamenti di cui aveva tanto sentito parlare? Sarebbe quindi diventato ancora più simile al babbo, crescendo?
Gli sembrò così stanco, appoggiato in quel modo allo schie nale a lottare col sonno, che quasi provò un senso di tenerezza e d’imbarazzo. Non voleva pensare a lui in quel modo. Forse la mamma lo avrebbe deriso per i suoi sforzi di tenere gli occhi aper ti, ma Neri non aveva ereditato la sua esuberanza e, in quel mo mento, il padre gli appariva d’improvviso debole e senza difese.
Anche se si sbagliava, e lo sapeva. La scelta di vita che avevano appena fatto era frutto della volontà di suo padre e di quanto era bravo nel suo lavoro.
Gli aveva raccontato che l’azienda per cui lavorava era in forte crescita. Dall’Italia aveva già allungato tentacoli negli Stati Uniti e in Portogallo, e ora era la volta della Germania, finita nel mirino non solo come nuovo mercato, ma come cuore pulsante di un
Il giorno in cui ritornano modo moderno di interpretare la scienza farmaceutica. Gabriele usava spesso quell’immagine dei tentacoli e Neri si divertiva a collegare la multinazionale del padre all’idea di un grosso e viscido polpo attaccato a un mappamondo, con la testa a Firenze e le ventose appiccicose saldamente aggrappate su New York e Lisbona. E ora tese verso la nazione tedesca. Alla legittima domanda di Neri, sul perché la ventosa del polpo non puntasse a Berlino, Gabriele aveva risposto che la sua azien da aveva scelto la regione di Holzbrücke non casualmente. Nel giro di tre o quattro anni, nell’area sarebbero nati un importante polo di ricerca su innovative molecole sperimentali e un ospedale all’avanguardia per la cura di patologie gravi. «E i tuoi capi come lo sanno? Leggono nel futuro?» aveva incalzato Neri. Lui ave va ammesso di non conoscere la risposta. Il polpo, quindi, oltre che grande e appiccicoso era anche misterioso. Suo padre aveva però dichiarato che non era quello che contava. L’importante sa rebbe stato avere in mano i contatti giusti quando fosse arrivato il momento. Era l’unico modo di ottenere un piccolo vantaggio nei confronti di rivali più strutturati e dal conto in banca decisa mente più solido. Altri mostri, altri polpi giganti. Agire per tem po. Prevedere, sviluppare accordi e magari fruttuose prelazioni, organizzare una rete vendita, terzisti. Ma mentre suo padre pro seguiva col discorso, fatto di parole noiose e progetti umani, il polpo aveva già perso un po’ del proprio fascino. Non era affatto un’intrigante creatura misteriosa: era costituita di azioni concrete e impegni quotidiani, che sarebbero gravate sulle affidabili spalle di Gabriele. Non tanto diverso, dopotutto, da ciò che accadeva in
Toscana. A parte il fatto che dovevano trasferirsi in Germania e probabilmente restarci per un tempo abbastanza lungo.
Neri pensò ai suoi genitori: a suo padre e al suo primo lavoro che, anni prima che lui nascesse, lo aveva costretto a trasferirsi a Bolzano dai nonni materni, dove aveva perfezionato il tedesco, e poi si focalizzò sulla madre, altoatesina e bilingue dalla nascita. Fin da quando era piccolo gli aveva parlato in tedesco per fargli imparare un’altra lingua, quella che, anche a Firenze, avvertiva forse più vicina a sé. C’era dolcezza in quell’idioma per molti suoi compagni di scuola duro. Quando lei lo andava a prendere all’uscita, ogni tanto lo salutava in tedesco e lui provava un di sagio inspiegabile, un imbarazzo vago nel percepirsi in qualche modo diverso. Ignorava che un giorno si sarebbe sentito in colpa per quell’imbarazzo. Tuttavia, ora che la Germania lo attendeva, conoscere la lingua per la quale i suoi vecchi amici lo prendevano in giro si sarebbe rivelato molto utile.
Dopo aver attraversato il ponte sul Brüllen, il taxi rallentò da vanti a quella che sarebbe stata la loro casa per un periodo inde finito, se non addirittura per sempre. Era una delle cosiddette case nuove e, dietro al suo profilo, il bosco appariva già come un fresco respiro.
Era l’ultimo giorno di agosto del 1996 quando arrivarono a Holzbrücke. Neri, dal finestrino, guardò la casa tremare nel ri flesso delle ultime luci del tramonto. Poi di buon grado si avviò in avanscoperta nel vialetto, mentre il padre scaricava i bagagli e congedava il tassista.
Le luci delle case nuove cominciavano ad accendersi. Non erano molti edifici ed erano sparpagliati qua e là. Neri pensò subito che non avrebbero avuto dei veri vicini come quelli di Firenze. Fu distratto dal richiamo del padre che, con Luna che gli piangeva in braccio, non poteva trascinare dentro le valigie.
Si era incantato a osservare quella nuova casa con i suoi due piani, il legno scuro che rivestiva la facciata, un tetto più acuto di quelli fiorentini, i vetri delle poche finestre aperte velati da tende bianche che nascondevano cosa accadeva all’interno. Il padre lo chiamò ancora e Neri lo aiutò finalmente con i bagagli.
«Per fortuna già da lunedì avremo questa Greta a darci una mano» disse Gabriele.
«Speriamo sia forte e robusta, così non dovrò più spostare tutta questa roba!»
«E dài, su»
«Scusa, babbo…» rispose, ansimando per la fatica.
«Dobbiamo essere gentili con lei. L’azienda ci fa un bel favore a mandarci una persona del posto che ci aiuti con la casa e anche con il tedesco. Un ripasso non ti farebbe male!»
Appena entrati, Neri fu come abbagliato dall’immagine po tente di sua madre. Strinse gli occhi d’istinto, per scacciare quel brusco ricordo. Poi, lentamente, sollevò le palpebre con la consa pevolezza di ritrovarsi in un ambiente estraneo, un ambiente che la madre, Marie, non avrebbe mai conosciuto.
Squadrò allora l’ingresso con attenzione maniacale, quasi lo facesse per due, anche per lei, che di quella cassettiera scrostata o delle scale consumate chissà cosa avrebbe pensato.
2.
La governante si era rivelata più o meno come Neri se l’era immaginata: alta e imponente. A contraddire l’aspetto rude, ave va sin da subito mostrato una dedizione e una gentilezza rari, presentandosi prestissimo al mattino, addirittura prima che lui e Gabriele si svegliassero. Con Luna, poi, era stato amore a prima vista, la riempiva di baci e attenzioni ogni volta le si presenta va l’occasione. Baumwollkugeln, la chiamava. Il suo tenero, ir resistibile, batuffolo di cotone. La bambina pareva apprezzare, mentre, dentro di sé, Neri sogghignava pensando a come si sa rebbe comportato se tutte quelle premure fossero state indiriz zate a lui.
Greta aveva subito fornito ai Cosmi un quadro completo del vicinato, che conosceva bene seppur non abitasse nel quartiere. Nella casa più prossima alla loro c’erano i Molzer, il ritratto della famiglia tipo: genitori con due figli, maschio e femmina. Poi c’era la casa della vedova Buchwald e, a seguire, quella dei fratelli olandesi, i Van Leewen. Un’anziana signora che si chia mava Bertha Tӑnase viveva immersa nel bosco, mentre alcuni edifici disabitati completavano la zona delle case nuove. Uno di questi, a detta di Greta, sembrava così cadente da essere inagi bile.
Per Neri tutto era nuovo. I racconti di Greta, che le usciva no dalla bocca colma di dolci che lei stessa aveva preparato per colazione, lo divertivano, ma l’idea di andare a scuola lo preoc cupava. E, in quella prima mattina, lo stesso sembrava valere per
Il giorno in cui ritornano
Gabriele nei confronti del lavoro. Neri guardava suo padre vagare incerto per stanze sconosciute. Entrambi dovevano ancora ambientarsi.
Il secondo giorno, finita la colazione, Gabriele salì in camera più teso del solito, dicendo di voler iniziare a preparare i bagagli per il viaggio della mattina dopo: la sua prima trasferta da quan do erano arrivati a Holzbrücke.
Greta aveva finito di sparecchiare e ora cullava Luna nella luce dorata della finestra, bisbigliandole qualcosa di incompren sibile all’orecchio.
La piccola sorrideva e Neri si mise a spiare la scena appoggia to allo stipite della porta. Doveva esserci sua madre lì, non una tedesca sconosciuta.
Per fortuna il padre tornò di sotto e alleggerì, forse volontaria mente, quell’atmosfera malinconica.
«Allora, Greta! Come va? Tutto bene? Come sta la mia picco la raumwollkugel?»
La governante sorrise.
«Baumwollkugeln, signor Cosmi»
«Eh, io cosa ho detto? Raumwollkugel».
Greta non riuscì a trattenere le risate.
«Raumwollkugel significa qualcosa come palla di lana dello spazio. Baumwollkugeln, invece, batuffolo di cotone»
«Cotone, lana… sempre lì stiamo, no? Va bene, ho capito, vi lascio sole»
A quel punto, anche Neri scoppiò a ridere.
3.
La sera, a cena, regnava il silenzio. Gabriele sembrava non avere molta voglia di parlare.
«Pensi alla mamma?» Fu Neri a iniziare la conversazione in un’inconsueta inversione dei ruoli e, oltretutto, in modo molto diretto.
Marie.
Era un argomento che entrambi affrontavano a fatica, forse perché era trascorso ancora poco tempo. Nella logica di Gabrie le, probabilmente, il trasloco, il Paese sconosciuto con le nuove responsabilità professionali da affrontare, costituivano il modo più istintivo di ignorare il dolore. Ma, per Neri, quanto questa nuova vita era semplicemente una fuga?
E così l’imbarazzo era lì, sospeso sul tavolo della cena.
«Cosa?» chiese Gabriele.
«Stai pensando alla mamma?»
«Tu ci pensi spesso?»
«È normale…»
«Vuoi parlarne? Avresti preferito restare in Italia?»
I ruoli si erano invertiti di nuovo.
«Non lo so, forse è normale anche questo. La scuola, dei nuo vi compagni. Qui non c’è Lorenzo…»
Gabriele sorrise. Scese ancora il silenzio, le posate tintinnava no appena sui piatti di ceramica.
«Sei nervoso per il viaggio di domani?»
«Tu sei nervoso per quando ti toccherà andare a scuola qui?»
Gabriele sembrò subito pentito di questa risposta veloce. Neri gli lanciò uno sguardo diretto, più curioso che risentito. Perché suo padre era così inquieto?
«Scusami, Neri».
Quindi raccontò al figlio che quella mattina aveva fatto una passeggiata tra le case nuove per presentarsi ai vicini. Aveva bus sato alla porta di Adele Buchwald senza ottenere risposta e si era poi diretto a casa dei Van Leewen, dove aveva ricevuto un’acco glienza alquanto strana e aggressiva.
«Non mi hanno fatto entrare, capisci? Elmo Van Leewen mi ha scambiato per un venditore! E qualcun altro dall’interno mi ha mandato al diavolo, gridando di andarmene»
«Ma tu sei un venditore».
Gabriele accennò un sorriso.
«Sì, ma non vado porta a porta a rompere le scatole. Ero lì per presentarmi, per gentilezza. E mi hanno scacciato, in modo mol to maleducato. Forse avrei dovuto portare qualcosa? Dopotutto ero a mani vuote»
«Non so come funzioni qua in fatto di buone maniere, non l’ho trovato scritto da nessuna parte»
«Già. Mi sono sembrati un po’ strani»
«Eppure nel tuo lavoro i rifiuti sono la normalità».
Neri gli fece un occhiolino. Si ricordava bene delle volte in cui si sfogava con la mamma per le porte in faccia ricevute dai clienti. E di come allo stesso tempo traesse forza da quei no, sostenendo che fossero formativi, utili, costruttivi.
«Quelli però non sono rifiuti personali. Non vanno presi sul
personale, insomma» rispose il padre, ripetendo un concetto che aveva esplicitato innumerevoli volte. E quindi sorrise, ras-serenandosi.
Anche Neri sorrise: non c’era motivo di fissarsi su quelle stupidaggini, in fondo non era successo niente. Perché rovinarsi la giornata per una piccolezza? Magari erano gli olandesi a essere strani.
Ci fu un ultimo istante di silenzio, poi Gabriele si alzò per sparecchiare, ma tradendo una premura eccessiva per quelli che in fondo erano semplici gesti quotidiani.
4.
Il giorno dopo Gabriele partì di buonora. Neri decise che nel pomeriggio sarebbe andato a esplorare il quartiere. Magari incontrando gli olandesi o esaminando più da vicino la loro casa avrebbe potuto valutare meglio la situazione. Suo padre, senza dubbio, soffriva più di quel che dava a vedere. Ma quanto stava male davvero? Riempì lo zaino con oggetti probabilmente inutili che nella sua fantasia ormai accesa, in cui si immaginava come un no vello Indiana Jones, si sarebbero invece potuti rivelare indi spensabili: un temperino spuntato, una corda recuperata dal trasloco, accendino e fiammiferi trafugati in cucina, una bus sola che lui e suo padre avevano montato pezzo per pezzo, con orgogliosa fatica, dopo averla ricevuta con una rivista per cor rispondenza.
Era pronto per il Tempio Maledetto, la casa dei Van Leewen. E il cielo grigio contribuiva a creare l’atmosfera.
Dall’esterno la casa dove vivevano gli olandesi non sembrava diversa dalle altre, pietra, legno e un tetto solido e scuro. Naturale, dovevano mantenere le apparenze: se c’era un segreto da nascondere era di sicuro ben celato dentro le mura. Neri comin ciava a divertirsi. Doveva agire e scoprire il mistero. Per prima cosa sarebbe stato saggio esaminare il perimetro della casa. E poi? Avrebbe osato bussare?
Ignorò il viale che conduceva ai gradini d’ingresso e si adden trò tra l’erba alta, dietro una siepe poco curata, ombreggiata dai faggi, che costeggiava l’edificio, e poi, bussola alla mano, tagliò verso est per avere una nuova visuale della casa. Sugli scalini della porta sul retro scorse un uomo. Se ne stava seduto a rigirarsi qual cosa tra le mani, pareva un pezzo di legno intagliato. Era Elmo Van Leewen? Oppure l’altro abitante della casa che non si era nemmeno degnato di affacciarsi e aveva urlato contro suo padre?
Neri si morse la lingua: il binocolo! Ecco quello che gli sareb be servito! Perché non ci aveva pensato?
«Ehi, ragazzo! Che stai facendo laggiù?»
L’uomo si alzò dai gradini e gli andò incontro a passo svelto.
Neri ebbe un attimo di incertezza. Doveva presentarsi? Come avrebbe giustificato il fatto di trovarsi lì, seminascosto tra alberi e cespugli?
Sarebbe stato meglio correre. E così fece, alla cieca, tra la ve getazione. Dopo un paio di rapide sterzate tra gli alberi sempre più fitti, si convinse di aver seminato il suo inseguitore, ma com
mise l’errore di voltarsi per controllare. Quando tornò a guardare davanti a sé riuscì a evitare all’ultimo il fusto di una quercia, ma perse l’equilibrio e capitombolò goffamente su un cespuglio di spini.
«Ahia» esclamò, rompendo l’incantesimo che lo aveva trasformato fino a quel momento in un perfetto Indiana Jones.
«Dài, su, alzati».
Era la voce di una ragazza, proprio alle sue spalle. Vide una mano tesa che lo aiutò a rimettersi in piedi.
«Chi sei?»
«Non c’è tempo. Elmo non è cattivo, ma non sopporta che i ragazzi gironzolino intorno a casa sua».
La ragazza lo trascinò via senza lasciargli la mano.
Quando furono a distanza di sicurezza, in una piccola radura, Neri si piegò sulle ginocchia, stremato. Lei lo guardava sorriden te, immune alla fatica della corsa.
«Agnese Molzer» si presentò. «Tu devi essere il nostro nuovo vicino, il figlio dell’italiano!»
«Sì. Mi chiamo Neri Cosmi» rispose, cercando di ridarsi un tono. La guardò negli occhi per un istante. Anche lei abitava lì, era la figlia dei Molzer.
Ed era pure carina con quell’onda di capelli scuri che le scen deva sulla spalla sinistra e le incorniciava il viso a metà. E sicura di sé, a giudicare dalla stretta della mano.
Neri diede un freno a quei pensieri e, imbarazzato, mollò la presa. Le ragazze erano per lui ancora un universo misterioso. Eppure, sentiva già di potersi fidare di Agnese.
Stampato per conto di Carlo Gallucci editore srl presso Rotolito spa (Pioltello, MI) nel mese di novembre 2022
nato a Sansepolcro da madre italiana e padre siriano, vive e lavora tra Toscana e Umbria. Laureato in Studi storici, ama i viaggi e l’arte, ed è autore di romanzi, poesie e racconti.
Immagine di copertina: © Shutterstock
Art Director: Stefano Rossetti
Graphic Designer: Eleonora Tallarico / PEPE nymi
Neri ha 13 anni quando, a seguito della morte della madre, si trasferisce con il padre a Holzbrücke, un paese sperduto sul limitare della Foresta Nera. Ma il quartiere in cui vanno a vivere si presenta inospitale, a tratti inquietante, come se nascondesse qualcosa di oscuro e indecifrabile. E il mistero presto si palesa: ogni 11 novembre, in quel piccolo agglomerato di case, i defunti rivivono. Per un solo giorno all’anno i morti tornano nell’aldiquà e gli abitanti ricevono la visita dei propri affetti scomparsi, in un’atmosfera che lascia trasparire una perturbante normalità. Soprattutto perché i morti non hanno coscienza di essere tali…
“Chiuse gli occhi e li riaprì, ma l’immagine era ancora davanti a lui. Ed era reale . Vide distintamente sua madre cullare Luna . Marie era di spalle, nella tiepida penombra del tardo pomeriggio. Neri non stava sognando, Marie, sua madre, era lì”.