Il primo vampiro

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IL PRIMO VAMPIRO LORD BYRON . JOHN W. POLIDORI . SAMUEL T. COLERIDGE . JOHN KEATS . BRAM STOKER
traduzione di Stella Sacchini e Mirko Esposito

Smontato da cavallo, si avvicinò nella speranza di incontrare qualcuno che lo accompagnasse in città, o confidando almeno di trovare riparo dalla furia del temporale. Mentre avanzava, il rumoreggiare del tuono tacque per un istante e fu allora che sentì le grida terrificanti di una donna, miste a una risata soffocata, beffarda ed esultante, che si confusero in un unico suono quasi ininterrotto. Era spaventato; eppure, sospinto di nuovo dal tuono che rombava sopra il suo capo, con uno sforzo repentino, aprì la porta della casupola.

uG universale Gallucci

Lord Byron, John W. Polidori, Samuel T. Coleridge, John Keats, Bram Stoker Il primo vampiro traduzione dall’inglese di Stella Sacchini e Mirko Esposito

ISBN 978-88-3624-587-1 Prima edizione italiana novembre 2022 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 anno 2026 2025 2024 2023 2022

© 2022 Carlo Gallucci editore srl - Roma

Titoli originali: A fragment di Lord Byron The Vampyre di John William Polidori Christabel di Samuel Taylor Coleridge Lamia di John Keats Dracula’s Guest di Bram Stoker

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Lord Byron, John W. Polidori, Samuel T. Coleridge, John Keats, Bram Stoker

Il primo vampiro

traduzione dall’inglese di Stella Sacchini e Mirko Esposito

Un frammento Lord Byron

Nell’anno 17**, avendo in animo, già da tempo, di in traprendere un viaggio in Paesi fino ad allora poco battuti dagli esploratori, mi accinsi a partire in compagnia di un amico, che chiamerò con il nome di Augustus Darvell. Ave va qualche anno più di me; era un uomo di nobile lignaggio e disponeva di un notevole patrimonio, privilegi che la sua estrema avvedutezza gli impediva di sottovalutare o sovrastimare. Particolari circostanze legate alla sua storia perso nale l’avevano reso, ai miei occhi, degno di curiosità, interesse e apprezzamento, e né la sua ritrosia né certi indizi di irrequietezza che talvolta rasentavano l’alienazione mentale riuscirono a scoraggiarmi. Avevo già una discreta esperienza della vita, malgrado fossi piuttosto giovane, ma la nostra amicizia era alquanto recente: avevamo frequentato le stesse scuole e la stessa uni versità, per quanto lui avesse finito prima di me e, quindi, fosse già stato iniziato ai misteri del mondo; al contrario,

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Il primo vampiro io ero ancora un novizio. Mentre ero impegnato nei miei studi, venni a conoscenza di avvenimenti relativi alla sua vita attuale e passata e, anche se quei racconti presentavano molte contraddizioni inconciliabili, nel complesso intuivo che non si trattava di una persona comune, ma di un individuo che, malgrado cercasse di non dare nell’occhio, si imponeva per la propria eccezionalità. Per questo motivo avevo cominciato a frequentarlo, sforzandomi di ottenere la sua amicizia, ma la cosa sembrava impossibile; quali che fos sero i sentimenti che lo animavano, in quel momento alcuni parevano estinti, altri incredibilmente selettivi. Ebbi modo, in più di un’occasione, di osservare come le sue emozioni fossero intense giacché, per quanto riuscisse a controllarle, non poteva dissimularle del tutto. Eppure aveva una tale capacità di conferire a una passione le parvenze di un’altra, che era molto difficile capire cosa si agitasse dentro di lui, e l’espressione del suo volto mutava in modo così repentino, per quanto impercettibile, che era del tutto inutile cercare di individuarne il motivo. Era evidente che fosse preda di un’inquietudine incurabile; che si trattasse di ambizione, amore, rimorso, dolore, una di queste cose o tutte assieme, oppure semplicemente di un temperamento morboso affine alla pazzia, non fui in grado di stabilirlo. Vi erano circostan ze provate in grado di avvalorare ognuna di queste ipotesi ma, come ho già detto, erano così contraddittorie e contrad

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dette che non si poteva essere sicuri di niente. È risaputo che dove ci sia Mistero alligni anche la Malvagità. Non so se sia vero, ma una cosa era certa: il mistero faceva parte di lui; quanto alla malvagità, impossibile determinarlo con esattezza, ma ero restio a credere che potesse esistere in lui una cosa del genere. I miei tentativi vennero accolti con una certa freddezza; ma ero giovane e non mi facevo scoraggiare con troppa facilità e alla fine riuscii a instaurare, nel com plesso, un rapporto cortese di misurata confidenza che si fondava su argomenti semplici e quotidiani, nato e cementato da una certa sintonia di intenti e di frequentazione che chiamerei intimità, oppure amicizia, a seconda del gusto di chi usa questi termini. Darvell aveva già visitato molti Paesi, e quindi gli avevo chiesto informazioni relative agli atteggiamenti da tenere durante il viaggio che avevo in mente; albergavo, infatti, il segreto desiderio che si decidesse ad accompagnarmi. Era una speranza non infondata, nutrita dalla trepidazione mi steriosa che avevo osservato in lui, e rafforzata dall’entu siasmo che mostrava per quegli argomenti e dall’apparente indifferenza per la realtà che lo circondava. Questo mio de siderio fu prima accennato, poi espresso in maniera esplicita; la sua risposta, per quanto in parte me l’aspettassi, ebbe su di me l’effetto incredibile di una sorpresa: acconsentì. E, dopo i preparativi del caso, partimmo per il nostro viaggio.

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Un
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Dopo aver visitato alcuni Paesi dell’Europa meridionale, ci dirigemmo verso Oriente, come avevamo stabilito in princi pio; e fu mentre visitavamo quelle regioni che accadde l’in cidente da cui prende le mosse il mio racconto.

La corporatura di Darvell, che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere stata in gioventù alquanto robusta, da qual che tempo a questa parte stava perdendo il suo antico vigo re, senza che la cosa fosse determinata da una malattia; non aveva né tosse né febbre di consunzione, eppure si indebo liva ogni giorno di più. Conduceva una vita senza eccessi, quando c’era da faticare non si tirava mai indietro e non si lamentava mai, eppure deperiva a vista d’occhio. Si fece sempre più silenzioso e insonne e, alla fine, il suo equilibrio psichico ne risultò fortemente compromesso, al punto che le mie ansie nei suoi confronti crebbero in proporzione al pericolo che vedevo incombere su di lui. Avevamo deciso che al nostro arrivo a Smirne avremmo fatto un’escursione fra le rovine di Efeso e Sardi, progetto dal quale cercai di dissuaderlo, visto lo stato fisico in cui si trovava, senza ottenere però alcun risultato. Pareva che la sua mente fosse del tutto offuscata, e i suoi atteggiamenti avevano una solennità che mal si addiceva all’impazienza di continuare a tutti i costi quello che io consideravo un sem plice viaggio di piacere, poco adatto a un valetudinario. Ma non mi opposi oltre e, in capo a qualche giorno, ci accin

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gemmo a partire insieme, scortati soltanto da un postiglione e un giannizzero.

Ci eravamo lasciati alle spalle le fertili terre di Smirne e, giunti ormai a metà strada verso le rovine di Efeso, stavamo per imboccare il sentiero selvaggio e disabitato che valica le paludi e le gole in direzione delle poche casupole superstiti, sovrastanti le colonne spezzate del tempio di Artemide, le mura senza tetto del Cristianesimo bandito e la più recente ma totale desolazione delle moschee abbandonate, quando l’improvvisa e repentina malattia del mio compagno ci costrinse a sostare in un cimitero turco, le cui lapidi sormonta te da turbanti costituivano la sola testimonianza che gli uo mini avevano un tempo dimorato in quella terra inospitale. L’unico caravanserraglio ce lo eravamo lasciato alle spalle qualche ora prima, e nei dintorni non vi era traccia di vil laggi o case, nessuna speranza di ricovero; quella “Città dei Morti” era il solo rifugio per il mio sventurato amico, che sembrava in procinto di diventare l’ultimo dei suoi abitanti. Data la situazione, mi guardai attorno alla ricerca di un posto in cui potesse riposare comodamente; al contrario delle solite necropoli maomettane, i cipressi erano piuttosto radi e assai distanti l’uno dall’altro. Le lapidi erano perlopiù distrutte e usurate dal tempo. Così Darvell si appoggiò con grande fatica a una delle più solide, sotto un albero fra i più folti, e si distese un poco. Chiese un goccio d’acqua.

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Un
frammento

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Nutrivo più di un dubbio che potessimo trovarla; tuttavia, in preda all’esitazione e allo sconforto, mi preparai a partire, ma Darvell mi pregò di rimanere e, voltandosi verso Soli mano, il nostro giannizzero che fumava tranquillo e beato a un passo da noi, gli disse «Solimano, verbana su!» (portami dell’acqua), e prese a descrivere con estrema precisione il luogo in cui l’avrebbe trovata, in un piccolo pozzo dove si abbeveravano i cammelli, un centinaio di iarde sulla destra. Il giannizzero obbedì. «Come facevate a saperlo?» chiesi a Darvell. «Lo deduco dal luogo in cui ci troviamo» rispose. «Un tempo questo era un posto abitato, non ci sono dubbi, e quindi deve per forza esserci una sorgente d’acqua nelle vicinanze. E poi, ci sono già stato»

«Ci siete già stato? Come mai non me lo avete detto? E cosa siete venuto a fare in un luogo dove nessuno rimarreb be più dello stretto necessario?»

A questa domanda non ebbi risposta. Nel frattempo Solimano era tornato con l’acqua, lasciando il postiglione e i cavalli alla fontana. Una volta saziata la sete, Darvell parve rianimarsi per un istante e io nutrii la segreta speranza che potesse riprendere il cammino, o almeno fare ritorno a casa, e cercai di esortarlo. Rimase in silenzio e parve raccogliere le sue ultime forze prima di parlare. Iniziò dunque a dire: «Questo è il termine del mio viaggio e della mia vita… Sono venuto qui per morire: ma ho una richiesta da farvi,

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un ordine… giacché saranno le mie ultime parole… Mi ob bedirete?»

«Certamente, ma nutro ben altre speranze»

«Io no, invece. Non nutro alcuna speranza, alcun desi derio, tranne questo: mantenete segreta la mia morte a ogni essere umano»

«Spero non ve ne sia bisogno; vi riprenderete e…»

«Tacete!... È così e basta: promettetemelo»

«Ve lo prometto»

«Giuratelo, con queste parole» e quindi pronunciò un giuramento solenne e altisonante.

«Non ce n’è bisogno… Manterrò la mia promessa… Se non vi fidate di me…»

«Non c’è altro modo… dovete giurare».

Ripetei il giuramento, e la cosa parve tranquillizzarlo. Si sfilò dal dito un anello con un sigillo, su cui erano incisi al cuni caratteri arabi, e me lo diede. Continuò:

«Il nono giorno del mese, a mezzogiorno in punto (deci derete voi il mese, ma il giorno dovrà essere quello), gettere te questo anello nelle sorgenti salate che sfociano nella baia di Eleusi: il giorno dopo, alla stessa ora, dovrete riparare fra le rovine del tempio di Cerere, e attendere un’ora»

«Perché?»

«Lo scoprirete»

«Il nono giorno del mese, dite?»

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Un frammento

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«Sì, il nono».

Quando gli feci notare che quello era il nono giorno del mese, il suo volto mutò espressione e si interruppe, tiran dosi su a sedere, mentre le forze ormai lo abbandonavano. In quel momento una cicogna, con un serpente serrato nel becco, si appollaiò sopra una lapide lì vicino e, senza di vorare la preda, si mise a fissarci con occhio risoluto. Non so cosa mi spinse a cacciarla, ma il tentativo fu inutile. Si alzò in volo, disegnando un paio di cerchi nell’aria, poi fece ritorno sulla stessa lapide di prima. Darvell la indicò con il dito, sorrise e pronunciò, non so se rivolto a me o a se stes so, queste parole: «Tutto è compiuto»

«Compiuto? Cosa intendete?»

«Non importa: questa sera dovrete seppellirmi qui, nel punto esatto in cui è appollaiata quella cicogna. Conoscete bene il resto dei miei ordini».

Mi diede poi alcune istruzioni sul modo in cui avrei dovuto tener nascosta la sua morte. Dopo che ebbe finito, esclamò: «La vedete quella cicogna?»

«Certo»

«E il serpente che si contorce nel suo becco?»

«Senza dubbio: non c’è niente di insolito, si tratta della sua preda naturale. Ma è strano che non la divori».

Darvell accennò un sorriso spettrale e disse, flebile: «Non è ancora tempo». A quelle parole la cicogna spiccò il volo.

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I miei occhi la seguirono per un istante, giusto il tempo di contare fino a dieci. Il peso di Darvell sulla mia spalla si fece, per così dire, più gravoso e, voltandomi per osservarlo in faccia, mi resi conto che era morto.

Fui travolto da un’improvvisa certezza, impossibile da fraintendere… in capo a qualche istante il suo viso divenne quasi nero. Avrei potuto attribuire un cambiamento così ra pido all’effetto di un veleno, se non avessi avuto la convin zione assoluta che non poteva averlo ingerito senza che me ne accorgessi. Il giorno volgeva ormai al termine, i tratti del suo volto stavano cambiando rapidamente e non mi rimane va che dare seguito alla sua richiesta.

Con l’aiuto dello iatagan di Solimano e della mia sciabo la, scavammo una tomba poco profonda nel luogo preciso che Darvell mi aveva indicato; la terra, che già in epoche lontane aveva accolto nel proprio grembo i corpi di alcuni fedeli maomettani, cedette subito. Scavammo fino a sera e, dopo aver gettato la terra sopra le spoglie mortali di quella creatura straordinaria morta solo poche ore prima, portam mo via alcune zolle erbose da quei punti in cui il terreno intorno a noi era meno riarso, e le poggiammo sopra la sua tomba.

Sospeso fra il dolore e l’incredulità, non riuscii a versare una lacrima.

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Un frammento

Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) è considerato, insieme a William Wordsworth, il fondatore del Romanticismo inglese, movimento letterario e poetico che ebbe tra i suoi maggiori esponenti anche John Keats (1795-1821) e Lord Byron (1788-1824), spesso definito l’eroe romantico per eccellenza, nonché la prima “celebrità” in senso moderno. Proprio alla figura di quest’ultimo è ispirato il vampiro aristocratico e sofisticato creato da John William Polidori (1795-1821), che ha influenzato l’immaginario collettivo fino a oggi, grazie anche alla consacrazione avvenuta con il romanzo Dracula di Bram Stoker (1847-1912), di cui il racconto contenuto in questa raccolta doveva costituire il primo capitolo.

Progetto

Immagine di copertina: © Malgorzata Maj / Trevillion Images grafico: Camille Barrios / ushadesign

Il principe delle tenebre come lo conosciamo oggi nasce nell’Ottocento, grazie al successo de Il vampiro di John William Polidori, a sua volta ispirato da Un frammento di Lord Byron. Le prime, folgoranti storie di vampiri qui raccolte mostrano la genesi del mito nella letteratura gotico-romantica, comprese le più notevoli declinazioni al femminile di questa figura raffinata, sensuale e assetata di sangue.

Contiene:

Un frammento di Lord Byron

Il vampiro di John William Polidori Christabel di Samuel Taylor Coleridge Lamia di John Keats L’ospite di Dracula di Bram Stoker

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